n. 13 - Estate 2010 - Le Montagne Divertenti

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n. 13 - Estate 2010 - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
n°13 - estate 2010 - EURO 3
Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio
Pietre preziose
Quali e dove sono
quelle valtellinesi
Quel l'è en...
Riconoscere a colpo
d'occhio un leǜsc
Alta Valle
e
v
r
i
D tenti
Passeggiata a Trela o al
lago di Verva?
Selvagge Orobie
Pizzo Scotes e pizzo
degli Uomini
Valchiavenna
Il Tracciolino
Monte Legnone
Storie d'alpinisti e di
eserciti
Insetti
Il safari del ragno
saltatore
Porte di Valtellina
L'anello del lago Gelt,
fra Orobie bergamasche
e valtellinesi
Poesia
Sorrisi col grande
Arturo Baracchi
Natura
Fiori e rapaci notturni
Fotografia
Nuvole: croce o delizia?
Daniele Ligari
La scultura sonora
del lago Bianco
Inoltre
Ricette, poesie, giochi,
leggende...
Monte Disgrazia
un sogno alto 3678 metri
valchiavenna
- bassa valtellina - Valmasino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina
1
Le Montagne Divertenti Editoriale
Beno
Forse non occorrono parole per spiegare la bellezza della montagna,
ma solo la pazienza di salire
e sentirsi privilegiati nell'essere
nient'altro che degli anonimi puntini
in un quadro fantastico.
Però, per salire, 136 pagine d'ispirazioni
possono servire!
2
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Discesa in val Cameraccio ai piedi del pizzo Torrone (24 agosto 2008, foto Beno).
In copertina: il Disgrazia dai laghi di Campagneda (30 settembre 2009, foto Roberto Moiola).
Ultima di copertina: al voltà el fén ai piedi delle cascate dell'Acqua Fraggia (giugno 2009, foto Enrico Minotti).
Le Montagne Divertenti 1
Legenda
Spiegazione delle schede tecniche
Ottimo anche per anziani non autosufficienti
o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale
per la camporella, anche per le coppiette
meno esperte.
Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (in “scala Beno”) che vengono assegnati
agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si
riferiscono al periodo in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni
del tracciato. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa
rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di
condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale.
Le schede sintetiche sono anche corredate da indicatori grafici che vi permetteranno, a colpo
d’occhio, di valutare l’itinerario.
Bellezza
pericolosità
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Ne vale veramente la pena
Assolutamente sicuro
Basta stare un po’ attenti
Assolutamente fantastico
Fatica
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (è necessaria una guida)
ore di percorrenza
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio mettere
qualche provvista
e qualche vestito.
dislivello in salita
Una passeggiata!
meno di 5 ore
meno di 800 metri
Nulla di preoccupante
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
Impegnativo
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
Un massacro
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
E’ meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
su RADIO TSN
FM 101.100/97.700
ogni martedì con Beno & special guests
ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45
WWW.RADIOTSN.IT
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti gli
appassionati di montagna non
esperti e non dopati.
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
E’ richiesta una buona
conoscenza dell’ambiente
alpino, discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
E’ consigliabile una guida.
E’ una valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica e buona
esperienza alpinistica.
Servono sprezzo del
pericolo e, soprattutto,
barbe lunghe e incolte.
Le Montagne Divertenti
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Editore
Beno
Direttore Responsabile
Maurizio Torri
Redazione
Alessandra Morgillo
Enrico Benedetti (Beno)
Roberto Moiola
Valentina Messa
Responsabile della fotografia
Roberto Moiola
Realizzazione grafica
Beno
Revisore di bozze
Sommario
Speciali
Itinerari
d’alpinismo
Itinerari
d’escursionismo
Rubriche
6
Mario Pagni
Hanno collaborato a questo numero:
Alberto Rossattini, Alessandra Osti, Antonio Boscacci, il
Bianco, Carlo Pelliciari, Claudia Schenatti, Danilo Valsecchi,
Enrico Minotti, Fabio Pusterla, Fabrizio Picceni, Eliana e
Nemo Canetta, Franca Prandi, Franco Benetti, Franco Cirillo,
Giacomo Meneghello, Gianni De Stefani, Giordano Gusmeroli,
Giorgio Leusciatti, Giorgio Orsucci, Giuseppe De Toma,
Giuseppe Miotti, Jacopo Merizzi, Kim Sommerschield, Luciano
Bruseghini, Luisa Angelici, Marcello Di Clemente, Mario
Sertori, Massimo Murada, Matteo Gianatti, Matteo Monti,
Miriam Passoni, Nicola Giana, Nilo Gregorini, Norberto Riva,
Paolo Rossi, Pierandrea Brichetti, Pietro Pellegrini, Renato
Bertolini, Renzo Benedetti, Riccardo Ghislanzoni, Riccardo
Scotti, Roberto Ganassa, Simone Manzocchi e la Tipografia
Bettini.
Monte Disgrazia
11
12
22
23
27
31
32
Toponomastica
Storia alpinistica
Storia d'amore d'altri tempi
Le discese estreme del Bianco
Geologia dell'area del Disgrazia
I ghiacciai del Disgrazia
I rifugi e i bivacchi
57
70
Alta Valle:
passeggiata all'alpe Trela
98 Valtellinesi nel mondo:
Il vento dell'Himalaya
75
Valchiavenna:
sentiero del Tracciolino
104 Il mondo in miniatura:
Il safari del ragno
Monte Disgrazia:
via normale dalla Valmasino
Si ringraziano inoltre
Ezio Gianatti, Mario Maffezzini, Matteo Tarabini, Fabrizia
Vido, Johnny Mitraglia, Eva Fattarelli, CAI Valtellinese,
Stefano Scetti, Gianfranco Comi, la Tipografia Bonazzi, il
Comune di Valmasino, il Comune di Chiesa in Valmalenco e
tutti gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e
tutti gli sponsor che credono in noi e in questo progetto.
Redazione
Via S. Francesco, 33/C – 23020 Montagna (SO)
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annuale (4 numeri della rivista):
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Beno di Benedetti Enrico
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Prossimo numero
21 settembre 2010
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Bonazzi Grafica
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23100 Sondrio
Disegni Carlo Pelliciari / Dicle
Responsabile cartografia Matteo Gianatti
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Contatti, informazioni e merchandising
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www.lemontagnedivertenti.com
La foto dei lettori: Francesca Vanotti festeggia il suo
compleanno al rifugio Marco e Rosa (17 aprile 2010).
35
109 Fauna: Ali nella notte
113
116 Scultura: Daniele Ligari
119 Poesia in dialetto:
Barchìn: il poeta di Montagna
80 Porte di Valtellina:
attorno al lago Gelt
Pietre preziose di Valtellina
41
43
Flora: Flora estiva parte II
Artigiani: tagliatore di gemme
Linguaggio e magia della pietra
49
53
60 Monte Disgrazia:
Corda Molla
123 L'arte della fotografia:
Nuvole: croce o delizia?
87
Passo dopo passo:
lago di Verva
Zecche!
Quel l'è en leǜsc
128 Le foto dei lettori
65 Selvagge Orobie:
pizzo Scotes e degli Uomini
92 Bassa Valle:
monte Legnone
134 Giochi
136 Le ricette della nonna
Speciali d'estate
Monte
Disgrazia
Mario Sertori
“M
ai in vita mia ho sentito la poesia della natura penetrarmi così profondamente nell'anima come sulla vetta del Disgrazia.
Ogni parola per descrivere il quadro che si affaccia allo spettatore del Disgrazia
non farebbe che sciuparlo.
Natura meravigliosa, tu sei pur sempre quella che ci offri gli spettacoli più belli e
dei quali la nostra mente non si sazia mai." (Bruno Galli Valerio, 1894)
Il versante S del Disgrazia dai Corni Bruciati (30 settembre 2009, foto Beno).
Q
D
uale che sia l’origine, ormai quel nome sinistro gli rimane stampato sulla carta d’identità, ma il Disgrazia è montagna di carattere davvero speciale: come Monviso, Grand Combin e Cervino, il Disgrazia non deve contendersi
gli spazi con altre vette o stare a braccetto di ingombranti vicini che magari lo sovrastano in altezza. Troneggia solitario
come un’ascia conficcata al contrario nella corteccia della terra e sfavilla, all’ora del tramonto, quando il sole lo smeriglia
con i suoi raggi. Tra le cime delle Alpi Centrali è di gran lunga una delle più ricche di storia e di storie. Completamente
in territorio italiano, è in posizione avanzata rispetto alla catena principale delle Alpi e fa capo a val Masino e Valmalenco.
a qualunque parte lo si osservi, ha un aspetto assai attraente. Il suo colorito vivace è dovuto alla roccia infuocata
che a stento i ghiacci riescono a domare: è il coriaceo serpentino che emerge con fierezza e costituisce l’ossatura di
gran parte dei monti di Valmalenco. Il Disgrazia segna il confine tra i luminosi graniti del Màsino e le cupe serpentiniti
del bacino del Mallero. E’ curioso che proprio sulle sue pendici abbiano combattuto le due grandi matrici rocciose determinandone l‘assetto geologico: sulla parete settentrionale si possono infatti scorgere le grigie lastre granitiche che formano
il monte Pioda, mentre poco più a sud affiora il rosso vivace del serpentino.
6
Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Estate 2010
Monte Disgrazia (m 3678)
7
Speciali d'estate
La montagna
degli inglesi
“C
aro lettore, scusami se mi rivolgo a te in modo così confidenziale, ma non mi hanno mai dato
spazio per dire la mia, e ora che posso, ne approfitto. Innanzitutto, io esistevo da molto tempo
prima che la specie umana comparisse sul pianeta e perciò credo che un minimo di rispetto mi sia d'obbligo. Capisco che tutto deve essere catalogato, ma battezzarmi in questo modo evocatore di sciagure, mi
sembra veramente troppo! Ho un collega in Oberland, l'Eiger, quello si che è un vero Orco divoratore di
8
Le Montagne Divertenti Estate 2010
mortali, ma io non ho fatto nulla per meritare un nome così sfigato. E poi scusate l'immodestia, ma avete
visto il film di Fred Zinnemann Cinque giorni un' estate? Vi ricordate il protagonista, Sean Connery,
che dopo aver visto una cima ghiacciata esclama: "E' per questa che sono venuto dall'Inghilterra!"
Bene quella ero io, ripresa da nord ovest (una delle mie pose migliori).”
Il
N del Divertenti
Disgrazia dal monte dell'Oro (28 novembre 2009, foto Beno).
Leversante
Montagne
Monte Disgrazia (m 3678)
9
Il versante O del Disgrazia dal passo del Cameraccio (24 agosto 2008, foto Beno).
Speciali d'estate
S
PROGETTO PER LA CELEBRAZIONE DEL 150° ANNIVERSARIO
DELLA PRIMA SALITA AL MONTE DISGRAZIA
Ipotesi progettuale preliminare – gennaio 2010
ASSOCIAZIONE GUIDE ALPINE MAESTRI DI ALPINISMO DELLA VALMALENCO
ASSOCIAZIONE GUIDE ALPINE VALMASINO “IL GIGIAT”
10
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Il versante S del Disgrazia (28 ottobre 2007, foto Mario Sertori).
ono certo che se potesse difendere il suo buon nome originario, che si narra fosse banalmente pizzo
Bello, il monte Disgrazia farebbe ricorso alle più alte corti di giustizia semiologica e se gli capitasse
tra i ghiacci screpolati il responsabile di questo misfatto, saprebbe rendergli il favore. Ma ormai il delitto
è perpetrato e i suoi dati anagrafici sono falsati dal triste appellativo, senza che ne sia seguita altrettanto
funesta fama. A poco gli è servito sapere che professoroni e studiosi si sono accapigliati per stabilire se
potesse esser vero che monte dei Quai (Quai-ni dal nome di una famiglia di Traona proprietaria degli
alpeggi di Preda Rossa), per interpretazione libera dei cartografi fosse diventato Guai, e da qui monte
dei Guai, quindi più semplicemente della Disgrazia. Altri, seguaci del filone ecosostenibile, credono si
tratti della contaminazione della parola dialettale Desgiaccia e cioè, “che si scioglie”, perché già in tempi
remoti venne notato come fenomeno assai rilevante con frequenti crolli e frane specie in val Sissone.
Le Montagne Divertenti Monte Disgrazia (m 3678)
11
Speciali d'estate
Storia alpinistica
Storia alpinistica
Il monte Disgrazia in un'incisione del 1863 pubblicata nel primo numero dell'Alpine Journal.
Mario Sertori
per la vetta del grande bastione. Un
percorso magnifico sospeso tra i
bonari pendii nevosi del versante occidentale e i severi sdruccioli ghiacciati
che guardano Chiareggio.
Il tentativo e il conseguente successo
sono stati raccontati in modo avvincente e ricco di humour da Kennedy
su The Alpine Journal nel 1863,
tradotto e dato alle stampe dall’editore Tararà di Verbania con il titolo di
Il Picco Glorioso.
Interessanti le note di Kennedy a
proposito dei rischi corsi scendendo
in carrozza con degli improvvisati
cocchieri, da San Martino Valmasino
ad Ardenno:
La conquista
A
lpinisticamente il Disgrazia
fu preso in considerazione
relativamente tardi rispetto alle altre
montagne della zona, malgrado sia ben
visibile dalla media Valtellina e domini
l’asse occidentale della Valmalenco. Fu
solo infatti nel 1862 che gli inglesi,
allora tra i più attivi “cacciatori” di
cime delle Alpi, riuscirono a raggiungerne la vetta. Ci provarono dalla val
Sissone (Valmalenco), peregrinando
tra lingue ghiacciate e scivoli nevosi,
costole rocciose e nodi di seracchi,
misero piede oltre il passo di Mello e
proseguirono per cresta fino al monte
Pioda, battezzato Punta della Speranza.
La stanchezza e l’ora tarda li fece desistere dal continuare, ma l’esplorazione
aveva permesso di svelare molte incognite che sarebbero state fondamentali
per la gita risolutiva. Qualche giorno
più tardi, il 24 agosto, sempre gli stessi
notabili britannici Edward Shirley
Kennedy, Leslie Stephen, con la guida
Melchior Anderegg e il collaboratore
Thomas Cox, aggiustarono il tiro:
dopo un avventuroso spostamento
in carrozza da Chiareggio ai Bagni di
12
Le Montagne Divertenti Edward Shirley Kennedy (1817 – 1898),
nobile alpinista, fu fondatore del Club Alpino
Britannico.
Masino, salirono direttamente dalla
valle di Mello, fino alla Sella di Pioda
attraverso il passo Cecilia e da quella
depressione attaccarono la cresta
ONO, mettendo finalmente piede
sul punto culminante. Avevano inaugurato la rotta che sarà la più seguita
Melchior Anderegg nato a Meiringen - Canton
Berna (1828 – 1914) è una delle più grandi
guide di tutti i tempi: primo salitore dello
Sperone della Brenva e della Punta Walker
delle Grandes Jorasses, nel gruppo del Bianco.
Il reverendo Leslie Stephen (1832-1904) fu
scrittore e alpinista di prim'ordine, padre di
Virginia Wolf. Solito ad accompagnarsi alla
Guida Melchior Anderegg fece molte prime
ascensioni nelle Alpi.
Enrico Schenatti, una delle quattro Guide
malenche il cui nome è riportato nella seconda
edizione della "Guida della Valtellina",
divenne Guida Alpina nel 1898. E' cugino di
Michele, padre di Giacomo Schenatti.
Prima ripetizione italiana e
nuova via inglese, la prima
dalla val Ventina
e il giorno successivo compiono
una perlustrazione sul ghiacciaio di
Cassandra per cercare un possibile
tragitto alla vetta. Rimangono indecisi fino al mattino seguente sulla
strada da prendere ed è solo per il
consiglio di tale Flematti di Spriana,
un abile cacciatore di camosci soprannominato Il Gatt per la sua capacità
felina di superare ogni ostacolo, che il
gruppo sceglie la via dei primi salitori.
Il Gatt, che rappresenta l’archetipo
della guida alpina, si offre di accompagnarli e gli avventurosi valtellinesi
sono ben lieti che un capocordata
si occupi di ricavare dei gradini nel
ghiaccio e faccia un minimo di sicurezza ai componenti del team.
Traspare un certo orgoglio nell'annuncio dato sul n° 64 del Corriere
Valtellinese della scalata al monte
Disgrazia fatta da alcuni nostri convalligiani: "Siamo lieti di annunciare
che Venerdì scorso 7 (agosto - N.d.A.)
corrente, i Soci del club Alpino Sezione
di Sondrio i signori: Rossi dottor Alessandro, Fojanini Francesco, Buzzi ingegnere
Achille, Moro Antonio, Orsatti Giovanni
e Schenatti Enrico accompagnati dalla
Guida Flematti Antonio detto “Gatt”,
dopo una faticosa e pericolosa salita di
10 ore sui ghiacci perpetui, compirono
felicemente l'ascensione del Pizzo della
Disgrazia a circa 3700 metri sul livello
del mare [...] Un bravo di cuore a quei
nostri concittadini che col loro coraggio
seppero dimostrare come ormai non si
debbano più cercare solo fra gli Alpinisti
stranieri, gli arditi ed instancabili domatori delle, finora credute inaccessibili, più
alte vette delle Alpi."
l 29 agosto dello stesso anno
sono ancora gli inglesi a produrre
novità: F. T. Pratt Barlow, S. F. Still,
P. Taugwald con J. Anderegg1 risalgono dal bacino di Ventina l’invitante
spigolo NE e infine proseguono sulla
cresta frastagliata fino al punto più
alto della montagna.
D
evono passare ben 12 anni
prima che un gruppo di
italiani (erano dei valtellinesi, che
Aldo Bonacossa definisce: “una grossa
comitiva più entusiasta che preparata”)
raggiunga la cima del Disgrazia. Era il
il 7 agosto del 1874.
Achille Buzzi, Antonio Moro,
Francesco
Fojanini,
Giovanni
Orsatti, Alessandro Rossi e Enrico
Schenatti, partiti il 5 agosto da
Sondrio, pernottano all’alpe Airale
I
“…Oh, quanto maggiori
sono i pericoli che insidiano
gli infelici mortali che
viaggiano in carrozza,
rispetto a quelli in cui
incorrono coloro che fanno
una seria escursione in
montagna.”
Francesco Lurani Cernuschi.
Estate 2010
Le Montagne Divertenti Antonio Baroni (1833-1912).
1 - Jacob Anderegg, cugino di Melchior, che allora
aveva già salito nel 1865 lo Sperone della Brenva e
nel 1876 firmerà il difficile couloir Cordier all’Aiguille Verte, tutte ascensioni di valore assoluto nel
gruppo del monte Bianco.
Monte Disgrazia (m 3678)
13
Speciali d'estate
Storia alpinistica
1- Cresta NO (via dei primi salitori - 1862)
2- Canalone Schenatti (1888)
3- Cresta Baroni (1878)
4- Via Klucker (1897)
5- Cresta SO (Sertori/Gugelloni - 1901)
6- Cresta SE (Torti/Bonacossa - 1911)
6
5
1
2
3
4
Il monte Disgrazia versante SO (foto e tracciati Mario Sertori).
Antonio Baroni apre la
prima via italiana
N
el 1878 la forte guida bergamasca Antonio Baroni (18331912) di Sussia apre una nuova via su
un largo crestone roccioso del versante
SO, cresta che prenderà il nome del
suo salitore, che la percorse accompagnando il nobile Francesco Lurani
Cernuschi, infaticabile esploratore
di queste zone selvagge delle Alpi.
E’ proprio grazie a quest’ultimo che
viene edificato nel 1881 un piccolo
ricovero ai margini della morena del
ghiacciaio di Preda Rossa per facilitare le ascensioni alla montagna, che
allora avvenivano dalla valle Airale.
Ma leggiamo il suo pensiero riportato
su Le Montagne di Val Masino Appunti
topografici e alpinistici, Milano 1883:
“La Sezione di Sondrio, collocando la sua
capanna di rifugio sul Passo di Corna
Rossa, commise, a mio parere, un errore
ben grave. Pernottando a quel rifugio si
comincia l’ascensione alla Disgrazia con
una discesa di mezz’ora per raggiungere il
ghiacciaio della valle di Preda Rossa. Se
la capanna fosse stata costruita presso il
14
Le Montagne Divertenti principio di questo ghiacciaio, la strada
del giorno precedente l’ascensione non
sarebbe stata allungata che di mezz’ora
pei touriste arrivati da Sondrio per Val
Torreggio, e si sarebbe ottenuto il vantaggio di rendere la capanna utile anche
agli alpinisti provenienti da Morbegno
per la Valle di Sasso Bisolo mentre per
questi ora è inservibile! Fu per ovviare a
questo inconveniente, che lo scorso anno
feci costruire dagli Scetti di Cataeggio
un modestissimo ricovero, due ore più
innanzi dell’Alpe di Preda Rossa, dove
prima si era costretti a passare la notte.”
Con la nuova capanna, chiamata
Cecilia in onore della consorte del
Cernuschi, si ha un incremento considerevole delle ascensioni al Disgrazia,
allora ancora avvolto in un alone di
inaccessibilità e mistero. La posizione
strategica del monte desta l’interesse
anche del Genio Militare che nel
1883 dà l’incarico alle Guide Alpine
(le prime della Valmalenco) Giacomo
Scilironi (detto Fuin2), Michele ed
Enrico Schenatti, di costruire un
ricovero per osservazioni scientifiche
2 - Faina.
e
Anton von Rydzewski, Mansueto Barbaria, e
Christian Klucker.
Harold Andrew Raeburn (1865 – 1926), il
miglior alpinista scozzese d'inizio '900.
accentuata li costringe a ripiegare sulle
rocce del fianco orientale che offrono
loro validi appigli: per la scimitarra
non è ancora il momento.
Guadagneranno comunque la cima
con una importante nuova via dando
inizio, nella regione, all’epopea dell’alpinismo senza guida.
Disgrazia. Al suo seguito l’irascibile
(e inseparabile) cliente Anton Von
Rydzewsky, A. Dandrea e il collega
cortinese Mansueto Barbaria. La via
di Klucker3 sarà ripresa per la prima
volta nel 1902 da un’altra guida illustre dell’epoca: Bortolo Sertori di
Cataeggio (Valmasino), il primo salitore dell’omonima Punta sul fianco
orientale del Badile. Con lui l’attivo
sondriese Antonio Facetti e A. Villa;
nel corso di questa ascensione tracceranno una importante variante nella
parte bassa dell’itinerario. Nel 1899
Tinsenlhor con una guida tirolese di
cui è ignoto il nome (le fonti stori-
che non sono molto precise), e nel
1900 ancora il nostro Enrico Schenatti con Carlo Gnecchi, scoprono
un inedito modo di arrivare in vetta
dalla val Ventina passando dalla
comba glaciale alla base della cresta
ENE e percorrendo infine la parete
rocciosa che si innalza nel punto dove
il crinale si congiunge con la struttura
principale. Bortolo Sertori con l’intraprendente alpinista milanese G.
Gugelloni ritorna sulla montagna che
guarda la sua valle nel luglio del 1901,
per aggiudicarsi il primo percorso del
lunghissimo e non particolarmente
invitante spartiacque che dal passo di
Corna Rossa sale alla cima, intersecando nella parte finale l’altro crinale,
quello che inizia al passo Cassandra.
Charles Pilkington, Eustace
Lawrence Pilkington (1882).
a breve distanza dalla vetta. Il rifugio
Maria edificato con grandi sacrifici
dai tenaci malenchi, resistette per
poche stagioni, tanto che già nel 1894
rimanevano solo i muri perimetrali.
Gentiluomini inglesi per la
prima volta senza guida
A
ncora inglesi per il primo
itinerario completamente sul
versante settentrionale: è l’estate
del 1882 quando i fratelli Charles
e Lawrence Pilkington gentiluomini fautori di un alpinismo che
non si avvale dell’aiuto di guide, con
l’amico Eustace Hulton, dopo essere
stati sul Piz Roseg approdano all’alpe
Ventina. Il terzetto ripercorre le tracce
dei connazionali F.T. Pratt Barlow
e c. del 1874 per poi mettere piede
sul bacino superiore del ghiacciaio
Ventina; puntano alla cresta ENE e la
raggiungono nei pressi della caratteristica scimitarra di neve.
Ci montano sopra ma, dopo alcune
decine di metri, il duro lavoro di
intaglio dei gradini e la pendenza
Estate 2010
Hulton
La via del canalone
Schenatti
N
ell’agosto del 1888, Enrico
Schenatti con Gian Battista
Vittadini trova un’evidente variante
alla via normale che percorre il
lenzuolo di neve compreso tra la
cresta ONO e lo sperone di rocce
della via Baroni, ed esce poco a valle
della cima. Il Canalone Schenatti con
buone condizioni è una veloce alternativa alla normale e sarà in seguito
ripreso di frequente, soprattutto nella
stagione invernale/primaverile. La
forte guida della Valmalenco svolgerà un’intensa attività tra Bernina e
Disgrazia: su quest’ultimo festeggerà la
100esima ascensione nel 1906 accompagnando in vetta la figlia Alice Pia.
3 - Sulle avventure di Christian Klucker (1853–
1928), leggendaria guida alpina è uscita presso Tararà edizioni di Verbania un’ autobiografia tradotta da
Giovanni Rossi dal titolo: Memorie di una Guida
Alpina.
Il tocco di Christian
Klucker e Bortolo Sertori
G
iugno 1897: la guida engadinese Christian Klucker,
uno dei più formidabili alpinisti
della sua epoca, disegna una linea
audace sul versante occidentale del
Le Montagne Divertenti Monte Disgrazia (m 3678)
15
Speciali
d'estate
1- Supercouloir (Della Santa/Riva - 1983)
8- Spigolo NE e cresta SE (1874)
9- Cresta ONO - via dei primi salitori (1862)
B2 e B3- Linee di discesa del Bianco del 27/07/1979
B4 e B5- Linee di discesa del Bianco del 2-3/07/1980
3- Linea di discesa del Bianco dalla parete N del 04/07/1986
2- Discesa dallo Spigolo degli Inglesi (Bianco 1979)
2- Via degli Inglesi (Ling/Raeburn - 1910)
3- Parete N - via diretta (Schenatti/Lucchetti - 1934)
4- Via Negri-Rovelli (1941)
5- Parete N via Corti/Folatti/Mitta/Bombardieri (1933)
6- Couloir dell'Insubordinato (1979)
7- Corda Molla (Dell'Andrino/De Ferrari - 1914)
8
6
5
9
7
3
4
2
B5
B4
B3
1
B2
Il monte Disgrazia versante N (foto Jacopo Merizzi, tracciati Mario Sertori).
Gli scozzesi esplorano il
versante N
F
ino ai primi del ‘900, sul
versante settentrionale nessuno
ha ancora osato mettere piede: è una
seraccopoli sospesa, un ammasso
caotico di torri ghiacciate e voragini
scure, spazzate dalle scariche di sassi.
Un mondo severo, ripido e ostile,
una bella sfida per gli alpinisti, che
possono contare su attrezzature da
ghiaccio ancora rudimentali. La
tecnica prevede lo scavo di un’inter-
16
Le Montagne Divertenti minabile serie di piccoli gradini sul
pendio e la progressione è assai faticosa e precaria… Sono ancora una
volta i cittadini di sua maestà britannica a fare il primo passo. Nell’estate
del 1910 gli scozzesi W.N. Ling e H.
Raeburn scelgono la linea più accessibile della muraglia ombrosa, uno
scivolo elegante che conduce direttamente sulla cresta ONO. Per raggiungerne la base e per ripartire i pesi dei
viveri, in quanto intendono in un paio
di giorni arrivare fino al Maloja, ingaggiano la Guida Casimiro Albareda.
Salgono dalla val Sissone, Albareda pensa vogliano varcare il passo
di Mello, ma quando capisce, più
dai gesti che dall’incomprensibile
idioma, il vero obiettivo, esclama:
“impossibile!” e scende a valle. Dopo
un bivacco in una zona di mughi, si
incamminano alla luce della lanterna,
passando sotto il pizzo Ventina e
cercando il percorso migliore tra un
groviglio di seracchi e una selva di
crepacci dalle fauci spalancate, come
piante carnivore che aspettano la
preda: del resto sono conterranei di
Estate 2010
Ernest Shackleton, l’esploratore dei
ghiacci antartici.
Raeburn, che è un tipo preciso, ha
il tempo di estrarre il clinometro che
si è portato nello zaino e misurare la
pendenza: 62° per un breve tratto e
una media di 52°! In poco più di 8 ore
toccano la cresta ONO e per questa il
punto più alto della montagna.
E’ la via degli Inglesi o lo
Spigolo degli Inglesi, così
passerà alla storia la loro
intuizione.
Le Montagne Divertenti O
rmai anche questo angolo che
domina i prati di Pian del
Lupo e la secolare strada del passo
del Muretto, ritenuto fino ad ora
inaccessibile, non è più un’incognita.
Harold Raeburn compirà numerose
ascensioni nel Caucaso e in Himalaya, e sarà capo spedizione di George
Mallory nel 1921 all’Everest, ma il
Disgrazia rimarrà per lui una delle sue
più belle avventure.
inque anni dopo (1915)
saranno due italiani i primi a
ripetere le gesta degli scozzesi: Angelo
C
Calegari e Gaetano Scotti, alpinisti
tra i più attivi in quel periodo. Nel
1911 i due, con Romano Calegari
fratello di Angelo, sono stati i precursori sullo spigolo N del Badile, grandiosa ascensione che non è stata però
“omologata” perché avvenuta in due
tempi, cioè i primi due terzi dal basso,
e l’ultima parte raggiungendo il punto
del precedente ritiro, in calata dalla
cima.
Monte Disgrazia (m 3678)
17
Speciali d'estate
Storia alpinistica
guide. Una crepaccia terminale con
la bocca troppo aperta li costringe ad
un largo giro dalle parti dell’attacco
dello Spigolo degli Inglesi, poi - una
volta superata - obliquano verso il
grande sdrucciolo della N. Ne divorano un gran pezzo, ma quando giungono davanti alla strozzatura dove il
pendio si impenna, sembrano esitare,
deviano a destra su un muro roccioso
meno repulsivo ed escono sulla cresta
ONO, poco a monte della via di Ling
e Raeburn.
3
2
E’ un passo avanti, non c’è
dubbio, ma non è ancora la
perfezione della diretta.
B1
Giacomo Fiorelli a sinistra e Aldo Bonacossa
(1885-1975) a destra.
Ignazio Dell'Andrino, una delle prime Guide
della Valmalenco, ha aperto la "Corda Molla".
Giacomo Schenatti (1903-1989, foto Jacopo
Merizzi).
La Corda Molla e le grandi
creste
farà la prima ripetizione nell’estate
del 1928 e pubblicherà, cosa che non
fecero gli apritori, una dettagliata
descrizione della via.
Del resto quella linea Corti l’aveva
studiata nei minimi particolari e
ne avrebbe sicuramente portato a
termine la prima ascensione se solo:
“…nel 1914 la guida Ignazio
Dell’Andrino che dagli amicali parlari
conosceva tutti i miei propositi e i miei
studi, sollecitava l’amor proprio e la
liberalità di un fortunato Sucaino (della
sezione universitaria del Cai) della
tendopoli del Pian del Lupo (B. De
Ferrari), e saliva il Disgrazia per quella
cresta settentrionale che più volte aveva
sentito da me descrivere e illustrare.
Il Dell’Andrino, migliore di tanti altri
alpinisti, parlò con me raramente di
quella salita, e sempre come di un’azione
che gli rimordeva e della quale nessun
vanto poteva sentire: non ne ebbi mai
neppure le notizie di dettaglio…”4
A
ldo Bonacossa e P.I. Torti, nel
luglio del 1911 percorrono per
primi la cresta SE partendo dal passo
di Cassandra. Questa bella scalata sarà
completata con la traversata fino al
passo di Mello nel 1930 per mano di
Alfredo Corti e Antonio Lucchetti
Albertini.
n altro attraente crinale delimita a meridione il bacino
della val Sissone e lo separa da quello
della val Ventina: è la cresta ENE
toccata brevemente e subito abbandonata per l’alta difficoltà dalla cordata
dei fratelli Pilkington nel corso
dell’apertura della loro via nel 1882.
Lo spartiacque inizia pianeggiante su
rocce monolitiche rosso fuoco fino
all’esile mezzaluna di neve che, come
una corda lasciata lasca, regala al
Disgrazia un nome finalmente simpatico: Corda Molla, termine perfetto
che dobbiamo alla fantasia di Alfredo
Corti. Quando la “corda” termina,
contro le rocce che sostengono la
cima, un astuto percorso individuato
ancora una volta da una guida della
Valmalenco, Ignazio Dell’Andrino,
con B. De Ferrari, permette di salire
senza troppe difficoltà fino in vetta.
Questo itinerario inaugurato nel
1914 diventerà, a ragione, uno dei
più apprezzati. Alfredo Corti con il
fratello Plinio e Augusto Bonola ne
U
18
Le Montagne Divertenti S
4
3
2
1
4 - Racconto di Alfredo Corti sulla Rivista mensile
del Cai novembre/dicembre 1929 - tratto da Il Picco Glorioso – Ascensioni al monte Disgrazia di
membri dell’Alpine Club ed. Tararà Verbania 2007
1- Via Diretta (Schenatti/Albertini)
2- Seracco Diretto (Riva/Della Santa)
3- Via del Cinquantenario (Bianco/Magliano)
4- Seracco Linea di Sinistra (Mauri/Piazza/Aldè/Ferrario)
B1- Linea di discesa del Bianco del 28/06/1981
Monte Disgrazia, parete N (15 luglio 2007, foto Mario Sertori).
Il capolavoro di Giacomo
Schenatti
P
4 agosto 1933. Folatti, Corti e Mitta bivaccano alla base delle parete N del Disgrazia.
Estate 2010
assano quasi 20 anni prima
che un team di illustri alpinisti e guide di polso provi a risolvere
in modo diretto il problema posto
dalla parete N. Lo Spigolo degli inglesi
infatti è molto laterale rispetto alla
cima e fa luce su un settore periferico
rispetto al cuore della N. E’ la mattina
del 5 agosto del 1933 quando Luigi
Bombardieri, figura di primo piano
Le Montagne Divertenti dell’alpinismo valtellinese con la sua
guida di fiducia, il malenco Cesare
Folatti, attacca la N con Alfredo
Corti5 e Peppino Mitta, due alpinisti di rango con due eccezionali
5 - Alfredo Corti (1880 – 1973), membro del Club
Alpino Accademico Italiano, professore universitario e naturalista, è una delle figure più importanti
espresse dall’alpinismo valtellinese del ‘900. Fu un
instancabile esploratore dei gruppi del Bernina e del
Disgrazia. Univa alla passione per la scoperta e al
piacere dell’azione, una raffinata intelligenza e notevoli capacità divulgative che lo portarono a pubblicare la Guida sul Bernina, oltre a molti articoli monografici.
arà Giacomo Schenatti, con
Antonio Lucchetti Albertini,
un anno dopo a portare a compimento quello che fino ad ora era
stato solo pensato. Schenatti anticipa
a luglio la data dell’ascensione, forse
per non farsela soffiare (ci sono già
stati 3 tentativi) o forse perché troverà
la neve meno dura, ma dovrà fare i
conti anche con le rocce più innevate,
o peggio ghiacciate, sotto la cima. La
guida di Chiesa Valmalenco ripercorre
le tracce dei suoi predecessori e, dove
il pendio si inviperisce, non retrocede,
non si scoraggia, ma con pazienza
continua a creare a colpi di piccozza
una minuscola e infinita scala nel
ghiaccio, che permetterà a lui ed al
cliente di avanzare.
una lotta titanica dove non è
permesso sbagliare: Giacomo
che si è ingaggiato per risolverla, lo sa
bene, ma il piombo della responsabilità è tutto nel suo zaino. Intanto dai
pascoli di Forbicina, il Professor Corti
tiene sotto osservazione la cordata con
il cannocchiale, la segue passo dopo
passo quasi ne fosse il terzo componente.
E’
Ci sono volute 13 ore e
mezza per questa impresa, e
fa riflettere il fatto che non
abbiano piantato nemmeno
un chiodo durante la
progressione.
U
n errore che da anni si trascina
nella letteratura alpinistica
Monte Disgrazia (m 3678)
19
Speciali d'estate
è la convinzione che Schenatti e
Albertini siano usciti dalla parete N
non dal colle sulla dx, ma salendo
direttamente l'impressionante bastionata rocciosa sotto la cima. Secondo
Jacopo Merizzi e Bianco Lenatti,
ciò non corrisponde al vero perchè
su quei roccioni vi sono problemi
alpinistici che all'epoca sarebbero
stati impossibili, specie dopo 8 ore
di lotta coi ghiacci. Bianco, a prova
di ciò, ricorda un consiglio che anni
fa gli aveva dato lo stesso Giacomo
Schenatti: "Se scendi con gli sci esattamente sulla mia linea di salita, io
credo tu possa farcela a vincere quella
parete." E ciò, ovviamente, esclude
passaggi su rocce verticali!
iacomo Schenatti non farà nel
corso della sua carriera altri
grandi exploit, ma sarà ricordato da
tutti gli scalatori per quel suo favoloso giorno da leone. Il suo cliente
gli sarà riconoscente per avergli dato
emozioni e lustro ricompensandolo con 300 lire di allora, che tutto
sommato erano una bella cifra.
G
Giacomo fece subito un
investimento, non in
buoni del tesoro ma in una
pregiata mucca da latte e gli
rimase ancora abbastanza
per passare un inverno in
tranquillità.
Nello Corti (foto Jacopo Merizzi).
20
Le Montagne Divertenti Storia alpinistica
Rossano Libera (2007, foto archivio Libera).
Jacopo Merizzi e Giovanni Pirana (2009, foto archivio Merizzi).
E
’ curioso il fatto che in una
corrispondenza con il professor Corti, E. L. Strutt, presidente
dell’Alpine Club ed editor dell’Alpine
Journal, a commento dell’exploit di
Schenatti e Albertini, faceva rilevare
come il problema della parete N fosse
già stato risolto dai suoi connazionali
nel 1910 e che le tendenze, a suo dire
estreme, dell’alpinismo continentale
stavano avviando questa nobile arte
verso un sicuro declino.
Prime ripetizioni, varianti e
macabre discese
Il 1941 fa registrare la prima ripetizione della N da parte di Carlo Negri
e Fausto Rovelli; i due non seguono
però le orme di Schenatti se non nella
parte alta. Attaccano la crepaccia
terminale sulla verticale del seracco,
quindi scalano la costola rocciosa che
come un muro di contenimento lo
delimita sulla destra, piantano alcuni
chiodi e superano difficoltà elevate.
La discesa dalla cima avviene nella
tormenta tra folate furiose di vento
gelido e nebbie fittissime. Credono di
essere sulla via Baroni, ma il terreno
più impegnativo li costringe ad una
corda doppia.
Un’atmosfera macabra li
avvolge: approdano ad una
grotta dove si imbattono nei
resti mortali di una cordata
scomparsa diciassette anni
prima.
Un avvincente e drammatico
racconto verrà pubblicato a firma di
Carlo Negri sul bollettino del Cai
n°78 del 1946.
egli anni successivi saranno
aperte diverse varianti, di
cui forse la più significativa è quella
dell’agosto 1960 di Carlo Mauri e
Dino Piazza con R. Aldè e B. Ferrario che aggira e supera a sinistra il
seracco che incombe sulla N.
Sempre nel 1960, la parete viene
percorsa per la prima volta nella
stagione invernale; protagonisti della
performance sono alcuni fortissimi
scalatori lombardi: Vasco Taldo (qualche mese prima ha aperto con Nusdeo
la mitica via sul Picco Luigi Amedeo
in Valmasino) e Romano Merendi
con E. Lazzarini e E. Colonaci.
el 1940 è ancora Alfredo
Corti, questa volta con il figlio
Nello e Peppo Perego, a scoprire
una nuova possibilità sulla parete N
della vetta centrale. I tre pernottano
al bivacco Taveggia, posto nel 1929
su iniziativa del CAAI a 2845 metri,
poco sotto il colletto dove ha inizio la
cresta E della Punta Kennedy. Individuano una linea su roccia solida e
superano la muraglia che si affaccia
sul bacino superiore della Ventina,
poi un ultimo tratto sulla cresta SE
li porterà ancora sul vertice del gran
monte.
uattro anni dopo (luglio
1944) è un altro appassionato del Disgrazia, l’attivissimo alpinista milanese Nando Grandori ad
aprire con B. Perotti una via rocciosa
sempre sulla bastionata NE, ma
questa volta della vetta orientale.
N
N
Q
Estate 2010
Solitari e insubordinati
Nell’estate del 1973 un quattordicenne scavezzacollo scappato da
scuola si improvvisa esploratore e
cavalca da solo la Corda Molla. E’
Jacopo Merizzi che da quell’esperienza adolescenziale “prenderà i voti”
per la professione e diventerà una delle
più celebri Guide Alpine italiane. Tre
anni dopo è la volta di un altro spirito
libero, Giovanni Pirana, un giovane
di Sondrio che vuole sfatare il nomignolo sassista, cioè scalatore di sassi,
con il quale i severi dignitari del CAI
di Sondrio hanno definito il gruppetto di ragazzi di cui fanno parte lui
e Jacopo, i primi ad arrampicare in
val di Mello. Giovanni in poco tempo
infila una serie di solitarie a itinerari
delle Alpi Centrali di notevole impegno e difficoltà, quelle dove anche i
migliori alpinisti in cordata devono
sgomitare per riuscire a passare.
A 17 anni supera, con il vecchio stile
(una sola piccozza), la N del Disgrazia in sei ore e mezza dal bivacco
Oggioni. Nell’inverno del 1992 l’avventura senza compagni sulla stessa
via sarà ripresa da Fabio Salini, alpinista di spessore e Guida Alpina di
Morbegno. Nel settembre del 1979
si tiene in val Malenco il modulo di
ghiaccio e misto del corso di formazione per Guide Alpine, allora su base
nazionale. Il Disgrazia ovviamente si
presta ottimamente per mettere alla
prova gli allievi, è la lavagna dove
ognuno deve saper tracciare un suo
schema logico e sicuro. Sono prese di
mira le vie più impegnative, del resto
i professionisti devono dimostrarsi
Le Montagne Divertenti Norberto Riva (1983, foto archivio Riva).
Marco Della Santa (1983, foto archivio Riva).
all’altezza su ogni tipo di terreno.
Oltre le ripetizioni spunta una
nuova linea, per la verità molto
evidente, sulla NE, tra la cima orientale e centrale, scovata da un team un
po' speciale. A capo di questa ciurma
e direttore del corso è Luigi Mario
detto Gigi, un romano che ha contribuito ad innovare il mondo verticale
dagli anni ’60 in avanti. Tra i puledri
recalcitranti c’è Renato Casarotto6
uno degli scalatori italiani che ha
segnato, in pochi anni, l’alpinismo
internazionale con realizzazioni di
alta difficoltà e eccezionale impegno.
Sarà proprio per il comportamento
anarchico del vicentino, se la via verrà
chiamata Couloir dell’insubordinato:
Renato infatti, sentito profumo di
ghiaccio e trovandosi perfettamente
nel suo ambiente, partirà a razzo
slegato sul ripido canale costringendo
Gigi Mario, pur di larghe vedute, a
riportare nei ranghi lo scapestrato.
n altro appassionato dell’aria
selvatica di queste lande è
Rossano Libéra, un solitario di
ritorno, nel senso che dopo 20 anni di
aperture estreme con il fratello Valentino sui graniti ruggenti della Bregaglia, ha scelto di ballare da solo sulle
punte dei ramponi. In questo stile la
Guida Alpina di Novate Mezzola, tra
i migliori alpinisti italiani dell’ultimo
decennio, ha risolto nella stagione
invernale alcuni grandi rebus verticali
delle Alpi Centrali, uno per tutti la via
Cassin al Badile.
U
6 - Renato Casarotto (1948 - 1986) celebre per le
grandiose realizzazioni in solitaria tra cui N dello
Huascaràn, pilastro N del Fitz Roy, McKinley per la
cresta SE; prima invernale solitaria alla Gervasutti
sulla E delle Grandes Jorasses. Ma la più impressionante è la cosiddetta Trilogia invernale del Freney:
senza contatti e in piena autonomia sale in successione la O dell’Aiguille Noire (Ratti-Vitali), il Pic Gugliermina (Gervasutti-Boccalatte) e il Pilone centrale
(Whillans-Bonington) rimanendo 2 settimane imprigionato in uno dei luoghi più inospitali delle
Alpi, nel gelo dell’inverno e uscendo nella bufera sulla cima più alta d’Europa. Morirà nel 1986 al rientro
dall’ennesimo tentativo solitario alla Magic Line del
K2, cadendo in un crepaccio vicino al campo base.
Sul Disgrazia è approdato,
come un naufrago su uno
scoglio sconosciuto, nel
giugno del 2006 e nel giro di
pochi giorni si è rosicchiato il
Supercouloir e l’Insubordinato
mettendo a segno due
esplosive prime solitarie
(senza corda).
Grandi vie in velocità per i
Ragni di lecco
Una bella performance è quella
del gennaio del 1983 dei Ragni di
Lecco Norberto Riva e Marco Della
Santa7, specialisti del ghiaccio a 90°.
Dopo un paio di giorni di inattività
passati al riparo del bivacco Oggioni
a causa della meteo avversa, i due non
vedono l’ora di adottare la neonata
tecnica della piolet – traction8 anche
sul Disgrazia e si dirigono verso un
ripidissimo colatoio con alcune splendide cascate di ghiaccio a destra dello
Spigolo degli Inglesi. In poche ore
7 - Marco Della Santa (1960-2003), Guida Alpina
di grandissimo valore, è scomparso nell'ottobre
2003 precipitando dallo spigolo del Nibbio.
8 - Nuova tecnica di arrampicata su ghiaccio messa a
punto dagli alpinisti scozzesi alla fine degli anni ‘60
che ha rivoluzionato la scalata glaciale, prevede l’utilizzo di due corte ed aggressive piccozze e permette il
superamento di pareti verticali.
Monte Disgrazia (m 3678)
21
Speciali d'estate
superano i seicento metri di parete e
inventano il Supercouloir, nome che
richiama uno splendido itinerario
sul Mont Blanc du Tacul, considerato
una pietra miliare della nuova progressione glaciale. Ritornano al bivacco
divallando dallo Spigolo degli Inglesi
e il giorno successivo, come defaticamento, giocano con il vuoto sull’inquietante seracco della N; lo superano
in modo diretto con alcune lunghezze
molto sostenute, dando prova di
abilità tecnica e pelo sullo stomaco,
sospesi come formiche sulla prua sfuggente di un vascello gigantesco.
A dimostrazione della loro confidenza con questo luogo alto, scendono dalla Corda Molla, compiendo
così in due soli giorni uno dei più
insoliti viaggi sul versante settentrionale del Disgrazia.
Su un tracciato mozzafiato che, a
goccia d'acqua dalla vetta, passando
nel centro del Seraccone e sulle imponenti placconate sommitali, si ingaggia nell’estate del 1984 – addirittura
con un cliente (Alberto Magliano)
- un temerario ventisettenne noto alle
cronache per le sue folli discese con sci
dalle più scoscese pareti ghiacciate delle
Alpi Centrali: è Giancarlo "Bianco"
Lenatti, che battezza la sua creatura
Via del Cinquantenario.
Passando al versante di Predarossa, è
del 1990 una linea inedita di misto che
percorre alcuni colatoi poco accennati
Solo Roccia
Nel 1988 sul Disgrazia, o meglio,
sulla parete O della cima orientale,
viene aperto per mano dei milanesi
Lorenzo Meciani e Dario Bambusi
Sulla strada della follia, una via di pura
roccia, una linea finalmente libera
da collusioni glaciali. Cinque anni
dopo una cordata di sondriesi, Celio
Giatti, Mario Vannuccini e Dante
Barlascini, esplora un altro settore di
questa articolata scogliera e sul pilastro più a valle disegna Californian
climber.
Il Disgrazia di Benigno
Un capitolo speciale della storia
della montagna porta la firma di
Benigno Balatti, Accademico del
CAI di Mandello del Lario classe
1954, che ha scelto il Disgrazia per
sviluppare il suo alpinismo di ricerca.
E’ del giugno 1985 la sua prima via
nuova sulla parete N E, seguita a
ruota da una seconda a pochi giorni
di distanza. Da allora Benigno, spesso
in compagnia della moglie Giovanna
Cavalli, traccia sulla montagna ben
Storia d'amore d'altri tempi
A
lfredo Corti ebbe un lunghissimo rapporto di amicizia con i
coniugi Marco e Rosa De Marchi, illuminati filantropi milanesi. Con
il loro sostegno finanziario riuscì a
realizzare nel 1913, poco sotto la
vetta del Bernina, il rifugio Marco e
Rosa (De Marchi, appunto).
a l’amicizia con i coniugi De
Marchi ebbe anche un’altra
curiosa appendice. In quel
periodo i De Marchi avevano chiamato direttamente dall’Inghilterra a
dirigere la scuola infermiere da loro voluta a Milano, la giovane e dinamica Helen Hamilton. Il Corti, che
frequentava i De Marchi ancora più
assiduamente dopo la costruzione
del rifugio, ebbe modo di incontrare
Helen nell’estate del 1914 e le propose la salita al monte Disgrazia. Lei,
che non era mai stata su una montagna, accettò la sfida e il 2 ottobre
1914 raggiunse con lui la vetta.
M
22
Le Montagne Divertenti Le discese estreme
del Bianco
che guardano occidente; autori sono
tre esponenti di spicco della sezione
valtellinese del CAI: Luigi Pasini,
Angelo Libera e Celio Giatti.
A
lfredo Corti aveva 34 anni e restò folgorato dalle capacità e
dalla caparbietà di quell’inglese,
all’apparenza fragile.
Racconta il figlio Nello che, arrivati a valle, suo padre Alfredo ebbe uno dei suoi rarissimi
momenti di affettuosità e le chiese:
- Signorina, che ne direbbe di sposarmi?
Intro Mario Sertori - intervista Beno
Benigno Balatti (foto Danilo Valsecchi).
20 itinerari, tutti di alto contenuto
tecnico, percorsi dove spesso il ghiaccio sottile si insinua tra le rocce e
richiede una scalata delicata e ricca
di fantasia. Qualità che certo non
manca allo scalatore di Mandello che
scopre tra le pieghe del grande scoglio
sempre nuove piste, che poi segue
come un segugio innamorato della
sua preda. Anche nel 2009 ha trovato
e salito una linea inedita dalle parti
del seracco sotto la cima orientale e ha
già affermato che probabilmente non
sarà l’ultima…9
9 - Hanno contribuito alla ricerca fotografica per il
ricco corredo di questo articolo: Giuseppe Miotti,
Jacopo Merizzi, Antonio Boscacci, Danilo
Valsecchi e Beno.
Antonio Boscacci
Due mesi dopo, il 5 dicembre 1914,
divenne sua moglie.
D
P
opo di che divenne rosso come
un peperone e non parlò più
per tutto il viaggio di ritorno in
treno fino a Milano.
assarono così cinque giorni e al
sesto si vide convocato dai De
Marchi per un colloquio.
Presagendo rimproveri e sventure si
avviò a piedi meditando sulla sua stupidità. Quale non fu però la sua sorpresa, quando si vide venire incontro
Helen Hamilton che, sorridendo, lo
guardò e gli disse: -Yes, si può fare.
Alfredo Corti e Helen Hamilton in vetta al
Disgrazia (2 ottobre1914, archivio Corti).
Estate 2010
Il Bianco e il Disgrazia dal rifugio Marco e
Rosa (21 aprile 2010, foto Beno).
Giancarlo Lenatti detto "Bianco" è l'artefice
di discese di sci estremo sul versante N del
monte Disgrazia. Bianco, Guida Alpina classe
1957, attualmente gestisce il rifugio Marco e
Rosa sulla spalla del Bernina.
Le Montagne Divertenti Monte Disgrazia (m 3678)
23
Speciali d'estate
N
on solo percorsi verso
l’alto: sul Disgrazia
ci sono da segnalare
anche discese con gli sci su
pendii vertiginosi. Grande
interprete di questa selettiva
disciplina, che non ammette
tentennamenti e tantomeno
errori, è stato Giancarlo
Lenatti, uno scarmigliato
malenco doc, discendente di
una stirpe di Guide Alpine
valorose e Guida lui stesso.
Il “Bianco” - come è conosciuto
nell’ambiente - dopo aver setacciato
come un cercatore d’oro ogni anfratto
del Bernina alla volta di canali e pareti
da domare con le assi ai piedi, scopre le
pepite più scintillanti sulla montagna di
casa: nel 1979 compie la prima discesa
con gli sci della via degli Inglesi, poi alza
ancora il tiro (o meglio l’inclinazione) e
dopo numerose altre discese e un terrificante infortunio, realizza nel 1986 la
linea mozzafiato della nord: un capolavoro al cardiopalma mai eguagliato.
------------Ora il Bianco gestisce il rifugio
Marco e Rosa al Bernina, così nel mese
di aprile sono salito per intervistarlo e
farmi raccontare del suo Disgrazia e di
quelle folli discese che hanno fatto la
storia dello sci estremo.
«C
os'è che ti ha affascinato del
Disgrazia e dello sci estremo?»
«Il Disgrazia è la mia montagna di
casa. Abitavo a Chiareggio e da lì vedevo
24
Le Montagne Divertenti quell'impressionate parete che sembrava
lanciarmi sfide tutti i giorni.
Lo sci che tu chiami "estremo" in
realtà per me era inizialmente solo un
metodo per scendere con poca fatica dalle
montagne. Avevo una buona tecnica e
non avevo paura delle pendenze, così,
dall'adolescenza, ho iniziato a percorrere
tutti i canali della Valmalenco.»
«Q
uando ti è venuta l'idea sciare
il versante N del Disgrazia?»
«Dalla stagione 1978/79 ho cominciato
a mettere gli occhi sulla parete N, ma per
fare discese di questo tipo bisogna sapere
aspettare le condizioni giuste, sia della
parete che psicologiche, o ci si ammazza.
Nello sci estremo non sono ammessi
nè errori, nè ripensamenti: da quando ti
butti non puoi più fermarti fino in fondo.
Sono una sorta di "caduta controllata".»
«C
om'è continuata l'avventura?»
Continuavo a salire, ma la
Diretta non era mai in condizione. Nel
frattempo nel 1979 sono sceso dallo
Spigolo degli Inglesi, quindi tra il 1979
e il 1981 ho tracciato altre 5 linee sul
versante settentrionale della montagna.»
«C
os'è che rende la discesa per
la Diretta così speciale e più
complicata delle altre?»
«E' una discesa di 6-7 minuti, 650
metri di dislivello, ma il problema sta nel
seracco centrale. C'è un passaggio in una
strozzatura ghiacciata che supera i 65°
e che era ritenuto "impossibile", ma io
credevo di potercela fare. Altri 5-6 atleti
stavano curando il Disgrazia: era una
discesa prestigiosa.»
Estate 2010
«Q
uanti tentativi hai fatto?»
Non ho mai tenuto il conto, ma moltissimi. Facevo tutto in segreto perché la
mia famiglia non si preoccupasse. Pensa
che una sera di luglio, finito di far fieno
con mio padre, ho aspettato che andasse
a letto per scappare senza dir nulla. Avevo
nascosto gli sci vicino al torrente. Quella
notte sono salito in vetta accompagnato
dalla luna piena, ma non c'erano le
condizioni, allora sono ridisceso dalla
Corda Molla e alle 7 del mattino ero di
nuovo "dietro a fieno" senza che nessuno
si accorgesse di niente! In seguito, per
facilitarmi la vita, lasciavo sempre un paio
di sci al bivacco Oggioni, tanto per non
doverli sempre portare da casa.»
«P
oi so del grave infortunio...»
Sì, nel settembre del 1982 ho avuto un
bruttissimo incidente sul canalone del
Sella: ho sbagliato a saltare con gli sci un
grande crepaccio e mi sono schiantato
contro il bordo opposto, per poi finirci
dentro: in quegli anni avevo acquisito
quella pericolosa convizione che nulla era
per me impossibile e mi stavo prendendo
dei rischi pazzeschi. L'incidente mi ha
causato 80 fratture. Ero così malconcio
che i medici dicevano che a stento sarei
riuscito nuovamente a camminare.
Non ci volevo credere, così ho iniziato
a lottare contro questo destino e a Natale
ero nuovamente sugli sci: un miracolo!»
«Q
uali sono stati gli strascichi di
quella disavventura?»
«Una gamba non funzionava più bene e
non c'era niente da fare. Mi faceva male.
Le Montagne Divertenti Il ginocchio mi si gonfiava sempre come
un pallone, ma io, testardo, continuavo
a fare la Guida e a caricarlo. A livello
psicologico penso che l'incidente mi
abbia insegnato a riflettere meglio sulle
cose e a meglio valutare i rischi. E' stato
provvidenziale per affrontare la N con
più consapevolezza. Prova ne è che le mie
linee più interessanti, come il verticale
Canalone Folatti, le ho tracciate dopo
questa disavventura.»
«E
quando il grande giorno?»
«Il 4 luglio 1986 sono salito
dalla Diretta al Disgrazia in compagnia di
Floriano Lenatti, Bobi e Fausto Pedrotti.
Salire la via a piedi prima di scendervi è
fondamentale per verificare le condizioni
del ghiaccio. Ho capito che era la giornata giusta e mi sono lanciato.
Il seracco centrale, 65° di ghiaccio vivo,
poi l'ho vinto nell'unico modo possibile:
punte a valle finché le pendenze tornavano "sciabili". Solo allora sono riuscito a
riprendere il controllo della situazione. E'
stato un bel brivido: ho raggiunto velocità folli, ma era fatta1!
Quel giorno poi le condizioni erano
particolarmente buone, così sono risalito
ed ho ripetuto lo Spigolo degli Inglesi che
avevo già fatto 7 anni prima, ma allora
nessuno mi aveva visto.»
«C
osa pensi ora quando guardi il
Disgrazia?»
«Ho rispetto di questa grande montagna che, dopo tutto, mi fa ancora paura.»2
1 - La linea di Bianco è la n. 1 a pagina 19.
2 - La immagini a corredo sono tratte dal documentario sull'impresa del 4 luglio 1986 "Abisso nella
mente" e digitalizzate da Massimo Murada, più una
diapositiva inedita di Jacopo merizzi.
Monte Disgrazia (m 3678)
25
Geologia
Alpinismo
magnifiche emozioni
Geologia dell'area del Disgrazia
Testi e foto Franco Benetti
l Monte Disgrazia, tutto
Iappartiene
in territorio italiano,
principalmente a
tre valli: alla val Masino a S ,
alla val Torreggio a SE e alla
Valmalenco a N. Il Gruppo
del Disgrazia dal punto di
vista geologico si trova tutto
compreso nelle cosiddette
Pennidi medio-inferiori,
formate prevalentemente dalle
cosiddette rocce verdi.
a Sella di Pioda si trova
proprio nel punto di
incontro delle due importanti
formazioni che caratterizzano
queste valli: le serpentine
che esauriscono la propria
espansione verso O proprio
qui e sul versante SO della
valle di Preda Rossa, e i
graniti, rocce appartenenti
al plutone intrusivo della
val Masino-val Bregaglia-val
Codera che esauriscono la
propria spinta verso E proprio
in valle di Preda Rossa.
L
L'
Domenica 13 giugno
9ª SkyRace Internazionale 2010
gara di corsa in montagna tra
Italia e Svizzera sui sentieri storici
dei contrabbandieri
VALMALENCO - VALPOSCHIAVO
Domenica 4 luglio
Mangialonga in contrada
alla scoperta delle contrade
con tutti i gusti dei veri sapori
Malenchi
CONTRADE DI CHIESA IN VALMALENCO
Luglio - Agosto
In montagna con la Guida
escursioni per adulti e bambini
nel gruppo del Bernina
con le Guide alpine
e gli Accompagnatori di media
montagna della Valmalenco
20-21-22 agosto
Dai funghi alle erbe spontanee
di montagna
un fine settimana “gustosamente”
autentico: degustazioni, mostre,
e una grande polenta e funghi
per tutti.
CASPOGGIO
Luglio - Agosto
Una montagna di suoni
concerti in alpeggio
Domenica 18 luglio
Alpe Prabello - Rifugio Cristina
Sabato 24 luglio
EcoMuseo della Bagnada
Domenica 8 agosto
Alpe Laricini/Val Sissone
Rifugio Tartaglione
Mercoledì 18 agosto
Rifugio Marinelli Bombardieri
18-19 settembre
Festa dell’Alpeggio
il ritorno delle mandrie
dall’alpeggio: tradizioni,
gastronomia e folclore in una festa
“unica” della gente Malenca
CHIAREGGIO
dal 27 novembre
all’ 8 dicembre
Uomini e Montagne 2010
...per chi ha la montagna
negli occhi e nel cuore:
mostre, esibizioni, spettacoli,
convegni, ski and snow
Per informazioni su tutto il calendario delle manifestazioni
26
www.sondrioevalmalenco.it
[email protected]
tel. 0342-451150
Le Montagne Divertenti Operatori turistici,
Associazioni, Cittadini
Estate 2010
unità Malenco è costituita
dalle cosiddette rocce verdi o
serpentiniti e occupa un'area di circa
170 km² di cui ben il 90% in Valmalenco; il serpentino è composto prevalentemente da una roccia scistosa ad
antigorite, olivina, diopside, clorite e
magnetite (ma possono essere presenti
anche metagabbri, pietra ollare, talcoscisti, ecc...); assume spesso una colorazione rossastra dovuto all’alterazione
degli abbondanti minerali ferrosi in
essa presenti e questa sua caratteristica
giustifica la denominazione di molte
località della Valmalenco, per esempio
Corna Rossa, valle di Preda Rossa o
Corni Bruciati.
Se il serpentino è la roccia dominante in val Ventina, bisogna anche
dire che la conformazione geologica
della zona è piuttosto complessa,
dato che appena al di là del versante
orografico, nell'area del lago Pirola,
compare un altro tipo di roccia, il
gabbro. Il lago infatti riempie parte di
Le Montagne Divertenti Calcefiri in alta Val sissone (11 settembre 2009).
una spaccatura naturale che divide le
serpentine da quest’altra roccia metamorfica - ma di origine magmatica
intrusiva - che costituisce la sponda
settentrionale del lago e da qui prosegue fino al passo del Muretto; questo
gabbro è molto bello, verde screziato
da venature bianche, ed utilizzabile
anche per essere lavorato come pietra
decorativa o per creare oggetti ornamentali.
Dai dintorni dell'alpe Zocca o
dell'alpe Sentieri, sul versante opposto della val Ventina è possibile avere
una visione di tutto il circo di cime
che vanno dal passo di Mello fino
alla cima Vazzeda e quindi al monte
del Forno e rendersi conto di come la
conformazione delle cime cambi decisamente al di là della valle dove dominano pareti verticali di granito, creste
affilate e cime appuntite.
In val Sissone si è nel regno delle
rocce magmatiche intrusive o granitoidi, quelle che fanno da padrone
nell'ambito del plutone MasinoBregaglia, e delle rocce metamorfiche,
cioè quelle che hanno subito mutamenti vari a contatto con il magma.
Si passa così dalle pareti granitiche
del monte Sissone o delle cime di
Chiareggio con la punta Baroni, ricca
di minerali di terre rare, alla bianca
Cima di Vazzeda ricca di marmi,
rocce chiare di origine sedimentaria,
o il monte del Forno con le sue anfiboliti, antiche lave metamorfosate di
colore scuro, ricche di minerali come
il granato, la clinozoisite o l'epidoto,
fino ai gabbri del monte dell'Oro.
Milioni di anni fa proprio l'effetto
del metamorfismo di contatto tra il
magma (rocce fuse del plutone) sulle
rocce serpentinose ha fatto sì che si
formassero quei cristalli di minerali
particolari e anche rari che da secoli
fanno la gioia di studiosi e appassionati di mineralogia che della Valmalenco hanno fatto il loro "paese del
Bengodi".
Monte Disgrazia (m 3678)
27
Geologia
Speciali d'estate
Berillo acquamarina della Val Sissone.
Principali minerali segnalati
nell'area del Monte Disgrazia
e più recenti ritrovamenti
Le valli che scendono dal Disgrazia e soprattutto la valle Torreggio, la
valle di Preda Rossa e prima tra tutte
la val Sissone sono ricche di minerali e
di cristalli ricercati in tutto il mondo.
l versante N del Disgrazia si
affaccia proprio sulla valle più
ricca in assoluto di specie minerali,
la val Sissone. Per citare solo alcuni
dei minerali della zona val SissoneVazzeda-Forno: le multicolori grossularie, gli spinelli azzurri e viola, i
rarissimi minerali di terre rare della val
Sissone: ekanite, tapiolite, xenotime,
allanite, zirchelite. Il crisoberillo e le
spessartine color rubino del Vazzeda,
la rara helvite e le azzurre acquemarine della zona del Forno, la clinozoisite cangiante dal giallo al verde
più intenso, il diopside, la rodonite,
la molibdenite in cristalli laminari
esagonali, la scolecite in suggestivi
ciuffi di cristalli bianchi e la meionite
dai lunghi cristalli prismatici trasparenti, tutti minerali che discendono
da un pezzo di fondo marino portato
fin quassù dall'orogenesi alpina. Il
fenomeno del ritiro dei ghiacciai
ha ampliato notevolmente l'area di
ricerca. Recentemente proprio nella
zona da poco scoperta dai ghiacci
sono stati segnalati nuovi filoni con
cristalli di berillo, epidoto e tracce di
I
28
Le Montagne Divertenti diopside azzurro, idrossiapofillite con
stellerite e prehnite verde.
Nelle microcavità di un filone di
pegmatite dell’alta valle, I. Foianini
e G. Schenatti hanno rinvenuto
nell’estate del 2008, dei bei ciuffi di
cristalli di bavenite e cristalli tabulari
di bertrandite, entrambi minerali
nuovi per la Valmalenco, associati a
due minerali ancora in fase di studio e
a cristalli prismatici esagonali di milarite, minerale già segnalato a Tanno e
in val Codera, ma mai in Valtellina.
E’ poi comparso sul numero di
gennaio 2009 della autorevole rivista
mineralogica tedesca “Lapis”, un arti-
colo a firma di alcuni geologi cechi,
J. Cicha, J. Franck e F. Krejka, che
alla quota di circa m 2760 a SO della
cima di Rosso, si sono imbattuti in
una fessura ricca di cristalli di quarzo
affumicato.
Un ritrovamento insolito
ed importante per la zona
poiché i cristalli di quarzo
raggiungono una lunghezza
di 33 cm e un peso di 3 kg.
I
l versante SE del Disgrazia
si affaccia sulla val Torreggio e
proprio sotto la vedretta di Cassan-
Estate 2010
dra tra il lago omonimo, la Corna
Rossa e il passo di Cassandra, fino ai
Corni Bruciati, si trova una delle aree
più ricche di minerali della Valmalenco, individuata già nel 1920 da P.
Sigismund, esperto mineralogista e
collezionista, che esplorò nei primi
decenni del '900 tutta la Valmalenco.
Notevoli cristalli di diopside color
verde acqua, di andradite di colore
cangiante dal giallo fino al bruno
caffè, spesso così intenso da apparire
come nero, di magnetite, in piccoli e
stupendi cristalli ricchi di facce, dalla
lucentezza metallica, di clinocloro,
di titanite bruno-violacea, di apatite
in prismi perfettamente esagonali
di colore del latte, di zircone, in rari
cristalli prismatici rosei o incolori,
di ilmenite, anch’essa assai rara, di
calcopirite, spesso alterata in malachite e crisocolla. Particolarmente
belli sono poi i cristalli di clinozoisite ed epidoto, anche di dimensioni
notevoli, di un bel colore cangiante
dal giallo al verde grigio fino al verde
più intenso. Da non scordare la vesu-
vianite rinvenuta intorno al lago di
Cassandra ed infine la vanadinite,
rinvenuta da A. Borgonovo nel 1993.
l versante S e SO del Disgrazia si
affaccia invece sulla valle di Preda
Rossa, laterale della val Masino in cui
sono stati segnalati altri interessanti
ritrovamenti anche in anni recenti. Sul
versante sinistro orografico, proprio
alla base della parete e dove termina
il dominio dei serpentini, in un filone
pegmatitico, sono stati rinvenuti
notevoli cristalli di spessartina associati anche a berillo, schorlite, muscovite, ferrocolumbite, zircone, titanite
e uraninite. Sul versante opposto, in
prossimità del rifugio Ponti, sono stati
ritrovati nitidi cristalli di clinozoisite
e campioni molto belli di epidoto,
mentre lungo l’itinerario che porta
alla Sella di Pioda, minerali di rame
come calcopirite, azzurrite, crisocolla
e malachite, già segnalati in passato
anche da Gramaccioli e Perego. Nella
piana lasciata libera dai ghiacci, fino
alla testata della valle sono presenti
massi di marmo a forsterite e spinello
e nel 2003 A. Gaggini ritrovò
campioni di quarzo ametista.
I
Spinello della Val Sissone.
Parco Geologico della Valmalenco
I
l Parco Geologico della Valmalenco si trova a Chiareggio ed è stato
inaugurato nel luglio del 2000 grazie all’Amministrazione Comunale di
Chiesa in Valmalenco e al Centro di
Studio per la Geodinamica Alpina e
Quaternaria, e grazie anche alla passione del geologo e grande amante della valle Attilio Montrasio, ben
conosciuto proprio per il contributo
dato allo sviluppo della conoscenza
geo-morfologica del territorio malenco. Il Parco si trova tra il gruppo
di case della Corte e il torrente Nevasco, su un’area di quasi due ettari messa a disposizione dal Comune
di Chiesa in Valmalenco. Consiste
in una struttura fissa dove è stato
raccolto abbondante materiale figurativo e documentario relativo alla geologia di queste montagne. Lo
scopo è quello di permettere al visitatore di conoscere gli aspetti geologici più interessanti del territorio,
documentandoli con la visione diretta delle varie rocce presenti; sono
stati qui portati infatti con l’ausilio di
un elicottero vari massi prelevati nelle valli vicine che fanno capire immediatamente la diversità dei materiali
e i diversi tipi litologici.
Il linguaggio semplice e l’abbondanza di immagini rendono il percorso
comprensibile a tutti e non solo ai
Le Montagne Divertenti veri intenditori di questa disciplina.
Visitando l’area si passa da un’introduzione generale dedicata a un'infarinatura su come si sono formate le
Alpi e le valli alpine, con accenni alla
cosiddetta teoria della Tettonica delle
Placche e all’Orogenesi Alpina, all’assetto geologico della Valmalenco e alle principali rocce presenti nella valle.
Hanno dato un contributo fondamentale alla valorizzazione della geologia e della mineralogia malenca, gli
studi compiuti dalla fine dell’800 fino alla prima metà del ‘900, da mineralogisti insigni e grandi ricercatori
e collezionisti come l’Artini, il Brugnatelli, il Magistretti, il Sigismund, e per
finire Fulvio Grazioli a cui è stato intitolato L’Istituto Valtellinese di Mineralogia (IVM) che opera ormai da
anni con grande passione e competenza in provincia.
Per la lettura e l’interpretazione della geologia della Valmalenco importantissima fu la pubblicazione, nel
1865 della prima carta geologica coerente della Valmalenco, quella di
Gottfried Ludwig Theobald, seguita
nel 1946, dalla carta del Gruppo del
Bernina, in scala 1:50.000, di Rudolf
Staub (1890-1961). Questa carta,
anche se ormai superata dalle attuali
conoscenze geologiche, resta un capolavoro della cartografia geologica
alpina. E’stata recentemente rimpiazzata (2004) dalla carta geologica
della Valmalenco, scala 1:25.000,
a cui hanno lavorato in qualità di
compilatori Jörg Hermann, Othmar
Müntener e Peter Spillmann e come
coordinatori scientifici Attilio Montrasio e Volkmar Trommsdorff.
Chiareggio (19 giugno 2005, foto R. Moiola).
Monte Disgrazia (m 3678)
29
Alpinismo
ASSOCIAZIONE OPERATORI
VALMASINO
ALLOGGIO
Valmasino
HOTEL MIRAMONTI
Via Zocca, 12 - ZOCCA
Tel. 0342 640144 - www.miramontivalmasino.com
HOTEL RUSTICHELLA
Via Moss - FILORERA
Tel. 0342 640121 - www.hotelrustichella.it
HOTEL TERME BAGNI MASINO
S.S. 404 - BAGNI
Tel. 0342 641010 - www.bagnimasino.it
HOTEL - RELAIS BAGNI MASINO - TERME
S.S. 404 - BAGNI
Tel. 327.4571274 - www.termemasino.com
HOTEL SASSO REMENNO
Via Zocca, 21 - ZOCCA
Tel. 0342 640236 -www.hotelsassoremenno.it
HOTEL SERTORI
Via Consorziale, 33 - FILORERA
Tel. 0342 640130 - www.albergosertori.com
HOTEL LE CIME
Via Bagni - SAN MARTINO
Tel. 0342 641051 - [email protected]
HOTEL BADILE
Via Mulini, 6 - SAN MARTINO
Tel. 0342 641140 - www.valmasino-online.eu
HOTEL BERNINA
Via Bagni - SAN MARTINO
Tel. 0342 641120 - www.valmasino-online.eu
HOTEL BUCANEVE
Via Bagni, 1 - SAN MARTINO
Tel. 0342 641166 - [email protected]
HOTEL GENZIANELLA
Via Vanoni, 19 - SAN MARTINO
Tel. 0342 641040 - www.genzianellavalmasino.com
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Tel. 0342 641077 - www.valmasino-online.eu
CAMPEGGIO SASSO REMENNO
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Tel. 0342 640059 - www.campingsassoremenno.it
CAMPEGGIO LO SCOIATTOLO
Bregolana - SAN MARTINO
Tel. 0342 641071
338 3914742 - www.campingloscoiattolo.it
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Via Consorziale 29 - FILORERA
Tel. 0342.640064 - [email protected]
Natura
A L I M E N TA R I E B A R
ALIMENTARI RODELLI GIORGIO
Via Bagni, 16 - S. Martino
Tel. 0342 641031
ALIMENTARI ROSSI FAUSTO
e Figli di Rossi Michele & C
Via Marconi, 4 - Cataeggio
Tel. 0342 640060
ALIMENTARI SERTORI MASSIMO
Via Consorziale, 30 - Filorera
Tel. 0342 640010Le Montagne Divertenti 30
I ghiacciai del Disgrazia
ALIMENTARI TAEGGI RENATO
Via Roma, 7 - Cataeggio
Tel. 0342 640160
ALIMENTARI LEGATO MARGHERITA
Via Bagni, 2 - S. Martino
Tel. 0342 641167
BAR MONICA
Via Bagni, 16 - S. Martino
Tel. 0342 641130
BAR PIZZERIA CIAPPINI FIORENZO
Via Roma, 12 - Cataeggio
Tel. 0342 640088
BAR ALPINO
Via Bagni, 8 - S. Martino
Tel. 0342 641176
BAR PIZZERIA CATAEGGIO
Via Roma, 54 - Cataeggio
Tel. 0342 640080
BAR ALIMENTARI SAN MARTINO
Via Bagni - S. Martino
Tel. 0342 641077
BAR RISING MOON
Via Consorziale - Filorera
Tel. 0342 640138
BAR EDICOLA COMI NADIA
Via Bagni - S. Martino
Tel. 0342 641162
GELATERIA SAN MARTINO
Tel. 3934903686
T R AT T O R I E E A G R I T U R I S M I
GATTO ROSSO - VAL DI MELLO
Tel. 340-3726006
Val di Mello
VITTORINO - LOC. BREGOLANA
Tel. 339 6131000
PIZZERIA FIORELLI ANSELMO
Via Bagni, 15 - S. Martino
Tel. 0342 641174
PA R U C C H I E R I
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RIFUGIO OMIO
Valle dei Bagni
Tel. 0342 640020 - [email protected]
RIFUGIO GIANETTI
Valle Porcellizzo
Tel. 0342 645161 - www.fiorellisport.it
RIFUGIO ALLIEVI
Val di Zocca
Tel. 0342 614200 - www.valmasino-online.eu
RIFUGIO PONTI
Valle di Preda Rossa
Tel. 0342 611455 - www.valmasino-online.eu
RIFUGIO SCOTTI
Valle di Bisolo
Tel. 0342 640087 - www.valmasino-online.eu
RIFUGIO LUNA NASCENTE
Val di Mello
Tel. 338 3317507 - www.valmasino-online.eu
RIFUGIO RASICA
Val di Mello
Tel. 338 4467550 - www.valmasino-online.eu
RIFUGIO MELLO
da Beniamino - Val di Mello
Tel. 3385612670 - www.rifugiomello.it
Glacialismo
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Via G. Marconi 31- Cataeggio
Tel. 346-0927933
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Via Roma 78 - Cataeggio
tel 0342 640177
IL RICCIOLO DI FIORELLI SONIA
Via Bagni - S. Martino
Tel. 0342 641086
MODA E ABBIGLIAMENTO
FIORELLI SPORT
Via Vanoni 3 - S. Martino
Tel. 0342 641070
TAEGGI CARMEN
Via Roma Cataeggio
Tel. 0342 640139
JCK MODE MARCHETTI NADIA
Via Consorziale Filorera
Tel. 0342 640341
Riccardo Scotti
I
l glacialismo attuale del Disgrazia comprende 4 ghiacciai principali strettamente legati alla vetta del monteDisgrazia:
- il versante NO, dal monte Sissone al Disgrazia è
coperto da un vasto e corrucciato lenzuolo di ghiacciaio, il
ghiacciaio del Disgrazia, che attualmente raggiunge i m
2400 di quota ed ha una superficie di 263 ettari. Dal 1992
al 2007 ha perso il 31% della sua superficie pur restando
molto potente nella sua parte più elevata;
- sul versante NE il ghiacciaio del Ventina prende
origine dall'alto bacino poche centinaia di metri a NE
della vetta e dal bacino secondario a N del passo Cassandra; questi ultimi due bacini formano ormai due ghiacciai
indipendenti in seguito alla separazione dinamica avvenuta
negli ultimi anni. La sua superficie è passata dai 244 ettari
del 1992 ai 191 ettari del 2007 (-21,6%). La sua lingua
valliva si spinge ancora fino a m 2230 di quota;
- dalla quota 3665, a S della vetta principale prende
origine il circo glaciale che ospita il ghiacciaio di Cassandra Est, il maggiore dell'alta valle Airale. Esposto perfettamente a S questo compatto e ripido ghiacciaio ha perso
negli ultimi 15 anni più della metà della propria superficie
passando da 47,5 a 23,1 ettari;
- l'imponente parete SO dà origine infine al ghiacciaio
di Preda Rossa. Così come il Ventina è formato sostanzialmente da due ghiacciai indipendenti, uno alimentato
CENTRO SPORTIVO CATAEGGIO
Tel. 333 3434548
CENTRO SPORTIVO S.MARTINO
Tel. 339 6131000
MUSEO ETNOGRAFICO
Via Vanoni, 1 - Fraz. S.Martino-Tel. 0342 640101
Sentiero glaciologico del Ventina
Subito dopo avere superato il rifugio Gerli-Porro e il
rifugio Ventina, ci si imbatte in un'imponente morena,
testimonianza del passato della valle. Alcune migliaia di
anni fa, al termine dell’ultima glaciazione, un’enorme
massa di ghiacci occupava ancora la valle per uno spessore
di due-trecento metri, andando poi a confluire nel grande
ghiacciaio della Valmalenco. Proprio qui dal 1992, grazie
al Servizio Glaciologico Lombardo si è realizzato il primo
sentiero glaciologico in Italia: il sentiero “Vittorio Sella” 1.
Il sentiero, percorso ogni anno da migliaia di escursionisti,
permette di osservare, in sicurezza, le varie fasi del ritiro dei
ghiacci dall’800 fino alla situazione attuale.
