Università Politecnica delle Marche Facoltà di Medicina e Chirurgia

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Università Politecnica delle Marche Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università Politecnica delle Marche
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Scuola di Dottorato di Ricerca- Curriculum Medicina e Prevenzione
X Ciclo
RIABILITAZIONE DELLA FUNZIONE ERETTILE CON ALPROSTADIL INTRACAVERNOSO DOPO
PROSTATECTOMIA RADICALE: RIFIUTO E DROP-OUT
REFERENTE E TUTOR
DOTTORANDO
CH.MO PROF. GIOVANNI MUZZONIGRO
A.A. 2011 - 2012
DR. GIANLUCA D'ANZEO
SOMMARIO
La prostatectomia radicale e le sue implicazioni ................................................................2
Fisiopatologia della Disfuzione Erettile dropo PR...............................................................8
Fattori predittivi della funzione sessuale dopo PR ...........................................................15
Riabilitazione della funzione erettile dopo PR: mito o realtà............................................20
Riabilitazione della funzione erettile con alprostadil intracavernoso dopo
prostatectomia radicale: rifiuto e dropout......................................................................25
Tabelle e Figure................................................................................................................37
Bibliografia.......................................................................................................................41
2
3
La Prostatectomia Radicale e le sue
implicazioni.
Il cancro della prostata presenta un impatto sulla salute pubblica in termini di
mortalità negli USA che è secondo solo al cancro del polmone [1]. Tuttavia, la
caratteristica eterogeneità della malattia, che può avere un decorso indolente anche
senza alcuna terapia, e il sostanziale rischio di complicanze e implicazioni correlate al
trattamento possono rendere la decisione terapeutica assai impegnativa, sia per il
medico che per il paziente. Inoltre, la scelta delle modalità stesse del trattamento, sia
per quanto concerne la capacità di controllo della malattia nel tempo che l’impatto
sulla qualità di vita, è tutt’altro che ovvia.
I dati provenienti dal CaPSURE, un registro di malattia su base regionaleterritoriale, ci dimostrano che il trattamento più impiegato per trattare il Ca Prostatico
rimane la prostatectomia radicale, intervento praticato nel 50% almeno dei soggetti
con nuova diagnosi di malattia localizzata [2]. Tuttavia, dallo stesso database appare
evidente come spesso la scelta del trattamento vari da centro a centro, non tanto in
base alle caratteristiche della malattia, ma piuttosto in funzione di convincimenti
personali o della esperienza dei singoli. Tale aspetto mette in evidenza la cogente
4
necessità di una sempre migliore evidenza clinica in grado di dare risposte certe al
clinico e al paziente.
Ma la conflittualità nella modalità di trattamento nasce forse prima e cioè:
trattare o non trattare il cancro della prostata?
Lo studio randomizzato condotto in Scandinavia ha dimostrato in maniera
chiara che, per un follow-up di 12.8 anni, il rischio relativo di morte per PCa nei
pazienti sottoposti a chirurgia risultava essere 0.62, con un beneficio conservato
anche per pazienti giovani e malattie a basso rischio [3]. D’altro canto, i dati
provenienti dal US Prostate Cancer Intervention Versus Observation trial, che aveva
arruolato, con un follow-up sino a 12 anni, pazienti con malattie a più basso rischio
rispetto al trial Scandinavo, dimostrano come questo beneficio si mantenga
esclusivamente nei pazienti con malattie ad alto rischio, annullandosi negli altri casi
[4].
Infine, anche nell’ambito delle differenti modalità di trattamento, ad esempio
quale tecnica per la prostatectomia radicale, quali i benefici relativi della chirurgia
rispetto alla terapia radiante, quale ruolo per la terapia ormonale,
non sono al
momento disponibili dati scientifici univoci.
Impatto sulla continenza.
5
Dato l’eccellente livello di controllo oncologico che caratterizza la
prostatectomia radicale, l’attenzione si è recentemente focalizzata sulla “tossicità”
della chirurgia, nel tentativo di ridurre le implicazioni che direttamente derivano
dall’intervento. E’ infatti noto che i pazienti sottoposti a qualsiasi tipo di terapia per il
Cancro della prostata riferiscono una ridotta qualità di vita [5]. Tale aspetto riveste
un’importanza ancora più cruciale se consideriamo che l’avvento dello “screening”
tramite il PSA ha abbassato notevolmente l’età media dei soggetti che eseguono tali
tipologie di trattamento.
Tuttavia, come per gli aspetti più squisitamente legati al controllo oncologico,
mancano dati di elevata qualità sulle complicanze dei trattamenti. Tale problematica è
verosimilmente legata alla mancanza, in molti casi, di una valutazione basale
preoperatoria e all’impiego di mezzi diagnostici frequentemente non validati. Questo
aspetto riveste una notevole importanza alla luce del fatto che la percezione
dell’Urologo riguardo all’impatto che determinate condizioni possono avere sul
paziente è spesso lontana da quella del paziente stesso.
Per quanto concerne la continenza, per esempio, a tutt’oggi manca una
definizione univoca del problema, e questo rende difficile una sua quantificazione
esatta impedendo dunque un corretto confronto tra le diverse tecniche [6].
Attualmente, si ritiene che la incontinenza dopo prostatectomia radicale sia
causata da una instabilità detrusoriale post intervento e, soprattutto, da una
insufficienza sfinterica intrinseca; la prevalenza di tale disturbo, nelle varie analisi
6
multivariate, sembrerebbe dipendere da due principali fattori: l’età del paziente e lo
sviluppo di stenosi anastomotica.
Nell’ottica di migliorare gli esiti in termini di continenza, diversi Autori
hanno cercato di modificare la tecnica chirurgica. Oltre alla preservazione dei bundles
neuro vascolari, sulla quale sussiste in realtà ancora una discreta perplessità, si ritiene
che una minima manipolazione dell’uretra, la conservazione dei tessuti periuretrali, in
particolare in prossimità dell’apice prostatico e una eversione a tutto spessore della
mucosa vescicale possano essere un valido aiuto per il miglioramento della
continenza [7] .
La valutazione dell’incidenza nelle varie casistiche risulta complessa, non
solo per le motivazioni esposte precedentemente, ma anche perché essa varia nel
tempo con una tendenza al miglioramento; dunque, le percentuali riportate variano
sensibilmente tra il 5 e il 72% [8, 9]. Va inoltre considerato che la persistenza di
incontinenza può richiedere una seconda procedura chirurgica, come riportato nel
6,7% dei casi in una ampia casistica di pazienti del programma MediCare.
Funzione Sessuale.
