n. 13 - Estate 2010 - Le Montagne Divertenti
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n. 13 - Estate 2010 - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina n°13 - estate 2010 - EURO 3 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio Pietre preziose Quali e dove sono quelle valtellinesi Quel l'è en... Riconoscere a colpo d'occhio un leǜsc Alta Valle e v r i D tenti Passeggiata a Trela o al lago di Verva? Selvagge Orobie Pizzo Scotes e pizzo degli Uomini Valchiavenna Il Tracciolino Monte Legnone Storie d'alpinisti e di eserciti Insetti Il safari del ragno saltatore Porte di Valtellina L'anello del lago Gelt, fra Orobie bergamasche e valtellinesi Poesia Sorrisi col grande Arturo Baracchi Natura Fiori e rapaci notturni Fotografia Nuvole: croce o delizia? Daniele Ligari La scultura sonora del lago Bianco Inoltre Ricette, poesie, giochi, leggende... Monte Disgrazia un sogno alto 3678 metri valchiavenna - bassa valtellina - Valmasino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina 1 Le Montagne Divertenti Editoriale Beno Forse non occorrono parole per spiegare la bellezza della montagna, ma solo la pazienza di salire e sentirsi privilegiati nell'essere nient'altro che degli anonimi puntini in un quadro fantastico. Però, per salire, 136 pagine d'ispirazioni possono servire! 2 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Discesa in val Cameraccio ai piedi del pizzo Torrone (24 agosto 2008, foto Beno). In copertina: il Disgrazia dai laghi di Campagneda (30 settembre 2009, foto Roberto Moiola). Ultima di copertina: al voltà el fén ai piedi delle cascate dell'Acqua Fraggia (giugno 2009, foto Enrico Minotti). Le Montagne Divertenti 1 Legenda Spiegazione delle schede tecniche Ottimo anche per anziani non autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (in “scala Beno”) che vengono assegnati agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si riferiscono al periodo in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni del tracciato. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale. Le schede sintetiche sono anche corredate da indicatori grafici che vi permetteranno, a colpo d’occhio, di valutare l’itinerario. Bellezza pericolosità Quasi meglio il centro commerciale Carino Ne vale veramente la pena Assolutamente sicuro Basta stare un po’ attenti Assolutamente fantastico Fatica Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (è necessaria una guida) ore di percorrenza Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. dislivello in salita Una passeggiata! meno di 5 ore meno di 800 metri Nulla di preoccupante dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri Impegnativo dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri Un massacro oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). E’ meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! su RADIO TSN FM 101.100/97.700 ogni martedì con Beno & special guests ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45 WWW.RADIOTSN.IT Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati. Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. E’ consigliabile una guida. E’ una valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica e buona esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Le Montagne Divertenti Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Editore Beno Direttore Responsabile Maurizio Torri Redazione Alessandra Morgillo Enrico Benedetti (Beno) Roberto Moiola Valentina Messa Responsabile della fotografia Roberto Moiola Realizzazione grafica Beno Revisore di bozze Sommario Speciali Itinerari d’alpinismo Itinerari d’escursionismo Rubriche 6 Mario Pagni Hanno collaborato a questo numero: Alberto Rossattini, Alessandra Osti, Antonio Boscacci, il Bianco, Carlo Pelliciari, Claudia Schenatti, Danilo Valsecchi, Enrico Minotti, Fabio Pusterla, Fabrizio Picceni, Eliana e Nemo Canetta, Franca Prandi, Franco Benetti, Franco Cirillo, Giacomo Meneghello, Gianni De Stefani, Giordano Gusmeroli, Giorgio Leusciatti, Giorgio Orsucci, Giuseppe De Toma, Giuseppe Miotti, Jacopo Merizzi, Kim Sommerschield, Luciano Bruseghini, Luisa Angelici, Marcello Di Clemente, Mario Sertori, Massimo Murada, Matteo Gianatti, Matteo Monti, Miriam Passoni, Nicola Giana, Nilo Gregorini, Norberto Riva, Paolo Rossi, Pierandrea Brichetti, Pietro Pellegrini, Renato Bertolini, Renzo Benedetti, Riccardo Ghislanzoni, Riccardo Scotti, Roberto Ganassa, Simone Manzocchi e la Tipografia Bettini. Monte Disgrazia 11 12 22 23 27 31 32 Toponomastica Storia alpinistica Storia d'amore d'altri tempi Le discese estreme del Bianco Geologia dell'area del Disgrazia I ghiacciai del Disgrazia I rifugi e i bivacchi 57 70 Alta Valle: passeggiata all'alpe Trela 98 Valtellinesi nel mondo: Il vento dell'Himalaya 75 Valchiavenna: sentiero del Tracciolino 104 Il mondo in miniatura: Il safari del ragno Monte Disgrazia: via normale dalla Valmasino Si ringraziano inoltre Ezio Gianatti, Mario Maffezzini, Matteo Tarabini, Fabrizia Vido, Johnny Mitraglia, Eva Fattarelli, CAI Valtellinese, Stefano Scetti, Gianfranco Comi, la Tipografia Bonazzi, il Comune di Valmasino, il Comune di Chiesa in Valmalenco e tutti gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e tutti gli sponsor che credono in noi e in questo progetto. Redazione Via S. Francesco, 33/C – 23020 Montagna (SO) Abbonamenti per l’Italia annuale (4 numeri della rivista): costo € 20 euro da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio Sede di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico Via S. Francesco 33/C 23020 Montagna SO NELLA CAUSALE specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” comunicare il versamento con email a: [email protected] oppure telefonicamente (0342 380151 - basta lasciare i dati in segreteria) Arretrati [email protected] - € 5,00 PDF scaricabili dal sito della rivista Prossimo numero 21 settembre 2010 Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380151 Stampa Bonazzi Grafica Via Francia, 1 23100 Sondrio Disegni Carlo Pelliciari / Dicle Responsabile cartografia Matteo Gianatti Per ricevere la nostra newsletter fate richiesta a: [email protected] Contatti, informazioni e merchandising [email protected] www.lemontagnedivertenti.com La foto dei lettori: Francesca Vanotti festeggia il suo compleanno al rifugio Marco e Rosa (17 aprile 2010). 35 109 Fauna: Ali nella notte 113 116 Scultura: Daniele Ligari 119 Poesia in dialetto: Barchìn: il poeta di Montagna 80 Porte di Valtellina: attorno al lago Gelt Pietre preziose di Valtellina 41 43 Flora: Flora estiva parte II Artigiani: tagliatore di gemme Linguaggio e magia della pietra 49 53 60 Monte Disgrazia: Corda Molla 123 L'arte della fotografia: Nuvole: croce o delizia? 87 Passo dopo passo: lago di Verva Zecche! Quel l'è en leǜsc 128 Le foto dei lettori 65 Selvagge Orobie: pizzo Scotes e degli Uomini 92 Bassa Valle: monte Legnone 134 Giochi 136 Le ricette della nonna Speciali d'estate Monte Disgrazia Mario Sertori “M ai in vita mia ho sentito la poesia della natura penetrarmi così profondamente nell'anima come sulla vetta del Disgrazia. Ogni parola per descrivere il quadro che si affaccia allo spettatore del Disgrazia non farebbe che sciuparlo. Natura meravigliosa, tu sei pur sempre quella che ci offri gli spettacoli più belli e dei quali la nostra mente non si sazia mai." (Bruno Galli Valerio, 1894) Il versante S del Disgrazia dai Corni Bruciati (30 settembre 2009, foto Beno). Q D uale che sia l’origine, ormai quel nome sinistro gli rimane stampato sulla carta d’identità, ma il Disgrazia è montagna di carattere davvero speciale: come Monviso, Grand Combin e Cervino, il Disgrazia non deve contendersi gli spazi con altre vette o stare a braccetto di ingombranti vicini che magari lo sovrastano in altezza. Troneggia solitario come un’ascia conficcata al contrario nella corteccia della terra e sfavilla, all’ora del tramonto, quando il sole lo smeriglia con i suoi raggi. Tra le cime delle Alpi Centrali è di gran lunga una delle più ricche di storia e di storie. Completamente in territorio italiano, è in posizione avanzata rispetto alla catena principale delle Alpi e fa capo a val Masino e Valmalenco. a qualunque parte lo si osservi, ha un aspetto assai attraente. Il suo colorito vivace è dovuto alla roccia infuocata che a stento i ghiacci riescono a domare: è il coriaceo serpentino che emerge con fierezza e costituisce l’ossatura di gran parte dei monti di Valmalenco. Il Disgrazia segna il confine tra i luminosi graniti del Màsino e le cupe serpentiniti del bacino del Mallero. E’ curioso che proprio sulle sue pendici abbiano combattuto le due grandi matrici rocciose determinandone l‘assetto geologico: sulla parete settentrionale si possono infatti scorgere le grigie lastre granitiche che formano il monte Pioda, mentre poco più a sud affiora il rosso vivace del serpentino. 6 Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Estate 2010 Monte Disgrazia (m 3678) 7 Speciali d'estate La montagna degli inglesi “C aro lettore, scusami se mi rivolgo a te in modo così confidenziale, ma non mi hanno mai dato spazio per dire la mia, e ora che posso, ne approfitto. Innanzitutto, io esistevo da molto tempo prima che la specie umana comparisse sul pianeta e perciò credo che un minimo di rispetto mi sia d'obbligo. Capisco che tutto deve essere catalogato, ma battezzarmi in questo modo evocatore di sciagure, mi sembra veramente troppo! Ho un collega in Oberland, l'Eiger, quello si che è un vero Orco divoratore di 8 Le Montagne Divertenti Estate 2010 mortali, ma io non ho fatto nulla per meritare un nome così sfigato. E poi scusate l'immodestia, ma avete visto il film di Fred Zinnemann Cinque giorni un' estate? Vi ricordate il protagonista, Sean Connery, che dopo aver visto una cima ghiacciata esclama: "E' per questa che sono venuto dall'Inghilterra!" Bene quella ero io, ripresa da nord ovest (una delle mie pose migliori).” Il N del Divertenti Disgrazia dal monte dell'Oro (28 novembre 2009, foto Beno). Leversante Montagne Monte Disgrazia (m 3678) 9 Il versante O del Disgrazia dal passo del Cameraccio (24 agosto 2008, foto Beno). Speciali d'estate S PROGETTO PER LA CELEBRAZIONE DEL 150° ANNIVERSARIO DELLA PRIMA SALITA AL MONTE DISGRAZIA Ipotesi progettuale preliminare – gennaio 2010 ASSOCIAZIONE GUIDE ALPINE MAESTRI DI ALPINISMO DELLA VALMALENCO ASSOCIAZIONE GUIDE ALPINE VALMASINO “IL GIGIAT” 10 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Il versante S del Disgrazia (28 ottobre 2007, foto Mario Sertori). ono certo che se potesse difendere il suo buon nome originario, che si narra fosse banalmente pizzo Bello, il monte Disgrazia farebbe ricorso alle più alte corti di giustizia semiologica e se gli capitasse tra i ghiacci screpolati il responsabile di questo misfatto, saprebbe rendergli il favore. Ma ormai il delitto è perpetrato e i suoi dati anagrafici sono falsati dal triste appellativo, senza che ne sia seguita altrettanto funesta fama. A poco gli è servito sapere che professoroni e studiosi si sono accapigliati per stabilire se potesse esser vero che monte dei Quai (Quai-ni dal nome di una famiglia di Traona proprietaria degli alpeggi di Preda Rossa), per interpretazione libera dei cartografi fosse diventato Guai, e da qui monte dei Guai, quindi più semplicemente della Disgrazia. Altri, seguaci del filone ecosostenibile, credono si tratti della contaminazione della parola dialettale Desgiaccia e cioè, “che si scioglie”, perché già in tempi remoti venne notato come fenomeno assai rilevante con frequenti crolli e frane specie in val Sissone. Le Montagne Divertenti Monte Disgrazia (m 3678) 11 Speciali d'estate Storia alpinistica Storia alpinistica Il monte Disgrazia in un'incisione del 1863 pubblicata nel primo numero dell'Alpine Journal. Mario Sertori per la vetta del grande bastione. Un percorso magnifico sospeso tra i bonari pendii nevosi del versante occidentale e i severi sdruccioli ghiacciati che guardano Chiareggio. Il tentativo e il conseguente successo sono stati raccontati in modo avvincente e ricco di humour da Kennedy su The Alpine Journal nel 1863, tradotto e dato alle stampe dall’editore Tararà di Verbania con il titolo di Il Picco Glorioso. Interessanti le note di Kennedy a proposito dei rischi corsi scendendo in carrozza con degli improvvisati cocchieri, da San Martino Valmasino ad Ardenno: La conquista A lpinisticamente il Disgrazia fu preso in considerazione relativamente tardi rispetto alle altre montagne della zona, malgrado sia ben visibile dalla media Valtellina e domini l’asse occidentale della Valmalenco. Fu solo infatti nel 1862 che gli inglesi, allora tra i più attivi “cacciatori” di cime delle Alpi, riuscirono a raggiungerne la vetta. Ci provarono dalla val Sissone (Valmalenco), peregrinando tra lingue ghiacciate e scivoli nevosi, costole rocciose e nodi di seracchi, misero piede oltre il passo di Mello e proseguirono per cresta fino al monte Pioda, battezzato Punta della Speranza. La stanchezza e l’ora tarda li fece desistere dal continuare, ma l’esplorazione aveva permesso di svelare molte incognite che sarebbero state fondamentali per la gita risolutiva. Qualche giorno più tardi, il 24 agosto, sempre gli stessi notabili britannici Edward Shirley Kennedy, Leslie Stephen, con la guida Melchior Anderegg e il collaboratore Thomas Cox, aggiustarono il tiro: dopo un avventuroso spostamento in carrozza da Chiareggio ai Bagni di 12 Le Montagne Divertenti Edward Shirley Kennedy (1817 – 1898), nobile alpinista, fu fondatore del Club Alpino Britannico. Masino, salirono direttamente dalla valle di Mello, fino alla Sella di Pioda attraverso il passo Cecilia e da quella depressione attaccarono la cresta ONO, mettendo finalmente piede sul punto culminante. Avevano inaugurato la rotta che sarà la più seguita Melchior Anderegg nato a Meiringen - Canton Berna (1828 – 1914) è una delle più grandi guide di tutti i tempi: primo salitore dello Sperone della Brenva e della Punta Walker delle Grandes Jorasses, nel gruppo del Bianco. Il reverendo Leslie Stephen (1832-1904) fu scrittore e alpinista di prim'ordine, padre di Virginia Wolf. Solito ad accompagnarsi alla Guida Melchior Anderegg fece molte prime ascensioni nelle Alpi. Enrico Schenatti, una delle quattro Guide malenche il cui nome è riportato nella seconda edizione della "Guida della Valtellina", divenne Guida Alpina nel 1898. E' cugino di Michele, padre di Giacomo Schenatti. Prima ripetizione italiana e nuova via inglese, la prima dalla val Ventina e il giorno successivo compiono una perlustrazione sul ghiacciaio di Cassandra per cercare un possibile tragitto alla vetta. Rimangono indecisi fino al mattino seguente sulla strada da prendere ed è solo per il consiglio di tale Flematti di Spriana, un abile cacciatore di camosci soprannominato Il Gatt per la sua capacità felina di superare ogni ostacolo, che il gruppo sceglie la via dei primi salitori. Il Gatt, che rappresenta l’archetipo della guida alpina, si offre di accompagnarli e gli avventurosi valtellinesi sono ben lieti che un capocordata si occupi di ricavare dei gradini nel ghiaccio e faccia un minimo di sicurezza ai componenti del team. Traspare un certo orgoglio nell'annuncio dato sul n° 64 del Corriere Valtellinese della scalata al monte Disgrazia fatta da alcuni nostri convalligiani: "Siamo lieti di annunciare che Venerdì scorso 7 (agosto - N.d.A.) corrente, i Soci del club Alpino Sezione di Sondrio i signori: Rossi dottor Alessandro, Fojanini Francesco, Buzzi ingegnere Achille, Moro Antonio, Orsatti Giovanni e Schenatti Enrico accompagnati dalla Guida Flematti Antonio detto “Gatt”, dopo una faticosa e pericolosa salita di 10 ore sui ghiacci perpetui, compirono felicemente l'ascensione del Pizzo della Disgrazia a circa 3700 metri sul livello del mare [...] Un bravo di cuore a quei nostri concittadini che col loro coraggio seppero dimostrare come ormai non si debbano più cercare solo fra gli Alpinisti stranieri, gli arditi ed instancabili domatori delle, finora credute inaccessibili, più alte vette delle Alpi." l 29 agosto dello stesso anno sono ancora gli inglesi a produrre novità: F. T. Pratt Barlow, S. F. Still, P. Taugwald con J. Anderegg1 risalgono dal bacino di Ventina l’invitante spigolo NE e infine proseguono sulla cresta frastagliata fino al punto più alto della montagna. D evono passare ben 12 anni prima che un gruppo di italiani (erano dei valtellinesi, che Aldo Bonacossa definisce: “una grossa comitiva più entusiasta che preparata”) raggiunga la cima del Disgrazia. Era il il 7 agosto del 1874. Achille Buzzi, Antonio Moro, Francesco Fojanini, Giovanni Orsatti, Alessandro Rossi e Enrico Schenatti, partiti il 5 agosto da Sondrio, pernottano all’alpe Airale I “…Oh, quanto maggiori sono i pericoli che insidiano gli infelici mortali che viaggiano in carrozza, rispetto a quelli in cui incorrono coloro che fanno una seria escursione in montagna.” Francesco Lurani Cernuschi. Estate 2010 Le Montagne Divertenti Antonio Baroni (1833-1912). 1 - Jacob Anderegg, cugino di Melchior, che allora aveva già salito nel 1865 lo Sperone della Brenva e nel 1876 firmerà il difficile couloir Cordier all’Aiguille Verte, tutte ascensioni di valore assoluto nel gruppo del monte Bianco. Monte Disgrazia (m 3678) 13 Speciali d'estate Storia alpinistica 1- Cresta NO (via dei primi salitori - 1862) 2- Canalone Schenatti (1888) 3- Cresta Baroni (1878) 4- Via Klucker (1897) 5- Cresta SO (Sertori/Gugelloni - 1901) 6- Cresta SE (Torti/Bonacossa - 1911) 6 5 1 2 3 4 Il monte Disgrazia versante SO (foto e tracciati Mario Sertori). Antonio Baroni apre la prima via italiana N el 1878 la forte guida bergamasca Antonio Baroni (18331912) di Sussia apre una nuova via su un largo crestone roccioso del versante SO, cresta che prenderà il nome del suo salitore, che la percorse accompagnando il nobile Francesco Lurani Cernuschi, infaticabile esploratore di queste zone selvagge delle Alpi. E’ proprio grazie a quest’ultimo che viene edificato nel 1881 un piccolo ricovero ai margini della morena del ghiacciaio di Preda Rossa per facilitare le ascensioni alla montagna, che allora avvenivano dalla valle Airale. Ma leggiamo il suo pensiero riportato su Le Montagne di Val Masino Appunti topografici e alpinistici, Milano 1883: “La Sezione di Sondrio, collocando la sua capanna di rifugio sul Passo di Corna Rossa, commise, a mio parere, un errore ben grave. Pernottando a quel rifugio si comincia l’ascensione alla Disgrazia con una discesa di mezz’ora per raggiungere il ghiacciaio della valle di Preda Rossa. Se la capanna fosse stata costruita presso il 14 Le Montagne Divertenti principio di questo ghiacciaio, la strada del giorno precedente l’ascensione non sarebbe stata allungata che di mezz’ora pei touriste arrivati da Sondrio per Val Torreggio, e si sarebbe ottenuto il vantaggio di rendere la capanna utile anche agli alpinisti provenienti da Morbegno per la Valle di Sasso Bisolo mentre per questi ora è inservibile! Fu per ovviare a questo inconveniente, che lo scorso anno feci costruire dagli Scetti di Cataeggio un modestissimo ricovero, due ore più innanzi dell’Alpe di Preda Rossa, dove prima si era costretti a passare la notte.” Con la nuova capanna, chiamata Cecilia in onore della consorte del Cernuschi, si ha un incremento considerevole delle ascensioni al Disgrazia, allora ancora avvolto in un alone di inaccessibilità e mistero. La posizione strategica del monte desta l’interesse anche del Genio Militare che nel 1883 dà l’incarico alle Guide Alpine (le prime della Valmalenco) Giacomo Scilironi (detto Fuin2), Michele ed Enrico Schenatti, di costruire un ricovero per osservazioni scientifiche 2 - Faina. e Anton von Rydzewski, Mansueto Barbaria, e Christian Klucker. Harold Andrew Raeburn (1865 – 1926), il miglior alpinista scozzese d'inizio '900. accentuata li costringe a ripiegare sulle rocce del fianco orientale che offrono loro validi appigli: per la scimitarra non è ancora il momento. Guadagneranno comunque la cima con una importante nuova via dando inizio, nella regione, all’epopea dell’alpinismo senza guida. Disgrazia. Al suo seguito l’irascibile (e inseparabile) cliente Anton Von Rydzewsky, A. Dandrea e il collega cortinese Mansueto Barbaria. La via di Klucker3 sarà ripresa per la prima volta nel 1902 da un’altra guida illustre dell’epoca: Bortolo Sertori di Cataeggio (Valmasino), il primo salitore dell’omonima Punta sul fianco orientale del Badile. Con lui l’attivo sondriese Antonio Facetti e A. Villa; nel corso di questa ascensione tracceranno una importante variante nella parte bassa dell’itinerario. Nel 1899 Tinsenlhor con una guida tirolese di cui è ignoto il nome (le fonti stori- che non sono molto precise), e nel 1900 ancora il nostro Enrico Schenatti con Carlo Gnecchi, scoprono un inedito modo di arrivare in vetta dalla val Ventina passando dalla comba glaciale alla base della cresta ENE e percorrendo infine la parete rocciosa che si innalza nel punto dove il crinale si congiunge con la struttura principale. Bortolo Sertori con l’intraprendente alpinista milanese G. Gugelloni ritorna sulla montagna che guarda la sua valle nel luglio del 1901, per aggiudicarsi il primo percorso del lunghissimo e non particolarmente invitante spartiacque che dal passo di Corna Rossa sale alla cima, intersecando nella parte finale l’altro crinale, quello che inizia al passo Cassandra. Charles Pilkington, Eustace Lawrence Pilkington (1882). a breve distanza dalla vetta. Il rifugio Maria edificato con grandi sacrifici dai tenaci malenchi, resistette per poche stagioni, tanto che già nel 1894 rimanevano solo i muri perimetrali. Gentiluomini inglesi per la prima volta senza guida A ncora inglesi per il primo itinerario completamente sul versante settentrionale: è l’estate del 1882 quando i fratelli Charles e Lawrence Pilkington gentiluomini fautori di un alpinismo che non si avvale dell’aiuto di guide, con l’amico Eustace Hulton, dopo essere stati sul Piz Roseg approdano all’alpe Ventina. Il terzetto ripercorre le tracce dei connazionali F.T. Pratt Barlow e c. del 1874 per poi mettere piede sul bacino superiore del ghiacciaio Ventina; puntano alla cresta ENE e la raggiungono nei pressi della caratteristica scimitarra di neve. Ci montano sopra ma, dopo alcune decine di metri, il duro lavoro di intaglio dei gradini e la pendenza Estate 2010 Hulton La via del canalone Schenatti N ell’agosto del 1888, Enrico Schenatti con Gian Battista Vittadini trova un’evidente variante alla via normale che percorre il lenzuolo di neve compreso tra la cresta ONO e lo sperone di rocce della via Baroni, ed esce poco a valle della cima. Il Canalone Schenatti con buone condizioni è una veloce alternativa alla normale e sarà in seguito ripreso di frequente, soprattutto nella stagione invernale/primaverile. La forte guida della Valmalenco svolgerà un’intensa attività tra Bernina e Disgrazia: su quest’ultimo festeggerà la 100esima ascensione nel 1906 accompagnando in vetta la figlia Alice Pia. 3 - Sulle avventure di Christian Klucker (1853– 1928), leggendaria guida alpina è uscita presso Tararà edizioni di Verbania un’ autobiografia tradotta da Giovanni Rossi dal titolo: Memorie di una Guida Alpina. Il tocco di Christian Klucker e Bortolo Sertori G iugno 1897: la guida engadinese Christian Klucker, uno dei più formidabili alpinisti della sua epoca, disegna una linea audace sul versante occidentale del Le Montagne Divertenti Monte Disgrazia (m 3678) 15 Speciali d'estate 1- Supercouloir (Della Santa/Riva - 1983) 8- Spigolo NE e cresta SE (1874) 9- Cresta ONO - via dei primi salitori (1862) B2 e B3- Linee di discesa del Bianco del 27/07/1979 B4 e B5- Linee di discesa del Bianco del 2-3/07/1980 3- Linea di discesa del Bianco dalla parete N del 04/07/1986 2- Discesa dallo Spigolo degli Inglesi (Bianco 1979) 2- Via degli Inglesi (Ling/Raeburn - 1910) 3- Parete N - via diretta (Schenatti/Lucchetti - 1934) 4- Via Negri-Rovelli (1941) 5- Parete N via Corti/Folatti/Mitta/Bombardieri (1933) 6- Couloir dell'Insubordinato (1979) 7- Corda Molla (Dell'Andrino/De Ferrari - 1914) 8 6 5 9 7 3 4 2 B5 B4 B3 1 B2 Il monte Disgrazia versante N (foto Jacopo Merizzi, tracciati Mario Sertori). Gli scozzesi esplorano il versante N F ino ai primi del ‘900, sul versante settentrionale nessuno ha ancora osato mettere piede: è una seraccopoli sospesa, un ammasso caotico di torri ghiacciate e voragini scure, spazzate dalle scariche di sassi. Un mondo severo, ripido e ostile, una bella sfida per gli alpinisti, che possono contare su attrezzature da ghiaccio ancora rudimentali. La tecnica prevede lo scavo di un’inter- 16 Le Montagne Divertenti minabile serie di piccoli gradini sul pendio e la progressione è assai faticosa e precaria… Sono ancora una volta i cittadini di sua maestà britannica a fare il primo passo. Nell’estate del 1910 gli scozzesi W.N. Ling e H. Raeburn scelgono la linea più accessibile della muraglia ombrosa, uno scivolo elegante che conduce direttamente sulla cresta ONO. Per raggiungerne la base e per ripartire i pesi dei viveri, in quanto intendono in un paio di giorni arrivare fino al Maloja, ingaggiano la Guida Casimiro Albareda. Salgono dalla val Sissone, Albareda pensa vogliano varcare il passo di Mello, ma quando capisce, più dai gesti che dall’incomprensibile idioma, il vero obiettivo, esclama: “impossibile!” e scende a valle. Dopo un bivacco in una zona di mughi, si incamminano alla luce della lanterna, passando sotto il pizzo Ventina e cercando il percorso migliore tra un groviglio di seracchi e una selva di crepacci dalle fauci spalancate, come piante carnivore che aspettano la preda: del resto sono conterranei di Estate 2010 Ernest Shackleton, l’esploratore dei ghiacci antartici. Raeburn, che è un tipo preciso, ha il tempo di estrarre il clinometro che si è portato nello zaino e misurare la pendenza: 62° per un breve tratto e una media di 52°! In poco più di 8 ore toccano la cresta ONO e per questa il punto più alto della montagna. E’ la via degli Inglesi o lo Spigolo degli Inglesi, così passerà alla storia la loro intuizione. Le Montagne Divertenti O rmai anche questo angolo che domina i prati di Pian del Lupo e la secolare strada del passo del Muretto, ritenuto fino ad ora inaccessibile, non è più un’incognita. Harold Raeburn compirà numerose ascensioni nel Caucaso e in Himalaya, e sarà capo spedizione di George Mallory nel 1921 all’Everest, ma il Disgrazia rimarrà per lui una delle sue più belle avventure. inque anni dopo (1915) saranno due italiani i primi a ripetere le gesta degli scozzesi: Angelo C Calegari e Gaetano Scotti, alpinisti tra i più attivi in quel periodo. Nel 1911 i due, con Romano Calegari fratello di Angelo, sono stati i precursori sullo spigolo N del Badile, grandiosa ascensione che non è stata però “omologata” perché avvenuta in due tempi, cioè i primi due terzi dal basso, e l’ultima parte raggiungendo il punto del precedente ritiro, in calata dalla cima. Monte Disgrazia (m 3678) 17 Speciali d'estate Storia alpinistica guide. Una crepaccia terminale con la bocca troppo aperta li costringe ad un largo giro dalle parti dell’attacco dello Spigolo degli Inglesi, poi - una volta superata - obliquano verso il grande sdrucciolo della N. Ne divorano un gran pezzo, ma quando giungono davanti alla strozzatura dove il pendio si impenna, sembrano esitare, deviano a destra su un muro roccioso meno repulsivo ed escono sulla cresta ONO, poco a monte della via di Ling e Raeburn. 3 2 E’ un passo avanti, non c’è dubbio, ma non è ancora la perfezione della diretta. B1 Giacomo Fiorelli a sinistra e Aldo Bonacossa (1885-1975) a destra. Ignazio Dell'Andrino, una delle prime Guide della Valmalenco, ha aperto la "Corda Molla". Giacomo Schenatti (1903-1989, foto Jacopo Merizzi). La Corda Molla e le grandi creste farà la prima ripetizione nell’estate del 1928 e pubblicherà, cosa che non fecero gli apritori, una dettagliata descrizione della via. Del resto quella linea Corti l’aveva studiata nei minimi particolari e ne avrebbe sicuramente portato a termine la prima ascensione se solo: “…nel 1914 la guida Ignazio Dell’Andrino che dagli amicali parlari conosceva tutti i miei propositi e i miei studi, sollecitava l’amor proprio e la liberalità di un fortunato Sucaino (della sezione universitaria del Cai) della tendopoli del Pian del Lupo (B. De Ferrari), e saliva il Disgrazia per quella cresta settentrionale che più volte aveva sentito da me descrivere e illustrare. Il Dell’Andrino, migliore di tanti altri alpinisti, parlò con me raramente di quella salita, e sempre come di un’azione che gli rimordeva e della quale nessun vanto poteva sentire: non ne ebbi mai neppure le notizie di dettaglio…”4 A ldo Bonacossa e P.I. Torti, nel luglio del 1911 percorrono per primi la cresta SE partendo dal passo di Cassandra. Questa bella scalata sarà completata con la traversata fino al passo di Mello nel 1930 per mano di Alfredo Corti e Antonio Lucchetti Albertini. n altro attraente crinale delimita a meridione il bacino della val Sissone e lo separa da quello della val Ventina: è la cresta ENE toccata brevemente e subito abbandonata per l’alta difficoltà dalla cordata dei fratelli Pilkington nel corso dell’apertura della loro via nel 1882. Lo spartiacque inizia pianeggiante su rocce monolitiche rosso fuoco fino all’esile mezzaluna di neve che, come una corda lasciata lasca, regala al Disgrazia un nome finalmente simpatico: Corda Molla, termine perfetto che dobbiamo alla fantasia di Alfredo Corti. Quando la “corda” termina, contro le rocce che sostengono la cima, un astuto percorso individuato ancora una volta da una guida della Valmalenco, Ignazio Dell’Andrino, con B. De Ferrari, permette di salire senza troppe difficoltà fino in vetta. Questo itinerario inaugurato nel 1914 diventerà, a ragione, uno dei più apprezzati. Alfredo Corti con il fratello Plinio e Augusto Bonola ne U 18 Le Montagne Divertenti S 4 3 2 1 4 - Racconto di Alfredo Corti sulla Rivista mensile del Cai novembre/dicembre 1929 - tratto da Il Picco Glorioso – Ascensioni al monte Disgrazia di membri dell’Alpine Club ed. Tararà Verbania 2007 1- Via Diretta (Schenatti/Albertini) 2- Seracco Diretto (Riva/Della Santa) 3- Via del Cinquantenario (Bianco/Magliano) 4- Seracco Linea di Sinistra (Mauri/Piazza/Aldè/Ferrario) B1- Linea di discesa del Bianco del 28/06/1981 Monte Disgrazia, parete N (15 luglio 2007, foto Mario Sertori). Il capolavoro di Giacomo Schenatti P 4 agosto 1933. Folatti, Corti e Mitta bivaccano alla base delle parete N del Disgrazia. Estate 2010 assano quasi 20 anni prima che un team di illustri alpinisti e guide di polso provi a risolvere in modo diretto il problema posto dalla parete N. Lo Spigolo degli inglesi infatti è molto laterale rispetto alla cima e fa luce su un settore periferico rispetto al cuore della N. E’ la mattina del 5 agosto del 1933 quando Luigi Bombardieri, figura di primo piano Le Montagne Divertenti dell’alpinismo valtellinese con la sua guida di fiducia, il malenco Cesare Folatti, attacca la N con Alfredo Corti5 e Peppino Mitta, due alpinisti di rango con due eccezionali 5 - Alfredo Corti (1880 – 1973), membro del Club Alpino Accademico Italiano, professore universitario e naturalista, è una delle figure più importanti espresse dall’alpinismo valtellinese del ‘900. Fu un instancabile esploratore dei gruppi del Bernina e del Disgrazia. Univa alla passione per la scoperta e al piacere dell’azione, una raffinata intelligenza e notevoli capacità divulgative che lo portarono a pubblicare la Guida sul Bernina, oltre a molti articoli monografici. arà Giacomo Schenatti, con Antonio Lucchetti Albertini, un anno dopo a portare a compimento quello che fino ad ora era stato solo pensato. Schenatti anticipa a luglio la data dell’ascensione, forse per non farsela soffiare (ci sono già stati 3 tentativi) o forse perché troverà la neve meno dura, ma dovrà fare i conti anche con le rocce più innevate, o peggio ghiacciate, sotto la cima. La guida di Chiesa Valmalenco ripercorre le tracce dei suoi predecessori e, dove il pendio si inviperisce, non retrocede, non si scoraggia, ma con pazienza continua a creare a colpi di piccozza una minuscola e infinita scala nel ghiaccio, che permetterà a lui ed al cliente di avanzare. una lotta titanica dove non è permesso sbagliare: Giacomo che si è ingaggiato per risolverla, lo sa bene, ma il piombo della responsabilità è tutto nel suo zaino. Intanto dai pascoli di Forbicina, il Professor Corti tiene sotto osservazione la cordata con il cannocchiale, la segue passo dopo passo quasi ne fosse il terzo componente. E’ Ci sono volute 13 ore e mezza per questa impresa, e fa riflettere il fatto che non abbiano piantato nemmeno un chiodo durante la progressione. U n errore che da anni si trascina nella letteratura alpinistica Monte Disgrazia (m 3678) 19 Speciali d'estate è la convinzione che Schenatti e Albertini siano usciti dalla parete N non dal colle sulla dx, ma salendo direttamente l'impressionante bastionata rocciosa sotto la cima. Secondo Jacopo Merizzi e Bianco Lenatti, ciò non corrisponde al vero perchè su quei roccioni vi sono problemi alpinistici che all'epoca sarebbero stati impossibili, specie dopo 8 ore di lotta coi ghiacci. Bianco, a prova di ciò, ricorda un consiglio che anni fa gli aveva dato lo stesso Giacomo Schenatti: "Se scendi con gli sci esattamente sulla mia linea di salita, io credo tu possa farcela a vincere quella parete." E ciò, ovviamente, esclude passaggi su rocce verticali! iacomo Schenatti non farà nel corso della sua carriera altri grandi exploit, ma sarà ricordato da tutti gli scalatori per quel suo favoloso giorno da leone. Il suo cliente gli sarà riconoscente per avergli dato emozioni e lustro ricompensandolo con 300 lire di allora, che tutto sommato erano una bella cifra. G Giacomo fece subito un investimento, non in buoni del tesoro ma in una pregiata mucca da latte e gli rimase ancora abbastanza per passare un inverno in tranquillità. Nello Corti (foto Jacopo Merizzi). 