NUMERI UTILI
Uffici Comunali
Via Roma, 2
Tel. 0342-640101 - fax0342-640040
Da Lunedì a Sabato dalle 9.00 alle 14.00
Ufficio Postale
Via Roma, 4 - Tel. 0342-640070
Da Lunedì a Sabato dalle 8:00 alle 14.00
Banca Credito Valtellinese
Tel. 0342 640166
Parrocchia
Via Chiesa, 1- Tel. 0342-640128
Soccorso Alpino Val Masino
Tel. 0342-640026
Farmacia Comunale
Tel. 0342 640338
Pro loco Val Masino
Tel. 0342-640197
Associazione Kima
Tel. 0342-640174 - www.kima.org
Autonoleggio Alpe Viaggi
Via Roma 67 - Cataeggio
Tel. 0342 640084
Estate 2010
dalle sole nevicate che scende dalla Sella di Pioda ed un
secondo, alimentato dalle valanghe, che si appoggia alla
parete rocciosa e raggiunge la fronte "classica" a m 2625.
Anche questo ghiacciaio, attualmente esteso su 59,5 ettari,
dal 1992 al 2007 si è quasi dimezzato (-49,5 %).
'intero settore del Disgrazia-Mallero, dal 1992 al
2007 ha perso complessivamente ben 4 kmq di
superficie passando da 11,1 a 7,1 (-35,9 %). I ghiacciai
nei 4 anni dal 2003 al 2007 hanno mostrato un ritmo di
arretramento sostanzialmente doppio rispetto al periodo
precedente. Fortunatamente, le annate successive (2008 e
2009), sono state meno drammatiche.
L
SPORT E TEMPO LIBERO
libertà
Il ghiacciaio di Cassandra Est nel 1957 e nel 2008 (foto arch. SGL).
Il ghiacciaio del Ventina (1910, foto A. Corti - 2009, foto R. Scotti).
Le Montagne Divertenti 1 -Grande fotografo piemontese, fu uno dei “pionieri” dell’esplorazione
geografica delle nostre Alpi nel secolo scorso.
Monte Disgrazia (m 3678)
31
Speciali d'estate
Rifugi
Rifugi attorno al Disgrazia
Eliana e Nemo Canetta
S
i dice che Marinelli, quando si
affacciò per la prima volta alla
bocchetta delle Forbici, abbia chiesto
al suo accompagnatore locale i nomi
delle imponenti vette circostanti. Ma
il buon malenco restò muto: il nodo
centrale del Bernina non gli era noto.
La cosa non meravigli: il Bernina, che
sul lato elvetico troneggia imponente,
da mezzogiorno non è per nulla facile
a scorgersi.
N
Perché iniziare dal Bernina,
per illustrare i primi rifugi
“attorno al Disgrazia”?
Perché questa vetta si scorge bene
persino dal fondovalle della Valtellina,
non lungi da Morbegno; dall’Alta
Valmalenco ci appare poi come una
delle più belle e possenti montagne
retiche. Non meraviglia quindi che
fosse presa d’assalto ai primordi
dell’alpinismo tellino e che, quindi,
sui suoi fianchi fossero eretti alcuni
tra i primi rifugi (almeno sul versante
italiano) delle Retiche Occidentali.
Ma i due versanti si sono differenziati. Dalla val Masino l’accesso era
facile ma lunghissimo, stante che alla
fine dell’800, si partiva a piedi da
Ardenno. Invece dalla Valmalenco
l’ascensione era certo ben più impegnativa, ma l’accesso più breve: da
Sondrio si poteva comodamente (!)
raggiungere Chiesa in diligenza e poi
proseguire senza fatica (se pure col
cavallo di San Francesco) sino al
borgo di Chiareggio ove, da secoli, era
un’osteria, ai tempi assai modesta,
legata alla strada del Muretto.
I primi due rifugi del
Disgrazia (ma anche tra
i primi del giovane Regno
d’Italia) furono così eretti
per le salite “normali”
dal versante e dalle creste
esposte a sud.
32
Le Montagne Divertenti ell’anno 1880 la Sezione Valtellinese del CAI costruì infatti
due capanne, a quei tempi d’importanza capitale: il rifugio Marinelli e
il rifugio di Corna Rossa, nei pressi
dell’omonimo colle, considerato
ottimo punto d’accesso al Disgrazia.
Mentre il primo prosperò sempre, le
vicende della capanna di Corna Rossa
sono fitte di alti a bassi. Restaurata nel
1897, pochi anni dopo era già scarsa-
L
a denominazione del rifugio
esso è legata ad una singolare
vicenda. Struttura di grande successo,
all’inizio degli anni ’90 fu praticamente raddoppiato ed in gran parte
rinnovato, grazie ad un generoso
finanziamento di Maria Rota Gerli, a
ricordo del consorte Amerigo. Inaugurato nel 1992, altri lavori furono
ancora finanziati della Signora Gerli,
per cui il rifugio ... cambiò nome,
divenendo Amerigo e Maria Gerli.
Seguì qualche inevitabile polemica
ma, giusto riconoscerlo, per ora il
nuovo toponimo non ha sfondato e
la più parte degli alpinisti ed escursionisti continua a dire “Andiamo alla
Porro ...”!
ochi anni dopo, nei pressi della
vicina alpe Ventina, fu eretto
P
un modesto ricovero per i minatori
che traevano l’amianto, necessario alle
nostre industrie di guerra, dai fianchi
del pizzo Rachele. Successivamente
la struttura passò ai Fossati, che vi
inviavano i dipendenti del cotonificio a godere periodi di vacanza. Negli
anni ’50 l’edificio fu preso in carico
da un ramo della Famiglia Lenatti, i
cui membri hanno dato alla Valmalenco parecchie valide guide alpine.
Nacque così il rifugio Ventina, tra
i primi “privati” in quota delle Retiche telline. Rifugio che prosegue la
sua vita tranquilla, pure se gli alpinisti non sono più frequenti come un
tempo ed in parte sostituiti dai cultori
della “buona cucina di rifugio” qui
(come del resto al vicino Gerli-Porro)
da anni in auge.
P
Vecchia cartolina della Capanna Cecilia.
N
Il rifugio Ponti (tel. 0342 611455) è gestito da
Ezio Cassina (01/08/03, foto A. Rossattini).
“vecchia” Cecilia risultò piccola e
fu abbandonata per costruirne una
nuova a 100 metri di distanza. Inaugurata nel 1890 oggi ci apparirebbe
poco più di un bivacco: m 3x5, due
localucci con 9 cuccette, tavolo e
cucina economica; nel sottotetto i
pagliericci per le guide. Le coperte:
a Cataeggio, in deposito, perché “
(l’arredamento) ... è ridotto al minimo
essendo la capanna frequentemente
soggetta a furti ...”.
el primo dopoguerra, in uno
dei maggiori periodi di espansione del CAI, si decise che pure la
“nuova” Cecilia era oramai da pensionare. E si eresse, con il contributo
della famiglia Ponti (celebri banchieri
milanesi), un nuovo rifugio che fu
intitolato a Cesare Ponti. Più volte
migliorato oggi è una moderna struttura che dispone di quasi 100 posti.
Quanta strada dalla “vecchia” Cecilia
con i suoi tavolati!
oco nota è invece la vicenda
della capanna Maria, che
sorgeva quasi in vetta al Disgrazia,
antesignana dell’attuale bivacco Rauzi.
Ceduta al CAI nel 1884 dai topografi
dell’IGM che soggiornavano lassù per
i rilievi della prima carta topografica
italiana, fu consolidata e sistemata
con la spesa di 600 lire. Per qualche
anno fu utilizzata, ma nel 1905 risultava già completamente abbandonata.
Oggi ne resta solo qualche rudere.
mente utilizzabile e di fatto sostituita
dalla capanna Cecilia. Nel 1924 fu
rilevata e restaurata dalla Sezione di
Desio, di cui assunse il nome. Benché
ingrandita e dall’accesso più agevole
grazie al rifugio Bosio (sempre del
CAI Desio) nel frattempo realizzato
all’alpe Airale in val Torreggio, nel
secondo dopoguerra fu nuovamente
semi abbandonata. Ancora una volta
rimessa in sesto, sembrava avviata a
nuova vita, come anello di giunzione
tra il Sentiero Roma e l’Alta Via della
Valmalenco. Invece, lesionata alcuni
inverni orsono dall’eccessivo carico
nevoso, è attualmente per l’ennesima
volta in abbandono.
e vicende della capanna Cecilia, cui abbiamo accennato,
sono chiaro indice di un’epoca
(purtroppo) oramai lontana: il rifugio
fu offerto al CAI Milano, dal Conte
Francesco Lurani (grande esploratore
dei monti del Masino) e da Ernesto
Albertario che, di loro iniziativa, lo
fecero erigere non lungi del luogo ove
oggi è il rifugio Ponti.
Fu così inaugurato il 15 luglio del
1883. Dalle foto si comprende che
in pratica era un baitello che poteva
ospitare 5 alpinisti. Ma a quei tempi
era già un lusso! Ben presto però la
L
Estate 2010
Per decenni il versante
malenco del Disgrazia
restò, come abbiamo detto,
privo di rifugi.
Il rifugio Porro (tel. 0342 451404), gestito da Floriano Lenatti (10/08/05, foto L. Bruseghini).
C
hiareggio, a 1612 metri di
quota, oramai dotato di alberghi, era sufficiente come base di
partenza. Ma l’intensa attività del
CAI negli anni ’30 giunse pure alle
sorgenti del Mallero e nel 1936 fu
inaugurato il rifugio Porro, dedicato
ad Augusto Porro, accademico del
CAI, perito con la sorella Lisetta per
valanga sul fianchi del Piz Corvatsch.
Una capanna ove iniziava a farsi
strada una certa qual comodità, con
una ricca biblioteca alpinistica ed una
bella sala da pranzo, foderata in legno,
ancor oggi considerata un modello.
Le Montagne Divertenti Il rifugio Ventina (tel. 0342 451458) è gestito da Diego Lenatti (10/08/05, foto L. Bruseghini).
Monte Disgrazia (m 3678)
33
Pietre
I bivacchi del Disgrazia
Luciano Bruseghini
TAVEGGIA
Si trova a 2845 metri su di una sporgenza rocciosa ai piedi della cresta est
della Punta Kennedy. Di proprietà del
Club Alpino Accademico Italiano, è
una struttura sempre aperta e dispone
di quattro posti letto. Si raggiunge
da Chiareggio in circa 4 ore, percorrendo prima il sentiero per i rifugi
Gerli-Porro e Ventina, poi l’ampia
base morenica e infine il ghiaccio del
Ventina. Si risale la prima parte della
vedretta in direzione S e poi si piega
verso O fino a toccare la base della
parete rocciosa. Utilizzando anche un
canale erboso la si risale abbastanza
facilmente e si raggiunge il bivacco. E’
un punto d’appoggio per la traversata
al bivacco Oggioni o l’ascensione alla
punta Kennedy, sia per la via normale,
sia per la cresta E.
OGGIONI
Sorge sul Colletto del Disgrazia a
m 3151, tra il pizzo Ventina e la cresta
ENE del Disgrazia. Di proprietà del
CAI di Monza dispone di 9 posti
letto. Dal bivacco Taveggia si arriva in
circa due ore. Dall’inizio della cresta E
della punta Kennedy ci si immette nel
bacino glaciale superiore del Canalone della Vergine e lo si attraversa in
direzione NO per poi risalire per circa
un centinaio di metri lungo un ripido
pendio nevoso. Raggiunto il pianoro
sommitale lo si percorre in direzione
O fino a pervenire al bivacco, a picco
sopra la vedretta del Disgrazia. Viene
utilizzato come punto di appoggio
sia per la salita al Disgrazia, lungo la
Corda Molla o la parete N, sia per
l’ascensione al pizzo Ventina per la via
normale.
RAUZI
Posizionato qualche metro sotto la
vetta del monte Disgrazia, lungo il
versante NE (m 3640). E' di proprietà
dell’Associazione Amici di Chiareggio e dispone di 9 posti letto. Può
essere raggiunto sia dalla Valmalenco
sia dalla Valmasino. Ottimo punto
di appoggio in caso di improvviso
maltempo in vetta.
34
Le Montagne Divertenti di
preziose
Valtellina
Testi e foto Franco Benetti
Varianti di discesa dal bivacco Rauzi (26 luglio 2005, foto Beno).
Il bivacco Kima (14 marzo 2009, foto Beno).
Kima
E' una bella struttura in muratura con serramenti rossi posizionata
lungo il Sentiero Roma a m 2770 e
inaugurata nel 2004. Offre 8 posti
letto, cucina e stufa. E' un luogo
confortevole che vale sicuramente la
pena preferire al più spartano Bivacco
Odello - Grandori e da cui dista poco
più di 30 minuti scendendo in direzione S dal passo di Mello.
Viene utilizzato più come appoggio per le escursioni lungo il Sentiero
Roma che per finalità alpinistiche.
odello - grandori
Il bivacco è situato a m 2900 nei
pressi del passo di Mello, valico
alpinistico che congiunge l'alta val
Cameraccio (parte terminale della val
di Mello) e l'alta Valmalenco. Offre
6 posti letto ed è punto di ricovero
d'emergenza durante le traversate
dalla Valmalenco alla Valmasino, o
d'appoggio per la traversata integrale
in cresta da E a O del Disgrazia e
l'ascesa alla vicine cime di Chiareggio.
Estate 2010
In queste pagine troverete una panoramica delle pietre preziose di Valtellina, con
informazioni sulla dislocazione dei giacimenti nel territorio, sulla loro origine, sui metodi
di estrazione e di lavorazione, nonché quanto si narra sulle loro proprietà terapeutiche e
magiche.
di collane in pietre dure lavorate.
Le Assortimento
Montagne Divertenti
Pietre preziose di Valtellina
35
Speciali d'estate
Pietre preziose
I
n provincia di Sondrio non vi
è una vera e propria tradizione
riguardante l’attività di estrazione e
lavorazione delle pietre dure, anche
se in verità, nell’ambito della ricerca
mineralogica è sempre esistita e ha
tradizione quasi secolare la passione
per la gemmologia e le pietre ornamentali.
Nomi come Pietro Sigismund,
Luigi Magistretti, Carlo Maria
Gramaccioli, Francesco Ciardo,
Pierluigi Annibaldi, Fulvio Grazioli
sono ben conosciuti dagli addetti
ai lavori e da chi di mineralogia e
gemmologia si è occupato anche
solo marginalmente. Tra questi
soprattutto Ciardo e Annibaldi
sono da considerare veri e propri
collezionisti di pietre tagliate e si
sono specializzati nel settore del
taglio a gemma della pietra semipreziosa più famosa della Valmalenco:
il granato verde o demantoide.
Recentemente si è avuto uno
sviluppo ancora più accentuato di
questa attività, grazie all’allargamento della massa di appassionati
alla ricerca mineralogica. Ciò è
stato favorito anche dal sorgere di
associazioni e istituti come l’Istituto
Valtellinese di Mineralogia, dedito,
non solo a diffondere e organizzare
la ricerca, ma anche a creare delle
basi scientifiche alla stessa. Sono
inoltre nati sia nelle località turistiche che a Sondrio vari negozi1 che
si occupano specificatamente di
commercio di pietre dure lavorate,
anche locali.
1 - Un esempio importante è "La Pietra" di Pietro
Nana a Sondrio.
Localizzazione dei giacimenti di
minerali lavorabili come pietre dure
Ciotola di rodonite della val di Scerscen. Dimensioni cm 26x15x5 (altezza). Il diametro della
sfera è di 9 cm. Il valore commerciale di oggetti di questo tipo, costituiti da materiale locale,
trasportato a valle a spalle e poi lavorato al tornio da esperti artigiani può raggiungere anche
varie centinaia di euro.
Rodonite
Giacimenti di minerale a manganese, assai pregiato per i ricercatori e
adatto, grazie anche alla colorazione
vivace, alla lavorazione come pietra
dura, si trovano in varie località della
Valmalenco e sono correlate sia al
deposito di sedimenti del periodo
Mesozoico2, caratterizzante la copertura della Falda Margna, sia alle
quarziti e ai quarzoscisti della zona
del monte del Forno, derivanti dalla
metamorfosi di radiolariti depositatesi
sul fondo oceanico che separava le
due masse continentali, entrate poi in
2 - Il Mesozoico o era secondaria, è la seconda era
dell' Eone Fanerozoico, compresa tra il Paleozoico
e il Cenozoico. Va da 251 milioni a 65 milioni di
anni fa (estinzione dei dinosauri).
collisione durante l’orogenesi alpina.
Il minerale più adatto allo scopo,
facente parte di queste formazioni,
è la rodonite3, caratterizzato da una
bella e talvolta intensa colorazione
rosea, associato spesso a spessartina
giallognola e alla rara tiragalloite, reperibile principalmente in Valmalenco
nella zona della val di Scerscen, a NO
di Franscia, nell’area del monte del
Forno - passo del Muretto e nell’alta
val Sissone4 in quantità molto limitate.
Clinothulite
Sempre nell’ambito di minerali
3 - (Ca,Fe,Mn)Mn4 [Si5O15]
4 - Aree poste rispettivamente a N e a O di
Chiareggio.
ARMONIE DEL BERNINA
contenenti anche piccole quantità di manganese, la clinothulite, varietà di clinozoisite5
caratterizzata da una colorazione rosa più tenue
di quella della rodonite, è presente in due filoni
o giacimenti:
- quello del pizzo Tremogge, localizzato a
m 2900 ca, nei marmi e calcefiri della formazione del monte Senevedo, intercalati agli gneiss
della Falda Margna;
- quello di Prà Isio sopra Berbenno, facente
parte degli gneiss del monte Canale attribuiti al
Cristallino del pizzo Bernina che è parte dell’Austroalpino inferiore.
Queste epidositi, si prestano in modo particolare alla lavorazione, data la durezza e compattezza che le caratterizzano, sommate ad una
colorazione adatta alla creazione di oggetti ornamentali.
Tremolite
Particolarmente adatta allo scopo è la tremolite6, nella varietà tradizionalmente definita
“nefrite”, presente all’alpe Mastabia, nei marmi
dolomitici mesozoici della cosiddetta “zona
Lanzada-Scermendone” a contatto con rocce
ultrabasiche come le serpentiniti. A Mastabia,
tra le quote m 2100 e m 2300, esistono resti
evidenti di cave da cui veniva estratto, a livello
industriale fino a pochi decenni fa, il talco,
minerale molto diffuso in Valmalenco7, che si
forma per un fenomeno di talcizzazione della
stessa tremolite. Talvolta anche il talcoscisto,
nelle sue forme più dure e quando assume una
bella colorazione verde pisello, può essere lavorato per creare oggetti ornamentali.
La tremolite di questa zona, quando si
presenta in masse compatte di colore verde, a
grana molto fine, è lavorabile come pietra dura
ed assomiglia vagamente alla giadeite.
Ciotola e sfera di Clinothulite del pizzo Tremogge. Dimensioni: cm 15x11x5. Il
diametro della sfera è di 5 cm.
Campione di Tremolite con cristalli a forma di stella nel serpentino proveniente dai
Corni Bruciati in val Torreggio.
Diopside verde con tracce
di grossularia cromifera
Nella zona del ghiacciaio orientale di Fellaria,
tra le filloniti della Falda Sella a S, e gli gneiss
della Falda Bernina a N, affiorano delle scaglie di
serpentiniti quasi nere a rodingite in cui è stata
segnalata la presenza di un filone di diopside
verde con inclusioni di clinozoisite e una varietà
di grossularia cromifera8, che, grazie anche al
bel colore verde, si presta alla lavorazione come
pietra dura. Un diopside verde molto simile
proviene anche dal territorio svizzero ed esattamente dalla zona del Piz Lunghin a N del passo
5 - Ca2Al3[OH/O/SiO4/Si2O7].
31 luglio - 1 agosto 2010
concerto in alta quota rifugio Marinelli (m 2813)
info : www . caigiovani . blogspot . com
36
Le Montagne Divertenti 6 - Ca2(Mg,Fe)5[(OH)2/Si8O22].
7 - Il talco ancora oggi è estratto in maniera massiccia nella zona
di Franscia e del monte Motta.
8 - (Ca
2.86
Estate 2010
Fe )(Al Cr Ti )(Si Ti )O
0.12
1.62
0.37
0.02
Le Montagne Divertenti 2.98
0.02
Collana di diopside verde proveniente dalla zona del ghiacciaio di Fellaria orientale.
12
Pietre preziose di Valtellina
37
Speciali d'estate
Pietre preziose
Maloia, da dove proviene anche una bella vesuviana color verde oliva molto simile nell'aspetto
alla giadeite.
ltri minerali, adatti alla stessa lavorazione,
sono reperibili in quantità più ridotta.
Sembra che questo minerale si sia formato per
trasformazione, dovuta al metamorfismo, di
frammenti ossei presenti nelle originarie arenarie
e conglomerati quarzosi.
A
Lizardite
Nei marmi antichi a silicati di calcio e nei
calcefiri della Falda Margna della zona del pizzo
Tremogge è reperibile, in quantità limitate, un
altro minerale facilmente lavorabile e da cui si
possono trarre pietre dure a forma di cabochon9,
la lizardite10, dalla colorazione verde e lucentezza
grassa che era denominato un tempo “serpentino nobile”.
Masse più rilevanti di un materiale composto
da lizardite e forsterite di colore giallognolo sono
presenti nella stessa zona e sono lavorabili per
produrre oggetti ornamentali.
Titanclinohumite
Nelle serpentiniti, rocce basiche di colore
verde o verde-grigiastro, tipiche della Valmalenco e derivanti da rocce peridotitiche metamorfosate, è assai diffusa una clinohumite14
titanifera di color rosso fegato, dalle tonalità più
o meno intense che si presenta in noduli talvolta
decimetrici e che, in taluni casi, si presta alla
lavorazione come pietra dura per la creazione di
“cabochon” o oggetti ornamentali.
Corindone e andalusite della
ValChiavenna
Provengono da varie località mineralogiche
della Valchiavenna alcuni minerali che per colore
e durezza si prestano alla lavorazione come pietre
dure, anche se la scarsità della quantità rinvenuta
ne limita l’utilizzo e la diffusione commerciale.
Ciotola di lizardite del pizzo Tremogge. Dimensioni: cm 15x14x6.
Muscovite
Un materiale classificato in passato da Sigismund come oncosina e che dalle ultime analisi
è risultato essere muscovite (fengite)11 è presente
sempre nei marmi e calcefiri della Falda Margna
della zona del pizzo Tremogge, in val Sora e
anche in val Poschiavina e si presta, data la
compattezza e la bella colorazione verde bottiglia
più o meno intensa, a lavorazione come pietra
dura.
Diopside azzurro
Nei calcefiri della val Sissone sono stati segnalati anni fa da Grazioli alcuni massi in cui era
presente una vena di diopside12, contenente
tracce di vanadio, di colore azzurro turchese,
dalla cui lavorazione sono stati tratti vari oggetti
ornamentali di sicuro effetto. Purtroppo il poco
minerale presente in zona è stato completamente
asportato.
Ciotola di diopside azzurro della val Sissone. Dimensioni: cm 14x12x7-il diametro
sfera è di 4 cm.
Lazulite
La lazulite13, caratterizzata da una bella
colorazione blu lapislazzulo, è presente in
provincia in due località, nella zona del pizzo
Scalino-Canciano entro quarziti bianche di età
permo-scitica facenti parte della copertura metasedimentaria della Falda Margna e nella zona di
Madesimo nella valle di San Giacomo (val Scalcoggia e alpe Groppera).
Si presenta in quantità assai limitate ed in
noduli blu di piccole dimensioni che si prestano
a lavorazione nella forma di piccoli “cabochon”.
Minerali che si presentano in
cristalli lavorabili con
taglio a gemma
9 - Taglio senza sfaccettature, mediante il quale si ottiene una
forma con la sommità convessa e base piatta.
10 - Mg6[(OH)8/Si4O10].
11 - KAl2[(OH,F)2/AlSi3O10].
12 - CaMg(Si2O6)
13 - MgAl2[(OH)2/(PO4)2].
38
Le Montagne Divertenti Rocce lavorabili per ottenere
ciotole, portacenere
e soprammobili vari
Non solo masse costituite da un unico minerale possono essere lavorate come pietra dura,
ma anche ciottoli costituiti da semplici rocce.
Infatti anche da ciottoli di granito o di anfibolite
rinvenuti nell’Adda o nel Mallero, si sono ottenuti grazie a lucidatura, ottimi risultati; chiaramente è importante la scelta del campione che
dipende non soltanto dalla fortuna ma anche
dall’esperienza e dall’occhio di chi lo sceglie;
infatti lavorare un campione di semplice granito
può non dare lo stesso risultato di quello che si
ottiene lavorando un campione in cui vengono
ad accostarsi due tipi di rocce diverse, o che
contiene più minerali di colore vario e vivace o
delle vene particolari o addirittura delle apliti
contorte.
Collana di pietre dure tra cui diopside azzurro e verde, rodonite, quarzo ed altri
minerali. Il valore commerciale di oggetti di questo tipo può raggiungere anche
varie centinaia di euro.
Estate 2010
I minerali che più si prestano al taglio a
gemma, sono quelli che hanno durezza almeno
sopra il livello 5 della scala di Mohs e si presentano non in masse amorfe e compatte, ma in
cristallizzazioni trasparenti.
Le quantità estraibili sono sempre assai limitate e le pietre adatte al taglio assai rare.
Elenchiamo alcuni esempi di varietà di minerali con cristalli tagliati a gemma, indicando il
14 -(MgFe)9[(OH,F)2/(SiO4)4].
Le Montagne Divertenti Demantoide - taglio a gemma.
Quarzo - taglio a gemma.
colore e la località di ritrovamento delle pietre:
ANDALUSITE – viola - val Bregaglia italiana;
ANDRADITE var.DEMANTOIDE - verde - Cava dello Sferlun in
Valmalenco;
BERILLO ACQUAMARINA - azzurro - val Codera e valle di
S.Giacomo;
CORDIERITE – grigio azzurro - val Bregaglia italiana;
CORINDONE – blu e rosso - pizzo Grillo in val Bregaglia italiana;
DIOPSIDE - viola - Cava del Castellaccio a Chiesa in Valmalenco;
FORSTERITE – verde - Cava del Sasso dei Corvi a Chiesa in Valmalenco;
GROSSULARIA – rosso arancio - pizzo Tremogge in Valmalenco ;
IDROSSIAPATITE – giallo- val Bregaglia italiana;
QUARZO – incolore - Dosso dei Cristalli in Valmalenco e valle
Spluga;
SPINELLO – azzurro violaceo – cima di Vazzeda in Valmalenco;
TITANITE – giallo bruno - ghiacciaio del Cassandra;
VESUVIANITE – bruno caffè - pizzo Tremogge in Valmalenco;
Pietre preziose di Valtellina
39
Speciali d'estate
L’estrazione
racce di sfruttamento e di
estrazione del minerale, anche
se assai limitate, sono presenti nel
caso della rodonite del monte Forno
e risalgono probabilmente al secolo
scorso.
Un po’ in tutta la valle e quasi
sempre ad una quota che poco si
discosta dai m 2000, si osservano
tracce di forni fusori e del relativo
materiale di scarto in cui sembra
venisse in taluni casi usato anche
minerale di manganese per migliorare
la qualità del ferro prodotto.
Attualmente l’estrazione è limitata a
quantità minime ed è praticata esclusivamente dai collezionisti che si limitano a prelevare qualche campione
per le loro collezioni, nei limiti fissati
dalla normativa regionale.
"La ricerca e la raccolta dei minerali
non possono essere oggetto di rapporti
concessionali o convenzionali con diritto
di esclusiva."
All’art. 5: "I quantitativi massimi
asportabili individualmente nel corso di
una giornata sono i seguenti:
-non più di due esemplari pro capite
di campioni dello stesso minerale;
-non più di dieci esemplari pro-capite
di campioni di minerali in complesso15"
Vengono poi fissate alcune deroghe
per i dipartimenti o gli istituti universitari di specifica competenza nonché i
musei naturalistici di enti locali che, per
la estrazione di minerali di particolare
rilevanza scientifica o per documentate
esigenze di ricerca, possono procedere a
raccolta di campioni di minerali, utilizzando attrezzature diverse da quelle
fissate16 e per quantitativi maggiori,
purché vi sia autorizzazione del Presidente della Giunta Regionale o assessore competente se delegato.
L’avvio di un’attività di estrazione di
tipo cava o miniera, nel caso specifico
delle pietre dure, sia per i costi assai
rilevanti che si dovrebbero sostenere,
sia per le limitate quantità di materiale
estraibile, sembra attualmente assai
improbabile, anche se non manca in
zona la tradizione di cave d’alta quota.
15 - Legge n.183 del 18.3.1983 - Disciplina della
ricerca e raccolta di minerali da collezione
16 - E' comunque vietato l’uso di esplosivi.
40
Le Montagne Divertenti Nilo Gregorini nel suo laboratorio.
T
Tagliatore
di gemme
Nilo Gregorini
Scatola con assortimento di pietre dure lavorate tra cui rodonite, lizardite, diopside, quarzo e
altri minerali.
La lavorazione
I
n provincia, la lavorazione delle
pietre dure è prerogativa di
pochissimi artigiani che si dedicano
come attività prevalente al taglio di
materiale proveniente dall’estero,
non disdegnando però, quando viene
richiesto da appassionati o ricercatori
di minerali della zona, di dedicarsi
anche alla lavorazione di piccole
quantità di pietre dure locali.
Purtroppo, la scarsità di materiale
disponibile non permette un’adeguata
diffusione commerciale, anche se, nel
caso del demantoide, la pietra valtellinese da taglio più famosa, si sono
raggiunte, quando è alta la caratura
e ottima la trasparenza, quotazioni
molto elevate.
Bisogna distinguere tra:
- lavorazione di pietre dure per la
creazione di oggetti ornamentali17 o
17 - Ad esempio “cabochon” a superficie curva
lucidata.
da arredamento18, eseguita solo da
pochissimi artigiani residenti in bassa
valle e da Nilo Gregorini a Bianzone,
che si servono di appositi torni con
mole diamantate;
- taglio a gemma, attività che
richiede macchine attrezzate per ottenere la corretta angolazione e divisione delle faccette sulla superficie
della gemma stessa. In provincia solo
Nilo Gregorini, artigiano di Bianzone, se ne occupa.
a lucidatura, infine, viene realizzata sulle pietre lavorate utilizzando apposite mole attrezzate con
feltro intriso di polvere di diamante,
mentre per quelle sfaccettate si utilizzano dischi di rame e diamante finissimo.
L
18 - Sfere, pomelli, ecc.
Estate 2010
Avevo circa dodici anni quando mio padre portò dal Brasile le prime pietre preziose
grezze. Rimasi folgorato da quella varietà di forme e colori.
“Questo è il lavoro che farò da grande” pensai.
Le Montagne Divertenti Pietre preziose di Valtellina
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Artigiani
A
vevo circa dodici anni quando mio
padre portò dal Brasile le prime
pietre preziose grezze. Rimasi folgorato da quella varietà di forme e colori.
“Questo è il lavoro che farò da grande”
pensai.
osì, l’estate successiva, i miei
genitori mi mandarono in Svizzera, nel laboratorio di un fabbricante di
macchine per sfaccettare pietre preziose.
Qui, un esperto tagliatore tedesco mi
diede i primi rudimenti per apprendere
quella che sarebbe poi diventata la mia
professione. A 15-16 anni, spinto dalla
mia grande curiosità e passione, avevo
già tagliato numerose delle pietre brasiliane portate da mio padre. Dopo un’
esperienza a Johannesburg in Sudafrica
(dove imparai a lavorare in particolare gli
smeraldi) attrezzai a Bianzone una delle
primissime taglierie di pietre preziose
in Italia. Si sparse la voce e cominciai a
ricevere pietre grezze provenienti da tutto
il mondo da sfaccettare in ogni forma
e dimensione. Fra gli altri si presentarono anche i primi appassionati cercatori di pietre valtellinesi. Proprio così.
Testi e foto Franco Benetti
C
Demantoide -Taglio a gemma.
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Le Montagne Divertenti Assortimento di pietre dure tagliate.
Anche le nostre vallate, in particolare la
Valmalenco, nascondono tra le rocce un
tesoro composto da interessanti minerali
che possono essere tagliati per la gioia
di collezionisti e gioiellieri. La più ricercata di queste gemme è il demantoide,
rara varietà di granato andradite, che
per le sue caratteristiche di brillantezza
e di dispersione di luce è apprezzata dai
collezionisti di tutto il mondo. Ricordo
che già molti anni fa, durante i miei
viaggi in America, scoprii, con un po’ di
meraviglia, che i collezionisti americani
conoscevano i demantoidi valtellinesi e
che riuscivo a scambiare questi ultimi con
altre pietre rare che mi interessavano per
le mie esperienze di tagliatore. Fu così
che, anche per merito dei demantoidi,
riuscii a portare in Italia pietre ricercate e
poco conosciute. In tanti anni di attività
(è in questi casi che mi rendo conto di
aver ormai perso il conto delle primavere
passate a tagliare sassi) ho avuto la soddisfazione di lavorare tante fra le più belle
gemme provenienti dalla Valtellina e dalle
miniere di tutta la Terra, contribuendo
con la realizzazione dei miei gioielli a far
felici moltissime donne e ad arricchire
le collezioni di amici conosciuti in ogni
angolo del mondo.
Estate 2010
Ammonite in val Alpisella (Livigno).
Pietre preziose di Valtellina
43
Speciali d'estate
Pietre preziose
A
tutti sarà capitato di essere
colpiti dalla forma strana o
dalla colorazione vivace di una pietra;
forse un messaggio inviatoci dalla
natura o da qualche misteriosa entità,
attraverso gli sconvolgimenti geologici di milioni di anni; è la magia del
nostro passato che ci attrae, in fondo
forse la nostalgia delle nostre origini.
Io mi sono chinato spesso a coglierle
e, senza voler fare l’analisi escatologica
di un fatto semplicissimo e spesso
casuale, devo però dire che non è
cosa inusuale per me soffermarmi a
rimirare una di queste pietre stringendola in mano e strofinandola quasi
fosse una pietra filosofale in grado di
innescare chissà quale strana trasformazione o di trasferirmi i suoi poteri
misteriosi e taumaturgici.
Spesso è solo il colore che attira,
l’azzurro acqua marina, il rosa più
delicato, l’accostamento tra il nero e
il rosa, tra il bianco e il blu, ma altre
volte è la stratificazione di sedimenti
o una spirale di sostanze e di elementi
un tempo allo stato fuso, che la natura
ha sovrapposto o composto in modo
e con tonalità tanto appropriate che
nemmeno un grande artista sarebbe
stato in grado di fare altrettanto.
Di certo una componente importante è data dal fattore estetico,
dall’attrazione verso il bello che è nel
dna dell’uomo, ma non è solo questo.
Determinante per me è la storia
della pietra, i milioni di anni che ha
avuto la fortuna di attraversare, le
centinaia di sconvolgimenti naturali
attraverso cui ha dovuto forzatamente
passare, l’origine dei magmi che
l’hanno formata, alcuni così ricchi di
tal metallo, gli altri intrisi di chissà
quale sale, gli altri ancora emananti
gas acidi o basici e il tutto che infine si
scontra e si fonde e sotto enormi pressioni e si solidifica raffreddando.
E anche l’acqua, infine, lavora la
pietra. Non solo quella impetuosa
dei torrenti, ma anche quella trasformata in ghiaccio dei ghiacciai e quella
del mare e della sua risacca che, con
costanza e perseveranza, nei secoli,
liscia, leviga, scava, scolpisce.
E’ quel lungo tragitto che colpisce
e affascina, quella inimmaginabile
lunga storia di quel frammento di
pietra raccolto lassù, appoggiato tra
le genziane fiorite o laggiù su una
44
Le Montagne Divertenti Astrattismo in valle di Preda Rossa.
Strana scritta nella roccia (“jeinos" o "deinos”?). Vedretta della Miniera in val Zebrù.
Perché tanta curiosità nel
sapere chi e quando ha
scritto quel foglio e l’ha
abbandonato ai flutti?
E'
il messaggio insito nella
forma, nel segno o nell’incisione la parte che ci interessa di più.
Non c'è solo curiosità, ma l’aspirare a
comunicare con qualcuno che non si
conosce.
Possiamo quindi immaginarci quali
Quasi un serpente nella roccia - ghiacciaio dello Zebrù in val Cedech.
spiaggia nera tra le conchiglie; come
non abbandonarsi allora alla fantasia
e alla poesia: se quella pietra è finita
proprio lì, dove passa la tal persona e
non un’altra e attrae quella persona e
non un’altra, deve esserci finita perché
inviataci da qualche strano destino.
Alcuni anni fa mi è capitato
di trovare per caso in alta
val Zebrù un sasso su
cui addirittura compare
nitidamente una scritta.
M
i sono subito chiesto se non
fosse un abbaglio o un frammento di qualche manufatto umano;
poi guardando con più attenzione si
capiva chiaramente che le inclusioni
bianche della roccia, entro il fondo
scuro della matrice, in combinazione
con il distacco e la frattura casuale
di quel piccolo frammento dalla
montagna, avevano fatto sì che si
formasse quella strana scritta: “jeinos"
o "deinos”, che pareva quasi greco;
questo è chiaramente un caso limite,
ma fa ben capire come tutto quello
che ci viene dal passato possa essere
interpretato in modo più o meno
romantico come portatore di un
messaggio, anche se talvolta incomprensibile.
E’ come un messaggio
trovato in una bottiglia
sulla spiaggia.
Estate 2010
ulteriori sviluppi possano avere le
elucubrazioni del nostro pensiero se
non si tratta solo di evoluzione della
materia, di fenomeni geologici o
tettonici, ma entra a partecipare a
questa alchimia anche il fattore
umano, nella veste di qualche nostro
antico progenitore che migliaia di
anni fa ha plasmato, lavorato o inciso
quello stesso frammento di pietra che
il caso ci ha fatto poi ritrovare.
Questo succede quando il sasso è
stranamente e particolarmente levi-
gato o reca sulla sua superficie strani
segni che sembrerebbero di origine
umana; come si fa allora a non pensare
tra quali mani sia passata, quale homo
raeticus l’abbia incisa e perché.
Egli ci ha forse lasciato un
segno perenne nell’unico
posto che dava la certezza
di eternità?
Poteri terapeutici e magici delle pietre
Le pietre e non solo quelle preziose,
ma anche il semplice quarzo, hanno
sempre avuto un fascino misterioso
e fin dall’età della pietra venivano
usate come talismani.
In Egitto, a pietre come il lapislazzulo o lo smeraldo o alla più volgare
ossidiana venivano attribuiti poteri taumaturgici o addirittura di essere validi strumenti guida per la
pace eterna, tanto da essere inserite
all’interno delle mummie. In Messico e in Tibet, le religioni di quei popoli consideravano la turchese come
una pietra divina, capace di mettere
in comunicazione l’uomo con entità
superiori. La lavorazione della giada,
in Cina, risale a quattromila anni fa e
anche la tradizione cristiana e quel-
Le Montagne Divertenti la ebraica sono ricche di riferimenti a
pietre considerate sacre e nelle catacombe romane sono stati trovati diversi tipi di gemme incise.
I cultori dello Yoga, hanno sempre ritenuto che il “prana” o energia vitale
che alimenta i “chakra”, centri energetici del nostro corpo, si trovi in tutti gli elementi della natura e tra questi
anche nei cristalli e nelle pietre dure, che vengono quindi utilizzati per
la meditazione e per la loro proprietà
terapeutiche.
Oggigiorno molti centri idrotermali o
del benessere, si servono delle pietre,
appoggiandole su ben determinate
parti del corpo come coadiuvanti per
il raggiungimento dell’equilibrio psicofisico e per rilassare l’organismo.
Ciondolo in oro con cabochon di rodonite
e pendente in diopside (lavoro di Nilo
Gregorini).
Pietre preziose di Valtellina
45
Speciali d'estate
Maurizio Torri
Casera della val Laùr (2005, foto Renato Bertolini).