Sin dalla sua descrizione a opera di Walsh, l’approccio nerve-sparing alla
prostatectomia radicale è diventato il preferito per il trattamento di pazienti con
normale funzione sessuale pre-operatoria e malattia clinicamente organo-confinata.
7
Oltre alla tecnica, altri fattori ritenuti rilevanti nella preservazione della potenza
sessuale sono risultati l’età del paziente e lo stato della funzione erettile preoperatoria.
Tuttavia, come già esposto per l’incontinenza, anche in questa circostanza le
percentuali riportate dai diversi Autori sono ampiamente variabili ( dal 31 all’86%)
proprio perché è variabile la definizione di potenza post-operatoria; infatti, mentre
alcuni considerano “potente” un paziente che riesca a ottenere erezioni di rigidità
sufficiente per il rapporto, per altri è ammesso l’uso di inibitori delle 5PDE, come
sildenafil, vardenafil o tadalafil [6].
In un ampio studio longitudinale di coorte, il Prostate Cancer Outcomes
Study, è emerso come solo il 44% dei pazienti con normale funzione erettile preoperatoria e sottoposto a prostatectomia radicale nerve-sparing fosse in grado di avere
attività sessuale spontanea a 18 mesi dall’intervento . Peraltro, in ognuna di queste
casistiche, è presente un fattore di grande variabilità determinato dal “reale” status di
risparmio dei nervi, che può non necessariamente coincidere con la percezione
dell’operatore.
Basandosi su tale variabilità di dati, fornire al paziente, in sede di counseling
preoperatorio, delle indicazioni circa quello che potrebbe essere l’impatto
dell’intervento sulla sfera sessuale diventa piuttosto arduo.
Per rispondere a questa domanda, è stata condotta un’ analisi del Prostate
Cancer Outcomes and Satisfaction with treatment quality che ha mostrato che il 35%
dei pazienti riferiva la capacità di avere erezioni sufficienti per un rapporto a distanza
8
di due anni dalla prostatectomia radicale [10]. Al fine di realizzare un modello
predittivo di recupero della funzione sessuale, è stata condotta un’ analisi multivariata
che ha mostrato come un basso valore di PSA, una migliore funzione preoperatoria e
la chirurgia nerve-sparing erano associate a maggiori chances di ripresa funzionale.
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Fisiopatologia della disfunzione erettile dopo
PR.
La fisiopatologia del danno erettile coinvolge, allo stato attuale delle
conoscenze, 3 principali capitoli: il danno neurale, il danno vascolare e il danno
strutturale al corpo cavernoso [11].
Per quanto concerne il danno a carico del sistema nervoso, è ormai noto che
esiste una correlazione quantitativa tra “quanti” nervi vengono risparmiati e
l’outcome erettile, poiché la funzione erettile risulta migliore nei pazienti che
eseguono un intervento nerve-sparing, e tra questi è migliore nei soggetti che hanno
avuto un risparmio bilaterale del fascio [12], con riferimento sia al recupero
spontaneo che a quello assistito dagli inibitori delle 5PDE. Tuttavia, anche la
convinzione chirurgica di una preservazione anatomica non consente alcuna
sicurezza. Per esempio, Masterson e coll hanno dimostrato che anche una minima
trazione dei nervi cavernosi può essere causa di una disfunzione erettile postoperatoria [13]. In uno studio in cui i pazienti venivano sottoposti a una tecnica
“stretch” con impiego di un CV Foley per trazionare la prostata oppure a una tecnica
“tension-free” il 63% dei pazienti trattati con quest’ultima tecnica aveva riacquistato
l’erezione rispetto al 45% nell’altro gruppo. Peraltro, l’abilità del chirurgo nel
10
preservare i tessuti nervosi non rappresenta l’unico aspetto coinvolto. Katz e coll.
hanno dimostrato che il 25% dei pazienti con erezioni valide con o senza PDE5i nei
tre mesi immediatamente seguenti l’intervento perdono tale capacità a sei mesi
dall’intervento stesso [14] E’ quindi evidente che fattori post-operatori, quali edema e
infiammazione possono portare a fenomeni di degenerazione walleriana, a sua volta
causa di danno neuronale ritardato.
Le alterazioni del corpo cavernoso sono a loro volta determinate da due fattori
che hanno, come ultimo momento fisiopatologico comune, un aumento della
deposizione di collagene con ridotta distensibilità peniena e conseguente sviluppo di
una disfunzione veno- o corporo-occlusiva [11].
In particolare, l’assenza di erezione dopo l’intervento cuasa una ridotta
tensione parziale dell’ossigeno a livello penieno e ciò induce la soppressione della
produzione locale di PGE1 che, a sua volta, inibisce la produzione di fattori
profibrotici come TGFbeta-1 ed endotelina 1 dipendente dal TGFbeta-1. Tale quadro
determina quindi una progressiva sostituzione del tessuto “nobile” cavernoso con
collagene, come già dimostrato in modelli murini. [15]
Inoltre, il danno neuronale può causare alterazioni strutturali del corpo
cavernoso dovute alla abnorme secrezione di citokine pro-apoptotiche rilasciate
proprio dagli assoni dei nervi danneggiati.
Per quanto concernce il danno arterioso, va ricordato che le arterie pudende
accessorie sono vasi che originano sopra l’elevatore dell’ano e il cui decorso, in
prossimità della prostata, le mette a rischio di danno chirurgico. Inizialmente ritenute
11
sacrificabili, è stato successivamente dimostrato da Droupy e coll che le arterie
pudende accessorie sono funzionali [16]. A uno studio Doppler di tali arterie dopo
iniezione intracavernosa di prostaglandina o papaverina si assisteva a modificazioni
emodinamiche caratteristiche delle arterie cavernose. Pertanto, la attuale tendenza
chirurgica è di preservarle quando possibile.
