Testi di storiografia - Liceo Classico Lanzone

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Testi di storiografia - Liceo Classico Lanzone
Liceo Classico “Lanzone”
Classe III Liceo
MATERIALI STORIA-RELIGIONE (CALDERA-ZANDA)
U.D. 4 LA SHOAH E IL CONCETTO DI DIO DOPO AUSCHWITZ
Testi storiografici esaminati e commentati durante la lezione del 30.10.10
La costruzione dello Stato totalitario come premessa dell’antisemitismo nazista
TESTO 1 “La razza ariana e le razze inferiori” (A. Hitler, La mia vita, la mia battaglia), in A.
Desideri – M. Themelly, Storia e storiografia, vol. 3/1, pp. 415-417.
È una discussione oziosa quella che vuol ricercare quale razza fosse l’originaria portatrice della
cultura umana, cioè l’autentica fondatrice di ciò che noi chiamiamo in sintesi: umanità. È molto più
semplice impostare questo problema sul tempo d’oggi; in questo caso la risposta appare facile ed
evidente. Ciò che noi vediamo oggi, in materia di cultura o d’arte o di scienza o di tecnica, è quasi
esclusivamente il prodotto geniale dell’ariano. E ciò ci conduce alla conclusione ovvia che egli solo è
stato il fondatore dei valori umani più alti, e rappresenta quindi il prototipo di ciò che noi designiamo
con la parola uomo. Egli è il Prometeo dell’umanità, dalla cui fronte radiosa scoccò in ogni tempo la
scintilla del genio, accendendo ogni volta la fiaccola che illuminò di conoscenza la notte del silenzioso
mistero; e così preparò la strada all’umanità per dominare le altre creature terrene. Lo si elimini – e
quella oscurità tornerà ad avviluppare di nuovo la terra, la cultura umana tramonterà e il mondo si
rifarà deserto…
Se si potesse dividere l’umanità in tre specie: fondatori di cultura, portatori di cultura e distruttori
di cultura, il rappresentante della prima non potrebbe essere che l’ariano. Da lui derivano i fondamenti
e le mura di ogni costruzione umana; e soltanto la forma esterna e il colore son condizionati dalle
caratteristiche mutevoli dei diversi popoli. Egli fornisce le pietre e i piani per ogni progresso, e
soltanto l’esecuzione corrisponde poi alle caratteristiche delle varie razze. […].
E quasi sempre ne nasce il seguente quadro del loro svolgimento. Popolazioni ariane sottomettono
– e quasi sempre in numero addirittura esiguo – popoli stranieri e sviluppano, stimolate dalle
situazioni speciali dei nuovi territori (fecondità, situazione climatica, ecc.) e favorite dalla quantità
delle riserve degli uomini di razza inferiore, le loro qualità spirituali e organizzative, che parevano
sonnecchiare. E producono, spesso, in pochi secoli, delle culture che in origine corrispondono
perfettamente alle caratteristiche peculiari della loro natura, adatte alle qualità del territorio, come
anche alla tipologia dei popoli sottomessi. Finalmente, i conquistatori peccano contro il principio della
conservazione del proprio sangue, cominciano a unirsi agli indigeni sottomessi, e terminano così la
loro esistenza; perché al fallo è sempre seguita la cacciata dal paradiso.
Dopo 1000 anni o anche più, si vede ancora l’ultima traccia dell’antico popolo di padroni in una
carnagione più chiara, che il suo sangue ha lasciato in eredità alla razza sottomessa, e in una cultura
raggelata, che esso aveva fondato. Perché allo stesso modo che il conquistatore si è trasfuso nel sangue
del sottomesso, e vi è naufragato, si è perso pure il combustibile per la fiaccola del progresso umano!
Come il colore ha mantenuto una lieve luce a ricordo del sangue dei signori di allora, così anche la
notte della vita culturale è dolcemente rischiarata dalle creazioni, che sono rimaste, degli antichi
luciferi. Esse rilucono ancora nella notte della barbarie tornata, e illudono i distratti osservatori di aver
davanti gli occhi il quadro del popolo attuale, mentre è soltanto lo specchio del passato. […].
Sarà il compito di una futura storia della cultura e del mondo studiare in questo le leggi della vita e
non naufragare nel racconto di fatti esterni, come troppo spesso capita alla scienza odierna.
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Ma già da questo brevissimo schizzo dello sviluppo delle Nazioni portatrici di cultura sorge il
quadro del divenire, dell’attività e del tramonto dei veri creatori di cultura su questo mondo: gli ariani.
[…].
E allo stesso modo in cui nella vita del singolo uomo superiore la predisposizione genetica, eccitata
solo da stimoli esterni, tende a realizzazioni pratiche, anche nella vita dei popoli la valorizzazione delle
forze creatrici avviene solo se esistono determinate premesse. Ciò si osserva più chiaramente nei
confronti della razza che fu molla di tutto lo sviluppo della cultura umana: gli ariani. Quando il destino
li mette di fronte a circostanze speciali, essi danno inizio a sviluppare le loro qualità latenti, in una
successione sempre più rapida, e secondo forme sempre più visibili. Le culture che essi fondano sono
quasi sempre determinate dal territorio, dal clima e dalle razze sottomesse. Quest’ultima condizione è,
in genere, quella decisiva. Quanto più primitive sono le premesse tecniche per lo sviluppo della
cultura, tanto più è necessaria la presenza di riserve umane, le quali, organizzate e concentrate e
dirette, sostituiscono la forza della macchina. Senza questa possibilità di impiegare uomini inferiori,
l’ariano non avrebbe mai compiuto i primi passi della sua cultura; allo stesso modo, senza l’aiuto di
certe bestie adatte che ha saputo addomesticare, non sarebbe giunto a una tecnica che gli permette ora
di rimpiazzarle lentamente. Per migliaia di anni il cavallo è servito all’uomo a porre i fondamenti del
suo sviluppo, che ora, con l’invenzione dell’automobile, lo rende superfluo. Tra pochi anni la sua
attività sarà terminata, ma senza la sua collaborazione di un tempo l’uomo non sarebbe giunto dove
oggi è.
Allo stesso modo la formazione di culture superiori presupponeva l’esistenza di uomini inferiori, in
quanto la mancanza di strumenti tecnici doveva essere con questi sostituita. Certo, la prima cultura
dell’umanità non poggiava tanto su bestie addomesticate, quanto sull’impiego di uomini inferiori.
Solo dopo la riduzione in schiavitù delle razze sottomesse, lo stesso destino colpì anche gli animali,
e non viceversa, come molti potrebbero credere. Toccò prima al vinto mettersi all’aratro – e solo più
tardi al cavallo. Solo dei pacifisti vaneggianti possono considerare ciò come un segno di malvagità
umana; e non sanno vedere che quella tappa fu necessaria per giungere finalmente a un livello,
dall’alto del quale questi apostoli possono offrire al mondo le loro ricette di salvezza.
Il progresso dell’umanità rassomiglia al salire lungo una scala infinita; non si arriva in alto, se non
sono stati fatti i primi scalini. Allo stesso modo l’ariano dovette percorrere la strada che la realtà gli
indicava, e non quella di cui sogna la fantasia di un moderno pacifista. Ma la via della realtà è dura e
pesante, e conduce finalmente colà dove l’altro sogna l’umanità, senza poi saperla avvicinare di un
passo.
Non è dunque un caso se le prime culture sono nate là dove gli ariani, nell’incontro con popoli
inferiori, han potuto sottometterli. Questi sono stati i primi strumenti tecnici al servizio di una futura
cultura.
TESTO 2 “La missione tedesca sulla terra” (A. Hitler, La mia vita, la mia battaglia), in A.
Desideri – M. Themelly, Storia e storiografia, vol. 3/1, pp. 417-419.
Purtroppo, la nostra nazione tedesca non è più fondata su un nucleo razziale unitario. Però il
processo di fusione dei diversi elementi originari non è tanto progredito, da poter parlare di una nuova
razza da esso formata. All’opposto! Le intossicazioni del sangue sofferte dal corpo della nostra nazione,
specialmente dopo la guerra dei Trent’anni, decomposero non solo il sangue tedesco, ma anche l’anima
tedesca. I confini aperti della nostra patria, il fatto di appoggiarsi a corpi estranei non germanici lungo i
territori di confine, ma soprattutto il forte continuo afflusso di stranieri nell’interno del Reich, afflusso
sempre rinnovato, non lasciarono tempo disponibile per un’assoluta fusione. Non fu prodotta una
nuova razza, ma gli elementi razziali rimasero gli uni accanto agli altri, col risultato che, in modo
particolare nei momenti critici, nei quali ogni armeno suole adunarsi, il popolo tedesco si disperse in
tutte le direzioni. Gli elementi razziali sono diversamente stratificati non solo nei diversi territori, ma
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anche in ogni singolo territorio. Accanto a uomini nordici si trovano uomini orientali; accanto ad
orientali, dinarici; accanto a costoro, uomini occidentali, e, fra tutti, miscele umane. Ciò è di grave
danno: manca al popolo tedesco ogni sincero istinto di armento fondato sull’unità del sangue;
quell’istinto che nei momenti del pericolo salva dal tramonto le nazioni facendo tacere i grandi e i
piccoli dissensi interni e opponendo al comune nemico la chiusa fronte di un armento unitario.
La mancanza di una nazione avente unità di sangue fu per noi causa di indicibili sofferenze. Ha
donato metropoli, per risiedervi, a molti potentati tedeschi, ma ha privato il popolo tedesco del diritto
di dominare.
Ancor oggi il nostro popolo soffre di questa interna lacerazione, di questo disgregamento. Ma ciò
che ci portò sventura nel passato e nel presente può formare la nostra fortuna nel futuro. Perché, se, da
un lato, fu funesto il fatto che non abbia avuto luogo una totale fusione dei nostri originarii elementi di
razza e quindi non si sia prodotta la formazione unitaria del nostro popolo, fu, d’altro lato, una ventura
che almeno una parte del nostro miglior sangue sia, con ciò, rimasta pura e sia sfuggita
all’abbassamento razziale. […]. Ancor oggi noi possediamo nel nostro corpo nazionale tedesco grandi
elementi, non mescolati, di uomini germanici del Nord, nei quali possiamo ravvisare il più prezioso
tesoro per il nostro avvenire. […].
Chi parla d’una missione del popolo tedesco sulla terra, deve sapere che questa può solo consistere
nella formazione d’uno Stato ravvisante il suo compito supremo nella conservazione e nell’incremento
degli elementi più nobili, rimasti illesi, della nostra nazione; anzi dell’intera umanità.
Con ciò lo Stato riceve, per la prima volta, un alto intimo scopo. Di fronte alla ridicola parola
d’ordine di assicurare la calma e l’ordine onde rendere possibili reciproci imbrogli, appare una
missione realmente elevata, quella di conservare e promuovere un’umanità superiore, donata a questa
Terra dalla bontà dell’Onnipotente. Un meccanismo morto, che pretende di esistere solo per amor di se
stesso, deve diventare un organismo vivente con l’unico scopo di servire un’idea superiore.
Il Reich tedesco deve, come Stato, comprendere tutti i tedeschi, col compito non solo di raccogliere e
conservare di questo popolo i più preziosi fra gli elementi originarii di razza, ma di sollevarli, con
lentezza ma in modo sicuro, ad una posizione di predominio. […]. Lo Stato nazionale deve ricuperare ciò
che oggi, su questo campo, è trascurato da tutte le parti. Deve mettere la razza al centro della vita
generale. Deve darsi pensiero di conservarla pura. Deve dichiarare che il bambino è il bene più prezioso
d’un popolo. Deve fare in modo che solo chi è sano generi figli, che sia scandaloso il mettere al mondo
bambini quando si è malati, difettosi, e che nel rinunziare a ciò consista il supremo onore. Ma, viceversa,
deve essere ritenuto riprovevole il sottrarre alle nazioni bambini sani. Quindi lo Stato deve presentarsi
come il preservatore di un millenario avvenire, di fronte al quale il desiderio e l’egoismo dei singoli non
contano nulla e debbono piegarsi. Lo Stato deve valersi, a tale scopo, delle più moderne risorse mediche.
Deve dichiarare incapace di generare chi è affetto da visibile malattia o portatore di tare ereditarie e
quindi capace di tramandare ad altri queste tare, e provocare praticamente questa incapacità. Deve,
d’altro lato, provvedere che la fecondità della donna sana non venga limitata dalla sconcia economia e
dalla finanza d’un regime statale che di quella benedizione che è il bambino fa una maledizione per i
genitori. Deve eliminare quella pigra, criminale indifferenza con cui si trattano oggi le premesse sociali
dell’abbondanza di figlio, deve posare da supremo protettore di questa massima fortuna d’un popolo.
Deve preoccuparsi più del bambino che dell’adulto.
Chi non è sano e degno di corpo e di spirito non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze nel corpo del
suo bambino. Qui, lo Stato nazionale deve fornire un enorme lavoro educativo, che un giorno apparirà
quale un’opera grandiosa, più grandiosa delle più vittoriose guerre della nostra epoca borghese. Lo Stato
deve, con l’educazione, insegnare agli individui che l’essere malati e deboli non è una vergogna ma è solo
una disgrazia meritevole di compassione, e che è delitto e vergogna il disonorarsi e il dar prova d’egoismo
imponendo la malattia e la debolezza a creature innocenti.
