Sembrano al nastro di partenza i fondi interprofessionali per la

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Sembrano al nastro di partenza i fondi interprofessionali per la
Sembrano al nastro di partenza i fondi interprofessionali per la formazione continua, gestiti dalle
organizzazioni sindacali e imprenditoriali, che permetteranno di realizzare piani di formazione per i
lavoratori occupati del nostro paese. «Sembra», perché l’esecutivo non ha ancora varato tutti i
decreti operativi che permetterebbero di finanziare le prime attività dei fondi stessi. Nati da accordi
tra parti sociali e tra governi e parti sociali in altre stagioni (’93, ’96, ’98), i fondi interprofessionali
per la formazione continua entrano ora in campo in una fase molto diversa, con forti tentazioni nel
governo Berlusconi e tra i firmatari del Patto per l’Italia d’affidare alla bilateralità compiti che
(secondo la Cgil) snaturerebbero il ruolo del sindacato (certificazione dei rapporti di lavoro ecc.).
La natura dei fondi
Gli accordi tra le parti che hanno portato alla definizione di questi organismi, oltre agli statuti e ai
regolamenti approvati con un decreto dell’attuale ministro del Lavoro, definiscono con nettezza la
natura dei fondi, strettamente correlata alla realizzazione di attività formative, senza concedere
alcuno spazio per altri compiti (per noi inaccettabili). È evidente, tuttavia, che i decreti attuativi della
legge 30 (la nuova legge sul mercato del lavoro) e le pressioni provenienti dai nostri partner
sindacali e imprenditoriali, potrebbero aprire qualche varco che dobbiamo essere in grado di
richiudere con nettezza, richiamando il valore primario di quegli accordi e di quegli statuti. A parte
questa preoccupazione politica, i fondi, anche per la loro potenziale dimensione finanziaria, che
potrà arrivare a regime a circa 800 miliardi di vecchie lire annue, possono comunque contribuire ad
allargare di molto il ruolo della formazione per i lavoratori anche in Italia, che, nonostante i
miglioramenti di questi ultimi anni, è ancora assestata al penultimo posto in Europa per il numero
di imprese che realizzano attività formative. Formazione che tutti i documenti strategici del
sindacato europeo e italiano ritengono fondamentale per rafforzare le competenze e, di
conseguenza, il potere contrattuale dei lavoratori e che abbiamo scommesso possa costituire un
terreno di confronto con le imprese e le associazioni imprenditoriali, perché possano considerare le
risorse umane come un volano fondamentale per lo sviluppo della competitività. Per vincere
questa scommessa, anche la Cgil deve attrezzarsi. Prima di tutto, introducendo nelle piattaforme
contrattuali, anche in una fase difficile come l’attuale, un ruolo più forte della formazione, che per
essere davvero efficace dovrebbe raccordarsi più strettamente con le politiche degli
inquadramenti, dell’orario e del salario.
Target più mirati
Ma un ruolo contrattuale del sindacato non deve misurarsi solamente con i fondi. Se il nostro
obiettivo fondamentale in questo campo consiste nel rafforzare la qualità della formazione, va
costruito un terreno di confronto, innanzitutto con le Regioni, sulla destinazione dell’insieme delle
risorse utilizzabili per la formazione continua, che derivano da leggi nazionali e da fondi comunitari
in misura ben più rilevante di quelle attivabili con i fondi interprofessionali, partendo dalle analisi
dei fabbisogni realizzate bilateralmente dalle parti sociali, ma cercando anche il collegamento con
tutte le strutture (università, Camere di commercio ecc.) che siano in grado d’analizzare le
tendenze di mercato, le figure professionali del futuro, le modalità con cui il sistema formativo può
rispondere efficacemente a quei bisogni. Un confronto a tutto campo, che ci permetterebbe anche
di orientare le risorse pubbliche in direzione di target più mirati. Una volta attivati i fondi
interprofessionali, prioritariamente rivolti agli occupati più «stabilizzati», si potrebbero per esempio,
stimolare le Regioni a investire maggiori risorse del Fondo sociale europeo in direzione dei sempre
più numerosi lavoratori atipici.
Orientamenti comuni
Rispetto ai fondi interprofessionali per la formazione continua, che saranno sei per i lavoratori e tre
per i dirigenti (vedi scheda in pagina), diretti da un’assemblea dei soci e gestiti ciascuno da un
consiglio d’amministrazione, sarà importante definire degli orientamenti che saldino un ruolo
decisivo degli organismi territoriali nella scelta dei piani da approvare con l’individuazione di criteri
di qualità e di valutazione definiti a livello nazionale; che definiscano una tempistica rapida
nell’erogazione delle risorse, dotata di meccanismi di controllo rigorosi sulle modalità di spesa; che
individuino forme di supporto alle piccole e medie imprese, per consentire anche la costruzione di
piani di formazione territoriali e intersettoriali; che diano ampio spazio in tutti i piani formativi alle
tematiche inerenti alla salute e alla sicurezza e alle pari opportunità uomo-donna; che chiariscano
inequivocabilmente le caratteristiche dei soggetti che devono realizzare le attività formative, a
partire da quelli accreditati da ciascuna Regione; che riconfermino la condizione obbligatoria
dell’accordo fra tutte le parti sociali per l’«eleggibilità» (l’approvazione) di un progetto; che
individuino criteri di scelta delle figure tecniche da impegnare nei fondi (direttori, valutatori,
amministratori), basati sulle competenze necessarie e non su logiche di mera lottizzazione; che
attivino percorsi di formazione riservati a tutti gli operatori delle parti sociali coinvolti in prima
persona nella partita. Su questi temi stiamo predisponendo degli orientamenti comuni con Cisl e
Uil: orientamenti che dovranno costituire una bussola per i comportamenti di tutti i nostri
rappresentanti impegnati nei fondi, al di là delle scelte specifiche che potranno essere assunte
all’interno di ciascun organismo.
Roberto Pettenello
Responsabile formazione continua della Federazione formazione e ricerca Cgil
La scheda
Dalle grandi imprese
alle cooperative
I sei fondi costituiti
Sono formalmente costituiti, con relativa approvazione del ministero del Lavoro, sei fondi per la
formazione continua.
Fondimpresa (costituito da Confindustria, Cgil, Cisl, Uil): raggruppa prevalentemente grandi e
medie imprese, con quattro milioni e 162.479 addetti tenuti al versamento dello 0,30 per cento del
monte salari.
Forte (Confcommercio, Abi, Ania, Confetra, Cgil, Cisl, Uil): imprese dei comparti commercioturismo-servizi, creditizio-finanziario, assicurativo, logistica-spedizioni-trasporto, per un totale di
due milioni e 476.276 lavoratori.
Fonter (Confesercenti, Cgil, Cisl, Uil): imprese del turismo, distribuzione e servizi, con 274.417
addetti.
Fondo formazione pmi (Confapi, Cgil, Cisl, Uil): piccole e medie imprese, con un milione e 175.888
lavoratori.
Fondo artigianato formazione (Confartigianato, Cna, Casartigiani, Cgil, Cisl, Uil): imprese artigiane,
798 mila addetti.
Foncoop (Confcooperative, Legacoop, Agci, Cgil, Cisl, Uil): imprese cooperative, con 470.765
lavoratori.
Oltre a questi sei, sono in via di costituzione altri tre fondi interprofessionali per la formazione
continua per i dirigenti, formati da Confindustria, Confapi, Confcommercio-Abi-Ania-Confetra e
dalle associazioni delle alte professionalità non affiliate alle confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil.