Era una bella domenica mattina, nel tempo e con il
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Era una bella domenica mattina, nel tempo e con il
Era una bella domenica mattina, nel tempo e con il clima della mezza estate del milleottocentoquarantaquattro, mio buon amico, quando... non vi allarmate: non quando si sarebbe potuti osservare due viaggiatori percorrere lentamente il loro cammino sul pittoresco ed accidentato terreno sul quale incomincia di solito il primo capitolo di un romanzo medioevale; ma quando... una carrozza inglese da viaggio, di considerevoli proporzioni, appena uscita dagli ombrosi locali del Pantechnicon vicino Belgrave Square, Londra, fu vista (da un soldato francese molto piccolo; perché notai che la guardava) uscire dal portone dell’hotel Meurice, nella Rue Rivoli, a Parigi. Io non sono tenuto a spiegare perché la famiglia inglese che viaggiava in quella carrozza, chi dentro e chi fuori, partisse per l’Italia, di tutti i buoni giorni della settimana, proprio di domenica mattina; non più di quanto sia tenuto ad indicare la ragione per cui tutti gli uomini piccoli di Francia sono soldati, e tutti gli uomini grossi postiglioni: che è una regola immutabile. Ma non 7 IMPRESSIONI ITALIANE PASSAPORTO DEL LETTORE ho dubbi che questa famiglia aveva una qualche ragione per fare quello che faceva; e la ragione per cui essa si trovava là, era, come sapete, che andava a vivere nella bella Genova per un anno; e che il capo della famiglia si proponeva, in quel periodo di tempo, di gironzolare dovunque lo portasse il suo spirito vagabondo. E sarebbe stato ben magro conforto per me lo spiegare a tutta la popolazione di Parigi che il Capo e il Principale ero “io”; e non quella radiosa personificazione del buon umore che sedeva presso di me, nella persona di un corriere francese – il migliore dei servi, il più raggiante degli uomini! A dir la verità egli aveva di gran lunga un aspetto più patriarcale di me che, nell’ombra della sua figura maestosa, divenivo un essere trascurabile. Cosí iniziano le “Italian Pictures”, titolo originale del libro che avete appena iniziato a leggere. Sappiamo dal suo epistolario che il nome del corriere era Roche e che una buona metà degli abitanti della carrozza Dickens li chiamava affettuosamente “i porcelli”; ma... andiamo con ordine. Quando, nel giugno del 1844, Charles Dickens inizia il suo viaggio in Italia, aveva solamente trentadue anni: ma già da sette era entrato a vele spiegate nel novero degli scrittori importanti dell’epoca vittoriana. In quel breve giro di anni egli aveva consolidato la sua fama di scrittore – consacrata dalla pubblicazione dei Pickwick Papers – con l’Oliver Twist, col Nicholas Nickleby, con l’Old Curiosity Shop e col Barnaby Rudge, usciti tutti in rapida ed ininterrotta successione. Era quindi allo stesso tempo celebre e giovanissimo. Il fenomeno è raro se vogliamo prendere per vero quello che dice Maurois proprio nel saggio a Dickens dedicato: “Quello che occorre per fare un grande romanziere è, anzitutto, una conoscenza larga e profonda di uomini e di sentimenti. Certo, tutti i giovani intelligenti e sensibili possono scrivere un buon romanzo, che rappresenti la loro autobiografia sentimentale; ma fatto ciò, spesso non hanno più niente da dire. Alcuni si salvano per la varietà del tono, della forma e scrivono, sotto il nome di romanzi, deliziosi poemi in prosa; ma il romanzo vero ha bisogno di essere nutrito di esperienza; è per questo fatto che i romanzieri giovani sono altrettanto rari dei poeti lirici vecchi; è per questo che quasi tutti i grandi romanzi dell’umanità sono stati scritti dopo i quarat’anni”. Ma se ci soffermiamo un momento a considerare con quale corredo il giovanotto entra nella vita letteraria, scopriamo che egli vi giunge 8 9 *** IMPRESSIONI ITALIANE PASSAPORTO DEL LETTORE splendidamente fornito, perché ha potuto, nella sua adolescenza, conoscere la vita sotto i più vari aspetti. La vita aveva creato in questo giovane di vent’anni una sensibilità al tempo stesso squisita e comune, combinazione tanto rara quanto necessaria perché possa esistere uno scrittore eccellente e popolare al tempo stesso. Ma torniamo agli antefatti del nostro viaggio: nel 1842 aveva pubblicato le American