Contributo alla conoscenza della società sipontina nell`alto medioevo

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Contributo alla conoscenza della società sipontina nell`alto medioevo
CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA SOCIETA’
SIPONTINA NELL'ALTO MEDIOEVO
La rappresentazione sulle Stele Daunie oltre che di ornamenti, di fibule e
di spade, anche di scene cultuali, di pesca e di caccia, per lo più palustri, ci dà la
percezione chiara e netta di quella che doveva essere l’attività umana nella plaga
sipontina all’intorno del VII secolo a.C. e di quella che sarà poi l’attività stessa a
Siponto.
In una zona paludosa, formata da lembi di terra affioranti dal mare e da
corsi d’acqua e da lagune con bassi fondali, dovevano necessariamente svilupparsi la pesca, la caccia, l’estrazione del sale, l’utilizzazione della flora palustre e
la coltivazione, ove era possibile, dei terreni, per i prodotti orticoli e cerealicoli,
a vigneti e ad oliveti, oltre che a pascoli.
Per lo scambio di questi prodotti doveva, altresì, svilupparsi il commercio non solo sulle vie d’acqua interne, ma anche sull’Adriatico, specie con la costa dalmata e con Ragusa (Dubrovnik) in particolare. E pare che l’ambiente ed
il territorio della plaga sipontina siano rimasti immutati dall’antichità sino a tutto
il medioevo.
Uno spaccato della società sipontina in quest’ultimo periodo ci proviene
da un documento fredericiano, il Quaternus de excadenciis et revocatis Capitanatae de
mandato imperialis maiestatis Frederici Secundi, datato il 1249 e pubblicato a cura di
Ambrogio Amelli nel 19031.
Mette conto dire che da questo documento la città di Siponto appare
ancora in vita e, quindi, operante, anche se qua e là appaiono i segni
dell’impaludamento e della desolazione incipienti.
Si rilevano, ordunque, numerose case e casaline ancora in piedi come
quelle di Margarite Malecurrentis, del giudice Sellicto, di Symonis Russi, di Iohannis
Coloris, di Unfridi, di Pascalis de Salpis, di Sypontinus de Prando, ecc.; alcune di queste
sono discohopertum.
Le attività che gli abitanti svolgono sono quelle di pomentarius, di campsor,
di traspadarii, di sutoris, di scutifer marescalle, di aurifex, di vaccarius, di fornarius, ecc.,
attività abbastanza varie ed il cui significato ci è noto.
Dallo stesso documento fredericiano si rileva una Fontana salsa, il cui ricordo ci fa andare alla vecchia fontana di Siponto, tuttora visibile, presso le
vecchie mura della città. Vicino a questa fonta______________
1 - AMELLI AMBROGIO, (a cura di): Quaternus de excadenciis et revocatis Capitanatae
de mandato imperialis maiestatis Frederici Secundi. Montecassino, 1903, pp. 48 e seg.
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na vi è una terra emersa con la quale confinano le terre di proprietà
dell’arcidiacono e le terre di proprietà della chiesa di Santa Maria di Siponto;
altre terre sono ubicate nella località chiamata: Locus Putidus.
Ricorrono spesso le citazioni delle saline: salina duo in laco qui dicitur Lomello, iuxta salinas Iohanni Scolmabocte, et iuxta salinas dompne Alferade, ed ancora: salinam unam desertam iuxta salinas Montis Sacri, salinam unam desertam in Calcarola, ecc.;
l’abbandono di queste ultime deve presupporre il mancato utilizzo, dovuto
molto probabilmente al loro disseccamento, e non, anche, al loro impaludamento, poiché sarebbero divenute mari.
Ed in merito a questi mari o, meglio, a queste acque interne, si hanno: mare magnum unum quod est iuxta mare sancti Benedicti... et mare Montis Sacri. Item aliud
mare iuxta mare Russi magistri Rubei. Non mancano, come si è detto, terreni destinati all’attività agricola come le vineas desertas in vallone sancti Roncii in loco qui dicitur
Guardiola cum terris, ed ancora: vinea deserte in loco qui dicitur Castelle iuxta vineam,
vineam unam in montanea et Castellis, quartam partem medii cuiusdam pastini, iuxta pastinum iudicis Egidii in Plano di Amendila, vinealia que sunt in Calcarola iuxta terram domini
Lavencii seminatur ad mediatatem sementis vale de frumento salman unam, vel de ordeo salman unam. In località chiamata Terminiculum, di proprietà di sire Laurencii, vi è un
tenimentum... non seminatur e, quindi, destinato a pascolo.
Per quanto riguarda l’attività orticola, va citato l’orticello presso la casa di
Iohannis Citi traspadarii che fu già di Roberto de Sillicto e di Guglielmo, filii sui,- ed
ancora: ortum unum in Porta maiori, iuxta ortum sire Saxi, item mediatatem cuiusdam
orti, iuxta ortum sancti Tome.
Per l’attività armentizia, basta la citazione che riguarda un certo Nicola
che svolge l’attività di vaccaro: ortum unum in palude quem tenet Nicolaus vaccarius et
Raynaldus fornarius2.
Per la strada, infine, che porta a San Quirico (località posta alle falde del
Gargano, sotto Rignano), si notano una massaria Lame, ed ancora: olivetum unum
iuxta Carbonariam, terra una que dicitur Cabatinus in via Candeloria. E ci pare che le
citazioni, per quanto riguarda questo documento, bastino.
E per avere un’idea di quello che poteva essere il sistema viario che interessava o confinava con il territorio sipontino, basta leggere il Regesto di S. Leonardo di Siponto edito a cura di Francesco Camo_______________
2 - CAMOBRECO FRANCESCO (a cura di), Regesto di S. Leonardo di Siponto, Nel
documento n. 81, datato Siponto 1175 si rileva l’offerta di: “vaccas, oves et boves, porcos,
ecc.”
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breco, dal quale si desume la presenza di una strata magnam3, del magno vado
flumenis Candelari qui v. Tamericis4, della stratam Peregrinorum inter Sipontum et
Candelarium5, della strata maioram6, della strata Siponti7, ecc.; nell’aprile del 1196 si
rileva che nel loco qui dic. Domacavalli tam super quam subtus viam per quam itur ad
Candelarum; per hos fines: primo via publica per quam itur ad Casale Novum, secundo via
carraria que pergit ad Casale Novum et ad Sipontum, tertio Lama de ipso Vallone que est
subtus Lagugenium et tendit usque ad murice, quarto terre eccl. S. Leonardi8. Si hanno
pure le citazioni di una via qua itur ab ecclesie S. Trinitatis ad casali S. Iohannis
Rotundi, una via qua itur ad ecclesiam S. Barnabe ed infine una stratella8.
Anche se sono passati più di 700 anni, la situazione, per molti aspetti, ci
pare immutata; è chiaro che si sono avute delle trasformazioni dovute alle
bonifiche e ai guasti irrimediabili, ma il sostrato dell’attività umana dei sipontini
è rimasto pressoché immutato. Essi sono interessati ad un molteplicità di
fenomeni economici e sociali, caratterizzati proprio dalla complessità del suo
territorio e del suo ambiente. Nella plaga sipontina si racchiude, infatti, un
microcosmo che spazia dai monti al mare, dalla pianura alla laguna, dal terreno
calcareo alle paludi, dall’allevamento alle culture orticole e seminative, dai laghi
ai fiumi, dall’agricoltura all’attività marinara, dall’industria estrattiva (cave di tufi,
saline) al commercio, dall’attività artigianale (costruzione di barche, confezione
di canestri) all’attività conserviera (salagione delle seppie, concia delle pelli). E
queste vocazioni, o, se vogliamo, queste tradizioni, già presenti nel primo
medioevo, si sviluppano vieppiù dopo il mille, per conservarsi sino ai giorni
nostri.