20 Le Montagne Divertenti Storia alpinistica Rossano Libera (2007, foto archivio Libera). Jacopo Merizzi e Giovanni Pirana (2009, foto archivio Merizzi). E ’ curioso il fatto che in una corrispondenza con il professor Corti, E. L. Strutt, presidente dell’Alpine Club ed editor dell’Alpine Journal, a commento dell’exploit di Schenatti e Albertini, faceva rilevare come il problema della parete N fosse già stato risolto dai suoi connazionali nel 1910 e che le tendenze, a suo dire estreme, dell’alpinismo continentale stavano avviando questa nobile arte verso un sicuro declino. Prime ripetizioni, varianti e macabre discese Il 1941 fa registrare la prima ripetizione della N da parte di Carlo Negri e Fausto Rovelli; i due non seguono però le orme di Schenatti se non nella parte alta. Attaccano la crepaccia terminale sulla verticale del seracco, quindi scalano la costola rocciosa che come un muro di contenimento lo delimita sulla destra, piantano alcuni chiodi e superano difficoltà elevate. La discesa dalla cima avviene nella tormenta tra folate furiose di vento gelido e nebbie fittissime. Credono di essere sulla via Baroni, ma il terreno più impegnativo li costringe ad una corda doppia. Un’atmosfera macabra li avvolge: approdano ad una grotta dove si imbattono nei resti mortali di una cordata scomparsa diciassette anni prima. Un avvincente e drammatico racconto verrà pubblicato a firma di Carlo Negri sul bollettino del Cai n°78 del 1946. egli anni successivi saranno aperte diverse varianti, di cui forse la più significativa è quella dell’agosto 1960 di Carlo Mauri e Dino Piazza con R. Aldè e B. Ferrario che aggira e supera a sinistra il seracco che incombe sulla N. Sempre nel 1960, la parete viene percorsa per la prima volta nella stagione invernale; protagonisti della performance sono alcuni fortissimi scalatori lombardi: Vasco Taldo (qualche mese prima ha aperto con Nusdeo la mitica via sul Picco Luigi Amedeo in Valmasino) e Romano Merendi con E. Lazzarini e E. Colonaci. el 1940 è ancora Alfredo Corti, questa volta con il figlio Nello e Peppo Perego, a scoprire una nuova possibilità sulla parete N della vetta centrale. I tre pernottano al bivacco Taveggia, posto nel 1929 su iniziativa del CAAI a 2845 metri, poco sotto il colletto dove ha inizio la cresta E della Punta Kennedy. Individuano una linea su roccia solida e superano la muraglia che si affaccia sul bacino superiore della Ventina, poi un ultimo tratto sulla cresta SE li porterà ancora sul vertice del gran monte. uattro anni dopo (luglio 1944) è un altro appassionato del Disgrazia, l’attivissimo alpinista milanese Nando Grandori ad aprire con B. Perotti una via rocciosa sempre sulla bastionata NE, ma questa volta della vetta orientale. N N Q Estate 2010 Solitari e insubordinati Nell’estate del 1973 un quattordicenne scavezzacollo scappato da scuola si improvvisa esploratore e cavalca da solo la Corda Molla. E’ Jacopo Merizzi che da quell’esperienza adolescenziale “prenderà i voti” per la professione e diventerà una delle più celebri Guide Alpine italiane. Tre anni dopo è la volta di un altro spirito libero, Giovanni Pirana, un giovane di Sondrio che vuole sfatare il nomignolo sassista, cioè scalatore di sassi, con il quale i severi dignitari del CAI di Sondrio hanno definito il gruppetto di ragazzi di cui fanno parte lui e Jacopo, i primi ad arrampicare in val di Mello. Giovanni in poco tempo infila una serie di solitarie a itinerari delle Alpi Centrali di notevole impegno e difficoltà, quelle dove anche i migliori alpinisti in cordata devono sgomitare per riuscire a passare. A 17 anni supera, con il vecchio stile (una sola piccozza), la N del Disgrazia in sei ore e mezza dal bivacco Oggioni. Nell’inverno del 1992 l’avventura senza compagni sulla stessa via sarà ripresa da Fabio Salini, alpinista di spessore e Guida Alpina di Morbegno. Nel settembre del 1979 si tiene in val Malenco il modulo di ghiaccio e misto del corso di formazione per Guide Alpine, allora su base nazionale. Il Disgrazia ovviamente si presta ottimamente per mettere alla prova gli allievi, è la lavagna dove ognuno deve saper tracciare un suo schema logico e sicuro. Sono prese di mira le vie più impegnative, del resto i professionisti devono dimostrarsi Le Montagne Divertenti Norberto Riva (1983, foto archivio Riva). Marco Della Santa (1983, foto archivio Riva). all’altezza su ogni tipo di terreno. Oltre le ripetizioni spunta una nuova linea, per la verità molto evidente, sulla NE, tra la cima orientale e centrale, scovata da un team un po' speciale. A capo di questa ciurma e direttore del corso è Luigi Mario detto Gigi, un romano che ha contribuito ad innovare il mondo verticale dagli anni ’60 in avanti. Tra i puledri recalcitranti c’è Renato Casarotto6 uno degli scalatori italiani che ha segnato, in pochi anni, l’alpinismo internazionale con realizzazioni di alta difficoltà e eccezionale impegno. Sarà proprio per il comportamento anarchico del vicentino, se la via verrà chiamata Couloir dell’insubordinato: Renato infatti, sentito profumo di ghiaccio e trovandosi perfettamente nel suo ambiente, partirà a razzo slegato sul ripido canale costringendo Gigi Mario, pur di larghe vedute, a riportare nei ranghi lo scapestrato. n altro appassionato dell’aria selvatica di queste lande è Rossano Libéra, un solitario di ritorno, nel senso che dopo 20 anni di aperture estreme con il fratello Valentino sui graniti ruggenti della Bregaglia, ha scelto di ballare da solo sulle punte dei ramponi. In questo stile la Guida Alpina di Novate Mezzola, tra i migliori alpinisti italiani dell’ultimo decennio, ha risolto nella stagione invernale alcuni grandi rebus verticali delle Alpi Centrali, uno per tutti la via Cassin al Badile. U 6 - Renato Casarotto (1948 - 1986) celebre per le grandiose realizzazioni in solitaria tra cui N dello Huascaràn, pilastro N del Fitz Roy, McKinley per la cresta SE; prima invernale solitaria alla Gervasutti sulla E delle Grandes Jorasses. Ma la più impressionante è la cosiddetta Trilogia invernale del Freney: senza contatti e in piena autonomia sale in successione la O dell’Aiguille Noire (Ratti-Vitali), il Pic Gugliermina (Gervasutti-Boccalatte) e il Pilone centrale (Whillans-Bonington) rimanendo 2 settimane imprigionato in uno dei luoghi più inospitali delle Alpi, nel gelo dell’inverno e uscendo nella bufera sulla cima più alta d’Europa. Morirà nel 1986 al rientro dall’ennesimo tentativo solitario alla Magic Line del K2, cadendo in un crepaccio vicino al campo base. Sul Disgrazia è approdato, come un naufrago su uno scoglio sconosciuto, nel giugno del 2006 e nel giro di pochi giorni si è rosicchiato il Supercouloir e l’Insubordinato mettendo a segno due esplosive prime solitarie (senza corda). Grandi vie in velocità per i Ragni di lecco Una bella performance è quella del gennaio del 1983 dei Ragni di Lecco Norberto Riva e Marco Della Santa7, specialisti del ghiaccio a 90°. Dopo un paio di giorni di inattività passati al riparo del bivacco Oggioni a causa della meteo avversa, i due non vedono l’ora di adottare la neonata tecnica della piolet – traction8 anche sul Disgrazia e si dirigono verso un ripidissimo colatoio con alcune splendide cascate di ghiaccio a destra dello Spigolo degli Inglesi. In poche ore 7 - Marco Della Santa (1960-2003), Guida Alpina di grandissimo valore, è scomparso nell'ottobre 2003 precipitando dallo spigolo del Nibbio. 8 - Nuova tecnica di arrampicata su ghiaccio messa a punto dagli alpinisti scozzesi alla fine degli anni ‘60 che ha rivoluzionato la scalata glaciale, prevede l’utilizzo di due corte ed aggressive piccozze e permette il superamento di pareti verticali. Monte Disgrazia (m 3678) 21 Speciali d'estate superano i seicento metri di parete e inventano il Supercouloir, nome che richiama uno splendido itinerario sul Mont Blanc du Tacul, considerato una pietra miliare della nuova progressione glaciale. Ritornano al bivacco divallando dallo Spigolo degli Inglesi e il giorno successivo, come defaticamento, giocano con il vuoto sull’inquietante seracco della N; lo superano in modo diretto con alcune lunghezze molto sostenute, dando prova di abilità tecnica e pelo sullo stomaco, sospesi come formiche sulla prua sfuggente di un vascello gigantesco. A dimostrazione della loro confidenza con questo luogo alto, scendono dalla Corda Molla, compiendo così in due soli giorni uno dei più insoliti viaggi sul versante settentrionale del Disgrazia. Su un tracciato mozzafiato che, a goccia d'acqua dalla vetta, passando nel centro del Seraccone e sulle imponenti placconate sommitali, si ingaggia nell’estate del 1984 – addirittura con un cliente (Alberto Magliano) - un temerario ventisettenne noto alle cronache per le sue folli discese con sci dalle più scoscese pareti ghiacciate delle Alpi Centrali: è Giancarlo "Bianco" Lenatti, che battezza la sua creatura Via del Cinquantenario. Passando al versante di Predarossa, è del 1990 una linea inedita di misto che percorre alcuni colatoi poco accennati Solo Roccia Nel 1988 sul Disgrazia, o meglio, sulla parete O della cima orientale, viene aperto per mano dei milanesi Lorenzo Meciani e Dario Bambusi Sulla strada della follia, una via di pura roccia, una linea finalmente libera da collusioni glaciali. Cinque anni dopo una cordata di sondriesi, Celio Giatti, Mario Vannuccini e Dante Barlascini, esplora un altro settore di questa articolata scogliera e sul pilastro più a valle disegna Californian climber. Il Disgrazia di Benigno Un capitolo speciale della storia della montagna porta la firma di Benigno Balatti, Accademico del CAI di Mandello del Lario classe 1954, che ha scelto il Disgrazia per sviluppare il suo alpinismo di ricerca. E’ del giugno 1985 la sua prima via nuova sulla parete N E, seguita a ruota da una seconda a pochi giorni di distanza. Da allora Benigno, spesso in compagnia della moglie Giovanna Cavalli, traccia sulla montagna ben Storia d'amore d'altri tempi A lfredo Corti ebbe un lunghissimo rapporto di amicizia con i coniugi Marco e Rosa De Marchi, illuminati filantropi milanesi. Con il loro sostegno finanziario riuscì a realizzare nel 1913, poco sotto la vetta del Bernina, il rifugio Marco e Rosa (De Marchi, appunto). a l’amicizia con i coniugi De Marchi ebbe anche un’altra curiosa appendice. In quel periodo i De Marchi avevano chiamato direttamente dall’Inghilterra a dirigere la scuola infermiere da loro voluta a Milano, la giovane e dinamica Helen Hamilton. Il Corti, che frequentava i De Marchi ancora più assiduamente dopo la costruzione del rifugio, ebbe modo di incontrare Helen nell’estate del 1914 e le propose la salita al monte Disgrazia. Lei, che non era mai stata su una montagna, accettò la sfida e il 2 ottobre 1914 raggiunse con lui la vetta. M 22 Le Montagne Divertenti Le discese estreme del Bianco che guardano occidente; autori sono tre esponenti di spicco della sezione valtellinese del CAI: Luigi Pasini, Angelo Libera e Celio Giatti. A lfredo Corti aveva 34 anni e restò folgorato dalle capacità e dalla caparbietà di quell’inglese, all’apparenza fragile. Racconta il figlio Nello che, arrivati a valle, suo padre Alfredo ebbe uno dei suoi rarissimi momenti di affettuosità e le chiese: - Signorina, che ne direbbe di sposarmi? Intro Mario Sertori - intervista Beno Benigno Balatti (foto Danilo Valsecchi). 20 itinerari, tutti di alto contenuto tecnico, percorsi dove spesso il ghiaccio sottile si insinua tra le rocce e richiede una scalata delicata e ricca di fantasia. Qualità che certo non manca allo scalatore di Mandello che scopre tra le pieghe del grande scoglio sempre nuove piste, che poi segue come un segugio innamorato della sua preda. Anche nel 2009 ha trovato e salito una linea inedita dalle parti del seracco sotto la cima orientale e ha già affermato che probabilmente non sarà l’ultima…9 9 - Hanno contribuito alla ricerca fotografica per il ricco corredo di questo articolo: Giuseppe Miotti, Jacopo Merizzi, Antonio Boscacci, Danilo Valsecchi e Beno. Antonio Boscacci Due mesi dopo, il 5 dicembre 1914, divenne sua moglie. D P opo di che divenne rosso come un peperone e non parlò più per tutto il viaggio di ritorno in treno fino a Milano. assarono così cinque giorni e al sesto si vide convocato dai De Marchi per un colloquio. Presagendo rimproveri e sventure si avviò a piedi meditando sulla sua stupidità. Quale non fu però la sua sorpresa, quando si vide venire incontro Helen Hamilton che, sorridendo, lo guardò e gli disse: -Yes, si può fare. Alfredo Corti e Helen Hamilton in vetta al Disgrazia (2 ottobre1914, archivio Corti). Estate 2010 Il Bianco e il Disgrazia dal rifugio Marco e Rosa (21 aprile 2010, foto Beno). Giancarlo Lenatti detto "Bianco" è l'artefice di discese di sci estremo sul versante N del monte Disgrazia. Bianco, Guida Alpina classe 1957, attualmente gestisce il rifugio Marco e Rosa sulla spalla del Bernina. Le Montagne Divertenti Monte Disgrazia (m 3678) 23 Speciali d'estate N on solo percorsi verso l’alto: sul Disgrazia ci sono da segnalare anche discese con gli sci su pendii vertiginosi. Grande interprete di questa selettiva disciplina, che non ammette tentennamenti e tantomeno errori, è stato Giancarlo Lenatti, uno scarmigliato malenco doc, discendente di una stirpe di Guide Alpine valorose e Guida lui stesso. Il “Bianco” - come è conosciuto nell’ambiente - dopo aver setacciato come un cercatore d’oro ogni anfratto del Bernina alla volta di canali e pareti da domare con le assi ai piedi, scopre le pepite più scintillanti sulla montagna di casa: nel 1979 compie la prima discesa con gli sci della via degli Inglesi, poi alza ancora il tiro (o meglio l’inclinazione) e dopo numerose altre discese e un terrificante infortunio, realizza nel 1986 la linea mozzafiato della nord: un capolavoro al cardiopalma mai eguagliato. ------------Ora il Bianco gestisce il rifugio Marco e Rosa al Bernina, così nel mese di aprile sono salito per intervistarlo e farmi raccontare del suo Disgrazia e di quelle folli discese che hanno fatto la storia dello sci estremo. «C os'è che ti ha affascinato del Disgrazia e dello sci estremo?» «Il Disgrazia è la mia montagna di casa. Abitavo a Chiareggio e da lì vedevo 24 Le Montagne Divertenti quell'impressionate parete che sembrava lanciarmi sfide tutti i giorni. Lo sci che tu chiami "estremo" in realtà per me era inizialmente solo un metodo per scendere con poca fatica dalle montagne. Avevo una buona tecnica e non avevo paura delle pendenze, così, dall'adolescenza, ho iniziato a percorrere tutti i canali della Valmalenco.» «Q uando ti è venuta l'idea sciare il versante N del Disgrazia?» «Dalla stagione 1978/79 ho cominciato a mettere gli occhi sulla parete N, ma per fare discese di questo tipo bisogna sapere aspettare le condizioni giuste, sia della parete che psicologiche, o ci si ammazza. Nello sci estremo non sono ammessi nè errori, nè ripensamenti: da quando ti butti non puoi più fermarti fino in fondo. Sono una sorta di "caduta controllata".» «C om'è continuata l'avventura?» Continuavo a salire, ma la Diretta non era mai in condizione. Nel frattempo nel 1979 sono sceso dallo Spigolo degli Inglesi, quindi tra il 1979 e il 1981 ho tracciato altre 5 linee sul versante settentrionale della montagna.» «C os'è che rende la discesa per la Diretta così speciale e più complicata delle altre?» «E' una discesa di 6-7 minuti, 650 metri di dislivello, ma il problema sta nel seracco centrale. C'è un passaggio in una strozzatura ghiacciata che supera i 65° e che era ritenuto "impossibile", ma io credevo di potercela fare. Altri 5-6 atleti stavano curando il Disgrazia: era una discesa prestigiosa.» Estate 2010 «Q uanti tentativi hai fatto?» Non ho mai tenuto il conto, ma moltissimi. Facevo tutto in segreto perché la mia famiglia non si preoccupasse. Pensa che una sera di luglio, finito di far fieno con mio padre, ho aspettato che andasse a letto per scappare senza dir nulla. Avevo nascosto gli sci vicino al torrente. Quella notte sono salito in vetta accompagnato dalla luna piena, ma non c'erano le condizioni, allora sono ridisceso dalla Corda Molla e alle 7 del mattino ero di nuovo "dietro a fieno" senza che nessuno si accorgesse di niente! In seguito, per facilitarmi la vita, lasciavo sempre un paio di sci al bivacco Oggioni, tanto per non doverli sempre portare da casa.» «P oi so del grave infortunio...» Sì, nel settembre del 1982 ho avuto un bruttissimo incidente sul canalone del Sella: ho sbagliato a saltare con gli sci un grande crepaccio e mi sono schiantato contro il bordo opposto, per poi finirci dentro: in quegli anni avevo acquisito quella pericolosa convizione che nulla era per me impossibile e mi stavo prendendo dei rischi pazzeschi. L'incidente mi ha causato 80 fratture. Ero così malconcio che i medici dicevano che a stento sarei riuscito nuovamente a camminare. Non ci volevo credere, così ho iniziato a lottare contro questo destino e a Natale ero nuovamente sugli sci: un miracolo!» «Q uali sono stati gli strascichi di quella disavventura?» «Una gamba non funzionava più bene e non c'era niente da fare. Mi faceva male. Le Montagne Divertenti Il ginocchio mi si gonfiava sempre come un pallone, ma io, testardo, continuavo a fare la Guida e a caricarlo. A livello psicologico penso che l'incidente mi abbia insegnato a riflettere meglio sulle cose e a meglio valutare i rischi. E' stato provvidenziale per affrontare la N con più consapevolezza. Prova ne è che le mie linee più interessanti, come il verticale Canalone Folatti, le ho tracciate dopo questa disavventura.» «E quando il grande giorno?» «Il 4 luglio 1986 sono salito dalla Diretta al Disgrazia in compagnia di Floriano Lenatti, Bobi e Fausto Pedrotti. Salire la via a piedi prima di scendervi è fondamentale per verificare le condizioni del ghiaccio. Ho capito che era la giornata giusta e mi sono lanciato. Il seracco centrale, 65° di ghiaccio vivo, poi l'ho vinto nell'unico modo possibile: punte a valle finché le pendenze tornavano "sciabili". Solo allora sono riuscito a riprendere il controllo della situazione. E' stato un bel brivido: ho raggiunto velocità folli, ma era fatta1! Quel giorno poi le condizioni erano particolarmente buone, così sono risalito ed ho ripetuto lo Spigolo degli Inglesi che avevo già fatto 7 anni prima, ma allora nessuno mi aveva visto.» «C osa pensi ora quando guardi il Disgrazia?» «Ho rispetto di questa grande montagna che, dopo tutto, mi fa ancora paura.»2 1 - La linea di Bianco è la n. 1 a pagina 19. 2 - La immagini a corredo sono tratte dal documentario sull'impresa del 4 luglio 1986 "Abisso nella mente" e digitalizzate da Massimo Murada, più una diapositiva inedita di Jacopo merizzi. Monte Disgrazia (m 3678) 25 Geologia Alpinismo magnifiche emozioni Geologia dell'area del Disgrazia Testi e foto Franco Benetti l Monte Disgrazia, tutto Iappartiene in territorio italiano, principalmente a tre valli: alla val Masino a S , alla val Torreggio a SE e alla Valmalenco a N. Il Gruppo del Disgrazia dal punto di vista geologico si trova tutto compreso nelle cosiddette Pennidi medio-inferiori, formate prevalentemente dalle cosiddette rocce verdi. a Sella di Pioda si trova proprio nel punto di incontro delle due importanti formazioni che caratterizzano queste valli: le serpentine che esauriscono la propria espansione verso O proprio qui e sul versante SO della valle di Preda Rossa, e i graniti, rocce appartenenti al plutone intrusivo della val Masino-val Bregaglia-val Codera che esauriscono la propria spinta verso E proprio in valle di Preda Rossa. L L' Domenica 13 giugno 9ª SkyRace Internazionale 2010 gara di corsa in montagna tra Italia e Svizzera sui sentieri storici dei contrabbandieri VALMALENCO - VALPOSCHIAVO Domenica 4 luglio Mangialonga in contrada alla scoperta delle contrade con tutti i gusti dei veri sapori Malenchi CONTRADE DI CHIESA IN VALMALENCO Luglio - Agosto In montagna con la Guida escursioni per adulti e bambini nel gruppo del Bernina con le Guide alpine e gli Accompagnatori di media montagna della Valmalenco 20-21-22 agosto Dai funghi alle erbe spontanee di montagna un fine settimana “gustosamente” autentico: degustazioni, mostre, e una grande polenta e funghi per tutti. CASPOGGIO Luglio - Agosto Una montagna di suoni concerti in alpeggio Domenica 18 luglio Alpe Prabello - Rifugio Cristina Sabato 24 luglio EcoMuseo della Bagnada Domenica 8 agosto Alpe Laricini/Val Sissone Rifugio Tartaglione Mercoledì 18 agosto Rifugio Marinelli Bombardieri 18-19 settembre Festa dell’Alpeggio il ritorno delle mandrie dall’alpeggio: tradizioni, gastronomia e folclore in una festa “unica” della gente Malenca CHIAREGGIO dal 27 novembre all’ 8 dicembre Uomini e Montagne 2010 ...per chi ha la montagna negli occhi e nel cuore: mostre, esibizioni, spettacoli, convegni, ski and snow Per informazioni su tutto il calendario delle manifestazioni 26 www.sondrioevalmalenco.it [email protected] tel. 0342-451150 Le Montagne Divertenti Operatori turistici, Associazioni, Cittadini Estate 2010 unità Malenco è costituita dalle cosiddette rocce verdi o serpentiniti e occupa un'area di circa 170 km² di cui ben il 90% in Valmalenco; il serpentino è composto prevalentemente da una roccia scistosa ad antigorite, olivina, diopside, clorite e magnetite (ma possono essere presenti anche metagabbri, pietra ollare, talcoscisti, ecc...); assume spesso una colorazione rossastra dovuto all’alterazione degli abbondanti minerali ferrosi in essa presenti e questa sua caratteristica giustifica la denominazione di molte località della Valmalenco, per esempio Corna Rossa, valle di Preda Rossa o Corni Bruciati. Se il serpentino è la roccia dominante in val Ventina, bisogna anche dire che la conformazione geologica della zona è piuttosto complessa, dato che appena al di là del versante orografico, nell'area del lago Pirola, compare un altro tipo di roccia, il gabbro. Il lago infatti riempie parte di Le Montagne Divertenti Calcefiri in alta Val sissone (11 settembre 2009). una spaccatura naturale che divide le serpentine da quest’altra roccia metamorfica - ma di origine magmatica intrusiva - che costituisce la sponda settentrionale del lago e da qui prosegue fino al passo del Muretto; questo gabbro è molto bello, verde screziato da venature bianche, ed utilizzabile anche per essere lavorato come pietra decorativa o per creare oggetti ornamentali. Dai dintorni dell'alpe Zocca o dell'alpe Sentieri, sul versante opposto della val Ventina è possibile avere una visione di tutto il circo di cime che vanno dal passo di Mello fino alla cima Vazzeda e quindi al monte del Forno e rendersi conto di come la conformazione delle cime cambi decisamente al di là della valle dove dominano pareti verticali di granito, creste affilate e cime appuntite. In val Sissone si è nel regno delle rocce magmatiche intrusive o granitoidi, quelle che fanno da padrone nell'ambito del plutone MasinoBregaglia, e delle rocce metamorfiche, cioè quelle che hanno subito mutamenti vari a contatto con il magma. Si passa così dalle pareti granitiche del monte Sissone o delle cime di Chiareggio con la punta Baroni, ricca di minerali di terre rare, alla bianca Cima di Vazzeda ricca di marmi, rocce chiare di origine sedimentaria, o il monte del Forno con le sue anfiboliti, antiche lave metamorfosate di colore scuro, ricche di minerali come il granato, la clinozoisite o l'epidoto, fino ai gabbri del monte dell'Oro. Milioni di anni fa proprio l'effetto del metamorfismo di contatto tra il magma (rocce fuse del plutone) sulle rocce serpentinose ha fatto sì che si formassero quei cristalli di minerali particolari e anche rari che da secoli fanno la gioia di studiosi e appassionati di mineralogia che della Valmalenco hanno fatto il loro "paese del Bengodi". Monte Disgrazia (m 3678) 27 Geologia Speciali d'estate Berillo acquamarina della Val Sissone. Principali minerali segnalati nell'area del Monte Disgrazia e più recenti ritrovamenti Le valli che scendono dal Disgrazia e soprattutto la valle Torreggio, la valle di Preda Rossa e prima tra tutte la val Sissone sono ricche di minerali e di cristalli ricercati in tutto il mondo. l versante N del Disgrazia si affaccia proprio sulla valle più ricca in assoluto di specie minerali, la val Sissone. Per citare solo alcuni dei minerali della zona val SissoneVazzeda-Forno: le multicolori grossularie, gli spinelli azzurri e viola, i rarissimi minerali di terre rare della val Sissone: ekanite, tapiolite, xenotime, allanite, zirchelite. Il crisoberillo e le spessartine color rubino del Vazzeda, la rara helvite e le azzurre acquemarine della zona del Forno, la clinozoisite cangiante dal giallo al verde più intenso, il diopside, la rodonite, la molibdenite in cristalli laminari esagonali, la scolecite in suggestivi ciuffi di cristalli bianchi e la meionite dai lunghi cristalli prismatici trasparenti, tutti minerali che discendono da un pezzo di fondo marino portato fin quassù dall'orogenesi alpina. Il fenomeno del ritiro dei ghiacciai ha ampliato notevolmente l'area di ricerca. Recentemente proprio nella zona da poco scoperta dai ghiacci sono stati segnalati nuovi filoni con cristalli di berillo, epidoto e tracce di I 28 Le Montagne Divertenti diopside azzurro, idrossiapofillite con stellerite e prehnite verde. Nelle microcavità di un filone di pegmatite dell’alta valle, I. Foianini e G. Schenatti hanno rinvenuto nell’estate del 2008, dei bei ciuffi di cristalli di bavenite e cristalli tabulari di bertrandite, entrambi minerali nuovi per la Valmalenco, associati a due minerali ancora in fase di studio e a cristalli prismatici esagonali di milarite, minerale già segnalato a Tanno e in val Codera, ma mai in Valtellina. E’ poi comparso sul numero di gennaio 2009 della autorevole rivista mineralogica tedesca “Lapis”, un arti- colo a firma di alcuni geologi cechi, J. Cicha, J. Franck e F. Krejka, che alla quota di circa m 2760 a SO della cima di Rosso, si sono imbattuti in una fessura ricca di cristalli di quarzo affumicato. Un ritrovamento insolito ed importante per la zona poiché i cristalli di quarzo raggiungono una lunghezza di 33 cm e un peso di 3 kg. I l versante SE del Disgrazia si affaccia sulla val Torreggio e proprio sotto la vedretta di Cassan- Estate 2010 dra tra il lago omonimo, la Corna Rossa e il passo di Cassandra, fino ai Corni Bruciati, si trova una delle aree più ricche di minerali della Valmalenco, individuata già nel 1920 da P. Sigismund, esperto mineralogista e collezionista, che esplorò nei primi decenni del '900 tutta la Valmalenco. Notevoli cristalli di diopside color verde acqua, di andradite di colore cangiante dal giallo fino al bruno caffè, spesso così intenso da apparire come nero, di magnetite, in piccoli e stupendi cristalli ricchi di facce, dalla lucentezza metallica, di clinocloro, di titanite bruno-violacea, di apatite in prismi perfettamente esagonali di colore del latte, di zircone, in rari cristalli prismatici rosei o incolori, di ilmenite, anch’essa assai rara, di calcopirite, spesso alterata in malachite e crisocolla. Particolarmente belli sono poi i cristalli di clinozoisite ed epidoto, anche di dimensioni notevoli, di un bel colore cangiante dal giallo al verde grigio fino al verde più intenso. Da non scordare la vesu- vianite rinvenuta intorno al lago di Cassandra ed infine la vanadinite, rinvenuta da A. Borgonovo nel 1993. l versante S e SO del Disgrazia si affaccia invece sulla valle di Preda Rossa, laterale della val Masino in cui sono stati segnalati altri interessanti ritrovamenti anche in anni recenti. Sul versante sinistro orografico, proprio alla base della parete e dove termina il dominio dei serpentini, in un filone pegmatitico, sono stati rinvenuti notevoli cristalli di spessartina associati anche a berillo, schorlite, muscovite, ferrocolumbite, zircone, titanite e uraninite. Sul versante opposto, in prossimità del rifugio Ponti, sono stati ritrovati nitidi cristalli di clinozoisite e campioni molto belli di epidoto, mentre lungo l’itinerario che porta alla Sella di Pioda, minerali di rame come calcopirite, azzurrite, crisocolla e malachite, già segnalati in passato anche da Gramaccioli e Perego. Nella piana lasciata libera dai ghiacci, fino alla testata della valle sono presenti massi di marmo a forsterite e spinello e nel 2003 A. Gaggini ritrovò campioni di quarzo ametista. I Spinello della Val Sissone. Parco Geologico della Valmalenco I l Parco Geologico della Valmalenco si trova a Chiareggio ed è stato inaugurato nel luglio del 2000 grazie all’Amministrazione Comunale di Chiesa in Valmalenco e al Centro di Studio per la Geodinamica Alpina e Quaternaria, e grazie anche alla passione del geologo e grande amante della valle Attilio Montrasio, ben conosciuto proprio per il contributo dato allo sviluppo della conoscenza geo-morfologica del territorio malenco. Il Parco si trova tra il gruppo di case della Corte e il torrente Nevasco, su un’area di quasi due ettari messa a disposizione dal Comune di Chiesa in Valmalenco. Consiste in una struttura fissa dove è stato raccolto abbondante materiale figurativo e documentario relativo alla geologia di queste montagne. Lo scopo è quello di permettere al visitatore di conoscere gli aspetti geologici più interessanti del territorio, documentandoli con la visione diretta delle varie rocce presenti; sono stati qui portati infatti con l’ausilio di un elicottero vari massi prelevati nelle valli vicine che fanno capire immediatamente la diversità dei materiali e i diversi tipi litologici. Il linguaggio semplice e l’abbondanza di immagini rendono il percorso comprensibile a tutti e non solo ai Le Montagne Divertenti veri intenditori di questa disciplina. Visitando l’area si passa da un’introduzione generale dedicata a un'infarinatura su come si sono formate le Alpi e le valli alpine, con accenni alla cosiddetta teoria della Tettonica delle Placche e all’Orogenesi Alpina, all’assetto geologico della Valmalenco e alle principali rocce presenti nella valle. Hanno dato un contributo fondamentale alla valorizzazione della geologia e della mineralogia malenca, gli studi compiuti dalla fine dell’800 fino alla prima metà del ‘900, da mineralogisti insigni e grandi ricercatori e collezionisti come l’Artini, il Brugnatelli, il Magistretti, il Sigismund, e per finire Fulvio Grazioli a cui è stato intitolato L’Istituto Valtellinese di Mineralogia (IVM) che opera ormai da anni con grande passione e competenza in provincia. Per la lettura e l’interpretazione della geologia della Valmalenco importantissima fu la pubblicazione, nel 1865 della prima carta geologica coerente della Valmalenco, quella di Gottfried Ludwig Theobald, seguita nel 1946, dalla carta del Gruppo del Bernina, in scala 1:50.000, di Rudolf Staub (1890-1961). Questa carta, anche se ormai superata dalle attuali conoscenze geologiche, resta un capolavoro della cartografia geologica alpina. E’stata recentemente rimpiazzata (2004) dalla carta geologica della Valmalenco, scala 1:25.000, a cui hanno lavorato in qualità di compilatori Jörg Hermann, Othmar Müntener e Peter Spillmann e come coordinatori scientifici Attilio Montrasio e Volkmar Trommsdorff. Chiareggio (19 giugno 2005, foto R. Moiola). Monte Disgrazia (m 3678) 29 Alpinismo ASSOCIAZIONE OPERATORI VALMASINO ALLOGGIO Valmasino HOTEL MIRAMONTI Via Zocca, 12 - ZOCCA Tel. 0342 640144 - www.miramontivalmasino.com HOTEL RUSTICHELLA Via Moss - FILORERA Tel. 0342 640121 - www.hotelrustichella.it HOTEL TERME BAGNI MASINO S.S. 404 - BAGNI Tel. 0342 641010 - www.bagnimasino.it HOTEL - RELAIS BAGNI MASINO - TERME S.S. 404 - BAGNI Tel. 327.4571274 - www.termemasino.com HOTEL SASSO REMENNO Via Zocca, 21 - ZOCCA Tel. 0342 640236 -www.hotelsassoremenno.it HOTEL SERTORI Via Consorziale, 33 - FILORERA Tel. 0342 640130 - www.albergosertori.com HOTEL LE CIME Via Bagni - SAN MARTINO Tel. 0342 641051 - [email protected] HOTEL BADILE Via Mulini, 6 - SAN MARTINO Tel. 0342 641140 - www.valmasino-online.eu HOTEL BERNINA Via Bagni - SAN MARTINO Tel. 0342 641120 - www.valmasino-online.eu HOTEL BUCANEVE Via Bagni, 1 - SAN MARTINO Tel. 0342 641166 - [email protected] HOTEL GENZIANELLA Via Vanoni, 19 - SAN MARTINO Tel. 0342 641040 - www.genzianellavalmasino.com HOTEL SAN MARTINO Via Bagni - SAN MARTINO Tel. 0342 641077 - www.valmasino-online.eu CAMPEGGIO SASSO REMENNO Via Sasso Remenno, 2 Tel. 0342 640059 - www.campingsassoremenno.it CAMPEGGIO LO SCOIATTOLO Bregolana - SAN MARTINO Tel. 0342 641071 338 3914742 - www.campingloscoiattolo.it CENTRO POLIFUNZIONALE CASA DELLE GUIDE ASSOCIAZIONE GUIDE ALPINE "IL GIGIAT" Via Moss, 1 - FILORERA Tel. 0342 640004 - www.centrodellamontagna.it CAMPEGGIO GROUND JACK Val di Mello Tel. 339.6128187 - [email protected] BED & BREAKFAST DOLCI Via Consorziale 29 - FILORERA Tel. 0342.640064 - [email protected] Natura A L I M E N TA R I E B A R ALIMENTARI RODELLI GIORGIO Via Bagni, 16 - S. Martino Tel. 0342 641031 ALIMENTARI ROSSI FAUSTO e Figli di Rossi Michele & C Via Marconi, 4 - Cataeggio Tel. 0342 640060 ALIMENTARI SERTORI MASSIMO Via Consorziale, 30 - Filorera Tel. 0342 640010Le Montagne Divertenti 30 I ghiacciai del Disgrazia ALIMENTARI TAEGGI RENATO Via Roma, 7 - Cataeggio Tel. 0342 640160 ALIMENTARI LEGATO MARGHERITA Via Bagni, 2 - S. Martino Tel. 0342 641167 BAR MONICA Via Bagni, 16 - S. Martino Tel. 0342 641130 BAR PIZZERIA CIAPPINI FIORENZO Via Roma, 12 - Cataeggio Tel. 0342 640088 BAR ALPINO Via Bagni, 8 - S. Martino Tel. 0342 641176 BAR PIZZERIA CATAEGGIO Via Roma, 54 - Cataeggio Tel. 0342 640080 BAR ALIMENTARI SAN MARTINO Via Bagni - S. Martino Tel. 0342 641077 BAR RISING MOON Via Consorziale - Filorera Tel. 0342 640138 BAR EDICOLA COMI NADIA Via Bagni - S. Martino Tel. 0342 641162 GELATERIA SAN MARTINO Tel. 3934903686 T R AT T O R I E E A G R I T U R I S M I GATTO ROSSO - VAL DI MELLO Tel. 340-3726006 Val di Mello VITTORINO - LOC. BREGOLANA Tel. 339 6131000 PIZZERIA FIORELLI ANSELMO Via Bagni, 15 - S. Martino Tel. 0342 641174 PA R U C C H I E R I sport RIFUGI RIFUGIO OMIO Valle dei Bagni Tel. 0342 640020 - [email protected] RIFUGIO GIANETTI Valle Porcellizzo Tel. 0342 645161 - www.fiorellisport.it RIFUGIO ALLIEVI Val di Zocca Tel. 0342 614200 - www.valmasino-online.eu RIFUGIO PONTI Valle di Preda Rossa Tel. 0342 611455 - www.valmasino-online.eu RIFUGIO SCOTTI Valle di Bisolo Tel. 0342 640087 - www.valmasino-online.eu RIFUGIO LUNA NASCENTE Val di Mello Tel. 338 3317507 - www.valmasino-online.eu RIFUGIO RASICA Val di Mello Tel. 338 4467550 - www.valmasino-online.eu RIFUGIO MELLO da Beniamino - Val di Mello Tel. 3385612670 - www.rifugiomello.it Glacialismo LORY HAIR SPRAY Via G. Marconi 31- Cataeggio Tel. 346-0927933 ROSSI PAOLA Via Roma 78 - Cataeggio tel 0342 640177 IL RICCIOLO DI FIORELLI SONIA Via Bagni - S. Martino Tel. 0342 641086 MODA E ABBIGLIAMENTO FIORELLI SPORT Via Vanoni 3 - S. Martino Tel. 0342 641070 TAEGGI CARMEN Via Roma Cataeggio Tel. 0342 640139 JCK MODE MARCHETTI NADIA Via Consorziale Filorera Tel. 0342 640341 Riccardo Scotti I l glacialismo attuale del Disgrazia comprende 4 ghiacciai principali strettamente legati alla vetta del monteDisgrazia: - il versante NO, dal monte Sissone al Disgrazia è coperto da un vasto e corrucciato lenzuolo di ghiacciaio, il ghiacciaio del Disgrazia, che attualmente raggiunge i m 2400 di quota ed ha una superficie di 263 ettari. Dal 1992 al 2007 ha perso il 31% della sua superficie pur restando molto potente nella sua parte più elevata; - sul versante NE il ghiacciaio del Ventina prende origine dall'alto bacino poche centinaia di metri a NE della vetta e dal bacino secondario a N del passo Cassandra; questi ultimi due bacini formano ormai due ghiacciai indipendenti in seguito alla separazione dinamica avvenuta negli ultimi anni. La sua superficie è passata dai 244 ettari del 1992 ai 191 ettari del 2007 (-21,6%). La sua lingua valliva si spinge ancora fino a m 2230 di quota; - dalla quota 3665, a S della vetta principale prende origine il circo glaciale che ospita il ghiacciaio di Cassandra Est, il maggiore dell'alta valle Airale. Esposto perfettamente a S questo compatto e ripido ghiacciaio ha perso negli ultimi 15 anni più della metà della propria superficie passando da 47,5 a 23,1 ettari; - l'imponente parete SO dà origine infine al ghiacciaio di Preda Rossa. Così come il Ventina è formato sostanzialmente da due ghiacciai indipendenti, uno alimentato CENTRO SPORTIVO CATAEGGIO Tel. 333 3434548 CENTRO SPORTIVO S.MARTINO Tel. 339 6131000 MUSEO ETNOGRAFICO Via Vanoni, 1 - Fraz. S.Martino-Tel. 0342 640101 Sentiero glaciologico del Ventina Subito dopo avere superato il rifugio Gerli-Porro e il rifugio Ventina, ci si imbatte in un'imponente morena, testimonianza del passato della valle. Alcune migliaia di anni fa, al termine dell’ultima glaciazione, un’enorme massa di ghiacci occupava ancora la valle per uno spessore di due-trecento metri, andando poi a confluire nel grande ghiacciaio della Valmalenco. Proprio qui dal 1992, grazie al Servizio Glaciologico Lombardo si è realizzato il primo sentiero glaciologico in Italia: il sentiero “Vittorio Sella” 1. Il sentiero, percorso ogni anno da migliaia di escursionisti, permette di osservare, in sicurezza, le varie fasi del ritiro dei ghiacci dall’800 fino alla situazione attuale. NUMERI UTILI Uffici Comunali Via Roma, 2 Tel. 0342-640101 - fax0342-640040 Da Lunedì a Sabato dalle 9.00 alle 14.00 Ufficio Postale Via Roma, 4 - Tel. 0342-640070 Da Lunedì a Sabato dalle 8:00 alle 14.00 Banca Credito Valtellinese Tel. 0342 640166 Parrocchia Via Chiesa, 1- Tel. 0342-640128 Soccorso Alpino Val Masino Tel. 0342-640026 Farmacia Comunale Tel. 0342 640338 Pro loco Val Masino Tel. 0342-640197 Associazione Kima Tel. 0342-640174 - www.kima.org Autonoleggio Alpe Viaggi Via Roma 67 - Cataeggio Tel. 0342 640084 Estate 2010 dalle sole nevicate che scende dalla Sella di Pioda ed un secondo, alimentato dalle valanghe, che si appoggia alla parete rocciosa e raggiunge la fronte "classica" a m 2625. Anche questo ghiacciaio, attualmente esteso su 59,5 ettari, dal 1992 al 2007 si è quasi dimezzato (-49,5 %). 'intero settore del Disgrazia-Mallero, dal 1992 al 2007 ha perso complessivamente ben 4 kmq di superficie passando da 11,1 a 7,1 (-35,9 %). I ghiacciai nei 4 anni dal 2003 al 2007 hanno mostrato un ritmo di arretramento sostanzialmente doppio rispetto al periodo precedente. Fortunatamente, le annate successive (2008 e 2009), sono state meno drammatiche. L SPORT E TEMPO LIBERO libertà Il ghiacciaio di Cassandra Est nel 1957 e nel 2008 (foto arch. SGL). Il ghiacciaio del Ventina (1910, foto A. Corti - 2009, foto R. Scotti). Le Montagne Divertenti 1 -Grande fotografo piemontese, fu uno dei “pionieri” dell’esplorazione geografica delle nostre Alpi nel secolo scorso. Monte Disgrazia (m 3678) 31 Speciali d'estate Rifugi Rifugi attorno al Disgrazia Eliana e Nemo Canetta S i dice che Marinelli, quando si affacciò per la prima volta alla bocchetta delle Forbici, abbia chiesto al suo accompagnatore locale i nomi delle imponenti vette circostanti. Ma il buon malenco restò muto: il nodo centrale del Bernina non gli era noto. La cosa non meravigli: il Bernina, che sul lato elvetico troneggia imponente, da mezzogiorno non è per nulla facile a scorgersi. N Perché iniziare dal Bernina, per illustrare i primi rifugi “attorno al Disgrazia”? Perché questa vetta si scorge bene persino dal fondovalle della Valtellina, non lungi da Morbegno; dall’Alta Valmalenco ci appare poi come una delle più belle e possenti montagne retiche. Non meraviglia quindi che fosse presa d’assalto ai primordi dell’alpinismo tellino e che, quindi, sui suoi fianchi fossero eretti alcuni tra i primi rifugi (almeno sul versante italiano) delle Retiche Occidentali. Ma i due versanti si sono differenziati. Dalla val Masino l’accesso era facile ma lunghissimo, stante che alla fine dell’800, si partiva a piedi da Ardenno. Invece dalla Valmalenco l’ascensione era certo ben più impegnativa, ma l’accesso più breve: da Sondrio si poteva comodamente (!) raggiungere Chiesa in diligenza e poi proseguire senza fatica (se pure col cavallo di San Francesco) sino al borgo di Chiareggio ove, da secoli, era un’osteria, ai tempi assai modesta, legata alla strada del Muretto. I primi due rifugi del Disgrazia (ma anche tra i primi del giovane Regno d’Italia) furono così eretti per le salite “normali” dal versante e dalle creste esposte a sud. 32 Le Montagne Divertenti ell’anno 1880 la Sezione Valtellinese del CAI costruì infatti due capanne, a quei tempi d’importanza capitale: il rifugio Marinelli e il rifugio di Corna Rossa, nei pressi dell’omonimo colle, considerato ottimo punto d’accesso al Disgrazia. Mentre il primo prosperò sempre, le vicende della capanna di Corna Rossa sono fitte di alti a bassi. Restaurata nel 1897, pochi anni dopo era già scarsa- L a denominazione del rifugio esso è legata ad una singolare vicenda. Struttura di grande successo, all’inizio degli anni ’90 fu praticamente raddoppiato ed in gran parte rinnovato, grazie ad un generoso finanziamento di Maria Rota Gerli, a ricordo del consorte Amerigo. Inaugurato nel 1992, altri lavori furono ancora finanziati della Signora Gerli, per cui il rifugio ... cambiò nome, divenendo Amerigo e Maria Gerli. Seguì qualche inevitabile polemica ma, giusto riconoscerlo, per ora il nuovo toponimo non ha sfondato e la più parte degli alpinisti ed escursionisti continua a dire “Andiamo alla Porro ...”! ochi anni dopo, nei pressi della vicina alpe Ventina, fu eretto P un modesto ricovero per i minatori che traevano l’amianto, necessario alle nostre industrie di guerra, dai fianchi del pizzo Rachele. Successivamente la struttura passò ai Fossati, che vi inviavano i dipendenti del cotonificio a godere periodi di vacanza. Negli anni ’50 l’edificio fu preso in carico da un ramo della Famiglia Lenatti, i cui membri hanno dato alla Valmalenco parecchie valide guide alpine. Nacque così il rifugio Ventina, tra i primi “privati” in quota delle Retiche telline. Rifugio che prosegue la sua vita tranquilla, pure se gli alpinisti non sono più frequenti come un tempo ed in parte sostituiti dai cultori della “buona cucina di rifugio” qui (come del resto al vicino Gerli-Porro) da anni in auge. P Vecchia cartolina della Capanna Cecilia. N Il rifugio Ponti (tel. 0342 611455) è gestito da Ezio Cassina (01/08/03, foto A. Rossattini). “vecchia” Cecilia risultò piccola e fu abbandonata per costruirne una nuova a 100 metri di distanza. Inaugurata nel 1890 oggi ci apparirebbe poco più di un bivacco: m 3x5, due localucci con 9 cuccette, tavolo e cucina economica; nel sottotetto i pagliericci per le guide. Le coperte: a Cataeggio, in deposito, perché “ (l’arredamento) ... è ridotto al minimo essendo la capanna frequentemente soggetta a furti ...”. el primo dopoguerra, in uno dei maggiori periodi di espansione del CAI, si decise che pure la “nuova” Cecilia era oramai da pensionare. E si eresse, con il contributo della famiglia Ponti (celebri banchieri milanesi), un nuovo rifugio che fu intitolato a Cesare Ponti. Più volte migliorato oggi è una moderna struttura che dispone di quasi 100 posti. Quanta strada dalla “vecchia” Cecilia con i suoi tavolati! oco nota è invece la vicenda della capanna Maria, che sorgeva quasi in vetta al Disgrazia, antesignana dell’attuale bivacco Rauzi. Ceduta al CAI nel 1884 dai topografi dell’IGM che soggiornavano lassù per i rilievi della prima carta topografica italiana, fu consolidata e sistemata con la spesa di 600 lire. Per qualche anno fu utilizzata, ma nel 1905 risultava già completamente abbandonata. Oggi ne resta solo qualche rudere. mente utilizzabile e di fatto sostituita dalla capanna Cecilia. Nel 1924 fu rilevata e restaurata dalla Sezione di Desio, di cui assunse il nome. Benché ingrandita e dall’accesso più agevole grazie al rifugio Bosio (sempre del CAI Desio) nel frattempo realizzato all’alpe Airale in val Torreggio, nel secondo dopoguerra fu nuovamente semi abbandonata. Ancora una volta rimessa in sesto, sembrava avviata a nuova vita, come anello di giunzione tra il Sentiero Roma e l’Alta Via della Valmalenco. Invece, lesionata alcuni inverni orsono dall’eccessivo carico nevoso, è attualmente per l’ennesima volta in abbandono. e vicende della capanna Cecilia, cui abbiamo accennato, sono chiaro indice di un’epoca (purtroppo) oramai lontana: il rifugio fu offerto al CAI Milano, dal Conte Francesco Lurani (grande esploratore dei monti del Masino) e da Ernesto Albertario che, di loro iniziativa, lo fecero erigere non lungi del luogo ove oggi è il rifugio Ponti. Fu così inaugurato il 15 luglio del 1883. Dalle foto si comprende che in pratica era un baitello che poteva ospitare 5 alpinisti. Ma a quei tempi era già un lusso! Ben presto però la L Estate 2010 Per decenni il versante malenco del Disgrazia restò, come abbiamo detto, privo di rifugi. Il rifugio Porro (tel. 0342 451404), gestito da Floriano Lenatti (10/08/05, foto L. Bruseghini). C hiareggio, a 1612 metri di quota, oramai dotato di alberghi, era sufficiente come base di partenza. Ma l’intensa attività del CAI negli anni ’30 giunse pure alle sorgenti del Mallero e nel 1936 fu inaugurato il rifugio Porro, dedicato ad Augusto Porro, accademico del CAI, perito con la sorella Lisetta per valanga sul fianchi del Piz Corvatsch. Una capanna ove iniziava a farsi strada una certa qual comodità, con una ricca biblioteca alpinistica ed una bella sala da pranzo, foderata in legno, ancor oggi considerata un modello. Le Montagne Divertenti Il rifugio Ventina (tel. 0342 451458) è gestito da Diego Lenatti (10/08/05, foto L. Bruseghini). Monte Disgrazia (m 3678) 33 Pietre I bivacchi del Disgrazia Luciano Bruseghini TAVEGGIA Si trova a 2845 metri su di una sporgenza rocciosa ai piedi della cresta est della Punta Kennedy. Di proprietà del Club Alpino Accademico Italiano, è una struttura sempre aperta e dispone di quattro posti letto. Si raggiunge da Chiareggio in circa 4 ore, percorrendo prima il sentiero per i rifugi Gerli-Porro e Ventina, poi l’ampia base morenica e infine il ghiaccio del Ventina. Si risale la prima parte della vedretta in direzione S e poi si piega verso O fino a toccare la base della parete rocciosa. Utilizzando anche un canale erboso la si risale abbastanza facilmente e si raggiunge il bivacco. E’ un punto d’appoggio per la traversata al bivacco Oggioni o l’ascensione alla punta Kennedy, sia per la via normale, sia per la cresta E. OGGIONI Sorge sul Colletto del Disgrazia a m 3151, tra il pizzo Ventina e la cresta ENE del Disgrazia. Di proprietà del CAI di Monza dispone di 9 posti letto. Dal bivacco Taveggia si arriva in circa due ore. Dall’inizio della cresta E della punta Kennedy ci si immette nel bacino glaciale superiore del Canalone della Vergine e lo si attraversa in direzione NO per poi risalire per circa un centinaio di metri lungo un ripido pendio nevoso. Raggiunto il pianoro sommitale lo si percorre in direzione O fino a pervenire al bivacco, a picco sopra la vedretta del Disgrazia. Viene utilizzato come punto di appoggio sia per la salita al Disgrazia, lungo la Corda Molla o la parete N, sia per l’ascensione al pizzo Ventina per la via normale. RAUZI Posizionato qualche metro sotto la vetta del monte Disgrazia, lungo il versante NE (m 3640). E' di proprietà dell’Associazione Amici di Chiareggio e dispone di 9 posti letto. Può essere raggiunto sia dalla Valmalenco sia dalla Valmasino. Ottimo punto di appoggio in caso di improvviso maltempo in vetta. 34 Le Montagne Divertenti di preziose Valtellina Testi e foto Franco Benetti Varianti di discesa dal bivacco Rauzi (26 luglio 2005, foto Beno). Il bivacco Kima (14 marzo 2009, foto Beno). Kima E' una bella struttura in muratura con serramenti rossi posizionata lungo il Sentiero Roma a m 2770 e inaugurata nel 2004. Offre 8 posti letto, cucina e stufa. E' un luogo confortevole che vale sicuramente la pena preferire al più spartano Bivacco Odello - Grandori e da cui dista poco più di 30 minuti scendendo in direzione S dal passo di Mello. Viene utilizzato più come appoggio per le escursioni lungo il Sentiero Roma che per finalità alpinistiche. odello - grandori Il bivacco è situato a m 2900 nei pressi del passo di Mello, valico alpinistico che congiunge l'alta val Cameraccio (parte terminale della val di Mello) e l'alta Valmalenco. Offre 6 posti letto ed è punto di ricovero d'emergenza durante le traversate dalla Valmalenco alla Valmasino, o d'appoggio per la traversata integrale in cresta da E a O del Disgrazia e l'ascesa alla vicine cime di Chiareggio. Estate 2010 In queste pagine troverete una panoramica delle pietre preziose di Valtellina, con informazioni sulla dislocazione dei giacimenti nel territorio, sulla loro origine, sui metodi di estrazione e di lavorazione, nonché quanto si narra sulle loro proprietà terapeutiche e magiche. di collane in pietre dure lavorate. Le Assortimento Montagne Divertenti Pietre preziose di Valtellina 35 Speciali d'estate Pietre preziose I n provincia di Sondrio non vi è una vera e propria tradizione riguardante l’attività di estrazione e lavorazione delle pietre dure, anche se in verità, nell’ambito della ricerca mineralogica è sempre esistita e ha tradizione quasi secolare la passione per la gemmologia e le pietre ornamentali. Nomi come Pietro Sigismund, Luigi Magistretti, Carlo Maria Gramaccioli, Francesco Ciardo, Pierluigi Annibaldi, Fulvio Grazioli sono ben conosciuti dagli addetti ai lavori e da chi di mineralogia e gemmologia si è occupato anche solo marginalmente. Tra questi soprattutto Ciardo e Annibaldi sono da considerare veri e propri collezionisti di pietre tagliate e si sono specializzati nel settore del taglio a gemma della pietra semipreziosa più famosa della Valmalenco: il granato verde o demantoide. Recentemente si è avuto uno sviluppo ancora più accentuato di questa attività, grazie all’allargamento della massa di appassionati alla ricerca mineralogica. Ciò è stato favorito anche dal sorgere di associazioni e istituti come l’Istituto Valtellinese di Mineralogia, dedito, non solo a diffondere e organizzare la ricerca, ma anche a creare delle basi scientifiche alla stessa. Sono inoltre nati sia nelle località turistiche che a Sondrio vari negozi1 che si occupano specificatamente di commercio di pietre dure lavorate, anche locali. 1 - Un esempio importante è "La Pietra" di Pietro Nana a Sondrio. Localizzazione dei giacimenti di minerali lavorabili come pietre dure Ciotola di rodonite della val di Scerscen. Dimensioni cm 26x15x5 (altezza). Il diametro della sfera è di 9 cm. Il valore commerciale di oggetti di questo tipo, costituiti da materiale locale, trasportato a valle a spalle e poi lavorato al tornio da esperti artigiani può raggiungere anche varie centinaia di euro. Rodonite Giacimenti di minerale a manganese, assai pregiato per i ricercatori e adatto, grazie anche alla colorazione vivace, alla lavorazione come pietra dura, si trovano in varie località della Valmalenco e sono correlate sia al deposito di sedimenti del periodo Mesozoico2, caratterizzante la copertura della Falda Margna, sia alle quarziti e ai quarzoscisti della zona del monte del Forno, derivanti dalla metamorfosi di radiolariti depositatesi sul fondo oceanico che separava le due masse continentali, entrate poi in 2 - Il Mesozoico o era secondaria, è la seconda era dell' Eone Fanerozoico, compresa tra il Paleozoico e il Cenozoico. Va da 251 milioni a 65 milioni di anni fa (estinzione dei dinosauri). collisione durante l’orogenesi alpina. Il minerale più adatto allo scopo, facente parte di queste formazioni, è la rodonite3, caratterizzato da una bella e talvolta intensa colorazione rosea, associato spesso a spessartina giallognola e alla rara tiragalloite, reperibile principalmente in Valmalenco nella zona della val di Scerscen, a NO di Franscia, nell’area del monte del Forno - passo del Muretto e nell’alta val Sissone4 in quantità molto limitate. Clinothulite Sempre nell’ambito di minerali 3 - (Ca,Fe,Mn)Mn4 [Si5O15] 4 - Aree poste rispettivamente a N e a O di Chiareggio. ARMONIE DEL BERNINA contenenti anche piccole quantità di manganese, la clinothulite, varietà di clinozoisite5 caratterizzata da una colorazione rosa più tenue di quella della rodonite, è presente in due filoni o giacimenti: - quello del pizzo Tremogge, localizzato a m 2900 ca, nei marmi e calcefiri della formazione del monte Senevedo, intercalati agli gneiss della Falda Margna; - quello di Prà Isio sopra Berbenno, facente parte degli gneiss del monte Canale attribuiti al Cristallino del pizzo Bernina che è parte dell’Austroalpino inferiore. Queste epidositi, si prestano in modo particolare alla lavorazione, data la durezza e compattezza che le caratterizzano, sommate ad una colorazione adatta alla creazione di oggetti ornamentali. Tremolite Particolarmente adatta allo scopo è la tremolite6, nella varietà tradizionalmente definita “nefrite”, presente all’alpe Mastabia, nei marmi dolomitici mesozoici della cosiddetta “zona Lanzada-Scermendone” a contatto con rocce ultrabasiche come le serpentiniti. A Mastabia, tra le quote m 2100 e m 2300, esistono resti evidenti di cave da cui veniva estratto, a livello industriale fino a pochi decenni fa, il talco, minerale molto diffuso in Valmalenco7, che si forma per un fenomeno di talcizzazione della stessa tremolite. Talvolta anche il talcoscisto, nelle sue forme più dure e quando assume una bella colorazione verde pisello, può essere lavorato per creare oggetti ornamentali. La tremolite di questa zona, quando si presenta in masse compatte di colore verde, a grana molto fine, è lavorabile come pietra dura ed assomiglia vagamente alla giadeite. Ciotola e sfera di Clinothulite del pizzo Tremogge. Dimensioni: cm 15x11x5. Il diametro della sfera è di 5 cm. Campione di Tremolite con cristalli a forma di stella nel serpentino proveniente dai Corni Bruciati in val Torreggio. Diopside verde con tracce di grossularia cromifera Nella zona del ghiacciaio orientale di Fellaria, tra le filloniti della Falda Sella a S, e gli gneiss della Falda Bernina a N, affiorano delle scaglie di serpentiniti quasi nere a rodingite in cui è stata segnalata la presenza di un filone di diopside verde con inclusioni di clinozoisite e una varietà di grossularia cromifera8, che, grazie anche al bel colore verde, si presta alla lavorazione come pietra dura. Un diopside verde molto simile proviene anche dal territorio svizzero ed esattamente dalla zona del Piz Lunghin a N del passo 5 - Ca2Al3[OH/O/SiO4/Si2O7]. 31 luglio - 1 agosto 2010 concerto in alta quota rifugio Marinelli (m 2813) info : www . caigiovani . blogspot . com 36 Le Montagne Divertenti 6 - Ca2(Mg,Fe)5[(OH)2/Si8O22]. 7 - Il talco ancora oggi è estratto in maniera massiccia nella zona di Franscia e del monte Motta. 8 - (Ca 2.86 Estate 2010 Fe )(Al Cr Ti )(Si Ti )O 0.12 1.62 0.37 0.02 Le Montagne Divertenti 2.98 0.02 Collana di diopside verde proveniente dalla zona del ghiacciaio di Fellaria orientale. 12 Pietre preziose di Valtellina 37 Speciali d'estate Pietre preziose Maloia, da dove proviene anche una bella vesuviana color verde oliva molto simile nell'aspetto alla giadeite. ltri minerali, adatti alla stessa lavorazione, sono reperibili in quantità più ridotta. Sembra che questo minerale si sia formato per trasformazione, dovuta al metamorfismo, di frammenti ossei presenti nelle originarie arenarie e conglomerati quarzosi. A Lizardite Nei marmi antichi a silicati di calcio e nei calcefiri della Falda Margna della zona del pizzo Tremogge è reperibile, in quantità limitate, un altro minerale facilmente lavorabile e da cui si possono trarre pietre dure a forma di cabochon9, la lizardite10, dalla colorazione verde e lucentezza grassa che era denominato un tempo “serpentino nobile”. Masse più rilevanti di un materiale composto da lizardite e forsterite di colore giallognolo sono presenti nella stessa zona e sono lavorabili per produrre oggetti ornamentali. Titanclinohumite Nelle serpentiniti, rocce basiche di colore verde o verde-grigiastro, tipiche della Valmalenco e derivanti da rocce peridotitiche metamorfosate, è assai diffusa una clinohumite14 titanifera di color rosso fegato, dalle tonalità più o meno intense che si presenta in noduli talvolta decimetrici e che, in taluni casi, si presta alla lavorazione come pietra dura per la creazione di “cabochon” o oggetti ornamentali. Corindone e andalusite della ValChiavenna Provengono da varie località mineralogiche della Valchiavenna alcuni minerali che per colore e durezza si prestano alla lavorazione come pietre dure, anche se la scarsità della quantità rinvenuta ne limita l’utilizzo e la diffusione commerciale. Ciotola di lizardite del pizzo Tremogge. Dimensioni: cm 15x14x6. Muscovite Un materiale classificato in passato da Sigismund come oncosina e che dalle ultime analisi è risultato essere muscovite (fengite)11 è presente sempre nei marmi e calcefiri della Falda Margna della zona del pizzo Tremogge, in val Sora e anche in val Poschiavina e si presta, data la compattezza e la bella colorazione verde bottiglia più o meno intensa, a lavorazione come pietra dura. Diopside azzurro Nei calcefiri della val Sissone sono stati segnalati anni fa da Grazioli alcuni massi in cui era presente una vena di diopside12, contenente tracce di vanadio, di colore azzurro turchese, dalla cui lavorazione sono stati tratti vari oggetti ornamentali di sicuro effetto. Purtroppo il poco minerale presente in zona è stato completamente asportato. Ciotola di diopside azzurro della val Sissone. Dimensioni: cm 14x12x7-il diametro sfera è di 4 cm. Lazulite La lazulite13, caratterizzata da una bella colorazione blu lapislazzulo, è presente in provincia in due località, nella zona del pizzo Scalino-Canciano entro quarziti bianche di età permo-scitica facenti parte della copertura metasedimentaria della Falda Margna e nella zona di Madesimo nella valle di San Giacomo (val Scalcoggia e alpe Groppera). Si presenta in quantità assai limitate ed in noduli blu di piccole dimensioni che si prestano a lavorazione nella forma di piccoli “cabochon”. Minerali che si presentano in cristalli lavorabili con taglio a gemma 9 - Taglio senza sfaccettature, mediante il quale si ottiene una forma con la sommità convessa e base piatta. 10 - Mg6[(OH)8/Si4O10]. 11 - KAl2[(OH,F)2/AlSi3O10]. 12 - CaMg(Si2O6) 13 - MgAl2[(OH)2/(PO4)2]. 38 Le Montagne Divertenti Rocce lavorabili per ottenere ciotole, portacenere e soprammobili vari Non solo masse costituite da un unico minerale possono essere lavorate come pietra dura, ma anche ciottoli costituiti da semplici rocce. Infatti anche da ciottoli di granito o di anfibolite rinvenuti nell’Adda o nel Mallero, si sono ottenuti grazie a lucidatura, ottimi risultati; chiaramente è importante la scelta del campione che dipende non soltanto dalla fortuna ma anche dall’esperienza e dall’occhio di chi lo sceglie; infatti lavorare un campione di semplice granito può non dare lo stesso risultato di quello che si ottiene lavorando un campione in cui vengono ad accostarsi due tipi di rocce diverse, o che contiene più minerali di colore vario e vivace o delle vene particolari o addirittura delle apliti contorte. Collana di pietre dure tra cui diopside azzurro e verde, rodonite, quarzo ed altri minerali. Il valore commerciale di oggetti di questo tipo può raggiungere anche varie centinaia di euro. Estate 2010 I minerali che più si prestano al taglio a gemma, sono quelli che hanno durezza almeno sopra il livello 5 della scala di Mohs e si presentano non in masse amorfe e compatte, ma in cristallizzazioni trasparenti. Le quantità estraibili sono sempre assai limitate e le pietre adatte al taglio assai rare. Elenchiamo alcuni esempi di varietà di minerali con cristalli tagliati a gemma, indicando il 14 -(MgFe)9[(OH,F)2/(SiO4)4]. Le Montagne Divertenti Demantoide - taglio a gemma. Quarzo - taglio a gemma. colore e la località di ritrovamento delle pietre: ANDALUSITE – viola - val Bregaglia italiana; ANDRADITE var.DEMANTOIDE - verde - Cava dello Sferlun in Valmalenco; BERILLO ACQUAMARINA - azzurro - val Codera e valle di S.Giacomo; CORDIERITE – grigio azzurro - val Bregaglia italiana; CORINDONE – blu e rosso - pizzo Grillo in val Bregaglia italiana; DIOPSIDE - viola - Cava del Castellaccio a Chiesa in Valmalenco; FORSTERITE – verde - Cava del Sasso dei Corvi a Chiesa in Valmalenco; GROSSULARIA – rosso arancio - pizzo Tremogge in Valmalenco ; IDROSSIAPATITE – giallo- val Bregaglia italiana; QUARZO – incolore - Dosso dei Cristalli in Valmalenco e valle Spluga; SPINELLO – azzurro violaceo – cima di Vazzeda in Valmalenco; TITANITE – giallo bruno - ghiacciaio del Cassandra; VESUVIANITE – bruno caffè - pizzo Tremogge in Valmalenco; Pietre preziose di Valtellina 39 Speciali d'estate L’estrazione racce di sfruttamento e di estrazione del minerale, anche se assai limitate, sono presenti nel caso della rodonite del monte Forno e risalgono probabilmente al secolo scorso. Un po’ in tutta la valle e quasi sempre ad una quota che poco si discosta dai m 2000, si osservano tracce di forni fusori e del relativo materiale di scarto in cui sembra venisse in taluni casi usato anche minerale di manganese per migliorare la qualità del ferro prodotto. Attualmente l’estrazione è limitata a quantità minime ed è praticata esclusivamente dai collezionisti che si limitano a prelevare qualche campione per le loro collezioni, nei limiti fissati dalla normativa regionale. "La ricerca e la raccolta dei minerali non possono essere oggetto di rapporti concessionali o convenzionali con diritto di esclusiva." All’art. 5: "I quantitativi massimi asportabili individualmente nel corso di una giornata sono i seguenti: -non più di due esemplari pro capite di campioni dello stesso minerale; -non più di dieci esemplari pro-capite di campioni di minerali in complesso15" Vengono poi fissate alcune deroghe per i dipartimenti o gli istituti universitari di specifica competenza nonché i musei naturalistici di enti locali che, per la estrazione di minerali di particolare rilevanza scientifica o per documentate esigenze di ricerca, possono procedere a raccolta di campioni di minerali, utilizzando attrezzature diverse da quelle fissate16 e per quantitativi maggiori, purché vi sia autorizzazione del Presidente della Giunta Regionale o assessore competente se delegato. L’avvio di un’attività di estrazione di tipo cava o miniera, nel caso specifico delle pietre dure, sia per i costi assai rilevanti che si dovrebbero sostenere, sia per le limitate quantità di materiale estraibile, sembra attualmente assai improbabile, anche se non manca in zona la tradizione di cave d’alta quota. 15 - Legge n.183 del 18.3.1983 - Disciplina della ricerca e raccolta di minerali da collezione 16 - E' comunque vietato l’uso di esplosivi. 40 Le Montagne Divertenti Nilo Gregorini nel suo laboratorio. T Tagliatore di gemme Nilo Gregorini Scatola con assortimento di pietre dure lavorate tra cui rodonite, lizardite, diopside, quarzo e altri minerali. La lavorazione I n provincia, la lavorazione delle pietre dure è prerogativa di pochissimi artigiani che si dedicano come attività prevalente al taglio di materiale proveniente dall’estero, non disdegnando però, quando viene richiesto da appassionati o ricercatori di minerali della zona, di dedicarsi anche alla lavorazione di piccole quantità di pietre dure locali. Purtroppo, la scarsità di materiale disponibile non permette un’adeguata diffusione commerciale, anche se, nel caso del demantoide, la pietra valtellinese da taglio più famosa, si sono raggiunte, quando è alta la caratura e ottima la trasparenza, quotazioni molto elevate. Bisogna distinguere tra: - lavorazione di pietre dure per la creazione di oggetti ornamentali17 o 17 - Ad esempio “cabochon” a superficie curva lucidata. da arredamento18, eseguita solo da pochissimi artigiani residenti in bassa valle e da Nilo Gregorini a Bianzone, che si servono di appositi torni con mole diamantate; - taglio a gemma, attività che richiede macchine attrezzate per ottenere la corretta angolazione e divisione delle faccette sulla superficie della gemma stessa. In provincia solo Nilo Gregorini, artigiano di Bianzone, se ne occupa. a lucidatura, infine, viene realizzata sulle pietre lavorate utilizzando apposite mole attrezzate con feltro intriso di polvere di diamante, mentre per quelle sfaccettate si utilizzano dischi di rame e diamante finissimo. L 18 - Sfere, pomelli, ecc. Estate 2010 Avevo circa dodici anni quando mio padre portò dal Brasile le prime pietre preziose grezze. Rimasi folgorato da quella varietà di forme e colori. “Questo è il lavoro che farò da grande” pensai. Le Montagne Divertenti Pietre preziose di Valtellina 41 Artigiani A vevo circa dodici anni quando mio padre portò dal Brasile le prime pietre preziose grezze. Rimasi folgorato da quella varietà di forme e colori. “Questo è il lavoro che farò da grande” pensai. osì, l’estate successiva, i miei genitori mi mandarono in Svizzera, nel laboratorio di un fabbricante di macchine per sfaccettare pietre preziose. Qui, un esperto tagliatore tedesco mi diede i primi rudimenti per apprendere quella che sarebbe poi diventata la mia professione. A 15-16 anni, spinto dalla mia grande curiosità e passione, avevo già tagliato numerose delle pietre brasiliane portate da mio padre. Dopo un’ esperienza a Johannesburg in Sudafrica (dove imparai a lavorare in particolare gli smeraldi) attrezzai a Bianzone una delle primissime taglierie di pietre preziose in Italia. Si sparse la voce e cominciai a ricevere pietre grezze provenienti da tutto il mondo da sfaccettare in ogni forma e dimensione. Fra gli altri si presentarono anche i primi appassionati cercatori di pietre valtellinesi. Proprio così. Testi e foto Franco Benetti C Demantoide -Taglio a gemma. 42 Le Montagne Divertenti Assortimento di pietre dure tagliate. Anche le nostre vallate, in particolare la Valmalenco, nascondono tra le rocce un tesoro composto da interessanti minerali che possono essere tagliati per la gioia di collezionisti e gioiellieri. La più ricercata di queste gemme è il demantoide, rara varietà di granato andradite, che per le sue caratteristiche di brillantezza e di dispersione di luce è apprezzata dai collezionisti di tutto il mondo. Ricordo che già molti anni fa, durante i miei viaggi in America, scoprii, con un po’ di meraviglia, che i collezionisti americani conoscevano i demantoidi valtellinesi e che riuscivo a scambiare questi ultimi con altre pietre rare che mi interessavano per le mie esperienze di tagliatore. Fu così che, anche per merito dei demantoidi, riuscii a portare in Italia pietre ricercate e poco conosciute. In tanti anni di attività (è in questi casi che mi rendo conto di aver ormai perso il conto delle primavere passate a tagliare sassi) ho avuto la soddisfazione di lavorare tante fra le più belle gemme provenienti dalla Valtellina e dalle miniere di tutta la Terra, contribuendo con la realizzazione dei miei gioielli a far felici moltissime donne e ad arricchire le collezioni di amici conosciuti in ogni angolo del mondo. Estate 2010 Ammonite in val Alpisella (Livigno). Pietre preziose di Valtellina 43 Speciali d'estate Pietre preziose A tutti sarà capitato di essere colpiti dalla forma strana o dalla colorazione vivace di una pietra; forse un messaggio inviatoci dalla natura o da qualche misteriosa entità, attraverso gli sconvolgimenti geologici di milioni di anni; è la magia del nostro passato che ci attrae, in fondo forse la nostalgia delle nostre origini. Io mi sono chinato spesso a coglierle e, senza voler fare l’analisi escatologica di un fatto semplicissimo e spesso casuale, devo però dire che non è cosa inusuale per me soffermarmi a rimirare una di queste pietre stringendola in mano e strofinandola quasi fosse una pietra filosofale in grado di innescare chissà quale strana trasformazione o di trasferirmi i suoi poteri misteriosi e taumaturgici. Spesso è solo il colore che attira, l’azzurro acqua marina, il rosa più delicato, l’accostamento tra il nero e il rosa, tra il bianco e il blu, ma altre volte è la stratificazione di sedimenti o una spirale di sostanze e di elementi un tempo allo stato fuso, che la natura ha sovrapposto o composto in modo e con tonalità tanto appropriate che nemmeno un grande artista sarebbe stato in grado di fare altrettanto. Di certo una componente importante è data dal fattore estetico, dall’attrazione verso il bello che è nel dna dell’uomo, ma non è solo questo. Determinante per me è la storia della pietra, i milioni di anni che ha avuto la fortuna di attraversare, le centinaia di sconvolgimenti naturali attraverso cui ha dovuto forzatamente passare, l’origine dei magmi che l’hanno formata, alcuni così ricchi di tal metallo, gli altri intrisi di chissà quale sale, gli altri ancora emananti gas acidi o basici e il tutto che infine si scontra e si fonde e sotto enormi pressioni e si solidifica raffreddando. E anche l’acqua, infine, lavora la pietra. Non solo quella impetuosa dei torrenti, ma anche quella trasformata in ghiaccio dei ghiacciai e quella del mare e della sua risacca che, con costanza e perseveranza, nei secoli, liscia, leviga, scava, scolpisce. E’ quel lungo tragitto che colpisce e affascina, quella inimmaginabile lunga storia di quel frammento di pietra raccolto lassù, appoggiato tra le genziane fiorite o laggiù su una 44 Le Montagne Divertenti Astrattismo in valle di Preda Rossa. Strana scritta nella roccia (“jeinos" o "deinos”?). Vedretta della Miniera in val Zebrù. Perché tanta curiosità nel sapere chi e quando ha scritto quel foglio e l’ha abbandonato ai flutti? E' il messaggio insito nella forma, nel segno o nell’incisione la parte che ci interessa di più. Non c'è solo curiosità, ma l’aspirare a comunicare con qualcuno che non si conosce. Possiamo quindi immaginarci quali Quasi un serpente nella roccia - ghiacciaio dello Zebrù in val Cedech. spiaggia nera tra le conchiglie; come non abbandonarsi allora alla fantasia e alla poesia: se quella pietra è finita proprio lì, dove passa la tal persona e non un’altra e attrae quella persona e non un’altra, deve esserci finita perché inviataci da qualche strano destino. Alcuni anni fa mi è capitato di trovare per caso in alta val Zebrù un sasso su cui addirittura compare nitidamente una scritta. M i sono subito chiesto se non fosse un abbaglio o un frammento di qualche manufatto umano; poi guardando con più attenzione si capiva chiaramente che le inclusioni bianche della roccia, entro il fondo scuro della matrice, in combinazione con il distacco e la frattura casuale di quel piccolo frammento dalla montagna, avevano fatto sì che si formasse quella strana scritta: “jeinos" o "deinos”, che pareva quasi greco; questo è chiaramente un caso limite, ma fa ben capire come tutto quello che ci viene dal passato possa essere interpretato in modo più o meno romantico come portatore di un messaggio, anche se talvolta incomprensibile. E’ come un messaggio trovato in una bottiglia sulla spiaggia. Estate 2010 ulteriori sviluppi possano avere le elucubrazioni del nostro pensiero se non si tratta solo di evoluzione della materia, di fenomeni geologici o tettonici, ma entra a partecipare a questa alchimia anche il fattore umano, nella veste di qualche nostro antico progenitore che migliaia di anni fa ha plasmato, lavorato o inciso quello stesso frammento di pietra che il caso ci ha fatto poi ritrovare. Questo succede quando il sasso è stranamente e particolarmente levi- gato o reca sulla sua superficie strani segni che sembrerebbero di origine umana; come si fa allora a non pensare tra quali mani sia passata, quale homo raeticus l’abbia incisa e perché. Egli ci ha forse lasciato un segno perenne nell’unico posto che dava la certezza di eternità? Poteri terapeutici e magici delle pietre Le pietre e non solo quelle preziose, ma anche il semplice quarzo, hanno sempre avuto un fascino misterioso e fin dall’età della pietra venivano usate come talismani. In Egitto, a pietre come il lapislazzulo o lo smeraldo o alla più volgare ossidiana venivano attribuiti poteri taumaturgici o addirittura di essere validi strumenti guida per la pace eterna, tanto da essere inserite all’interno delle mummie. In Messico e in Tibet, le religioni di quei popoli consideravano la turchese come una pietra divina, capace di mettere in comunicazione l’uomo con entità superiori. La lavorazione della giada, in Cina, risale a quattromila anni fa e anche la tradizione cristiana e quel- Le Montagne Divertenti la ebraica sono ricche di riferimenti a pietre considerate sacre e nelle catacombe romane sono stati trovati diversi tipi di gemme incise. I cultori dello Yoga, hanno sempre ritenuto che il “prana” o energia vitale che alimenta i “chakra”, centri energetici del nostro corpo, si trovi in tutti gli elementi della natura e tra questi anche nei cristalli e nelle pietre dure, che vengono quindi utilizzati per la meditazione e per la loro proprietà terapeutiche. Oggigiorno molti centri idrotermali o del benessere, si servono delle pietre, appoggiandole su ben determinate parti del corpo come coadiuvanti per il raggiungimento dell’equilibrio psicofisico e per rilassare l’organismo. Ciondolo in oro con cabochon di rodonite e pendente in diopside (lavoro di Nilo Gregorini). Pietre preziose di Valtellina 45 Speciali d'estate Maurizio Torri Casera della val Laùr (2005, foto Renato Bertolini). C ambiare i paradigmi, o i punti di vista, fa bene. Troppe volte, il ragionare per comparti stagni ci impedisce di cogliere quelle sfumature che fanno di un'iniziativa commerciale un progetto da imitare e esportare anche in altre realtà. Analizzando meglio l'espressione "a scopo di lucro" si può infatti scoprire che, per realizzare un'idea, talvolta serve la determinazione e la caparbietà di imprenditore per superare ostacoli a prima vista invalicabili, come quelli per creare un turismo sostenibile. E così, grazie al patrocinio di Comunità Montana Bassa Valtellina, BIM e Parco Delle Orobie Valtellinesi, Elio Angelini ha dato vita a un sogno: «I l mio progetto mira concretamente alla riorganizzazione di attività e strutture del mondo agricolo e alla formulazione di una proposta turistica per certi versi innovativa. Ciò che vorrei è dare un impulso all’economia della val Tartano con conseguenti effetti positivi sull’intera valle». Ci spieghi meglio... «V iviOrobie è nata per dare vita a un turismo ambientalmente attento. Vorremmo in un certo senso collegare il soggiornare 46 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Le Montagne Divertenti comodamente nelle strutture ricettive già operanti, a un nuovo tipo di alloggiamento specifico nelle baite tipiche degli alpeggi. La finalità è consentire ai turisti una full-immersion nella natura, in quello che è il mondo contadino rurale delle vallate orobiche. L’organizzazione della proposta turistica consentirà ai fruitori di avere varie giornate organizzate, nelle quali godranno pienamente delle indiscutibili bellezze naturali e paesaggistiche che la val Tartano, nel contesto del Parco delle Orobie, garantisce assolutamente». Questo è ovviamente l'esito finale del progetto, ma come è nata ViviOrobie? «I l progetto è nato concretamente con l'acquisto di una proprietà di 500 ettari. Questo è stato il primo passo di un sogno che avevo da molti anni: fare qualcosa per la mia valle; creare delle strutture per portare un turismo che si differenziasse da quello di massa. Operando all'interno di un'area protetta era indispensabile riqualificare la zona per poi proporla ad una clientela che ricerca una vacanza diversa. Una vacanza da full-immersion nella natura. Ciò vuol dire di conseguenza riqualificazione ambientale, ritorno all'agricoltura e recupero di aree abbandonate a se stesse». Qual è lo stato dell'arte? «Q ualcosa è stato fatto e molto resta da fare. Abbiamo restaurato e resa operativa l'azienda agricola. Abbiamo creato l'orto botanico, ma ciò che più conta siamo riusciti un poco a cambiare la mentalità della gente: quello che all'inizio sembrava un progetto utopico, ora è percepito come una concreta opportunità di turismo ecosostenibile». Immagino che abbiate incontrato e continuiate a incontrare notevoli difficoltà? «G li ostacoli e i costi di realizzazione di tale progetto sono molti, ma io e il mio staff crediamo nella bontà dell'iniziativa e tiriamo dritti per la nostra strada. Ovviamente un aiuto da parte degli enti pubblici locali sarebbe oltremodo gradito. Come ho già detto prima, infatti, ViviOrobie sarà anche un'iniziativa privata, ma con ricadute e effetti benefici per l'intera val Tartano». ViviOrobie 47 Speciali d'estate Zecche !!! ViviOrobie è attiva anche nell'organizzare eventi sportivi? «C erto. Il traino sportivo è importante per fare breccia su un target di persone potenzialmente sensibili alla nostra iniziativa. Sciaspolando, come la Bike&Run estiva sono manifestazioni amatoriali a staffetta che vogliamo usare da volano per promuovere la val Tartano e le sue bellezze. Le prime edizioni di entrambe le iniziative sono partite con il piede giusto ed hanno avuto un buon riscontro mediatico. Continueremo quindi su questa strada per fare vedere che la provincia di Sondrio non è solo stazioni sciistiche e impianti di risalita, ma un’area alpina ove ogni valle merita di essere conosciuta, valorizzata e promossa». Con l'avvicinarsi dell'estate e l'innalzarsi di temperatura e umidità, un gran numero di “esserini” si risveglia dalle rigidità invernali e inizia la sua febbricitante attività: le api ricominciano a ronzare di fiore in fiore, le farfalle a svolazzare su e giù per i prati, e le zecche affamate si dispongono in agguato attendendo i loro sventurati ospiti! In vostro modello è esportabile anche in altre realtà? «S icuramente, non abbiamo mica scoperto l’acqua calda! In altre zone, anche non alpine, progetti simili sono già operativi e riscuotono notevoli consensi. L’importante è vivere la montagna, farla conoscere e rispettarla. In giro c’è molta gente che non si può permettere o che magari non vuole andare in un hotel cinque stelle, oppure che vuole calarsi completamente in un ambiente e viverlo come lo si viveva un tempo». Elio Angelini al baitone (2005, foto Renato Bertolini). Progetti realizzati e da realizzare I l progetto di riqualificazione della valle comporta la attuazione di alcuni lavori. ViviOrobie ha in programma progetti quali: - ristrutturazione baita “Laghetto” realizzazione strada agrosilvopastorale ad uso agricolo interno in località “Sona Alta”; - collegamento da area di arrivo teleferica alla “Casera” e alla baita del “Gras Grand”; - ristrutturazione “Casera” in Sona Bassa e della baita “Corneselle” e “Cort del Ros” per uso agricolo e turistico; - realizzazione Giardino Botanico; - realizzazione di acquedotto per servizio alle baite; - ripristino e riqualificazione della 48 Le Montagne Divertenti sentieristica; - pulizia dei boschi. Ulteriori lavori da realizzare: - ristrutturazione alloggi in baita Borgo antico a m 1450; - adeguamento igienico strutture malghe (bollino CEE), per renderle idonee alla produzione di formaggio e altri prodotti locali (inclusa realizzazione acquedotto); - ristrutturazione Centro Polifunzionale; - realizzazione di 3 centraline idroelettriche (con allacciamento all’ acquedotto nessun impatto ambientale) per l’esclusiva illuminazione delle baite; - realizzazione bivacco a m 2100. Le zecche, pur essendo animaletti interessanti, sicuramente non riscuotono molte simpatie, vista la loro fastidiosa abitudine di ficcarsi nella nostra pelle e succhiarci il sangue. Inoltre, diversamente da altri parassiti, come le pulci e le zanzare, le zecche rimangono attaccate al nostro corpo per giorni interi, cosa che generalmente suscita un vivo ribrezzo e rende possibile assistere in diretta al parassita che si ciba di noi. val Laùr (2005, foto Renato Bertolini). Estate 2010 Testi e foto Simone Manzocchi Le Montagne Divertenti Zecche 49 Parassiti Speciali d'estate ricinus dura in media tre anni, uno per ogni stadio di sviluppo, ma può variare in base agli andamenti stagionali delle temperature. uando la zecca è attiva (e non è in diapausa) passa la maggior parte del suo tempo in agguato sotto le foglie dei cespugli e degli arbusti e, non appena percepisce l’odore, il calore e i movimenti di un mammifero o di un uccello di passaggio (eventualmente anche un rettile), si lascia cadere dalla vegetazione e si arpiona alla pelliccia o ai vestiti del suo ignaro futuro donatore di sangue. L'arrogante esserino vaga poi sulla pelliccia o sui vestiti finché non trova un posto calmo e accogliente (per esempio l’inguine di un uomo) dove ficcare la testolina e nutrirsi. Ognuno dei tre stadi “caccia” ha altezze differenti: le larve pressoché al suolo, le ninfe tra la vegetazione e il suolo, e gli adulti sulla vegetazione al di sotto dei 150 centimetri. L'altezza di caccia è strettamente legata al tipo di ospite che i tre stadi predano, cioè i micromammiferi (arvicole, topi, toporagni, ricci) per la larva; gli ungulati selvatici per gli adulti; e praticamente qualsiasi vertebrato (compresi gli uomini e i cani) per la ninfa. La puntura della zecca non è dolorosa, perché nella sua saliva è presente un cocktail di sostanze ad azione antinfiammatoria, vasodilatatoria e anticoagulante. La zecca, una volta ancorata alla pelle, se la prende comoda e rimane attaccata per un lungo periodo, da alcuni giorni fino a una settimana, durante il quale assorbe il sangue, di cui trattiene i globuli rossi e le sostanze nutrienti. La parte acquosa del sangue viene invece eliminata attraverso il secreto delle ghiandole salivari e letteralmente “sputata” nell’ospite, insieme ai microorganismi patogeni che la zecca alberga al suo interno. tutti noi è capitato almeno una volta, ritornando a casa dopo un bel giretto, di trovarci addosso questa meretrice conficcata con soddisfazione nella nostra pelle. Se fosse solo per il fatto che l’animaletto in questione ci assaggia ogni tanto, non ci preoccuperemmo più di tanto, però l’infingardo, succhia e risucchia, può portare diverse fastidiose malattie. Q Le zecche sono definite accademicamente “ectoparassiti ematofagi”, ossia animali che sopravvivono succhiando il sangue all’esterno del corpo di altri animali. S ono artropodi, come gli insetti e i crostacei, e fanno parte della classe degli aracnidi, insieme ai loro cugini ragni, scorpioni e acari. All’interno dell’ordine delle zecche sono presenti due grandi famiglie, le zecche dure e le zecche molli, suddivise a loro volta in innumerevoli generi 50 Le Montagne Divertenti e specie, differenti per caratteristiche ecologiche, preferenze di ospite, periodi di attività e capacità di portare "malattie". La zecca che interessa maggiormente gli escursionisti, e generalmente chiunque frequenti gli ambienti silvestri, è Ixodes ricinus, detta anche zecca dei boschi o zecca degli ungulati. Questo simpatico animaletto è presente in tutta Europa, Italia compresa; vive nei boschi al di sotto dei 1200 metri, specialmente nelle aree ben coperte da latifoglie, con presenza di arbusti, cespugli e felci, e con elevata umidità atmosferica (per esempio vicino a corsi d’acqua o a bacini imbriferi). La presenza nell’ambiente di un buon numero di ungulati selvatici (come caprioli, cervi, daini) contribuisce notevolmente ad accrescere la densità delle zecche, poiché questi mammiferi costituiscono per i parassiti dei veri e propri buffet ambulanti. I l periodo di massima attività di Ixodes ricinus è quello estivo primaverile, all’incirca intorno ai mesi di maggio, giugno e luglio, anche se, in presenza di temperature favorevoli, è possibile incontrare la zecca da marzo fino a ottobre. Il suo ciclo biologico si compone di tre stadi di sviluppo: la larva, la ninfa e l’adulto. In ognuno di questi stadi, durante il suo periodo di attività, la zecca va in cerca di una preda e compie su di essa un unico lungo pasto, terminato il quale si lascia cadere e muta al suolo nello stadio successivo. D urante l’inverno la zecca si rifugia negli anfratti del terreno e rimane in uno stato quiescente detto diapausa. e larve sono gialle e quasi invisibili alla vista (0,5 mm), le ninfe sono giallo-brunaste e misurano circa 1 mm, mentre gli adulti sono rossobrunastri e misurano circa 3 mm. In Europa centrale, la vita di Ixodes L Estate 2010 In Italia la zecca è portatrice della malattia di Lyme e dell’encefalite virale da zecca o TBE (tick-borne encephalitis). La malattia di Lyme o borreliosi di Lyme è una patologia infettiva causata dal batterio Borrelia burgdorferi s.l., presente in tutta Europa e nel nord dell’Italia e trasmessa all’uomo dalla zecca Ixodes ricinus. Il parassita contrae l’infezione nello stadio di larva attraverso il pasto su un micromammifero o un uccello permanentemente infetto con Borrelia, detto serbatoio o reservoir, e la ritrasmette a sua volta agli ospiti degli stadi successivi (ninfa e adulto), tra i quali può rientrare anche l'uomo. La manifestazione tipica dell'infezione è un eritema (cioè un arrossamento della pelle), di forma circolare, che si espande con andamento centrifugo, disegnando una specie di alone anulare rossastro. Compare qualche giorno dopo la puntura e scompare nell’arco di qualche mese. Spesso chi presenta questa manifestazione cutanea, non si accorge nemmeno che una zecca l’ha punto e imputa l’arrossamento a una dermatite allergica da contatto, ma in genere i medici conoscono bene questo sintomo tipico e in sua presenza possono diagnosticare con facilità la malattia. La malattia di Lyme si può anche manifestare , con un nodulo bluastro, chiamato linfocitoma cutaneo, su lobo dell’orecchio, capezzoli e scroto. Successivamente si possono presentare sintomi articolari, con dolore e gonfiore in un’articolazione, che generalmente compaiono e spariscono nell’arco di pochi giorni per poi ripresentarsi, dopo un breve periodo, in un’altra articolazione. Si accompagnano talvolta manifestazioni neurologiche, delle quali le principali sono la paralisi del nervo facciale e uno stato particolare di sonnolenza, perdita di memoria, incapacità di coordinare correttamente i movimenti, associate a una forma di encefalopatia. La malattia di Lyme, nella maggior parte dei casi, è curabile con trattamento antibatterico per 14-60 giorni (ma la durata può salire a 30-60 giorni per alcune forme croniche). A Le Montagne Divertenti Zecche 51 Quel l'è 'n... Speciali d'estate A lcuni semplici comportamenti permettono di prevenire la malattia di Lyme. Prima di tutto, quando si fanno escursioni, è buona cosa utilizzare il giusto abbigliamento, in particolare se si prevedono ampi fuoripista nell’erba alta o tra i cespugli. L’ideale è indossare pantaloni lunghi e scarponcini, o comunque un abbigliamento che non lasci mai esposte le gambe o le calze, sui cui le zecche possono risalire fino all’inguine. I repellenti a base di deet (N, N-Dietil-meta-toluamide), applicati sulla pelle o sui vestiti, sono utili nell’evitare che le zecche ci considerino appetibili; magari saliranno sui nostri vestiti, ma difficilmente proveranno a pungerci. Appena rientrati a casa dopo un’escursione, fatta una bella doccia, è consigliabile guardare e controllare bene tutto il corpo, in modo da individuare ogni eventuale “amichetta” infissa nella pelle. Molto difficilmente Ixodes ricinus trasmette il batterio prima delle 24 ore da quando si è infissa nella cute, quindi, se abbiamo una zecca addosso, è molto importante estrarla il prima possibile. encefalite virale da puntura di zecca (TBE) è una malattia che si suddivide in due fasi: una influenzale con febbre solitamente sotto i 38° accompagnata da cefalea e dolori alla schiena ed agli arti risolvibile in una settimana circa; una seconda fase che coinvolge il sistema nervoso centrale accompagnata da febbre molto elevata e sintomi simili a quelli di una meningite. L' N onostante l’esistenza d’innumerevoli leggende su c o m e togliersi una Franca Prandi zecca, l’unico modo per farlo correttamente è afferrarla con una pinzetta alla base della "testa" (detta capitulum), il più vicino possibile alla nostra cute, e tirare gentilmente. ai afferrare la zecca dal corpo perché si può rompere facilmente, e soprattutto mai applicare trementina, acetone, petrolio, alcol, disinfettanti, e altre sostanze sulla zecca; non aiutano in nessun modo nell’estrazione e inoltre provocano un riflesso di “rigurgito” nel parassita, il quale riversa tutto il contenuto delle ghiandole salivari nel suo ospite (compresi eventuali batteri e virus); in altre parole il danno che non aveva fatto la bestiaccia lo provochiamo noi. ltra leggenda metropolitana è quella della rottura della “testa” all’interno della cute. Alcuni pensano che questo possa causare “gravissime infezioni”, ad altri ho addirittura sentito dire che dalla “testa” rotta può ricrescere la zecca! Se nell’estrazione della zecca si rompe la “testa”, questo non costituisce assolutamente un problema. In verità quello che rimane nella nostra pelle non è la testa, ma solo un ago dentellato, con cui la zecca si ancora, chiamato ipostoma (volgarmente, rostro). Ovviamente non causa nessuna “grave infezione” e lo si può rimuovere facilmente come si fa con le spine dei ricci di castagno. opo la rimozione della zecca è M A consigliabile dare una bella disinfettata alla pelle e tenere controllata la parte interessata per due mesi, in modo da individuare prontamente l’eritema, se mai si presentasse. Dopo la rimozione di una zecca è categoricamente sconsigliato l’uso di antibiotici in assenza di sintomi: questi potrebbero, infatti, rendere invisibile l’eritema senza però eliminare tutti i batteri, i quali continuerebbero a moltiplicarsi nell'organismo fino a dare sintomi più gravi e spesso difficilmente riconducibili alla malattia di Lyme. er i nostri cagnoloni e cagnolini sono in commercio dei collari antiparassitari a base di piretroidi (permetrina; deltametrina) e delle formulazioni “spot on” (gocce da mettere sul dorso) a base di imidacolprid o fipronil; si possono usare separatamente o insieme e garantiscono un certo grado di protezione dalle infestazioni. Anche per i cani e consigliabile dare una controllata e una spazzolata al pelo dopo una passeggiata nel bosco, per evitare di introdurre in ambiente domestico le zecche che vagano sul pelo dell’animale in cerca di un posto tranquillo. P D 52 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Le Montagne Divertenti Quel l'è 'n 53 I leǜsc Speciali d'estate G li anziani, pur non conoscendo una persona, riescono a capire esattamente il paese o addirittura la contrada di Valtellina da cui questi proviene. A volte basta loro notarne i lineamenti, a volte serve invece che questi scambi con loro qualche battuta svelando inevitabilmente il proprio accento. Questa abilità è un sapere mai tramandato a voce, nè tantomeno scritto; una sorta di sesto senso1 che alcuni hanno acquisito con l'esperienza e che permette loro di isolare e distinguiere gli elementi peculiari delle varie comunità di Valtellina. Descrivendo su ogni numero della rivista una delle comunità ancora ben radicate nel nostro territorio, cercheremo di spiegare l'arte di riconoscerle. Breve sosta per una foto-ricordo durante l'aratura che precedeva la semina del grano saraceno (San Giovanni, luglio 1963, Archivio Mosè Bartesaghi). Nella pagina a fianco: Mario Baldini porta ne mazza. Per un vero leǜsc il riposo è tabù così, di ritorno dai campi, sempre lo attendono i lavori di casa (2010, foto Matteo Gianatti). In copertina a questo articolo: el Silvi di Rös trasporta il fieno con mulo e slitta di legno da Ca Benedetti alla Madonnina (gennaio 1959, foto Archivio Fernando Fanoni). L'è en leǜsc Q uali sono gli elementi che inducono a definire con esattezza che una persona ha origini nella contrada Madonnina di Montagna in Valtellina? 2 Certo le fattezze: spesso il vero leǜsc è magro, quasi ossuto, ha i tratti del viso marcati e il naso un po’ pronunciato. È piuttosto bruno di pelle, ha gli occhi scuri, come i capelli che spesso sono ricci, e le arcate sopraccigliari folte. Ha una parlata diversa dagli abitanti delle altre contrade di Montagna, caratterizzata da una cantilena singolare e da un proprio intercalare: òoh ti! Ma anche all’interno dei diversi nuclei si possono cogliere delle differenze; le patate, per esempio, 1 - Alla richiesta di spiegazioni la risposta più comune è "L'è inscì". 2 - Il seguente contributo è stato possibile anche grazie alle preziose informazioni fornitemi da Giorgio Leusciatti di Montagna. 54 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Le Montagne Divertenti a San Giovanni sono dette tartǜfui, mentre a Ca Bongiascia, poco più a valle, tartìfui. Gli uomini, poi, hanno l’abitudine di infarcire i loro discorsi con frequenti e colorite saràccạ. Ai tempi, le donne si distinguevano per il loro abbigliamento dai colori scuri, come il panét che copriva il loro capo, annodato stretto, stretto dietro la nuca con gesti rapidi e sicuri. Qualcuno ancora si ricorda, poi, il cerchio di stoffa attorcigliata che mettevano in testa per trasportare il secchio con il latte che andavano a vendere a Sondrio. Notoriamente i leǜsc sono frugali, poco avvezzi alle comodità; anche il loro pane è scuro come i vestiti che portavano. Viene cotto tuttora nei forni a legna, soprattutto in occasione delle feste più importanti come Natale o San Giovanni Battista, ed il suo aspetto è dovuto al fatto che viene preparato con farina di sola segale; un tempo anche con la crusca. Viene definito ‘l pan di sèt culp, perché molto duro, infatti le fornate erano effettuate solo ogni una o due settimane, ma, come dicevano i vecchi, al té cùpa, cioè sazia, perché sostanzioso o forse perché le donne, prima di chiudere lo sportello del forno, impartivano il segno della croce alle pagnotte. Di carattere, i leǜsc, sono piuttosto facili all’ira, molto orgogliosi e anche suscettibili, gelosi delle loro donne. Fino a qualche decennio fa erano frequentissimi i matrimoni endogami, cioè all’interno della loro piccola comunità. I maschi non erano teneri con i giovanotti di altre contrade o foresti che si arrischiavano a corteggiare una delle loro ragazze; infatti erano soliti accogliere i malcapitati dongiovanni con una sassaiola che spesso dissuadeva i meno tenaci dai loro focosi intenti. Si dice anche, un po’ malignamente, che alcuni di loro fossero inclini ai Quel l'è 'n 55 Speciali d'estate furtarelli; a volte, più per necessità che per indole, sconfinavano appropriandosi di un mazzetto di legna o della valìs, cioè lo strame per le bestie, che andavano a raccogliere sugli impervi crap d’avéi, all’imbocco della val di Togno, o ai cügnuléttạ. i racconta ancora un gustoso aneddoto che ha visto coinvolto un contadino di ca ğenàt che, dopo aver seminato le patate nel suo campicello, attendeva trepidante che germogliassero. Avvedutosi che le sementi erano state sottratte da qualcuno, confidò il proprio cruccio ad un suo compare il quale, forse avendo la coscienza sporca, gli disse che evidentemente le aveva piantate prima di un forte temporale, dopo il quale sul campo si era “appoggiato” l’arc, cioè l’arcobaleno, e quindi, secondo una credenza allora molto radicata, erano marcite. ella tradizione popolare è consolidata la convinzione che i leǜsc siano originari della Calabria e che si siano successivamente trasferiti nel comune di Montagna. In realtà se tale credenza fosse attendibile, ciò deve essere avvenuto in tempi remotissimi, infatti cognomi come Benedetti, Credaro e Brusa sono testimoniati a Montagna già nel 1443! I leǜsc sicuramente hanno abitato quello che veniva definito il Mons Leputiorum, ovvero il monte dei Lepuzi, che riuniva le numerose contrade che vanno da Ca Benedetti fino all’attuale San Giovanni. La denominazione è attestata almeno a partire dal Quattrocento, quando è testimoniato, indifferentemente, il monte de Levuzij o de Levutij. Sicuramente nel Seicento si affermò anche il cognome che si riallaccia al toponimo; nel 1606 Bernardo del fu Giacomo Mascarini è detto, infatti, de Leutij. E così, come spesso è accaduto anche in altri contesti, dal toponimo ha avuto origine il cognome che ancora si tramanda nella variante Leusciatti, mentre per ca leǜsc ai nostri tempi si intende la contrada della Madonnina o de la madùnạ, come loro preferiscono chiamarla, e non più le contrade alte. Col tempo all’interno della comunità S N 56 Le Montagne Divertenti si evidenziarono vari clan, cioè nuclei famigliari molto compatti, con numerosa figliolanza, dove le braccia maschili rappresentavano una ricchezza, soprattutto dove mancava un animale da tiro. Ricordiamo i rös, i šturn, i pucèlli, i brǜśạ, i merlàt, i martìn, i tunaìn… on grande tenacia questi uomini hanno dissodato un’area aspra e poco vocata all’agricoltura, strappando lembi di terreno ad una natura per nulla generosa, trasportando a monte ogni anno, col gerlo, quella magra terra che scivolava a valle e guardando con invidia quelli di Santa Maria che vivevano in una territorio ben più ospitale e fertile. Fino agli anni Quaranta del secolo scorso, prima del grande esodo verso l’attuale contrada della Madùna, i leǜsc se ne stavano a San Giovanni fino alla festa di Sant’Antonio (17 gennaio), poi scendevano alla Madonnina per svolgere i lavori nelle vigne, ma già a San Giuseppe (19 marzo) tornavano nelle contrade alte, perché era lì che c’erano i campi, i prati, le fonti della loro sopravvivenza. In seguito raggiungevano l’aquanégra, nella valle del Lanterna, dove facevano estivare le mandrie tra la festa di San Giovanni (24 giugno) e quella di San Bartolomeo (24 agosto), C come prevedevano gli ordinamenti del Comune di Montagna. Accorti e avveduti, i componenti della quadra di San Giovanni dalli crappi in su, a monte cioè della contrada di cardè, sono riusciti a mantenerne la proprietà che avevano ottenuto con la divisione dei monti e delle alpi comunali conclusasi faticosamente, dopo decenni e decenni, nel 1761. Impegnati nel duro lavoro quotidiano i leǜsc non potevano nemmeno permettersi di presenziare alla messa di Natale in San Giorgio. Il lungo tragitto li avrebbe tenuti per troppe ore lontani dalle loro occupazioni quotidiane e dalle loro bestie che, com’è noto, non conoscono feste di sorta, perciò il canonico era tenuto, il giorno di Santo Stefano (26 dicembre), a salire fino a San Giovanni per celebrare la messa. Per l'occasione la gente di quelle contrade arrivava in chiesa con il livèl, cioè uno o due pani di segale che erano il corrispettivo del fitto dei piccoli appezzamenti di proprietà della chiesa che lavoravano. I pani andavano a colmare due sacchi, poi venivano tagliati a fette e distribuiti a tutti quelli che avevano partecipato alla funzione. Storie d’altri tempi, così vicine, ma anche così lontane… Disgrazia: via normale Beno La via normale al Disgrazia, la stessa seguita dai primi salitori, raggiunge la vetta attraverso la valle di Preda Rossa, la Sella di Pioda e infine la cresta ONO del monte. La cresta ONO del Disgrazia vista dalla vetta del monte Pioda. E' netta la zona di transizione tra il grigio granito del Masino e le rosse serpentiniti malenche (7 agosto 2009, foto Beno). Estate 2010 Le Montagne Divertenti Monte Disgrazia (m 3678) 57 Valmasino Alpinismo Sul ghiacciaio di Preda Riossa (26 luglio 2005) e la Sella di Pioda dalla cresta ONO del Disgrazia la notte del 8 novembre 2008 (foto Beno). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Preda Rossa (m 1955). Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la SS38 fino ad Ardenno (19 km), poco prima del ponte sul Masino, uscire a dx, e affiancare il torrente fino all'incrocio da cui parte la SP 9 della val Masino. Seguirla fino a Cataeggio (9 km), quindi Filorera (1 km). All'uscita del paese prendere la deviazione sulla dx che porta immediatamente alla Casa delle Guide e al ponte sul Masino. La carrozzabile1 sale in valle di Sasso Bisolo fino a Preda 1 - La strada da quest'anno è a pagamento. Costo giornaliero 5€, il permesso lo si fa in Comune a Cataeggio. Per chi venisse sorpreso senza permesso la sanzione è di ben 105 €! Questa via di salita è la stessa effettuata dai pionieri inglesi nel 1862 ed è l'accesso più facile e frequentato della montagna. Si svolge in un ambiente molto vario nella valle di Preda Rossa, laterale della Valmasino. Si attraversano scenari naturali eterogenei, dalle piane dolci e bucoliche, all'impressionante morena del ghiacciaio di Preda Rossa, ai ripidi e crepacciati pendii dello stesso scudo nevoso, per chiudere con un'aerea cresta di roccia rossa che regala una delle vette più belle delle Alpi. Benché sia "la più facile", questa via non va sottovalutata e se non si è alpinisti preparati è bene essere accompagnati da una Guida Alpina. 58 Le Montagne Divertenti D Rossa (circa 8 km - tratto centrale sconnesso). Itinerario sintetico: Preda Rossa (m 1955) [rifugio Ponti (m 2559)] - Sella di Pioda - monte Disgrazia (m 3678) dalla cresta ONO. Tempo di salita previsto: 6:15 ore. Attrezzatura richiesta: Scarponi, corda, piccozza, imbracatura, ramponi, cordini. Difficoltà/dislivello: 4 su 6 / 1723 m. Dettagli: Alpinistica PD. Passi fino al III grado su roccia, tratti di misto e su ghiacciaio. Mappe: Valmasino 1:25000 . ue frane negli anni ’70 e ’90 spazzarono via a quota 1300 la carrozzabile che saliva nella valle di Sasso Bisolo. La strada era stata costruita dall’ENEL negli anni Sessanta, nell'ambito di un progetto per costruire un grande bacino artificiale nella piana di Preda Rossa. Il progetto venne poi abbandonato, anche in seguito alle proteste ambientaliste. ggi una bretella sterrata e dissestata aggira il nucleo franoso transitando sull'instabile orografica sx della valle, per poi ricongiungersi all'ottima pista asfaltata sull'altra sponda. Molte curve e si è alla stupenda piana di Preda Rossa (m 1955). Se si volesse partire a piedi direttamente da Filorera, il sentiero segnalato, via percorsa dagli atleti del O Trofeo Kima, tocca solo in minima parte la rotabile e porta ai m 2000 della piana (da Filorera ore 2:30 ). 'avventura ha inizio sul sentiero segnalato da bandiere bianche e rosse per la Ponti. Attraversata la piana di Preda Rossa dal suo lato occidentale1, si guadagna quota in un boschetto fino a un successivo ripiano, superato il quale ci si sposta sul pendio orografico dx della valle (sx). Un ultimo tratto fra lastroni di granito e macereti porta alla Ponti (m 2559, ore 2). Dal rifugio, per sentiero, ci si porta sulla sponda occidentale della morena del ghiacciaio, intercettando la traccia che sale dal basso direttamente sulla L 1 - Si transita su alcune passerelle di legno che sovrastano tratti spesso acquitrinosi. Estate 2010 morena: una variante che, per chi la conosce, avrebbe fatto sicuramente risparmiare tempo. Si sale sullo stretto crinale detritico, con bella vista sulla lingua glaciale che, nella parte bassa, è quasi completamente coperta da pietrame. Si attraversa quindi, seguendo i segnali, una vasta zona con lastroni, chiazze di neve e pietraie. Mantenendosi a sx, si cerca di attaccare il ghiacciaio nel punto più conveniente che, generalmente è sotto le rocce verticali che sbarrano la vista a occidente. Con la dovuta attenzione si affronta il ghiacciao, dapprima ripido e talvolta molto crepacciato, poi più dolce. Si abbandona infine la neve montando l’ampia depressione della cresta rocciosa NE del Disgrazia: la Sella di Pioda (m 3387, ore 2:30). Da qui il panorama è davvero superbo, sia sulle cime del Masino che del Bernina. questo punto molte cordate prediligono evitare il primo gendarme aggirandolo da S per cenge e neve e rimontare in cresta al primo intaglio, ma io reputo questa via pericolosa per le continue scariche di pietre dall'alto, per cui dalla sella consiglio di proseguire in cresta o appena a dx di questa. Si affrontano passi di II/III grado un po' esposti fino all'anticima di quota m 3400 ca, da cui si scende all'intaglio comune con l'altra variante. La via prosegue ora sempre sulla cresta rossa di serpentino o, dove opportuno, aggirando alcune difficoltà o ghiaccio dal versante meridionale ed evitando così d'utilizzare inutilmente attrezzatura da K2. Al termine della sella a cui culmina il Canalone Folatti, c'è un passaggino su placca scivolosa, poi la linea torna ben appigliata e aerea. Alla successiva ripida rampa, ci si può portare decisamente sul versante meridionale e, con un pizzico d'intuito, si riescono a vedere le assi e i resti della capanna Maria. Tornati in cresta si è in breve all'anticima orientale del Disgrazia, la Punta Siber Gisy. Da qui solo un centinaio di metri su rocce rotte e il Cavallo di Bronzo, famoso masso con tacche artificiali, separano dalla vetta (monte Disgrazia, m 3678, ore 1:45). Il paesaggio è immenso: l'isola- A Le Montagne Divertenti Le roccette che portano all'anticima di quota 3400 precipitano nell'abisso del versante N (7 agosto 2009, foto Beno). mento della montagna regala la sensazione d'essere in volo. Per chi volesse trovare ricovero, il bivacco Rauzi si trova poco sotto la vetta in direzione NE. A l ritorno merita una visita pure il granitico monte Pioda, raggiungibile per cresta aerea dalla sella (m 3431, ore 0:20). Monte Disgrazia (m 3678) 59 Valmalenco Alpinismo La Corda Molla Luciano Bruseghini La Corda Molla, itinerario classico di salita al Disgrazia, era anche quello più battuto fino agli anni sessanta. Deve il suo nome alla forma a mezzaluna della lingua di ghiaccio che ricopre la parte alta della via. I tracciati di salita (rosso) e discesa al Disgrazia per la Corda Molla (10 agosto 2008, foto e tracciato Luciano Bruseghini). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Chiareggio (m 1612). Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la strada provinciale SP15 per la Valmalenco. Arrivati a Chiesa (12 km) si prende la biforcazione occidentale della valle. Dopo diversi tornanti (5 km) si arriva a San Giuseppe da cui si prosegue in direzione di Chiareggio (5 km). Itinerario sintetico: Chiareggio (m 1612) - alpe Ventina (m 2000) - Bivacco Taveggia (m 2894) Punta Kennedy (m 3283) - Bivacco Oggioni (m 3151) - monte Disgrazia (m 3678) - discesa per la parete E e il ghiacciaio del Ventina. U na leggenda locale, inserita nel libro Valmalenco, una lunga storia di Luigi de Bernardi, narra che un tempo il monte veniva chiamato pizzo Bello e i suoi fianchi erano ammantati di pascoli lussureggianti. I pastori, tranquilli dell’abbondanza che la montagna dava loro, divennero sempre più superbi ed arroganti. Un giorno rifiutarono ospitalità ad un anziano viandante stanco ed affamato, perché intenti ad ammirare lo splendore del monte. Allora il viandante, che si rivelò Dio in persona, gettò sulla montagna una maledizione, bruciandola fino alla vetta e accecando i pastori, mandandoli appunto in disgrazia. Pare invece che il nome Disgrazia derivi dall'errata traduzione La cresta di neve e roccia che dal bivacco Oggioni porta sulla vetta del Disgrazia (7 agosto 2009, foto Beno). Montagne Divertenti 60lunga Le Estate 2010 Le Montagne Divertenti Tempo di salita previsto: 1° giorno 6 ore fino al Bivacco Oggioni (2 ore in più con la Kennedy); 2° giorno - 5 ore alla vetta + 4 ore per la discesa. Attrezzatura richiesta: scarponi, corda, piccozza, imbracatura, ramponi, cordini, utili un paio di chiodi da ghiaccio. Difficoltà/dislivello: 4.5 su 6 / 2078 m. Dettagli: Alpinistica AD. Passi fino al IV grado su roccia, tratti di misto e su ghiacciaio. Mappe: Valmalenco - Carta escursionistica 1:30000. dal termine dialettale "Desglacia", ovvero si scioglie, riferito all'abbondanza di acqua che scende dai numerosi ghiacciai che ne ricoprono le pareti. a Corda Molla, itinerario classico di salita al Disgrazia era il più battuto fino agli anni sessanta, quindi gli fu preferita la più breve via normale. Deve il suo nome alla forma di mezzaluna della lingua di ghiaccio, un tempo molto copiosa e oggi ridotta a un lumicino, che ricopre la parte alta della cresta che porta alla parete E del Disgrazia. Nonostante il ritiro delle nevi perenni, è sempre un itinerario molto caratteristico e scenografico, a strapiombo sulla parete N della montagna. L L’ avventura ha inizio dall’abitato di Chiareggio (m 1612) nel comune di Chiesa in Valmalenco. Nei pressi della chiesetta di Sant’Anna, si scende sulla riva del torrente Mallero e lo si varca utilizzando lo stretto ponticello in legno. La mulattiera che sale in direzione O verso i rifugi Porro e Ventina si sviluppa a semicerchio in un profumatissimo bosco di abeti e larici e termina all’alpe Ventina (m 1970, ore 1), dove sorgono le due strutture ricettive. Ottimo punto di appoggio per le ascensioni nel gruppo del Disgrazia, forniscono anche informazioni sullo stato dei bivacchi in quota e sulla loro disponibilità di pernottamento, visto che i posti sono pochi. Si prosegue attraversando l’ampio Monte Disgrazia (m 3678) 61 Valmalenco Alpinismo pascolo accompagnati dal gorgoglio del torrente in cui confluiscono le acque che rimbalzano dai pendii circostanti. Si punta in direzione S alla vedretta del Ventina, sormontata ai lati da due enormi morene che fanno intuire lo spessore del ghiacciaio di un secolo fa. Inoltre lungo il sentiero che conduce al ghiacciaio (Sentiero Glaciologico Vittorio Sella) sono posizionate delle targhette che testimoniano l’arretramento della massa nevosa dalla fine dell’ottocento ai giorni nostri. Quale enorme tristezza suscita tale impoverimento prodottosi in questo ultimo secolo! Raggiunto il bordo del ghiacciaio, se si alzano gli occhi in alto a destra (sinistra idrografica), si nota la vedretta della Vergine che occupa l’omonimo canalone, punto di passaggio obbligatorio per chi voglia spingersi al Disgrazia dalla Corda Molla. Fino a non molti anni fa, la colata bianca era collegata direttamente con la parte bassa, dove ci troviamo ora, ed era normale procedere lungo quel canalone: ora invece si è costretti a compiere un ampio semicerchio verso destra per superare la balza rocciosa compresa tra la piramide Alba sul Disgrazia dal bivacco Oggioni (26 luglio 2009, foto Luciano Bruseghini). La Corda Molla (19 giugno 2005, foto Pietro Pellegrini). 62 Le Montagne Divertenti della Sentinella della Vergine e la cresta sud del pizzo Ventina. Calzati i ramponi, si inizia a risalire il ghiacciaio facendo molta attenzione ai numerosi crepacci, spesso ancora ricoperti da un sottile strato di neve anche a stagione avanzata. Compiendo diversi slalom per evitare appunto gli infidi trabocchetti, si conquistano le due “gobbe del cammello” e si sbuca su un ampio pianoro (m 2700 ca, ore 2). Qui bisogna valutare il percorso migliore per accedere verso destra al ghiacciaio che scivola dal versante E del Disgrazia, ormai quasi separato completamente dalla colata principale. Solitamente si utilizza l’ultimo residuo di neve che unisce, come un cordone ombelicale, la grande madre al piccolo figlio. Proseguendo in direzione NO si punta all’ampia parete rocciosa che declina dalla Punta Kennedy. Guidati dai piccoli ometti di roccia o comunque dalle evidenti tracce di passaggio, ci si innalza abbastanza agevolmente fino ad approdare al bivacco Taveggia (m 2894, ore 1). La struttura dispone di 4 posti letto e, anche se è un po’ vecchiotta, risulta molto utile in caso di improvviso maltempo oppure se il bivacco Oggioni, che incontreremo più avanti, è completo. In breve si ascende alla sommità del bastione e appare la vedretta della Vergine. Da qui segnalo due differenti opzioni per accedere al bivacco Oggioni, nostra prossima meta. a via classica percorre il ghiacciaio compiendo un semicerchio, per poi alzarsi improvvisamente per un centinaio di metri fino a raggiungere la conca sommitale, stretta tra la Punta Kennedy e il pizzo Ventina, sul cui lembo più occidentale, il Colletto del Disgrazia, sorge il Bivacco Oggioni (m 3151, ore 1:30). Comunque io consiglio, soprattutto se si ha a disposizione un po’ di tempo, di inerpicarsi lungo la cresta E della Punta Kennedy: una via di grande soddisfazione (III+ con un passaggio obbligatorio di IV su una placca di 15 metri1) che permette di ammirare la parete est del Disgrazia e la parte alta della Corda Molla in un unico scorcio grandioso. Dalla cima (Punta Kennedy, m 3283, ore 2:30) si gode di una visione particolare sull'enorme vicino, nostra meta di conquista per il giorno successivo. Ricalzati i ramponi, si discende un breve tratto di ghiacciaio e si raggiunge il Bivacco Oggioni2. La sua posizione su una cresta rocciosa, a picco sulla vedretta del Disgrazia, nelle nottate ventose, non fa dormire sonni tranquilli agli occupanti! Spettacolare comunque il panorama sulla parete N che incombe davanti a noi e surclassa tutte le cime vicine. L a sveglia suona presto, alle cinque, perché ci aspetta una giornata molto lunga. Capita spesso che il bivacco ospiti alpinisti che scalano la N e che quindi si alzano ancora prima, verso le tre, per cui non si può pretendere la quiete assoluta! 2 - La costruzione, di proprietà del CAI di Monza, è stata recentemente sostituita e offre tutti i “confort“ necessari alla vita in quota: 12 comodi posti letto, un piccolo tavolo e un fornellino per sciogliere l’acqua. Per il primo tratto di ascensione si utilizza la lingua glaciale che sale in direzione S e che permette di guadagnare quota in modo molto rapido. Raggiunto l’inizio della cresta rocciosa (m 3250 circa ore 0:30) appare davanti a noi tutto il percorso che dovremo affrontare per arrivare in vetta: una sottile lama rocciosa mista a ghiaccio nella prima parte e una parete verticale di circa duecento metri alla fine. Inizialmente non c’è un tracciato obbligato: a seconda dei passaggi si può procedere a sx, a dx oppure in cima alla lama rocciosa. Spettacolari gli attraversamenti sul lato destro con lo strapiombo di trecento metri sotto i piedi! Nei punti più tecnici alcuni chiodi permettono di ancorarsi in tutta tran- quillità. Bisogna prestare attenzione alla roccia, perché in certi momenti è molto friabile e capita spesso che delle pietre si stacchino e ruzzolino a valle. I brevi spazi ricoperti di neve possono essere vinti anche senza calzare i ramponi, in quanto sono solitamente molto ridotti e privi di difficoltà. Solamente quando si raggiunge la “Corda Molla” (m 3350, ore 2 ca) è obbligatorio montarli, perché c'è sovente del ghiaccio vivo, inoltre l’ultimo tronco presenta una forte pendenza, quasi verticale. Al giorno d’oggi purtroppo non è un tratto molto lungo, solamente un centinaio di metri, ma che riempie di soddisfazione chiunque riesca a superarlo perchè è comunque un pezzo di storia dell’alpinismo della Valmalenco. aggiunta nuovamente la roccia si sale la parete verticale, procedendo leggermente a sx, sfruttando i vari canalini intervallati da piccole R L 1 - E' chiamata localmente "Ciata del Gat". Estate 2010 Le Montagne Divertenti Monte Disgrazia (m 3678) 63 Valmalenco Alpinismo non sono visibili, nascosti dalle guglie grigiastre delle cime “minori” che circondano il Disgrazia. a discesa avviene normalmente per la parete E, dove si devono compiere diverse calate in corda doppia per raggiungere il ghiacciaio del Ventina. Il primo punto di ancoraggio molto comodo è uno dei tiranti in acciaio che assicurano il Bivacco Rauzi. Poi diversi chiodi, alcuni anche molto datati, offrono un discreto appiglio. Uno è stato posizionato appena sopra un piccolo tratto ghiacciato che crea non pochi problemi di equilibrio... A breve, alcune Guide Alpine della valle hanno in progetto di inserire dei nuovi spit per agevolare e meglio assicurare il ritorno ai numerosi alpinisti che utilizzano questa via. Durante tutta la fase discensiva bisogna prestare molta attenzione alle rocce che possono precipitare dall’alto, soprattutto ad opera di altri alpinisti. occato il ghiacciaio (m 3300, ore 2), si può decidere di costeggiare i piedi della Corda Molla, risalendo poi un breve tratto di roccia e quindi scendere al bivacco Oggioni per poi proseguire verso valle lungo il tragitto utilizzato il giorno precedente per la salita. Esiste anche un’opzione più interessante che diversifica il rientro. Calzati i ramponi ci si abbassa lungo il ghiacciaio in direzione E fino ad arrivare ad una zona occupata da enormi seracchi che vengono superati dirigendosi verso dx (S), dove il percorso si snoda tra neve e rocce facilmente sormontabili. Compiendo una "esse", prima verso N poi in direzione S, si oltrepassa anche un grande sperone che ostruisce il passaggio e, stando alla larga dai seracchi che occupano la parte centrale della lingua glaciale, ci si abbassa camminando vicino alla parete rocciosa che collega il passo Cassandra con la cima del Disgrazia. osì si sbuca nella parte pianeggiante (m 2700, ore 2) dove il giorno precedente avevamo abbandonato la vedretta principale per puntare alla cresta della Kennedy. Ora il percorso ricalca quello fatto in salita, prestando comunque molta attenzione alle numerose crepacciate che tagliano il ghiacciaio facendolo sembrare una tela del pittore Lucio Fontana. L L'ultima calata in doppia dalla parete E regala il ghiacciaio del Ventina a quota 3300 (26 luglio 2009, foto Luciano Bruseghini). Selvagge Orobie: Pizzo degli Uomini e P izzo S cotes Beno T La cima del Disgrazia dal Bivacco Taveggia (26 luglio 2009, foto Luciano Bruseghini). cenge che ne solcano la roccia. Diversi appigli facilitano la salita e in breve si è al Bivacco Rauzi, a pochi minuti dalla vetta del Disgrazia (m 3678, ore 2). Qui vi è un piccolo cippo di metallo molto importante, in quanto è un punto trigonometrico dell’IGM (Istituto Geografico Militare) che lo utilizza per effettuare misurazioni di altezza delle cime vicine. Dalla vetta il panorama spazia verso l’orizzonte: a O in lontananza si intravedono sia il monte Rosa, sia l’enorme mole del monte Bianco, mentre rivolgendo lo sguardo in basso a S si può 64 Le Montagne Divertenti individuare la Ponti, ai piedi del ghiacciaio di Preda Rossa. Volgendo lo sguardo verso N in primo piano appaiono tutte le cime innevate che fanno da confine tra la Valmalenco e le vicine val Bregaglia e Engadina. A NE spicca il trio delle meraviglie Roseg-Scerscen-Bernina che da questa angolazione sembra un tutt’uno. A E in lontananza si scorge l’inconfondibile piramide del Gran Zebrù con tutti i suoi “sudditi”, dal Cevedale fino al Tresero. Solamente i paesi della Valmalenco C Estate 2010 Il pizzo Scotes aDivertenti sx e il pizzo degli Uomini a dx visti dalla Punta di Santo Stefano (2 giugno 2009, foto Beno). Pizzo degli Uomini e Pizzo Scotes Le Montagne 65 Versante orobico Alpinismo Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Agneda (m 1223). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la SS38 in direzione Tirano fino alla fine della tangenziale. Poco prima del passaggio a livello si svolta a dx e si segue la SP fino a Busteggia. Oltre il semaforo si prende la stradina sulla dx che sale a Pam per poi ricongiungersi all'arteria principale per Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al bivio in località Mon. Si segue sulla dx la carrozzabile che si inoltra in val Vedello. Passata la Centrale di Vedello (m 1000, 6 km) si prosegue su fondo di cemento/sterrato fino ad Agneda. Si percorre quindi verso E tutta la piana, in fondo alla quale, nei pressi di un'area attrezzata per pic-nic, è possibile parcheggiare l'auto (m 1223, 3 km da Vedello). Itinerario sintetico: Agneda (m 1223) - Diga di Scais (m 1500) - Baita di Caronno (m 1612) - rifugio Mambretti (m 2003) - Laghi - pizzo degli Uomini (m 2895) - passo degli Uomini - pizzo Scotes (m 2978) - Agneda (m 1223) per la stessa via. Tempo di salita previsto: 6 ore. Attrezzatura richiesta: scarponi, ramponi, piccozza. Difficoltà/dislivello: 3+ su 6 / oltre m 2000. Dettagli: Passi fino al II grado. Probabili pendii nevosi ripidi (40°). Mappe: Kompass n. 104 Foppolo Valle Seriana - 1:50000. Il gruppo centrale delle Orobie, montagne selvagge e spesso difficili, ha un settore ancor più aspro e abbandonato: il sottogruppo dello Scotes. Con questa denominazione mi riferisco alle vette comprese fra il passo Biorco e il passo del Lupo (pizzo Biorco, pizzo degli Uomini, pizzo Scotes, cima di Caronno e cima del Lupo). Sebbene tra di loro si annoverano alcune delle vette più alte e belle delle Orobie, l'accesso lungo e faticoso le ha rese sconosciute ai più. L a gita alpinistica che vi propongo, passando per i laghi degli Uomini e delle Donne e il pizzo degli Uomini (m 2895), culmina al pizzo Scotes (m 2978), quinta elevazione orobica e montagna dalla storia bizzarra; fu infatti salito la prima volta per errore. L'11 settembre 1887 la cordata composta da Bonacossa, Melzi e Confortola, proveniendo dal pizzo di Rodes e credendo di salire al pizzo Biorco, fu indotta in errore 66 Le Montagne Divertenti dalla nebbia e conquistò il ben più elevato e distante pizzo Scotes. itinerario da loro descritto, afferma il Corti, fu alquanto intricato e lungo, ma il biglietto rivenuto poi sulla vetta ha tolto ogni dubbio circa la sommità raggiunta. al fondo della piana di Agneda saliamo, per carrozzabile a transito limitato, fino al ponte della Padella, dove, seguendo le indicazioni per il rifugio Mambretti, ci portiamo sulla L' D dx idrografica del torrente Caronno e, dopo un tratto nel bosco, raggiungiamo la casa dei guardiani della diga. Costeggiamo il lago di Scais dal suo lato settentrionale e, nei pressi delle abitazioni a NE dell'invaso, possiamo ammirare in fondo alla val Vedello l'imponente parete N del pizzo del Salto. Guidati dai cartelli e dai bolli, attraversiamo una fascia alberata e sbuchiamo sui bei pascoli dell'alpe Caronno (m 1612, ore 1:15). Estate 2010 Il tracciato che porta da Agneda al lago degli Uomini visto dal Medasc propriamente detto (2 agosto 2008, foto Beno). S iamo ai piedi della stupenda piramide rocciosa del Medasc propriamente detto. A SE vediamo le cime del massiccio Scais-Redorta, mentre più a sx si inizia a delineare le bella vetta dello Scotes. Attraversati i pascoli e alcuni torrentelli, il sentiero prende decisamente quota su un dossone e, oltre il cartello che intima di portare legna al rifugio, abbandona il bosco per distendersi tra i pascoli fioriti. Poco dopo vediamo già il tetto rosso della Mambretti (m 2003, ore 1:15), che raggiungiamo velocemente. E' chiusa, ma una fontanella esterna ci permette di riempire le borracce. al rifugio Mambretti saliamo (N) seguendo il ripido sentiero delle Orobie Valtellinesi. Il percorso segnalato da rade bandiere colorate si snoda tra la pungente erba “visega” fino in cima ad un dosso arrotondato, il primo degli Uomini. Erano chiamati con questo nome una serie di dossi pascolivi alle spalle del rifugio, sui quali erano collocati dei grandi ometti di pietre, dei quali rimane ora solo qualche traccia. uperato un secondo dosso incontriamo il tubo nero che porta D S Le Montagne Divertenti l’acqua al rifugio e lo seguiamo per un tratto. Si vedono le più alte delle pozze degli Uomini1 (m 2340). opo un tratto pianeggiante, anzi in leggera discesa, lasciamo la traccia del sentiero delle Orobie Valtellinesi per salire verso dx un dosso di erbe e sassi. Ci inerpichiamo per una vallecola di detriti2, alla cui sommità incontrimo il lago degli Uomini (m 2575). Poco sotto, alimentato dalle acque d’uscita del lago degli Uomini, si trova il lago delle Donne. Nel primo lago, di chiara origine glaciale, si immerge il fronte ghiacciato di un piccolo nevaio, che dall’alto sarebbe impossibile vedere, perché in stagione avanzata è nascosto sotto un grosso strato di detriti: sono i resti del vecchio ghiacciaio degli Uomini che si è ritirato e sopravvive dentro questa nicchia, ricoperto di gande, appena sotto il pizzo degli Uomini. Il secondo lago si è formato poco più in basso, dentro una conca, anche questa di origine glaciale, sotto il canale di detriti per il passo D 1 - Sono una decina di piccole pozze che si formano allo sciogliersi delle nevi o dopo abbondanti precipitazioni e che si vedono salendo. 2 - E' quella sulla sx idrografica del torrentello che rappresenta lo scarico del lago. Biorco S (quello N si trova sulla cresta NE del pizzo Biorco)3. occidente fa bella vista di sè il pizzo Rodes, mentre dalla parte opposta è il pizzo degli Uomini a darci il benvenuto. Ci portiamo sui ghiaioni a N dei laghi dove intercettiamo la traccia che arriva dal rifugio Donati e scende dal passo Biorco S (m 2700 ca). La seguiamo decisamente verso E (dx) e per terreno scomodo ci portiamo a un valico sulla cresta meridionale del pizzo degli Uomini. Non ha nome sulle carte, ma io per comodità l'ho sempre chiamato passo degli Uomini. A SE s'apre un'interessante vista sul gruppo ScaisRedorta. aliamo per ripidi e scomodi sfasciumi in direzione della vetta del pizzo degli Uomini, che può esser raggiunta contornando sia da dx4 che da sx i contrafforti rocciosi sommitali (m 2895, ore 3). La montagna deve il suo nome ai "pascoli degli uomini alti" e ai "pascoli degli uomini bassi", i dossi erbosi sopra la Mambretti. A S 3 - Il contributo sul lago degli Uomini e lago delle Donne è opera di Antonio Boscacci. 4 - E' la via più breve, ma c'è un passaggio su una cengia rocciosa un po' stretta ed esposta. Pizzo degli Uomini e Pizzo Scotes 67 Versante orobico Alpinismo Alcune vie al pizzo Scotes egli ultimi anni ho curiosato paN recchio tra queste montagne percorrendone alcune vie che qui elenco brevemente come varianti di discesa per la gioia dei più avventurosi. Dalla vetta partono tre creste: - una diretta a NE scende verso il passo della Pioda sopra il Bivacco Corti e fu percorsa per la prima volta da Corti, Pansera e Credaro nel 1924. E' una via (diff. 4 su 6) su roccia instabile che scende lungo la dorsale appoggiandosi ad alcuni canali (II+). Quando l'ho fatta nel 2009 ho trovato un passaggio di III+ nella parte bassa. In fondo alla cresta si esce sul nevaio/gande nei pressi del passo di Pioda, da cui in 15 minuti si è al Bivacco Corti (m 2500, ore 1 dalla vetta dello Scotes); Tramonto sulla costiera Rodes - cima di Caronno visto dalla vetta del Piz Gro (11 settembre 2007, foto Beno). Dalla cima ciò che più colpisce (oltre alla bruttezza dell'ometto che vi ho costruito) è l'incredibile contrasto fra il verde e docile fondovalle e le imponenti e tetre pareti dei gruppi di Coca e Scais. A NE, proprio sotto il pizzo di Scotes, precipita un sinistro vallone con lingue di neve e ghiaccio che si spegne nelle ombre molti metri più in basso. Mi sdraio con Mario accanto all'ometto e ci addormentiamo guardando l'inquietante e imponente mole dello Scotes che, visto da qui, sembra proprio difficile. opo il riposino torniamo al passo degli Uomini e, seguendo la traccia per il rifugio Corti traversiamo per terreno instabile fino alla breccia alla base della cresta occidentale del pizzo Scotes nota come bocchetta di Scotes. Ci portiamo quindi sul versante settentrionale dove, con l'aiuto delle catene fisse, scendiamo un ingrato canale roccioso. Ci portiamo sempre più verso il centro della pala che costituisce la parete N dello Scotes, abbassandoci lungo la traccia segnalata. Il terreno è friabilissimo e continuano a franare massi ovunque. All'incirca nel mezzo della pala abbandoniamo il sentiero e iniziamo a salire al dritto (dx). Il pendio è molto ripido (40°) e alterna ghiaia, rocce rotte, lastroni e tratti innevati. Generalmente a fine stagione anche questo versante è pulito dalla neve, ma è prudente avere comunque con sè ramponi e piccozza per evitare brutte sorprese. Seguitiamo la nostra salita per sbucare sulla cresta NE della montagna a pochi metri dalla vetta, che raggiungiamo per facili sfasciumi (pizzo Scotes, m 2978, ore 1). C'è un ometto ancora più miserevole di quello che ho fatto sul pizzo degli Uomini, ma il panorama è superbo, con viste da brivido sul Coca, lambito da nebbie malauguranti, e sulla Punta di Scais e i relativi ghiacciai. La cresta Corti alla Punta di Scais è ben individuabile sopra il tormentato - una cresta frastagliata corre verso la bocchetta di Caronno (E) e fu vinta nel 1916 da A. e P. Corti con Ignazio dell'Andrino che la definirono la via più interessante alla montagna (diff. 5 su 6). Ci sono passato nel 2007 e la definirei la via più "terrificante" alla montagna! Si svolge su roccia lubrica e fogliacea che si sgretola al solo passaggio. Supera una serie di torrette (II) per giungere a un grosso salto (III+) che è opportuno scendere con la corda, o aggirare da S per cengette. Poi altre guglie minori fino alla bocchetta, da cui, scomodamente, si torna per via segnalata fino alla Mambretti (circa 4 ore dalla vetta). Emozioni garantite! Pizzo Scotes (2978) D 68 Le Montagne Divertenti - una breve cresta (diff. 3 su 6) va diretta alla bocchetta di Scotes (ore 0:30) e non presenta particolari problemi. La pala del pizzo Scotes vista dal pizzo degli Uomini. In rosso la via di salita per la pala (ottima meta invernale anche per lo sci ripido), in verde quella per lo spigolo NE. I puntini segnalano quando la via si svolge sul versante E, che non è non visibile in foto (2 settembre 2007, foto Beno). ghiacciaio di Porola. Non c'è anima viva, anche se in lontananza si scorge il fondovalle valtellinese. consigliabile tornare per la medesima via. E' Estate 2010 Infine c'è la diretta da SO che, benché non censita sulla Guida dei Monti d'Italia, fu sicuramente percorsa negli anni '30 da Bortolo Bonomi in compagnia del Generale Umberto Tivinella (una foto su un canale obliquo lo testimonia). La via (diff. 4 su 6) s'abbassa direttamete a S della vetta per un centinaio di metri lungo una canale di rocce e detriti (II), quindi, in corrispondenza di una selletta, traversa (O) lungo un canalecengia obliquo che discende ripido (passaggio a 40° un po' delicato, più facile con neve). Poi ci si abbassa per un costolone detritico fino al circo a SO del pizzo Scotes, da cui facilmente si torna in Mambretti (ore 2:30). Le Montagne Divertenti Il tratto attrezzato con catene sotto la bocchetta di Scotes (26 settembre 2009, foto Beno). cresta SE Pizzo Scotes (2978) via diretta da S Bocchetta di Caronno (2839) Lo Scotes visto dalla zona della Mambretti (11 giugno 2009, foto Beno). Pizzo degli Uomini (2895) Pizzo Scotes (2978) Passo degli Uomini Scotes e pizzo degli Uomini dal lago degli Uomini (11 giugno 2009, foto Beno). In rosso la via normale al pizzo degli Uomini, in verde la via allo Scotes per la pala N. Pizzo degli Uomini e Pizzo Scotes 69 Escursionismo Passeggiata all'alpe Trela Nicola Giana Interessante escursione ad anello che si snoda tra l’alta Valdidentro e le valli di Foscagno attorno ai contrafforti del Dosso Resaccio (m 2719), del monte Rocca (m 2810) e della punta Lago Nero (m 2676). Valle del Foscagno (19 luglio 2009, foto Giuseppe De Toma). 70 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Le Montagne Divertenti Passeggiata all'Alpe Trela 71 Alta Valle Escursionismo Bellezza Partenza: parcheggio nei pressi dell’Hotel Difficoltà: 1 su 6. Dislivello in salita: circa 600 metri. Dettagli: E. Facile e panoramica passeggiata di Interalpen, (m 2240, passo del Foscagno). Itinerario Fatica automobilistico: da Bormio si segue la SS301 del Foscagno che in 23 km, con molte curve, porta al passo del Foscagno, valico d'accesso per la zona extradoganale di Livigno. Itinerario Pericolosità - sintetico: di percorrenza: 5 ore. D ai laghetti di Foscagno, si susseguono senza tregua luoghi ameni e tranquilli con ampie ed incantevoli vedute sui gruppi montuosi circostanti: l’OrtlesCevedale, il monte Trela e le calcaree Cime di Plator, le vette che coronano Livigno, la N della cima Piazzi. Boschi di pino cembro si alternano al lariceto, mentre più sopra tra dolci ed estesi pascoli trapuntati di fiori e rododendri, il piacevole scroscio dei ruscelli d’acqua spumeggiante e i fischi delle marmotte allietano i nostri grevi passi. 72 media montagna. Carte: Kompass 1:50 000, foglio n. 96 Passo del Foscagno - Vezzola (m 2091) – bocchetta Trelina (m 2283) - passo di val Trela (m 2295) Tee di Pila (m 2052) - Ables (m 2102) - passo del Foscagno. Tempo Le Montagne Divertenti Approfondimenti: AAVV, Guida Turistica della Provincia di Sondrio, BPS II Edizione 2000 L. Angelici e A. Boscacci, Giro dell’alpe Trela, Notiziario BPS n. 106, aprile 2008 Eliana e Nemo Canetta, Escursioni in alta Valtellina Braulio-Cancano-Fraele-Lago di Livigno-Parco Nazionale Svizzero, Edizioni CDA Torino, 2000. L’ aria tersa, gli intensi profumi dei fiori, la fienagione in val Vezzola, i campanacci delle mucche alla malga Trela svelano magia ed incanti di questi luoghi suscitando nel contempo strane nostalgie delle origini, di tempi passati quando i ritmi della vita erano scanditi dalle stagioni e legati alle necessità della transumanza. Itinerario N Verso Taulà de li Pala (19 luglio 2009, foto Giuseppe De Toma). ei pressi dei laghi glaciali di Foscagno,, vicino all’Hotel Interalpen ha inizio il largo sentiero che scende (E) alla località Taulà de li Pala. Odore di fumo, alcune case, e poco avanti il sentiero si biforca; si prende a sx (sentiero n. 176) e in leggera discesa si attraversano i pendii erbosi sotto il Dosso Resaccio prima di inoltrarsi nel bosco di pino cembro. Con leggeri saliscendi, accompagnati dagli effluvi di resina e il gracchiare delle nocciolaie, si raggiunge una piccola piana all’imbocco della val Vezzola. Alla nostra dx, sopra le cime delle piante, svetta superba la cima Piazzi, mentre a E, inconfondibile nella sua forma piramidale è il pizzo Tresero. Procedendo su strada sterrata, e attraversato il ponte sul torrente Cadàngola nei pressi della presa per il “canale Viola”, si raggiungono i casolari di Vezzola (m 2091) situati Estate 2010 ai piedi del monte Trela (m 2608). Se il tempo è quello giusto si possono vedere i plator1 intenti alla fienagione tra il vociare felice. Incrociata la strada che sale dall’alpe Gattonino, si svolta a sx e ci si inoltra nell’ampio e riposante Piano di Vezzola costellato di numerose baite. Trascurata la strada a dx che sale alla cascina di case Vezzola, si procede appena sopra il fondovalle sino alle baite di quota 2161 (fine sterrata). Oltre le case si oltrepassa un dosso e tenendosi sulla costa cespugliosa esposta a S, si passa qualche tratto in forte pendenza, si attraversa un piccolo torrente, quindi ci si riporta in prossimità del fondovalle per raggiungere una suggestiva conca a quota 2268. Di fronte a noi è la rampa prativa che sale al lago Nero (m 2550), dominata dalle rocce incombenti del monte Rocca (m 2810). Per i meno allenati la fatica bussa alle soglie e la bella piana induce al riposo, ma imboccata sulla destra una valletta piatta, in pochi minuti si è alla bocchetta Trelina (m 2283) 1 - Soprannome tipico degli abitanti di Pedenosso che caricano i pascoli della val Vezzola. Le Montagne Divertenti Panorama dalla val Vezzola verso la cima Piazzi (28 aprile 2010, foto Giacomo Meneghello). dalla quale si domina sulla placida conca prativa dell’alpe Trela. Sotto gli sguardi vigili delle marmotte si scendono, su tracce discontinue, i dolci pendii erbosi di dx che senza difficoltà portano alla ridente malga (m 2170) disposta ai bordi di una torbiera, occupata in passato da un antico lago. Le severe pendici a N del Monti Pettini e della cima Doscopa aumentano la solennità di questo luogo del quale ci si innamora a prima vista. urtroppo, al momento di riprendere il cammino, spesso la nostalgia ha il sopravvento. La consapevolezza di aver “toccato il cielo” e di dover tornare alla quotidianità ci fa sentir di piombo le gambe tanto P Passeggiata all'Alpe Trela 73 Escursionismo da tardare sino all’ultimo minuto la partenza. Poi, dirigendosi verso O e tenendosi sul fondovalle, si sale al comodo e ampio passo di val Trela (m 2295). Non è raro, per giungervi, pestare qualche residuo di neve di accumulo da slavine provenienti dai pendii circostanti. La vista domina sui rilievi che coronano la valle di Livigno. Avanti a tutti sono il Crap de la Parè e il monte Crapene con gli impervi prati che arrivano sino al passo d’Eira. Alla nostra dx aridi ed estesi ghiaioni precipitano dal monte Torraccia (m 2781). a discesa per la val Pila, nonostante l’ampio sentiero, a tratti necessita accortezza per non scivolare (uso dei bastoncini in avanti). Ad un bivio poco prima del ponte sul torrente proveniente dal passo, si prende a sx spostandosi sui dolci declivi del monte Le Piazze (m 2456). Macchie di mughi e cembri si alternano ai pascoli che accompagnano la discesa sino al nucleo delle Tee di Pila (m 2052). È normale vedere bambini giocare tra loro mentre accudiscono le vacche al pascolo incuranti del nostro passaggio. Oltrepassate le Tee, il tracciato volge pian piano verso S e attraversa un rimboschimento di mughi. Il Tracciolino tra val Codera e valle dei Ratti Giorgio Orsucci L Case Vezzola (19 luglio 2009, foto Giuseppe De Toma). Scorci indimenticabili si susseguono senza tregua e mentre il sole si sposta alle nostre spalle, l’intenso profumo di resina rinvigorisce e dà energia per affrontare gli strappi che portano alle case di Ables (m 2102). P assando a tergo il piazzale del benzinaio, con pendenza costante si risalgono gli ultimi 4 km della valle di Foscagno passando per la Malga Rocca e da questa su tracce di sentiero sino al primo tornante poco sotto la dogana. Si prende quindi la SS 301, si sdoganano gli acquisti e si scendono gli ultimi 500 m sino alle auto. Verso il passo di val Trela. Sullo sfondo le Bocche di Trela (19 luglio 2009, foto G. De Toma). 74 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Val Codera e val dei Ratti sono un mondo a parte. Val Codera e val dei Ratti significano lasciarsi alle spalle comodità e frenesie cui ci ha abituato la pianura e addentrarsi nell'atmosfera autentica, magicamente sospesa, di quelle contrade di montagna di molti anni fa. Passaggi nella roccia lungo il Tracciolino in val Codera (24 maggio 2009, foto Giorgio Orsucci). Le Montagne Divertenti Il Sentiero del Tracciolino 75 Valchiavenna Escursionismo logia del territorio e spianando nel pendio un terrazzo largo a sufficienza a farci correre un rudimentale sistema di binari, in val Codera ha da ricavarsi un varco in un contesto paesaggisticamente ben più tormentato e selvaggio: unica soluzione che si impone ai suoi costruttori è quella di scavare cunicoli, gallerie e aerei passaggi nella nuda roccia, da cui la spettacolarità del percorso. Un’avventura adatta a tutti e decisamente suggestiva, specialmente per i giovanissimi. itinerario rrivando da Lecco o da Sondrio, andiamo a superare la galleria di Verceia, oltre la quale fanno la loro apparizione le case di Campo, frazione di Novate. Proseguiamo ancora un poco, sino a raggiungere il largo greto del Codera, rivo stagionale che si gonfia distruttivamente solo con le piogge autunnali. Al di là del ponte, lo svincolo per il nuovo parcheggio del Lido di Novate, dove andiamo a posteggiare la macchina. Siamo a quota metri 200: allo stesso livello giacciono le popolose cittadine valtellinesi, come anche Lecco, Como e le città brianzole. iattraversato a piedi il ponte (m 207), andiamo a percorrere la strada che, affiancando il Codera, conduce all’imbocco del sentiero per San Giorgio, nei pressi di imponenti siti di estrazione del granito. È il granito San Fedelino: pietra chiara dalla grana finissima, prende il nome dal tempietto dedicato al santo martire presso cui si sono avviate, alla fine del Settecento, le prime attività estrattive, successivamente trasferite, nel 1805, sulla sponda orientale del lago. Sul lago fu poi allestito un piccolo sistema portuale: da lì, i blocchi venivano avviati a Milano, attraverso l’Adda e il naviglio di Paderno, dove venivano lavorati e distribuiti alle altre città lombarde. Non senza qualche sbuffo di salita, cominciamo a elevarci sulla pianura: al nostro fianco, il lago di Mezzola si rivela in tutta la sua bellezza, cinto a S dalla mole del Legnone e del Legnoncino. Con quaranta tornanti sempre più accavallati e più volte intagliati nella nuda roccia della montagna, il tracciato guadagna rapidamente A Le case e la chiesa di San Giorgio (24 maggio 2009, foto Giorgio Orsucci). Bellezza Fatica Pericolosità - Partenza: Novate Mezzola (m 207). Itinerario automobilistico: provenendo Attrezzatura Itinerario media montagna. da Colico lungo la SS 36 dello Spluga, si supera Campo, frazione di Novate Mezzola, quindi, oltrepassato il ponte sul greto del Codera, si gira a destra per il parcheggio del lido di Novate. sintetico: Novate Mezzola (m 207) – San Giorgio (m 748) – Casa dei guardiani della diga della val dei Ratti (m 915) – Verceia (m 200). Tempo Difficoltà: 1 su 6. Dislivello in salita: 710 metri. Dettagli: E. facile e panoramica escursione di Carte: Kompass 1:50 000, foglio n. 92, Valchiavenna-Val Bregaglia. di percorrenza: 4.15 ore. V al Codera è un mondo a parte. Causa di ciò - può suonare un luogo comune - un apparato stradale asfaltato del tutto assente: se, altrove, lunghe strisce d’asfalto hanno addobbato boschi e risalito pendii per centinaia di metri di dislivello, in val Codera la situazione è ben diversa: si contano nell’intera valle 0 metri quadrati di suolo asfaltato, dal suo imbocco, situato a 200 metri di altezza nella Piana di Chiavenna, nei pressi di Novate Mezzola, sino ai piedi del Badile, quasi 3000 metri più in alto, che, pochi lo sanno, regala alla val Codera il suo terzo volto. Se l’auto resta fuori, in val Codera si entra solo in punta di piedi. Al posto delle strade, meravigliosi 76 richiesta: si consiglia una torcia o una pila frontale per i tratti bui in galleria. Le Montagne Divertenti tracciati escursionistici, alcuni dei quali composti da un mosaico di innumerevoli tasselli granitici: è il caso di quella mulattiera gradinata, vero capolavoro dei valligiani, che sale a Codera nel silenzio dei boschi di castagni. Vi si aggiunge una fitta rete di “strade secondarie”, strade a scorrimento... lentissimo, che vanno a collegare i vari villaggi che costellano in gran numero la valle. A considerazioni analoghe si può pervenire parlando della laterale val dei Ratti, anch’essa rimasta autenticamente intatta, causa il suo isolamento turistico ed escursionistico, anch’essa punteggiata di casolari e villaggi, alcuni dei quali ancora oggi mostrano una certa vitalità, specialmente nella bella stagione. È in tale contesto ambientale, a cavallo fra val Codera e val dei Ratti, già di per sé valevoli di un’escursione, che si sviluppa un tracciato viario di primario interesse all’interno del territorio chiavennasco e del quale si propone qui la percorrenza della sua sezione più spettacolare. Stiamo parlando del famoso Sentiero del Tracciolino, fra le più spettacolari opere di ingegneria umana della Valchiavenna, un tracciato lungo 10 chilometri che corre ad un'altezza costante di 920 metri fra la val dei Ratti e la val Codera, costruito negli anni Trenta del secolo scorso a collegamento di due piccole dighe, ad uso degli operai e dei guardiani. Un percorso che, se in val dei Ratti serpeggia quietamente nei boschi, assecondando la morfoEstate 2010 R Le Montagne Divertenti Escursionisti lungo il sentiero per San Giorgio (24 maggio 2009, foto Giorgio Orsucci). Il Sentiero del Tracciolino 77 Valchiavenna Escursionismo dolce e boscoso della bassa montagna. Non ci resta che seguire i binari, camminando in piano per quasi due chilometri, distratti dalle viste sull’alto Lario e sul Legnone, sino ad arrivare alla casa dei guardiani della diga della val dei Ratti (m 915, ore 0:45), dove ci si può imbattere in un guardiano seduto su di uno sferragliante mezzo a motore che si sta dirigendo verso la diga, più avanti lungo il Tracciolino. i può ora proseguire verso l'affascinante villaggio di Frasnedo (m 1287, ore 0:40), centro principale della valle dei Ratti, raggiungibile in una quarantina di minuti con il sentiero che si distacca (E) dal Tracciolino ad una cinquantina di metri dalla casa e passa vicino al bel nucleo di Castén. Frasnedo, come Codera, è tutt'oggi abitato seppur non raggiungibile con l'auto. Le provviste vengono trasportate dal fondovalle grazie a una teleferica, nei pressi della cui stazione si trova un rifugio di recente realizzazione. l percorso di discesa a Verceia consta di un piacevole sentiero nel bosco di castagni che si distacca dal Tracciolino nei pressi del bivio Frasnedo - diga Sondel; intercettata la strada asfaltata (m 628, ore 0:45), prendiamo il sentierino con segnaletica CAI che se ne distacca poco più avanti, scontandoci buona parte dei tornanti. Giunti a Verceia (m 200, ore 0.45) chiudiamo l’anello percorrendo (dx) la bella e piacevole ciclabile che striscia lungo le rive del lago di Mezzola (circa 1,5 chilometri), riportandoci al parcheggio del lido (ore 0:15). S I Legnone, Sasso Canale e lago di Mezzola come appaiono dalla val Codera (24 maggio 2009, foto Giorgio Orsucci). quota, ora serpeggiando fra freschi boschi, ora scalando assolate e panoramiche placche rocciose. Infine, un tratto pianeggiante, una curva verso E, un luminoso boschetto di betulle, ed ecco spuntare un campanile: siamo arrivati a San Giorgio (m 748, ore 1:15). Affascina la sobria bellezza della chiesetta dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, anticamente dedicata a San Giorgio e a Sant’Eufemia, di impianto romanico (1100 circa) ma ristrutturata e rimaneggiata nel corso del Settecento. Colpisce in particolar modo la precisione del taglio dei blocchi granitici, che dona al tempio un profilo preciso ed affilato e un nonsoché di elegante. I l granito non caratterizza solo la chiesa, ma ogni casa, muro, scala e tetto del paese, secondo un uso del tutto ubiquitario del materiale costruttivo. 78 Le Montagne Divertenti Di sorprese questo villaggio ne ha ancora molte, a partire dal Museo, piccolo ma curatissimo, allocato in un casolare alle spalle della chiesa; nel suo unico ambiente, mette in mostra fotografie e vecchi utensili di lavoro per l’estrazione del granito, come anche alcuni strumenti della quotidianità contadina del secolo passato. Infine, più in alto, nei pressi del cimitero, due imponenti massi-avello di ghiandone, la cui datazione rimane un mistero. E quando manca una spiegazione, la spiegazione la dà la leggenda, fedele compagna di ogni problema irrisolto. In questo caso, la voce della valle associa gli avelli all’avventura di San Giorgio, che, dopo il famoso combattimento col drago, vi avrebbe trovato ristoro sorseggiando l’acqua piovana che in essi suole raccogliersi. Una sosta nell’oasi di pace di San Giorgio è più che doverosa, ma il cammino da fare è ancora lungo. isaliamo i verdi boschi di betulle alle spalle del paesino sino ad intercettare il Sentiero del Tracciolino (m 920, ore 0:30). Verso sx il Tracciolino va ad addentrarsi in R Suggestive gallerie lungo il Tracciolino. (24 maggio 2009, foto Giorgio Orsucci). val Codera, seguendo un percorso piuttosto monotono, interrotto poi da una frana a livello di Codera. Prendiamo invece a camminare verso dx. Le gallerie non si fanno aspettare: pochi passi, già aerei, ed ecco una prima brevissima galleria, quindi un’altra e un’altra ancora. Una corta, una più lunga, una dritta, una a mezzaluna, tutte piacevolmente fresche. Ad un tratto, al termine di un breve cunicolo, il sentiero si fa decisamente più largo per far spazio ad una ferrovia a scartamento ridotto, che esce da un antro oscuro della montagna per andare ad accompagnarci lungo l’ultima e più lunga galleria del Tracciolino, e unica ad esser illuminata artificialmente (l’interruttore è all’imbocco della galleria). Sopra di noi, decine di metri di roccia più in alto, corre il selvaggio crinale spartiacque fra val Codera e val dei Ratti. Usciti dalla galleria, violentemente accolti dall’afa estiva, ci troviamo di fronte un ambiente radicalmente mutato. Niente più pareti verticali, niente più gallerie, niente più gole selvagge: il paesaggio è ora quello Estate 2010 Le Montagne Divertenti Frasnedo e la valle dei Ratti. Oltre le nebbie i monti lariani (1 novembre 2009, foto Beno). Il Sentiero del Tracciolino 79 Escursionismo Miriam Passoni e Pietro Pellegrini 80 Le Montagne Divertenti Il lago della Malgina e, sullo sfondo, il pizzo Recastello (19 maggio 2007, foto Beno). Estate 2010 Le Montagne Divertenti Attorno al Lago Gelt 81 Porte di Valtellina Escursionismo I tinerario orobico molto panoramico tra la bergamasca valle Seriana e le valtellinesi val Caronella e val Bondone. Un doppio scollinamento tra un passo quotato e quello di Bondone consente di chiudere l’anello in un paio di giorni. Il lago Gelt, in val Malgina (quella bergamasca), è la perla che fa da baricentro all’escursione. La mappa dell'itinerario. In rosso è segnalato il tracciato descritto in seuito, in verde la variante breve che da passo a quota m 2730 chiude l'anello tornando subito in val Seriana attraverso il passo di Caronella. Il lago Gelt e la prima neve d'autunno visto dal passo a quota m 2730 (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini). Bellezza Fatica Partenza: Valbondione (m 900). Itinerario automobilistico: da Bergamo seguire le indicazioni per la valle Seriana e percorrerla (SS671) fino a Valbondione (54 km). Per partire da Carona, sul versante valtellinese, si veda invece la sezione conclusiva dell'articolo. Itinerario Pericolosità - sintetico: Valbondione - rifugio Curò (m 1895) - lago della Malgina (m 2339) - Lac Gelt (m 2562) - passo a quota m 2730 - Malga Caronella (m 1858) - Baita Cantarena (m 2071) - passo del Bondone (m 2720) - lago della Malgina (m 2339) - Valbondione. Tempo di percorrenza: 13 ore, consigliabile dividere l'escursione in 2 giorni. Attrezzatura richiesta: scarponi. Difficoltà: 2+ su 6. Dislivello in salita: oltre 2700 metri. Dettagli: EE. Lunga escursione su sentieri segnalati delle oOobie bergamasche e valtellinesi.. Carte: Kompass 1:50 000, foglio n. 104, Foppolo Valle Seriana. L’ escursione richiede complessivamente circa 12-13 ore. Si può partire in provincia di Bergamo dal paese di Valbondione, come qui descritto, oppure dai paesi di Carona o Bondone a Sondrio. I versanti valtellinesi non offrono punti d’appoggio gestiti, solo qualche baita o bivacco incustodito. Il nostro consiglio è di portarsi sacco a pelo e materassino e passare una notte in uno dei tanti ameni angoli di queste valli. D al paese di Valbondione inizia il largo sentiero sulla sx idrografica del Serio (n.305, quasi una strada), che conduce al rifugio Curò (m 1895, ore 2). Il rifugio è posto in 82 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Le Montagne Divertenti All’uscita dal bosco si ha di fronte la grande e scura parete delle famose cascate del Serio: solo pochi giorni l’anno l’acqua del bacino artificiale del Barbellino è libera di tuffarsi nel vertiginoso salto (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini). Attorno al Lago Gelt 83 Porte di Valtellina Escursionismo prossimità del bacino artificiale del Barbellino (m 1862), che con oltre 19 milioni di metri cubi è il maggiore della bergamasca. l Curò le indicazioni non mancano: noi seguiamo quelle per il lago naturale del Barbellino (n. 308, indicato a ore 1:30). L’ampio e piano sentiero costeggia il bacino artificiale passando sotto lo sguardo della severa parete N del pizzo Recastello. Si incontrano un paio di deviazioni sulla dx per la val Cerviera e per il monte Gleno (m 2882): da ignorare. Dopo circa un’ ora si giunge alla deviazione per la val Malgina: svoltando a sx (sentiero n. 310) si inizia la salita in questa stretta valle e si giunge al grazioso lago della Malgina (m 2339, ore 1:45). Anche qui sono presenti alcune opere per la captazione delle acque. Una freccia verso sx indica il sentiero segnalato che sale al pizzo del Diavolo della Malgina (m 2926), ma noi proseguiamo in direzione opposta, NE, puntando al passo quotato m 2730. ppare il lago Gelt (m 2562). Salendo al passo si ha modo di ammirare il colore intenso del lago e la bellezza delle cime a S: pizzo Recastello (m 2886), Tre Confini (m 2824), Strinato (m 2836). ecisi a scendere sul versante valtellinese1, ci abbassiamo fino alla malga Caronella (m 1858, ore 2:15). Qui incrociamo l’Alta Via delle Orobie (GVO, o sentiero Bruno Credaro). I cartelli danno, peccando per difetto, 40 minuti per la Baita Cantarena in val Bondone. Dobbiamo dunque spostarci verso O, prima risalendo un pendio erboso (traccia labile) poi scendendo in un bosco di larici che ci porta alla casa di caccia Baracchetti (m 1820). Da qui un sentiero pianeggiante guida verso la val Bondone abduana e in breve alla Baita Cantarena (m 2071, ore 1:30). oco oltre la baita alcuni cartelli segnalano la biforcazione per il passo di Bondone. Abbandonata la GVO che prosegue verso la Baita A Q Il bacino artificiale del Barbellino (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini). A P La val Caronella lungo dalla GVO (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini). P 84 Le Montagne Divertenti Il maggiore dei laghetti Selù (19 maggio 2007, foto Beno). Partendo dalla valtellina D 1 - Il valico consentirebbe anche di passare in val Caronella e raggiungere il rifugio AEM al passo di Caronella (m 2600). È qui possibile una variante: anziché scendere la val Caronella si può tornare in terra bergamasca scendendo al lago naturale del Barbellino e da qui al Curò. È una variante senz’altro più corta e meno remunerativa (ore 2:30). Streppaseghel, saliamo verso il passo. Il sentiero si mantiene sulla sx orografica della valle e passa accanto ai numerosi laghetti del Selù. Raggiunto il crinale tra la val Bondone e la val Malgina (quella Valtellinese) lo si segue in cresta, senza passaggi impegnativi, fino al passo di Bondone (m 2720, ore 2:30). ui con i nomi è facile fare confusione: esistono due valli Malgina, una bergamasca e una valtellinese. Il passo di Bondone mette in comunicazione la val Bondone con la val Malgina di “Bergamo” e per raggiungerlo si segue per un tratto lo spartiacque tra le valtellinesi val Bondone e Malgina. Dal passo si possono salire le facili creste verso O che separano i passi di Bondone e della Malgina. La traccia sul versante meridionale è piuttosto ripida e ci cala per sfasciumi al lago della Malgina (m 2339, ore 1), dove si chiude l’anello. Ripercorrendo i sentieri ora noti si torna al Curò e si scende a Valbondione (m 900, ore 3). La Baita Baracchetti (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini). Estate 2010 er chi volesse compiere l'anello lasciando l'auto in Valtellina, il miglior punto di partenza è il paesino di Carona. Carona (m 1145), frazione di Teglio, è uno dei tanti paesi/villaggi abbandonati della sponda orobica. Chiesa, municipio e case tutt’altro che fatiscenti, ma oramai abitate solo pochi giorni l’anno. Una volta il paese era un nodo cruciale dei collegamenti per l’Aprica e la val Seriana. Oggi di queste antiche percorrenze rimane solo una scritta su un muro ad indicare il crocevia. I commercianti sono stati rimpiazzati da imponenti tralicci dell’alta tensione che portano oltre la dorsale orobica gli elettroni eccitati dalle acque valtellinesi o dalle centrali svizzere. Per raggiungere Carona da Sondrio si percorre la SS38 in direzione di Tirano. A 10 km circa dal capoluogo c'è San Giacomo di Teglio, dove si svolta a dx (indicazione per Castello dell’Acqua e Carona), si supera il ponte sull' Adda e si prosegue seguendo per Carona (11 km circa). Le Montagne Divertenti Il Diavolo della Malgina, la Cresta di Valmorta e i Cagamei dal crinale fra Valbondone eVal Malgina (25 ottobre 2009, foto Miriam Passoni e Pietro Pellegrini). L asciata l'auto nei pressi del paese, ci si incammina nella valle Caronella (dx) e si segue il percorso della strada che con larghi tornanti raggiunge Prà di Gianni. Attraversato il torrente, si incrocia e si ignora il bell’itinerario per la Malga Dosso (m 1892) e la cima Lavazza (m 2411). Si prende invece a dx e si segue il corso del torrente. Si attraversa da N a S tutto il lungo piano che porta a Prà della valle (m 1363), tranquilla e bucolica piana erbosa con fresco torrente dove amano sostare d’estate frotte di campeggiatori. Si sale quindi nel bosco sulla sx per poi spostarsi su un faticoso pendio sulla dx, vicino alla maestosa cascata. Si segue il ripido sentiero che sbuca, improvvisamente, nella parte più alta della valle. Pendenze più dolci accompagnano all’edificio dell’AEM, e quindi alla Malga Caronella (m 1858, ore 2). A questo punto, per rispettare il senso di marcia del tracciato già descritto da Valbondione, ci si dirige al passo di Bondone, da cui, passando per il lago della Malgina si scende al rifugio Curò, dove si consiglia di pernottare per poi, il giorno seguente, tornare a Carona per il lago della Malgina - lago Gelt - passo m 2730. Il tempo di percorrenza complessivo è sempre di 12-13 ore, anche se il dislivello in salita si riduce di oltre 200 m. Attorno al Lago Gelt 85 Escursionismo Il lago di Verva Antonio Boscacci E F Non lasciarci a secco: dona sangue e torna a donare. Se hai compiuto 18 anni e sei in buona salute, scegli di donare il tuo sangue. Un gesto semplice e prezioso che aiuterà molte vite a ripartire. 86 AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO: AVIS DI BORMIO 0342 902670, AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954, AVIS DI CHIAVENNA 0343 67297, AVIS DI LANZADA 0342 452633, AVIS DI MORBEGNO 0342 610243, AVIS DI 0342 Le POGGIRIDENTI Montagne Divertenti 380292, AVIS DI SONDALO 0342 801098, AVIS DI SONDRIO 800593000 Estate 2010 Il lago di Verva (28 luglio 2001, foto Luisa Angelici). Le Montagne Divertenti Il Lago di Verva 87 Passo dopo passo Escursionismo E ra da tanto tempo che pensavo di andare a vedere questo laghetto. Non mi pareva possibile che sul ripido fianco sinistro della valle Verva, ci fosse anche lo spazio per un lago, pur piccolo che fosse. Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Arnoga (m 1850). Itinerario automobilistico: da Bormio si prende la SS301 del Foscagno fino al paese di Arnoga (16 km). Itinerario sintetico: Arnoga - ponte sul torrente Viola - Verva di sotto (m 1946) - cascina di Verva (m 2123) - lago di Verva (m 2640) - monte Verva (m 2826) - lago di Selva (m 2540) - rifugio Valgoi all’alpe Dosdé (m 2134) - alpe Dosdé - strada della valle Viola - Arnoga. Tempo di percorrenza: 6-8 ore. 28 Luglio 2001 asciamo Arnoga alle 9 accompagnati dal sorriso di un tale che, avendoci chiesto dove andavamo ed avendo saputo che andavamo in valle Verva, non si capacitava del fatto che non facessimo almeno un tratto di strada in auto: "Non c’è mica bisogno di partire da qui a piedi!" Percorriamo la stradicciola pianeg- L 88 Le Montagne Divertenti Attrezzatura richiesta: utili i bastoncini. Difficoltà: 3 su 6. Dislivello in salita: circa 1000 metri. Dettagli: EE. Il tratto più in quota dell'escursione si svolge su traccia non segnalata. Carte: Fogli Valle di Dentro e pizzo Filone dell’Istituto Geografico Militare 1:25000; Alpi Retiche - Bormio, Edizioni Muligraphic 1:25000; Alta Valtellina, ed Kompass, 1:50000; Bormio – Livigno – Corna di Campo, ed. Kompass, 1:50000. giante che fu la sede di una vecchia decauville, realizzata per la costruzione del canale che porta l’acqua del torrente Viola nel lago artificiale di Cancano [ora hanno costruito un altro canale più in alto, con una presa sotto il maggengo di Caricci]. Questo lungo percorso pianeggiante, circa 40 minuti, ci porta al torrente Viola. Di là dal ponte, la strada, dopo aver seguito per un tratto la valle verso est, sale ripida con qualche tornante. Così sbuchiamo tra le baite di Verva dove c’è un gruppo di mucche che non ha ancora raggiunto la cascina di Verva. Ci sediamo un momento per osservare Arnoga e il tratto di strada percorso per arrivare fin qui. Così mi viene in mente che nel Estate 2010 Diario di Viaggio di Antonio Boscacci 1985 abbiamo iniziato proprio da Arnoga il lungo itinerario che ci avrebbe portati fino in val Chiavenna, attraversando infiniti passi e valli e montagne delle Retiche Valtellinesi. Ricordo ancora la frase che uno dei miei amici pronunciò appena prima di lasciare Arnoga: "Pesano troppo e non le metto nello zaino, prima di partire mangiamoci queste due pesche sciroccate!" Avevamo degli zaini talmente alti che l’aria, che ci soffiava alle spalle, non riusciva nemmeno ad acchiapparci la testa. Nonostante questo però, un altro dei miei amici, non avendo più spazio nello zaino, fece tutto il cammino del primo giorno fino a Campo Pedruna, all’imbocco della valle omonima, con una reticella nella quale c’erano due giganteschi pompelmi. Fosse stato per lui, li avrebbe trascinati con sé anche il giorno dopo, ma con la nostra insistenza e le nostre pressioni, riuscimmo a costringerlo a dividerne almeno uno con noi, quella sera stessa. Proprio qui, più o meno dove siamo seduti adesso, all’imbocco della valle Verva, è avvenuto, sempre in quel trek, il più complesso scambio di scarponi a cui mi sia mai capitato di partecipare. Occorre sapere, che l'amico delle pesche sciroccate è un tipo molto pignolo e, come tutti i tipi molto pignoli, ogni volta che compra un paio di scarponi, sbaglia il numero. Qualche mese prima gli era successo con un paio di scarponi da scialpinismo che, nonostante li avesse provati in negozio per almeno due ore, si erano rivelati decisamente troppo grandi. Mentre, al contrario, gli scarponcini che aveva appositamente acquistato per questo viaggio, avevano mostrato, fin dai primi metri, segni evidentissimi di essere inesorabilmente troppo piccoli. Le Montagne Divertenti Alta Valle Il rifugio Federico in val Viola Bormina (14 luglio 2007, foto Roberto Moiola). Quando siamo arrivati qui alle baite di Verva, non ne poteva più del male che gli facevano i piedi. Aveva deciso di abbandonare la nostra piccola spedizione. Così, con una adeguata opera di rotazione, che ha visto impegnati tutti i componenti di questa nostra curiosa piccola confraternita di camminatori, passandoci gli scarponcini l’un l’altro, siamo riusciti a risolvere il problema. Nessuno avrebbe più avuto, nel prosieguo del viaggio, le stesse scarpe che portava alla partenza. Sembrerebbe impresa impossibile, ma ognuno di noi ha fatto l’intero percorso con gli scarponcini di un altro! Lasciati i ricordi di quell’antico viaggio da Arnoga fino a Verceia, riprendiamo il nostro cammino. ontinuiamo lungo la strada, passiamo accanto alla presa C sul torrente (anche l’acqua della valle Verva va a Cancano) e ci fermiamo poco prima della cascina di Verva. Dalla destra della valle scende un ripido torrentello che solca un altrettanto ripido pendio. Iniziamo a salire sulla sinistra del torrentello, superiamo una breve fascia rocciosa per un canalino di sfasciumi e ci troviamo su un piccolo poggio. Siamo di fronte al Colle delle Pecore, che mette in comunicazione la valle Verva con la valle Cardoné. Dopo un tratto di ganda entriamo in un piccolo anfiteatro e, superata un’altra modesta fascia rocciosa, arriviamo su un inaspettato e ampio piano di origine glaciale. Nonostante sia la fine di luglio, c’è ancora molta neve. Sporgendoci da un piccolo balcone vediamo in basso, circondato dalla neve, il bellissimo lago della Valletta (m 2619). Dopo aver attraversato un po’ di neve incontriamo la nostra meta, il lago di Verva (m 2640). Anche questo è circondato dalla neve e dentro vi Il Lago di Verva 89 Passo dopo passo Escursionismo Ruttico gomme DAL 1967 ti aiuta a guidare sicuro • PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA; • TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI; • MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA; • RIPARAZIONE GOMME E CERCHI; • BILANCIATURA E CONVERGENZA; • ASSISTENZA SUL POSTO; • OFFICINA MOBILE; • CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO. Le Montagne Divertenti Diario di Viaggio di Antonio Boscacci navigano numerosi pezzi di ghiaccio. Sulle sponde del lago incrociamo un gruppetto di pecore che fugge belando alla nostra vista. Dallo sbocco del laghetto, dove l’acqua fa una piccola cascata, si vede in basso, con una visione curiosissima, la cascina di Verva (sembra che sia stata costruita apposta in quel pezzetto di verde laggiù, per poter essere vista da qui). Seguendo la sponda destra del lago e risalendo il pendio soprastante che, soleggiato e ripido, è sgombro dalla neve, raggiungiamo una piccola cresta e, seguendola, ci troviamo sulla sommità del monte Verva (m 2828). E’ mezzogiorno e un quarto. Questa piccola elevazione, all’inizio della cresta rocciosa che separa la valle Verva dalla valle di Dosdé, è un punto panoramicissimo su tutta l’Alta Valle. Vicina e imponente appare a sud est, la cima de’ Piazzi, con i suoi ghiacciai. C’è neve ancora abbondante un po’ ovunque. Dopo aver mangiato il solito pane e formaggio (questa volta abbiamo anche un po’ di maionese), scendiamo i ripidi pendii gandosi verso ovest e, sfruttando qualche macchia di neve sulla quale scivoliamo velocemente verso valle, arriviamo al piccolo lago di Selva1. Il laghetto si trova al centro di un vastissimo pendio che un tempo forniva ricchi pascoli (ora abbandonati) per centinaia di animali. Attraversiamo verso sinistra seguendo una fascia di erbe pianeggiante e ci affacciamo, accanto a un ometto di pietre semicrollato, sulla valle Dosdé. Rimettiamo in piedi l’ometto e il lungo palo che gli sta accanto, poi iniziamo a scendere lungo un facile pendio erboso. Anche qui, come in tantissimi MONTAGNA IN VALTELLINA (SO) FINE TANGENZIALE DIREZIONE BORMIO TEL.0342/215328 FAX 0342/518609 E-mail: [email protected] WWW.RUTTICOGOMME.191.IT 90 1 - Lo rintracciamo con l’aiuto di una cartina della zona, perché non si vede dall’alto essendo nascosto da un dosso erboso. Estate 2010 Le Montagne Divertenti Alta Valle Il lago di Selva (28 luglio 2001, foto Antonio Boscacci). altri luoghi della Valtellina, i pascoli stanno sparendo e migliaia di ciuffi di rododendri e di ginepri si stanno a poco a poco impossessando dei fianchi della montagna. Il sentiero scende serpeggiando il pendio e, arrivati in fondo, incontriamo due persone che stano raccogliendo la Taneda2. E’ dalla mattina che stanno lavorando e ne hanno già raccolto una ventina di chili. Ma la signora, che ha 75 anni, ci dice che quest’anno non ce n’è, per colpa della neve che se ne è andata troppo tardi e non ha permesso quindi un fioritura più diffusa e omogenea. Continua a raccogliere i fiori mentre chiacchiera con noi e ci racconta che il suo corredo da sposa, 60 anni prima, se l’è fatto vendendo quintali di Taneda. Poi si infuria con i Verdi, dicendo che la raccolta è una questione di buon senso; quindi si arrabbia con “quelli” del Parco dello Stelvio, che secondo lei non capiscono niente; poi ci parla dei numerosi missionari che ci sono a Semogo e ci spiega che gli aiuti umanitari purtroppo vanno a finire a chi non ne ha bisogno … Mi ero fermato per chiederle il nome dialettale del lago di Selva e, alla fine della nostra chiacchierata, mi dice che non lo sa, perché non è mai stata da quelle parti, non essendoci lì Taneda da raccogliere. La salutiamo e ci dirigiamo verso l’alpe Dosdé. Qui imbocchiamo la strada che ci porta su quella della valle Viola e, lungo questa, lemme lemme, accompagnati da qualche goccia di pioggia, ritorniamo ad Arnoga. Sono le ore 16. 2 - Erba iva (Achillea moschata) Il Lago di Verva 91 Escursionismo Bassa Valle “S econdo me, con le sue lunghe pareti ed i suoi ripidi versanti, appare come una vetta himalaiana, quasi un Makalu alle porte della Valtellina.” Se il Legnone non si trovasse tra Lario ed Orobie ma tra le vette delle grandi Alpi, sarebbe considerato non solo una sommità di tutto rispetto, ma una cima di grande prestigio. Panoramica sul Legnone e l’alta val Lesina dai pressi del rifugio Legnone. In arancione la "direttissima", in rosso la via per la cresta S (26 agosto 2008, foto archivio Canetta). A fianco il Legnone dal Pian di Spagna ritratto da Kim Sommerschiel (www.kimsommerschield.com). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Delebio (m 250). Itinerario automobilistico: usciti dalle gallerie della SS 38 a Colico proseguire per Sondrio. Entrati in Delebio e superata la prima rotonda di Santa Domenica, dopo la leggera curva verso dx della SS 38, prendere via Verdi in corrispondenza della chiesa parrocchiale di San Carpoforo. Percorrere via Verdi verso lo sbocco della val Lesina fino al parcheggio nei pressi del lavatoio in Località Torrazza. Itinerario - U M onte Legnone il gigante alle porte della Valtellina sintetico: Delebio - Osiccio (m 922) - Piazza Calda (m 1165) n caro amico, Popi Miotti, uno dei grandi attori di quell’ondata di arrampicatori che rinnovò l’alpinismo tellino negli anni ’70 e ’80, un giorno mi fece notare come il Legnone, se non si trovasse tra Lario ed Orobie ma tra le vette delle grandi Alpi, sarebbe considerato non solo una sommità di tutto rispetto, ma una cima di grande prestigio. “Secondo me, con le sue lunghe pareti ed i suoi ripidi versanti, appare come una vetta himalaiana – continuò – quasi un Makalu alle porte della Valtellina”. A - Corte Galida (m 1413) - alpe Legnone (m 1690) - monte Legnone (m 2610) per la direttissima o per la cresta S. Tempo di percorrenza: 6 ore e 30 per la salita da Delebio senza mezzi meccanici. Attrezzatura richiesta: -. Difficoltà: 2+ su 6. Dislivello in salita: circa 2350 metri. Dettagli: E per la cresta S, EE per la direttissima. Carte: Kompass 1:50 000, foglio n. 92. ffermazione che potrebbe apparire un po’ esagerata, ma basta dare un’occhiata a una cartina per comprendere come il paragone – fatte le debite proporzioni – sia calzante. Il Legnone si innalza, dai tranquilli ripiani coltivati che ne stanno alla base, tra Colico, Piantedo e Delebio (tutte località attorno a quota 200) per circa 2400 metri. Duemilaquattrocentometri di canaloni, ripidi boschi, valli e creste che, quasi d’un fiato, passano dalle palme e dalle spiagge lariane ai nevati della sommità. U n vero colosso, che degnamente fa da pilastro occidentale alla catena orobica che, troppo bassa per essere inserita tra le “vere” Alpi, è troppo elevata, selvaggia ed aspra, per essere compresa nelle Prealpi. Lungo lo spartiacque orobico ci si deve spostare di una quarantina di km ad E, per trovare una vetta più elevata, pure se certo meno imponente ed isolata: il Corno Stella. Ma da Colico e Delebio siamo ormai arrivati alle porte di Sondrio! Eliana e Nemo Canetta 92 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Le Montagne Divertenti Monte Legnone 93 Escursionismo Bassa Valle U na cima del genere certo avrà sempre attratto molta curiosità ma chi ne avrà calcata la vetta per primo? I “guidisti” un tempo scrivevano “Cima raggiunta da tempo immemorabile da pastori e cacciatori …”. Per non ammettere che nessuno ne sapeva nulla. Infatti i cacciatori (ed ancor più i pastori) raggiungevano una sommità solo se la cosa aveva per loro un reale utilità pratica. L’interesse per i panorami, per quanto vasti, era assai relativo, ancor più scarsa la soddisfazione di affermare di “essere stato lassù”. La vita quotidiana era già sufficientemente difficile e pericolosa, per non andarsi a cercare altre fatiche ed altri guai! Tra i primi alpinisti certo vi furono i rilevatori della celebre Carta dello Stato Maggiore Lombardo-Veneto, che il rigido ma saggio governo viennese volle per tutti i suoi territori italiani. Dal Legnone la vista è così estesa in ogni direzione, da farne un punto per osservazioni geografiche e topografiche d’eccellenza. Questo impegno si svolse attorno agli anni ’30 del XIX secolo. Poi il silenzio calò su gran parte dei monti tellini, complici le Guerre d’Indipen- 94 Le Montagne Divertenti C Foto militare (archivio IGM) ripresa dal Legnoncino, verso il Legnone. Ben visibile la lunga strada militare che, dalla val Varrone, raggiunge la cresta E del Legnone, non lungi dalla vetta. denza che spostarono l’interesse su ben altri temi che il turismo. Nel frattempo altri topografi avevano calcato le vette dei “grandi gruppi” che attorniano la valle dell’Adda. Due nomi su tutti: Coaz, l’elvetico conquistatore del Bernina e Payer, l’asburgico rilevatore dell’Ortles-Cevedale. In parte sull’onda di questi successi, e dei soliti inglesi che giungevano ovunque per raccogliere nuovi allori alpinistici, pure gli italiani si mossero. E venne anche l’ora delle Orobie. onsultando la mitica (ed introvabile) Alpi Orobie della collana Guide dei Monti d'Italia del CAI-TCI, scopriamo nel 1870 la prima salita al pizzo del Diavolo di Tenda e due anni dopo la “conquista” del pizzo Stella. Il Legnone è citato solo nel 1889: “... versante NO e cresta O, Cederna e Combi”. Un itinerario lunghetto (8 ore e mezza!) e non privo di difficoltà, che risaliva direttamente da Colico per i ripidissimi valloni affacciati al Lario. Luoghi certo poco frequentati, dato che soli 4 anni prima, nella zona, era stato abbattuto l’ultimo orso del Legnone. Anche salire da Delebio, per la ripida val Lesina, se pure più facile, richiedeva uno sforzo non indifferente: nessuna strada per portarsi in quota, nessun rifugio. Un tragitto di 6 o 7 ore … e bisognava poi rientrare a valle! Ma un libro altrettanto introvabile ci viene in aiuto, per fornirci qualche maggior informazione rispetto al versante tellino del Legnone. Si tratta di Escursioni Alpine, del 1884 di Ercole Bassi, che conosceva come le sue tasche il territorio di Delebio. C Estate 2010 Apprendiamo così che già nel 1763 la vetta del Legnone era stata raggiunta dall’astronomo Oriani, che ne aveva valutata la quota in ben 2836 metri. Quanto all’autore, salì parecchie volte il monte, la prima nel 1868. Sarebbe quindi toccato a lui l’onore di aprire l’elenco dei conquistatori ufficiali di vette orobiche, tanto più quale “Socio del CAI Sezione Valtellinese”. Le sue narrazioni sono (forse inconsapevolmente) gustose, come quando descrive l’ascensione in compagnia di alcune giovani signore, la cui presenza, al tempo, era ancora considerata con qualche perplessità. Forse non del tutto a torto dato che “ ... le ragazze si trovarono stanchissime, e colle scarpe senza quasi suola non avendo esse avuto cura di preparar calzature robuste”. Così, dopo un (relativo) riposo all’alpe Legnone ripartono, ma ben presto due delle malcapitate “... avevano già consumato del tutto il poco di suola che ancora era rimasta e dovettero supplire con fasciature (!)”. Per di più le gonne e sottogonne dell’epoca impacciavano e si bagnavano con l’abbondante rugiada. Il tutto in Le Montagne Divertenti piena notte, dato che per ammirare il sorgere del sole dalla vetta i nostri avevano pensato bene di partire all’una e mezza del mattino! Comunque, come Dio volle, il Legnone fu conquistato da tutti, donzelle comprese, che in fondo dimostrarono, pure se malissimo attrezzate e poco allenate, un’instancabile determinazione. erto più agevole risultava il versante meridionale, aperto sull’incassata e boscosa val Varrone, ove non mancavano taluni comunelli in quota. Ma piano con gli entusiasmi: prima del 1915 la val Varrone era priva di strade carrozzabili, salvo il tracciato che collegava la Valsassina con Premana. Il resto era servito solo da acciottolate mulattiere. Si partiva quindi da Dervio, a livello del Lario; la fitta rete di stradette che oggi raggiunge i centri della val Varrone e che sale pure a Sommafiume e alla sella dei Roccoli Lorla, è un’eredità della Grande Guerra, quando i nostri trasformarono il Legnone in una vera roccaforte, cardine tra Lario ed Orobie. Comunque questo era l’itinerario normale, il più frequentato dagli alpinisti che risalivano da Milano e dalla pianura. Se sfogliamo la guida Itinerario alle Prealpi Bergamasche, pubblicata a cura del CAI Bergamo nel 1888, con prefazione addirittura dell’abate Stoppani, scopriamo questa descrizione: “Dervio è il migliore punto di partenza ... Si pernotta alla capanna del Club (2150 m circa, tavolato, stufa e pentola, munirsi di legna e coperte) alla quale si giunge in 6 ore pei Roccoli Lorla [...] Dalla capanna alla cima in 1 ora e un quarto, passando dalla spaccatura della Porta dei Merli”. Nel complesso una camminata di oltre 7 Lungo il sentiero che collega il rifugio Legnone col rifugio Scoggione; la vista spettacolare sull’unione tra le valli dell’Adda e della Mera, il lago di Novate ed i monti circostanti (26 agosto 2008, foto archivio Canetta). Monte Legnone 95 Escursionismo ore (solo andata!), per di più portandosi appresso legna, viveri, coperte. Ma ai tempi gli alpinisti non si spaventavano di fronte a marce di 14 o 15 ore: non era raro partire, a piedi, da Sondrio, per raggiungere la Marinelli e proseguire poi verso il Bernina. Che questa fosse la “via principale” è confermato dal fatto che già nel 1889 il CAI di Milano acquistava, nei pressi della sella tra il Legnone ed il Legnoncino, un edificio, poi detto rifugio Roccoli Lorla, ove veniva inaugurato il “primo servizio d’osteria” in un rifugio del CAI; segno evidente di una buona frequenza, almeno per l’epoca. Sul versante tellino una capanna verrà aperta, solo dopo la Grande Guerra e si tratterà del rifugio Vittoria (m 969), chiaro richiamo al recente conflitto mondiale. Siamo nel 1922 e l’edificio è voluto dalla Federazione Alpinistica Italiana, a 2 ore e mezza di marcia sopra Delebio (il rifugio è ancor oggi ben visibile ma, oramai privato, da molto tempo non è fruibile al pubblico). eggendo la guida Alpi Orobie, pubblicata nel 1957, cui abbiamo accennato, si ha la netta impressione che il versante tellino fosse decisamente meno noto di quello lecchese; pare quasi che la val Lesina fosse stata appena osservata dai compilatori. In particolare si accenna di sfuggita agli imponenti lavori militari che avevano profondamente modificato anche la viabilità pedestre della monta- L Bassa Valle gna. Infatti lungo le Orobie erano state realizzate non poche fortificazioni, in previsione sia di uno sfondamento allo Stelvio che di una violazione della neutralità svizzera, da parte degli austro-tedeschi. Nel malaugurato caso, ci si sarebbe ritirati dietro le vette orobiche, abbandonando completamente la provincia di Sondrio. Ma il Legnone, pilastro sopra il Lario, allo sbocco delle valli dell’Adda e della Mera, meritava di più: fu completamente fortificato, raggiunto da una strada militare sul versante della val Varrone, mentre molte mulattiere furono pure tracciate in val Lesina, il cui controllo era previsto rimanesse al nostro esercito. Grosso modo la linea delle trincee partiva da Dervio, risaliva a Sommafiume, per raggiungere poi i Roccoli Lorla. Qui alcune postazioni d’artiglieria e trincee sono state oggi sistemate a cura della Comunità Montana della Valsassina. La linea proseguiva poi verso la vetta, comprendendo opere nei pressi di Scoggione e dell’alpe Legnone, per addentrarsi di qui verso la testata della val Lesina. Queste opere, che impegnarono dal 1916 al 1918 i militari, ma pure molti abitanti (specie donne e ragazzi) di Delebio, sono ancor oggi in ottime Casera nei pressi del rifugio Legnone (26 agosto 2008, foto archivio Canetta). 96 Le Montagne Divertenti condizioni di conservazione: la sempre più fitta vegetazione le nasconde alla vista, ma al di sotto trincee e camminamenti risultano perfettamente percorribili. Prova evidente di come, pur con l’incombere del tempo, i nostri vecchi sapessero lavorare bene, realizzando strutture che, a distanza di quasi un secolo, potrebbero ancora essere utilizzate! Un vero museo all’aperto che andrebbe valorizzato, non solo per ricordare quei tragici anni di ferro, ma pure per rammentare le eccezionali capacità della nostra gente. L’itinerario di salita L a salita al Legnone da Delebio, pure se oggi facilitata in parte da una strada, ha ancora un sapore antico. Non si sceglie l’itinerario più breve ma un tracciato che permette di gustare appieno ogni aspetto della montagna, dai panorami alle attività umane, alla natura ancora integra della val Lesina. E, non da ultimo, permette di comprendere cosa significava l’alpinismo “di scoperta” del XIX secolo. A Delebio, se vogliamo prender quota in auto, procuriamoci, presso il Municipio od alcuni bar convenzionati, il permesso (3 euro) per percorrere la stradella che raggiunge Osiccio (m 922), iniziando da Casale, a S del capoluogo. Chi invece preferisce seguire le antiche tracce dei pionieri sin dalla partenza, imboccherà, verso mezzodì, un tratturo selciato che prende ripidamente quota all’imbocco della val Lesina, nei pressi di una centralina elettrica: lungo di esso veniva trascinato a valle il legname, una delle maggiori risorse della zona (Delebio-Osiccio ore 1:45). A piedi la vecchia mulattiera, da Osiccio guadagna direttamente 1 Piazza Calda (m 1165, ore 0:30). Ci si trova così all’inizio del costolone, inizialmente boscoso, poi prativo, che costituisce la sponda orografica sinistra della val Lesina, che oramai ci appare nella sua vastità e complessità, fittissima di boschi incassati sino ai 1600/1700 metri, sovrastati da vasti pascoli, intramezzati da 1 - Se si dispone di un mezzo 4x4 (e lo si sa ben usare ...), da Osiccio si può proseguire sino a Corte della Galida. Estate 2010 possenti crestoni in parte rocciosi. a stradella pianeggia, stretta e nel fitto del bosco, lungo il fianco della Mottarella dei Larici, sino a terminare bruscamente all’alpeggio della Corte Galida (m 1413, ore 1)2, punto più elevato oggi raggiungibile con mezzi meccanici. Sopra, oltre il Dosson di Zocche, il Legnone signoreggia; verso E il massiccio pizzo val Torta ed il pizzo Alto. Tutti costoloni trasformati dal nostro Genio Militare in postazioni, cui accedevano sentieri e mulattiere, in gran parte ancora oggi percorribili. er salire il Legnone, da Corte, imbocchiamo verso NNE un ripido sentiero che, in una mezz'ora, permette di raggiungere la spettacolare spianata prativa dell’alpe Legnone3 (m 1690, ore 0:30), ove è l’omonimo rifugio. Il rifugio4, di proprietà dell’ERSAF (Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura ed alle Foreste) ha di recente sostituito quello ricavato nella vecchia casera. Nei mesi di luglio ed agosto è aperto con servizio di ristorante e pernottamento, a cura della Pro Loco Delebio. Il panorama è vastissimo, sulle antistanti costiere retiche. Verso S è ovviamente limitato dall’incombente Legnone, ma quanto mai interessante: di qui si possono osservare cime, colli e itinerari d’accesso pressoché invisibili dal fondovalle tellino. ncora una volta ci sono delle alternative per raggiungere la cima del Legnone. Se si preferisce un tracciato più comodo, pure se più lungo, non vi è dubbio: la cresta SE del monte, lungo le mulattiere militari, di recente riattate a cura dell’ERSAF. Se invece si preferisce il brivido della direttissima, si può salire per il versante NNE. In ogni caso si imbocca, verso SSO, un bel tracciato pianeggiante che porta sotto il monte Colombano. Per la direttissima, si prende ora a dx per guadagnare, lungo i regolari tornanti L P A 2 - Il termine Corte della Galida (I.G.M.) non è utilizzato dai locali che chiamano comunemente questo alpeggio "Panzùn", mentre i pascoli di Galida si trovano a monte del gradino roccioso che chiude la valle verso il Legnone. 3 - Una via alternativa da Piazza Calda è il sentiero diretto per la Mottarella dei Larici, che arriva all'alpe Legnone in circa 1ora e 30'. 