C
ambiare i paradigmi, o i punti
di vista, fa bene. Troppe volte,
il ragionare per comparti stagni ci
impedisce di cogliere quelle sfumature
che fanno di un'iniziativa commerciale un progetto da imitare e esportare anche in altre realtà.
Analizzando meglio l'espressione "a
scopo di lucro" si può infatti scoprire
che, per realizzare un'idea, talvolta
serve la determinazione e la caparbietà
di imprenditore per superare ostacoli
a prima vista invalicabili, come quelli
per creare un turismo sostenibile.
E così, grazie al patrocinio di Comunità Montana Bassa Valtellina, BIM e
Parco Delle Orobie Valtellinesi, Elio
Angelini ha dato vita a un sogno:
«I
l mio progetto mira concretamente alla riorganizzazione di
attività e strutture del mondo agricolo
e alla formulazione di una proposta
turistica per certi versi innovativa. Ciò
che vorrei è dare un impulso all’economia della val Tartano con conseguenti effetti positivi sull’intera valle».
Ci spieghi meglio...
«V
iviOrobie è nata per dare
vita a un turismo ambientalmente attento. Vorremmo in un
certo senso collegare il soggiornare
46
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Le Montagne Divertenti comodamente nelle strutture ricettive
già operanti, a un nuovo tipo di alloggiamento specifico nelle baite tipiche
degli alpeggi. La finalità è consentire
ai turisti una full-immersion nella
natura, in quello che è il mondo
contadino rurale delle vallate orobiche. L’organizzazione della proposta
turistica consentirà ai fruitori di avere
varie giornate organizzate, nelle quali
godranno pienamente delle indiscutibili bellezze naturali e paesaggistiche
che la val Tartano, nel contesto del
Parco delle Orobie, garantisce assolutamente».
Questo è ovviamente l'esito finale
del progetto, ma come è nata ViviOrobie?
«I
l progetto è nato concretamente con l'acquisto di una
proprietà di 500 ettari. Questo è stato
il primo passo di un sogno che avevo
da molti anni: fare qualcosa per la mia
valle; creare delle strutture per portare
un turismo che si differenziasse da
quello di massa. Operando all'interno
di un'area protetta era indispensabile riqualificare la zona per poi
proporla ad una clientela che ricerca
una vacanza diversa. Una vacanza da
full-immersion nella natura. Ciò vuol
dire di conseguenza riqualificazione
ambientale, ritorno all'agricoltura e
recupero di aree abbandonate a se
stesse».
Qual è lo stato dell'arte?
«Q
ualcosa è stato fatto e molto
resta da fare. Abbiamo
restaurato e resa operativa l'azienda
agricola. Abbiamo creato l'orto botanico, ma ciò che più conta siamo
riusciti un poco a cambiare la mentalità della gente: quello che all'inizio
sembrava un progetto utopico, ora è
percepito come una concreta opportunità di turismo ecosostenibile».
Immagino che abbiate incontrato
e continuiate a incontrare notevoli
difficoltà?
«G
li ostacoli e i costi di realizzazione di tale progetto
sono molti, ma io e il mio staff
crediamo nella bontà dell'iniziativa
e tiriamo dritti per la nostra strada.
Ovviamente un aiuto da parte degli
enti pubblici locali sarebbe oltremodo gradito. Come ho già detto
prima, infatti, ViviOrobie sarà anche
un'iniziativa privata, ma con ricadute e effetti benefici per l'intera val
Tartano».
ViviOrobie
47
Speciali d'estate
Zecche !!!
ViviOrobie è attiva anche nell'organizzare eventi sportivi?
«C
erto. Il traino sportivo è
importante per fare breccia
su un target di persone potenzialmente sensibili alla nostra iniziativa.
Sciaspolando, come la Bike&Run
estiva sono manifestazioni amatoriali a staffetta che vogliamo usare da
volano per promuovere la val Tartano
e le sue bellezze. Le prime edizioni
di entrambe le iniziative sono partite
con il piede giusto ed hanno avuto un
buon riscontro mediatico. Continueremo quindi su questa strada per fare
vedere che la provincia di Sondrio non
è solo stazioni sciistiche e impianti di
risalita, ma un’area alpina ove ogni
valle merita di essere conosciuta, valorizzata e promossa».
Con l'avvicinarsi dell'estate e l'innalzarsi di temperatura e umidità, un gran numero di
“esserini” si risveglia dalle rigidità invernali e inizia la sua febbricitante attività: le api
ricominciano a ronzare di fiore in fiore, le farfalle a svolazzare su e giù per i prati, e le
zecche affamate si dispongono in agguato attendendo i loro sventurati ospiti!
In vostro modello è esportabile
anche in altre realtà?
«S
icuramente, non abbiamo
mica scoperto l’acqua calda!
In altre zone, anche non alpine,
progetti simili sono già operativi e
riscuotono notevoli consensi. L’importante è vivere la montagna, farla
conoscere e rispettarla. In giro c’è
molta gente che non si può permettere o che magari non vuole andare
in un hotel cinque stelle, oppure che
vuole calarsi completamente in un
ambiente e viverlo come lo si viveva
un tempo».
Elio Angelini al baitone (2005, foto Renato Bertolini).
Progetti realizzati e da realizzare
I
l progetto di riqualificazione della
valle comporta la attuazione di alcuni lavori.
ViviOrobie ha in programma progetti quali:
- ristrutturazione baita “Laghetto”
realizzazione strada agrosilvopastorale ad uso agricolo interno in località “Sona Alta”;
- collegamento da area di arrivo teleferica alla “Casera” e alla baita del
“Gras Grand”;
- ristrutturazione “Casera” in Sona Bassa e della baita “Corneselle”
e “Cort del Ros” per uso agricolo e
turistico;
- realizzazione Giardino Botanico;
- realizzazione di acquedotto per servizio alle baite;
- ripristino e riqualificazione della
48
Le Montagne Divertenti sentieristica;
- pulizia dei boschi.
Ulteriori lavori da realizzare:
- ristrutturazione alloggi in baita Borgo antico a m 1450;
- adeguamento igienico strutture
malghe (bollino CEE), per renderle
idonee alla produzione di formaggio
e altri prodotti locali (inclusa realizzazione acquedotto);
- ristrutturazione Centro Polifunzionale;
- realizzazione di 3 centraline idroelettriche (con allacciamento all’
acquedotto nessun impatto ambientale) per l’esclusiva illuminazione delle baite;
- realizzazione bivacco a m 2100.
Le zecche, pur essendo animaletti interessanti, sicuramente non riscuotono molte
simpatie, vista la loro fastidiosa abitudine di ficcarsi nella nostra pelle e succhiarci il
sangue. Inoltre, diversamente da altri parassiti, come le pulci e le zanzare, le zecche
rimangono attaccate al nostro corpo per giorni interi, cosa che generalmente suscita un
vivo ribrezzo e rende possibile assistere in diretta al parassita che si ciba di noi.
val Laùr (2005, foto Renato Bertolini).
Estate 2010
Testi e foto Simone Manzocchi
Le Montagne Divertenti Zecche
49
Parassiti
Speciali d'estate
ricinus dura in media tre anni, uno
per ogni stadio di sviluppo, ma può
variare in base agli andamenti stagionali delle temperature.
uando la zecca è attiva (e
non è in diapausa) passa
la maggior parte del suo tempo in
agguato sotto le foglie dei cespugli
e degli arbusti e, non appena percepisce l’odore, il calore e i movimenti
di un mammifero o di un uccello di
passaggio (eventualmente anche un
rettile), si lascia cadere dalla vegetazione e si arpiona alla pelliccia o ai
vestiti del suo ignaro futuro donatore di sangue. L'arrogante esserino
vaga poi sulla pelliccia o sui vestiti
finché non trova un posto calmo e
accogliente (per esempio l’inguine di
un uomo) dove ficcare la testolina e
nutrirsi. Ognuno dei tre stadi “caccia”
ha altezze differenti: le larve pressoché
al suolo, le ninfe tra la vegetazione e
il suolo, e gli adulti sulla vegetazione
al di sotto dei 150 centimetri. L'altezza di caccia è strettamente legata al
tipo di ospite che i tre stadi predano,
cioè i micromammiferi (arvicole,
topi, toporagni, ricci) per la larva;
gli ungulati selvatici per gli adulti; e
praticamente qualsiasi vertebrato
(compresi gli uomini e i cani) per
la ninfa. La puntura della zecca non
è dolorosa, perché nella sua saliva è
presente un cocktail di sostanze ad
azione antinfiammatoria, vasodilatatoria e anticoagulante. La zecca, una
volta ancorata alla pelle, se la prende
comoda e rimane attaccata per un
lungo periodo, da alcuni giorni fino
a una settimana, durante il quale
assorbe il sangue, di cui trattiene i
globuli rossi e le sostanze nutrienti.
La parte acquosa del sangue viene
invece eliminata attraverso il secreto
delle ghiandole salivari e letteralmente “sputata” nell’ospite, insieme ai
microorganismi patogeni che la zecca
alberga al suo interno.
tutti noi è capitato almeno una
volta, ritornando a casa dopo
un bel giretto, di trovarci addosso
questa meretrice conficcata con soddisfazione nella nostra pelle. Se fosse
solo per il fatto che l’animaletto in
questione ci assaggia ogni tanto, non
ci preoccuperemmo più di tanto, però
l’infingardo, succhia e risucchia, può
portare diverse fastidiose malattie.
Q
Le zecche sono definite
accademicamente
“ectoparassiti ematofagi”,
ossia animali che
sopravvivono succhiando il
sangue all’esterno del corpo
di altri animali.
S
ono artropodi, come
gli insetti e i
crostacei, e fanno
parte della classe
degli
aracnidi,
insieme ai loro cugini
ragni, scorpioni e acari.
All’interno
dell’ordine
delle zecche sono presenti
due grandi famiglie, le
zecche dure e le zecche
molli, suddivise a
loro volta in
innumerevoli
generi
50
Le Montagne Divertenti e specie, differenti per caratteristiche ecologiche, preferenze di ospite,
periodi di attività e capacità di portare
"malattie".
La zecca che interessa maggiormente gli escursionisti, e generalmente chiunque frequenti gli
ambienti silvestri, è Ixodes ricinus,
detta anche zecca dei boschi o zecca
degli ungulati. Questo simpatico
animaletto è presente in tutta Europa,
Italia compresa; vive nei boschi al di
sotto dei 1200 metri, specialmente
nelle aree ben coperte da latifoglie,
con presenza di arbusti, cespugli e
felci, e con elevata umidità atmosferica (per esempio vicino a corsi d’acqua o a bacini imbriferi). La presenza
nell’ambiente di un buon numero
di ungulati selvatici (come caprioli,
cervi, daini) contribuisce notevolmente ad accrescere la densità delle
zecche, poiché questi mammiferi
costituiscono per i parassiti dei veri e
propri buffet ambulanti.
I
l periodo di massima attività di
Ixodes ricinus è quello estivo primaverile, all’incirca intorno ai mesi
di maggio, giugno e luglio, anche se,
in presenza di temperature favorevoli, è possibile incontrare la zecca
da marzo fino a ottobre. Il suo ciclo
biologico si compone di tre stadi di
sviluppo: la larva, la ninfa e l’adulto.
In ognuno di questi stadi,
durante il suo periodo di
attività, la zecca va in cerca di
una preda e compie su di essa un
unico lungo pasto, terminato il
quale si lascia cadere e muta al
suolo nello stadio successivo.
D
urante l’inverno la zecca
si rifugia negli anfratti del
terreno e rimane in uno stato quiescente detto diapausa.
e larve sono gialle e quasi invisibili alla vista (0,5 mm), le ninfe
sono giallo-brunaste e misurano circa
1 mm, mentre gli adulti sono rossobrunastri e misurano circa 3 mm.
In Europa centrale, la vita di Ixodes
L
Estate 2010
In Italia la zecca è
portatrice della malattia di
Lyme e dell’encefalite virale
da zecca o TBE (tick-borne
encephalitis).
La malattia di Lyme o borreliosi
di Lyme è una patologia infettiva
causata dal batterio Borrelia burgdorferi s.l., presente in tutta Europa
e nel nord dell’Italia e trasmessa
all’uomo dalla zecca Ixodes ricinus.
Il parassita contrae l’infezione nello
stadio di larva attraverso il pasto su
un micromammifero o un uccello
permanentemente infetto con Borrelia, detto serbatoio o reservoir, e la
ritrasmette a sua volta agli ospiti degli
stadi successivi (ninfa e adulto), tra i
quali può rientrare anche l'uomo. La
manifestazione tipica dell'infezione
è un eritema (cioè un arrossamento
della pelle), di forma circolare, che
si espande con andamento centrifugo, disegnando una specie di alone
anulare rossastro. Compare qualche
giorno dopo la puntura e scompare
nell’arco di qualche mese. Spesso chi
presenta questa manifestazione cutanea, non si accorge nemmeno che
una zecca l’ha punto e imputa l’arrossamento a una dermatite allergica da
contatto, ma in genere i medici conoscono bene questo sintomo tipico e
in sua presenza possono diagnosticare
con facilità la malattia.
La malattia di Lyme si può anche
manifestare , con un nodulo bluastro, chiamato linfocitoma cutaneo,
su lobo dell’orecchio, capezzoli e
scroto. Successivamente si possono
presentare sintomi articolari, con
dolore e gonfiore in un’articolazione,
che generalmente compaiono e spariscono nell’arco di pochi giorni per poi
ripresentarsi, dopo un breve periodo,
in un’altra articolazione. Si accompagnano talvolta manifestazioni neurologiche, delle quali le principali sono
la paralisi del nervo facciale e uno stato
particolare di sonnolenza, perdita di
memoria, incapacità di coordinare
correttamente i movimenti, associate
a una forma di encefalopatia.
La malattia di Lyme, nella
maggior parte dei casi, è
curabile con trattamento
antibatterico per 14-60
giorni (ma la durata può
salire a 30-60 giorni per
alcune forme croniche).
A
Le Montagne Divertenti Zecche
51
Quel l'è 'n...
Speciali d'estate
A
lcuni semplici comportamenti
permettono di prevenire la
malattia di Lyme. Prima di tutto,
quando si fanno escursioni, è buona
cosa utilizzare il giusto abbigliamento,
in particolare se si prevedono ampi
fuoripista nell’erba alta o tra i cespugli. L’ideale è indossare pantaloni
lunghi e scarponcini, o comunque
un abbigliamento che non lasci mai
esposte le gambe o le calze, sui cui
le zecche possono risalire fino all’inguine. I repellenti a base di deet (N,
N-Dietil-meta-toluamide), applicati
sulla pelle o sui vestiti, sono utili
nell’evitare che le zecche ci considerino appetibili; magari saliranno sui
nostri vestiti, ma difficilmente proveranno a pungerci. Appena rientrati
a casa dopo un’escursione, fatta una
bella doccia, è consigliabile guardare
e controllare bene tutto il corpo, in
modo da individuare ogni eventuale
“amichetta” infissa nella pelle. Molto
difficilmente Ixodes ricinus trasmette il
batterio prima delle 24 ore da quando
si è infissa nella cute, quindi, se
abbiamo una zecca addosso, è molto
importante estrarla il prima possibile.
encefalite virale da puntura
di zecca (TBE) è una malattia che si suddivide in due fasi: una
influenzale con febbre solitamente
sotto i 38° accompagnata da cefalea
e dolori alla schiena ed agli arti risolvibile in una settimana circa; una
seconda fase che coinvolge il sistema
nervoso centrale accompagnata da
febbre molto elevata e sintomi simili a
quelli di una meningite.
L'
N
onostante
l’esistenza
d’innumerevoli
leggende su
c o m e
togliersi
una
Franca Prandi
zecca, l’unico modo per farlo
correttamente è afferrarla con una
pinzetta alla base della "testa"
(detta capitulum), il più vicino
possibile alla nostra cute, e tirare
gentilmente.
ai afferrare la zecca dal
corpo perché si può
rompere facilmente, e soprattutto
mai applicare trementina, acetone,
petrolio, alcol, disinfettanti, e altre
sostanze sulla zecca; non aiutano in
nessun modo nell’estrazione e inoltre provocano un riflesso di “rigurgito” nel parassita, il quale riversa
tutto il contenuto delle ghiandole
salivari nel suo ospite (compresi
eventuali batteri e virus); in altre
parole il danno che non aveva fatto
la bestiaccia lo provochiamo noi.
ltra leggenda metropolitana è
quella della rottura della “testa”
all’interno della cute. Alcuni pensano
che questo possa causare “gravissime
infezioni”, ad altri ho addirittura
sentito dire che dalla “testa” rotta può
ricrescere la zecca! Se nell’estrazione
della zecca si rompe la “testa”, questo
non costituisce assolutamente un
problema. In verità quello che rimane
nella nostra pelle non è la testa, ma
solo un ago dentellato, con cui la
zecca si ancora, chiamato ipostoma
(volgarmente, rostro). Ovviamente
non causa nessuna “grave infezione” e lo si può rimuovere
facilmente come si fa con le
spine dei ricci di castagno.
opo la rimozione
della zecca è
M
A
consigliabile dare una bella disinfettata
alla pelle e tenere controllata la parte
interessata per due mesi, in modo da
individuare prontamente l’eritema, se
mai si presentasse. Dopo la rimozione
di una zecca è categoricamente sconsigliato l’uso di antibiotici in assenza
di sintomi: questi potrebbero, infatti,
rendere invisibile l’eritema senza però
eliminare tutti i batteri, i quali continuerebbero a moltiplicarsi nell'organismo fino a dare sintomi più gravi e
spesso difficilmente riconducibili alla
malattia di Lyme.
er i nostri cagnoloni e cagnolini
sono in commercio dei collari
antiparassitari a base di piretroidi
(permetrina; deltametrina) e delle
formulazioni “spot on” (gocce da
mettere sul dorso) a base di imidacolprid o fipronil; si possono usare separatamente o insieme e garantiscono
un certo grado di protezione dalle
infestazioni. Anche per i cani e consigliabile dare una controllata e una
spazzolata al pelo dopo una passeggiata nel bosco, per evitare di introdurre in ambiente domestico le zecche
che vagano sul pelo dell’animale in
cerca di un posto tranquillo.
P
D
52
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Le Montagne Divertenti Quel l'è 'n
53
I leǜsc
Speciali d'estate
G
li anziani, pur non
conoscendo una persona,
riescono a capire esattamente il
paese o addirittura la contrada
di Valtellina da cui questi
proviene. A volte basta loro
notarne i lineamenti, a volte
serve invece che questi scambi
con loro qualche battuta
svelando inevitabilmente il
proprio accento.
Questa abilità è un sapere
mai tramandato a voce, nè
tantomeno scritto; una sorta di
sesto senso1 che alcuni hanno
acquisito con l'esperienza e
che permette loro di isolare
e distinguiere gli elementi
peculiari delle varie comunità di
Valtellina.
Descrivendo su ogni numero
della rivista una delle comunità
ancora ben radicate nel nostro
territorio, cercheremo di
spiegare l'arte di riconoscerle.
Breve sosta per una foto-ricordo durante l'aratura che precedeva la semina del grano saraceno
(San Giovanni, luglio 1963, Archivio Mosè Bartesaghi).
Nella pagina a fianco: Mario Baldini porta ne mazza. Per un vero leǜsc il riposo è tabù così, di
ritorno dai campi, sempre lo attendono i lavori di casa (2010, foto Matteo Gianatti).
In copertina a questo articolo: el Silvi di Rös trasporta il fieno con mulo e slitta di legno da Ca
Benedetti alla Madonnina (gennaio 1959, foto Archivio Fernando Fanoni).
L'è en leǜsc
Q
uali sono gli elementi che
inducono a definire con
esattezza che una persona ha
origini nella contrada Madonnina di
Montagna in Valtellina? 2
Certo le fattezze: spesso il vero
leǜsc è magro, quasi ossuto, ha i
tratti del viso marcati e il naso un
po’ pronunciato. È piuttosto bruno
di pelle, ha gli occhi scuri, come i
capelli che spesso sono ricci, e le
arcate sopraccigliari folte.
Ha una parlata diversa
dagli abitanti delle altre
contrade di Montagna,
caratterizzata da una
cantilena singolare e da un
proprio intercalare: òoh ti!
Ma anche all’interno dei diversi
nuclei si possono cogliere delle
differenze; le patate, per esempio,
1 - Alla richiesta di spiegazioni la risposta più
comune è "L'è inscì".
2 - Il seguente contributo è stato possibile anche
grazie alle preziose informazioni fornitemi da
Giorgio Leusciatti di Montagna.
54
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Le Montagne Divertenti a San Giovanni sono dette tartǜfui,
mentre a Ca Bongiascia, poco più
a valle, tartìfui. Gli uomini, poi,
hanno l’abitudine di infarcire i loro
discorsi con frequenti e colorite
saràccạ.
Ai tempi, le donne si distinguevano
per il loro abbigliamento dai colori
scuri, come il panét che copriva il
loro capo, annodato stretto, stretto
dietro la nuca con gesti rapidi e
sicuri. Qualcuno ancora si ricorda,
poi, il cerchio di stoffa attorcigliata
che mettevano in testa per trasportare
il secchio con il latte che andavano a
vendere a Sondrio.
Notoriamente i leǜsc sono frugali,
poco avvezzi alle comodità; anche
il loro pane è scuro come i vestiti
che portavano. Viene cotto tuttora
nei forni a legna, soprattutto in
occasione delle feste più importanti
come Natale o San Giovanni
Battista, ed il suo aspetto è dovuto al
fatto che viene preparato con farina
di sola segale; un tempo anche con
la crusca. Viene definito ‘l pan di
sèt culp, perché molto duro, infatti
le fornate erano effettuate solo ogni
una o due settimane, ma, come
dicevano i vecchi, al té cùpa, cioè
sazia, perché sostanzioso o forse
perché le donne, prima di chiudere
lo sportello del forno, impartivano il
segno della croce alle pagnotte.
Di carattere, i leǜsc, sono piuttosto
facili all’ira, molto orgogliosi e
anche suscettibili, gelosi delle loro
donne. Fino a qualche decennio fa
erano frequentissimi i matrimoni
endogami, cioè all’interno della
loro piccola comunità. I maschi
non erano teneri con i giovanotti
di altre contrade o foresti che si
arrischiavano a corteggiare una
delle loro ragazze; infatti erano
soliti accogliere i malcapitati
dongiovanni con una sassaiola che
spesso dissuadeva i meno tenaci dai
loro focosi intenti.
Si dice anche, un po’ malignamente,
che alcuni di loro fossero inclini ai
Quel l'è 'n
55
Speciali d'estate
furtarelli; a volte, più per necessità
che per indole, sconfinavano
appropriandosi di un mazzetto di
legna o della valìs, cioè lo strame
per le bestie, che andavano a
raccogliere sugli impervi crap
d’avéi, all’imbocco della val di
Togno, o ai cügnuléttạ.
i racconta ancora un gustoso
aneddoto che ha visto coinvolto
un contadino di ca ğenàt che, dopo
aver seminato le patate nel suo
campicello, attendeva trepidante
che germogliassero. Avvedutosi che
le sementi erano state sottratte da
qualcuno, confidò il proprio cruccio
ad un suo compare il quale, forse
avendo la coscienza sporca, gli disse
che evidentemente le aveva piantate
prima di un forte temporale, dopo il
quale sul campo si era “appoggiato”
l’arc, cioè l’arcobaleno, e quindi,
secondo una credenza allora molto
radicata, erano marcite.
ella tradizione popolare è
consolidata la convinzione che
i leǜsc siano originari della Calabria
e che si siano successivamente
trasferiti nel comune di Montagna.
In realtà se tale credenza fosse
attendibile, ciò deve essere avvenuto
in tempi remotissimi, infatti
cognomi come Benedetti, Credaro e
Brusa sono testimoniati a Montagna
già nel 1443!
I leǜsc sicuramente hanno abitato
quello che veniva definito il Mons
Leputiorum, ovvero il monte dei
Lepuzi, che riuniva le numerose
contrade che vanno da Ca Benedetti
fino all’attuale San Giovanni.
La denominazione è attestata almeno a partire dal Quattrocento, quando è testimoniato, indifferentemente, il monte de Levuzij o de Levutij.
Sicuramente nel Seicento si affermò
anche il cognome che si riallaccia al
toponimo; nel 1606 Bernardo del fu
Giacomo Mascarini è detto, infatti,
de Leutij. E così, come spesso è accaduto anche in altri contesti, dal toponimo ha avuto origine il cognome
che ancora si tramanda nella variante Leusciatti, mentre per ca leǜsc ai
nostri tempi si intende la contrada
della Madonnina o de la madùnạ,
come loro preferiscono chiamarla, e
non più le contrade alte.
Col tempo all’interno della comunità
S
N
56
Le Montagne Divertenti si evidenziarono vari clan, cioè
nuclei famigliari molto compatti,
con numerosa figliolanza, dove le
braccia maschili rappresentavano
una ricchezza, soprattutto dove
mancava un animale da tiro.
Ricordiamo i rös, i šturn, i pucèlli, i
brǜśạ, i merlàt, i martìn, i tunaìn…
on grande tenacia questi uomini
hanno dissodato un’area aspra
e poco vocata all’agricoltura,
strappando lembi di terreno ad
una natura per nulla generosa,
trasportando a monte ogni anno,
col gerlo, quella magra terra che
scivolava a valle e guardando con
invidia quelli di Santa Maria che
vivevano in una territorio ben più
ospitale e fertile.
Fino agli anni Quaranta del secolo
scorso, prima del grande esodo verso
l’attuale contrada della Madùna, i
leǜsc se ne stavano a San Giovanni
fino alla festa di Sant’Antonio
(17 gennaio), poi scendevano
alla Madonnina per svolgere i
lavori nelle vigne, ma già a San
Giuseppe (19 marzo) tornavano
nelle contrade alte, perché era lì
che c’erano i campi, i prati, le fonti
della loro sopravvivenza. In seguito
raggiungevano l’aquanégra, nella
valle del Lanterna, dove facevano
estivare le mandrie tra la festa di
San Giovanni (24 giugno) e quella
di San Bartolomeo (24 agosto),
C
come prevedevano gli ordinamenti
del Comune di Montagna.
Accorti e avveduti, i componenti
della quadra di San Giovanni dalli
crappi in su, a monte cioè della
contrada di cardè, sono riusciti a
mantenerne la proprietà che avevano
ottenuto con la divisione dei monti
e delle alpi comunali conclusasi
faticosamente, dopo decenni e
decenni, nel 1761.
Impegnati nel duro lavoro quotidiano
i leǜsc non potevano nemmeno
permettersi di presenziare alla messa
di Natale in San Giorgio. Il lungo
tragitto li avrebbe tenuti per troppe
ore lontani dalle loro occupazioni
quotidiane e dalle loro bestie che,
com’è noto, non conoscono feste
di sorta, perciò il canonico era
tenuto, il giorno di Santo Stefano
(26 dicembre), a salire fino a San
Giovanni per celebrare la messa.
Per l'occasione la gente di quelle
contrade arrivava in chiesa con il
livèl, cioè uno o due pani di segale
che erano il corrispettivo del fitto dei
piccoli appezzamenti di proprietà
della chiesa che lavoravano. I pani
andavano a colmare due sacchi, poi
venivano tagliati a fette e distribuiti
a tutti quelli che avevano partecipato
alla funzione.
Storie d’altri tempi, così vicine, ma
anche così lontane…
Disgrazia:
via normale
Beno
La via normale al Disgrazia, la
stessa seguita dai primi salitori,
raggiunge la vetta attraverso la
valle di Preda Rossa, la Sella di
Pioda e infine la cresta ONO del
monte.
La cresta ONO del Disgrazia vista dalla
vetta del monte Pioda. E' netta la zona di
transizione tra il grigio granito del Masino e
le rosse serpentiniti malenche
(7 agosto 2009, foto Beno).
Estate 2010
Le Montagne Divertenti Monte Disgrazia (m 3678)
57
Valmasino
Alpinismo
Sul ghiacciaio di Preda Riossa (26 luglio 2005) e la Sella di Pioda dalla cresta ONO del Disgrazia la notte del 8 novembre 2008 (foto Beno).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Preda Rossa (m 1955).
Itinerario automobilistico: da Sondrio
prendere la SS38 fino ad Ardenno (19 km), poco
prima del ponte sul Masino, uscire a dx, e affiancare
il torrente fino all'incrocio da cui parte la SP 9 della
val Masino. Seguirla fino a Cataeggio (9 km), quindi
Filorera (1 km). All'uscita del paese prendere la
deviazione sulla dx che porta immediatamente alla
Casa delle Guide e al ponte sul Masino. La
carrozzabile1 sale in valle di Sasso Bisolo fino a Preda
1 - La strada da quest'anno è a pagamento. Costo giornaliero
5€, il permesso lo si fa in Comune a Cataeggio. Per chi venisse
sorpreso senza permesso la sanzione è di ben 105 €!
Questa via di salita è la stessa
effettuata dai pionieri inglesi nel
1862 ed è l'accesso più facile e
frequentato della montagna. Si
svolge in un ambiente molto vario
nella valle di Preda Rossa, laterale
della Valmasino. Si attraversano
scenari naturali eterogenei, dalle
piane dolci e bucoliche, all'impressionante morena del ghiacciaio di
Preda Rossa, ai ripidi e crepacciati
pendii dello stesso scudo nevoso,
per chiudere con un'aerea cresta
di roccia rossa che regala una delle
vette più belle delle Alpi.
Benché sia "la più facile", questa
via non va sottovalutata e se non si
è alpinisti preparati è bene essere
accompagnati da una Guida Alpina.
58
Le Montagne Divertenti D
Rossa (circa 8 km - tratto centrale sconnesso).
Itinerario sintetico: Preda Rossa (m 1955) [rifugio Ponti (m 2559)] - Sella di Pioda - monte
Disgrazia (m 3678) dalla cresta ONO.
Tempo di salita previsto: 6:15 ore.
Attrezzatura richiesta: Scarponi, corda,
piccozza, imbracatura, ramponi, cordini.
Difficoltà/dislivello: 4 su 6 / 1723 m.
Dettagli: Alpinistica PD. Passi fino al III grado su
roccia, tratti di misto e su ghiacciaio.
Mappe: Valmasino 1:25000 .
ue frane negli anni ’70 e ’90
spazzarono via a quota 1300
la carrozzabile che saliva nella valle di
Sasso Bisolo. La strada era stata costruita dall’ENEL negli anni Sessanta,
nell'ambito di un progetto per costruire un grande bacino artificiale nella
piana di Preda Rossa. Il progetto
venne poi abbandonato, anche in
seguito alle proteste ambientaliste.
ggi una bretella sterrata e
dissestata aggira il nucleo
franoso transitando sull'instabile
orografica sx della valle, per poi ricongiungersi all'ottima pista asfaltata
sull'altra sponda. Molte curve e si è
alla stupenda piana di Preda Rossa
(m 1955). Se si volesse partire a piedi
direttamente da Filorera, il sentiero
segnalato, via percorsa dagli atleti del
O
Trofeo Kima, tocca solo in minima
parte la rotabile e porta ai m 2000
della piana (da Filorera ore 2:30 ).
'avventura ha inizio sul sentiero
segnalato da bandiere bianche e rosse per la Ponti. Attraversata
la piana di Preda Rossa dal suo lato
occidentale1, si guadagna quota in
un boschetto fino a un successivo
ripiano, superato il quale ci si sposta
sul pendio orografico dx della valle
(sx). Un ultimo tratto fra lastroni di
granito e macereti porta alla Ponti
(m 2559, ore 2).
Dal rifugio, per sentiero, ci si porta
sulla sponda occidentale della morena
del ghiacciaio, intercettando la traccia
che sale dal basso direttamente sulla
L
1 - Si transita su alcune passerelle di legno che
sovrastano tratti spesso acquitrinosi.
Estate 2010
morena: una variante che, per chi la
conosce, avrebbe fatto sicuramente
risparmiare tempo.
Si sale sullo stretto crinale detritico,
con bella vista sulla lingua glaciale
che, nella parte bassa, è quasi completamente coperta da pietrame. Si attraversa quindi, seguendo i segnali, una
vasta zona con lastroni, chiazze di
neve e pietraie. Mantenendosi a sx,
si cerca di attaccare il ghiacciaio nel
punto più conveniente che, generalmente è sotto le rocce verticali che
sbarrano la vista a occidente. Con la
dovuta attenzione si affronta il ghiacciao, dapprima ripido e talvolta molto
crepacciato, poi più dolce. Si abbandona infine la neve montando l’ampia depressione della cresta rocciosa
NE del Disgrazia: la Sella di Pioda
(m 3387, ore 2:30). Da qui il panorama è davvero superbo, sia sulle cime
del Masino che del Bernina.
questo punto molte cordate
prediligono evitare il primo
gendarme aggirandolo da S per cenge
e neve e rimontare in cresta al primo
intaglio, ma io reputo questa via
pericolosa per le continue scariche
di pietre dall'alto, per cui dalla sella
consiglio di proseguire in cresta o
appena a dx di questa. Si affrontano
passi di II/III grado un po' esposti
fino all'anticima di quota m 3400 ca,
da cui si scende all'intaglio comune
con l'altra variante.
La via prosegue ora sempre sulla
cresta rossa di serpentino o, dove
opportuno, aggirando alcune difficoltà o ghiaccio dal versante meridionale ed evitando così d'utilizzare
inutilmente attrezzatura da K2.
Al termine della sella a cui culmina
il Canalone Folatti, c'è un passaggino
su placca scivolosa, poi la linea torna
ben appigliata e aerea. Alla successiva
ripida rampa, ci si può portare decisamente sul versante meridionale e,
con un pizzico d'intuito, si riescono
a vedere le assi e i resti della capanna
Maria.
Tornati in cresta si è in breve
all'anticima orientale del Disgrazia,
la Punta Siber Gisy. Da qui solo un
centinaio di metri su rocce rotte e il
Cavallo di Bronzo, famoso masso con
tacche artificiali, separano dalla vetta
(monte Disgrazia, m 3678, ore 1:45).
Il paesaggio è immenso: l'isola-
A
Le Montagne Divertenti Le roccette che portano all'anticima di quota 3400 precipitano nell'abisso del versante N
(7 agosto 2009, foto Beno).
mento della montagna regala la sensazione d'essere in volo.
Per chi volesse trovare ricovero, il
bivacco Rauzi si trova poco sotto la
vetta in direzione NE.
A
l ritorno merita una visita
pure il granitico monte Pioda,
raggiungibile per cresta aerea dalla
sella (m 3431, ore 0:20).
Monte Disgrazia (m 3678)
59
Valmalenco
Alpinismo
La Corda Molla
Luciano Bruseghini
La Corda Molla, itinerario classico di salita al Disgrazia, era anche quello più
battuto fino agli anni sessanta. Deve il suo nome alla forma a mezzaluna della
lingua di ghiaccio che ricopre la parte alta della via.
I tracciati di salita (rosso) e discesa al Disgrazia per la Corda Molla (10 agosto 2008, foto e tracciato Luciano Bruseghini).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Chiareggio (m 1612).
Itinerario automobilistico: da Sondrio
prendere la strada provinciale SP15 per la Valmalenco.
Arrivati a Chiesa (12 km) si prende la biforcazione
occidentale della valle. Dopo diversi tornanti (5 km) si
arriva a San Giuseppe da cui si prosegue in direzione
di Chiareggio (5 km).
Itinerario
sintetico: Chiareggio (m 1612) - alpe
Ventina (m 2000) - Bivacco Taveggia (m 2894) Punta Kennedy (m 3283) - Bivacco Oggioni (m 3151)
- monte Disgrazia (m 3678) - discesa per la parete E e
il ghiacciaio del Ventina.
U
na leggenda locale, inserita
nel libro Valmalenco, una
lunga storia di Luigi de Bernardi,
narra che un tempo il monte veniva
chiamato pizzo Bello e i suoi fianchi
erano ammantati di pascoli lussureggianti. I pastori, tranquilli dell’abbondanza che la montagna dava
loro, divennero sempre più superbi
ed arroganti. Un giorno rifiutarono
ospitalità ad un anziano viandante
stanco ed affamato, perché intenti
ad ammirare lo splendore del monte.
Allora il viandante, che si rivelò
Dio in persona, gettò sulla montagna una maledizione, bruciandola
fino alla vetta e accecando i pastori,
mandandoli appunto in disgrazia.
Pare invece che il nome Disgrazia derivi dall'errata traduzione
La
cresta
di neve e roccia
che dal bivacco Oggioni porta sulla vetta del Disgrazia (7 agosto 2009, foto Beno).
Montagne
Divertenti
60lunga Le
Estate 2010
Le Montagne Divertenti Tempo
di salita previsto: 1° giorno 6 ore fino
al Bivacco Oggioni (2 ore in più con la Kennedy);
2° giorno - 5 ore alla vetta + 4 ore per la discesa.
Attrezzatura
richiesta: scarponi, corda,
piccozza, imbracatura, ramponi, cordini, utili un paio
di chiodi da ghiaccio.
Difficoltà/dislivello: 4.5 su 6 / 2078 m.
Dettagli: Alpinistica AD. Passi fino al IV grado su
roccia, tratti di misto e su ghiacciaio.
Mappe: Valmalenco - Carta escursionistica 1:30000.
dal termine dialettale "Desglacia",
ovvero si scioglie, riferito all'abbondanza di acqua che scende dai
numerosi ghiacciai che ne ricoprono
le pareti.
a Corda Molla, itinerario classico di salita al Disgrazia era il
più battuto fino agli anni sessanta,
quindi gli fu preferita la più breve
via normale. Deve il suo nome alla
forma di mezzaluna della lingua di
ghiaccio, un tempo molto copiosa e
oggi ridotta a un lumicino, che ricopre la parte alta della cresta che porta
alla parete E del Disgrazia. Nonostante il ritiro delle nevi perenni, è
sempre un itinerario molto caratteristico e scenografico, a strapiombo
sulla parete N della montagna.
L
L’
avventura ha inizio dall’abitato
di Chiareggio (m 1612) nel
comune di Chiesa in Valmalenco. Nei
pressi della chiesetta di Sant’Anna, si
scende sulla riva del torrente Mallero
e lo si varca utilizzando lo stretto
ponticello in legno. La mulattiera che
sale in direzione O verso i rifugi Porro
e Ventina si sviluppa a semicerchio
in un profumatissimo bosco di abeti
e larici e termina all’alpe Ventina
(m 1970, ore 1), dove sorgono le due
strutture ricettive. Ottimo punto di
appoggio per le ascensioni nel gruppo
del Disgrazia, forniscono anche informazioni sullo stato dei bivacchi in
quota e sulla loro disponibilità di
pernottamento, visto che i posti sono
pochi.
Si prosegue attraversando l’ampio
Monte Disgrazia (m 3678)
61
Valmalenco
Alpinismo
pascolo accompagnati dal gorgoglio del torrente in cui confluiscono
le acque che rimbalzano dai pendii
circostanti. Si punta in direzione S alla
vedretta del Ventina, sormontata ai
lati da due enormi morene che fanno
intuire lo spessore del ghiacciaio di un
secolo fa. Inoltre lungo il sentiero che
conduce al ghiacciaio (Sentiero Glaciologico Vittorio Sella) sono posizionate
delle targhette che testimoniano l’arretramento della massa nevosa dalla fine
dell’ottocento ai giorni nostri. Quale
enorme tristezza suscita tale impoverimento prodottosi in questo ultimo
secolo!
Raggiunto il bordo del ghiacciaio,
se si alzano gli occhi in alto a destra
(sinistra idrografica), si nota la vedretta
della Vergine che occupa l’omonimo
canalone, punto di passaggio obbligatorio per chi voglia spingersi al Disgrazia dalla Corda Molla. Fino a non molti
anni fa, la colata bianca era collegata
direttamente con la parte bassa, dove
ci troviamo ora, ed era normale procedere lungo quel canalone: ora invece si
è costretti a compiere un ampio semicerchio verso destra per superare la
balza rocciosa compresa tra la piramide
Alba sul Disgrazia dal bivacco Oggioni (26 luglio 2009, foto Luciano Bruseghini).