Ma leggendo i documenti di questo periodo ci si accorge, con sommo
rincrescimento, che le attività umane erano sviluppate o più “sentite” nel
medioevo che non oggi; il tempo, le varie dominazioni, la incuria dei
governanti hanno peggiorato e non anche migliorate le condizioni del nostro
ambiente e del nostro territorio, provocan____________
3 - CAMOBRECO F.; op. cit. doc. n. 3.
4 - Ibidem, doc. n. 4.
5 - Ibidem, doc. n. 6.
6 - Ibidem, doc. n. 13.
7 - Ibidem, doc. n. 43.
8 - Ibidem, doc. n. 112.
9 - Ibidem, doc. n. 142.
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do il “disertamento”, come dice il Galanti, del Tavoliere10. Ed è così che oggi
si conserva solo il toponimo di località che si presentavano come veri e propri
casali, con i propri signori e con le rispettive chiese, in comunicazione tra di loro
con una fitta rete di vie terrestri, come si è visto, e lacuali e fluviali, che
percorrevano in lungo ed in largo la piana ed il monte.
Che cosa ne rimane oggi dei casali Candelaro, Versentino, Amendola,
Fazzioli, S. Quirico, Pastini, ecc.? E pure lungo l’arco di tutto il medioevo essi si
presentano come centri propulsivi di vita economica e sociale. Una comunità,
una societas, quindi, di cui vedremo appresso la relativa composizione, viva ed
operante, che con la propria attività ha contribuito notevolmente alla
formazione del costume del popolo sipontino.
Abbiamo voluto limitare lo studio di questo costume al solo medioevo
per meglio poter capire le origini, le “radici” del nostro popolo, e ci pare che
esca fuori un quadro abbastanza positivo, ricco anche di fermenti religiosi e
culturali; e non poteva essere altrimenti, poiché, proprio per la sua
conformazione geografica, Siponto è aperta a tutti i contributi che le
provengono dalle genti e dai territori con i quali si trova a contatto, divenendo
essa stessa cosmopolita, un crogiuolo di idee, di razze e di religioni e che fa
sentire le sue influenze anche oltre Adriatico e presso la Curia imperiale.
Che Siponto, in età romana, fosse un emporio granario abbastanza
fiorente è dato sapere da quanto si legge nelle iscrizioni di quel periodo,
recentemente pubblicate dal Serricchio 11; e che la stessa città contasse su di un
suo ceto mercantile lo si rileva dalla esenzione per due anni accordata
dall’imperatore Teodorico, nel VI secolo, ai mercanti sipontini per il
pagamento dei relativi debiti12. Questi mercanti devono conoscere molto bene
le rotte per Bisanzio se decidono di recarsi, come narrano le “Vite” di san
Lorenzo 13, da____________
10 - GALANTI GIUSEPPE MARIA; Della descrizione geografica e politica delle Sicilie,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1969.
11 - SERRICCHIO CRISTANZIANO: Iscrizioni romane paleo-cristiane e medievali di
Siponto, Quaderno n. 9 dell’A.A.S.T. Manfredonia, 1978.
12 - BARBIERI GINO: Il pensiero economico dall'Antichità alla Scolastica, Molfetta,
Mezzina, 1960, pag. 169. La notizia è tratta da Cassiodoro, Le Varie, I, CII, 37; aggiunge il
Barbieri che “nel relativo decreto si stabilisce pure una moratoria per i debiti contratti,
essendo inutile-osserva acutamente il decreto-ripetere la prestazione di una cosa da chi è
nudo. E’ molto meglio attendere un certo lasso di tempo, per dar modo al debitore di
rifarsi qualche sua possibilità”. Il che fa presupporre, aggiungiamo noi, fiducia nella
capacità imprenditoriale dei nostri mercanti.
13 - BOLLANDUS IOANNES - HENSCHENIUS GODEFRIDUS: Acta
Sanctorum. 1658. Nella prima vita è detto, tra l’altro: “De Communi ergo consilio electis
honestissimis et illustribus viris, Clericis et laicis, praeparatisque omnibus necessariis
eorum itineri, laeti navigium intrantes ad Constantinopolitanum portum...”
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tabili al IX ed all’XI secolo 14,presso l’imperatore bizantino per invocarne la
nomina del nuovo vescovo, tradottasi, come narrano, appunto, le “Vite”, nella
persona di Lorenzo, appartenente alla stessa famiglia imperiale.
E Lorenzo provvede a far trasportare, da Bisanzio, artisti e pietre colorate
per la composizione dei mosaici, di cui ancor oggi si vedono tracce a Siponto nella basilica
paleocristiana. Scambi religiosi che preludono e conseguono a quelli commerciali e culturali.
E se si hanno scambi commerciali per via lacuale e marittima non potevano mancare
artigiani per la costruzione delle navi; e proprio sulle Stele Daunie si ritrovano incise
barche sia a vela che a remi, quasi a testimoniare la vocazione di questo popolo
che dalle acque e sulle acque ricavava la maggior fonte per il suo sostentamento.
La costruzione di queste barche ha dato vita, nei secoli, a dei veri cantieri navali
se Siponto prima e Manfredonia poi devono ospitare, nei primi anni della
dominazione angioina, navi provenienti da altri porti dell’Italia meridionale per
essere calafate o riparate; questa attività si svolge attorno alla figura di mastro
Gandiletto de Pasquicio, come è attestato, appunto, dai documenti di quel
periodo15.
E dell’attività mercantile si riscontrano tracce anche in periodo svevo,
allorquando Manfredi concede fondaci nel porto di Siponto ai Genovesi, ai
Veneziani e forse anche agli Ebrei. Di questa attività si vedranno i frutti più
tardi, con gli Angioini e maggiormente con gli Aragonesi, tanto da far divenire
il porto di Manfredonia sede ambita per i traffici granari di Venezia, di
Genova, di Firenze, dei Catalani e della dirimpettaia Ragusa16.
La presenza di saline consentiva la salagione delle seppie e la
manipolazione e la concia delle pelli, attività queste che si sono protratte sino
all’inizio di questo secolo e per le quali in Manfredonia si è conservato il
toponimo. Queste attività venivano svolte in massima parte dagli ebrei, in
particolar modo nella zona bassa della nuova città, sulla vecchia strada chiamata
della Confectaria, la attuale via della Maddalena, che menava, tramite la porta
dello Spontone, sull’omonima cala: sede dei cantieri navali17.
__________
14 - CAGIANO DE AZEVEDO MICHELANGELO; Le due “Vite” del Vescovo
Lorenzo e il mosaico “delle città a Siponto in “Vetera Christianorum”, a. II, fasc. 1, 1974, pp.
141 e seg.
15 - I registri della cancelleria Angioiana, vol. XXVI (1282-1283), a cura di JOLE
MAZZOLENI e RENATA OREFICE, pag. 262, doc. n. 72 “Gadilectus de Pasquicio
expensores duarum navium in Manfredonia). Mastro Gadiletto è citato pure in altri docu menti dei Registri della Cancelleria Angioina.
16 - Fonti Aragonesi, vol. VI, a cura di CATELLO SALVATI.
17 - OGNISSANTI PASQUALE, Gli Ebrei a Manfredonia. La Capitanata, anni
XVII, XVIII, XIX, gen-dic. 1980-82, parte seconda, pp. 81 e seg.
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La fornitura delle pelli veniva assicurata dall’attività armentizia, di cui si
hanno accenni nel “Quaternus” di Federico II e nel “Regesto di S. Leonardo di
Siponto”; gli allevamenti di bestiame si svolgevano sia utilizzando la terra
ferma, come per gli ovini, e sia i pantani come per i bufali i quali danno un
ottimo latte per la manipolazione dei latticini e dei formaggi, come il formaggio
marrama, tipico della plaga sipontina. E questi formaggi venivano confezionati
nelle fuscelle di giunchi o in canestri di vimini o di tamerici, abbondanti nelle
nostre zone, tanto da consentire un diritto esclusivo del popolo sipontino,
l’acquatico ed il legnatico sui beni universali o della Università, di cui si ha copiosa
menzione nel Libro Rosso, ovvero negli Statuti municipali della città di
Manfredonia. E lo stesso lentisco veniva usato, per il suo aroma, per attirare le
seppie quando si spingevano a riva per depositarvi le uova e venivano, così,
catturate.
Chi non ha visto, fino ai giorni nostri, la canestraie manipolare canestri
per il pane o sporte per contenere i granchi o i molluschi (oltre, naturalmente, a
quelli per la conservazione e la salagione dei formaggi, o per voltare le lamie, cioè
costruire i tetti, per le case con volte a botte) Attività, questa, sussidiaria e
complementare a quella dei massari di campo, come erano chiamati una volta gli
allevatori di bestiame. E non si possono sottacere i manufatti per le scope o per le incannecciate,
per la pesca delle anguille, la cui materia prima veniva offerta, appunto, dalle
paludi.
Ma, a parer nostro, l’attività che ha conservato maggiormente intatte le
sue tradizioni è, quella peschereccia, e in particolare la pesca delle seppie, le cui
prime notizie risalgono proprio al periodo medievale. Questa pesca è tipica del
popolo sipontino che utilizzava le acque interne della sua laguna, più calde delle
acque del mare aperto, per cogliere, tramite le vorle18, e a mezzo delle reti, le
stesse seppie allorquando depositavano le uova.
Le zone di acque interne, i mari, così le saline, dovevano essere
appannaggio di conduttori ben definiti e ben protetti, tra i quali si annoverano
anche dei monasteri: Tremiti, Monte Sacro, S. Benedetto, di cui alcuni ben
lontani da Siponto come quello di S. Sofia di Benevento; e la pesca stessa ci
sembra che dovesse essere rigorosamente controllata e disciplinata se già in
epoca longobarda si rileva: “condomas tres ad piscandum et ad salem
faciendum”, ed ancora: “de piscatione in mari Sipontino”, “in comitatu
Sipontino piscariam”19.
__________
18 - OGNISSANTI PASOUALE, La seppia a Manfredonia, Gargano Studi, n. 1, s.d.
per il tipo di pesca con le vorle cfr. pure: OGNISSANTI P. La pesca delle seppie a Manfredonia,
Lingua e Storia in Puglia, 1979, pp. 121 e seg. Questa pesca è regolata con R.D. n. 2356 del
4.10.1928.
19 - CARABELLESE FRANCESCO, L'Apulia ed il suo Comune nell’alto medioevo,
1905, pp. 35 e seg.
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Alcuni di questi atti, come si rileva dai documenti pubblicati dal Carabellese, sono redatti e datati in Palatio sipontino 20, ovvero emanati dalla sede del
Castaldato di Siponto. Ma c’è di più, ci pare di rilevare un riferimento specifico
alla pesca delle seppie, tramite le vorle, in un documento pubblicato da Armando Petrucci, nel quale si ha la donazione da parte del monastero di Tremiti a
Gemma de Rocardo e al nipote Adriano di una salina; questi ultimi si impegnano a versare un censo annuo di 250 libbre di sale e due apparecchiature per la pesca delle seppie, “duas ligaturas sepiarum”21.
E la pesca delle seppie, in zone di mare ben definite, doveva necessariamente sfociare, una volta colmata la laguna, nella divisione del lido del mare,
che ancor oggi si effettua e che inizia il giorno di san Giuseppe (19 marzo) di
ogni anno 22. E’ per assicurare la esclusività di questa pesca ai sipontini che si
creava il diritto dell'andito; per questa antica consuetudine, per la gabella che vi
gravava, per i relativi diritti di esazione si hanno abbondanti riferimenti bibliografici, specie nel Libro Rosso dell'Università di Manfredonia23.