4 - Posti letto 16/20, info 334.5736108. Da qui inizia anche il sentiero Andrea Paniga. Le Montagne Divertenti di un tracciato militare, la selletta tra Legnone e Colombano (m 1970). Nella zona resti di trincee: la stradella scresta e scende verso Scoggione. Noi imbocchiamo (segnalazioni) invece un sentiero ripido che traversa verso sx (S), andando a superare, aiutati da qualche attrezzatura, delle piodesse che, specie se bagnate, richiedono prudenza e piede sicuro. Ci troviamo così in un ampio canalone che risaliremo. Particolare curioso: su Terra Glacialis (2003) il periodico del Servizio Glaciologico Lombardo, si conferma qui l’esistenza di un minuscolo glacionevato perenne, a quota 2360, già segnalato nei vecchi testi locali ma mai preso in considerazione degli studi glaciologici “ ufficiali”. Per sfasciumi e roccette si va alla cresta O, ove s’incontra il tracciato che risale dal Roccoli Lorla, ed in breve (tratto con catene) si è alla sommità del Legnone (m 2610, ore 2:30). hi invece preferisce la tranquillità, dal bivio sotto il Colombano continuerà sino al Dosson di Zocche, che risalirà con infiniti zig zag, sin verso quota 2100. Si traversa ora a mezza costa, sempre sulla mulattiera militare, altissimi sulla testata della val Lesina; un ultimo strappo ed eccoci sulla cresta principale orobica, a quota 2400 circa, ben più alti e ad occidente della bocchetta del Legnone. Di colpo la vista spazia sulla val Varrone e sulle Prealpi. C N oi continuiamo lungo la cresta, lasciando ben presto a sx (SSO) la stradella che collega il nostro itinerario con l’alpe Campo, sopra Pagnona. La cresta, ampia e facile, con regolare pendenza ci guida alla vetta del Legnone (m 2610, ore 3). Inutile descrivere la vastità del panorama che si gode da lassù, bisogna andarci per vedere e per credere! Qualche variante - Dalla vetta al Rif. Roccoli Lorla, per la cresta OSO, transitando per il bivacco Ca’ de Legn (nei pressi dell’antica “capanna CAI”), sentiero con roccette finali. Ore 2.15; E/EE. - Dalla quota 2400 della cresta SE si scende all’alpe Campo e da qui alla carrozzabile della val Varrone su una bella (ma interminabile!) strada militare. Ore 3.00; T. - Dal rif. Alpe Legnone al Rif. Scoggione (m 1575), su facile mulattiera militare pianeggiante, si traversano zone massicciamente fortificate, con trincee, bunker, caverne, resti di baracche (ma gran parte delle opere è, per ora, nascosta dalla vegetazione). Ore 1.00; E. Non si manchi assolutamente la brevissima salita alla vicina cima Scoggione (m 1703), con panorama mozzafiato sui selvaggi canaloni del versante NO del Legnone. Lungo l’itinerario tra i rifugi Legnone e Scoggione, nascoste nel bosco, molte trincee sono ancora perfettamente integre (26 agosto 2008, foto archivio Canetta). Monte Legnone 97 Rubriche valtellinesi nel mondo L'Everest da Kala Patthar (26 ottobre 2009). Il vento dell' 98 Le Montagne Divertenti Bimba (27 ottobre 2009). Estate 2010 Cho-La Pass, m 5530 (24 ottobre 2009). Himalaya Tempio di Boudhanath (17 ottobre 2009). Le Montagne Divertenti Testi e foto Claudia Schenatti Il vento dell'Himalaya 99 Valtellinesi nel mondo Rubriche F inalmente si parte!! Il tanto desiderato viaggio "spirituale" in Nepal inizia… Sono stanca e curiosa; non vedo l’ora di conoscere la misteriosa guida che mi terrà compagnia nelle prossime due settimane, quando sarò “isolata” dal mondo. Chissà nel frattempo cosa succederà in Italia, chi tenterà di scrivermi e contattarmi con poco successo. Chissà ... Ora chiudo questo mio diario e aspetto impaziente di imbarcarmi e dormire un po’. 15 - 16 - 17 ottobre 2009 Malpensa - Doha – Kathmandu Kathmandu è un delirio! Non ci sono luci, le strade sono strette e dissestate, un traffico assurdo, clacson, colori, urla, bancarelle ovunque, gente per strada, moto, risciò, mucche... C’è di tutto, un mix senza senso di suoni e colori, gente che sfreccia a destra e a sinistra e poi quante bancarelle: pashmine, gioielli, negozi di articoli sportivi taroccati… di tutto e di più! La gente si riversa in strada, canta, balla, lancia petardi e prepara delle splendide collane fatte con fiori arancioni. Fa molto caldo ma i templi sono bellissimi, sprigionano spiritualità e invitano al rispetto. Una pizza tanto per sentirsi un po’ a casa e poi via, alla volta dell’agenzia per prenotare il volo per Lukla. La meta da raggiungere: il Kala Patthar (m 5545). Sulla carta, una delle più panoramiche cime della valle del Khumbu. 18 ottobre Kathmandu – Lukla (m 2840) – Phakding (m 2700) Sveglia alle 5! La mia guida è puntualissima. Finalmente lo conosco: é un ragazzo che ha un nome per me impronunciabile, decidiamo che lo chiamo Tshe. Sembra timidissimo… Interminabile attesa in questo mini aeroporto trafficatissimo. Ad attenderci c’è un catorcio di bimotore. I presupposti non sono dei migliori! Ci accomodiamo in questa “scatola di sardine”, si scaldano i motori e via... si parte alla volta dell’Himalaya. 45 “emozionanti” minuti, con la speranza di arrivare sani e salvi. Tshe si fa una bella dormita, io NO! Ma eccoci all’atterraggio: montagne ovunque e uno sputo di pista. Riusciremo a frenare in tempo?! Scesi dall’aereo, si va alla ricerca di 100 Le Montagne Divertenti Arriviamo finalmente al lodge e stramazzo sul divanetto della dining room; mi affaccio alla finestra: davanti a me il tramonto sul Cho Oyu, la “dea turchese”, un altro splendido 8000! E’ lì, che ti fissa, e hai la sensazione di poterlo toccare. Si erge enorme, imponente, candido. Questo gigante, che per la gente del luogo rappresenta una divinità, mi ipnotizza. Sento che le lacrime stanno per strabordare. Non so il motivo, forse è solo necessità di “purificarsi” alla vista di queste creature che ti fanno capire che qualche divinità, qualunque essa sia, deve pur esistere per averci donato tanta bellezza. 23-24 ottobre 2009 Gokyo (m 4750) – Tangnag (m 4700) - Cho-La Pass (m 5330) – Dzong-la (m 4830) Io, Tshe e la sua famiglia (19 ottobre 2009). un portatore. Una sfilza di uomini ci aspetta e sinceramente è un pugno nello stomaco: vestiti di niente, con i piedi quasi nudi, si offrono di portare come bestie da soma innumerevoli chili di materiale per pochi dollari. Dopo lunga negoziazione troviamo un ragazzino che dice di avere 21 anni; si chiama Sabdan, parla pochissimo l’inglese, e senza dire una parola si carica sulla schiena i miei 20 chili di materiale. Mattinata in cammino; alle 14.30 siamo già al lodge, nel villaggio di Phakding. 19-20 ottobre 2009 Phakding – Namche Bazar (m 3450) Sveglia alle 6.30 alla volta di Namche Bazar, villaggio crocevia per tutti i trekking della regione dell’Everest. Il sentiero si snoda lungo la valle del Khumbu, attraversando più volte con i tipici ponti tibetani il fiume Dudh Koshi. Namche Bazar (m 3450): una miriade di negozietti in alta quota! Vi passo due giorni fra bancarelle (dove trovo il mio braccialetto nepalese che porterò tutti i giorni come ricordo di questo viaggio) e negozi, fra tazze di ducha (tè al latte) e di “Butter Tea” tibetano, tipico tè del Tibet preparato con sale e burro di yak, e fra piatti di “rekeykur” (non so se scrive così), tipico piatto sherpa, una specie di omelette fatta con patate e guarnita con un quintale di burro e una strana salsa piccante. 21-22 ottobre 2009 Namche – Dole (m 4048) Gokyo (m 4750) Due giorni piuttosto intensi. Il mercoledì partiamo da Namche alla volta di Dole, il villaggio a m 4040 dove vive e gestisce un lodge la mamma di Tshe. Giovedì la salita al villaggio di Gokyo. I ragazzi al lodge di Dole pensano che non riuscirò a fare la tirata di 6 ore e 700 metri di dislivello, che di per sé non è un granché, se non fosse per il fatto che la partenza è a 4000 metri (e io non sono mai andata oltre i 3500). Il paesaggio è splendido, passiamo il primo e il secondo laghetto, proseguo lentamente, ho poca forza. Tshe non dice niente, ma mi osserva e cerca di capire cosa mi sta succedendo. Al terzo, benedetto laghetto, finalmente il villaggio di Gokyo. La vista è spettacolare: il villaggio si affaccia sul lago turchese, circondato da candidi giganti, ma sono talmente provata da non riuscire a godermelo. Estate 2010 Sveglia alle 4.30. Lasciamo il lodge con il cielo ancora stellato e ci incamminiamo verso Gokyo Ri, cima che sulle guide viene definito uno dei più bei panorami della terra. La salita è una passione, procediamo lentamente (“bistari bistari” come dice Tshe nella sua lingua!) ma le energie mancano comunque. Finalmente intravedo le bandierine delle preghiere che, tra l’altro, indicano la cima di una vetta. La vista è mozzafiato: Cho Oyu (m 8109) Kangsheng (m 7900) e poi Pumori, Everest, Nuptse, Lhotse e infine l’Ama Dablam. Montagne incredibili che ti avvolgono a 360 gradi. Il cuore dell’Himalaya è qui. Ci abbracciamo e complimentiamo tra noi e con la gente che arriva in cima. Qualche foto, un gradito tè caldo e si torna a Gokyo. Il giorno successivo partiamo alla volta del Cho-La Pass, un valico solitamente innevato e piuttosto ripido, sembra un muro di sassi. Ma quando sono su… che spettacolo! Un mare di neve e ghiaccio e tutt’intorno giganti innevati. Sosta e foto di rito e poi giù sui gradoni di pietra verso il villaggio di Dzong-la. Quando arriviamo al primo lodge non c’è nemmeno un posto letto. L’unica opzione è una minitenda sul prato. Per la prima volta mi viene un po’ di sconforto: sto male, ho i brividi e una nausea incontrollabile (non dovuta all’altitudine ma, ancora una volta, ad una scelta di cibo non azzeccata). Tshe mi trova una coperta che uso per isolarmi meglio da terra, indosso innumerevoli strati di vestiti (il classico abbigliamento a cipolla), mi ricordo di avere nel saccone la coperta metallica che utilizzo per isolare maggiormente il calore e una borraccia in metallo che, magia magia, una volta riempita di acqua bollente si trasforma nella fantastica boule che desideravo tanto avere nelle gelide notti passate. Nonostante il momento “drammatico” mi viene un attacco di ridarella: io e Tshe, insieme in una micro tenda, avvolti come larve in un’infinità di vestiti e sigillati nella coperta metallica, sembriamo un Pernigotto gigante! Come se non bastasse, abbiamo come vicini di tenda una coppia coreana che quando parla sembra un cartone animato giapponese. 25 ottobre 2009 Dzong-la (m 4830) – Lobuche (m 4930) Il mattino dopo ho la consapevolezza di non esser congelata; diversa la sorte della bottiglia di acqua che mi sono portata in tenda, trasformata in un blocco di ghiaccio. Le Montagne Divertenti Gokyo e Ngozumba da Gokyo Ri (23 ottobre 2009). Il panorama dal Chola-La Pass (24 ottobre 2009). Giornata tranquilla e di recupero, un semplice trasferimento di poche ore “in piano” tra i due villaggi. Visto che sono in perfetta forma, nel pomeriggio, dopo il “laundry service” con Tshe (servizio lavanderia nell’acqua gelata del fiume, le mie mani ormai viola ringraziano), decido di andare a visitare la famosa piramide del CNR che é a soli 30 minuti dal lodge. Anche visitare la piramide è una bella emozione: il laboratorio-osservatorio si trova a m 5050 e alle sue spalle si intravede lo splendido Pumori. Il vento dell'Himalaya 101 Rubriche Valtellinesi nel mondo 26 ottobre 2009 Lobuche (m 4930) – Kala Patthar (m 5545) - Lobuche (m 4930) Finalmente il grande giorno! Partenza alle 4 alla volta del tanto ambito Kala Patthar che, da programma, dovrebbe offrire uno dei panorami più belli dell’Everest. Il cielo stellato che si riflette sulle montagne innevate toglie il fiato. Superata la morena del Khumbu Glacier arriviamo a Gorap Shep, gradevole villaggio alla base del Kala Patthar , circondato dai giganti himalayani. Il Kala Patthar, la “pietra nera” per il suo colore così diverso rispetto ai candidi colossi che lo circondano, è una sorta di “collina” che porta fino a 5545 metri. Si sale con grande lentezza; più si va in alto, più si ha fame d’aria e si rallenta il passo. A metà strada, vedo sbucare l’Everest, più vicino di quanto l’abbia mai visto. Tutt’intorno montagne che si slanciano verso il cielo, con le loro linee perfette, ricoperte di un manto bianco. Sembrano sculture lavorate da una mano esperta. Arrivata faticosamente in cima, lascio che il vento indiavolato e gelido porti via tutto quello che voglio lasciare. Ho realizzato il mio sogno! Da questo momento ricomincia una vita nuova, non potevo trovare un posto migliore: sono nel cuore di quello che io considero un assaggio di paradiso. Di fronte a questa vista provo una pace interiore e un’energia che raramente ho trovato prima. Intorno a me, Pumori, Everest, uno scorcio di Lhotse, il maestoso Nuptse e una miriade di giganti sembrano abbracciarmi per darmi nuova carica. Ancora qualche foto e poi giù, l’altitudine comincia a farsi sentire. 27 ottobre 2009 Lobuche (m 4930) – Pangboche (m 3985) Mi sento un leone! Doppia colazione e via, alla volta di Pangboche (m 3985). Saluto il Pumori per l’ultima volta con già un po’ di nostalgia. Il pomeriggio arriviamo a Pangboche e visitiamo il più antico monastero (più di 600 anni) della valle del Khumbu. Nonostante sia un po’ 102 Le Montagne Divertenti 29 ottobre 2009 Namche Bazar (m 3450) - Lukla (m 2840) Ultima lunga tappa verso Lukla, dove domani riprenderemo l’aereo che ci riporterà a Kathmandu. Ultimo giorno di trekking e intorno a me solo silenzio, pace e natura. Già so che mi mancheranno questi paesaggi, le splendide persone e il silenzio assoluto. Alla mente mi tornano i ricordi dei primi giorni, il primo ducha, la kata, la fatica dei portatori, la prima vista dell’Everest… Arrivo a Lukla sfatta, dopo tante ore di cammino sotto il sole. Per festeggiare l’arrivo a destinazione ci concediamo una sosta in una pasticceria italiana. Dopo quasi due settimane senza mangiare qualcosa di familiare fa uno strano effetto! Servizio lavanderia (23 ottobre 2009). emozioni intensi. Mi è stato accanto quando “rantolavo” al Chola–Pass. Origini e culture lontane, eppure i problemi e i sogni sono simili, i progetti di vita e i desideri praticamente gli stessi. Sebbene così distanti e diversi siamo molto più vicini di quel che si possa pensare. Grazie anche a te, Tshe, per questi bei giorni. Ci alziamo all’alba: ultima colazione “in quota” e alle 7 siamo al mini aeroporto di Lukla per l’ultima avventura, il volo di ritorno a Kathmandu. Decollo mozzafiato e dopo quasi un’ora di volo siamo nella caotica Kathmandu. CHE SHOCK!! Dal silenzio, solitudine e cielo blu himalayani al manicomio di traffico, suoni e colori. E’ un pugno in faccia. Faccio finta di niente, ma mi sento a disagio, un pesce fuor d’acqua... Voglio tornare su, verso il “mio” Kala Patthar. 1 novembre 2009 Kathmandu – Doha – Milano Dopo troppe ore sola in quell’aeroporto caldo e senza indicazioni, prendo posto in aereo. Stringerò forte il mio dzi (la pietra tibetana) cercando di ricordare i momenti più significativi di questo viaggio. Non so praticamente nulla di quello che è successo in Italia e non me ne importa un granché; la mia famiglia sta bene e questo basta. Il resto, tutto il resto, se l’è portato via il vento del Kala Patthar. Stiamo per decollare, chiudo il diario. 30-31 ottobre 2009 Lukla (m 2840) – Kathmandu La piramide del CNR e sullo sfondo il Pumori (25 ottobre 2009). tardi, il custode gentilmente ci apre. Tshe, che è buddista, fa una serie di riti e mette in testa a me e Sabdan una specie di teiera come benedizione. Solo dopo realizzo che quei tre mattacchioni dentro al monastero sono di tre religioni diverse: cristiana io, buddista Tshe e induista Sabdan. Tre persone tanto diverse culturalmente, geograficamente ed economicamente eppure così simili in tante cose. 28 Ottobre 2009 Pangboche (m 3985) - Namche Bazar (m 3450) Dopo aver attraversato uno splendido bosco di betulle, conifere e rododendri, iniziamo a vedere le prime abitazioni di Namche, dove ho trascorso un paio di giorni all’inizio del trekking, e allora giù di corsa alla volta dello Shangri-La! Tè caldo, rinfrescata, “cambio d’abito” e via con lo shopping sfrenato! Ci sono una miriade di negozietti di ogni tipo. Mio papà impazzirebbe nel vedere quanti negozi di articoli sportivi (anche se per lo più taroccati!) ci sono a questa altitudine. Durante i vari acquisti conosco una gentile signora che produce e vende orecchini. Mi dice di essere tibetana, vive e lavora a Namche, ma le manca tanto il Tibet e purtroppo non può tornare a casa. Si commuove mentre mi racconta della sua vita e questo mi riporta alla memoria la tragedia del popolo tibetano e mi fa venire una gran voglia di visitare presto, prima che la Cina lo cancelli definitivamente, questo paese magico e sfortunato. Estate 2010 Non c’è molto da dire, il trekking sta volgendo al termine e la malinconia comincia a prendere il sopravvento. Niente di sorprendente, me l’aspettavo! Anche Tshe è un po’ triste: dopo il trekking dovrà cercarsi un nuovo lavoro. Abbiamo vissuto fianco a fianco dall’alba al tramonto, a volte anche la notte, quando non c’erano camere e la dining room era troppo piena. Abbiamo camminato ore e ore insieme, confrontato culture e origini così diverse, condiviso momenti ed L'Everest da Kala Patthar (26 ottobre 2009). Claudia Schenatti M i chiamo Claudia Schenatti, anche se molti mi conoscono come “Maiuk”. Sono nata 34 anni fa a Sondrio e cresciuta a Chiesa in Valmalenco. Da anni vivo però a Milano dove mi sono laureata in Economia e ora lavoro come responsabile marketing in una multinazionale americana. L’essere cresciuta in Valmalenco mi ha sicuramenete aiutato ad apprezzare la montagna e i suoi valori: la genuinità delle persone, la magia della natura, la fatica per raggiungere un obiettivo. Fuggire dal caos verso il silenzio per dida dida dida ..... Le Montagne Divertenti ritrovare se stessi, potersi spogliare dell’apparenza per assaporare la propria dimesione selvaggia e primitiva, dimenticare la quotidianità e vivere in simbiosi con la natura: per me questa è la montagna. Uno dei più grandi scalatori Himalayani, il kazako Anatolij Bukreev, ha scritto: “Arrivi in cima dopo aver rinunciato a tutto quello che credevi necessario alla sopravvivenza e ti trovi solo con la tua anima. In quel vuoto puoi esaminare, in un’ottica diversa, te stesso e tutti i rapporti e gli oggetti che fanno parte del mondo normale”. Tshe e Claudia Schenatti (ottobre 2009). Il vento dell'Himalaya 103 Speciali d'estate Il mondo in miniatura “In una giornata dal sole riscaldata una cicala su una foglia stava appollaiata. Un ragnetto saltellante da dietro una piantina sbucò e con tre balzi se la pappò.” Alessandra Osti S iamo in piena fioritura, le giornate si fanno più calde e lunghe, la rinascita della natura entra nella sua fase più intensa. Insieme a piante e mammiferi anche il mondo degli insetti si risveglia riemergendo dai luoghi nascosti dove ha trascorso l'inverno. Molti di questi minuscoli esserini, durante i mesi più freddi, hanno completato alcuni stadi della propria evoluzione e ora si presentano al mondo con il loro aspetto adulto. E' il caso della Eupteryx decemnotata, simpatica cicala appartenente alla famiglia dei Typhlocybidaealcuni ligure, la quale sta approfittando del bel tempo per prendere il sole comodamente adagiata sopra una foglia verde. La Eupteryx decemnotata deve il suo nome scientifico ai dieci puntini neri che ne adornano fronte, parte superiore del capo e collo. Questo animaletto dalle ridottissime dimensioni (non supera i tre millimetri di lunghezza), largamente diffuso in tutta la provincia di Sondrio e nella vicina Svizzera, sceglie come luogo di residenza i paesi del sud Europa, dove il clima è più mite. Dalla fine degli anni '80 ne sono stati trovati esemplari in Germania e dal 2002, la decemnotata, è sbarcata nel Regno Unito “emigrando” poi nelle zone meridionali degli Stati Uniti. Da quelle parti è conosciuta come “Cicala Ligure” e considerata un pericoloso parassita infestante per le piante dove normalmente vive, dal cui fogliame trae il suo nutrimento. E' ritenuta nociva soprattutto allo stadio di neanide e di ninfa, perché cibandosi della clorofilla che scorre nelle foglie, può ridurre la capacità di fotosintesi della pianta, facendone quindi ingiallire la superficie del fogliame (clorosi). Solitamente la Eupteryx preferisce sostare nella parte inferiore delle foglie, ma non disdegna adagiarsi in quella superiore per ristorarsi, crogiolandosi sotto i raggi solari. L’insetto adulto ha ereditato la predilezione per il “dolce far niente” direttamente dalla ninfa: uno degli stadi che caratterizzano l’evoluzione della cicala. Lo sviluppo di questo insettino avviene nei mesi più freddi: l'uovo viene deposto sulla lamina interna del fogliame, dove attraversa le varie fasi di crescita, completando il ciclo di trasformazioni all'arrivo della bella stagione. Nella scelta delle piantine, sia da utilizzare come amaca che come fonte di nutrimento, la Eupteryx preferisce la Melissa, la Nepeta cataria (meglio nota come erba gatta), l’Origano, la Maggiorana, il Timo e la Salvia. Niente è più piacevole per la nostra cicalina che riposarsi su una lamella, lasciando dardeggiare sotto i caldi raggi del sole le ali esterne, di un brillante giallo verde con sfumature marroncine. Satolla per la linfa succhiata si gode il tepore mattutino, ignara che il pericolo potrebbe essere dietro il prossimo filo d'erba... ualcun altro infatti si sta facendo un giretto tra l’erba alta, nelle vicinanze della Eupteryx, attirato all'esterno dal clima mite: si tratta di un esemplare di Heliophanus kochii, un cosiddetto ragno saltatore. A differenza di molti suoi cugini non cattura la preda utilizzando la ragnatela, ma in caccia libera, seguendo lo “stile” Q Heliophanus kochii a caccia sopra una foglia di Nepeta Cataria - (aprile 2010, Paolo Rossi). Le foto Montagne Divertenti 104 Estate 2010 Le Montagne Divertenti Il safari del ragno 105 Speciali d'estate insetti di alcuni mammiferi come i grandi felini, tanto da essersi meritato il titolo de “la tigre degli aracnidi”. La tela in seta prodotta nella parte bassa dell'addome, è invece utilizzata come riparo per la notte una volta rintanatosi in un posticino asciutto e in caso di pioggia a mo' di ombrellino. Le femmine invece se ne servono anche come “sacca” ove deporre le uova e per farvi la muta. Il metodo di caccia prescelto da questo microscopico animale, è appunto quello di balzare addosso all’insetto individuato, compiendo un salto spettacolare e intrappolandolo tra le zampette anteriori e i cheliceri. Questo ragnetto appartiene ad una famiglia che annovera in Europa circa 75 specie, suddivise in una quarantina di generi. Le sue dimensioni sono piuttosto ridotte, con una grandezza che va dai tre ai quindici millimetri. In particolare, l'esemplare fotografato è grande quanto la Eupteryx, ma di carattere decisamente meno gioviale. E' oltremodo interessante notare come tali ragnetti si accorgano immediatamente della vicinanza dell’uomo e, a quel punto, si mettano in atteggiamento difensivo senza staccare gli occhi di dosso al bipede che si trovano davanti. Sarà però sufficiente provare ad avvicinare una mano perché essi si girino verso di essa, assumendo una posizione minacciosa e arrivando anche ad andarle incontro, senza rivelare timore e dimostrando una forte territorialità. I jumper, come spesso sono soprannominati, possono essere avvistati abbastanza facilmente durante le giornate di sole, dato che sono animaletti prettamente diurni, sebbene di preferenza trascorrano il loro tempo acquattati nella vegetazione oppure saltellando su piante, fili d'erba e pietre. ome la Eupteryx anche l'Heliophanus, approfittando della calda giornata di inizio primavera, è uscito da un qualche pertugio asciutto per concedersi una tranquilla passeggiattina in mezzo al verde, ma i suoi otto occhioni neri scrutano intorno alla ricerca di qualche preda dall’aspetto gustoso. Gli occhi dei salticidae sono singoli, come quelli dei mammiferi, C 106 Le Montagne Divertenti Il mondo in miniatura proprio corpo, con un singolo salto. Quando decidono di compiere un balzo, queste specie di aracnidi, producono un filo di seta con il quale si assicurano, in modo da avere una sorta di "ancora di salvataggio" in caso di caduta libera e poter tranquillamente ritornare al punto di partenza. entre a balzelli e saltelli Kochii prosegue nella sua passeggiatina mattutina, ai suoi formidabili occhi non sfugge la Eupteryx, che placidamente e in bella vista riposa sulla foglia. Basta poco al minuscolo aracnide per capire che ha davanti un succulento bocconcino, dato che Madre Natura l'ha dotato della capacità di distinguere gli insetti pericolosi da quelli che possono essere predati. Al piccolo cacciatore non sembra vera tanta fortuna: il pranzo è servito. Immediatamente e senza produrre il minimo rumore comincia il suo avvicinamento, spostandosi di foglia in foglia riducendo la distanza dalla cicalina che, inconsapevole, prosegue nel suo riposo. M Una Eupteryx Decemnotata prende il sole facendosi cullare dal vento (settembre 2009, foto Paolo Rossi). differentemente da quelli degli altri artropodi che sono invece composti. L'osservazione della loro disposizione sul cefalo1 del ragno è considerata, anche dai più esperti entomologi, un ottimo metodo per scoprire a quale delle numerose specie cui l'aracnide appartiene, arrivando anche a permetterci, con buona approssimazione, di identificare la sottofamiglia di appartenenza. La loro particolare sistemazione permette all'artropode di avere una visione binoculare: sulla parte anteriore del capo si possono osservare due occhi larghi, per una perfetta visuale frontale, cui se ne affiancano altri due più piccoli, posti lateralmente rispetto agli altri. Infine sulla fronte se ne possono vedere altri quattro, rivolti verso l'alto. In questo modo l'Heliophanus Kochii ha una visione a 360 gradi dell'ambiente circostante. Altre caratteristiche del suo apparato visivo sono la possibilità di spostarli avanti e indietro, similmente all'effetto zoom di una macchina fotografica. 1 - Testa. Ciò gli permette di mettere a fuoco quello che sta guardando a qualunque distanza: può addirittura avvistare una preda in un raggio di 40 centimetri (ricordiamoci che questo ragnetto è lungo 3 mm!). Altra capacità è quella di spostarli nelle diverse direzioni, aiutato dalla mobilità del torace, che può arrivare a ruotare di oltre 45 gradi: in questo modo il kochii riesce a tenere sempre tutto sotto controllo! Altri segni distintivi dei jumper, oltre alla particolarissima dislocazione oculare e alle incredibili abilità saltatorie, sono: il torace rettangolare, un corpo massiccio e corte zampette. A rendere possibile gli incredibili balzi che è in grado di compiere, è il “sistema idraulico interno”: esso consente di variare la pressione all’interno del corpo, in modo da far spiccare salti decisi, nonostante il sistema muscolare sia quasi assente. Nella parte anteriore del corpo avviene una rapida contrazione che, aumentando la pressione del sangue, fa estendere rapidamente le zampine e permette così al ragno di coprire una distanza fino a 60 volte la lunghezza del Estate 2010 Ninfa di Eupteryx Decemnotata (marzo 2010, foto Paolo Rossi). Il ragno d'istinto, conosce il momento migliore per saltare sulla sua preda. Così si prepara: facendo leva sul terzo e quarto paio di zampe spicca un balzo, arrivando esattamente sopra la cicala. La poverina non ha scampo! Intrappolata tra le potenti mandibole, è trascinata in un posto più appartato dove lentamente sarà succhiata attraverso l’apparato boccale del ragno. Purtroppo per la piccola cicalina il destino si è presentato beffardo, e un po' crudele, in una bella giornata di sole all'ombra di una saporita fogliolina, tra gli sguardi indifferenti di alcuni minuscoli acari rossi intenti nei loro affari. n piccolo consiglio per tutti coloro che amano passeggiare in montagna: portatevi una lente di ingrandimento e durante una sosta, date una sbirciata anche al microcosmo che vive nel folto della vegetazione dei prati. Se siete fortunati potreste assistere ad un safari in miniatura, come quello che vi ho appena raccontato. U Una moneta da 1 eurocent vicino alla Eupteryx aiuta a capire le dimensioni (marzo 2010, foto Paolo Rossi). Le Montagne Divertenti Il safari del ragno 107 Rubriche fauna alpina Ali nella notte Alessandra Morgillo Momento magico il crepuscolo, mentre mille sfumature si avvicendano nel cielo, gradualmente le ombre si allungano e avvolgono il bosco in un unico abbraccio. Si trasforma lo scenario, cambiano gli attori, altre creature diventano ora protagoniste del buio. 108 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Le Montagne Divertenti Civetta a Sondrio (2006, foto Franco Benetti). Ali nella notte 109 Fauna Rubriche fetto sorpresa e giungere sulla preda improvvisamente per ghermirla coi forti artigli delle dita piumate che hanno la particolarità di avere due dita rivolte in avanti e due rivolte in dietro (nei rapaci diurni invece tre avanti e una dietro) in modo da non lasciare via di scampo. Altra caratteristica che accomuna questi animali, appartenenti all’ordine degli Strigiformi, è la capacità di ingoiare le prede praticamente intere. Le parti dure non digeribili (esoscheletri degli insetti, peli, piume, etc ...) vengono rigurgitate sottoforma di pallottole allungate, dette “borre”, che risultano utili tracce per appurare la presenza di strigidi in un dato territorio. ndiscutibile re della notte è il gufo (Asio otus). Nei racconti e nelle fiabe ambientati nel bosco il gufo è quasi sempre presente ed è rappresentato come un animale saggio ed erudito, a volte anche pignolo e permaloso, una sorta di vecchio sapiente che ascolta e conosce tutto ciò che accade nel suo territorio. Eppure non è affatto facile vederlo. Di giorno se ne sta appollaiato sonnecchiante su un ramo avvolto nel suo piumaggio mimetico. Durante la notte soltanto i cupi versi monosillabici (“uh...uh... uh”) del suo canto territoriale possono tradirne la discreta presenza. Tra i gufi si annovera il più grande rapace notturno italiano: il gufo reale (Bubo bubo). Con un’apertura alare che può sfiorare i due metri e gli 80 centimetri circa di altezza, questo uccello dall’intenso sguardo giallo-arancio può catturare con facilità anche prede più grandi, come le lepri. Caratteristici sono i due lunghi ciuffi di penne sul capo, chiamati impropriamente orecchie, ma che nulla hanno a che vedere col sistema uditivo, e che sono erigibili a guisa di cornetti a seconda dello stato emotivo dell’animale. Curiosità: il termine "gufare" è di origine onomatopeica ed è ormai entrato nel linguaggio popolare con il significato dispregiativo di portare sfortuna, essere di malaugurio. Probabilmente associato al lamentoso e ripetitivo sbuffare del gufo, che invece quando emette il suo caratteristico verso, vien detto solitamente intento a "bubolare". I Gufo reale (13 aprile 2010, foto Alessandra Morgillo). N ell'immaginario umano il bosco notturno è sempre stato un luogo misterioso, irto di pericoli e popolato da presenze spaventose. Chi non ha mai provato l'inquietante sensazione di sentirsi osservato ma di non riuscire a scorgere nulla nel fitto nero della notte? Persino i raggi della candida luna, quando si addentrano nell'intrico della foresta, proiettano ombre improbabili che si agitano al vento sibilante tra i rami. Un gruppo di cervi che lasciano il rifugio boschivo, che li ha resi invisibili durante il giorno, per brucare in tutta tranquillità nelle fresche radure; un tasso che meticoloso ispeziona il sottobosco, rovistando con il muso e con le zampe tra le foglie; una volpe con passo svelto o una furtiva faina e molte altre piccole creature che preferiscono uscire dalle loro tane sotterranee nelle tenebre per vagabondare indisturbate alla ricerca di cibo, animano il bosco di mille fruscii e rumori sospetti. Tra questi alcuni risuonano sinistri tra le chiome degli alberi: i segnali di comunicazione dei predatori alati della notte. 