Notes, frutto del suo primo viaggio negli Stati Uniti. A queste aveva fatto seguire il Martin Chuzzlewit, pure suggeritogli dai ricordi del suo viaggio in America. Mentre era ancora intento a scrivere quest’ultima opera, però, si risolse a lasciare per qualche tempo l’Inghilterra e a venire a stabilirsi in Italia. Un po’ per ragioni d’economia, un po’ per trovare nuovi argomenti da trattare; ma la decisione non scaturiva soltanto dal bisogno di vivere meno dispendiosamente – Dickens era assillato da continue richieste di denaro da parte del suo entourage e specialmente dal padre – o di fare incetta di spunti ed arricchimenti. Aveva un altro intento, per lui assai più importante. Intento che, come vedremo, dichiarerà esplicitamente nella prefazione delle Italian Pictures. Dickens, malgrado l’impressione di forza che emanava dalla sua persona, era un essere nervoso che riusciva a lavo- rare soltanto in un’atmosfera di simpatia e di affetto universale. Ora, le American Notes gli avevano attirato molto astio negli Stati Uniti e le vendite del Martin Chuzzlewit erano particolarmente deludenti. Doveva, quindi, ad ogni costo riconquistare la popolarità. D’altronde i costumi americani lo avevano urtato. Là, come in Inghilterra, il riformatore che era in lui aveva notato più di un’ingiustizia: la schiavitù lo aveva indignato e aveva creduto suo dovere protestare; ma l’aveva fatto con generosità maggiore della competenza e gliel’avevano fatto capire severamente. I giornali uscirono con titoli a piena pagina: “Charles Dickens is a fool and a liar”. Inoltre il Martin Chuzzlewit era un libro sull’ipocrisia. Forse quell’attacco contro un comportamento allora cosí comune aveva urtato i suoi lettori; forse l’intreccio, troppo complicato, era riuscito noioso; sta di fatto che la tiratura del libro, che doveva essere venduto a dispense mensili, come i precedenti, discese subito dalle sue abituali 70.000 copie a 20.000. Non lo sopportava e non poteva permetterselo. Dickens viveva ormai dispendiosamente: il numero dei figli era aumentato 1 e gli occorreva molto denaro. Quando 10 11 1 ERANO GIÀ QUATTRO E DIVENTERANNO DIECI ENTRO IL MASCHI E TRE FEMMINE. 1852. SETTE IMPRESSIONI ITALIANE PASSAPORTO DEL LETTORE anche l’espediente, tentato verso il quinto numero, di inviare Martin in America per risvegliare l’interesse dei lettori si rivelò inutile, capí che doveva prendere la decisione di interrompere la produzione di romanzi per un anno o due, per dar modo al corpo e alla mente di riposarsi ed alla sua immagine presso il pubblico di rigenerarsi. Come era sua abitudine, Dickens si mosse in modo fulmineo, mobilitando tutte le sue conoscenze. Comincia nel marzo del 1844 a chiedere in giro. Scrive a Alfred Guillaume Gabriel, conte D’Orsay e gli chiede che cosa ne pensa di Nizza, come base per le sue escursioni. Questi gli consiglia Pisa dissuadendolo dallo scegliere “l’odiosa Nizza”. Lo stesso fa, negli stessi giorni, Lady Blessington alla quale aveva chiesto lo stesso consiglio con una lettera datata 10 marzo 1844: “Ho deciso di vedere il mondo e ho intenzione di levare il campo, armi e bagagli, la prossima estate, per un annetto (...) Mi sono messo in testa che Nizza potrebbe essere il posto giusto come quartiere base. Voi avete una tale dimestichezza con questi problemi che (...) sarò deliziato di raggiungervi e farmi guidare dalla Vostra opinione”. Marguerite Power che, dopo un primo sfortunato matrimonio, aveva sposato il conte di Blessington, aveva vissuto sul continente sino alla morte di lui, avvenuta nel 1829. Si era poi ritirata a Gore Hause che da quattordici anni era il luogo d’incontro di molti dei letterati e delle letterate del momento. I frutti di queste esperienze all’estero erano stati due libri: The Idler in Italy e The Idler in France, libri che avevano avuto molto successo. Dickens fa tesoro dei consigli e si rivolge ad Angus Fletcher, uno scultore suo amico, ormai da anni residente in Italia – che in quel periodo si trovava a Carrara – perché lo aiuti a trovare qualcosa: “E il beneficio di un tuo consiglio, nell’accamparci, sarebbe graditissimo. Naturalmente non intendo risiedere in un hotel, ma in un appartamento privato”. La lettera è del 24 marzo e la sua lettera ci fornisce interessanti ragguagli anche sul brano con cui inizia il nostro testo: “Ecco una lista della Carovana: 1. L’inimitabile Boz. (Vedremo tra breve l’origine del nomignolo) 2. L’altra metà dello stesso. 