L’ossigenazione cavernosa è un fattore imprescindibile che regola la corretta
funzionalità del sistema erettile. Normalmente, in stato di flaccidità la PO2 risulta di
circa 35-40 mmHg, pressione alla quale viene favorita la deposizione di collagene
soprattutto tramite la produzione locale di TGF-beta. Durante l’erezione, si assiste a
una fase di ossigenazione del corpo cavernoso, per cui la pressione parziale
dell’ossigeno sale a circa 100 mmHg. Questa pressione, al contrario, determina una
produzione di prostanoidi che contrastano la deposizione di collagene e quindi la
fibrosi [17] Dunque, in un soggetto normale, l’usuale alternanza di stato di flaccidità
e di erezione, anche durante la notte, consente di preservare il tessuto erettile. Lo stato
di flaccidità prolungata che caratterizza il periodo post-operatorio rappresenta quindi
un fattore di deterioramento della struttura del corpo cavernoso. Peraltro, l’impiego di
farmaci come gli inibitori delle 5PDE può consentire un miglioramento
nell’ossigenazione con riduzione significativa della produzione di fattori profibrotici
come l’endotelina 1 tipo B
Per quanto concerne la disfunzione venosa, è dato acquisito che una riduzione
di almeno il 40% del tessuto muscolare liscio all’interno del pene causa una perdita
venosa nella fase di tumescenza. [18] Mulhall ha dimostrato che più della metà dei
12
pazienti sviluppa una fuga venosa dopo la prostatectomia radicale, in maniera peraltro
tempo-dipendente. L’incidenza aumentava dal 10% a 4 mesi dall’operazione acirca il
50% dopo un anno. Peraltro, sempre secondo questo Autore, nei pazienti che
sviluppano una fuga venosa solo l’8% recupera la funzione sessuale, peraltro con una
risposta significativamente inferiore agli inibitori 5PDE [19].
Numerosi dati sperimentali su modelli animali hano dimostrato effetti positivi
di una regolare somministrazione di PDE5i, dopo danneggiamento dei nervi
cavernosi. Da questi studi sembra che tali farmaci siano in grado di proteggere diversi
tessuti coinvolti nel meccanismo dell’erezione.
Per esempio, è stato evidenziato come i 5PDEi siano efficaci nel prevenire la
fibrosi. Infatti, numerose esperienze dimostrano una ridotta quantità di fibre collagene
in animali trattati con tali farmaci. Ferrini e colleghi hanno suggerito che gli effetti di
Vardenafil possano essere mediati da un’aumento della NO sintetasi inducibile, sia
nella sua espressione che attività [20]. I ratti sottoposti a danno neuronale
presentavano un aumento di 3 volte dell’apoptosi delle cellule muscolari lisce, una
riduzione del 60% nel rapporto tra tessuto muscolare liscio e collagene, un aumento
di 2 volte nell’espressione di i NOS e lo sviluppo di una malattia corpo-occlusiva
rispetto ai ratti trattati con sham-operation. Quando veniva somministrato vardenafil
quotidianamente per 45 giorni agli animali che avevano subito una resezione
bilaterale si assisteva a un aumento di espressione di i NOS, una normalizzazione del
rapporto muscolo collagene, con conseguente prevenzione della malattia venoocclusiva. Il ruolo di iNOS sembra fondamentale, in quanto questo enzima sarebbe in
13
grado di produrre una quantità di NO sufficiente a garantire una riduzione nella
sintesi di collagene e una inibizione di TNF-beta1, con conseguente minor
deposizione di collagene.
Inoltre, i 5PDEi sembrano avere effetti di protezione sull’apoptosi. Alcuni dati
dimostrano come i miociti cardiaci murini esposti prima a ischemia e
successivamente a rivascolarizzazione presentano minore necrosi e apoptosi se
vengono trattati con sildenafil rispetto ai controlli non trattati [14]. Questi dati sono
stati confermati da Mulhall a livello penieno, dopo danno ai nervi cavernosi [21].
Infine, i 5PDEi hanno mostrato di avere anche un ruolo a livello della
preservazione delle cellule endoteliali. E’ infatti dimostrato che il rilasciamento
endotelio-dipendente di strisce di tessuto cavernoso prelevato da ratti con nervi intatti
viene notevolmente incrementato dopo trattamento di otto settimane con sildenafil
sottocutaneo.
Inoltre, lo stesso gruppo ha mostrato che la risposta erettile a
somminsitrazione acuta di sildenafil è maggiore nei ratti trattati cronicamente con lo
stesso sildenafil. La conclusione sembra essere che il trattamento a lungo termine con
sildenafil può apportare dei benefici a lungo termine e lunga durata probabilmente
tramite l’azione della NOS endoteliale. [22].
Peraltro, viene ipotizzato che il ruolo protettivo possa essere esercitato in un
ulteriore modo. Recentemente, è stato suggerito che il trattamento con 5PDEi possa
determinare una ricostruzione del patrimonio di cellule progenitrici di quelle
endoteliali. Potrebbe trattarsi di un effetto diretto a livello midollare, dove risulta
14
essere presente l’RNA messaggero della 5PDE. Inoltre, è stato dimostrato che una
mancanza di NOS endoteliale determina una scarsa ematopoiesi [23, 24].
Del tutto recentemente, sono state analizzate altre modalità di recupero della
funzione erettile dopo la prostatectomia radicale.
Una di queste è il vacuum device. In particolare, diversi centri si sono
concentrati su questo dispositivo allo scopo di prevenire l’accorciamento del pene
tipico della fase post-operatoria. Tuttavia, va puntualizzato che i valori di gas ematico
a livello penieno durante una erezione indotta da vacuum rimangono nel range del
sangue venoso misto, essendo la saturazione dell’ossigeno approssimativamente
dell’80%. Dunque, se si ritiene che l’ossigenazione cavernosa sia di cruciale
importanza in tale circostanza risulta difficile credere in un ruolo protettivo o
“riabilitativo” del vacuum [25]. In uno studio che ha coinvolto 28 uomini dopo PR
nervesparing, randomizzati a uso precoce del vacuum piuttosto che alla sola
osservazione, è stato evidenziato che il punteggio del Sexual Health Inventory for
Male risultava più elevato nel gruppo dei paziente trattati dopo 6 mesi. Inoltre, nel
gruppo di trattamento non si è osservata alcuna variazione statisticamente
significativa della lunghezza peniena, diversamente dal gruppo in osservazione, dove
si è potuta apprezzare una riduzione di 3 cm dopo 3 mesi [26].
Dunque, in base a tali promettenti risultati potrebbe essere utile avere a
disposizione dati da un trial di grandi dimensioni multicentrico per definire la
migliore strategia riabilitativa da impiegare.
15
Sempre recentemente, si è verificato un ritorno d' interesse sull’uso della
prostaglandina per via intrauretrale (MUSE), sia come trattamento della DE che come
tecnica riabilitativa. In particolare, tale sistema potrebbe ovviare al più frequente
motivo di sospensione della prostaglandina intracavernosa, rappresentato dal disagio
per l’iniezione e il dolore a essa correlato.