110 Le Montagne Divertenti I rapaci notturni sono uccelli che hanno sviluppato straordinari adattamenti all’ambiente notturno. Si sono specializzati a cacciare nell'oscurità, divenendo esperti nel percepire e discriminare il più piccolo movimento per poi avventarsi con precisione sulla preda senza provocare il minimo fruscio. Topi, arvicole e altri piccoli mammiferi, ma anche rettili, anfibi e invertebrati, non possono sentirsi al sicuro nemmeno nel buio più totale se in giro ci sono dei predatori dal volo pressoché silente, una visione notturna eccezionale e un udito finissimo. Uccelli notturni Le remiganti, ovvero le penne delle ali che consentono il volo, sono sfrangiate all’estremità e non creano turbolenza nell’aria, perciò rendono estremamente silenzioso il volo di questi uccelli. Come tutti i predatori, anche i loro occhi sono disposti frontalmente per consentire una tale profondità di campo da potersi lanciare sulla preda a velocità elevata senza errore, ma sono anche molto grandi e ricchi di bastoncelli, cioè quelle cellule particolarmente fotosensibili che sono responsabili di una buona visione anche in condizioni di buio quasi totale. L’udito è molto sviluppato e consente ai rapaci notturni di avvertire la preda al minimo rumore e di localizzarla persino senza l’ausilio della vista. Il disco facciale che caratterizza questi uccelli è una struttura anatomica che svolge una funzione analoga a quella di una parabola, infatti le piume frontali schiacciate così disposte amplificano la percezione sensoriale uditiva convogliando le onde sonore alle orecchie, che sono persino di differenti dimensioni e leggermente asimmetriche sui lati del capo. Quando l’animale sente un rumore ruota immediatamente la testa nella direzione di provenienza così da avere la sorgente sonora di fronte ed ottimizzare l’ascolto. La rotazione del capo (fino a 270°!) consente inoltre al predatore di puntare gli occhi immobili sul bersaglio, senza compiere altri movimenti che potrebbero inesorabilmente svelare la sua presenza. È possibile in questo modo giocare l’efEstate 2010 Le Montagne Divertenti Allocco all'Aprica (2006, foto Franco Benetti). Uno tra i più diffusi rapaci notturni è l'allocco (Strix aluco). Simile al gufo comune per dimensioni (quasi un metro di apertura alare e 45 cm di lunghezza), differisce da quest'ultimo per la forma più tondeggiante e gli occhi completamente neri. Il termine "allocco" è talvolta usato come sinonimo di sciocco, ingenuo. Forse perché durante le ore diurne, questo animale a riposo con le palpebre semichiuse assume un aspetto un po' goffo e sembra quasi imbambolato. Tale apparenza cela, al contrario, l'essenza di un predatore molto astuto e opportunista, capace di adattarsi ad ambienti differenti, quali boschi di latifoglie, campagne ma anche parchi e giardini dei centri abitati. È curioso notare che invece dal suo nome scientifico Strix, che in latino significa uccello notturno, derivi la parola strega. Si allude probabilmente all’antica credenza che riteneva questi bellissimi animali della famiglia degli Strigidi, capaci di trasformarsi dopo il tramonto in incontrollabili e misteriosi esseri che volano nella notte, alleati prediletti delle streghe. a più diurna tra i rapaci notturni è la civetta (Athene noctua), che può essere osservata anche in pieno giorno, specialmente in inverno, quando approfitta delle ore più calde per scovare le prede dall'alto di posatoi quali pali o cavi della luce. I suoi L Ali nella notte 111 flora alpina Rubriche occhi grandi dall'iride gialla sormontati da folti sopraccigli le conferiscono uno sguardo piuttosto severo. L'immaginario umano ha costruito su questo animale due ritratti contrastanti. Sacra e adorata nell'antica Grecia, considerata l'incarnazione della dea Atena, come ricorda il suo nome latino. Glaukõpis, “sguardo da civetta”, era l’epiteto della dea stessa, (glaùks, civetta opé, sguardo) e la sua capacità, con quei grandi occhi gialli, di scrutare attraverso le tenebre, era intesa come simbolo della sapienza. Il culto e il rispetto per la civetta non sono sopravvissuti nei secoli successivi. Numerose credenze popolari hanno farcito di luoghi comuni il nome di questo animale: “fare la civetta" detto di una ragazza, significa comportarsi in modo frivolo, superficiale; i "prodotti-civetta" sono quelli che al supermercato attirano in modo subdolo il cliente inducendolo poi ad acquistare ciò di cui non ha bisogno. Ma la fama più cattiva che riguarda la civetta è legata alla sua nomea di uccello del malaugurio: il suo canto particolare era considerato funesto e annunciatore di brutti presagi. Nel medioevo la civetta fu perseguitata insieme alle streghe e ancora oggi, purtroppo, esiste una certa forma di persecuzione ingiustificata nei suoi confronti. Vittima di una superstizione stupida, nata essenzialmente dall’esigenza di vincere le paure dell'uomo legate ai misteri del buio, inteso genericamente come tutto ciò che non si conosce. Oggi sappiamo che la civetta è utilissima e indispensabile agli agricoltori per eliminare animali nocivi alle coltivazioni. ei nostri boschi di conifere è possibile osservare il più piccolo rapace notturno europeo, la civetta nana (Glaucidium passerinum) con i suoi 35 cm di apertura alare e i 16 cm di lunghezza. Non è in grado di realizzare il nido da sé, perciò occupa le cavità abbandonate dai picchi nel tronco degli alberi; come la civetta capogrosso (Aegolius funereus) che però predilige essenzialmente le cavità scavate dal picchio nero (Dryo- N 112 Le Montagne Divertenti Civetta nana a Ponte di Legno (dicembre 2009, foto P. Brichetti). Pulcini di civetta (20 luglio 2007, foto Franco Benetti). copus martius). Infine l’assiolo (Otus scops), specie migratrice che sverna nell'Africa sud-sahariana, adattata anche a climi più caldi e temperati, frequenta una grande varietà di ambienti, da zone steppiche e semiaride a boschi di conifere fino a 1500 metri di altitudine. E il barbagianni (Tyto alba), assente alle quote più elevate dell'arco alpino, ma forse uno dei più noti a causa della sua abitudine di frequentare granai, soffitte e solai. e armi naturali di cui dispongono questi rapaci, quali becco adunco, artigli affilati e adattamenti L peculiari a una vita notturna, fanno di loro spietati cacciatori al vertice della catena alimentare del bosco. Malgrado il loro aspetto minaccioso, che potrebbe giustificare un ancestrale timore, non sono affatto pericolosi per gli uomini, anzi ne sono preziosi alleati in qualità di eccezionali equilibratori della piccola fauna che, moltiplicandosi a dismisura, sarebbe di grande danno all'agricoltura. Essi dunque, espressione di una Natura perfetta, vivono in sintonia con il proprio ambiente e conferiscono fascino e suggestione ai nostri boschi notturni. Estate 2010 Flora estiva di Valtellina parte II Le Montagne Divertenti - Franco Cirillo Ragno su genziana (7 luglio 2008, foto Roberto Moiola). Ali nella notte 113 Rubriche Fauna iprendiamo la rassegna delle specie R floristiche più comuni che possiamo osservare in Valtellina. Dopo aver trattato di specie presenti dal fondovalle fino ai maggenghi, adesso saliamo decisamente di quota e portiamoci sui prati alto alpini: le prime a fiorire suono le pulsatille, piante nane dal fiore tuttavia grande e peloso per proteggersi dal freddo. L a più comune in Valtellina è la pulsatilla (Pulsatilla alpina L.) la cui sottospecie P. sulphurea è chiamata anche anemone giallo per il suo colore luminoso. Innumerevoli sono le varietà di Genziane, di cui alcune fioriscono allo sciogliersi delle nevi, altre a fine agosto. La più appariscente e diffusa è la genzianella (Genziana acaulis L.) che ha fiori grandi, senza gambo, di colore blu intenso punteggiato di verde all’interno della corolla. Ne esistono due varietà: sui terreni calcarei la Genziana Clusii, sui terreni calcio carenti la Gentiana Kochiana. Simile ad una stellina invece la Genziana di primavera (Gentiana verna L.) alta pochi centimetri, di colore azzurro intenso, che vive gregaria nelle praterie di montagna, formando tappeti radi di incomparabile bellezza. Innumerevoli sono le varietà di Campanule: fiori tipicamente a forma di campanella. Si incontrano nei prati, nei boschi aperti; formano cuscinetti sulle rupi alle quote più alte. La campanula barbata (Campanula barbata L.) ha la caratteristica di avere fiori con tante ciglia, come una barba. Salendo sui prati sopra Montagna o Tresivio o Poggiridenti troveremo abbondantissima una violetta particolare: la Viola tricolor L., così detta perché i suoi petali hanno tipicamente tre colori, dal bianco al giallo al viola-blu. È l’antenata delle viole del pensiero che si coltivano in giardino. Possiede anche proprietà medicinali. Fiorisce da maggio fino a tardo settembre e spesso forma ampie distese colorate nei prati ancora rasi perché la neve si è appena dissolta. In luglio possiamo qua e là scorgere i fiori azzurri delicatissimi e penduli della clematide alpina (Clematis alpina L.): è una piccola pianta perenne rampicante ed è l’unica liana presente sulle Alpi. Ai botanici è nota anche sotto il nome di “Atragene delle Alpi”. Ricopre le rupi, si intreccia ai rami degli alberi montani e predilige le forre ombrose negli ambienti calcarei. Il nome generico (Clematide) deriva dalla radice greca klema: “viticcio” o anche “pianta volubile” o anche “legno flessibile”. Anche le aquilegie presentano forme diversissime tra cui nelle Alpi degne di nota sono Aquilegia alpina L., specie rara, con grandi fiori azzurri e ambiente di crescita tra i rododendri a quote alte e Aquilegia atrata L., più piccola con fiori come dal nome di colore viola scuro. Quest’ultima preferisce i boschi ed è molto diffusa. Il nome potrebbe derivare da acquam legere (raccoglitore d’acqua) per la forma particolare che ha la foglia nel raccogliere l’acqua piovana. Da questa specie sono derivati tantissimi cultivar che si ritrovano frequentemente nei giardini di montagna. La rosa delle Alpi è il rododendro che i popoli tedeschi chiamano infatti alpenrose. È una pianta perenne a consistenza legnosa frequentissima in alta montagna al termine della vege- 114 Le Montagne Divertenti Gentiana verna (18 agosto 2009, foto Alessandra Morgillo). Campanula barbata e Viola tricolor (foto Franco Cirillo). Clematis alpina e Aquilegia atrata (foto Franco Cirillo). Estate 2010 tazione arborea. Ne esistono due specie. Il Rododendron ferrugineum L., il più comune, amante dei terreni acidi a sviluppo robusto: caratteristica è la colorazione color ruggine del lembo inferiore delle foglie adulte. Più piccolo è il Rododendron Hirsutum L., che si distingue dal primo per i fiori color rosato, anziché rosso vivo. Inoltre le foglie sono verdi sul lembo inferiore e soprattutto presentano ampie ciglia al margine. Questo rododendro è esclusivo dei suoli calcarei. La regina delle Alpi è da sempre considerata la Stella Alpina (Leontopodium alpinum Cass.). Appartiene alla famiglia delle Composite, cioè la stessa delle margherite. E infatti si vede che la Stella Alpina ha l’aspetto di una bella margheritona, solo che i suoi petali, che per l’esattezza sono delle brattee modificate, sono coperte di una lanuggine bianca come la neve che protegge tutto il fiore dal freddo. Una volta era comune nei prati alpini. L’intensa raccolta l’ha fatta quasi sparire; oggi la ritroviamo solo sui pendi rocciosi calcarei a quote di almeno m 2000. Non dimentichiamo le zone paludose come Pian Gembro che sono ricchissime di varietà dall’aspetto singolare: notiamo in questi ambienti in agosto l’abbondante fioritura rosa della Bistorta (Polygonum bistorta L.). Sulle rupi scoscese, di roccia calcarea o acida, in alta montagna, la vegetazione è particolarmente specializzata per sopravvivere alle condizioni climatiche più difficili: negli anfratti trovano accoglienza pulvini (cuscinetti densi) di saxifraghe. Questo nome indica la capacità di erodere la roccia per insinuare le radici. Citiamo Saxifraga caesia L., che ama il calcare, detta anche sassifraga verde-azzurra per il colore delle foglie che formano rosette compatte e pungenti. Tra le piante di montagna annoveriamo anche tutta una serie di piante grasse: l’ambiente montano può in alcune situazione risultare povero d’acqua e quindi come nel deserto le piante per sopravvivere devono accumulare acqua creando delle riserve nei tessuti delle foglie che così appaiono grasse. Rammentiamo tra queste piante il Sedum, comune sulle pareti rocciose a bassa quota e più in alto il Sempervivum che hanno una caratteristica rosetta di foglie grasse basilari da cui sorge un fusto che porta fiori con colori intensi dal rosso al giallo. A settembre i prati alpini mostrano abbondantemente un fiore ben curioso: la Carlina (Carlina acaulis L.); il nome forse è da riferirsi a Carlo Magno che la considerava un rimedio contro le pestilenze. È grande, con un diametro di circa 10 cm con la strana caratteristica di sembrare un fiore secco. Questo è un altro modo di difendersi dalla disidratazione indotta dai raggi solari che si sa in montagna sono più intensi. In sostanza la pianta si priva d’acqua (così non può perderla) e sembra secca. E lo è infatti: se la raccogliete e non la mettete in acqua, come si fa con gli altri fiori, la Carlina dura a lungo. Oltretutto questa pianta è spinosa per non essere mangiata dagli animali (e raccolta dall’uomo!). È anche chiamata “Carlina segnatempo” perché funziona da igrometro naturale: all’approssimarsi della pioggia i fiori si chiudono, e si riaprono al ritorno del sole. Rarissimo esemplare di rododendro bianco (giugno 2009, foto Gianni De Stefani). Rododendrum ferrugineum in val d'Arigna (maggio 2009, foto A.Morgillo) e Stella Alpina nella valle dello Scerscen (agosto 2008, foto Beno). Poligomun bistorta in val Fontana (giugno 2008, foto Beno) e Saxifraga caesia (maggio 2003, foto Franco Cirillo). Sempervivum ai laghi Seroti (foto Beno) e Carlina (foto Franco Cirillo). Le Montagne Divertenti Flora Alpina 115 Arte e montagna arte e montagna N Ark Beno ell'estate del 2010 una nuova attrattiva delizierà i viaggiatori del trenino rosso del Bernina: la scultura ARK SOUND al lago Bianco (m 2200). un'opera imponente: 15 metri di lunghezza, 7 metri di altezza (di cui 6 emergeranno dalle acque) e dal peso di 6 tonnellate e mezzo. Il colore dominante è il rosso, come lo stesso trenino. La struttura è composta da 5 elementi che assumono inclinazioni altalenanti, dettate dalle onde e dal vento. Questi movimenti, che in una regione come quella del Bernina possono essere molto forti e perfino violenti, fanno oscillare gli archi posti in cima alle punte lignee che, grazie a un sistema percussivo a martelletti, a loro volta emettono dei suoni. Come materiali sono stati scelti il legno d'abete e l'acciaio inox, oltre che per ragioni ingegneristiche, anche per esaltare il contrasto tra materia pesante e leggera. sound E’ Ark Sound, modellino in scala 1:10 (foto L. Mottarella). «E' stato un lavoro lungo e faticoso», ha sottolineato Daniele Ligari, «che ha impeganto molte persone, tra cui ingenieri per risolvere i problemi strutturali e di galleggiamento, un musicista per l'accordatura, oltre a due ditte valtellinesi1 per la realizzazione della scultura.» «Q Ark Sound modello 3D (arch. Ligari Barbara). uand'è cominciata questa avventura?» «Nel 2006, quando con questo progetto ho vinto il concorso bandito dalla Fondazione di Bogliasco in Liguria (con sede a New York). E' piaciuta e così abbiamo iniziato a realizzare i primi modellini in miniatura.» «C Q uest'estate una scultura sonora di grandi dimensioni galleggerà sull'acqua del lago Bianco (m 2200) nei pressi del passo del Bernina, esattamente in una insenatura a nord della stazione dell'Ospizio del Bernina. L'inaugurazione avverrà il 19 giugno alle ore 12:30. L’artista, ideatore del progetto, è Daniele Ligari di Sondrio. 116 Il lago Bianco (foto Roberto Moiola). Le Montagne Divertenti Estate 2010 ome mai una scultura sonora? E' la prima che realizzi?» «E' stata la prima opera di questo genere per me. Volevo che questa scultura esaltasse l'energia della natura e attraverso l'effetto sonoro dovuto alla forza del vento questa cosa sarà percepibile anche dai viaggiatori che si troveranno sul trenino rosso.» 1 - Progetto Legno s.r.l. di Buglio in Monte e Della Cagnoletta s.r.l. di Albosaggia. Le Montagne Divertenti Il lago Bianco con Ark Sound (simulazione grafica 3D - archivio Ligari). Daniele Ligari 117 Rubriche RimA e prosa in dialetto Barachìn «Q uali sono i principali problemi legati a questo progetto?» «Oltre alla costruzione della scultura a grandezza naturale, a cui hanno lavorato molte persone per quattro mesi, le difficoltà maggiori saranno nel trasporto, nella messa in loco e nell'ancoraggio2, essendo i venti sempre forti e il livello del lago stesso molto variabile.» Beno E' già trascorso quasi un anno dalla scomparsa di Arturo Baracchi, il cantore di Montagna che con le sue rime ha allietato molti numeri de "Le Montagne Divertenti". La primavera scorsa Arturo mi aveva lasciato un manoscritto con alcuni dei suoi componimenti, molti dei quali inediti e di grande varietà stilistica. Fra questi vi propongo un brano: "Il ritorno del crociato". E' una tiritéra che riprende lo scherzo poetico di Giovanni Visconti Venosta "La partenza del crociato", ridisegnandogli un imprevedibile lieto fine. «Q uando e dove posizionerete la scultura?» «La posa e il varo avverranno a metà giugno in un'insennatura del lago Bianco a nord della stazione dell'Ospizio del Bernina. I passeggeri del treno le gireranno parzialmente attorno e la potranno ammirare da più angolazioni, apprezzando l'armonia tra la scultura e il magnifico paesaggio.» «Passa un giorno, passa l'altro Mai non torna il nostro Anselmo: perché egli era molto scaltro andò in guerra e mise l'elmo » Così ha inizio il componimento di Giovanni Visconti Venosta1 , che con rime divertenti racconta le goffe gesta del prode Anselmo che, partito come crociato per la Palestina, a causa di un foro nell'elmo muore di sete in Terra Santa. Arturo Baracchi, sullo stile di Gianni Rodari, ha voluto dare a questa novella un altro finale: «A lla posa seguiranno degli eventi?» «Il 19 giugno 2010 alle ore 12:30 ci sarà l'innaugurazione ufficiale.» 1 - 1831-1906, scrittore e poeta tiranese. «Q uanto rimmarrà lì?» «Questa è un'opera itinerante che a ottobre, prima che il lago inizi a gelare, verrà portata via per esser destinata ad altri lidi. Forse in Austria o altri luoghi da definire: ho preso contatti con paesi esteri, ma per ora preferisco pensare al varo e all'inaugurazione del 19 giugno .» La partenza del crociato Giovanni Visconti Venosta Una donna chiese a G. Visconti Venosta d'aiutare il figlio, uno studente di Tirano, con uno dei suoi compiti estivi per il ginnasio: completare un sonetto sui crociati in palestina, di cui il ragazzo aveva composto solo il primo verso. Lo scrittore ne fece uno scherzo poetico che riscosse grande fama nell'ambiente letterario. Il gruppo di lavoro che ha realizzato Ark Sound. Da sinistra: Livio Zanolari, Nicola Poletti, Tiziano Della Cagnoletta, William Burr, Sergio Bracchi e Daniele Ligari. 2 - In questa fase l'impresa di riferimento è la Battaglia Costruzioni SA di Poschiavo. Daniele Ligari D aniele Ligari, artista e architetto nato a Gravedona (CO), vive e opera a Sondrio in contrada Scarpatetti. La sua esperienza artistica matura a partire dal 1978 nel campo della pittura e viene estesa dal 1989 alla scultura, mezzo che permette a Ligari di spaziare nell’espressione delle forme artistiche senza i vincoli che abitualmente costringono la libertà espressiva nel campo architettonico. Nel suo mondo artistico, architettura e scultura sono intimamente legate fra loro, tanto da fare trapelare come le opere scultoree riconducano 118 Le Montagne Divertenti Anselmo non era morto, ma solo svenuto per la sete. Una bella circassa, che casualmente passava per di lì, lo vide e lo soccorse. I due si sposarono ed ebbero dei figli, ma col passare degli anni la donna sfiorì e anche l'amore del crociato svanì. Così, dopo 30 anni, Anselmo fuggì e tornò al suo paese natale: Montagna in Valtellina. Giunto a casa vide una sua zia cogliere carciofi egli li chiamò "articiòk", termine arabo che poi divenne vocabolo del dialetto del paese. Come sosteneva ridendo Arturo Baracchi: "Ho così dimostrato che il prode Anselmo in realtà era un muntagnùn, ma si ho anche spiegato come mai nel dialetto di Montagna sono presenti alcuni vocaboli d'origine araba." all’architettura. Le sue sculture e la continua ricerca del giusto equilibrio tra vuoti e pieni sfociano inizialmente nella realizzazione di “libere forme”. Ma l’antica questione dell’artistaarchitetto, architetto-scultore e di architettura e scultura stimola la produzione delle “archi – sculture”, opere di grandi dimensioni pensate e realizzate per rapportarsi con il paesaggio urbano. Le sue opere, frutto di un'approfondita e affascinante ricerca del giusto materiale, sono state esposte in Italia, Svizzera, Germania, Olanda, Belgio e Giappone e sono presenti in collezioni pubbliche e private. Per vedere le sue opere: www.ligari.it Estate 2010 Mise l’elmo sulla testa Per non farsi troppo mal E partì la lancia in resta A cavallo d’un caval. La cravatta in fer battuto E in ottone avea il gilé, Ei viaggiava, è ver, seduto Ma il cavallo andava a pié, Pipe, sciabole, tappeti, Mezze lune, Jatagan Odalische, minareti Già imballati avea il Sultan. La sua bella che abbracciollo Gli dié un bacio e disse: Va! E poneagli ad armacollo La fiaschetta del mistrà. Da quel dì non fe’ che andare. Andar sempre, andare, andar... Quando a pié d’un casolare Vide un lago, ed era il mar! Quando presso ai Salamini Sete ria incominciò E l'Anselmo coi più fini Prese l'elmo, e a bere andò. Poi, donatogli un anello Sacro pegno di sua fe’, Gli metteva nel fardello Fin le pezze per i pié. Sospettollo... e impensierito Saviamente si fermò. Poi chinossi, e con un dito A buon conto l'assaggò'. Ma nell’elmo, il crederete? C’era in fondo un forellin E in tre di morì di sete Senza accorgersi il tapin Fu alle nove di mattina Che l'Anselmo uscia bel, bel, Per andar in Palestina A conquidere l'Avel. Come fu sul bastimento, Ben gli venne il mal di mar Ma l’Anselmo in un momento Mise fuori il desinar. Passa un giorno, passa l’altro Mai non torna il guerrier Perché egli era molto scaltro Andò in guerra col cimier. Né per vie ferrate andava Come in oggi col vapor, A quei tempi si ferrava Non la via ma il viaggiator, Il Sultano in tal frangente Mandò il palo ad aguzzar, Ma l'Anselmo previdente Fin le brache avea d’acciar. Col cimiero sulla testa, Ma sul fondo non guardò E così gli avvenne questa Che mai più non ritornò. Le Montagne Divertenti Barachìn: il poeta di Montagna 119 Rubriche Poesia dialettale Il ritorno del crociato Le illustrazioni Questa vignetta non si riferisce al racconto "Il ritorno del crociato", ma ritrae il poeta Arturo Baracchi nel luogo nel quale ora è giunto, così come egli stesso lo immaginava. L'irripetibile collaborazione grafico/letteraria che ho avuto negli anni con Barachin si basava su una ispirazione reciproca che ben si riassume in uno scritto dello stesso Arturo: "Io che ho scritto e Dicle che ha illustrato i versi qui raccolti ci siamo divertiti, altrettanto auguro a chi avrà la pazienza di leggerli." Dicle 120 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Le Montagne Divertenti Barachìn: il poeta di Montagna 121 Rubriche fotografia Nuvole: croce o delizia? Testi e foto Roberto Moiola vocaboli più astrusi barcollando Arturo Baracchi Il poeta di Montagna A rturo Baracchi, che firma i suoi lavori in dialetto con lo pseudonimo di Barachìn, è nato a St. Moritz (CH) nel 1929 da padre di origine emiliana e da madre montagnona. Dal 1933 ha vissuto a Montagna in contrada Poncerini. Nel 1950 si è diplomato presso l'Istituto Tecnico A. De Simoni di Sondrio ed ha esercitato la libera professione di geometra dal 1951 al 1994. Per passione è poeta dialettale e autore di numerose composizioni dal carattere molto divertente, attività a cui si è dedicato con particolare impegno specialmente dopo la pensione, partecipando con successo a concorsi nazionali. Le sue rime hanno trovato realizzazione in due volumi: "La desfìda de ca nòssa" e "El mulin", lavori impreziositi dalle illustrazioni di Marcello Di Clemente (Dicle). Arturo ha inoltre collaborato con "Le Montagne Divertenti" fin dalla nascita della rivista, fornendo non solo le sue poesie, ma anche importantissimi contributi d'approfondimento storico e culturale, essendo egli memoria storica di Montagna e, anche grazie al suo lavoro, profondo conoscitore del territorio valtellinese. Dopo una vita accanto alla moglie Erica e dopo aver superato l'ambito traguardo degli ottant'anni, Arturo Baracchi si è spento serenamente nell'autunno del 2009. Un terzo volume, un'antologia dal titolo "Quàtru ciàculada in muntagnùn", già pronta per la pubblicazione, è stata destinata dalle lentezze burocratiche degli enti locali a divenire un'opera postuma. 122 Le Montagne Divertenti Q uel che più colpiva di Arturo era il fantastico senso dell'umorismo. A riguardo ho impresso un aneddoto che mi ha raccontato qualche mese fa sua moglie Erica: "Alla vigilia del suo ottantesimo compleanno, benché godesse ancora di buona salute, Arturo mi aveva chiesto, in caso una qualsiasi disgrazia l'avesse fatto morire prima della mezzanotte, di non dir nulla al medico fino all'indomani, altrimenti sulle affissioni funebri non sarebbe stato scritto 80, ma solo 79!" Su www.lemontagnedivertenti.com/chisiamo/arturobaracchi.html potete ascoltare in MP3 Arturo che legge il suo esilarante poema "La desfìda de ca nòssa". Spesso sono responsabili del nostro umore, ci fanno arrabbiare, ci mettono freddo, vanno, vengono, scompaiono. A volte sono solo una minaccia, altre volte sono vere e proprie portatrici di intemperie. Possono assumere colori molto saturi, quasi irreali, spesso invece sono monocromatiche. Si presentano in mille forme, sempre diverse, che si intrecciano a meraviglia col paesaggio e ci accompa- gnano ovunque andiamo. A volte è troppo caldo e ne supplichiamo la presenza; altre volte a causa loro la giornata può guastarsi e può darsi che si fermino per così tanti giorni che non ci si ricordi più il blu del cielo. Ci siamo mai accorti che spesso basta volgere lo sguardo verso l’alto per catturare bellissime trame di nuvole? Sottilissimi cirri che disegnano trasversalmente il cielo, possenti cumuli che danno splendide prospettive tridimensionali, il cielo a pecorelle, tramonti con le nuvole talmente sature da sembrare irreali… 17 maggio 2009. Alpi Orobie valtellinesi: anche un'alba nuvolosa può regalare giochi di luci interessanti. Estate 2010 Le Montagne Divertenti L'arte della fotografia 123 2 agosto 2008. Cumuli da bel tempo al lago Bianco presso il passo del Bernina. M a possiamo prevederle o è solo questione di fortuna? In parte sì. Nell’atmosfera ci sono molte variabili, alcune seguono un campione di misura, secondo statistiche e calcoli, e se elaboriamo quei dati possiamo aspettarci una certa situazione rispetto ad un’altra. Fortunatamente questi dati vengono analizzati e tradotti dagli esperti, a noi spetta il compito di documentarci a dovere se vogliamo che... la foto sia nostra! I siti meteo su internet si sprecano, ma non fermiamoci ai siti nazionali, sbirciamo nei siti locali, guardiamo immagini del satellite, leggiamo l’andamento dei venti, analizziamo le webcam. La tecnologia deve pur servirci a qualcosa. accio dei brevi esempi di come ci si possano aspettare certe situazioni. In presenza di giornate con forte vento da nord (il famoso Foehn, il vento alpino dal cui nome deriva l’asciugacapelli!) aumenta la probabilità di assistere ad un’alba o un tramonto particolarmente acceso. Se la previsione ci parla di inversione termica, o di presenza di nubi basse in pianura, la natura potrebbe regalarci un magico “mare di nuvole” (chi non rimane estasiato di fronte al dipinto di Friedrich “Viandante sul mare di F 124 Le Montagne Divertenti nebbia”). E ancora, aspettiamo la fine di un temporale per portarci in un punto panoramico da dove poter immortalare un bel paesaggio aggrovigliato di nubi. Talune saranno nel cielo, altre a terra nel momento in cui si levano dal suolo, illuminate dai primi raggi del sole. Si tratta di momenti particolari, di situazioni insolite, ma che talvolta sono prevedibili. ome per il fotografo naturalistico, che paziente aspetta la presenza di un selvatico, il fotografo paesaggistico dovrà saggiare la propria calma, azzardare e riprovare, con l’audacia e l’insistenza del professionista. Il risultato sarà il premio che la natura vorrà elargirci. Ma se in taluni casi possiamo aspettarci queste situazioni, nella maggior parte delle circostanze l’occasione fotogenica ci capita all'improvviso. E qui dobbiamo essere bravi a non cadere nel banale, evitando di esprimere un senso di “già visto”,ma cercando di trasmettere un’emozione. ermo restando il gusto personale ed il proprio estro artistico, vediamo alcuni fattori da considerare nella fotografia paesaggistica. Cominciamo con l’analizzare l’aspetto dell’inquadratura. Nella scena l’equilibrio è essenziale, la linea dell’orizzonte è l’elemento che può decretare C F Estate 2010 22 gennaio 2010. Giornata caratterizzata da inversione termica. Sullo sfondo le vette della Valmasino. Le Montagne Divertenti L'arte della fotografia 125 Rubriche 26 aprile 2008. Formazione di altocumulo lenticolare in bassa Valtellina. l’interesse o meno verso la foto. Proviamo ad evitare di posizionare l’orizzonte esattamente al centro, se non in presenza di un grandangolo spinto che può far pendere eccessivamente la prospettiva, oppure in presenza di oggetti la cui perfetta simmetria è fondamentale. Spostando l’orizzonte decidiamo di far pendere l’importanza verso il cielo o la terra. Così, in presenza di un cielo particolarmente intrecciato di nubi, teniamo l’orizzonte basso per esprimere un senso di leggerezza e serenità. Al contrario cerchiamo di includere poco cielo se vogliamo esprimere la 126 Le Montagne Divertenti maestosità di un paesaggio, oppure quando l’assenza di nuvole e il blu omogeneo del cielo restituirebbero un’immagine monotona e non tridimensionale. Per far rivivere all’osservatore ciò che abbiamo provato al momento dello scatto, cerchiamo di includere tutti quegli elementi che ci hanno colpito. Allo stesso tempo evitiamo gli oggetti di comune disturbo: capannoni, piste tagliafuoco, pali della luce, automobili o mezzi non graditi, elementi eccessivamente colorati, bagliori nelle foto controsole. Estate 2010 L a messa a fuoco merita un discorso a sé. Le nubi infatti, non presentando consistenza, possono ingannare e condurre all’errore la macchina fotografica. Talvolta è preferibile aggirare il problema impostando la messa a fuoco in modo manuale direttamente all'infinito. Anche la lettura dell’esposimetro, analizzando un'area troppo luminosa (come delle nuvole illuminate fortemente dal sole) o troppo scura (pensiamo a delle nubi plumbee), può cadere in errore. In tal caso correggiamo il nostro scatto con il pulsante di compensazione dell’esposizione (+/- EV). Le Montagne Divertenti R iguardo alla profondità di campo meglio stare su valori di diaframma molto chiusi per avere una scena completamente a fuoco, dal primo piano all’infinito. Ricordiamo infine che, soprattutto in estate, dobbiamo muoverci presto il mattino. Con il calore infatti difficilmente raggiungeremo il mezzogiorno senza che la giornata sia quasi completamente nuvolosa. Poi magicamente verso il tramonto il cielo può tornare via via sereno, ed è qui che otteniamo i risultati migliori. Buone nuvole a tutti! L'arte della fotografia 127 le foto dei lettori Rubriche 1 Valle d'Ambria, sopra il lago fantasma di Zappello, che si forma solo tra la tarda primavera e l'inizio dell'estate, al disciogliersi della neve, poi scompare. La cima sullo sfondo è il monte Aga. Sulla sx si notano i primi contrafforti sud-occidentali del più conosciuto pizzo del Diavolo di Tenda. Sulla destra vi è il passo Cigola (22 giugno 2009, foto Gianfranco Lalli). D ue sezioni dedicate ai nostri lettori: una che premia il fotografo più bravo, l’altra che mostra la fantasia di chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo (la foto deve avere anche un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo!). Le foto giunte a [email protected] sono state tantissime, per cui, nonostante sia stata ampliata la sezione, qualcuno vedrà la propria pubblicata solo sul prossimo numero. P er ogni numero de “Le Montagne Divertenti” sceglieremo e premieremo la foto migliore fra quelle ambientate sulle nostre montagne (inviare il materiale a [email protected]) e la pubblicheremo con una recensione dettagliata e la scheda di presentazione del fotografo. Se questa sarà a taglio verticale e con soggetto autunnale potrà essere scelta con l'ultima di copertina del prossimo numero! Lo scatto migliore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di: il fotografo recensione di sysa Mi chiamo Gianfranco Lalli, abito a Poggiridenti Piano (SO) ed ho 56 anni. Il mio grande amore per la montagna, che frequento in tutti i periodi dell'anno, mi ha portato col tempo ad abbinarvi un'altra grande passione: la fotografia. Personalmente prediligo la foto paesaggistica e naturalistica, in particolare la caccia fotografica, ma in generale mi piace molto ammirare ogni tipo di immagine: la fotografia è un fermo immagine della vita. La bella immagine di Gianfranco ha un armonia particolare, sia nell'inquadratura che nei colori. Il taglio da sinistra verso destra restituisce una lettura perfetta e completa alla fotografia. L'estate non poteva essere descritta in modo migliore: vi sono presenti tantissimi colori che si miscelano tra loro in completa sintonia. Le nuvole e l'ultima neve arricchiscono il quadro. Anche l'orario scelto è corretto e rispetto alla direzione della foto ci garantisce una bella illuminazione su tutti i soggetti. Le prime ore del mattino (ore 9 e 30 in questo caso) hanno permesso di catturare questa foto; si provi a immaginare quelle nuvole a mezzogiorno: probabilmente avrebbero già formato un tappeto omogeneo nel cielo e... addio prodotti! Un appunto da fare: avrei aumentato la profondità di campo; infatti i primi fiori sono completamente sfocati, causa principale la troppa vicinanza al soggetto, ma anche il valore di chiusura del diaframma (f/10 e 1/250 s) poteva essere aumentato. E attenzione anche al punto di messa a fuoco in questi casi. 128 Le Montagne Divertenti Estate 2010 3 2 1) Nino cileno alla laguna Miscanti (7 luglio 2009, foto Roberto Moiola). 2) Monica Rainer all'abbazia di Cluny (7 aprile 2010). 3) Davide Cappelletti nel Sahara marocchino alla Marathon des Sables 2010 (4 aprile 2010). Le Montagne Divertenti Le Lefoto fotodei deilettori lettori 129 le foto dei lettori Rubriche Rubriche 5 4 6 7 8 4) M. Moussa Mahamane a Niamey (febbraio 2010). 5) Alessandro Gusmeroli sull'Etna (21 febbraio 2010). 6) Beatrice, Irene e il loro cane Viola (aprile 2010). 7) Paolo e Daniela a Gumuldur in Turchia (foto Martina Pedrazzoli). 8) Sosio Fabio e Daniele Folini ad Amsterdam (10 aprile 2010). 130 Le Montagne Divertenti 9 10 6 11 12 9) Gianmarco Vola e Alida col piccolo Sebastiano a Perth, West Australia. 10) Stefano Bonelli in Niger (febbraio 2010). 11) Cesare Tirinzoni e Gina Perregrini con i nipoti Letiza, Elisabetta e Riccardo alla Turchi-Realmonte-Agrigento in Sicilia (3 gennaio 2010). 12) Roberto Grande sotto i 12 metri del Pollice di César Baldaccini (La Défense, 31 dicembre 2009). Estate 2010 Le Montagne Divertenti Le Lefoto fotodei deilettori lettori 131 le foto dei lettori Rubriche Rubriche 13 16 6 15 18 19 17 14 13) Mauro e Enrico Vairetti, Enea, Serge, Monica, Annick a Cabo Polonio in Uruguay (gennaio 2010). 14) Roberto e Josef al Salar de Uyuni in Bolivia (9 luglio 2009). 132 Le Montagne Divertenti Estate 2010 15) Abhaneri in Rajaistan (india). In foto: Satienga, Elena, Alberto, Paola, Isabel e Graziana (gennaio 2010). 16) Pascillo e Gisella a Cuba (febbraio 2010). 17) Luca Gaggi e Stefy per il loro viaggio di nozze hanno scelto il Messico (Yucatan, 28 gennaio 2010). 18) Gruppo della Valmalenco in visita a Praga (settembre 2009, foto Giorgio Nana). 19) Il 21 aprile è nato Michele, figlio del nostro collaboratore Fabio Pusterla. Congratulazioni da tutta la redazione! Le Montagne Divertenti Le Lefoto fotodei deilettori lettori 133 12 n. Giochi de on i Ma ch'el? so lu zi vinti l Rubriche Vincitori e ma ch'el? ma 'n gh'el? L'oggetto misterioso era il "tumél", ovvero una trappola per topi e ghiri. Il topo mangiando l'esca faceva cadere il bastoncino appuntito che teneva sollavata un grossa traversa che cadendo di colpo schiacciava il topo. Questa versione della trappola ha anche una canalina di scolo per il sangue del malcapitato. L'acquerello realizzato da Kim Sommerschield ritrae la cima Viola versante NO, col ghiacciaio di Dosdè Ovest, unico nel suo genere. Questo angolo di vista (zona passo Dosdè-cima Saoseo) richiede ore di cammino, quindi in pochi sono stati in grado di riconoscere il soggetto. I vincitori sono stati: 1) Bassola Stefania di San Giacomo di Teglio; 2) Fanchetti Francesco di Bianzone; 3) Bonelli Luigi di Chiuro; 4) Piganzoli Alberto; 5) Italo Corvi. Sei pratico di cose strane? Eccoti un utensile misterioso. Dimmi di che cosa si tratta e come veniva utilizzato. I 2 più veloci dalle ore 20:00 del 25 giugno 2010 vinceranno l’esclusiva maglietta de “Le Montagne Divertenti / Waltellina”, il 3° classificato ricevera' una copia del libro "Giovanni Bonomi - Guida Alpina" , il 4° e il 5° una fascetta de "Le Montagne Divertenti / Waltellina.it ". I vincitori sono stati: 1) Alan Muscetti di Sondalo; 2) Grossi Valentino; 3) Vitali Giovanna; Manda le tue risposte a: [email protected] oggetto della mail: “ma ch'el?” Ricordati di specificare il tuo indirizzo e la tua taglia. Ma 'n gh'el? Se sei un attento osservatore, indovina quale edificio ritrae questo acquerello realizzato da Kim Sommerschield. Il più veloce dalle ore 20:00 del 25 giugno 2010 vincerà il quadro in pregevole cornice di legno artigianale. Il 2° e il 3° classificato avranno l’esclusiva maglietta de “Le Montagne Divertenti / Waltellina”, il 4° e il 5° una fascetta de "Le Montagne Divertenti / Waltellina.it ". Manda le tue risposte a concorsi@ lemontagnedivertenti.com oggetto della mail: “ma 'n gh'el?”. ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO O ALL'INDIRIZZO SBAGLIATO VERRANNO RITENUTE NULLE 134 Le Montagne Divertenti Estate 2010 Le Montagne Divertenti Giochi 135 Rubriche lE RICETTE DELLA NONNA Nocino il buonissimo liquore alle noci Fabrizio Picceni V Il nocino è un liquore ottenuto dal mallo della noce. Ha origini antichissime: fu portato in Italia al tempo dei Romani dai Britanni. Esistono molte ricette, ma ad un buon risultato si può arrivare solo dopo aver acquisito manualità nella preparazione. INGREDIENTI PER 1 litro CIRCA DI NOCINO - 30 noci verdi con il mallo ancora tenero1; - 1 litro di grappa; - 300 g di zucchero; - 1 pezzetto di cannella; - 5 chiodi di garofano. Foto Enrico Minotti. preparazione Tagliare in quattro le noci e metterle in un vaso a chiusura ermetica (prestare attenzione perché il mallo delle noci macchia la pelle). Unire la cannella e i chiodi di garofano e ricoprire il tutto con la grappa. Chiudere il vaso e metterlo a riposare in un posto caldo, scuotendolo 2/3 volte al giorno per una ventina di giorni (un tempo troppo prolungato renderebbe il prodotto amarognolo). Unire lo zucchero mescolando bene in modo che si sciolga (per facilitare si può aggiungere un bicchiere di acqua tiepida). Richiudere il vaso e, sempre sistemandolo in un posto caldo, lasciarlo riposare per un mese (nei primi 15 giorni scuoterlo un paio di volte al giorno). Trascorso questo periodo filtrare il liquore con una garza o con apposito filtro e imbottigliarlo. Chiudere ermeticamente il tappo della bottiglia e lasciare riposare per altri 60 giorni prima di consumare. 1 - Vanno perciò raccolte a inizio estate. Io ho provato la ricetta con le noci prese a settembre, ovvero ho usato solo il gheriglio. In altre parole ho usato con ottimi risultatile noci ancora un po’ acerbe cadute dalla pianta, ma ancora dentro il mallo (il mallo più il guscio li ho buttati). 136 Le Montagne Divertenti Estate 2010 “La cima è là dove uno la mette." 138 Antonio Boscacci Le Montagne Divertenti Estate 2010 Le Montagne Divertenti Ricette 139