3. La sorella di costei. 4. Quattro rampolli, dai due anni e mezzo ai sette e mezzo. (E questi sono i “porcelli”) 5. Tre cameriere, agli ordini di Anne di Broadstairs. Tu credi che un raffinato straniero (vedi punto 1) completamente ignaro della lingua, modi e costumi d’Italia potrebbe spingersi fino a Pisa (con le per- 12 13 IMPRESSIONI ITALIANE PASSAPORTO DEL LETTORE sone indicate ai punti 2, 3, 4, 5) senza ingaggiare una sorta di corriere al seguito che si curi di lui da quelle parti?” Non abbiamo la risposta di Fletcher ma dal seguito degli avvenimenti dobbiamo arguire che questi gli abbia sia consigliato di fare quello che facevano le famiglie più ricche, e cioè di assumere, per i suoi viaggi, un corriere che facesse da guida e da interprete, e che si occupasse di scegliere gli alberghi, di pagare, di ordinare i cavalli e cosí via; sia, invece, che gli abbia sconsigliato Pisa a favore di Genova, impegnandosi a trovargli casa costí. Dickens a questo punto propose di affittare villa Saluzzo, ad Albaro, la villa che Byron aveva abitato dall’autunno del 1822 fino al luglio del 1823, quando – il 24 di quel mese –, con il brigantino Hercules, che lui stesso aveva armato, era salpato da Livorno diretto in Grecia. Se consideriamo che gli ultimi 10 canti del Don Juan erano stati scritti (finalmente con il pieno consenso della sua compagna, la contessa Guiccioli) in quella villa, è facile supporre che il desiderio di Dickens fosse molto forte. Inoltre la sua consigliera, Lady Blessington, conosceva bene i luoghi, perché lei ed il marito avevano abitato a villa “Il Paradiso” che era poco distante e che era stata loro consigliata proprio da Byron, conosciuto nella circostanza. Conoscenza che aveva poi consentito a Lady Blessington di pubblicare, nel 1832, l’opera che le ha scavato un angolino nella storia della letteratura inglese: il prezioso anche se discusso Journal of Conversations with Lord Byron. Ma la villa di Byron era in rovina. (“Mia cara Lady Blessington (...) del vecchio palazzo, Il Paradiso, si parla ancora oggi come se fosse vostro. Che posto magnifico! (...) Sotto la casa di Byron vi è un’Osteria di terz’ordine, il luogo appare spento, misero e abbastanza in rovina”, le scriverà poi, dopo il suo arrivo). Ed ecco, allora, che il 13 maggio Dickens scrive a Fletcher per ringraziarlo di avergli procurato, sempre ad Albaro, la Villa Bagnarello o Villa di Bella Vista. La villa è ancora in piedi, in via San Nazaro, e si chiama oggi Villa Barabino e leggeremo tra breve l’indimenticabile descrizione che ne farà Dickens. E cosí, mentre recuperava in salute e in denaro, lasciava che lo stress dei mesi precedenti svanisse lentamente e nel contempo immagazzinava novità, spunti ed esperienze, scrisse regolarmente e frequentemente ad una gran quantità di persone: “Poiché ho intenzione di mandare regolari resoconti dei miei spostamenti e di tutto quello che vedo a Forster, che te li farà poi leggere, non 14 15 IMPRESSIONI ITALIANE PASSAPORTO DEL LETTORE voglio annoiarti con descrizioni di sorta”. Cosí scrive al pittore Daniel Mclise, il suo ritrattista, appena arrivato, il 22 luglio del 1844. E ancora, il 7 agosto: “Caro conte D’Orsay, spero che non mi rimproveriate il ritardo con cui inizio la corrispondenza con voi e, alternativamente, con Lady Blessington...” Poiché in questa lettera ragguaglia i suoi futuri corrispondenti sulla sua situazione logistica presente e futura, in modo leggermente più colorito di quanto farà poi nel testo che ci accingiamo a leggere, noi ne approfitteremo ancora per qualche riga: “È propriamente detta la Villa di Bella Vista, ma io la chiamo Villa di Bagnarello, dal cognome di un amabile macellaio ubriacone nelle cui mani è finita e che, essendo ben noto a tutti (in conseguenza del fatto che lo si deve riaccompagnare ogni notte a casa da questa o quell’altra osteria), costituisce un recapito famoso, che anche il più tonto dei fattorini individua immediatamente. (...) Ma poiché non andrebbe bene come residenza invernale, mi sono guardato attorno e credo d’aver concluso