E che quindi è prova di nobiltà, di mentalità elevata e di umanitarismo degno d’ammirazione il fatto
che chi, senza sua colpa è malato, rinunziando ad avere figli propri, doni il suo affetto e la sua tenerezza
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ad un piccolo, povero sconosciuto rampollo della sua nazione, sano e promettente di essere un giorno un
robusto membro di una forte comunità. E lo Stato deve ravvisare in questo lavoro di educazione
l’integrazione spirituale della sua attività pratica. Deve agire in questo senso, senza riguardo a
comprensione o incomprensione, a consensi o dissensi. Basterebbe impedire per sei secoli la capacità o la
facoltà di generare nei degenerati di corpo e nei malati di spirito per liberare l’umanità da un’immensa
sventura e per condurla ad uno stato di sanità oggi quasi inconcepibile. Quando sarà realizzata, in
modo cosciente e metodico, e favorita la fecondità della parte più sana della nazione, si avrà una razza
che, almeno in principio, avrà eliminati i germi dell’odierna decadenza fisica e morale.
TESTO 3 “Il nazismo come opera demoniaca” (F. Meinecke, La catastrofe della Germania),
in A. Desideri – M. Themelly, Storia e storiografia, vol. 3/1, pp. 423-424.
Fu invero in seguito ad una singolarissima e in non piccola misura accidentale concatenazione di
cause che Hitler poté afferrare il potere. Nessuna pressante necessità di ordine generale mosse la
penna di Hindenburg, quando firmò il decreto di nomina di Hitler.
V’erano sufficienti forze in azione contro quest’ultimo. Il movimento hitleriano, se Hindenburg
avesse lasciato fare a tali forze, sarebbe probabilmente rimasto un puro episodio, come lo furono un
giorno Tommaso Münzer e lo Stato dei Battisti in Münster. Il suo avvenire quale fenomeno universale
sarebbe stato nello stesso momento liquidato […].
Per quanto possa colpirci e recarci vergogna il fatto che un gruppo di delinquenti sia riuscito a
trascinare dietro di sé per dodici anni il popolo tedesco, infondendo a una gran parte della nazione la
fede di seguire una grande “idea”, proprio in ciò v’è ancora un elemento di conforto che ci tranquillizza.
Il popolo tedesco non era affetto in profondità da uno spirito di delinquenza, ma soffriva di una grave
infezione acuta in seguito alla somministrazione di un veleno. Se questo avesse potuto esercitare
ancora a lungo la sua azione sul fisico, certamente il caso sarebbe potuto divenire disperato. Questo fu
il pensiero più cupo che mi tormentò durante i dodici anni: che cioè il partito riuscisse a mantenersi
durevolmente al timone e ad imprimere a tutta la nostra progenie la sua impronta di degenerazione.
Soprattutto però, causa l’eccessività dei suoi miraggi internazionali, pensavo a una terribile fine del
partito, che sarebbe stata purtroppo anche una terribile fine per l’esistenza esteriore di noi tutti e per
tutte le nostre conquiste politiche del passato. Solo la nostra esistenza interiore, l’anima, la coscienza,
avrebbero potuto poi riprendere respiro e acquistare nuova vita.
Mentre dunque mi consolava la fiducia che il popolo tedesco dopo la tremenda lezione ricevuta
potesse ritrovare un migliore se stesso ed espellere dal suo sangue i parassiti hitleriani, non dimenticai
mai le correlazioni dell’hitlerismo con la precedente evoluzione sociale e spirituale, l’ebbrezza di
potere dell’alta borghesia dell’età bismarckiana, la sua despiritualizzazione e materializzazione, inoltre
le ancor precedenti ristrettezze di mente e gli irrigidimenti del militarismo prussiano-tedesco, il tutto
in stretta relazione con la trasformazione dell’homo sapiens nell’homo faber con i suoi disanimanti
effetti. Per quanto se ne possa parlare, si giunge sempre a un’unica conclusione: che tutti quei mali
elementi da soli non sarebbero bastati a produrre lo spirito di Hitler. Deve esservi stato dunque anche
un fatto discriminatorio di particolare natura, a distinguere il movimento hitleriano da tutti quelli che
l’avevano preceduto e comunque gli erano affini. Si ha in ciò uno dei grandi esempi della singolare e
incalcolabile potenza della personalità nella storia: in questo caso, della personalità solamente
demoniaca. Chi mai, all’infuori di essa, avrebbe potuto organizzare quel gruppo di delinquenti che
seppe avviluppare e dissanguare il popolo tedesco? Delinquenti avrebbero potuto diventare, quei
signori, anche senza Hitler. Ma quando essi ebbero imparato a conoscere Hitler e i suoi magici effetti
sulle masse, debbono essersi detti esultando: “Con un tipo simile alla testa, ce la facciamo a
conquistare la Germania”.
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