Nel 2010 è stato pubblicato il primo lavoro sul confronto tra sildenafil e
MUSE [27]. In questo trial prospettico randomizzato, multicentrico, open-label, due
gruppi di pazienti post-RP sono stati trattati con alprostadil intrauretrale serale oppure
sildenafil citrato 50 mg. Al termine dello studio, completato da 97 pazienti nel gruppo
MUSE e da 59 in quello sildenafil, dopo 9 mesi, l’effetto di recupero della funzione
erettile ottenuto con sildenafil è risultato paragonabile a quello dell’alprostadil
intrauretrale in un lasso di tempo di 1 anno dall’intervento misurato con il
questionario EDITS, come pure per le dimensioni del pene allo streching.
16
Fattori predittivi della funzione sessuale dopo la
prostatectomia radicale.
Un’ accurata selezione del paziente risulta fattore determinante per l’outcome
sessuale dopo la prostatectomia radicale. Per quanto concerne le caratteristiche della
malattia, si ritiene che pazienti con malattia clinicamente localizzata, come risulta
dall’esplorazione rettale e/o dalla ecografia transrettale, e pazienti con valori di
PSA<10ng/ml e Gleason score inferiore o uguale a 7, siano i migliori candidati per
una chirurgia di risparmio dei nervi [28].
L’età del paziente va considerata in quanto appare intuitivo che pazienti più
giovani arrivino all’intervento con una migliore funzione sessuale e comunque più
motivati al recupero della stessa. Anche l’età della partner appare rilevante, in quanto
esistono studi che mostrano come una differenza d’età superiore ai 20 anni sia
prognosticamente favorevole per il recupero [22].
Ovviamente, la funzione erettile preoperatoria rappresenta il fattore
maggiormente determinante in questo modello. Pazienti con DE o comunque che
17
riferiscono uso preoperatorio di PDE5i sono certamente a rischio per quanto riguarda
la ripresa funzionale. Tuttavia, l’aspetto più controverso a questo riguardo è il
momento ottimale di valutazione della funzione erettile nella fase preoperatoria, in
quanto molti di questi pazienti, immediatamente dopo la diagnosi di Carcinoma
Prostatico riducono sino a eliminarla la propria attività sessuale. Naturalmente, la
presenza di comorbilità cardiovascolari e/o metaboliche rappresenta un ulteriore
fattore di rischio aggiunto in questi pazienti [28].
Recentemente, il gruppo di Mulhall
ha affrontato un altro importante e
spinoso tema: il ruolo negativo della terapia ormonale neoadiuvante sulla ripresa della
funzione erettile post-operatoria [23]. Partendo dal dato ormai assodato in letteratura,
e cioè che la terapia ormonale neoadiuvante è in grado di migliorare gli esiti
patologici-chirurgici (es margini chirurgici positivi) ma non di intervenire in maniera
positiva sulla disease –free surivival oppure sulla sopravvivenza globale, gli Autori
hanno voluto indagare il peso di tale terapia sulle probabilità di ripresa funzionale. A
tale scopo, hanno effettuato uno studio retrospettivo di coorte analizzando i dati di
pazienti sottoposti e non a terapia ormonale, andando a valutare, tramite esame
ultrasonografico doppler dinamico del pene, l’incidenza di disfunzione venoocclusiva nei primi mesi dopo l’intervento di prostatectomia radicale.
I gruppi sono risultati omogenei tranne per il numero di interventi eseguiti con
tecnica non nerve sparing, che erano il 32% vs il 13% (ADT sì vs ADT no).
L’incidenza di disfunzione venosa nei pazienti trattati è risultata del 60% vs 20%, con
18
un OR all’analisi multivariata 12,8. In termini di recupero, solo il 25% dei pazienti
trattati aveva un IIEF>24 con l’ausilio di un 5PDEi.
Tra i meccanismi fisiopatologici possibili gli Autori si focalizzano su 4:
-
Assente effetto proliferativo e differenziante degli androgeni su cellule
endoteliali e fibrocellule muscolari, con conseguente disfunzione corporo
occlusiva
-
Ridotto effetto trofico a carico delle strutture nervose, peraltro già
sottoposte a danno durante l’intervento chirurgico
-
Ridotta numerosità e durata delle già rare erezioni spontanee postoperatorie
-
Ridotta libido, e quindi ridotta richiesta da parte del paziente d'impiego di
5PDEi on demand, con conseguente perdita di un possibile effetto
riabilitativo.
La conclusione degli Autori è che, date le premesse, tale tipo di trattamento andrebbe
definitivamente abbandonato, in considerazione anche dell’effetto negativo che si
esercita su una chirurgia nerve-sparing.
La componente operatoria strettamente tecnica è indubbiamente fattore
determinante della buona riuscita dell’outcome funzionale. La ricerca si è
recentemente attestata su alcune specifiche aree di interesse. In particolare, la
determinazione, al momento ancora non definitiva, del percorso delle diverse
strutture nervose coinvolte nell’erezione con il conseguente sviluppo di tecniche in
19
grado di preservarle nella misura maggiore possibile, il rispetto delle strutture
vascolari accessorie, come le arterie pudende accessorie (che sembrerebbero
responsabili dell’irrorazione cavernosa in circa il 50 % dei pazienti in cui sono
presenti), l’expertise specifica del chirurgo, considerando tuttavia che probabilmente
questa non può essere banalmente misurata sono con il volume chirurgico.
Altro interrogativo di grande interesse scientifico e terapeutico è individuare
quale potrebbe essere il candidato ideale per una riabilitazione della funzione erettile.
In un recente ed elgante lavoro, Briganti et al hanno analizzato retrospettivamente il
proprio database di pazienti sottoposti a prostatectomia radicale nervesparing
bilaterale sec Montorsi per valutare se l’effetto della terapia con 5PDEi varia in base
alle caratteristiche del paziente [24].
I soggetti sono stati stratificati in tre gruppi di rischio, utilizzando il criterio
dell’età, dell’IIEF preoperatorio e del Charlson Comorbidity Index. Dei 435 pazienti
analizzati, il 65,6% ha deciso di intraprendere una terapia con 5PDEi, al bisogno
oppure in terapia quotidiana, rispettivamente il 60,7% e il 39,7%. I gruppi (no terapia,
on demand e quotidiano) risultavano pienamente paragonabili in quanto a
caratteristiche generali e patologiche.
Dopo un follow-up mediano di 23,2 mesi, il 46,7% dell’intera coorte ha
recuperato la funzione erettile, intesa come IIEF>= 22. Tuttavia, l’impiego in
qualsiasi regime terapeutico degli inibitori 5PDE influiva pesantemente, in quanto in
questi pazienti il recupero si è verificato nel 72% vs 38%.
20
Il dato più interessante, tuttavia, deriva dalla sub analisi del tipo di terapia.