La Corda Molla (19 giugno 2005, foto Pietro Pellegrini).
62
Le Montagne Divertenti della Sentinella della Vergine e la cresta
sud del pizzo Ventina.
Calzati i ramponi, si inizia a risalire
il ghiacciaio facendo molta attenzione
ai numerosi crepacci, spesso ancora
ricoperti da un sottile strato di neve
anche a stagione avanzata. Compiendo
diversi slalom per evitare appunto gli
infidi trabocchetti, si conquistano le
due “gobbe del cammello” e si sbuca
su un ampio pianoro (m 2700 ca,
ore 2). Qui bisogna valutare il percorso
migliore per accedere verso destra al
ghiacciaio che scivola dal versante E
del Disgrazia, ormai quasi separato
completamente dalla colata principale.
Solitamente si utilizza l’ultimo residuo
di neve che unisce, come un cordone
ombelicale, la grande madre al piccolo
figlio. Proseguendo in direzione NO
si punta all’ampia parete rocciosa che
declina dalla Punta Kennedy. Guidati
dai piccoli ometti di roccia o comunque dalle evidenti tracce di passaggio,
ci si innalza abbastanza agevolmente
fino ad approdare al bivacco Taveggia
(m 2894, ore 1). La struttura dispone
di 4 posti letto e, anche se è un po’
vecchiotta, risulta molto utile in caso
di improvviso maltempo oppure se il
bivacco Oggioni, che incontreremo
più avanti, è completo. In breve si
ascende alla sommità del bastione e
appare la vedretta della Vergine.
Da qui segnalo due differenti
opzioni per accedere al bivacco
Oggioni, nostra prossima meta.
a via classica percorre il ghiacciaio compiendo un semicerchio,
per poi alzarsi improvvisamente per un
centinaio di metri fino a raggiungere la
conca sommitale, stretta tra la Punta
Kennedy e il pizzo Ventina, sul cui
lembo più occidentale, il Colletto del
Disgrazia, sorge il Bivacco Oggioni
(m 3151, ore 1:30).
Comunque io consiglio, soprattutto
se si ha a disposizione un po’ di tempo,
di inerpicarsi lungo la cresta E della
Punta Kennedy: una via di grande
soddisfazione (III+ con un passaggio
obbligatorio di IV su una placca di
15 metri1) che permette di ammirare
la parete est del Disgrazia e la parte
alta della Corda Molla in un unico
scorcio grandioso. Dalla cima (Punta
Kennedy, m 3283, ore 2:30) si gode
di una visione particolare sull'enorme
vicino, nostra meta di conquista per il
giorno successivo. Ricalzati i ramponi,
si discende un breve tratto di ghiacciaio
e si raggiunge il Bivacco Oggioni2. La
sua posizione su una cresta rocciosa, a
picco sulla vedretta del Disgrazia, nelle
nottate ventose, non fa dormire sonni
tranquilli agli occupanti! Spettacolare
comunque il panorama sulla parete N
che incombe davanti a noi e surclassa
tutte le cime vicine.
L
a sveglia suona presto, alle
cinque, perché ci aspetta una
giornata molto lunga. Capita spesso
che il bivacco ospiti alpinisti che
scalano la N e che quindi si alzano
ancora prima, verso le tre, per cui non
si può pretendere la quiete assoluta!
2 - La costruzione, di proprietà del CAI di Monza,
è stata recentemente sostituita e offre tutti i
“confort“ necessari alla vita in quota: 12 comodi
posti letto, un piccolo tavolo e un fornellino per
sciogliere l’acqua.
Per il primo tratto di ascensione si
utilizza la lingua glaciale che sale in
direzione S e che permette di guadagnare quota in modo molto rapido.
Raggiunto l’inizio della cresta
rocciosa (m 3250 circa ore 0:30)
appare davanti a noi tutto il percorso
che dovremo affrontare per arrivare in
vetta: una sottile lama rocciosa mista a
ghiaccio nella prima parte e una parete
verticale di circa duecento metri alla
fine. Inizialmente non c’è un tracciato
obbligato: a seconda dei passaggi si
può procedere a sx, a dx oppure in
cima alla lama rocciosa.
Spettacolari gli
attraversamenti sul lato
destro con lo strapiombo di
trecento metri sotto i piedi!
Nei punti più tecnici alcuni chiodi
permettono di ancorarsi in tutta tran-
quillità. Bisogna prestare attenzione
alla roccia, perché in certi momenti è
molto friabile e capita spesso che delle
pietre si stacchino e ruzzolino a valle.
I brevi spazi ricoperti di neve
possono essere vinti anche senza calzare
i ramponi, in quanto sono solitamente
molto ridotti e privi di difficoltà. Solamente quando si raggiunge la “Corda
Molla” (m 3350, ore 2 ca) è obbligatorio montarli, perché c'è sovente del
ghiaccio vivo, inoltre l’ultimo tronco
presenta una forte pendenza, quasi
verticale. Al giorno d’oggi purtroppo
non è un tratto molto lungo, solamente un centinaio di metri, ma che
riempie di soddisfazione chiunque
riesca a superarlo perchè è comunque
un pezzo di storia dell’alpinismo della
Valmalenco.
aggiunta nuovamente la roccia
si sale la parete verticale, procedendo leggermente a sx, sfruttando
i vari canalini intervallati da piccole
R
L
1 - E' chiamata localmente "Ciata del Gat".
Estate 2010
Le Montagne Divertenti Monte Disgrazia (m 3678)
63
Valmalenco
Alpinismo
non sono visibili, nascosti dalle guglie
grigiastre delle cime “minori” che
circondano il Disgrazia.
a discesa avviene normalmente
per la parete E, dove si devono
compiere diverse calate in corda
doppia per raggiungere il ghiacciaio
del Ventina. Il primo punto di ancoraggio molto comodo è uno dei tiranti
in acciaio che assicurano il Bivacco
Rauzi. Poi diversi chiodi, alcuni anche
molto datati, offrono un discreto
appiglio. Uno è stato posizionato
appena sopra un piccolo tratto ghiacciato che crea non pochi problemi di
equilibrio... A breve, alcune Guide
Alpine della valle hanno in progetto di
inserire dei nuovi spit per agevolare e
meglio assicurare il ritorno ai numerosi alpinisti che utilizzano questa
via. Durante tutta la fase discensiva
bisogna prestare molta attenzione alle
rocce che possono precipitare dall’alto,
soprattutto ad opera di altri alpinisti.
occato il ghiacciaio (m 3300,
ore 2), si può decidere di
costeggiare i piedi della Corda Molla,
risalendo poi un breve tratto di roccia
e quindi scendere al bivacco Oggioni
per poi proseguire verso valle lungo il
tragitto utilizzato il giorno precedente
per la salita. Esiste anche un’opzione
più interessante che diversifica il rientro. Calzati i ramponi ci si abbassa
lungo il ghiacciaio in direzione E fino
ad arrivare ad una zona occupata da
enormi seracchi che vengono superati dirigendosi verso dx (S), dove
il percorso si snoda tra neve e rocce
facilmente sormontabili. Compiendo
una "esse", prima verso N poi in direzione S, si oltrepassa anche un grande
sperone che ostruisce il passaggio e,
stando alla larga dai seracchi che occupano la parte centrale della lingua
glaciale, ci si abbassa camminando
vicino alla parete rocciosa che collega
il passo Cassandra con la cima del
Disgrazia.
osì si sbuca nella parte pianeggiante (m 2700, ore 2) dove
il giorno precedente avevamo abbandonato la vedretta principale per
puntare alla cresta della Kennedy. Ora
il percorso ricalca quello fatto in salita,
prestando comunque molta attenzione
alle numerose crepacciate che tagliano
il ghiacciaio facendolo sembrare una
tela del pittore Lucio Fontana.
L
L'ultima calata in doppia dalla parete E regala il ghiacciaio del Ventina a quota 3300 (26 luglio
2009, foto Luciano Bruseghini).
Selvagge Orobie:
Pizzo degli Uomini
e P izzo S cotes
Beno
T
La cima del Disgrazia dal Bivacco Taveggia (26 luglio 2009, foto Luciano Bruseghini).
cenge che ne solcano la roccia. Diversi
appigli facilitano la salita e in breve
si è al Bivacco Rauzi, a pochi minuti
dalla vetta del Disgrazia (m 3678,
ore 2). Qui vi è un piccolo cippo di
metallo molto importante, in quanto
è un punto trigonometrico dell’IGM
(Istituto Geografico Militare) che lo
utilizza per effettuare misurazioni di
altezza delle cime vicine.
Dalla vetta il panorama spazia verso
l’orizzonte: a O in lontananza si intravedono sia il monte Rosa, sia l’enorme
mole del monte Bianco, mentre rivolgendo lo sguardo in basso a S si può
64
Le Montagne Divertenti individuare la Ponti, ai piedi del ghiacciaio di Preda Rossa.
Volgendo lo sguardo verso N in
primo piano appaiono tutte le cime
innevate che fanno da confine tra la
Valmalenco e le vicine val Bregaglia e
Engadina.
A NE spicca il trio delle meraviglie
Roseg-Scerscen-Bernina che da questa
angolazione sembra un tutt’uno. A E
in lontananza si scorge l’inconfondibile piramide del Gran Zebrù con tutti
i suoi “sudditi”, dal Cevedale fino al
Tresero.
Solamente i paesi della Valmalenco
C
Estate 2010
Il pizzo
Scotes aDivertenti
sx e il pizzo degli
Uomini a dx visti dalla Punta di Santo Stefano (2 giugno 2009, foto
Beno).
Pizzo
degli Uomini e Pizzo Scotes
Le
Montagne
65
Versante orobico
Alpinismo
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Agneda (m 1223).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si
prende la SS38 in direzione Tirano fino alla fine della
tangenziale. Poco prima del passaggio a livello si
svolta a dx e si segue la SP fino a Busteggia. Oltre
il semaforo si prende la stradina sulla dx che sale
a Pam per poi ricongiungersi all'arteria principale
per Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al
bivio in località Mon. Si segue sulla dx la carrozzabile
che si inoltra in val Vedello. Passata la Centrale
di Vedello (m 1000, 6 km) si prosegue su fondo
di cemento/sterrato fino ad Agneda. Si percorre
quindi verso E tutta la piana, in fondo alla quale, nei
pressi di un'area attrezzata per pic-nic, è possibile
parcheggiare l'auto (m 1223, 3 km da Vedello).
Itinerario sintetico: Agneda (m 1223) - Diga di
Scais (m 1500) - Baita di Caronno (m 1612) - rifugio
Mambretti (m 2003) - Laghi - pizzo degli Uomini
(m 2895) - passo degli Uomini - pizzo Scotes
(m 2978) - Agneda (m 1223) per la stessa via.
Tempo di salita previsto: 6 ore.
Attrezzatura richiesta: scarponi, ramponi,
piccozza.
Difficoltà/dislivello: 3+ su 6 / oltre m 2000.
Dettagli: Passi fino al II grado. Probabili pendii
nevosi ripidi (40°). Mappe: Kompass n. 104 Foppolo Valle Seriana - 1:50000.
Il gruppo centrale delle Orobie, montagne selvagge e spesso difficili, ha un settore ancor
più aspro e abbandonato: il sottogruppo dello Scotes. Con questa denominazione mi
riferisco alle vette comprese fra il passo Biorco e il passo del Lupo (pizzo Biorco, pizzo
degli Uomini, pizzo Scotes, cima di Caronno e cima del Lupo). Sebbene tra di loro si
annoverano alcune delle vette più alte e belle delle Orobie, l'accesso lungo e faticoso le ha
rese sconosciute ai più.
L
a gita alpinistica che vi
propongo, passando per i laghi
degli Uomini e delle Donne e il pizzo
degli Uomini (m 2895), culmina al
pizzo Scotes (m 2978), quinta elevazione orobica e montagna dalla storia
bizzarra; fu infatti salito la prima
volta per errore. L'11 settembre 1887
la cordata composta da Bonacossa,
Melzi e Confortola, proveniendo dal
pizzo di Rodes e credendo di salire
al pizzo Biorco, fu indotta in errore
66
Le Montagne Divertenti dalla nebbia e conquistò il ben più
elevato e distante pizzo Scotes.
itinerario da loro descritto,
afferma il Corti, fu alquanto
intricato e lungo, ma il biglietto
rivenuto poi sulla vetta ha tolto ogni
dubbio circa la sommità raggiunta.
al fondo della piana di Agneda
saliamo, per carrozzabile a transito limitato, fino al ponte della Padella,
dove, seguendo le indicazioni per il
rifugio Mambretti, ci portiamo sulla
L'
D
dx idrografica del torrente Caronno
e, dopo un tratto nel bosco, raggiungiamo la casa dei guardiani della diga.
Costeggiamo il lago di Scais dal suo
lato settentrionale e, nei pressi delle
abitazioni a NE dell'invaso, possiamo
ammirare in fondo alla val Vedello l'imponente parete N del pizzo del Salto.
Guidati dai cartelli e dai bolli, attraversiamo una fascia alberata e sbuchiamo
sui bei pascoli dell'alpe Caronno
(m 1612, ore 1:15).
Estate 2010
Il tracciato che porta da Agneda al lago degli Uomini visto dal Medasc propriamente detto (2 agosto 2008, foto Beno).
S
iamo ai piedi della stupenda piramide rocciosa del Medasc propriamente detto. A SE vediamo le cime del
massiccio Scais-Redorta, mentre più
a sx si inizia a delineare le bella vetta
dello Scotes. Attraversati i pascoli e
alcuni torrentelli, il sentiero prende
decisamente quota su un dossone e,
oltre il cartello che intima di portare
legna al rifugio, abbandona il bosco
per distendersi tra i pascoli fioriti. Poco
dopo vediamo già il tetto rosso della
Mambretti (m 2003, ore 1:15), che
raggiungiamo velocemente. E' chiusa,
ma una fontanella esterna ci permette
di riempire le borracce.
al rifugio Mambretti saliamo
(N) seguendo il ripido sentiero
delle Orobie Valtellinesi. Il percorso
segnalato da rade bandiere colorate
si snoda tra la pungente erba “visega”
fino in cima ad un dosso arrotondato,
il primo degli Uomini. Erano chiamati
con questo nome una serie di dossi
pascolivi alle spalle del rifugio, sui quali
erano collocati dei grandi ometti di
pietre, dei quali rimane ora solo qualche
traccia.
uperato un secondo dosso incontriamo il tubo nero che porta
D
S
Le Montagne Divertenti l’acqua al rifugio e lo seguiamo per un
tratto. Si vedono le più alte delle pozze
degli Uomini1 (m 2340).
opo un tratto pianeggiante, anzi
in leggera discesa, lasciamo la
traccia del sentiero delle Orobie Valtellinesi per salire verso dx un dosso di erbe
e sassi. Ci inerpichiamo per una vallecola
di detriti2, alla cui sommità incontrimo
il lago degli Uomini (m 2575). Poco
sotto, alimentato dalle acque d’uscita del
lago degli Uomini, si trova il lago delle
Donne. Nel primo lago, di chiara origine
glaciale, si immerge il fronte ghiacciato di un piccolo nevaio, che dall’alto
sarebbe impossibile vedere, perché in
stagione avanzata è nascosto sotto un
grosso strato di detriti: sono i resti del
vecchio ghiacciaio degli Uomini che
si è ritirato e sopravvive dentro questa
nicchia, ricoperto di gande, appena sotto
il pizzo degli Uomini. Il secondo lago si
è formato poco più in basso, dentro una
conca, anche questa di origine glaciale,
sotto il canale di detriti per il passo
D
1 - Sono una decina di piccole pozze che si
formano allo sciogliersi delle nevi o dopo
abbondanti precipitazioni e che si vedono salendo.
2 - E' quella sulla sx idrografica del torrentello che
rappresenta lo scarico del lago.
Biorco S (quello N si trova sulla cresta
NE del pizzo Biorco)3.
occidente fa bella vista di sè il
pizzo Rodes, mentre dalla parte
opposta è il pizzo degli Uomini a darci
il benvenuto. Ci portiamo sui ghiaioni
a N dei laghi dove intercettiamo la
traccia che arriva dal rifugio Donati e
scende dal passo Biorco S (m 2700 ca).
La seguiamo decisamente verso E (dx) e
per terreno scomodo ci portiamo a un
valico sulla cresta meridionale del pizzo
degli Uomini. Non ha nome sulle carte,
ma io per comodità l'ho sempre chiamato passo degli Uomini. A SE s'apre
un'interessante vista sul gruppo ScaisRedorta.
aliamo per ripidi e scomodi
sfasciumi in direzione della vetta
del pizzo degli Uomini, che può esser
raggiunta contornando sia da dx4 che
da sx i contrafforti rocciosi sommitali
(m 2895, ore 3). La montagna deve il
suo nome ai "pascoli degli uomini alti"
e ai "pascoli degli uomini bassi", i dossi
erbosi sopra la Mambretti.
A
S
3 - Il contributo sul lago degli Uomini e lago delle
Donne è opera di Antonio Boscacci.
4 - E' la via più breve, ma c'è un passaggio su una
cengia rocciosa un po' stretta ed esposta.
Pizzo degli Uomini e Pizzo Scotes
67
Versante orobico
Alpinismo
Alcune vie al pizzo Scotes
egli ultimi anni ho curiosato paN
recchio tra queste montagne percorrendone alcune vie che qui elenco
brevemente come varianti di discesa
per la gioia dei più avventurosi.
Dalla vetta partono tre creste:
- una diretta a NE scende verso il
passo della Pioda sopra il Bivacco Corti e fu percorsa per la prima
volta da Corti, Pansera e Credaro
nel 1924. E' una via (diff. 4 su 6) su
roccia instabile che scende lungo la
dorsale appoggiandosi ad alcuni canali (II+). Quando l'ho fatta nel 2009
ho trovato un passaggio di III+ nella parte bassa. In fondo alla cresta si
esce sul nevaio/gande nei pressi del
passo di Pioda, da cui in 15 minuti
si è al Bivacco Corti (m 2500, ore 1
dalla vetta dello Scotes);
Tramonto sulla costiera Rodes - cima di Caronno visto dalla vetta del Piz Gro (11 settembre 2007, foto Beno).
Dalla cima ciò che più colpisce (oltre alla
bruttezza dell'ometto che vi ho costruito) è
l'incredibile contrasto fra il verde e docile
fondovalle e le imponenti e tetre pareti dei
gruppi di Coca e Scais.
A NE, proprio sotto il pizzo di Scotes, precipita un sinistro vallone con lingue di neve e ghiaccio che si spegne nelle
ombre molti metri più in basso.
Mi sdraio con Mario accanto all'ometto e ci addormentiamo guardando l'inquietante e imponente mole dello Scotes
che, visto da qui, sembra proprio difficile.
opo il riposino torniamo al passo degli Uomini e,
seguendo la traccia per il rifugio Corti traversiamo per
terreno instabile fino alla breccia alla base della cresta occidentale del pizzo Scotes nota come bocchetta di Scotes.
Ci portiamo quindi sul versante settentrionale dove, con
l'aiuto delle catene fisse, scendiamo un ingrato canale roccioso.
Ci portiamo sempre più verso il centro della pala che costituisce la parete N dello Scotes, abbassandoci lungo la traccia
segnalata. Il terreno è friabilissimo e continuano a franare
massi ovunque.
All'incirca nel mezzo della pala abbandoniamo il sentiero
e iniziamo a salire al dritto (dx). Il pendio è molto ripido
(40°) e alterna ghiaia, rocce rotte, lastroni e tratti innevati.
Generalmente a fine stagione anche questo versante è pulito
dalla neve, ma è prudente avere comunque con sè ramponi e
piccozza per evitare brutte sorprese.
Seguitiamo la nostra salita per sbucare sulla cresta NE della
montagna a pochi metri dalla vetta, che raggiungiamo per
facili sfasciumi (pizzo Scotes, m 2978, ore 1).
C'è un ometto ancora più miserevole di quello che ho fatto
sul pizzo degli Uomini, ma il panorama è superbo, con
viste da brivido sul Coca, lambito da nebbie malauguranti,
e sulla Punta di Scais e i relativi ghiacciai. La cresta Corti
alla Punta di Scais è ben individuabile sopra il tormentato
- una cresta frastagliata corre verso la bocchetta di Caronno (E) e fu
vinta nel 1916 da A. e P. Corti con
Ignazio dell'Andrino che la definirono la via più interessante alla montagna (diff. 5 su 6). Ci sono passato nel
2007 e la definirei la via più "terrificante" alla montagna! Si svolge su
roccia lubrica e fogliacea che si sgretola al solo passaggio. Supera una
serie di torrette (II) per giungere a un
grosso salto (III+) che è opportuno
scendere con la corda, o aggirare da
S per cengette. Poi altre guglie minori fino alla bocchetta, da cui, scomodamente, si torna per via segnalata
fino alla Mambretti (circa 4 ore dalla
vetta). Emozioni garantite!
Pizzo Scotes
(2978)
D
68
Le Montagne Divertenti - una breve cresta (diff. 3 su 6) va
diretta alla bocchetta di Scotes (ore
0:30) e non presenta particolari problemi.
La pala del pizzo Scotes vista dal pizzo degli Uomini. In rosso la via
di salita per la pala (ottima meta invernale anche per lo sci ripido), in
verde quella per lo spigolo NE. I puntini segnalano quando la via si
svolge sul versante E, che non è non visibile in foto (2 settembre 2007,
foto Beno).
ghiacciaio di Porola.
Non c'è anima viva, anche se in lontananza si scorge il
fondovalle valtellinese.
consigliabile tornare per la medesima via.
E'
Estate 2010
Infine c'è la diretta da SO che, benché non censita sulla Guida dei Monti d'Italia, fu sicuramente percorsa
negli anni '30 da Bortolo Bonomi in
compagnia del Generale Umberto Tivinella (una foto su un canale obliquo lo testimonia). La via (diff. 4 su
6) s'abbassa direttamete a S della
vetta per un centinaio di metri lungo una canale di rocce e detriti (II),
quindi, in corrispondenza di una selletta, traversa (O) lungo un canalecengia obliquo che discende ripido
(passaggio a 40° un po' delicato, più
facile con neve). Poi ci si abbassa per
un costolone detritico fino al circo a
SO del pizzo Scotes, da cui facilmente si torna in Mambretti (ore 2:30).
Le Montagne Divertenti Il tratto attrezzato con catene sotto la bocchetta di Scotes (26 settembre 2009, foto Beno).
cresta SE
Pizzo Scotes
(2978)
via diretta da S
Bocchetta di Caronno
(2839)
Lo Scotes visto dalla zona della Mambretti (11 giugno 2009, foto Beno).
Pizzo degli Uomini
(2895)
Pizzo Scotes
(2978)
Passo degli Uomini
Scotes e pizzo degli Uomini dal lago degli Uomini (11 giugno 2009, foto Beno). In rosso la via
normale al pizzo degli Uomini, in verde la via allo Scotes per la pala N.
Pizzo degli Uomini e Pizzo Scotes
69
Escursionismo
Passeggiata
all'alpe Trela
Nicola Giana
Interessante escursione ad anello che si snoda tra l’alta Valdidentro e le valli
di Foscagno attorno ai contrafforti del Dosso Resaccio (m 2719), del monte
Rocca (m 2810) e della punta Lago Nero (m 2676).
Valle del Foscagno (19 luglio 2009, foto Giuseppe De Toma).
70
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Le Montagne Divertenti Passeggiata all'Alpe Trela
71
Alta Valle
Escursionismo
Bellezza
Partenza: parcheggio nei pressi dell’Hotel
Difficoltà: 1 su 6.
Dislivello in salita: circa 600 metri.
Dettagli: E. Facile e panoramica passeggiata di
Interalpen, (m 2240, passo del Foscagno).
Itinerario
Fatica
automobilistico: da Bormio si
segue la SS301 del Foscagno che in 23 km, con
molte curve, porta al passo del Foscagno, valico
d'accesso per la zona extradoganale di Livigno.
Itinerario
Pericolosità
-
sintetico:
di percorrenza: 5 ore.
D
ai laghetti di Foscagno,
si susseguono senza
tregua luoghi ameni e
tranquilli con ampie
ed incantevoli vedute
sui gruppi montuosi
circostanti: l’OrtlesCevedale, il monte Trela e
le calcaree Cime di Plator,
le vette che coronano
Livigno, la N della cima
Piazzi. Boschi di pino
cembro si alternano
al lariceto, mentre più
sopra tra dolci ed estesi
pascoli trapuntati di fiori
e rododendri, il piacevole
scroscio dei ruscelli d’acqua
spumeggiante e i fischi
delle marmotte allietano i
nostri grevi passi.
72
media montagna.
Carte: Kompass 1:50 000, foglio n. 96
Passo del Foscagno - Vezzola (m 2091) – bocchetta
Trelina (m 2283) - passo di val Trela (m 2295) Tee di Pila (m 2052) - Ables (m 2102) - passo del
Foscagno.
Tempo
Le Montagne Divertenti Approfondimenti: AAVV, Guida Turistica della
Provincia di Sondrio, BPS II Edizione 2000
L. Angelici e A. Boscacci, Giro dell’alpe Trela,
Notiziario BPS n. 106, aprile 2008
Eliana e Nemo Canetta, Escursioni in alta Valtellina
Braulio-Cancano-Fraele-Lago di Livigno-Parco
Nazionale Svizzero, Edizioni CDA Torino, 2000.
L’
aria tersa, gli intensi
profumi dei fiori, la
fienagione in val Vezzola,
i campanacci delle mucche
alla malga Trela svelano
magia ed incanti di
questi luoghi suscitando
nel contempo strane
nostalgie delle origini,
di tempi passati quando
i ritmi della vita erano
scanditi dalle stagioni e
legati alle necessità della
transumanza.
Itinerario
N
Verso Taulà de li Pala (19 luglio 2009, foto Giuseppe De Toma).
ei pressi dei laghi glaciali di
Foscagno,, vicino all’Hotel
Interalpen ha inizio il largo sentiero
che scende (E) alla località Taulà de
li Pala. Odore di fumo, alcune case,
e poco avanti il sentiero si biforca;
si prende a sx (sentiero n. 176) e in
leggera discesa si attraversano i pendii
erbosi sotto il Dosso Resaccio prima
di inoltrarsi nel bosco di pino cembro.
Con leggeri saliscendi, accompagnati
dagli effluvi di resina e il gracchiare
delle nocciolaie, si raggiunge una
piccola piana all’imbocco della val
Vezzola. Alla nostra dx, sopra le cime
delle piante, svetta superba la cima
Piazzi, mentre a E, inconfondibile
nella sua forma piramidale è il pizzo
Tresero.
Procedendo su strada sterrata, e
attraversato il ponte sul torrente
Cadàngola nei pressi della presa per
il “canale Viola”, si raggiungono i
casolari di Vezzola (m 2091) situati
Estate 2010
ai piedi del monte Trela (m 2608). Se
il tempo è quello giusto si possono
vedere i plator1 intenti alla fienagione
tra il vociare felice.
Incrociata la strada che sale dall’alpe
Gattonino, si svolta a sx e ci si inoltra nell’ampio e riposante Piano di
Vezzola costellato di numerose baite.
Trascurata la strada a dx che sale alla
cascina di case Vezzola, si procede
appena sopra il fondovalle sino alle
baite di quota 2161 (fine sterrata).
Oltre le case si oltrepassa un dosso e
tenendosi sulla costa cespugliosa esposta a S, si passa qualche tratto in forte
pendenza, si attraversa un piccolo
torrente, quindi ci si riporta in prossimità del fondovalle per raggiungere
una suggestiva conca a quota 2268.
Di fronte a noi è la rampa prativa che
sale al lago Nero (m 2550), dominata
dalle rocce incombenti del monte
Rocca (m 2810).
Per i meno allenati la fatica bussa
alle soglie e la bella piana induce al
riposo, ma imboccata sulla destra
una valletta piatta, in pochi minuti
si è alla bocchetta Trelina (m 2283)
1 - Soprannome tipico degli abitanti di Pedenosso
che caricano i pascoli della val Vezzola.
Le Montagne Divertenti Panorama dalla val Vezzola verso la cima Piazzi (28 aprile 2010, foto Giacomo Meneghello).
dalla quale si domina sulla placida
conca prativa dell’alpe Trela. Sotto gli
sguardi vigili delle marmotte si scendono, su tracce discontinue, i dolci
pendii erbosi di dx che senza difficoltà
portano alla ridente malga (m 2170)
disposta ai bordi di una torbiera,
occupata in passato da un antico
lago. Le severe pendici a N del Monti
Pettini e della cima Doscopa aumentano la solennità di questo luogo del
quale ci si innamora a prima vista.
urtroppo, al momento di
riprendere il cammino, spesso la
nostalgia ha il sopravvento. La consapevolezza di aver “toccato il cielo” e
di dover tornare alla quotidianità ci
fa sentir di piombo le gambe tanto
P
Passeggiata all'Alpe Trela
73
Escursionismo
da tardare sino all’ultimo minuto la
partenza. Poi, dirigendosi verso O
e tenendosi sul fondovalle, si sale al
comodo e ampio passo di val Trela
(m 2295). Non è raro, per giungervi,
pestare qualche residuo di neve di
accumulo da slavine provenienti dai
pendii circostanti. La vista domina
sui rilievi che coronano la valle di
Livigno. Avanti a tutti sono il Crap
de la Parè e il monte Crapene con
gli impervi prati che arrivano sino al
passo d’Eira. Alla nostra dx aridi ed
estesi ghiaioni precipitano dal monte
Torraccia (m 2781).
a discesa per la val Pila, nonostante l’ampio sentiero, a tratti
necessita accortezza per non scivolare (uso dei bastoncini in avanti).
Ad un bivio poco prima del ponte
sul torrente proveniente dal passo,
si prende a sx spostandosi sui dolci
declivi del monte Le Piazze (m 2456).
Macchie di mughi e cembri si alternano ai pascoli che accompagnano la
discesa sino al nucleo delle Tee di Pila
(m 2052). È normale vedere bambini
giocare tra loro mentre accudiscono le
vacche al pascolo incuranti del nostro
passaggio. Oltrepassate le Tee, il tracciato volge pian piano verso S e attraversa un rimboschimento di mughi.
Il Tracciolino
tra val Codera e valle dei Ratti
Giorgio Orsucci
L
Case Vezzola (19 luglio 2009, foto Giuseppe De Toma).
Scorci indimenticabili
si susseguono senza
tregua e mentre il sole si
sposta alle nostre spalle,
l’intenso profumo di resina
rinvigorisce e dà energia per
affrontare gli strappi che
portano alle case di Ables
(m 2102).
P
assando a tergo il piazzale
del benzinaio, con pendenza
costante si risalgono gli ultimi 4 km
della valle di Foscagno passando per
la Malga Rocca e da questa su tracce
di sentiero sino al primo tornante
poco sotto la dogana. Si prende
quindi la SS 301, si sdoganano gli
acquisti e si scendono gli ultimi
500 m sino alle auto.
Verso il passo di val Trela. Sullo sfondo le Bocche di Trela (19 luglio 2009, foto G. De Toma).
74
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Val Codera e val dei Ratti sono un mondo a parte. Val Codera e val
dei Ratti significano lasciarsi alle spalle comodità e frenesie cui ci ha
abituato la pianura e addentrarsi nell'atmosfera autentica, magicamente
sospesa, di quelle contrade di montagna di molti anni fa.
Passaggi
nella roccia
lungo il Tracciolino in val Codera (24 maggio 2009, foto Giorgio Orsucci).
Le
Montagne
Divertenti
Il Sentiero del Tracciolino
75
Valchiavenna
Escursionismo
logia del territorio e spianando nel
pendio un terrazzo largo a sufficienza
a farci correre un rudimentale sistema
di binari, in val Codera ha da ricavarsi
un varco in un contesto paesaggisticamente ben più tormentato e selvaggio: unica soluzione che si impone
ai suoi costruttori è quella di scavare
cunicoli, gallerie e aerei passaggi nella
nuda roccia, da cui la spettacolarità
del percorso. Un’avventura adatta a
tutti e decisamente suggestiva, specialmente per i giovanissimi.
itinerario
rrivando da Lecco o da
Sondrio, andiamo a superare la
galleria di Verceia, oltre la quale fanno
la loro apparizione le case di Campo,
frazione di Novate. Proseguiamo
ancora un poco, sino a raggiungere
il largo greto del Codera, rivo stagionale che si gonfia distruttivamente
solo con le piogge autunnali. Al di
là del ponte, lo svincolo per il nuovo
parcheggio del Lido di Novate, dove
andiamo a posteggiare la macchina.
Siamo a quota metri 200: allo stesso
livello giacciono le popolose cittadine
valtellinesi, come anche Lecco, Como
e le città brianzole.
iattraversato a piedi il ponte
(m 207), andiamo a percorrere
la strada che, affiancando il Codera,
conduce all’imbocco del sentiero
per San Giorgio, nei pressi di imponenti siti di estrazione del granito. È
il granito San Fedelino: pietra chiara
dalla grana finissima, prende il nome
dal tempietto dedicato al santo
martire presso cui si sono avviate, alla
fine del Settecento, le prime attività
estrattive, successivamente trasferite, nel 1805, sulla sponda orientale
del lago. Sul lago fu poi allestito un
piccolo sistema portuale: da lì, i blocchi venivano avviati a Milano, attraverso l’Adda e il naviglio di Paderno,
dove venivano lavorati e distribuiti
alle altre città lombarde.
Non senza qualche sbuffo di salita,
cominciamo a elevarci sulla pianura:
al nostro fianco, il lago di Mezzola si
rivela in tutta la sua bellezza, cinto a S
dalla mole del Legnone e del Legnoncino. Con quaranta tornanti sempre
più accavallati e più volte intagliati
nella nuda roccia della montagna,
il tracciato guadagna rapidamente
A
Le case e la chiesa di San Giorgio (24 maggio 2009, foto Giorgio Orsucci).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
-
Partenza: Novate Mezzola (m 207).
Itinerario automobilistico: provenendo
Attrezzatura
Itinerario
media montagna.
da Colico lungo la SS 36 dello Spluga, si supera
Campo, frazione di Novate Mezzola, quindi,
oltrepassato il ponte sul greto del Codera, si gira a
destra per il parcheggio del lido di Novate.
sintetico:
Novate Mezzola (m 207) – San Giorgio (m 748) –
Casa dei guardiani della diga della val dei Ratti (m
915) – Verceia (m 200).
Tempo
Difficoltà: 1 su 6.
Dislivello in salita: 710 metri.
Dettagli: E. facile e panoramica escursione di
Carte: Kompass 1:50 000, foglio n. 92,
Valchiavenna-Val Bregaglia.
di percorrenza: 4.15 ore.
V
al Codera è un mondo a
parte. Causa di ciò - può
suonare un luogo comune - un
apparato stradale asfaltato del tutto
assente: se, altrove, lunghe strisce
d’asfalto hanno addobbato boschi
e risalito pendii per centinaia di
metri di dislivello, in val Codera la
situazione è ben diversa: si contano
nell’intera valle 0 metri quadrati di
suolo asfaltato, dal suo imbocco,
situato a 200 metri di altezza nella
Piana di Chiavenna, nei pressi di
Novate Mezzola, sino ai piedi del
Badile, quasi 3000 metri più in
alto, che, pochi lo sanno, regala alla
val Codera il suo terzo volto.
Se l’auto resta fuori, in val Codera
si entra solo in punta di piedi. Al
posto delle strade, meravigliosi
76
richiesta: si consiglia una torcia
o una pila frontale per i tratti bui in galleria.
Le Montagne Divertenti tracciati escursionistici, alcuni dei
quali composti da un mosaico di
innumerevoli tasselli granitici: è il
caso di quella mulattiera gradinata,
vero capolavoro dei valligiani, che
sale a Codera nel silenzio dei boschi
di castagni. Vi si aggiunge una fitta
rete di “strade secondarie”, strade
a scorrimento... lentissimo, che
vanno a collegare i vari villaggi che
costellano in gran numero la valle.
A considerazioni analoghe si può
pervenire parlando della laterale val
dei Ratti, anch’essa rimasta autenticamente intatta, causa il suo isolamento turistico ed escursionistico,
anch’essa punteggiata di casolari
e villaggi, alcuni dei quali ancora
oggi mostrano una certa vitalità,
specialmente nella bella stagione.
È
in tale contesto ambientale, a
cavallo fra val Codera e val dei
Ratti, già di per sé valevoli di un’escursione, che si sviluppa un tracciato
viario di primario interesse all’interno
del territorio chiavennasco e del quale
si propone qui la percorrenza della
sua sezione più spettacolare. Stiamo
parlando del famoso Sentiero del Tracciolino, fra le più spettacolari opere di
ingegneria umana della Valchiavenna,
un tracciato lungo 10 chilometri
che corre ad un'altezza costante di
920 metri fra la val dei Ratti e la val
Codera, costruito negli anni Trenta
del secolo scorso a collegamento di
due piccole dighe, ad uso degli operai
e dei guardiani. Un percorso che, se
in val dei Ratti serpeggia quietamente
nei boschi, assecondando la morfoEstate 2010
R
Le Montagne Divertenti Escursionisti lungo il sentiero per San Giorgio (24 maggio 2009, foto Giorgio Orsucci).
Il Sentiero del Tracciolino
77
Valchiavenna
Escursionismo
dolce e boscoso della bassa montagna. Non ci resta che seguire i binari,
camminando in piano per quasi due
chilometri, distratti dalle viste sull’alto
Lario e sul Legnone, sino ad arrivare
alla casa dei guardiani della diga della
val dei Ratti (m 915, ore 0:45), dove
ci si può imbattere in un guardiano
seduto su di uno sferragliante mezzo
a motore che si sta dirigendo verso la
diga, più avanti lungo il Tracciolino.
i può ora proseguire verso l'affascinante villaggio di Frasnedo
(m 1287, ore 0:40), centro principale della valle dei Ratti, raggiungibile in una quarantina di minuti
con il sentiero che si distacca (E) dal
Tracciolino ad una cinquantina di
metri dalla casa e passa vicino al bel
nucleo di Castén. Frasnedo, come
Codera, è tutt'oggi abitato seppur
non raggiungibile con l'auto. Le provviste vengono trasportate dal fondovalle grazie a una teleferica, nei pressi
della cui stazione si trova un rifugio di
recente realizzazione.
l percorso di discesa a Verceia
consta di un piacevole sentiero
nel bosco di castagni che si distacca
dal Tracciolino nei pressi del bivio
Frasnedo - diga Sondel; intercettata
la strada asfaltata (m 628, ore 0:45),
prendiamo il sentierino con segnaletica CAI che se ne distacca poco
più avanti, scontandoci buona parte
dei tornanti. Giunti a Verceia (m
200, ore 0.45) chiudiamo l’anello
percorrendo (dx) la bella e piacevole
ciclabile che striscia lungo le rive del
lago di Mezzola (circa 1,5 chilometri),
riportandoci al parcheggio del lido
(ore 0:15).
S
I
Legnone, Sasso Canale e lago di Mezzola come appaiono dalla val Codera (24 maggio 2009, foto Giorgio Orsucci).
quota, ora serpeggiando fra freschi
boschi, ora scalando assolate e panoramiche placche rocciose. Infine, un
tratto pianeggiante, una curva verso
E, un luminoso boschetto di betulle,
ed ecco spuntare un campanile: siamo
arrivati a San Giorgio (m 748, ore
1:15).
Affascina la sobria bellezza della
chiesetta dei Sacri Cuori di Gesù e
Maria, anticamente dedicata a San
Giorgio e a Sant’Eufemia, di impianto
romanico (1100 circa) ma ristrutturata e rimaneggiata nel corso del
Settecento. Colpisce in particolar
modo la precisione del taglio dei blocchi granitici, che dona al tempio un
profilo preciso ed affilato e un nonsoché di elegante.
I
l granito non
caratterizza solo la
chiesa, ma ogni casa,
muro, scala e tetto del
paese, secondo un uso
del tutto ubiquitario del
materiale costruttivo.
78
Le Montagne Divertenti Di sorprese questo villaggio ne ha
ancora molte, a partire dal Museo,
piccolo ma curatissimo, allocato in un
casolare alle spalle della chiesa; nel suo
unico ambiente, mette in mostra fotografie e vecchi utensili di lavoro per
l’estrazione del granito, come anche
alcuni strumenti della quotidianità
contadina del secolo passato.
Infine, più in alto, nei pressi del
cimitero, due imponenti massi-avello
di ghiandone, la cui datazione rimane
un mistero. E quando manca una
spiegazione, la spiegazione la dà la
leggenda, fedele compagna di ogni
problema irrisolto. In questo caso, la
voce della valle associa gli avelli all’avventura di San Giorgio, che, dopo il
famoso combattimento col drago, vi
avrebbe trovato ristoro sorseggiando
l’acqua piovana che in essi suole
raccogliersi.
Una sosta nell’oasi di pace di San
Giorgio è più che doverosa, ma il
cammino da fare è ancora lungo.
isaliamo i verdi boschi di
betulle alle spalle del paesino
sino ad intercettare il Sentiero del
Tracciolino (m 920, ore 0:30). Verso
sx il Tracciolino va ad addentrarsi in
R
Suggestive gallerie lungo il Tracciolino. (24 maggio 2009, foto Giorgio Orsucci).
val Codera, seguendo un percorso
piuttosto monotono, interrotto poi
da una frana a livello di Codera. Prendiamo invece a camminare verso dx.
Le gallerie non si fanno aspettare:
pochi passi, già aerei, ed ecco una
prima brevissima galleria, quindi
un’altra e un’altra ancora. Una corta,
una più lunga, una dritta, una a
mezzaluna, tutte piacevolmente
fresche.
Ad un tratto, al termine di un breve
cunicolo, il sentiero si fa decisamente
più largo per far spazio ad una ferrovia a scartamento ridotto, che esce
da un antro oscuro della montagna
per andare ad accompagnarci lungo
l’ultima e più lunga galleria del Tracciolino, e unica ad esser illuminata
artificialmente (l’interruttore è all’imbocco della galleria). Sopra di noi,
decine di metri di roccia più in alto,
corre il selvaggio crinale spartiacque
fra val Codera e val dei Ratti.
Usciti dalla galleria, violentemente
accolti dall’afa estiva, ci troviamo
di fronte un ambiente radicalmente
mutato. Niente più pareti verticali,
niente più gallerie, niente più gole
selvagge: il paesaggio è ora quello
Estate 2010
Le Montagne Divertenti Frasnedo e la valle dei Ratti. Oltre le nebbie i monti lariani (1 novembre 2009, foto Beno).
Il Sentiero del Tracciolino
79
Escursionismo
Miriam Passoni e Pietro Pellegrini
80
Le Montagne Divertenti Il lago della Malgina e, sullo sfondo, il pizzo Recastello (19 maggio 2007, foto Beno). Estate 2010
Le Montagne Divertenti Attorno al Lago Gelt
81
Porte di Valtellina
Escursionismo
I
tinerario orobico molto panoramico tra la bergamasca valle Seriana e le valtellinesi
val Caronella e val Bondone. Un doppio scollinamento tra un passo quotato e
quello di Bondone consente di chiudere l’anello in un paio di giorni. Il lago Gelt, in
val Malgina (quella bergamasca), è la perla che fa da baricentro all’escursione.
La mappa dell'itinerario. In rosso è segnalato il tracciato descritto in seuito, in verde la variante breve che da passo a quota m 2730 chiude
l'anello tornando subito in val Seriana attraverso il passo di Caronella.
Il lago Gelt e la prima neve d'autunno visto dal passo a quota m 2730 (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini).
Bellezza
Fatica
Partenza: Valbondione (m 900).
Itinerario automobilistico: da Bergamo
seguire le indicazioni per la valle Seriana e
percorrerla (SS671) fino a Valbondione (54 km).
Per partire da Carona, sul versante valtellinese, si
veda invece la sezione conclusiva dell'articolo.
Itinerario
Pericolosità
-
sintetico:
Valbondione - rifugio Curò (m 1895) - lago della
Malgina (m 2339) - Lac Gelt (m 2562) - passo a
quota m 2730 - Malga Caronella (m 1858) - Baita
Cantarena (m 2071) - passo del Bondone (m 2720)
- lago della Malgina (m 2339) - Valbondione.
Tempo di percorrenza: 13 ore, consigliabile
dividere l'escursione in 2 giorni.
Attrezzatura richiesta: scarponi.
Difficoltà: 2+ su 6.
Dislivello in salita: oltre 2700 metri.
Dettagli: EE. Lunga escursione su sentieri
segnalati delle oOobie bergamasche e valtellinesi..
Carte: Kompass 1:50 000, foglio n. 104,
Foppolo Valle Seriana.
L’
escursione richiede
complessivamente
circa 12-13 ore. Si può
partire in provincia
di Bergamo dal paese
di Valbondione, come
qui descritto, oppure
dai paesi di Carona o
Bondone a Sondrio. I
versanti valtellinesi non
offrono punti d’appoggio
gestiti, solo qualche baita
o bivacco incustodito.
Il nostro consiglio è di
portarsi sacco a pelo e
materassino e passare
una notte in uno dei tanti
ameni angoli di queste
valli.
D
al paese di Valbondione inizia
il largo sentiero sulla sx idrografica del Serio (n.305, quasi una
strada), che conduce al rifugio Curò
(m 1895, ore 2). Il rifugio è posto in
82
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Le Montagne Divertenti All’uscita dal bosco si ha di fronte la grande e scura parete delle famose cascate del Serio:
solo pochi giorni l’anno l’acqua del bacino artificiale del Barbellino è libera di tuffarsi nel
vertiginoso salto (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini).
Attorno al Lago Gelt
83
Porte di Valtellina
Escursionismo
prossimità del bacino artificiale del
Barbellino (m 1862), che con oltre
19 milioni di metri cubi è il maggiore
della bergamasca.
l Curò le indicazioni non
mancano: noi seguiamo quelle
per il lago naturale del Barbellino
(n. 308, indicato a ore 1:30). L’ampio
e piano sentiero costeggia il bacino
artificiale passando sotto lo sguardo
della severa parete N del pizzo Recastello. Si incontrano un paio di deviazioni sulla dx per la val Cerviera e per
il monte Gleno (m 2882): da ignorare. Dopo circa un’ ora si giunge alla
deviazione per la val Malgina: svoltando a sx (sentiero n. 310) si inizia
la salita in questa stretta valle e si
giunge al grazioso lago della Malgina
(m 2339, ore 1:45). Anche qui sono
presenti alcune opere per la captazione delle acque. Una freccia verso
sx indica il sentiero segnalato che sale
al pizzo del Diavolo della Malgina
(m 2926), ma noi proseguiamo in
direzione opposta, NE, puntando al
passo quotato m 2730.
ppare il lago Gelt (m 2562).
Salendo al passo si ha modo
di ammirare il colore intenso del
lago e la bellezza delle cime a S: pizzo
Recastello (m 2886), Tre Confini
(m 2824), Strinato (m 2836).
ecisi a scendere sul versante
valtellinese1, ci abbassiamo
fino alla malga Caronella (m 1858,
ore 2:15). Qui incrociamo l’Alta
Via delle Orobie (GVO, o sentiero
Bruno Credaro). I cartelli danno,
peccando per difetto, 40 minuti per
la Baita Cantarena in val Bondone.
Dobbiamo dunque spostarci verso
O, prima risalendo un pendio erboso
(traccia labile) poi scendendo in un
bosco di larici che ci porta alla casa di
caccia Baracchetti (m 1820). Da qui
un sentiero pianeggiante guida verso
la val Bondone abduana e in breve alla
Baita Cantarena (m 2071, ore 1:30).
oco oltre la baita alcuni cartelli
segnalano la biforcazione per
il passo di Bondone. Abbandonata
la GVO che prosegue verso la Baita
A
Q
Il bacino artificiale del Barbellino (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini).
A
P
La val Caronella lungo dalla GVO (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini).
P
84
Le Montagne Divertenti Il maggiore dei laghetti Selù (19 maggio 2007, foto Beno).
Partendo dalla valtellina
D
1 - Il valico consentirebbe anche di passare in val
Caronella e raggiungere il rifugio AEM al passo di
Caronella (m 2600). È qui possibile una variante:
anziché scendere la val Caronella si può tornare in
terra bergamasca scendendo al lago naturale del
Barbellino e da qui al Curò. È una variante
senz’altro più corta e meno remunerativa (ore
2:30).
Streppaseghel, saliamo verso il passo.
Il sentiero si mantiene sulla sx orografica della valle e passa accanto ai
numerosi laghetti del Selù. Raggiunto
il crinale tra la val Bondone e la val
Malgina (quella Valtellinese) lo si
segue in cresta, senza passaggi impegnativi, fino al passo di Bondone
(m 2720, ore 2:30).
ui con i nomi è facile fare
confusione: esistono due valli
Malgina, una bergamasca e una valtellinese. Il passo di Bondone mette in
comunicazione la val Bondone con
la val Malgina di “Bergamo” e per
raggiungerlo si segue per un tratto
lo spartiacque tra le valtellinesi val
Bondone e Malgina.
Dal passo si possono salire le facili
creste verso O che separano i passi di
Bondone e della Malgina.
La traccia sul versante meridionale è
piuttosto ripida e ci cala per sfasciumi
al lago della Malgina (m 2339,
ore 1), dove si chiude l’anello. Ripercorrendo i sentieri ora noti si torna
al Curò e si scende a Valbondione
(m 900, ore 3).
La Baita Baracchetti (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini).
Estate 2010
er chi volesse compiere
l'anello lasciando l'auto
in Valtellina, il miglior punto di
partenza è il paesino di Carona.
Carona (m 1145), frazione di
Teglio, è uno dei tanti paesi/villaggi
abbandonati della sponda orobica.
Chiesa, municipio e case tutt’altro che
fatiscenti, ma oramai abitate solo pochi
giorni l’anno. Una volta il paese era
un nodo cruciale dei collegamenti per
l’Aprica e la val Seriana. Oggi di queste
antiche percorrenze rimane solo una
scritta su un muro ad indicare il crocevia. I commercianti sono stati rimpiazzati da imponenti tralicci dell’alta
tensione che portano oltre la dorsale
orobica gli elettroni eccitati dalle acque
valtellinesi o dalle centrali svizzere.
Per raggiungere Carona da Sondrio
si percorre la SS38 in direzione di
Tirano. A 10 km circa dal capoluogo
c'è San Giacomo di Teglio, dove si
svolta a dx (indicazione per Castello
dell’Acqua e Carona), si supera
il ponte sull' Adda e si prosegue
seguendo per Carona (11 km circa).
Le Montagne Divertenti Il Diavolo della Malgina, la Cresta di Valmorta e i Cagamei dal crinale fra Valbondone eVal
Malgina (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini).
L
asciata l'auto nei pressi del
paese, ci si incammina nella
valle Caronella (dx) e si segue il
percorso della strada che con larghi
tornanti raggiunge Prà di Gianni.
Attraversato il torrente, si incrocia e si ignora il bell’itinerario per
la Malga Dosso (m 1892) e la cima
Lavazza (m 2411). Si prende invece
a dx e si segue il corso del torrente.
Si attraversa da N a S tutto il lungo
piano che porta a Prà della valle
(m 1363), tranquilla e bucolica piana
erbosa con fresco torrente dove amano
sostare d’estate frotte di campeggiatori. Si sale quindi nel bosco sulla sx
per poi spostarsi su un faticoso pendio
sulla dx, vicino alla maestosa cascata.
Si segue il ripido sentiero che sbuca,
improvvisamente, nella parte più alta
della valle. Pendenze più dolci accompagnano all’edificio dell’AEM, e
quindi alla Malga Caronella (m 1858,
ore 2).
A questo punto, per rispettare
il senso di marcia del tracciato già
descritto da Valbondione, ci si dirige
al passo di Bondone, da cui, passando
per il lago della Malgina si scende
al rifugio Curò, dove si consiglia di
pernottare per poi, il giorno seguente,
tornare a Carona per il lago della
Malgina - lago Gelt - passo m 2730.
Il tempo di percorrenza complessivo è sempre di 12-13 ore, anche se
il dislivello in salita si riduce di oltre
200 m.
Attorno al Lago Gelt
85
Escursionismo
Il lago di
Verva
Antonio Boscacci
E
F
Non lasciarci a secco:
dona sangue e torna a donare.
Se hai compiuto 18 anni e sei in buona salute, scegli di donare il tuo sangue.
Un gesto semplice e prezioso che aiuterà molte vite a ripartire.
86
AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO:
AVIS DI BORMIO 0342 902670, AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954, AVIS DI CHIAVENNA
0343 67297, AVIS DI LANZADA 0342 452633, AVIS DI MORBEGNO 0342 610243, AVIS DI
0342
Le POGGIRIDENTI
Montagne Divertenti
380292, AVIS DI SONDALO 0342 801098, AVIS DI SONDRIO 800593000
Estate 2010
Il lago di Verva (28 luglio 2001, foto Luisa Angelici).
Le Montagne Divertenti Il Lago di Verva
87
Passo dopo passo
Escursionismo
E
ra da tanto tempo che pensavo di andare a vedere questo laghetto. Non mi pareva
possibile che sul ripido fianco sinistro della valle Verva, ci fosse anche lo spazio
per un lago, pur piccolo che fosse.
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Arnoga (m 1850).
Itinerario automobilistico: da Bormio si
prende la SS301 del Foscagno fino al paese di
Arnoga (16 km).
Itinerario sintetico: Arnoga - ponte sul
torrente Viola - Verva di sotto (m 1946) - cascina di
Verva (m 2123) - lago di Verva (m 2640) - monte
Verva (m 2826) - lago di Selva (m 2540) - rifugio
Valgoi all’alpe Dosdé (m 2134) - alpe Dosdé - strada
della valle Viola - Arnoga.
Tempo
di percorrenza: 6-8 ore.
28 Luglio 2001
asciamo Arnoga alle 9
accompagnati dal sorriso di
un tale che, avendoci chiesto dove andavamo ed avendo saputo
che andavamo in valle Verva, non si
capacitava del fatto che non facessimo
almeno un tratto di strada in auto:
"Non c’è mica bisogno di partire da
qui a piedi!"
Percorriamo la stradicciola pianeg-
L
88
Le Montagne Divertenti Attrezzatura richiesta: utili i bastoncini.
Difficoltà: 3 su 6.
Dislivello in salita: circa 1000 metri.
Dettagli: EE. Il tratto più in quota dell'escursione
si svolge su traccia non segnalata.
Carte: Fogli Valle di Dentro e pizzo Filone
dell’Istituto Geografico Militare 1:25000;
Alpi Retiche - Bormio, Edizioni Muligraphic
1:25000;
Alta Valtellina, ed Kompass, 1:50000; Bormio –
Livigno – Corna di Campo, ed. Kompass, 1:50000.
giante che fu la sede di una vecchia
decauville, realizzata per la costruzione del canale che porta l’acqua
del torrente Viola nel lago artificiale
di Cancano [ora hanno costruito un
altro canale più in alto, con una presa
sotto il maggengo di Caricci].
Questo lungo percorso pianeggiante, circa 40 minuti, ci porta al
torrente Viola. Di là dal ponte, la
strada, dopo aver seguito per un tratto
la valle verso est, sale ripida con qualche tornante. Così sbuchiamo tra le
baite di Verva dove c’è un gruppo di
mucche che non ha ancora raggiunto
la cascina di Verva.
Ci sediamo un momento per
osservare Arnoga e il tratto di strada
percorso per arrivare fin qui.
Così mi viene in mente che nel
Estate 2010
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
1985 abbiamo iniziato proprio da
Arnoga il lungo itinerario che ci
avrebbe portati fino in val Chiavenna,
attraversando infiniti passi e valli e
montagne delle Retiche Valtellinesi.
Ricordo ancora la frase che uno dei
miei amici pronunciò appena prima
di lasciare Arnoga:
"Pesano troppo e non le metto nello
zaino, prima di partire mangiamoci
queste due pesche sciroccate!"
Avevamo degli zaini talmente alti
che l’aria, che ci soffiava alle spalle,
non riusciva nemmeno ad acchiapparci la testa.
Nonostante questo però, un altro
dei miei amici, non avendo più spazio
nello zaino, fece tutto il cammino del
primo giorno fino a Campo Pedruna,
all’imbocco della valle omonima, con
una reticella nella quale c’erano due
giganteschi pompelmi.
Fosse stato per lui, li avrebbe trascinati con sé anche il giorno dopo, ma
con la nostra insistenza e le nostre
pressioni, riuscimmo a costringerlo a
dividerne almeno uno con noi, quella
sera stessa.
Proprio qui, più o meno
dove siamo seduti adesso,
all’imbocco della valle
Verva, è avvenuto,
sempre in quel trek, il
più complesso scambio di
scarponi a cui mi sia mai
capitato di partecipare.
Occorre sapere, che l'amico delle
pesche sciroccate è un tipo molto
pignolo e, come tutti i tipi molto
pignoli, ogni volta che compra un
paio di scarponi, sbaglia il numero.
Qualche mese prima gli era successo
con un paio di scarponi da scialpinismo che, nonostante li avesse provati
in negozio per almeno due ore, si erano
rivelati decisamente troppo grandi.
Mentre, al contrario, gli scarponcini
che aveva appositamente acquistato
per questo viaggio, avevano mostrato,
fin dai primi metri, segni evidentissimi di essere inesorabilmente troppo
piccoli.
Le Montagne Divertenti Alta Valle
Il rifugio Federico in val Viola Bormina (14 luglio 2007, foto Roberto Moiola).
Quando siamo arrivati qui alle baite
di Verva, non ne poteva più del male
che gli facevano i piedi.
Aveva deciso di abbandonare la
nostra piccola spedizione.
Così, con una adeguata opera di
rotazione, che ha visto impegnati tutti
i componenti di questa nostra curiosa
piccola confraternita di camminatori,
passandoci gli scarponcini l’un l’altro,
siamo riusciti a risolvere il problema.
Nessuno avrebbe più avuto,
nel prosieguo del viaggio,
le stesse scarpe che portava
alla partenza.
Sembrerebbe impresa impossibile,
ma ognuno di noi ha fatto l’intero
percorso con gli scarponcini di un
altro!
Lasciati i ricordi di quell’antico
viaggio da Arnoga fino a Verceia,
riprendiamo il nostro cammino.
ontinuiamo lungo la strada,
passiamo accanto alla presa
C
sul torrente (anche l’acqua della valle
Verva va a Cancano) e ci fermiamo
poco prima della cascina di Verva.
Dalla destra della valle scende un
ripido torrentello che solca un altrettanto ripido pendio.
Iniziamo a salire sulla sinistra del
torrentello, superiamo una breve
fascia rocciosa per un canalino di
sfasciumi e ci troviamo su un piccolo
poggio.
Siamo di fronte al Colle delle
Pecore, che mette in comunicazione
la valle Verva con la valle Cardoné.
Dopo un tratto di ganda entriamo
in un piccolo anfiteatro e, superata
un’altra modesta fascia rocciosa,
arriviamo su un inaspettato e ampio
piano di origine glaciale. Nonostante
sia la fine di luglio, c’è ancora molta
neve. Sporgendoci da un piccolo
balcone vediamo in basso, circondato
dalla neve, il bellissimo lago della
Valletta (m 2619).
Dopo aver attraversato un po’ di
neve incontriamo la nostra meta, il
lago di Verva (m 2640). Anche questo
è circondato dalla neve e dentro vi
Il Lago di Verva
89
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Le Montagne Divertenti Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
navigano numerosi pezzi di ghiaccio.
Sulle sponde del lago incrociamo un
gruppetto di pecore che fugge belando
alla nostra vista.
Dallo sbocco del laghetto, dove l’acqua fa una piccola cascata, si vede in
basso, con una visione curiosissima, la
cascina di Verva (sembra che sia stata
costruita apposta in quel pezzetto di
verde laggiù, per poter essere vista da
qui).
Seguendo la sponda destra del lago
e risalendo il pendio soprastante
che, soleggiato e ripido, è sgombro
dalla neve, raggiungiamo una piccola
cresta e, seguendola, ci troviamo sulla
sommità del monte Verva (m 2828).
E’ mezzogiorno e un quarto.
Questa piccola elevazione, all’inizio
della cresta rocciosa che separa la valle
Verva dalla valle di Dosdé, è un punto
panoramicissimo su tutta l’Alta Valle.
Vicina e imponente appare a sud
est, la cima de’ Piazzi, con i suoi
ghiacciai. C’è neve ancora abbondante un po’ ovunque.
Dopo aver mangiato il solito pane
e formaggio (questa volta abbiamo
anche un po’ di maionese), scendiamo
i ripidi pendii gandosi verso ovest e,
sfruttando qualche macchia di neve
sulla quale scivoliamo velocemente
verso valle, arriviamo al piccolo lago
di Selva1.
Il laghetto si trova al centro
di un vastissimo pendio
che un tempo forniva ricchi
pascoli (ora abbandonati)
per centinaia di animali.
Attraversiamo
verso
sinistra
seguendo una fascia di erbe pianeggiante e ci affacciamo, accanto a un
ometto di pietre semicrollato, sulla
valle Dosdé.
Rimettiamo in piedi l’ometto e il
lungo palo che gli sta accanto, poi
iniziamo a scendere lungo un facile
pendio erboso.
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90
1 - Lo rintracciamo con l’aiuto di una cartina della
zona, perché non si vede dall’alto essendo nascosto
da un dosso erboso.
Estate 2010
Le Montagne Divertenti Alta Valle
Il lago di Selva (28 luglio 2001, foto Antonio Boscacci).
altri luoghi della Valtellina, i pascoli
stanno sparendo e migliaia di ciuffi
di rododendri e di ginepri si stanno a
poco a poco impossessando dei fianchi della montagna.
Il sentiero scende serpeggiando il
pendio e, arrivati in fondo, incontriamo due persone che stano raccogliendo la Taneda2.
E’ dalla mattina che stanno lavorando e ne hanno già raccolto una
ventina di chili. Ma la signora, che
ha 75 anni, ci dice che quest’anno
non ce n’è, per colpa della neve che
se ne è andata troppo tardi e non
ha permesso quindi un fioritura più
diffusa e omogenea.
Continua a raccogliere i fiori
mentre chiacchiera con noi e ci
racconta che il suo corredo da
sposa, 60 anni prima, se l’è fatto
vendendo quintali di Taneda.
Poi si infuria con i Verdi, dicendo
che la raccolta è una questione di
buon senso; quindi si arrabbia con
“quelli” del Parco dello Stelvio, che
secondo lei non capiscono niente; poi
ci parla dei numerosi missionari che ci
sono a Semogo e ci spiega che gli aiuti
umanitari purtroppo vanno a finire a
chi non ne ha bisogno …
Mi ero fermato per chiederle il
nome dialettale del lago di Selva e,
alla fine della nostra chiacchierata, mi
dice che non lo sa, perché non è mai
stata da quelle parti, non essendoci lì
Taneda da raccogliere.
La salutiamo e ci dirigiamo verso
l’alpe Dosdé.
Qui imbocchiamo la strada che
ci porta su quella della valle Viola e,
lungo questa, lemme lemme, accompagnati da qualche goccia di pioggia,
ritorniamo ad Arnoga.
Sono le ore 16.
2 - Erba iva (Achillea moschata)
Il Lago di Verva
91
Escursionismo
Bassa Valle
“S
econdo me, con le sue lunghe pareti ed i suoi ripidi versanti, appare come una
vetta himalaiana, quasi un Makalu alle porte della Valtellina.”
Se il Legnone non si trovasse tra Lario ed Orobie ma tra le vette delle grandi
Alpi, sarebbe considerato non solo una sommità di tutto rispetto, ma una cima di
grande prestigio.
Panoramica sul Legnone e l’alta val Lesina dai pressi del rifugio Legnone. In arancione la "direttissima", in rosso la via per la cresta S (26 agosto
2008, foto archivio Canetta). A fianco il Legnone dal Pian di Spagna ritratto da Kim Sommerschiel (www.kimsommerschield.com).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Delebio (m 250).
Itinerario automobilistico: usciti dalle
gallerie della SS 38 a Colico proseguire per Sondrio.
Entrati in Delebio e superata la prima rotonda di
Santa Domenica, dopo la leggera curva verso dx
della SS 38, prendere via Verdi in corrispondenza
della chiesa parrocchiale di San Carpoforo.
Percorrere via Verdi verso lo sbocco della val Lesina
fino al parcheggio nei pressi del lavatoio in Località
Torrazza.
Itinerario
-
U
M
onte Legnone
il gigante alle porte della Valtellina
sintetico:
Delebio - Osiccio (m 922) - Piazza Calda (m 1165)
n caro amico, Popi Miotti,
uno dei grandi attori di
quell’ondata di arrampicatori che
rinnovò l’alpinismo tellino negli
anni ’70 e ’80, un giorno mi fece
notare come il Legnone, se non si
trovasse tra Lario ed Orobie ma tra
le vette delle grandi Alpi, sarebbe
considerato non solo una sommità
di tutto rispetto, ma una cima di
grande prestigio. “Secondo me, con
le sue lunghe pareti ed i suoi ripidi
versanti, appare come una vetta
himalaiana – continuò – quasi un
Makalu alle porte della Valtellina”.
A
- Corte Galida (m 1413) - alpe Legnone (m 1690)
- monte Legnone (m 2610) per la direttissima o per
la cresta S.
Tempo di percorrenza: 6 ore e 30 per la salita
da Delebio senza mezzi meccanici.
Attrezzatura richiesta: -.
Difficoltà: 2+ su 6.
Dislivello in salita: circa 2350 metri.
Dettagli: E per la cresta S, EE per la direttissima.
Carte: Kompass 1:50 000, foglio n. 92.
ffermazione che potrebbe
apparire un po’ esagerata, ma
basta dare un’occhiata a una cartina
per comprendere come il paragone
– fatte le debite proporzioni – sia
calzante. Il Legnone si innalza, dai
tranquilli ripiani coltivati che
ne stanno alla base, tra Colico,
Piantedo e Delebio (tutte località
attorno a quota 200) per circa 2400
metri. Duemilaquattrocentometri
di canaloni, ripidi boschi, valli e
creste che, quasi d’un fiato, passano
dalle palme e dalle spiagge lariane
ai nevati della sommità.
U
n vero colosso, che degnamente fa da pilastro occidentale alla catena orobica che, troppo
bassa per essere inserita tra le “vere”
Alpi, è troppo elevata, selvaggia ed
aspra, per essere compresa nelle
Prealpi. Lungo lo spartiacque
orobico ci si deve spostare di una
quarantina di km ad E, per trovare
una vetta più elevata, pure se certo
meno imponente ed isolata: il
Corno Stella. Ma da Colico e Delebio siamo ormai arrivati alle porte
di Sondrio!
Eliana e Nemo Canetta
92
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Le Montagne Divertenti Monte Legnone
93
Escursionismo
Bassa Valle
U
na cima del genere certo avrà
sempre attratto molta curiosità ma chi ne avrà calcata la vetta per
primo? I “guidisti” un tempo scrivevano “Cima raggiunta da tempo
immemorabile da pastori e cacciatori
…”. Per non ammettere che nessuno
ne sapeva nulla. Infatti i cacciatori (ed
ancor più i pastori) raggiungevano
una sommità solo se la cosa aveva per
loro un reale utilità pratica. L’interesse per i panorami, per quanto vasti,
era assai relativo, ancor più scarsa la
soddisfazione di affermare di “essere
stato lassù”. La vita quotidiana era già
sufficientemente difficile e pericolosa,
per non andarsi a cercare altre fatiche
ed altri guai!
Tra i primi alpinisti certo vi furono
i rilevatori della celebre Carta dello
Stato Maggiore Lombardo-Veneto,
che il rigido ma saggio governo viennese volle per tutti i suoi territori
italiani.
Dal Legnone la vista è così
estesa in ogni direzione,
da farne un punto per
osservazioni geografiche e
topografiche d’eccellenza.
Questo impegno si svolse attorno
agli anni ’30 del XIX secolo. Poi il
silenzio calò su gran parte dei monti
tellini, complici le Guerre d’Indipen-
94
Le Montagne Divertenti C
Foto militare (archivio IGM) ripresa dal Legnoncino, verso il Legnone. Ben visibile la lunga
strada militare che, dalla val Varrone, raggiunge la cresta E del Legnone, non lungi dalla vetta.
denza che spostarono l’interesse su
ben altri temi che il turismo. Nel frattempo altri topografi avevano calcato
le vette dei “grandi gruppi” che attorniano la valle dell’Adda. Due nomi su
tutti: Coaz, l’elvetico conquistatore
del Bernina e Payer, l’asburgico rilevatore dell’Ortles-Cevedale. In parte
sull’onda di questi successi, e dei soliti
inglesi che giungevano ovunque per
raccogliere nuovi allori alpinistici,
pure gli italiani si mossero. E venne
anche l’ora delle Orobie.
onsultando la mitica (ed
introvabile) Alpi Orobie della
collana Guide dei Monti d'Italia del
CAI-TCI, scopriamo nel 1870 la
prima salita al pizzo del Diavolo di
Tenda e due anni dopo la “conquista”
del pizzo Stella. Il Legnone è citato
solo nel 1889:
“... versante NO e cresta O, Cederna
e Combi”. Un itinerario lunghetto (8
ore e mezza!) e non privo di difficoltà,
che risaliva direttamente da Colico
per i ripidissimi valloni affacciati al
Lario. Luoghi certo poco frequentati,
dato che soli 4 anni prima, nella zona,
era stato abbattuto l’ultimo orso del
Legnone. Anche salire da Delebio, per
la ripida val Lesina, se pure più facile,
richiedeva uno sforzo non indifferente:
nessuna strada per portarsi in quota,
nessun rifugio. Un tragitto di 6 o 7 ore
… e bisognava poi rientrare a valle!
Ma un libro altrettanto introvabile
ci viene in aiuto, per fornirci qualche maggior informazione rispetto
al versante tellino del Legnone. Si
tratta di Escursioni Alpine, del 1884 di
Ercole Bassi, che conosceva come le
sue tasche il territorio di Delebio.
C
Estate 2010
Apprendiamo così che
già nel 1763 la vetta del
Legnone era stata raggiunta
dall’astronomo Oriani, che
ne aveva valutata la quota
in ben 2836 metri.
Quanto all’autore, salì parecchie
volte il monte, la prima nel 1868.
Sarebbe quindi toccato a lui l’onore di
aprire l’elenco dei conquistatori ufficiali di vette orobiche, tanto più quale
“Socio del CAI Sezione Valtellinese”.
Le sue narrazioni sono (forse inconsapevolmente) gustose, come quando
descrive l’ascensione in compagnia
di alcune giovani signore, la cui
presenza, al tempo, era ancora considerata con qualche perplessità. Forse
non del tutto a torto dato che “ ... le
ragazze si trovarono stanchissime, e colle
scarpe senza quasi suola non avendo
esse avuto cura di preparar calzature
robuste”. Così, dopo un (relativo)
riposo all’alpe Legnone ripartono, ma
ben presto due delle malcapitate “...
avevano già consumato del tutto il poco
di suola che ancora era rimasta e dovettero supplire con fasciature (!)”. Per di
più le gonne e sottogonne dell’epoca
impacciavano e si bagnavano con
l’abbondante rugiada. Il tutto in
Le Montagne Divertenti piena notte, dato che per ammirare
il sorgere del sole dalla vetta i nostri
avevano pensato bene di partire
all’una e mezza del mattino!
Comunque, come Dio volle, il
Legnone fu conquistato da tutti,
donzelle comprese, che in fondo
dimostrarono, pure se malissimo
attrezzate e poco allenate, un’instancabile determinazione.
erto più agevole risultava il
versante meridionale, aperto
sull’incassata e boscosa val Varrone,
ove non mancavano taluni comunelli
in quota. Ma piano con gli entusiasmi: prima del 1915 la val Varrone
era priva di strade carrozzabili, salvo
il tracciato che collegava la Valsassina
con Premana. Il resto era servito solo
da acciottolate mulattiere. Si partiva
quindi da Dervio, a livello del Lario;
la fitta rete di stradette che oggi
raggiunge i centri della val Varrone
e che sale pure a Sommafiume e alla
sella dei Roccoli Lorla, è un’eredità
della Grande Guerra, quando i nostri
trasformarono il Legnone in una
vera roccaforte, cardine tra Lario ed
Orobie.
Comunque questo era l’itinerario normale, il più frequentato dagli
alpinisti che risalivano da Milano e
dalla pianura. Se sfogliamo la guida
Itinerario alle Prealpi Bergamasche,
pubblicata a cura del CAI Bergamo
nel 1888, con prefazione addirittura
dell’abate Stoppani, scopriamo questa
descrizione: “Dervio è il migliore punto
di partenza ... Si pernotta alla capanna
del Club (2150 m circa, tavolato, stufa
e pentola, munirsi di legna e coperte)
alla quale si giunge in 6 ore pei Roccoli
Lorla [...] Dalla capanna alla cima
in 1 ora e un quarto, passando dalla
spaccatura della Porta dei Merli”. Nel
complesso una camminata di oltre 7
Lungo il sentiero che collega il rifugio Legnone col rifugio Scoggione; la vista spettacolare
sull’unione tra le valli dell’Adda e della Mera, il lago di Novate ed i monti circostanti (26 agosto
2008, foto archivio Canetta).
Monte Legnone
95
Escursionismo
ore (solo andata!), per di più portandosi appresso legna, viveri, coperte.
Ma ai tempi gli alpinisti non si
spaventavano di fronte a marce di 14
o 15 ore: non era raro partire, a piedi,
da Sondrio, per raggiungere la Marinelli e proseguire poi verso il Bernina.
Che questa fosse la “via principale”
è confermato dal fatto che già nel
1889 il CAI di Milano acquistava,
nei pressi della sella tra il Legnone ed
il Legnoncino, un edificio, poi detto
rifugio Roccoli Lorla, ove veniva inaugurato il “primo servizio d’osteria” in
un rifugio del CAI; segno evidente
di una buona frequenza, almeno
per l’epoca. Sul versante tellino una
capanna verrà aperta, solo dopo la
Grande Guerra e si tratterà del rifugio
Vittoria (m 969), chiaro richiamo al
recente conflitto mondiale. Siamo nel
1922 e l’edificio è voluto dalla Federazione Alpinistica Italiana, a 2 ore
e mezza di marcia sopra Delebio (il
rifugio è ancor oggi ben visibile ma,
oramai privato, da molto tempo non
è fruibile al pubblico).
eggendo la guida Alpi Orobie,
pubblicata nel 1957, cui
abbiamo accennato, si ha la netta
impressione che il versante tellino
fosse decisamente meno noto di quello
lecchese; pare quasi che la val Lesina
fosse stata appena osservata dai compilatori. In particolare si accenna di sfuggita agli imponenti lavori militari che
avevano profondamente modificato
anche la viabilità pedestre della monta-
L
Bassa Valle
gna. Infatti lungo le Orobie erano state
realizzate non poche fortificazioni,
in previsione sia di uno sfondamento
allo Stelvio che di una violazione
della neutralità svizzera, da parte degli
austro-tedeschi. Nel malaugurato caso,
ci si sarebbe ritirati dietro le vette
orobiche, abbandonando completamente la provincia di Sondrio.
Ma il Legnone, pilastro sopra il
Lario, allo sbocco delle valli dell’Adda
e della Mera, meritava di più: fu
completamente fortificato, raggiunto
da una strada militare sul versante
della val Varrone, mentre molte
mulattiere furono pure tracciate in
val Lesina, il cui controllo era previsto
rimanesse al nostro esercito. Grosso
modo la linea delle trincee partiva da
Dervio, risaliva a Sommafiume, per
raggiungere poi i Roccoli Lorla.
Qui alcune postazioni
d’artiglieria e trincee sono
state oggi sistemate a cura
della Comunità Montana
della Valsassina.
La linea proseguiva poi verso la
vetta, comprendendo opere nei pressi
di Scoggione e dell’alpe Legnone, per
addentrarsi di qui verso la testata della
val Lesina.
Queste opere, che impegnarono
dal 1916 al 1918 i militari, ma pure
molti abitanti (specie donne e ragazzi)
di Delebio, sono ancor oggi in ottime
Casera nei pressi del rifugio Legnone (26 agosto 2008, foto archivio Canetta).
96
Le Montagne Divertenti condizioni di conservazione: la sempre
più fitta vegetazione le nasconde alla
vista, ma al di sotto trincee e camminamenti risultano perfettamente
percorribili. Prova evidente di come,
pur con l’incombere del tempo, i
nostri vecchi sapessero lavorare bene,
realizzando strutture che, a distanza
di quasi un secolo, potrebbero ancora
essere utilizzate! Un vero museo
all’aperto che andrebbe valorizzato,
non solo per ricordare quei tragici
anni di ferro, ma pure per rammentare le eccezionali capacità della nostra
gente.
L’itinerario di salita
L
a salita al Legnone da Delebio,
pure se oggi facilitata in parte
da una strada, ha ancora un sapore
antico. Non si sceglie l’itinerario più
breve ma un tracciato che permette
di gustare appieno ogni aspetto della
montagna, dai panorami alle attività
umane, alla natura ancora integra della
val Lesina. E, non da ultimo, permette
di comprendere cosa significava l’alpinismo “di scoperta” del XIX secolo.
A Delebio, se vogliamo prender
quota in auto, procuriamoci, presso il
Municipio od alcuni bar convenzionati, il permesso (3 euro) per percorrere la stradella che raggiunge Osiccio
(m 922), iniziando da Casale, a S
del capoluogo. Chi invece preferisce
seguire le antiche tracce dei pionieri
sin dalla partenza, imboccherà, verso
mezzodì, un tratturo selciato che
prende ripidamente quota all’imbocco della val Lesina, nei pressi di
una centralina elettrica: lungo di esso
veniva trascinato a valle il legname,
una delle maggiori risorse della zona
(Delebio-Osiccio ore 1:45).
A piedi la vecchia mulattiera, da
Osiccio
guadagna
direttamente
1
Piazza Calda (m 1165, ore 0:30).
Ci si trova così all’inizio del costolone, inizialmente boscoso, poi
prativo, che costituisce la sponda
orografica sinistra della val Lesina, che
oramai ci appare nella sua vastità e
complessità, fittissima di boschi incassati sino ai 1600/1700 metri, sovrastati da vasti pascoli, intramezzati da
1 - Se si dispone di un mezzo 4x4 (e lo si sa ben
usare ...), da Osiccio si può proseguire sino a Corte
della Galida.
Estate 2010
possenti crestoni in parte rocciosi.
a stradella pianeggia, stretta
e nel fitto del bosco, lungo il
fianco della Mottarella dei Larici, sino
a terminare bruscamente all’alpeggio
della Corte Galida (m 1413, ore 1)2,
punto più elevato oggi raggiungibile
con mezzi meccanici. Sopra, oltre il
Dosson di Zocche, il Legnone signoreggia; verso E il massiccio pizzo val
Torta ed il pizzo Alto. Tutti costoloni
trasformati dal nostro Genio Militare
in postazioni, cui accedevano sentieri
e mulattiere, in gran parte ancora oggi
percorribili.
er salire il Legnone, da Corte,
imbocchiamo verso NNE un
ripido sentiero che, in una mezz'ora,
permette di raggiungere la spettacolare spianata prativa dell’alpe
Legnone3 (m 1690, ore 0:30), ove è
l’omonimo rifugio.
Il rifugio4, di proprietà dell’ERSAF
(Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura ed alle Foreste) ha di recente
sostituito quello ricavato nella vecchia
casera. Nei mesi di luglio ed agosto
è aperto con servizio di ristorante e
pernottamento, a cura della Pro Loco
Delebio. Il panorama è vastissimo,
sulle antistanti costiere retiche. Verso
S è ovviamente limitato dall’incombente Legnone, ma quanto mai interessante: di qui si possono osservare
cime, colli e itinerari d’accesso pressoché invisibili dal fondovalle tellino.
ncora una volta ci sono delle
alternative per raggiungere la
cima del Legnone. Se si preferisce
un tracciato più comodo, pure se
più lungo, non vi è dubbio: la cresta
SE del monte, lungo le mulattiere
militari, di recente riattate a cura
dell’ERSAF. Se invece si preferisce
il brivido della direttissima, si può
salire per il versante NNE. In ogni
caso si imbocca, verso SSO, un bel
tracciato pianeggiante che porta
sotto il monte Colombano. Per la
direttissima, si prende ora a dx per
guadagnare, lungo i regolari tornanti
L
P
A
2 - Il termine Corte della Galida (I.G.M.) non è
utilizzato dai locali che chiamano comunemente
questo alpeggio "Panzùn", mentre i pascoli di Galida si trovano a monte del gradino roccioso che chiude la valle verso il Legnone.
3 - Una via alternativa da Piazza Calda è il sentiero
diretto per la Mottarella dei Larici, che arriva all'alpe Legnone in circa 1ora e 30'.
4 - Posti letto 16/20, info 334.5736108. Da qui
inizia anche il sentiero Andrea Paniga.
Le Montagne Divertenti di un tracciato militare, la selletta tra
Legnone e Colombano (m 1970).
Nella zona resti di trincee: la stradella
scresta e scende verso Scoggione. Noi
imbocchiamo (segnalazioni) invece
un sentiero ripido che traversa verso
sx (S), andando a superare, aiutati da
qualche attrezzatura, delle piodesse
che, specie se bagnate, richiedono
prudenza e piede sicuro. Ci troviamo
così in un ampio canalone che risaliremo.
Particolare curioso: su Terra Glacialis (2003) il periodico del Servizio
Glaciologico Lombardo, si conferma
qui l’esistenza di un minuscolo glacionevato perenne, a quota 2360, già
segnalato nei vecchi testi locali ma
mai preso in considerazione degli
studi glaciologici “ ufficiali”.
Per sfasciumi e roccette si va alla
cresta O, ove s’incontra il tracciato che
risale dal Roccoli Lorla, ed in breve
(tratto con catene) si è alla sommità
del Legnone (m 2610, ore 2:30).
hi invece preferisce la tranquillità, dal bivio sotto il Colombano continuerà sino al Dosson di
Zocche, che risalirà con infiniti zig
zag, sin verso quota 2100. Si traversa
ora a mezza costa, sempre sulla mulattiera militare, altissimi sulla testata
della val Lesina; un ultimo strappo
ed eccoci sulla cresta principale
orobica, a quota 2400 circa, ben più
alti e ad occidente della bocchetta del
Legnone. Di colpo la vista spazia sulla
val Varrone e sulle Prealpi.
C
N
oi continuiamo lungo la
cresta, lasciando ben presto
a sx (SSO) la stradella che collega il
nostro itinerario con l’alpe Campo,
sopra Pagnona. La cresta, ampia e
facile, con regolare pendenza ci guida
alla vetta del Legnone (m 2610,
ore 3).
Inutile descrivere la vastità del
panorama che si gode da lassù, bisogna andarci per vedere e per credere!
Qualche variante
- Dalla vetta al Rif. Roccoli Lorla,
per la cresta OSO, transitando per
il bivacco Ca’ de Legn (nei pressi
dell’antica “capanna CAI”), sentiero
con roccette finali. Ore 2.15; E/EE.
- Dalla quota 2400 della cresta SE
si scende all’alpe Campo e da qui alla
carrozzabile della val Varrone su una
bella (ma interminabile!) strada militare. Ore 3.00; T.
- Dal rif. Alpe Legnone al Rif. Scoggione (m 1575), su facile mulattiera
militare pianeggiante, si traversano
zone massicciamente fortificate, con
trincee, bunker, caverne, resti di
baracche (ma gran parte delle opere
è, per ora, nascosta dalla vegetazione).
Ore 1.00; E. Non si manchi assolutamente la brevissima salita alla vicina
cima Scoggione (m 1703), con panorama mozzafiato sui selvaggi canaloni
del versante NO del Legnone.
Lungo l’itinerario tra i rifugi Legnone e Scoggione, nascoste nel bosco, molte trincee sono
ancora perfettamente integre (26 agosto 2008, foto archivio Canetta).
Monte Legnone
97
Rubriche
valtellinesi
nel mondo
L'Everest da Kala Patthar (26 ottobre 2009).
Il vento dell'
98
Le Montagne Divertenti Bimba (27 ottobre 2009). Estate 2010
Cho-La Pass, m 5530 (24 ottobre 2009).
Himalaya
Tempio
di Boudhanath
(17 ottobre
2009).
Le Montagne
Divertenti
Testi e foto Claudia Schenatti
Il vento dell'Himalaya
99
Valtellinesi nel mondo
Rubriche
F
inalmente si parte!! Il tanto desiderato viaggio "spirituale" in Nepal inizia…
Sono stanca e curiosa; non vedo l’ora di conoscere la misteriosa guida che
mi terrà compagnia nelle prossime due settimane, quando sarò “isolata” dal
mondo. Chissà nel frattempo cosa succederà in Italia, chi tenterà di scrivermi e
contattarmi con poco successo. Chissà ...
Ora chiudo questo mio diario e aspetto impaziente di imbarcarmi e dormire un po’.
15 - 16 - 17 ottobre 2009
Malpensa - Doha – Kathmandu
Kathmandu è un delirio! Non ci
sono luci, le strade sono strette e
dissestate, un traffico assurdo, clacson, colori, urla, bancarelle ovunque, gente per strada, moto, risciò,
mucche... C’è di tutto, un mix senza
senso di suoni e colori, gente che
sfreccia a destra e a sinistra e poi
quante bancarelle: pashmine, gioielli,
negozi di articoli sportivi taroccati…
di tutto e di più! La gente si riversa
in strada, canta, balla, lancia petardi
e prepara delle splendide collane fatte
con fiori arancioni.
Fa molto caldo ma i templi sono
bellissimi, sprigionano spiritualità e
invitano al rispetto. Una pizza tanto
per sentirsi un po’ a casa e poi via, alla
volta dell’agenzia per prenotare il volo
per Lukla. La meta da raggiungere: il
Kala Patthar (m 5545). Sulla carta,
una delle più panoramiche cime della
valle del Khumbu.
18 ottobre
Kathmandu – Lukla (m 2840) –
Phakding (m 2700)
Sveglia alle 5! La mia guida è
puntualissima. Finalmente lo conosco: é un ragazzo che ha un nome
per me impronunciabile, decidiamo
che lo chiamo Tshe. Sembra timidissimo…
Interminabile attesa in questo mini
aeroporto trafficatissimo. Ad attenderci c’è un catorcio di bimotore. I
presupposti non sono dei migliori!
Ci accomodiamo in questa “scatola di
sardine”, si scaldano i motori e via... si
parte alla volta dell’Himalaya.
45 “emozionanti” minuti, con
la speranza di arrivare sani e salvi.
Tshe si fa una bella dormita, io NO!
Ma eccoci all’atterraggio: montagne
ovunque e uno sputo di pista. Riusciremo a frenare in tempo?!
Scesi dall’aereo, si va alla ricerca di
100
Le Montagne Divertenti Arriviamo finalmente al lodge e stramazzo sul divanetto
della dining room; mi affaccio alla finestra: davanti a me il
tramonto sul Cho Oyu, la “dea turchese”, un altro splendido 8000! E’ lì, che ti fissa, e hai la sensazione di poterlo
toccare. Si erge enorme, imponente, candido. Questo
gigante, che per la gente del luogo rappresenta una divinità, mi ipnotizza. Sento che le lacrime stanno per strabordare. Non so il motivo, forse è solo necessità di “purificarsi”
alla vista di queste creature che ti fanno capire che qualche
divinità, qualunque essa sia, deve pur esistere per averci
donato tanta bellezza.
23-24 ottobre 2009
Gokyo (m 4750) – Tangnag (m 4700) - Cho-La
Pass (m 5330) – Dzong-la (m 4830)
Io, Tshe e la sua famiglia (19 ottobre 2009).
un portatore. Una sfilza di uomini ci
aspetta e sinceramente è un pugno
nello stomaco: vestiti di niente, con i
piedi quasi nudi, si offrono di portare
come bestie da soma innumerevoli
chili di materiale per pochi dollari.
Dopo lunga negoziazione troviamo
un ragazzino che dice di avere 21
anni; si chiama Sabdan, parla pochissimo l’inglese, e senza dire una parola
si carica sulla schiena i miei 20 chili di
materiale.
Mattinata in cammino; alle 14.30
siamo già al lodge, nel villaggio di
Phakding.
19-20 ottobre 2009
Phakding – Namche Bazar (m 3450)
Sveglia alle 6.30 alla volta di
Namche Bazar, villaggio crocevia per
tutti i trekking della regione dell’Everest. Il sentiero si snoda lungo la valle
del Khumbu, attraversando più volte
con i tipici ponti tibetani il fiume
Dudh Koshi.
Namche Bazar (m 3450): una
miriade di negozietti in alta quota!
Vi passo due giorni fra bancarelle
(dove trovo il mio braccialetto nepalese che porterò tutti i giorni come
ricordo di questo viaggio) e negozi, fra
tazze di ducha (tè al latte) e di “Butter
Tea” tibetano, tipico tè del Tibet
preparato con sale e burro di yak, e fra
piatti di “rekeykur” (non so se scrive
così), tipico piatto sherpa, una specie
di omelette fatta con patate e guarnita
con un quintale di burro e una strana
salsa piccante.
21-22 ottobre 2009
Namche – Dole (m 4048) Gokyo (m 4750)
Due giorni piuttosto intensi. Il
mercoledì partiamo da Namche
alla volta di Dole, il villaggio a
m 4040 dove vive e gestisce un lodge
la mamma di Tshe. Giovedì la salita al
villaggio di Gokyo. I ragazzi al lodge
di Dole pensano che non riuscirò
a fare la tirata di 6 ore e 700 metri
di dislivello, che di per sé non è un
granché, se non fosse per il fatto che
la partenza è a 4000 metri (e io non
sono mai andata oltre i 3500).
Il paesaggio è splendido, passiamo
il primo e il secondo laghetto, proseguo lentamente, ho poca forza. Tshe
non dice niente, ma mi osserva e cerca
di capire cosa mi sta succedendo. Al
terzo, benedetto laghetto, finalmente
il villaggio di Gokyo.
La vista è spettacolare: il villaggio si
affaccia sul lago turchese, circondato
da candidi giganti, ma sono talmente
provata da non riuscire a godermelo.
Estate 2010
Sveglia alle 4.30. Lasciamo il lodge con il cielo ancora
stellato e ci incamminiamo verso Gokyo Ri, cima che sulle
guide viene definito uno dei più bei panorami della terra.
La salita è una passione, procediamo lentamente (“bistari
bistari” come dice Tshe nella sua lingua!) ma le energie
mancano comunque. Finalmente intravedo le bandierine
delle preghiere che, tra l’altro, indicano la cima di una
vetta. La vista è mozzafiato: Cho Oyu (m 8109) Kangsheng
(m 7900) e poi Pumori, Everest, Nuptse, Lhotse e infine
l’Ama Dablam. Montagne incredibili che ti avvolgono a
360 gradi. Il cuore dell’Himalaya è qui. Ci abbracciamo e
complimentiamo tra noi e con la gente che arriva in cima.
Qualche foto, un gradito tè caldo e si torna a Gokyo.
Il giorno successivo partiamo alla volta del Cho-La Pass,
un valico solitamente innevato e piuttosto ripido, sembra
un muro di sassi. Ma quando sono su… che spettacolo!
Un mare di neve e ghiaccio e tutt’intorno giganti innevati.
Sosta e foto di rito e poi giù sui gradoni di pietra verso
il villaggio di Dzong-la. Quando arriviamo al primo
lodge non c’è nemmeno un posto letto. L’unica opzione
è una minitenda sul prato. Per la prima volta mi viene
un po’ di sconforto: sto male, ho i brividi e una nausea
incontrollabile (non dovuta all’altitudine ma, ancora una
volta, ad una scelta di cibo non azzeccata). Tshe mi trova
una coperta che uso per isolarmi meglio da terra, indosso
innumerevoli strati di vestiti (il classico abbigliamento a
cipolla), mi ricordo di avere nel saccone la coperta metallica che utilizzo per isolare maggiormente il calore e una
borraccia in metallo che, magia magia, una volta riempita
di acqua bollente si trasforma nella fantastica boule che
desideravo tanto avere nelle gelide notti passate. Nonostante il momento “drammatico” mi viene un attacco di
ridarella: io e Tshe, insieme in una micro tenda, avvolti
come larve in un’infinità di vestiti e sigillati nella coperta
metallica, sembriamo un Pernigotto gigante! Come se non
bastasse, abbiamo come vicini di tenda una coppia coreana
che quando parla sembra un cartone animato giapponese.
25 ottobre 2009
Dzong-la (m 4830) – Lobuche (m 4930)
Il mattino dopo ho la consapevolezza di non esser congelata; diversa la sorte della bottiglia di acqua che mi sono
portata in tenda, trasformata in un blocco di ghiaccio.
Le Montagne Divertenti Gokyo e Ngozumba da Gokyo Ri (23 ottobre 2009).
Il panorama dal Chola-La Pass (24 ottobre 2009).
Giornata tranquilla e di recupero, un semplice trasferimento di poche ore “in piano” tra i due villaggi. Visto che
sono in perfetta forma, nel pomeriggio, dopo il “laundry
service” con Tshe (servizio lavanderia nell’acqua gelata del
fiume, le mie mani ormai viola ringraziano), decido di
andare a visitare la famosa piramide del CNR che é a soli
30 minuti dal lodge. Anche visitare la piramide è una bella
emozione: il laboratorio-osservatorio si trova a m 5050 e
alle sue spalle si intravede lo splendido Pumori.
Il vento dell'Himalaya
101
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
26 ottobre 2009
Lobuche (m 4930) – Kala Patthar
(m 5545) - Lobuche (m 4930)
Finalmente il grande giorno!
Partenza alle 4 alla volta del
tanto ambito Kala Patthar che, da
programma, dovrebbe offrire uno
dei panorami più belli dell’Everest.
Il cielo stellato che si riflette sulle
montagne innevate toglie il fiato.
Superata la morena del Khumbu
Glacier arriviamo a Gorap Shep,
gradevole villaggio alla base del Kala
Patthar , circondato dai giganti himalayani.
Il Kala Patthar, la “pietra nera” per
il suo colore così diverso rispetto ai
candidi colossi che lo circondano, è
una sorta di “collina” che porta fino a
5545 metri.
Si sale con grande lentezza; più si
va in alto, più si ha fame d’aria e si
rallenta il passo. A metà strada, vedo
sbucare l’Everest, più vicino di quanto
l’abbia mai visto. Tutt’intorno montagne che si slanciano verso il cielo, con
le loro linee perfette, ricoperte di un
manto bianco. Sembrano sculture
lavorate da una mano esperta.
Arrivata faticosamente in cima,
lascio che il vento indiavolato e gelido
porti via tutto quello che voglio
lasciare. Ho realizzato il mio sogno!
Da questo momento ricomincia
una vita nuova, non potevo trovare
un posto migliore: sono nel cuore di
quello che io considero un assaggio
di paradiso. Di fronte a questa vista
provo una pace interiore e un’energia che raramente ho trovato prima.
Intorno a me, Pumori, Everest, uno
scorcio di Lhotse, il maestoso Nuptse
e una miriade di giganti sembrano
abbracciarmi per darmi nuova carica.
Ancora qualche foto e poi giù, l’altitudine comincia a farsi sentire.
27 ottobre 2009
Lobuche (m 4930) – Pangboche (m 3985)
Mi sento un leone! Doppia colazione e via, alla volta di Pangboche
(m 3985). Saluto il Pumori per l’ultima volta con già un po’ di nostalgia.
Il pomeriggio arriviamo a Pangboche e visitiamo il più antico monastero (più di 600 anni) della valle
del Khumbu. Nonostante sia un po’
102
Le Montagne Divertenti 29 ottobre 2009
Namche Bazar (m 3450) - Lukla (m 2840)
Ultima lunga tappa verso Lukla,
dove domani riprenderemo l’aereo
che ci riporterà a Kathmandu. Ultimo
giorno di trekking e intorno a me solo
silenzio, pace e natura. Già so che
mi mancheranno questi paesaggi, le
splendide persone e il silenzio assoluto. Alla mente mi tornano i ricordi
dei primi giorni, il primo ducha, la
kata, la fatica dei portatori, la prima
vista dell’Everest…
Arrivo a Lukla sfatta, dopo tante ore
di cammino sotto il sole. Per festeggiare l’arrivo a destinazione ci concediamo una sosta in una pasticceria
italiana. Dopo quasi due settimane
senza mangiare qualcosa di familiare
fa uno strano effetto!
Servizio lavanderia (23 ottobre 2009).
emozioni intensi. Mi è stato accanto
quando “rantolavo” al Chola–Pass.
Origini e culture lontane, eppure
i problemi e i sogni sono simili, i
progetti di vita e i desideri praticamente gli stessi. Sebbene così distanti
e diversi siamo molto più vicini di
quel che si possa pensare. Grazie
anche a te, Tshe, per questi bei giorni.
Ci alziamo all’alba: ultima colazione “in quota” e alle 7 siamo al mini
aeroporto di Lukla per l’ultima avventura, il volo di ritorno a Kathmandu.
Decollo mozzafiato e dopo quasi
un’ora di volo siamo nella caotica
Kathmandu.
CHE SHOCK!! Dal silenzio, solitudine e cielo blu himalayani al manicomio di traffico, suoni e colori. E’ un
pugno in faccia. Faccio finta di niente,
ma mi sento a disagio, un pesce fuor
d’acqua... Voglio tornare su, verso il
“mio” Kala Patthar.
1 novembre 2009
Kathmandu – Doha – Milano Dopo troppe ore sola in quell’aeroporto caldo e senza indicazioni,
prendo posto in aereo. Stringerò forte
il mio dzi (la pietra tibetana) cercando
di ricordare i momenti più significativi di questo viaggio. Non so praticamente nulla di quello che è successo in
Italia e non me ne importa un granché; la mia famiglia sta bene e questo
basta. Il resto, tutto il resto, se l’è
portato via il vento del Kala Patthar.
Stiamo per decollare, chiudo il
diario.
30-31 ottobre 2009
Lukla (m 2840) – Kathmandu La piramide del CNR e sullo sfondo il Pumori (25 ottobre 2009).
tardi, il custode gentilmente ci apre.
Tshe, che è buddista, fa una serie di
riti e mette in testa a me e Sabdan
una specie di teiera come benedizione.
Solo dopo realizzo che quei tre mattacchioni dentro al monastero sono di tre
religioni diverse: cristiana io, buddista
Tshe e induista Sabdan. Tre persone
tanto diverse culturalmente, geograficamente ed economicamente eppure
così simili in tante cose.
28 Ottobre 2009
Pangboche (m 3985) - Namche
Bazar (m 3450)
Dopo aver attraversato uno splendido bosco di betulle, conifere e
rododendri, iniziamo a vedere le
prime abitazioni di Namche, dove ho
trascorso un paio di giorni all’inizio
del trekking, e allora giù di corsa alla
volta dello Shangri-La!
Tè caldo, rinfrescata, “cambio
d’abito” e via con lo shopping sfrenato!
Ci sono una miriade di negozietti di
ogni tipo. Mio papà impazzirebbe nel
vedere quanti negozi di articoli sportivi (anche se per lo più taroccati!) ci
sono a questa altitudine.
Durante i vari acquisti conosco una
gentile signora che produce e vende
orecchini. Mi dice di essere tibetana,
vive e lavora a Namche, ma le manca
tanto il Tibet e purtroppo non può
tornare a casa. Si commuove mentre
mi racconta della sua vita e questo mi
riporta alla memoria la tragedia del
popolo tibetano e mi fa venire una
gran voglia di visitare presto, prima
che la Cina lo cancelli definitivamente,
questo paese magico e sfortunato.
Estate 2010
Non c’è molto da dire, il trekking
sta volgendo al termine e la malinconia comincia a prendere il sopravvento. Niente di sorprendente, me
l’aspettavo!
Anche Tshe è un po’ triste: dopo
il trekking dovrà cercarsi un nuovo
lavoro. Abbiamo vissuto fianco a
fianco dall’alba al tramonto, a volte
anche la notte, quando non c’erano
camere e la dining room era troppo
piena. Abbiamo camminato ore e ore
insieme, confrontato culture e origini
così diverse, condiviso momenti ed
L'Everest da Kala Patthar (26 ottobre 2009).
Claudia Schenatti
M
i chiamo Claudia Schenatti, anche se molti mi conoscono come
“Maiuk”.
Sono nata 34 anni fa a Sondrio e
cresciuta a Chiesa in Valmalenco.
Da anni vivo però a Milano dove mi
sono laureata in Economia e ora lavoro come responsabile marketing
in una multinazionale americana.
L’essere cresciuta in Valmalenco mi
ha sicuramenete aiutato ad apprezzare la montagna e i suoi valori: la
genuinità delle persone, la magia
della natura, la fatica per raggiungere un obiettivo.
Fuggire dal caos verso il silenzio per
dida dida dida .....
Le Montagne Divertenti ritrovare se stessi, potersi spogliare
dell’apparenza per assaporare la propria dimesione selvaggia e primitiva,
dimenticare la quotidianità e vivere in
simbiosi con la natura: per me questa
è la montagna.
Uno dei più grandi scalatori Himalayani, il kazako Anatolij Bukreev, ha
scritto: “Arrivi in cima dopo aver rinunciato a tutto quello che credevi necessario alla sopravvivenza e ti
trovi solo con la tua anima. In quel
vuoto puoi esaminare, in un’ottica diversa, te stesso e tutti i rapporti e gli
oggetti che fanno parte del mondo
normale”.
Tshe e Claudia Schenatti (ottobre 2009).
Il vento dell'Himalaya
103
Speciali d'estate
Il mondo in miniatura
“In una giornata dal sole riscaldata
una cicala su una foglia stava
appollaiata.
Un ragnetto saltellante da dietro una
piantina sbucò e con tre balzi se la
pappò.”
Alessandra Osti
S
iamo in piena fioritura, le giornate si fanno più calde e lunghe,
la rinascita della natura entra nella sua fase più intensa. Insieme
a piante e mammiferi anche il mondo degli insetti si risveglia riemergendo dai luoghi nascosti dove ha trascorso l'inverno. Molti di questi
minuscoli esserini, durante i mesi più freddi, hanno completato
alcuni stadi della propria evoluzione e ora si presentano al mondo
con il loro aspetto adulto. E' il caso della Eupteryx decemnotata,
simpatica cicala appartenente alla famiglia dei Typhlocybidaealcuni
ligure, la quale sta approfittando del bel tempo per prendere il sole
comodamente adagiata sopra una foglia verde. La Eupteryx decemnotata deve il suo nome scientifico ai dieci puntini neri che ne adornano fronte, parte superiore del capo e collo.
Questo animaletto dalle ridottissime dimensioni (non supera i tre
millimetri di lunghezza), largamente diffuso in tutta la provincia di
Sondrio e nella vicina Svizzera, sceglie come luogo di residenza i paesi
del sud Europa, dove il clima è più mite. Dalla fine degli anni '80
ne sono stati trovati esemplari in Germania e dal 2002, la decemnotata, è sbarcata nel Regno Unito “emigrando” poi nelle zone meridionali degli Stati Uniti. Da quelle parti è conosciuta come “Cicala
Ligure” e considerata un pericoloso parassita infestante per le piante
dove normalmente vive, dal cui fogliame trae il suo nutrimento. E'
ritenuta nociva soprattutto allo stadio di neanide e di ninfa, perché
cibandosi della clorofilla che scorre nelle foglie, può ridurre la capacità di fotosintesi della pianta, facendone quindi ingiallire la superficie del fogliame (clorosi).
Solitamente la Eupteryx preferisce sostare nella parte inferiore delle
foglie, ma non disdegna adagiarsi in quella superiore per ristorarsi,
crogiolandosi sotto i raggi solari. L’insetto adulto ha ereditato la
predilezione per il “dolce far niente” direttamente dalla ninfa: uno
degli stadi che caratterizzano l’evoluzione della cicala.
Lo sviluppo di questo insettino avviene nei mesi più freddi: l'uovo
viene deposto sulla lamina interna del fogliame, dove attraversa le
varie fasi di crescita, completando il ciclo di trasformazioni all'arrivo della bella stagione. Nella scelta delle piantine, sia da utilizzare
come amaca che come fonte di nutrimento, la Eupteryx preferisce la
Melissa, la Nepeta cataria (meglio nota come erba gatta), l’Origano,
la Maggiorana, il Timo e la Salvia.
Niente è più piacevole per la nostra cicalina che riposarsi su una
lamella, lasciando dardeggiare sotto i caldi raggi del sole le ali esterne,
di un brillante giallo verde con sfumature marroncine. Satolla per
la linfa succhiata si gode il tepore mattutino, ignara che il pericolo
potrebbe essere dietro il prossimo filo d'erba...
ualcun altro infatti si sta facendo un giretto tra l’erba alta,
nelle vicinanze della Eupteryx, attirato all'esterno dal clima
mite: si tratta di un esemplare di Heliophanus kochii, un cosiddetto
ragno saltatore. A differenza di molti suoi cugini non cattura la
preda utilizzando la ragnatela, ma in caccia libera, seguendo lo “stile”
Q
Heliophanus kochii a caccia sopra una foglia di Nepeta Cataria -
(aprile 2010,
Paolo Rossi).
Le foto
Montagne
Divertenti 104
Estate 2010
Le Montagne Divertenti Il safari del ragno
105
Speciali d'estate
insetti
di alcuni mammiferi come i grandi
felini, tanto da essersi meritato il
titolo de “la tigre degli aracnidi”. La
tela in seta prodotta nella parte bassa
dell'addome, è invece utilizzata come
riparo per la notte una volta rintanatosi in un posticino asciutto e in caso
di pioggia a mo' di ombrellino. Le
femmine invece se ne servono anche
come “sacca” ove deporre le uova e per
farvi la muta.
Il metodo di caccia prescelto da
questo microscopico animale, è
appunto quello di balzare addosso
all’insetto individuato, compiendo un
salto spettacolare e intrappolandolo
tra le zampette anteriori e i cheliceri.
Questo ragnetto appartiene ad una
famiglia che annovera in Europa circa
75 specie, suddivise in una quarantina
di generi. Le sue dimensioni sono
piuttosto ridotte, con una grandezza
che va dai tre ai quindici millimetri.
In particolare, l'esemplare fotografato
è grande quanto la Eupteryx, ma di
carattere decisamente meno gioviale.
E' oltremodo interessante notare
come tali ragnetti si accorgano immediatamente della vicinanza dell’uomo
e, a quel punto, si mettano in atteggiamento difensivo senza staccare gli
occhi di dosso al bipede che si trovano
davanti. Sarà però sufficiente provare
ad avvicinare una mano perché essi
si girino verso di essa, assumendo
una posizione minacciosa e arrivando
anche ad andarle incontro, senza rivelare timore e dimostrando una forte
territorialità.
I jumper, come spesso sono soprannominati, possono essere avvistati
abbastanza facilmente durante le giornate di sole, dato che sono animaletti prettamente diurni, sebbene di
preferenza trascorrano il loro tempo
acquattati nella vegetazione oppure
saltellando su piante, fili d'erba e
pietre.
ome la Eupteryx anche l'Heliophanus, approfittando della
calda giornata di inizio primavera,
è uscito da un qualche pertugio
asciutto per concedersi una tranquilla
passeggiattina in mezzo al verde, ma
i suoi otto occhioni neri scrutano
intorno alla ricerca di qualche preda
dall’aspetto gustoso.
Gli occhi dei salticidae sono
singoli, come quelli dei mammiferi,
C
106
Le Montagne Divertenti Il mondo in miniatura
proprio corpo, con un singolo salto.
Quando decidono di compiere
un balzo, queste specie di aracnidi,
producono un filo di seta con il quale
si assicurano, in modo da avere una
sorta di "ancora di salvataggio" in caso
di caduta libera e poter tranquillamente ritornare al punto di partenza.
entre a balzelli e saltelli Kochii
prosegue nella sua passeggiatina mattutina, ai suoi formidabili
occhi non sfugge la Eupteryx, che
placidamente e in bella vista riposa
sulla foglia. Basta poco al minuscolo
aracnide per capire che ha davanti
un succulento bocconcino, dato che
Madre Natura l'ha dotato della capacità di distinguere gli insetti pericolosi
da quelli che possono essere predati.
Al piccolo cacciatore non sembra
vera tanta fortuna: il pranzo è servito.
Immediatamente e senza produrre
il minimo rumore comincia il suo
avvicinamento, spostandosi di foglia
in foglia riducendo la distanza dalla
cicalina che, inconsapevole, prosegue
nel suo riposo.
M
Una Eupteryx Decemnotata prende il sole facendosi cullare dal vento (settembre 2009, foto
Paolo Rossi).
differentemente da quelli degli altri
artropodi che sono invece composti.
L'osservazione della loro disposizione
sul cefalo1 del ragno è considerata,
anche dai più esperti entomologi, un
ottimo metodo per scoprire a quale
delle numerose specie cui l'aracnide appartiene, arrivando anche a
permetterci, con buona approssimazione, di identificare la sottofamiglia
di appartenenza. La loro particolare
sistemazione permette all'artropode
di avere una visione binoculare: sulla
parte anteriore del capo si possono
osservare due occhi larghi, per una
perfetta visuale frontale, cui se ne
affiancano altri due più piccoli,
posti lateralmente rispetto agli altri.
Infine sulla fronte se ne possono
vedere altri quattro, rivolti verso
l'alto.
In questo modo l'Heliophanus
Kochii ha una visione a 360 gradi
dell'ambiente circostante. Altre caratteristiche del suo apparato visivo
sono la possibilità di spostarli avanti
e indietro, similmente all'effetto
zoom di una macchina fotografica.
1 - Testa.
Ciò gli permette di mettere a fuoco
quello che sta guardando a qualunque
distanza: può addirittura avvistare una
preda in un raggio di 40 centimetri
(ricordiamoci che questo ragnetto è
lungo 3 mm!).
Altra capacità è quella di spostarli
nelle diverse direzioni, aiutato dalla
mobilità del torace, che può arrivare
a ruotare di oltre 45 gradi: in questo
modo il kochii riesce a tenere sempre
tutto sotto controllo!
Altri segni distintivi dei jumper,
oltre alla particolarissima dislocazione
oculare e alle incredibili abilità saltatorie, sono: il torace rettangolare, un
corpo massiccio e corte zampette.
A rendere possibile gli incredibili
balzi che è in grado di compiere, è
il “sistema idraulico interno”: esso
consente di variare la pressione all’interno del corpo, in modo da far spiccare salti decisi, nonostante il sistema
muscolare sia quasi assente. Nella
parte anteriore del corpo avviene una
rapida contrazione che, aumentando
la pressione del sangue, fa estendere
rapidamente le zampine e permette
così al ragno di coprire una distanza
fino a 60 volte la lunghezza del
Estate 2010
Ninfa di Eupteryx Decemnotata (marzo 2010, foto Paolo Rossi).
Il ragno d'istinto, conosce
il momento migliore per
saltare sulla sua preda.
Così si prepara: facendo leva sul
terzo e quarto paio di zampe spicca
un balzo, arrivando esattamente sopra
la cicala. La poverina non ha scampo!
Intrappolata tra le potenti mandibole,
è trascinata in un posto più appartato
dove lentamente sarà succhiata attraverso l’apparato boccale del ragno.
Purtroppo per la piccola cicalina il
destino si è presentato beffardo, e un
po' crudele, in una bella giornata di
sole all'ombra di una saporita fogliolina, tra gli sguardi indifferenti di
alcuni minuscoli acari rossi intenti nei
loro affari.
n piccolo consiglio per tutti
coloro che amano passeggiare in montagna: portatevi una
lente di ingrandimento e durante
una sosta, date una sbirciata anche al
microcosmo che vive nel folto della
vegetazione dei prati. Se siete fortunati potreste assistere ad un safari
in miniatura, come quello che vi ho
appena raccontato.
U
Una moneta da 1 eurocent vicino alla Eupteryx aiuta a capire le dimensioni (marzo 2010, foto
Paolo Rossi).
Le Montagne Divertenti Il safari del ragno
107
Rubriche
fauna alpina
Ali
nella
notte
Alessandra Morgillo
Momento magico il crepuscolo, mentre mille sfumature si avvicendano nel cielo,
gradualmente le ombre si allungano e avvolgono il bosco in un unico abbraccio.
Si trasforma lo scenario, cambiano gli attori, altre creature diventano ora protagoniste
del buio.
108
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Le Montagne Divertenti Civetta a Sondrio (2006, foto Franco Benetti).
Ali nella notte
109
Fauna
Rubriche
fetto sorpresa e giungere sulla preda
improvvisamente per ghermirla coi
forti artigli delle dita piumate che
hanno la particolarità di avere due
dita rivolte in avanti e due rivolte in
dietro (nei rapaci diurni invece tre
avanti e una dietro) in modo da non
lasciare via di scampo.
Altra caratteristica che accomuna
questi animali, appartenenti all’ordine degli Strigiformi, è la capacità
di ingoiare le prede praticamente
intere. Le parti dure non digeribili
(esoscheletri degli insetti, peli, piume,
etc ...) vengono rigurgitate sottoforma
di pallottole allungate, dette “borre”,
che risultano utili tracce per appurare
la presenza di strigidi in un dato territorio.
ndiscutibile re della notte è il
gufo (Asio otus). Nei racconti
e nelle fiabe ambientati nel bosco
il gufo è quasi sempre presente ed è
rappresentato come un animale saggio
ed erudito, a volte anche pignolo
e permaloso, una sorta di vecchio
sapiente che ascolta e conosce tutto ciò
che accade nel suo territorio. Eppure
non è affatto facile vederlo. Di giorno
se ne sta appollaiato sonnecchiante su
un ramo avvolto nel suo piumaggio
mimetico. Durante la notte soltanto
i cupi versi monosillabici (“uh...uh...
uh”) del suo canto territoriale possono
tradirne la discreta presenza.
Tra i gufi si annovera il più grande
rapace notturno italiano: il gufo reale
(Bubo bubo). Con un’apertura alare che
può sfiorare i due metri e gli 80 centimetri circa di altezza, questo uccello
dall’intenso sguardo giallo-arancio può
catturare con facilità anche prede più
grandi, come le lepri. Caratteristici
sono i due lunghi ciuffi di penne sul
capo, chiamati impropriamente orecchie, ma che nulla hanno a che vedere
col sistema uditivo, e che sono erigibili
a guisa di cornetti a seconda dello stato
emotivo dell’animale.
Curiosità: il termine "gufare" è di
origine onomatopeica ed è ormai
entrato nel linguaggio popolare con
il significato dispregiativo di portare
sfortuna, essere di malaugurio. Probabilmente associato al lamentoso e
ripetitivo sbuffare del gufo, che invece
quando emette il suo caratteristico
verso, vien detto solitamente intento
a "bubolare".
I
Gufo reale (13 aprile 2010, foto Alessandra Morgillo).
N
ell'immaginario umano il
bosco notturno è sempre stato
un luogo misterioso, irto di pericoli
e popolato da presenze spaventose.
Chi non ha mai provato l'inquietante sensazione di sentirsi osservato
ma di non riuscire a scorgere nulla
nel fitto nero della notte? Persino i
raggi della candida luna, quando si
addentrano nell'intrico della foresta,
proiettano ombre improbabili che si
agitano al vento sibilante tra i rami.
Un gruppo di cervi che lasciano il
rifugio boschivo, che li ha resi invisibili durante il giorno, per brucare
in tutta tranquillità nelle fresche
radure; un tasso che meticoloso ispeziona il sottobosco, rovistando con
il muso e con le zampe tra le foglie;
una volpe con passo svelto o una
furtiva faina e molte altre piccole
creature che preferiscono uscire dalle
loro tane sotterranee nelle tenebre
per vagabondare indisturbate alla
ricerca di cibo, animano il bosco di
mille fruscii e rumori sospetti. Tra
questi alcuni risuonano sinistri tra
le chiome degli alberi: i segnali di
comunicazione dei predatori alati
della notte.
110
Le Montagne Divertenti I
rapaci notturni sono uccelli che
hanno sviluppato straordinari
adattamenti all’ambiente notturno. Si
sono specializzati a cacciare nell'oscurità, divenendo esperti nel percepire e
discriminare il più piccolo movimento
per poi avventarsi con precisione sulla
preda senza provocare il minimo
fruscio. Topi, arvicole e altri piccoli
mammiferi, ma anche rettili, anfibi e
invertebrati, non possono sentirsi al
sicuro nemmeno nel buio più totale
se in giro ci sono dei predatori dal
volo pressoché silente, una visione
notturna eccezionale e un udito finissimo.
Uccelli notturni
Le remiganti, ovvero le penne
delle ali che consentono il volo,
sono sfrangiate all’estremità e non
creano turbolenza nell’aria, perciò
rendono estremamente silenzioso il
volo di questi uccelli. Come tutti i
predatori, anche i loro occhi sono
disposti frontalmente per consentire una tale profondità di campo da
potersi lanciare sulla preda a velocità
elevata senza errore, ma sono anche
molto grandi e ricchi di bastoncelli,
cioè quelle cellule particolarmente
fotosensibili che sono responsabili di
una buona visione anche in condizioni di buio quasi totale. L’udito
è molto sviluppato e consente ai
rapaci notturni di avvertire la preda
al minimo rumore e di localizzarla
persino senza l’ausilio della vista. Il
disco facciale che caratterizza questi
uccelli è una struttura anatomica che
svolge una funzione analoga a quella
di una parabola, infatti le piume frontali schiacciate così disposte amplificano la percezione sensoriale uditiva
convogliando le onde sonore alle
orecchie, che sono persino di differenti dimensioni e leggermente asimmetriche sui lati del capo. Quando
l’animale sente un rumore ruota
immediatamente la testa nella direzione di provenienza così da avere la
sorgente sonora di fronte ed ottimizzare l’ascolto.
La rotazione del capo (fino a
270°!) consente inoltre al predatore di puntare gli occhi immobili
sul bersaglio, senza compiere altri
movimenti che potrebbero inesorabilmente svelare la sua presenza. È
possibile in questo modo giocare l’efEstate 2010
Le Montagne Divertenti Allocco all'Aprica (2006, foto Franco Benetti).
Uno tra i più diffusi rapaci notturni
è l'allocco (Strix aluco). Simile al
gufo comune per dimensioni (quasi
un metro di apertura alare e 45 cm
di lunghezza), differisce da quest'ultimo per la forma più tondeggiante
e gli occhi completamente neri. Il
termine "allocco" è talvolta usato
come sinonimo di sciocco, ingenuo.
Forse perché durante le ore diurne,
questo animale a riposo con le palpebre semichiuse assume un aspetto un
po' goffo e sembra quasi imbambolato. Tale apparenza cela, al contrario,
l'essenza di un predatore molto astuto
e opportunista, capace di adattarsi
ad ambienti differenti, quali boschi
di latifoglie, campagne ma anche
parchi e giardini dei centri abitati.
È curioso notare che invece dal suo
nome scientifico Strix, che in latino
significa uccello notturno, derivi la
parola strega. Si allude probabilmente
all’antica credenza che riteneva questi
bellissimi animali della famiglia degli
Strigidi, capaci di trasformarsi dopo
il tramonto in incontrollabili e misteriosi esseri che volano nella notte, alleati prediletti delle streghe.
a più diurna tra i rapaci notturni
è la civetta (Athene noctua), che
può essere osservata anche in pieno
giorno, specialmente in inverno,
quando approfitta delle ore più calde
per scovare le prede dall'alto di posatoi quali pali o cavi della luce. I suoi
L
Ali nella notte
111
flora alpina
Rubriche
occhi grandi dall'iride gialla sormontati da folti sopraccigli le conferiscono uno sguardo piuttosto severo.
L'immaginario umano ha costruito
su questo animale due ritratti contrastanti. Sacra e adorata nell'antica
Grecia, considerata l'incarnazione
della dea Atena, come ricorda il suo
nome latino. Glaukõpis, “sguardo da
civetta”, era l’epiteto della dea stessa,
(glaùks, civetta opé, sguardo) e la sua
capacità, con quei grandi occhi gialli,
di scrutare attraverso le tenebre, era
intesa come simbolo della sapienza.
