I diritti umani in Giappone - Nomodos – Il Cantore delle Leggi

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I diritti umani in Giappone - Nomodos – Il Cantore delle Leggi
I diritti umani in Giappone: la
critica e l'apprezzamento da parte del
sistema europeo
“Japan”, foto di Moyan Brenn,licenza CC BY, www.flickr.com
In Giappone durante gli anni Novanta e gli ultimi anni del 1800 è stata data
forma ad uno stato forte e risoluto. Le idee liberali e social democratiche
influenzarono il pensiero degli intellettuali dell’epoca; ed i movimenti
popolari con alcuni istituzioni interne iniziarono ad acquisire una qualche
forma di legittimità a partire dagli anni ’20 del secolo scorso.
I liberali, i socialisti e i comunisti che furono altamente criticati dal
Governo fino agli anni Trenta, iniziarono solo successivamente ad essere
liberi di suggerire come lo stato dovesse organizzare la società e
considerare i diritti dei singoli.
Analizzerò tre periodi storici diversi per comprendere al meglio l’evoluzione
dei diritti umani in Giappone.
1. I diritti umani e la loro struttura legale nel dopoguerra del Giappone
sotto l’occupazione americana furono caratterizzati da una labilità molto
alta. La Costituzione giapponese si dimostrò un’autorevole affermazione dei
diritti umani, che prima della Grande Guerra, non furono molto considerati in
Giappone. Essa fu giudicata forse come l’atto più sacro della civiltà attuale
del Paese. Quando le porte del Giappone vennero aperte dalla “mano
occidentale” nel 1800, non vi era traccia di parole riportanti il significato
di “giusto” (kenri) o “diritti umani” (jinken), anche se ci fu la richiesta
di tutela di questi ultimi. Non vi fu nulla, durante quegli anni, che potesse
ricordare anche solo lontanamente i documenti americani o le Costituzioni
europee riportanti le celebri liste finite dei diritti fondamentali.
L’esercito degli Stati Uniti giocò un ruolo fondamentale in Giappone
nell’epoca dell’occupazione: il comando fu del generale McArthur, ed è
importante ricordare il fatto che quest’ultimo ebbe il potere di rivedere e
modificare la Costituzione. Egli dichiarò: “the Japanese Government shall
remove all obstacles to the revival and strengthening of democratic
tendencies among the Japanese people. Freedom of speech, of religion, and of
thought, as well as respect for the fundamental human rights shall be
established[1]”. Ci furono diversi progetti di revisione della Costituzione a
partire dal 1946. La linea centrale che si tenne in seguito fu quella di
focalizzare l’attenzione non sull’Imperatore, ma sulle persone. Il preambolo
della Costituzione afferma: “il governo viene dal popolo, i poteri esercitati
dai rappresentanti del popolo, ed i benefici di cui godono le persone
provengono dal popolo stesso”. La sovranità popolare è una delle tre idee
principali del periodo post-bellico. Le altre due sono il pacifismo e
l’impegno dei diritti umani. Il pacifismo si ritrova all’interno dell’ art.9
della Costituzione, il quale afferma che “il popolo giapponese rinuncia per
sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia o
all’uso della guerra in controversie internazionali”. Circa i diritti umani
vi è un riferimento indiretto nel preambolo: “Ci rendiamo conto che tutti i
popoli del mondo hanno il diritto di vivere in pace, liberi dalla paura e dal
timore. Crediamo che nessuna nazione sia responsabile per se stessa soltanto,
ma che le leggi della morale politica siano universali; e che l’obbedienza a
tali leggi incomba su tutte le nazioni che vogliono sostenere la propria
sovranità e giustificare le loro relazioni con le altre nazioni sovrane”.
2. Dopo la guerra di Corea.
I diritti umani non sono stati una priorità per il governo giapponese nel
periodo immediatamente successivo all’ occupazione. In Giappone, come
probabilmente in tutti i paesi che furono alleati con l’occidente durante la
guerra fredda, le conseguenze economiche e politiche di confronto con
l’Unione Sovietica e gli altri avversari (per esempio, a quel tempo la Cina),
furono ciò che preoccupò maggiormente le autorità statali e gran parte della
società civile. Tuttavia questo non è una giustificazione valida al fatto che
le questioni relative ai diritti umani sono scomparse del tutto.
La tutela dei diritti umani in Giappone iniziò ufficialmente nel 1950,
successivamente alla Guerra del Golfo. Inoltre, l’influenza della Unione
Europea fu molto importante. In qualità di ex “potenza nemica” il Giappone
non fu coinvolto nel processo che creò le Nazioni Unite, né nella stesura
della Dichiarazione, e nemmeno nella stesura dell’ICCPR o dell’ICESCR. Il
Giappone non aderì alle Nazioni Unite fino al 1957 e, anche se
successivamente fu ammesso, questo non significa che il Giappone abbia
inizialmente partecipato in modo attivo: non propose per molto tempo nuove
iniziative.