Come già pubblicato dallo stesso gruppo con un trial su Vardenafil, la terapia
quotidiana non si distacca significativamente da quella al bisogno, pur dimostrando
una tendenza di superiorità costante [29]. Tuttavia, nel gruppo dei pazienti a
rischio”intermedio” la terapia quotidiano si dimostra superiore. A giudizio degli
Autori, tale popolazione sarebbe target “ideale” di una riabilitazione, in quanto
presenterebbe una condizione di compromissione parziale (e quindi recuperabile) del
tessuto cavernoso, differentemente dai pazienti ad alto rischio, che potrebbero essere
al più solo supportati.
21
Riabilitazione della funzione erettile dopo PR:
mito o realtà?
Il concetto di riabilitazione della funzione erettile dopo la prostatectomia
radicale è uno dei più controversi nell’attuale panorama della ricerca Urologica.
In particolare, nonostante l’introduzione e la diffusa applicazione della
tecnica nerve-sparing per la prostatectomia radicale introdotta da Walsh e le continue
e successive modifiche, garantire al paziente una soddisfacente funzione erettile nel
post-operatorio rimane a tutt’oggi una sfida. E’ questa, tuttavia, una sfida di grande
importanza per il paziente che, superato il momento critico dell’intervento, vive le
implicazioni funzionali dell’intervento in modo talora drammatico.
Un’ importante messe di dati di tipo sia sperimentale, in particolare
sull’animale da laboratorio, che di tipo clinico è attualmente disponibile in letteratura.
Tuttavia, nel mondo scientifico persiste un certo grado di scetticismo riguardo alla
22
possibilità di poter garantire al paziente una vita sessuale soddisfacente; inoltre, un
discreto disaccordo esiste sulla definizione stessa di un concetto di riabilitazione della
funzione erettile, in quanto, come molti autori affermano, spesso l’unico risultato
ottenibile è un supporto farmacologico soddisfacente .
Ciò che sembrerebbe non in discussione è l’evidenza sperimentale che il
danno determinato dall’intervento chirurgico è in grado di modificare la struttura e,
conseguentemente, la funzione peniena. Nel determinismo di tale danno potrebbero
avere un ruolo preponderante il danno neuronale, le modificazioni a carico dei corpi
cavernosi, sia nella componente endoteliale che in quella muscolare, le problematiche
vascolari, intese sia come deficiente apporto arterioso sia come fuga veno (corporo)
occlusiva, e infine alterazioni cellulari specifiche.
In
particolare,
due
evidenze
dimostrano
il
ruolo
incontrovertibile
dell’intervento sullo sviluppo del danno endoteliale e muscolare a carico dei corpi
cavernosi. Iacono et al, nel 2005, dimostrarono che, studiando biopsie dei corpi
cavernosi umani eseguite prima e dopo 2 e 12 mesi dalla prostatectomia radicale, si
verificano delle progressive alterazioni strutturali, caratterizzate in primo luogo da
riduzione delle cellule muscolari lisce e delle fibre elastiche, con un aumento delle
fibre collagene [30]. Tale quadro risultava, peraltro, progressivo, quando veniva
esaminato a 12 mesi dall’intervento. Inoltre, Katz et al hanno evidenziato come, in
alcuni casi, una risposta erettile efficiente nel periodo immediatamente postoperatorio possa deteriorarsi già a 6 mesi dall’intervento, a conferma della tendenza
evolutiva del danno cavernoso [14].
23
Si evince, dunque, che il razionale di una “riabilitazione” è insito nel tentativo
di prevenire questo danno progressivo, intervenendo sui molteplici e complessi
meccanismi cellulari alla base delle alterazioni istologiche succitate.
Un ruolo di primo piano in quest’ottica sembrerebbe quello degli inibitori
delle 5PDE. E’ ormai assodato che in numerosi modelli animali questi farmaci hanno
consentito, in particolare nella somministrazione cronica, di prevenire e rallentare la
fibrosi, ridurre la deposizione di collagene e proteggere le cellule endoteliali dal
danno e dell’apoptosi. Peraltro, negli studi di Mulhall emerge come il fattore tempo
sia determinante, in quanto l’effetto protettivo sembrerebbe maggiore in caso di inizio
della terapia prima del danno neurologico, avanzando la suggestiva ipotesi che
potrebbe esserci un beneficio nell’iniziare l’assunzione del farmaco prima
dell’intervento chirurgico [31].
Sul versante clinico, già nel 1997, Montorsi e il suo gruppo avevano
dimostrato che, su una popolazione di 30 pazienti operati, la somministrazione per 3
volte a settimana per 12 settimane di prostaglandina E1 aveva consentito il ritorno di
erezioni spontanee sufficienti per un rapporto nel 67% dei pazienti, verso il 20% dei
pazienti nel gruppo di controllo [32]. Anche Padma Natan, utilizzando Sildenafil
contro placebo, aveva evidenziato una maggior percentuale di pazienti che erano
ritornati a una funzione erettile simile alla baseline nel gruppo di trattamento /27% vs.
4% nel placebo) [26]. Inoltre, l’aspetto temporale sembrerebbe cruciale. In uno studio
con Sildenafil, Mulhall ha dimostrato una differenza statisticamente significativa in
24
termini di IIEF tra i pazienti che venivano trattati a partire dai primi 6 mesi e quelli
trattati dopo i 6 mesi dall’intervento di prostatectomia radicale [33].
Tuttavia, numerosi Autori non condividono l’entusiasmo per questi risultati,
mettendo in discussione le basi stesse di un concetto di riabilitazione della funzione
erettile. Secondo quanto affermato da tali Autori, infatti, il concetto di riabilitazione
dovrebbe riguardare il recupero di una funzione erettile spontanea e non andrebbe per
questo confuso con il trattamento della DE dopo la prostatectomia radicale.
Il medesimo studio di Montorsi, infatti, appare gravato da alcune debolezze
metodologiche, tra cui il ristretto numero di pazienti trattati, la non disponibilità delle
informazioni relative alla funzione erettile pre-operatoria, la mancanza di un
questionario validato per determinare la funzione erettile da un punto di vista
quantitativo e, soprattutto, la mancanza di un gruppo placebo [32]. Dunque, l’entità
dei relativi risultati verrebbe inficiata pesantemente. Peraltro, in un altro studio di
Raina riguardante le iniezioni intracavernose, solo l’1% dei pazienti aveva
abbandonato il protocollo per insorgenza di iniezioni spontanee dimostrando quindi,
ancora una volta, l’efficacia di questo trattamento come terapia della disfunzione
erettile e non certo per una presunta riabilitazione [34] . Anche le evidenze sugli
inibitori delle fosfodiesterasi 5 presentano delle limitazioni metodologiche, in quanto
molti studi sono non randomizzati, non hanno gruppo placebo, oppure presentano una
ridotta numerosità campionaria. Inoltre, nella maggior parte degli studi disponibili in
letteratura, gli endpoint previsti sono in ottica di una attività terapeutica del
trattamento farmacologico e non riabilitativa.