Esaminato l’ambiente ed il territorio di Siponto, viste le attività economiche che svolgono i suoi abitanti, ci pare doveroso, a questo punto, esaminare la
società civile, la cultura, del popolo sipontino nel medioevo; l’esame viene limitato al periodo tra il 1000 ed il 1200, per il quale periodo si ha possibilità, tramite i documenti a nostra conoscenza, di dare uno sguardo panoramico abbastanza completo della vita sipontina.
Senza voler entrare nella polemica, nata agli inizi di questo secolo, a seguito della pubblicazione dell’opera del Carabellese24, si può affermare che Siponto, anche a seguito delle dominazioni Longobarde e Bizantine, ha goduto
di una certa autonomia civile-militare se arma proprie milizie per respingere gli
attacchi e le in____________
20 - Ibidem.
21 - PETRUCCI ARMANDO, Codice diplomatico del Monastero Benedettino di S. Maria di Tremiti 1005-1237, Istit. Storico. Italiano per il Medioevo, Roma, 1960, doc. n. 125, p.
397.
22 - OGNISSANTI P. La seppia, op. cit.
23 - DI CICCO PASQUALE (a cura di), Il Libro Rosso dell'Università di Manfredonia,
edito a cura del Consiglio Comunale di Manfredonia, Napoli, 1974; nel capitolo IX viene
deteminato il modo di comportarsi di chi pesca nel mare della nostra città. Alle imposizioni ivi riportate si sottrae la pesca delle seppie che vengono vendute ai viaticali sul lido
stesso del mare, senza portarsi in piazza alla assisa, oppure fatte seccare ed esitate a tempo
opportuno. La città godeva pure di un diritto di prelazione nell’acquisto delle seppie nei
confronti dei privati incettatori. Per il Diritto dell'Andito, cfr. il GALANTI, op. cit. e lo
SPINELLI; MATTEO SPINELLI: Memorie storiche dell'antica e moderna Siponto, mmss.
presso le Civiche Biblioteche di Manfredonia. Altre notizie utili in merito si possono ricavare anche dall’opera postuma di Michele Bellucci: Per una storia di Manfredonia, fasc. 1,
Foggia, 1980.
24 - CARABELLESE F., op. cit.
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vasioni degli Slavi, o per far valere la propria supremazia sulla Daunia, entrando
in lotta con Troia (la vecchia Aecae). E questa antica tradizione ci viene comprovata da quanto si rileva dalle Apparitio di s. Michele, databili dal VII al IX secolo;
in questi Codici si riscontra la battaglia sostenuta dai Sipontini contro i Napoletani (cristiani contro pagani) e la relativa vittoria ottenuta grazie all’intercessione
dell’arcangelo Michele apparso in sonno al vescovo sipontino Lorenzo Maiorano. Chiara e voluta anticipazione di avvenimenti posteriori per legittimare la
Invenzione del culto Michaeliano, divenuto, poi, il culto ufficiale dei Longobardi.
E la tradizione di armate sipontine, con propri capi (i duci delle armi), si
rileva da una lettera di s. Gregorio Magno, nella quale si allude alla figlia di Tulliano, maestro delle milizie di gloriosa memoria25. E nella tradizione popolare
la tomba di Tulliano viene individuata nel sarcofago, tuttora esistente, nella parte inferiore della basilica preromanica di Siponto.
Con il secolo XI, ad un’eventuale autonomia civile, consegue la riconquista dell’autonomia vescovile, venuta meno nel secolo VII con la riunione, su un
falso documento pontificio, del vescovado sipontino a quello beneventano 26 .
Dai primi decenni del secolo XI, il presule rappresenta, come anche in altre
parti di Italia, oltre che il primate religioso pure il primate civile della città.
Ed è proprio in questo secolo che Siponto vede sviluppare i presupposti
della bottega attribuita ad Acceptus; alla Scuola di Acceptus si forma quel David
magister che si firma su di una trave dell’ambone sipontino, datato al 103927.