Il Giappone non ratificò l’ ICCPR e l’ ICESCR prima del 1979, ovvero fino a
quando il monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite estese una
struttura che iniziò a funzionare in modo efficace (periodo coincidente con
l’amministrazione Carter che mostrò un forte un interesse per la diplomazia
dei diritti umani). Successivamente il Giappone ratificò anche altri due
trattati internazionali, aventi ad oggetto i diritti politici delle donne e
la repressione del traffico di persone (nonché la prostituzione).
Altro passo giudicato fondamentale dalla critica occidentale fu il fatto che
il Giappone iniziò ad instaurare un rapporto costruttivo con il HRC. Ciò
risultò davvero utile a migliorare gli standard della difesa dei diritti
umani e si vide nell’immediato un concreto risultato sul campo.
In sintesi, dal 1956 al 1990 il Giappone prese parte a progetti inerenti la
tutela dei diritti umani, ma non si mostrò propositivo né attivista in tale
direzione. La ratio di ciò può essere riscontrata nel fatto che spesso le
proposte all’interno della sede ONU furono in contrasto con la legislazione
giapponese, perciò la nazione nipponica preferì tenersi sulla difensiva. Ciò
può essere giudicato molto simile a quello che avvenne all’interno degli
Stati Uniti d’America e in molti altri casi di politica estera (Cina).
Inoltre il Giappone, mantenne una posizione spesso neutrale sulle questioni
inerenti i diritti umani, poiché non si voleva esporre alla critica
internazionale.
3. Dopo la Guerra fredda.
In questo periodo molte organizzazioni non governative iniziarono ad
individuare e precisare le loro richieste nel campo dei diritti umani
all’interno del contesto internazionale. La creazione di livelli standard da
raggiungere e di obiettivi comuni da conseguire in pieno contribuirono alla
creazione di un messaggio utile: la nascita di una morale e di una
consapevolezza che prescinde dalla cultura e dalla legislazione interna.
Ebbe così inizio, dopo il 1992, un periodo in cui le Nazioni Unite promossero
diverse conferenze inerenti al tema dei diritti umani, formulando ben
ventidue trattati: il Giappone venne fortemente criticato poiché ne firmò
solo sette.
La Costituzione giapponese ha un elenco dei diritti da tutelare contenuti
all’interno del capitolo terzo. I diritti delle persone sono garantiti come
“diritti fondamentali” e la Costituzione afferma che “questi diritti devono
essere conferiti al popolo di questa e delle future generazioni come diritti
eterni ed inviolabili (Art.12)”.
Come previsto dal art.97, i diritti umani fondamentali garantiti dalla
Costituzione al popolo del Giappone “sono frutto della lotta secolare
dell’uomo per essere libero; essi sono sopravvissuti a molte prove
impegnative e sono conferiti alla presente ed alle future generazioni su
fiducia, che si considererà inviolata per l’eternità”.
La Costituzione giapponese è stato fortemente influenzato anche dalla
Costituzione tedesca soprattutto per i valori sostanziali e la gerarchia
delle azioni di governo, compresi quelle per i diritti umani.
Il valore fondamentale è la dignità umana: ogni essere umano dovrebbe avere
la capacità di controllare e disciplinare se stesso basandosi sulla ragione.
Questa fede nella ragione è dunque, secondo la carta giapponese, la base per
la dignità umana. Anche se la costituzione tedesca ha una clausola specifica
per proteggere la dignità umana, la costituzione giapponese non ha alcuna
clausola.
In conclusione, la realtà dei diritti umani in Giappone è andata nel corso
degli anni a subire importanti step e modifiche, ed è stata fortemente
oggetto della critica dell’occidente. Quest’ultima è stata spesso
costruttiva, soprattutto negli anni antecedenti il 1956, ma a volte
demolitrice, poiché non è riuscita a comprendere gli ostacoli e le complesse
vicissitudini che si nascondevano dietro ad idee giudicate antiquate e poco
duttili.
Ad oggi il Giappone è considerata una potenza economica e culturale:
all’interno della società nipponica sono molte le organizzazioni che chiedono
maggiore attenzione al Governo in merito al tema dei diritti umani,
soprattutto in merito all’uguaglianza in ambito lavorativo tra uomo e donna.
Le trattative in campo di diritti umani intrapresi anche dall’ASEAN sono
fondamentali per comprendere appieno la posizione attuale del Giappone in
questo quadro, ma bisognerebbe sempre partire dal significato di “Asian
Value”.
VALERIA TESSARIS
[1] tale passo venne citato da Beer 1984
Bibliografia
Philip Alston with Mara Bustelo and James Heenan ,“The EU and the Human
Rights”, Oxford, 1999;
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EU official Website;
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