25
Dal
punto
di
vista
metodologico,
uno
degli
studi
più
solidi
metodologicamente è stato pubblicato da Montorsi nel 2008 [29]. In questo lavoro,
dal disegno più volte criticato per la sua eccessiva complessità, gli Autori hanno
comparato l’attività di Vardenafil on demand, Vardenafil somministrato tutti i giorni
a sera e placebo. Questo studio, pur mettendo in evidenza il ruolo terapeutico di
Vardenafil on demand, ha fallito nel dimostrare un superiorità dell’approccio cronico
in termini riabilitativi, sottolineando, come fanno gli Autori, che probabilmente in
questi pazienti un paradigma di dosaggio on demand può essere di maggior beneficio.
In conclusione, appare evidente che dal punto di vista fisiopatologico e clinico
sono disponibili numerose opzioni terapeutiche per questa popolazione di pazienti,
ma i dati su una possibile riabilitazione sono al momento scarsi e controversi.
26
Riabilitazione della funzione erettile con
alprostadil intracavernoso dopo prostatectomia
radicale:
rifiuto e drop-out
Introduzione.
La prostatectomia radicale rappresenta, secondo le linee guida EAU , un’ opzione
terapeutica per uomini affetti da carcinoma prostatico localizzato e una aspettativa di
vita di almeno dieci anni . Insieme all’ incontinenza urinaria, la disfunzione erettile
rappresenta la principale conseguenza dell’intervento in grado di modificare in senso
negativo la qualità di vita del paziente sottoposto a prostatectomia radicale.
27
Dopo l’introduzione della tecnica nerve-sparing di Walsh, sono progressivamente
divenuti più popolari approcci meno invasivi, quali la prostatectomia radicale
laparoscopica e quella robotica. Tuttavia, anche queste tecniche devono fronteggiare
le medesime problematiche dell’intervento open, e la preservazione della potenza
sessuale rimane una sfida, con risultati ancora non chiari [32, 34].
A partire dalla pioneristica esperienza di Montorsi e coll, si è progressivamente
affermato il ruolo della somministrazione precoce di farmaci erettili in grado di
promuovere la ripresa dell’erezione in pazienti sottoposti a chirurgia nerve-sparing o
a permettere una attività sessuale soddisfacente negli altri pazienti [32].
Tuttavia, tali terapie non sono scevre da limiti che inducono i pazienti ad
abbandonarle; inoltre, in una variabile percentuale dei casi che si aggira intorno al 50
%, i pazienti decidono liberamente di non intraprendere un programma di
riabilitazione [35].
Abbiamo voluto quindi studiare il comportamento dei pazienti sottoposti a chirurgia
radicale della prostata nei confronti di un programma di riabilitazione della funzione
erettile con prostaglandina E1 (Alprostadil), per valutarne le motivazioni del rifiuto e
dell’abbandono precoce di tali terapie.
28
Materiali e Metodi.
Sono stati considerati tutti i pazienti sottoposti a prostatectomia radicale retropubica
“open” sia nerve-sparing che non nerve-sparing presso la Clinica Urologica
dell’Università Politecnica delle Marche dal primo Gennaio 2008 al 31 Dicembre
2010.
All'atto del ricovero in Clinica, il giorno precedente l'intervento chirurgico, dopo aver
raccolto il consenso informato all'intervento, viene compilata l'anamnesi fisiologica e
patologica con l'aggiunta di una somministrazione della versione abbreviata di IIEF
[36] per la funzione erettile e di una breve intervista semistrutturata (Fig.1, al fine di
ottenere informazioni sulle abitudini e la attività sessuale.
Presso il nostro centro, tutti i pazienti sottoposti a prostatectomia radicale, sia nervesparing che non, accedono a un protocollo di supporto della funzione erettile con
alprostadil.
A distanza di 4 settimane circa dalla rimozione del catetere vescicale, tutti i pazienti
sono sottoposti a counseling Andrologico, durante il quale viene condotta una
29
anamnesi mirata alla valutazione delle abitudini sessuali della coppia e alle
aspettative riguardo alla ripresa dell’attività sessuale. In tale occasione sono fornite
informazioni circa la necessità di una riabilitazione della funzione erettile con
Alprostadil (Caverject ® Pfizer Inc) e le sue modalità. In particolare, il paziente
riceve informazioni circa l’impiego del farmaco e le possibili complicanze, compresa
le eventualità di priapismo ischemico. Nel caso di accettazione del protocollo, i
pazienti vengono visitati settimanalmente in ambulatorio al fine di insegnare loro la
tecnica di autoiniezione e di individuare la giusta dose del farmaco, in base alla
risposta in termini di erezione che si verifica entro 5-20 minuti. La somministrazione
comincia con una dose starter di 2-3 mcg e il paziente viene invitato nella successiva
seduta a riportare gli esiti in modo da perfezionare il dosaggio del farmaco.
Nella stessa seduta viene anche registrata l’eventuale comparsa di dolore.
Al
termine di tale periodo di induzione, quando la iniezione viene praticata in maniera
accurata da parte del paziente o della partner, vengono effettuati dei controlli a 3
mesi e poi ogni 6 mesi, in occasione dei quali vengono sottoposti al paziente il
questionario
IIEF e valutate le istanze del paziente e della coppia tramite
questionario specifico.
I soggetti vengono poi rivalutati presso lo stesso ambulatorio trimestralmente. Al
termine di tale fase, viene prescritta una terapia orale aggiuntiva con iPDE5.
Sono stati valutati: l’età, l’IIEF5 pre-operatorio, la eventuale terapia adiuvante, le
motivazioni che hanno indotto a non intraprendere o a sospendere la terapia
riabilitativa entro sei mesi dall’inizio del programma.
30
End point primario è stato considerato il tasso di accettazione e di sospensione della
terapia entro sei mesi, end point secondario le motivazioni di rifiuto e di drop-out
dalla terapia stessa.
I dati sono stati analizzati con test t di Student o test del chi-quadro quando
appropriato. I risultati vengono espressi in temini di medie e deviazioni standard. La
significatività statistica è stata considerata per p<0,005.
Risultati.