un accordo per una sistemazione alle Peschiere: spero di prendere possesso di quel palazzo il primo d’ottobre (...) L’ultimo residente inglese pagava ottocento franchi al mese, ma io entrerò in subaffitto al colonnello inglese che la occupa adesso (...). Il mio affitto che sarà di cinquecento, stando agli affitti di Genova in questo momento, è veramente conveniente”. Le lettere, abbiamo detto, venivano indirizzate a diversi personaggi, ma tra i suoi interlocutori abituali fondamentale importanza ebbe John Foster. Foster, negli anni successivi, con la sua Life and Times of Oliver Goldsmith, pubblicato nel 1854, con Life of Savage Landoru, del 1869, e soprattutto la sua Life of Charles Dickens, pubblicata tra il 1872 ed il 1874, oltre ad altri saggi pregevoli, prese un posto di prima fila tra i biografi inglesi e fu, per lungo tempo, l’amico e l’oracolo di molti eminenti uomini di lettere dei suoi giorni. Conosceva Dickens dall’inverno del 1836-1837 e cioè dall’epoca degli Sketches (che Dickens firmava Boz, mentre l’epiteto: Inimitabile lo usò poi come pseudonimo per firmare la rubrica “Risposte ai Lettori” nella Bentley’s Miscellany). Era insomma un uomo di lettere colto e raffinato che, come è ovvio, conservò le lettere che Dickens gli inviava. Questa corrispondenza costituí la base per quella operazione di recupero che Dickens attivò al suo ritorno in patria. Decine di lettere che si erano disperse presso i vari destinatari furono gentilmente restituite perché potesse trarne il materiale che, sotto il titolo di Travelling Letters written 16 17 IMPRESSIONI ITALIANE PASSAPORTO DEL LETTORE on the Road componevano in otto numeri del Daily News, neonato quotidiano, da lui nominalmente editato per una settimana o due e la cui direzione aveva poi rapidamente abbandonato. L’ultima fu pubblicata l’11 marzo del 1846. Quel materiale, ulteriormente manipolato – il libro contiene, in più, rispetto alle letters, i capitoli su Venezia, Roma e Napoli – sarebbe poi diventato, nell’estate del 1846, Pictures of Italy. A causa della sua origine, quindi, e malgrado Dickens avesse fin dall’inizio della sua permanenza progettato un piano razionale di visita del paese (sempre nella lettera già citata, al conte D’Orsay, scrive: “Ho riflettuto a lungo sul da farsi e penso che starò tranquillo fino a quando non avrò terminato il mio libro di Natale, cioè, all’incirca, fino a metà ottobre. In novembre credo che mi muoverò con il mio servitore per Verona, Mantova, Milano, Torino, Venezia, Firenze, Pisa, Livorno, ecc. Tornerò per Natale, e resterò qui fino a tutto gennaio. A febbraio penso che mi rimetterò in moto e prendendo il vapore per Civitavecchia andrò a Roma, da Roma a Napoli e da Napoli all’Etna, che desidero moltissimo vedere. Quindi mi propongo di fare ritorno a Napoli per poi rientrare a Genova direttamente con il vapore. Per la settimana di Pasqua ho in mente di tornare a Roma di nuovo, portando con me mia moglie e sua sorel- la, questa volta.”), considerate nel loro insieme le Pictures non costituiscono un’opera organica formata da parti armonicamente proporzionate, collegate fra di loro in base ad un piano prestabilito, ma sono semplici note di viaggio, spesso scritte sul luogo da cui erano suggerite e collocate una dopo l’altra, generalmente secondo l’itinerario seguito, e, in qualche caso, secondo l’ordine con cui i ricordi delle cose vedute si presentano alla mente dello scrittore. Infatti nella prefazione alla prima edizione Dickens scrive: Se i lettori di questo libro saranno cosí gentili da prendere le loro credenziali per i diversi posti che sono l’oggetto dei ricordi dell’autore, dall’Autore stesso, forse li potranno visitare con l’immaginazione, molto più gradevolmente e con una migliore comprensione di quanto si aspettino. Molti libri sono stati scritti sull’Italia, affrontando in molti modi lo studio della storia di questo paese interessante e le innumerevoli memorie ad esso associate. Io faccio molto poco riferimento a questo magazzino di informazioni; non considerando affatto come una naturale conseguenza del fatto che io sia ricorso a questi magazzini per mio beneficio personale, che io debba riproporre i loro contenuti facilmente accessibili agli occhi dei miei lettori. 18 19