Il culto e il rispetto
per la civetta non sono
sopravvissuti nei secoli
successivi.
Numerose credenze popolari hanno
farcito di luoghi comuni il nome di
questo animale: “fare la civetta" detto
di una ragazza, significa comportarsi in modo frivolo, superficiale;
i "prodotti-civetta" sono quelli che
al supermercato attirano in modo
subdolo il cliente inducendolo poi ad
acquistare ciò di cui non ha bisogno.
Ma la fama più cattiva che riguarda
la civetta è legata alla sua nomea di
uccello del malaugurio: il suo canto
particolare era considerato funesto e
annunciatore di brutti presagi. Nel
medioevo la civetta fu perseguitata
insieme alle streghe e ancora oggi,
purtroppo, esiste una certa forma di
persecuzione ingiustificata nei suoi
confronti. Vittima di una superstizione stupida, nata essenzialmente
dall’esigenza di vincere le paure
dell'uomo legate ai misteri del buio,
inteso genericamente come tutto ciò
che non si conosce. Oggi sappiamo
che la civetta è utilissima e indispensabile agli agricoltori per eliminare
animali nocivi alle coltivazioni.
ei nostri boschi di conifere
è possibile osservare il più
piccolo rapace notturno europeo, la
civetta nana (Glaucidium passerinum)
con i suoi 35 cm di apertura alare e i
16 cm di lunghezza. Non è in grado
di realizzare il nido da sé, perciò
occupa le cavità abbandonate dai
picchi nel tronco degli alberi; come la
civetta capogrosso (Aegolius funereus)
che però predilige essenzialmente le
cavità scavate dal picchio nero (Dryo-
N
112
Le Montagne Divertenti Civetta nana a Ponte di Legno (dicembre 2009, foto P. Brichetti).
Pulcini di civetta (20 luglio 2007, foto Franco Benetti).
copus martius).
Infine l’assiolo (Otus scops), specie
migratrice che sverna nell'Africa
sud-sahariana, adattata anche a climi
più caldi e temperati, frequenta una
grande varietà di ambienti, da zone
steppiche e semiaride a boschi di conifere fino a 1500 metri di altitudine. E
il barbagianni (Tyto alba), assente alle
quote più elevate dell'arco alpino, ma
forse uno dei più noti a causa della
sua abitudine di frequentare granai,
soffitte e solai.
e armi naturali di cui dispongono questi rapaci, quali becco
adunco, artigli affilati e adattamenti
L
peculiari a una vita notturna, fanno di
loro spietati cacciatori al vertice della
catena alimentare del bosco.
Malgrado il loro aspetto minaccioso, che potrebbe giustificare un
ancestrale timore, non sono affatto
pericolosi per gli uomini, anzi ne sono
preziosi alleati in qualità di eccezionali
equilibratori della piccola fauna che,
moltiplicandosi a dismisura, sarebbe
di grande danno all'agricoltura.
Essi dunque, espressione di una
Natura perfetta, vivono in sintonia
con il proprio ambiente e conferiscono fascino e suggestione ai nostri
boschi notturni.
Estate 2010
Flora estiva
di Valtellina
parte II
Le Montagne Divertenti - Franco Cirillo
Ragno su genziana (7 luglio 2008, foto Roberto Moiola).
Ali nella notte
113
Rubriche
Fauna
iprendiamo la rassegna delle specie
R
floristiche più comuni che possiamo
osservare in Valtellina. Dopo aver trattato
di specie presenti dal fondovalle fino ai
maggenghi, adesso saliamo decisamente di
quota e portiamoci sui prati alto alpini: le
prime a fiorire suono le pulsatille, piante
nane dal fiore tuttavia grande e peloso per
proteggersi dal freddo.
L
a più comune in Valtellina è la pulsatilla (Pulsatilla
alpina L.) la cui sottospecie P. sulphurea è chiamata
anche anemone giallo per il suo colore luminoso.
Innumerevoli sono le varietà di Genziane, di cui alcune
fioriscono allo sciogliersi delle nevi, altre a fine agosto. La più
appariscente e diffusa è la genzianella (Genziana acaulis L.) che
ha fiori grandi, senza gambo, di colore blu intenso punteggiato
di verde all’interno della corolla. Ne esistono due varietà: sui
terreni calcarei la Genziana Clusii, sui terreni calcio carenti la
Gentiana Kochiana.
Simile ad una stellina invece la Genziana di primavera
(Gentiana verna L.) alta pochi centimetri, di colore azzurro
intenso, che vive gregaria nelle praterie di montagna, formando
tappeti radi di incomparabile bellezza.
Innumerevoli sono le varietà di Campanule: fiori tipicamente a forma di campanella. Si incontrano nei prati, nei
boschi aperti; formano cuscinetti sulle rupi alle quote più alte.
La campanula barbata (Campanula barbata L.) ha la caratteristica di avere fiori con tante ciglia, come una barba.
Salendo sui prati sopra Montagna o Tresivio o Poggiridenti
troveremo abbondantissima una violetta particolare: la Viola
tricolor L., così detta perché i suoi petali hanno tipicamente
tre colori, dal bianco al giallo al viola-blu. È l’antenata delle
viole del pensiero che si coltivano in giardino. Possiede anche
proprietà medicinali. Fiorisce da maggio fino a tardo settembre e spesso forma ampie distese colorate nei prati ancora rasi
perché la neve si è appena dissolta.
In luglio possiamo qua e là scorgere i fiori azzurri delicatissimi e penduli della clematide alpina (Clematis alpina L.):
è una piccola pianta perenne rampicante ed è l’unica liana
presente sulle Alpi. Ai botanici è nota anche sotto il nome di
“Atragene delle Alpi”. Ricopre le rupi, si intreccia ai rami degli
alberi montani e predilige le forre ombrose negli ambienti
calcarei. Il nome generico (Clematide) deriva dalla radice greca
klema: “viticcio” o anche “pianta volubile” o anche “legno flessibile”.
Anche le aquilegie presentano forme diversissime tra cui
nelle Alpi degne di nota sono Aquilegia alpina L., specie rara,
con grandi fiori azzurri e ambiente di crescita tra i rododendri
a quote alte e Aquilegia atrata L., più piccola con fiori come dal
nome di colore viola scuro. Quest’ultima preferisce i boschi ed
è molto diffusa. Il nome potrebbe derivare da acquam legere
(raccoglitore d’acqua) per la forma particolare che ha la foglia
nel raccogliere l’acqua piovana. Da questa specie sono derivati
tantissimi cultivar che si ritrovano frequentemente nei giardini
di montagna.
La rosa delle Alpi è il rododendro che i popoli tedeschi chiamano infatti alpenrose. È una pianta perenne a consistenza
legnosa frequentissima in alta montagna al termine della vege-
114
Le Montagne Divertenti Gentiana verna (18 agosto 2009, foto Alessandra Morgillo).
Campanula barbata e Viola tricolor (foto Franco Cirillo).
Clematis alpina e Aquilegia atrata (foto Franco Cirillo).
Estate 2010
tazione arborea. Ne esistono due specie. Il Rododendron
ferrugineum L., il più comune, amante dei terreni acidi
a sviluppo robusto: caratteristica è la colorazione color
ruggine del lembo inferiore delle foglie adulte. Più piccolo
è il Rododendron Hirsutum L., che si distingue dal primo
per i fiori color rosato, anziché rosso vivo. Inoltre le foglie
sono verdi sul lembo inferiore e soprattutto presentano
ampie ciglia al margine. Questo rododendro è esclusivo
dei suoli calcarei.
La regina delle Alpi è da sempre considerata la Stella
Alpina (Leontopodium alpinum Cass.). Appartiene alla
famiglia delle Composite, cioè la stessa delle margherite. E
infatti si vede che la Stella Alpina ha l’aspetto di una bella
margheritona, solo che i suoi petali, che per l’esattezza
sono delle brattee modificate, sono coperte di una lanuggine bianca come la neve che protegge tutto il fiore dal
freddo. Una volta era comune nei prati alpini. L’intensa
raccolta l’ha fatta quasi sparire; oggi la ritroviamo solo sui
pendi rocciosi calcarei a quote di almeno m 2000.
Non dimentichiamo le zone paludose come Pian
Gembro che sono ricchissime di varietà dall’aspetto singolare: notiamo in questi ambienti in agosto l’abbondante
fioritura rosa della Bistorta (Polygonum bistorta L.).
Sulle rupi scoscese, di roccia calcarea o acida, in alta
montagna, la vegetazione è particolarmente specializzata
per sopravvivere alle condizioni climatiche più difficili:
negli anfratti trovano accoglienza pulvini (cuscinetti densi)
di saxifraghe. Questo nome indica la capacità di erodere
la roccia per insinuare le radici. Citiamo Saxifraga caesia
L., che ama il calcare, detta anche sassifraga verde-azzurra
per il colore delle foglie che formano rosette compatte e
pungenti.
Tra le piante di montagna annoveriamo anche tutta
una serie di piante grasse: l’ambiente montano può in
alcune situazione risultare povero d’acqua e quindi come
nel deserto le piante per sopravvivere devono accumulare acqua creando delle riserve nei tessuti delle foglie che
così appaiono grasse. Rammentiamo tra queste piante il
Sedum, comune sulle pareti rocciose a bassa quota e più in
alto il Sempervivum che hanno una caratteristica rosetta
di foglie grasse basilari da cui sorge un fusto che porta fiori
con colori intensi dal rosso al giallo.
A settembre i prati alpini mostrano abbondantemente
un fiore ben curioso: la Carlina (Carlina acaulis L.); il
nome forse è da riferirsi a Carlo Magno che la considerava
un rimedio contro le pestilenze. È grande, con un diametro di circa 10 cm con la strana caratteristica di sembrare
un fiore secco. Questo è un altro modo di difendersi dalla
disidratazione indotta dai raggi solari che si sa in montagna sono più intensi. In sostanza la pianta si priva d’acqua
(così non può perderla) e sembra secca. E lo è infatti: se
la raccogliete e non la mettete in acqua, come si fa con gli
altri fiori, la Carlina dura a lungo. Oltretutto questa pianta
è spinosa per non essere mangiata dagli animali (e raccolta
dall’uomo!). È anche chiamata “Carlina segnatempo”
perché funziona da igrometro naturale: all’approssimarsi
della pioggia i fiori si chiudono, e si riaprono al ritorno
del sole.
Rarissimo esemplare di rododendro bianco (giugno 2009, foto Gianni
De Stefani).
Rododendrum ferrugineum in val d'Arigna (maggio 2009, foto A.Morgillo)
e Stella Alpina nella valle dello Scerscen (agosto 2008, foto Beno).
Poligomun bistorta in val Fontana (giugno 2008, foto Beno) e Saxifraga
caesia (maggio 2003, foto Franco Cirillo).
Sempervivum ai laghi Seroti (foto Beno) e Carlina (foto Franco Cirillo).
Le Montagne Divertenti Flora Alpina
115
Arte e montagna
arte e montagna
N
Ark
Beno
ell'estate del 2010 una nuova
attrattiva delizierà i viaggiatori
del trenino rosso del Bernina: la scultura ARK SOUND al lago Bianco
(m 2200).
un'opera imponente: 15
metri di lunghezza, 7 metri
di altezza (di cui 6 emergeranno dalle
acque) e dal peso di 6 tonnellate e
mezzo. Il colore dominante è il rosso,
come lo stesso trenino. La struttura
è composta da 5 elementi che assumono inclinazioni altalenanti, dettate
dalle onde e dal vento. Questi movimenti, che in una regione come quella
del Bernina possono essere molto forti
e perfino violenti, fanno oscillare gli
archi posti in cima alle punte lignee
che, grazie a un sistema percussivo a
martelletti, a loro volta emettono dei
suoni.
Come materiali sono stati scelti il
legno d'abete e l'acciaio inox, oltre
che per ragioni ingegneristiche, anche
per esaltare il contrasto tra materia
pesante e leggera.
sound
E’
Ark Sound, modellino in scala 1:10 (foto L. Mottarella).
«E'
stato un lavoro lungo e
faticoso», ha sottolineato
Daniele Ligari, «che ha impeganto
molte persone, tra cui ingenieri per
risolvere i problemi strutturali e di
galleggiamento, un musicista per
l'accordatura, oltre a due ditte valtellinesi1 per la realizzazione della scultura.»
«Q
Ark Sound modello 3D (arch. Ligari Barbara).
uand'è cominciata questa
avventura?»
«Nel 2006, quando con questo
progetto ho vinto il concorso bandito
dalla Fondazione di Bogliasco in Liguria (con sede a New York). E' piaciuta
e così abbiamo iniziato a realizzare i
primi modellini in miniatura.»
«C
Q
uest'estate una scultura sonora di grandi dimensioni galleggerà sull'acqua del lago Bianco
(m 2200) nei pressi del passo del Bernina, esattamente in una insenatura a nord della stazione
dell'Ospizio del Bernina.
L'inaugurazione avverrà il 19 giugno alle ore 12:30.
L’artista, ideatore del progetto, è Daniele Ligari di Sondrio.
116
Il lago Bianco (foto Roberto Moiola).
Le Montagne Divertenti Estate 2010
ome mai una scultura
sonora? E' la prima che
realizzi?»
«E' stata la prima opera di questo
genere per me. Volevo che questa
scultura esaltasse l'energia della natura
e attraverso l'effetto sonoro dovuto
alla forza del vento questa cosa sarà
percepibile anche dai viaggiatori che
si troveranno sul trenino rosso.»
1 - Progetto Legno s.r.l. di Buglio in Monte e Della
Cagnoletta s.r.l. di Albosaggia.
Le Montagne Divertenti Il lago Bianco con Ark Sound (simulazione grafica 3D - archivio Ligari).
Daniele Ligari
117
Rubriche
RimA e prosa in dialetto
Barachìn
«Q
uali sono i principali
problemi legati a questo
progetto?»
«Oltre alla costruzione della scultura a grandezza naturale, a cui hanno
lavorato molte persone per quattro
mesi, le difficoltà maggiori saranno
nel trasporto, nella messa in loco
e nell'ancoraggio2, essendo i venti
sempre forti e il livello del lago stesso
molto variabile.»
Beno
E' già trascorso quasi un anno dalla scomparsa di Arturo Baracchi, il cantore di Montagna che
con le sue rime ha allietato molti numeri de "Le Montagne Divertenti". La primavera scorsa
Arturo mi aveva lasciato un manoscritto con alcuni dei suoi componimenti, molti dei quali
inediti e di grande varietà stilistica. Fra questi vi propongo un brano: "Il ritorno del crociato".
E' una tiritéra che riprende lo scherzo poetico di Giovanni Visconti Venosta "La partenza del
crociato", ridisegnandogli un imprevedibile lieto fine.
«Q
uando e dove posizionerete
la scultura?»
«La posa e il varo avverranno a
metà giugno in un'insennatura del
lago Bianco a nord della stazione
dell'Ospizio del Bernina. I passeggeri
del treno le gireranno parzialmente
attorno e la potranno ammirare da
più angolazioni, apprezzando l'armonia tra la scultura e il magnifico
paesaggio.»
«Passa un giorno, passa l'altro
Mai non torna il nostro Anselmo:
perché egli era molto scaltro
andò in guerra e mise l'elmo »
Così ha inizio il componimento di Giovanni Visconti
Venosta1 , che con rime divertenti racconta le goffe gesta del
prode Anselmo che, partito come crociato per la Palestina, a
causa di un foro nell'elmo muore di sete in Terra Santa.
Arturo Baracchi, sullo stile di Gianni Rodari, ha voluto
dare a questa novella un altro finale:
«A
lla posa seguiranno degli
eventi?»
«Il 19 giugno 2010 alle ore 12:30
ci sarà l'innaugurazione ufficiale.»
1 - 1831-1906, scrittore e poeta tiranese.
«Q
uanto rimmarrà lì?»
«Questa è un'opera itinerante che a ottobre, prima che il lago
inizi a gelare, verrà portata via per
esser destinata ad altri lidi. Forse in
Austria o altri luoghi da definire: ho
preso contatti con paesi esteri, ma
per ora preferisco pensare al varo e
all'inaugurazione del 19 giugno .»
La partenza del crociato
Giovanni Visconti Venosta
Una donna chiese a G. Visconti Venosta d'aiutare il figlio, uno studente di Tirano, con uno dei suoi compiti
estivi per il ginnasio: completare un sonetto sui crociati in palestina, di cui il ragazzo aveva composto solo il
primo verso. Lo scrittore ne fece uno scherzo poetico che riscosse grande fama nell'ambiente letterario.
Il gruppo di lavoro che ha realizzato Ark Sound. Da sinistra: Livio Zanolari, Nicola Poletti,
Tiziano Della Cagnoletta, William Burr, Sergio Bracchi e Daniele Ligari.
2 - In questa fase l'impresa di riferimento è la
Battaglia Costruzioni SA di Poschiavo.
Daniele Ligari
D
aniele
Ligari,
artista
e
architetto nato a Gravedona
(CO), vive e opera a Sondrio
in contrada Scarpatetti.
La sua esperienza artistica matura
a partire dal 1978 nel campo della
pittura e viene estesa dal 1989 alla
scultura, mezzo che permette a
Ligari di spaziare nell’espressione
delle forme artistiche senza i vincoli
che
abitualmente
costringono
la libertà espressiva nel campo
architettonico.
Nel suo mondo artistico, architettura
e scultura sono intimamente legate
fra loro, tanto da fare trapelare
come le opere scultoree riconducano
118
Le Montagne Divertenti Anselmo non era morto, ma solo svenuto per la sete.
Una bella circassa, che casualmente passava per di lì, lo
vide e lo soccorse. I due si sposarono ed ebbero dei figli,
ma col passare degli anni la donna sfiorì e anche l'amore
del crociato svanì. Così, dopo 30 anni, Anselmo fuggì e
tornò al suo paese natale: Montagna in Valtellina.
Giunto a casa vide una sua zia cogliere carciofi egli li
chiamò "articiòk", termine arabo che poi divenne vocabolo del dialetto del paese.
Come sosteneva ridendo Arturo Baracchi: "Ho così dimostrato che il prode Anselmo in realtà era un muntagnùn, ma
si ho anche spiegato come mai nel dialetto di Montagna sono
presenti alcuni vocaboli d'origine araba."
all’architettura. Le sue sculture e la
continua ricerca del giusto equilibrio
tra vuoti e pieni sfociano inizialmente
nella realizzazione di “libere forme”.
Ma l’antica questione dell’artistaarchitetto, architetto-scultore e di
architettura e scultura stimola la
produzione delle “archi – sculture”,
opere di grandi dimensioni pensate
e realizzate per rapportarsi con il
paesaggio urbano.
Le sue opere, frutto di un'approfondita e affascinante ricerca del giusto
materiale, sono state esposte in Italia,
Svizzera, Germania, Olanda, Belgio e
Giappone e sono presenti in collezioni pubbliche e private.
Per vedere le sue opere: www.ligari.it
Estate 2010
Mise l’elmo sulla testa
Per non farsi troppo mal
E partì la lancia in resta
A cavallo d’un caval.
La cravatta in fer battuto
E in ottone avea il gilé,
Ei viaggiava, è ver, seduto
Ma il cavallo andava a pié,
Pipe, sciabole, tappeti,
Mezze lune, Jatagan
Odalische, minareti
Già imballati avea il Sultan.
La sua bella che abbracciollo
Gli dié un bacio e disse: Va!
E poneagli ad armacollo
La fiaschetta del mistrà.
Da quel dì non fe’ che andare.
Andar sempre, andare, andar...
Quando a pié d’un casolare
Vide un lago, ed era il mar!
Quando presso ai Salamini
Sete ria incominciò
E l'Anselmo coi più fini
Prese l'elmo, e a bere andò.
Poi, donatogli un anello
Sacro pegno di sua fe’,
Gli metteva nel fardello
Fin le pezze per i pié.
Sospettollo... e impensierito
Saviamente si fermò.
Poi chinossi, e con un dito
A buon conto l'assaggò'.
Ma nell’elmo, il crederete?
C’era in fondo un forellin
E in tre di morì di sete
Senza accorgersi il tapin
Fu alle nove di mattina
Che l'Anselmo uscia bel, bel,
Per andar in Palestina
A conquidere l'Avel.
Come fu sul bastimento,
Ben gli venne il mal di mar
Ma l’Anselmo in un momento
Mise fuori il desinar.
Passa un giorno, passa l’altro
Mai non torna il guerrier
Perché egli era molto scaltro
Andò in guerra col cimier.
Né per vie ferrate andava
Come in oggi col vapor,
A quei tempi si ferrava
Non la via ma il viaggiator,
Il Sultano in tal frangente
Mandò il palo ad aguzzar,
Ma l'Anselmo previdente
Fin le brache avea d’acciar.
Col cimiero sulla testa,
Ma sul fondo non guardò
E così gli avvenne questa
Che mai più non ritornò.
Le Montagne Divertenti Barachìn: il poeta di Montagna
119
Rubriche
Poesia dialettale
Il ritorno del crociato
Le illustrazioni
Questa vignetta non si riferisce al racconto "Il ritorno del
crociato", ma ritrae il poeta Arturo Baracchi nel luogo nel
quale ora è giunto, così come egli stesso lo immaginava.
L'irripetibile collaborazione grafico/letteraria che ho
avuto negli anni con Barachin si basava su una ispirazione
reciproca che ben si riassume in uno scritto dello stesso
Arturo: "Io che ho scritto e Dicle che ha illustrato i versi qui
raccolti ci siamo divertiti, altrettanto auguro a chi avrà la
pazienza di leggerli." Dicle
120
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Le Montagne Divertenti Barachìn: il poeta di Montagna
121
Rubriche
fotografia
Nuvole:
croce o delizia?
Testi e foto Roberto Moiola
vocaboli più astrusi
barcollando
Arturo Baracchi
Il poeta di Montagna
A
rturo Baracchi, che firma i suoi lavori in dialetto
con lo pseudonimo di Barachìn, è nato a St.
Moritz (CH) nel 1929 da padre di origine emiliana e da
madre montagnona. Dal 1933 ha vissuto a Montagna in
contrada Poncerini.
Nel 1950 si è diplomato presso l'Istituto Tecnico A.
De Simoni di Sondrio ed ha esercitato la libera professione di geometra dal 1951 al 1994.
Per passione è poeta dialettale e autore di numerose
composizioni dal carattere molto divertente, attività a
cui si è dedicato con particolare impegno specialmente
dopo la pensione, partecipando con successo a concorsi
nazionali. Le sue rime hanno trovato realizzazione in due
volumi: "La desfìda de ca nòssa" e "El mulin", lavori
impreziositi dalle illustrazioni di Marcello Di Clemente
(Dicle).
Arturo ha inoltre collaborato con "Le Montagne
Divertenti" fin dalla nascita della rivista, fornendo non
solo le sue poesie, ma anche importantissimi contributi
d'approfondimento storico e culturale, essendo egli
memoria storica di Montagna e, anche grazie al suo
lavoro, profondo conoscitore del territorio valtellinese.
Dopo una vita accanto alla moglie Erica e dopo aver
superato l'ambito traguardo degli ottant'anni, Arturo
Baracchi si è spento serenamente nell'autunno del 2009.
Un terzo volume, un'antologia dal titolo "Quàtru
ciàculada in muntagnùn", già pronta per la pubblicazione, è stata destinata dalle lentezze burocratiche degli
enti locali a divenire un'opera postuma.
122
Le Montagne Divertenti Q
uel che più colpiva di Arturo era il fantastico
senso dell'umorismo. A riguardo ho impresso
un aneddoto che mi ha raccontato qualche mese fa sua
moglie Erica: "Alla vigilia del suo ottantesimo compleanno, benché godesse ancora di buona salute, Arturo
mi aveva chiesto, in caso una qualsiasi disgrazia l'avesse
fatto morire prima della mezzanotte, di non dir nulla al
medico fino all'indomani, altrimenti sulle affissioni funebri non sarebbe stato scritto 80, ma solo 79!"
Su www.lemontagnedivertenti.com/chisiamo/arturobaracchi.html
potete ascoltare in MP3 Arturo che legge il suo esilarante
poema "La desfìda de ca nòssa".
Spesso sono responsabili del nostro
umore, ci fanno arrabbiare, ci
mettono freddo, vanno, vengono,
scompaiono.
A
volte sono solo una minaccia, altre volte sono vere e
proprie portatrici di intemperie. Possono assumere
colori molto saturi, quasi irreali, spesso invece sono monocromatiche. Si presentano in mille forme, sempre diverse,
che si intrecciano a meraviglia col paesaggio e ci accompa-
gnano ovunque andiamo.
A volte è troppo caldo e ne supplichiamo la presenza;
altre volte a causa loro la giornata può guastarsi e può darsi
che si fermino per così tanti giorni che non ci si ricordi più
il blu del cielo.
Ci siamo mai accorti che spesso basta volgere lo sguardo
verso l’alto per catturare bellissime trame di nuvole? Sottilissimi cirri che disegnano trasversalmente il cielo, possenti
cumuli che danno splendide prospettive tridimensionali, il
cielo a pecorelle, tramonti con le nuvole talmente sature da
sembrare irreali…
17 maggio 2009. Alpi Orobie valtellinesi: anche un'alba nuvolosa può regalare giochi di luci interessanti.
Estate 2010
Le Montagne Divertenti L'arte della fotografia
123
2 agosto 2008. Cumuli da bel tempo al lago Bianco presso il passo del Bernina.
M
a possiamo prevederle o è solo questione di
fortuna? In parte sì. Nell’atmosfera ci sono molte
variabili, alcune seguono un campione di misura, secondo
statistiche e calcoli, e se elaboriamo quei dati possiamo
aspettarci una certa situazione rispetto ad un’altra. Fortunatamente questi dati vengono analizzati e tradotti dagli
esperti, a noi spetta il compito di documentarci a dovere se
vogliamo che... la foto sia nostra!
I siti meteo su internet si sprecano, ma non fermiamoci
ai siti nazionali, sbirciamo nei siti locali, guardiamo immagini del satellite, leggiamo l’andamento dei venti, analizziamo le webcam. La tecnologia deve pur servirci a
qualcosa.
accio dei brevi esempi di come ci si possano aspettare
certe situazioni. In presenza di giornate con forte
vento da nord (il famoso Foehn, il vento alpino dal cui
nome deriva l’asciugacapelli!) aumenta la probabilità di
assistere ad un’alba o un tramonto particolarmente acceso.
Se la previsione ci parla di inversione termica, o di presenza
di nubi basse in pianura, la natura potrebbe regalarci un
magico “mare di nuvole” (chi non rimane estasiato di
fronte al dipinto di Friedrich “Viandante sul mare di
F
124
Le Montagne Divertenti nebbia”). E ancora, aspettiamo la fine di un temporale per portarci in un punto panoramico da dove poter
immortalare un bel paesaggio aggrovigliato di nubi. Talune
saranno nel cielo, altre a terra nel momento in cui si levano
dal suolo, illuminate dai primi raggi del sole.
Si tratta di momenti particolari, di situazioni insolite,
ma che talvolta sono prevedibili.
ome per il fotografo naturalistico, che paziente
aspetta la presenza di un selvatico, il fotografo
paesaggistico dovrà saggiare la propria calma, azzardare e
riprovare, con l’audacia e l’insistenza del professionista. Il
risultato sarà il premio che la natura vorrà elargirci.
Ma se in taluni casi possiamo aspettarci queste situazioni,
nella maggior parte delle circostanze l’occasione fotogenica
ci capita all'improvviso. E qui dobbiamo essere bravi a non
cadere nel banale, evitando di esprimere un senso di “già
visto”,ma cercando di trasmettere un’emozione.
ermo restando il gusto personale ed il proprio estro
artistico, vediamo alcuni fattori da considerare nella
fotografia paesaggistica. Cominciamo con l’analizzare
l’aspetto dell’inquadratura. Nella scena l’equilibrio è essenziale, la linea dell’orizzonte è l’elemento che può decretare
C
F
Estate 2010
22 gennaio 2010. Giornata caratterizzata da inversione termica. Sullo sfondo le vette della Valmasino.
Le Montagne Divertenti L'arte della fotografia
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26 aprile 2008. Formazione di altocumulo lenticolare in bassa Valtellina.
l’interesse o meno verso la foto. Proviamo ad evitare di
posizionare l’orizzonte esattamente al centro, se non in
presenza di un grandangolo spinto che può far pendere
eccessivamente la prospettiva, oppure in presenza di oggetti
la cui perfetta simmetria è fondamentale. Spostando
l’orizzonte decidiamo di far pendere l’importanza verso
il cielo o la terra. Così, in presenza di un cielo particolarmente intrecciato di nubi, teniamo l’orizzonte basso per
esprimere un senso di leggerezza e serenità. Al contrario
cerchiamo di includere poco cielo se vogliamo esprimere la
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Le Montagne Divertenti maestosità di un paesaggio, oppure quando l’assenza di
nuvole e il blu omogeneo del cielo restituirebbero un’immagine monotona e non tridimensionale.
Per far rivivere all’osservatore ciò che abbiamo provato al
momento dello scatto, cerchiamo di includere tutti quegli
elementi che ci hanno colpito. Allo stesso tempo evitiamo
gli oggetti di comune disturbo: capannoni, piste tagliafuoco, pali della luce, automobili o mezzi non graditi,
elementi eccessivamente colorati, bagliori nelle foto
controsole.
Estate 2010
L
a messa a fuoco merita un discorso a sé. Le nubi
infatti, non presentando consistenza, possono
ingannare e condurre all’errore la macchina fotografica.
Talvolta è preferibile aggirare il problema impostando la
messa a fuoco in modo manuale direttamente all'infinito.
Anche la lettura dell’esposimetro, analizzando un'area
troppo luminosa (come delle nuvole illuminate fortemente
dal sole) o troppo scura (pensiamo a delle nubi plumbee),
può cadere in errore. In tal caso correggiamo il nostro scatto
con il pulsante di compensazione dell’esposizione (+/- EV).
Le Montagne Divertenti R
iguardo alla profondità di campo meglio stare su
valori di diaframma molto chiusi per avere una
scena completamente a fuoco, dal primo piano all’infinito.
Ricordiamo infine che, soprattutto in estate, dobbiamo
muoverci presto il mattino. Con il calore infatti difficilmente raggiungeremo il mezzogiorno senza che la giornata
sia quasi completamente nuvolosa. Poi magicamente verso
il tramonto il cielo può tornare via via sereno, ed è qui che
otteniamo i risultati migliori.
Buone nuvole a tutti!
L'arte della fotografia
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foto dei lettori
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Valle d'Ambria, sopra il lago fantasma di Zappello, che si forma solo tra la tarda primavera e l'inizio dell'estate, al disciogliersi della neve, poi
scompare. La cima sullo sfondo è il monte Aga. Sulla sx si notano i primi contrafforti sud-occidentali del più conosciuto pizzo del Diavolo di Tenda.
Sulla destra vi è il passo Cigola (22 giugno 2009, foto Gianfranco Lalli).
D
ue sezioni dedicate ai nostri lettori: una che premia il fotografo più bravo, l’altra che mostra
la fantasia di chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo (la foto deve
avere anche un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo!).
Le foto giunte a [email protected] sono state tantissime, per cui, nonostante sia stata ampliata
la sezione, qualcuno vedrà la propria pubblicata solo sul prossimo numero.
P
er ogni numero de “Le Montagne Divertenti” sceglieremo e premieremo la foto migliore
fra quelle ambientate sulle nostre montagne (inviare il materiale a [email protected]) e la
pubblicheremo con una recensione dettagliata e la scheda di presentazione del fotografo.
Se questa sarà a taglio verticale e con soggetto autunnale potrà essere scelta con l'ultima di
copertina del prossimo numero! Lo scatto migliore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di:
il fotografo
recensione di sysa
Mi chiamo Gianfranco Lalli, abito a
Poggiridenti Piano (SO) ed ho 56 anni.
Il mio grande amore per la montagna,
che frequento in tutti i periodi
dell'anno, mi ha portato col tempo ad
abbinarvi un'altra grande passione: la
fotografia. Personalmente prediligo la
foto paesaggistica e naturalistica, in
particolare la caccia fotografica, ma in
generale mi piace molto ammirare ogni
tipo di immagine: la fotografia è un
fermo immagine della vita.
La bella immagine di Gianfranco ha un armonia particolare, sia
nell'inquadratura che nei colori. Il taglio da sinistra verso destra restituisce una lettura perfetta e completa alla fotografia. L'estate non poteva
essere descritta in modo migliore: vi sono presenti tantissimi colori che si
miscelano tra loro in completa sintonia. Le nuvole e l'ultima neve arricchiscono il quadro. Anche l'orario scelto è corretto e rispetto alla direzione della foto ci garantisce una bella illuminazione su tutti i soggetti.
Le prime ore del mattino (ore 9 e 30 in questo caso) hanno permesso di
catturare questa foto; si provi a immaginare quelle nuvole a mezzogiorno: probabilmente avrebbero già formato un tappeto omogeneo nel cielo
e... addio prodotti!
Un appunto da fare: avrei aumentato la profondità di campo; infatti i
primi fiori sono completamente sfocati, causa principale la troppa vicinanza al soggetto, ma anche il valore di chiusura del diaframma (f/10 e
1/250 s) poteva essere aumentato. E attenzione anche al punto di messa
a fuoco in questi casi.
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1) Nino cileno alla laguna Miscanti (7 luglio 2009, foto Roberto Moiola).
2) Monica Rainer all'abbazia di Cluny (7 aprile 2010).
3) Davide Cappelletti nel Sahara marocchino alla Marathon des Sables 2010 (4 aprile 2010).
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4) M. Moussa Mahamane a Niamey (febbraio 2010).
5) Alessandro Gusmeroli sull'Etna (21 febbraio 2010).
6) Beatrice, Irene e il loro cane Viola (aprile 2010).
7) Paolo e Daniela a Gumuldur in Turchia (foto Martina Pedrazzoli).
8) Sosio Fabio e Daniele Folini ad Amsterdam (10 aprile 2010).
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9) Gianmarco Vola e Alida col piccolo Sebastiano a Perth, West Australia.
10) Stefano Bonelli in Niger (febbraio 2010).
11) Cesare Tirinzoni e Gina Perregrini con i nipoti Letiza, Elisabetta e Riccardo alla Turchi-Realmonte-Agrigento in Sicilia (3 gennaio 2010).
12) Roberto Grande sotto i 12 metri del Pollice di César Baldaccini (La Défense, 31 dicembre 2009).
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13) Mauro e Enrico Vairetti, Enea, Serge, Monica, Annick a Cabo Polonio in Uruguay (gennaio 2010).
14) Roberto e Josef al Salar de Uyuni in Bolivia (9 luglio 2009).
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15) Abhaneri in Rajaistan (india). In foto: Satienga, Elena, Alberto, Paola, Isabel e Graziana (gennaio 2010).
16) Pascillo e Gisella a Cuba (febbraio 2010).
17) Luca Gaggi e Stefy per il loro viaggio di nozze hanno scelto il Messico (Yucatan, 28 gennaio 2010).
18) Gruppo della Valmalenco in visita a Praga (settembre 2009, foto Giorgio Nana).
19) Il 21 aprile è nato Michele, figlio del nostro collaboratore Fabio Pusterla. Congratulazioni da tutta la redazione!
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n.
Giochi
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Ma ch'el?
so
lu
zi
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Vincitori e
ma ch'el?
ma 'n gh'el?
L'oggetto misterioso era il "tumél", ovvero una trappola
per topi e ghiri. Il topo mangiando l'esca faceva cadere
il bastoncino appuntito che teneva sollavata un grossa
traversa che cadendo di colpo schiacciava il topo. Questa
versione della trappola ha anche una canalina di scolo per
il sangue del malcapitato.
L'acquerello realizzato da Kim Sommerschield ritrae la
cima Viola versante NO, col ghiacciaio di Dosdè Ovest,
unico nel suo genere. Questo angolo di vista (zona passo
Dosdè-cima Saoseo) richiede ore di cammino, quindi in
pochi sono stati in grado di riconoscere il soggetto.
I vincitori sono stati:
1) Bassola Stefania di San Giacomo di Teglio;
2) Fanchetti Francesco di Bianzone;
3) Bonelli Luigi di Chiuro;
4) Piganzoli Alberto;
5) Italo Corvi.
Sei pratico di cose strane?
Eccoti un utensile misterioso.
Dimmi di che cosa si tratta e come
veniva utilizzato.
I 2 più veloci dalle ore 20:00 del
25 giugno 2010 vinceranno
l’esclusiva maglietta de “Le
Montagne Divertenti / Waltellina”,
il 3° classificato ricevera' una copia
del libro "Giovanni Bonomi - Guida
Alpina" , il 4° e il 5° una fascetta
de "Le Montagne Divertenti /
Waltellina.it ".
I vincitori sono stati:
1) Alan Muscetti di Sondalo;
2) Grossi Valentino;
3) Vitali Giovanna;
Manda le tue risposte a:
[email protected]
oggetto della mail: “ma ch'el?”
Ricordati di specificare il tuo
indirizzo e la tua taglia.
Ma 'n gh'el?
Se
sei un attento osservatore, indovina quale edificio ritrae questo
acquerello realizzato da Kim Sommerschield.
Il più veloce dalle
ore 20:00 del 25
giugno 2010 vincerà
il quadro in pregevole
cornice di legno
artigianale. Il 2°
e il 3° classificato
avranno l’esclusiva
maglietta de “Le
Montagne Divertenti /
Waltellina”, il 4° e il
5° una fascetta de "Le
Montagne Divertenti /
Waltellina.it ".
Manda le tue risposte
a
concorsi@
lemontagnedivertenti.com
oggetto della mail: “ma
'n gh'el?”.
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO O ALL'INDIRIZZO SBAGLIATO VERRANNO RITENUTE NULLE
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Le Montagne Divertenti Estate 2010
Le Montagne Divertenti Giochi
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lE RICETTE
DELLA NONNA
Nocino
il buonissimo liquore alle noci
Fabrizio Picceni
V
Il nocino è un liquore ottenuto dal mallo della noce.
Ha origini antichissime: fu portato in Italia al tempo dei
Romani dai Britanni.
Esistono molte ricette, ma ad un buon risultato si può
arrivare solo dopo aver acquisito manualità nella preparazione.
INGREDIENTI PER 1 litro CIRCA DI NOCINO
- 30 noci verdi con il mallo ancora tenero1;
- 1 litro di grappa;
- 300 g di zucchero;
- 1 pezzetto di cannella;
- 5 chiodi di garofano.
Foto Enrico Minotti.
preparazione
Tagliare in quattro le noci e metterle in un vaso a chiusura ermetica (prestare attenzione perché il mallo delle noci
macchia la pelle). Unire la cannella e i chiodi di garofano e
ricoprire il tutto con la grappa.
Chiudere il vaso e metterlo a riposare in un posto caldo,
scuotendolo 2/3 volte al giorno per una ventina di giorni
(un tempo troppo prolungato renderebbe il prodotto
amarognolo).
Unire lo zucchero mescolando bene in modo che si
sciolga (per facilitare si può aggiungere un bicchiere di
acqua tiepida).
Richiudere il vaso e, sempre sistemandolo in un posto
caldo, lasciarlo riposare per un mese (nei primi 15 giorni
scuoterlo un paio di volte al giorno).
Trascorso questo periodo filtrare il liquore con una garza
o con apposito filtro e imbottigliarlo.
Chiudere ermeticamente il tappo della bottiglia e lasciare
riposare per altri 60 giorni prima di consumare.
1 - Vanno perciò raccolte a inizio estate. Io ho provato la ricetta con le noci
prese a settembre, ovvero ho usato solo il gheriglio. In altre parole ho usato con
ottimi risultatile noci ancora un po’ acerbe cadute dalla pianta, ma ancora
dentro il mallo (il mallo più il guscio li ho buttati).
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Le Montagne Divertenti Estate 2010
“La cima è là dove uno la mette."
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Antonio Boscacci
Le Montagne Divertenti Estate 2010
Le Montagne Divertenti Ricette
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