Sono risultati valutabili 430 pazienti L’età media dei pazienti è risultata 64,59 anni
(± 6,5). Tutti i pazienti hanno riferito di aver avuto una vita sessualmente attiva nei
sei mesi precedenti l’intervento e il 66,7% presentava un IIEF5 maggiore o uguale a
20 (Fig.3).
Un totale di 273 pazienti (63,5%) ha aderito al programma di riabilitazione proposto,
mentre 157 (36,5%) lo hanno rifiutato (Tab. 1). In nessun caso abbiamo assistito a
ripensamenti di pazienti che inizialmente avevano rifiutato.
In questo ultimo subset di pazienti, le motivazioni del rifiuto sono risultate in 81
(51,6%) la perdita di interesse per l’attività sessuale, mentre in 46 (30,2%) la perdita
di interesse sessuale da parte della partner è risultata determinante (Tab.2). E’ da
notare che questi pazienti erano significativamente più anziani e presentavano valori
medi di IIEF5 più bassi, con un punteggio inferiore a 20 nel 53,5% dei casi. Inoltre,
in 42 casi, il paziente ha rifiutato di intraprendere il programma a causa della
31
presenza di incontinenza urinaria. Il tasso complessivo di incontinenza urinaria
transitoria è risultato essere del 26,7%. D’altro canto, la necessità di terapia adiuvante
(ormonoterapia e/o radioterapia) risultava incidere in maniera statisticamente
significativa sulla decisione di intraprendere la riabilitazione; infatti i pazienti che
rientravano in questo gruppo presentavano una probabilità maggiore di 4 volte di
rifiutare o sospendere il protocollo.
Tra i pazienti che si sono sottoposti al programma , nel 77,6 % (212) il punteggio
IIEF5 era maggiore o uguale a 20. Si sono verificati 51 casi (18,6%) di abbandono
della terapia nei primi 6 mesi, la cui principale motivazione era costituita da
inefficacia o effetto al di sotto delle aspettative nonostante i tentativi di adeguamento
della dose di PGE1, mentre la seconda causa per frequenza era ascrivibile al dolore.
La difficoltà nel praticare l’iniezione, spesso correlata all’habitus del paziente o alla
paura degli aghi, da parte del soggetto o della partner, e la perdita di spontaneità
dell’atto sessuale sono risultati responsabili in un numero limitato di casi. Dato
interessante, in nessun caso abbiamo assistito ad abbandono per eccessivo costo del
farmaco.
I dati numerici sono presentati in Tab 3.
Discussione
32
Attualmente, le possibilità di sopravvivenza a lungo termine per un soggetto affetto
da carcinoma prostatico e sottoposto a una terapia primaria sono relativamente
elevate a lungo termine. In questo contesto, i tentativi per il miglioramento della
qualità di vita, con particolare riferimento alla qualità della vita sessuale risultano di
grande importanza. La maggior parte degli studi sinora pubblicati si sono prefissi
come scopo quello di analizzare l’efficacia di vari protocolli e farmaci nel supportare
e ripristinare la funzione erettile dopo l’intervento di prostatectomia radicale,
raramente focalizzandosi sugli effettivi pattern di utilizzo.
Il nostro protocollo riabilitativo/di supporto dopo la prostatectomia radicale, proposto
alla totalità dei pazienti sottoposti a tale intervento chirurgico, prevede l’impiego
quasi esclusivo, nella sua prima fase, di Alprostadil per via intracavernosa. Tale
scelta, in apparente contradizione con i risultati attualmente disponibili in letteratura,
trova a nostro avviso un razionale nell’elevata efficacia pressoché immediata in
termini di risposta erettile e soprattutto di rigidità peniena, fattore più volte
considerato cruciale nel determinare il grado di soddisfazione [37, 38]. Anche dopo la
prostatectomia radicale nerve-sparing, infatti, la neuroaprassia determina un periodo
di durata variabile sino anche a 24 mesi di insufficienza funzionale delle fibre nervose
deputate all’erezione, limitando quindi l’efficacia degli inibitori delle 5-PDE [39, 40].
I risultati del nostro studio evidenziano come il grado di soddisfazione dell’attività
sessuale dopo prostatectomia radicale risulti dalla commistione di numerosi fattori
quali la qualità dell’erezione pre-operatoria, il grado di controllo della patologia
33
neoplastica e quindi la necessità di terapia adiuvante, il grado interesse del paziente e
anche della partner e l’eventuale presenza di incontinenza urinaria.
Tuttavia, anche in pazienti con funzione erettile pre-operatoria non brillante, abbiamo
verificato uno spiccato interesse per una terapia riabilitativa. Tale osservazione è
anche corroborata da valori preoperatori di IIEF5 sostanzialmente sovrapponibili tra
il gruppo che aveva accettato il protocollo e quello che lo aveva rifiutato,
evidenziando in questo modo come la funzione erettile preoperatoria non rappresenti
un fattore determinante nella richiesta di aiuto per la disfunzione erettile postoperatoria. Peraltro, in una significativa percentuale di casi, l’impiego della terapia
intracavernosa praticata con regolarità, non correla con il numero di tentativi di
rapporto (dati non mostrati). Nell’assoluta maggioranza dei casi, questi pazienti non
avevano mai ricercato in precedenza un aiuto medico per la disfunzione erettile.
Probabilmente l’offerta di un programma riabilitativo stimola costoro a una richiesta
di aiuto. Tuttavia, in questi casi, emerge una problematica significativa relativamente
all’aspettativa di questi soggetti, peraltro spesso sottoposti a chirurgia non nervesparing. Nella nostra casistica, infatti, la maggiorparte degli abbandoni si è verificata
proprio per aspettative disattese, che possono essere principalmente imputate a una
insufficiente rigidità.
I nostri dati evidenziano anche il ruolo della partner, dato che nella presente casistica
nel 30% circa dei casi la mancanza di interesse per l’attività sessuale della partner è
risultata determinante. Tale dato, in apparenza sorprendente, rappresenta un
importante elemento di cui tener conto nella gestione di una nuova entità che non è
34
più rappresentata dal singolo paziente sottoposto a prostatectomia radicale, ma dalla
coppia nella sua complessità. Infatti, in una recente indagine che ha coinvolto pazienti
sottoposti a varie tipologie di trattamento per adenocarcinoma prostatico, nel subset
di pazienti che avevano ricevuto una prostatectomia radicale il problema sessuale
veniva definito come di entità moderata o grave in circa il 50% dei pazienti, con
percentuali simili per quanto riguardava la partner, che definiva il problema come
grave in circa il 21% dei casi [41]. Inoltre, per la partner l’aspetto sessuale
rappresentava il dominio della quality of life di maggior importanza.
In modo simile a un altro studio relativo all’impiego di un trattamento orale per la
disfunzione erettile dopo prostatectomia radicale nerve-sparing, non abbiamo avuto
alcun caso di drop-out imputabile al fattore costo del farmaco [35]. In particolare,
questo dato riveste un particolare interesse in quanto, nella nostra Regione (Marche) i
presidi per la disfunzione erettile dopo prostatectomia radicale non sono rimborsati
dal Servizio Sanitario Regionale, a differenza di altre Regioni dove questo sta
avvenendo. Pur non avendo analizzato in dettaglio la condizione economica di
ciascun paziente, possiamo senza dubbio affermare che questo sia un fattore
ininfluente sulla scelta di intraprendere un trattamento farmacologico dopo la PR, a
rimarcare la profonda motivazione che spinge i pazienti in queste circostanze.
Le implicazioni della necessità del trattamento adiuvante devono essere ancora ben
chiarite. Nella nostra casistica l’indicazione a eseguire RT adiuvante ha in qualche
modo scoraggiato il paziente dall’intraprendere il protocollo, probabilmente per la
percezione di una maggiore gravità della malattia. In base alla casistica qui presentata
35
non è possibile esprimere giudizi sugli eventuali effetti additivi in termini di
riduzione della capacità erettile in soggetti sottoposti a radioterapia e ormonoterapia.
Tuttavia questo aspetto è attualmente oggetto di studio presso il nostro centro. E’
comunque evidente che la terapia ormonale modifichi in senso negativo la qualità di
vita, determinando peggioramento della funzione erettile e riduzione dell’interesse
sessuale. rappresenti un fattore potenzialmente negativo sulla funzione sessuale del
paziente. Nell’analisi dei dati provenienti dallo studio Prostate Cancer Outcomes
Study (PCOS) emerge infatti come il 51% dei pazienti con un qualche grado di
interesse sessuale prima del trattamento riportava dopo il trattamento una totale
assenza di desiderio sessuale, mentre il 69% dei pazienti, precedentemente dotati di
un’erezione normale, presentava una disfuzione erettile [42].
Tra le varie motivazioni che hanno spinto i pazienti ad abbandonare il protocollo,
assume un ruolo preponderante il dolore penieno. La causa di tale fenomeno non è al
momento ben chiara, ma è noto che il dolore si presenta con particolare frequenza e
severità dopo prostatectomia radicale, a rimarcare un ruolo putativo del danno
nervoso nella generazione dello stimolo nocicettivo [43, 44]. La prevalenza del dolore
nella popolazione oggetto del nostro studio è significativamente più alta rispetto a
quanti hanno abbandonato per effettiva intolleranza al dolore stesso, a indicare che in
molti casi la sintomatologia tende a recedere con il proseguire delle iniezioni
periodiche. Inoltre, abbiamo notato come la temperatura del farmaco (conservato in
frigorifero e poi portato a temperatura ambiente) sia un determinante importante
36
nell’insorgenza del dolore. Non abbiamo inoltre osservato significative correlazioni
con il dosaggio del farmaco, in quanto tutti i casi di dolore intenso si sono verificati
sin dalla prima iniezione , che viene effettuata a dosaggi molto bassi.
Le percentuali di successo in termini di erezione e soddisfazione sessuale nella nostra
casistica sono piuttosto elevate (75% dei pazienti riportano di aver ripreso l'attività
sessuale, 60% riferiscono di avere rapporti soddisfacenti). In una casistica di
prostatectomia radicali non nerve-sparing, Gontero et al hanno riportato una efficacia
del 70% nei pazienti sottoposti a riabilitazione precoce [44]. I nostri dati potrebbero
risentire favorevolmente del counseling proposto ai pazienti, nel quale si è posta cura
nell’istruire correttamente il paziente e la coppia e nel rassicurarli nella eventualità di
insuccessi, specie ai dosaggi più bassi.
Il nostro studio non tiene conto di una stratificazione dei pazienti secondo la tecnica
chirurgica utilizzata, nerve sparing vs non nerve sparing. Il nostro obiettivo era infatti
evidenziare le caratteristiche di un programma di riabilitazione che viene proposto
indistintamente a tutti pazienti sottoposti a prostatectomia radicale.
Conclusione
La maggioranza dei pazienti sottoposti a intervento di prostatectomia radicale ricerca
un aiuto per la ripresa quanto più precoce dell’attività sessuale. Abbiamo tuttavia
evidenziato come guidare il paziente lungo questo percorso sia piuttosto impegnativo
37
e frustrante in quanto in quasi il 20% dei casi il programma riabilitativo viene
abbandonato. Riteniamo che l’impiego iniziale dei farmaci iniettivi e un attento
tutoraggio siano necessari per motivare il paziente verso la ripresa dell’attività erettile
dopo un evento traumatico quale la prostatectomia radicale. Nella gestione della
problematica sessuale, inoltre, riteniamo debba essere introdotto un cambio di
prospettiva che metta la centro non solo il paziente ma la coppia come attore unico e
complesso.
38
Tabelle e Figure.
Tab.1 Accetazione e rifiuto del protocollo. Parametri clinici.
Parameters
Rehabilitation
No rehabilitation
P
Age (years)
63.98
66.97
<0.001
IIEF-5 score ≥20
76.1 %
23.9 %
0.003
Adjuvant medication
20.9 %
79.1 %
0.012
Tab. 2 Ragioni per il rifiuto del programma.
39
Accept
273 patients (63.5%)
Refuse
157 patients (36.5%)
Refusal due to
Lack of sexual interest
81 (51.6%)
Lack of sexual interest by the partner
46 (30.2%)
Urinary incontinence (transitory)
42 (26.7%)
Tab. 3. Ragioni del dropout
Dropouts
Lack
51 patients (18.6%)
of/disappointment
treatment efficacy
with
33 (64.7%)
23 (45%)
Injection pain
40
Problems
with
the
injection
18 (35,2%)
(difficulty/fear)
Fig.1 Questionario preoperatorio.
1- Are you interested in undertaking a penile rehabilitation programme after the
operation?
Yes
No
If you are not interested, what is/are the reasons among those listed below?
2- I’m not interested in intercourse
3- My partner is not interested in intercourse
4- I think my urinary incontinence could affect sexual activity
41
Fig. 2 Questionario somministrato ai soggetti drop out.
Reasons for dropout. Please tick any of the following that apply.
1- Lack of/disappointment with the effects
2- Injection pain
3- Problems with the injection (difficulty/fear)
4- Cost of the drug
Fig.1 Valori di IIEF-5 preoperatori.
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