Si forma, così, una cultura autoctona che si svincola dal bizantinismo per
assumere forme e movimenti nuovi, traspositati negli stessi amboni, nelle cattedre vescovili, nei plutei, nelle stesse basiliche ed infine anche nei codici miniati
come è dato sapere da quello presso Montecassino, ove su di un codice vi è la
firma di un Sipontino monaco 28.
Ma al movimento innovatore iniziato dal vescovo Leone (1023-1050) e
continuato dal vescovo Gerardo (1064-1078), non sono
__________
25 - ACCURANTE J. - P. MIGNE: Sancti Gregorii Papae I cognomento magni, Opera
Omnia. Patrologia Latina, Tomo 77, Rurnholti (Belgio), Typographi Brepols Editores
Pontificii, pp. 641 e seg.
26 - CONIGLIO GIUSEPPE, Note storiche sulla Chiesa di Puglia e Lucania dal V al
IX secolo nei fondi pergamenacei. Vetera Christianorum, a. 7°, fasc. 2, 1970, pp. 341 e seg.
27 - SERRICCHIO C., op., cit.
28 - DI SABATO RAFFAELLO, La Madonna di Siponto, Saggio storico critico di archeologia e di iconografia cristiana. Ristampa a cura dei figli dell’A., Reme Graf - Foggia, s.d.
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estranei gli stessi ebrei che annoverano a Siponto, in questo periodo, grosse
personalità nel campo della medicina, come Melkisedeq, trasferitosi, poi a Salerno, e nel campo della poesia e della letteratura, come ben Merinos, o come i
traduttori di Bibbie, o come i commentatori dello Josephon29.
E se Leone riporta il vescovado sipontino al vecchio splendore, Gerardo, accorto diplomatico, proietta lo stesso vescovado in una dimensione geografica più ampia, quale punto di riferimento del medio e del basso Adriatico,
con le sue continue missioni in Dalmazia, a Ragusa, a Spalato, ecc., contribuendo, così, alla sostituzione, in quei territori, dell’influenza bizantina con quella del
clero romano 30. E non solo, la presenza di Gerardo sull’altra sponda adriatica
contribuiva a sviluppare vieppiù i rapporti mercantili tra le due sponde e, quindi, ad incrementare i traffici da e per Siponto.
Lo stesso Gerardo, nel 1068, ha l’accortezza di riunire il clero ed il popolo sipontino in un Parlamento per determinare, molto probabilmente, la ricostruzione della nuova basilica preromanica, riadattando il vecchio battistero paleocristiano, di cui si ha notizia nelle “Vite” di S. Lorenzo, provvedendo a corredarla di varie suppellettili, tra le quali quella icona deaurata, che ancora oggi si
ammira nella Cattedrale di Manfredonia, ovvero l’effige di S. Maria di Siponto 31.
Con questi presupposti, con la formazione artistico-culturale-religiosa,
che si è visto, non deve apparire strano che un popolo formato da pescatori, da
pantanari, da scialaioli, da salinari, da conciatori, da pastori, da vaccari, ecc. sia capace
di assurgere a dignità civile e militare, tanto da sviluppare la propria attività anche fuori dall’ambito territoriale.
E’ un popolo che produce buoni avvocati, giudici, notai che conoscono
molto bene il latino, come viene dato di sapere dall’esame dei rogiti e delle invocationes che si leggono nei documenti del Regesto di S. Leonardo; sono uomini che
si formano all’ombra delle grandi potenze economiche, come le Badie di S.
Leonardo di Siponto e di S. Maria di Tremiti, che, proprio in questo periodo,
raggiungono il massimo splendore mercantile ed artistico.
Ed ecco che la società si trasforma: da mediocres si diventa vir, milites, comestabili, funzionari regi, comite, turmarca, ecc. Per meglio capire questo fenomeno, di trasformazione sociale ed economica, ci bastano alcuni esempi.
_______________
29 - OGNISSANTI P., Gli ebrei, op. cit.
30 - OGNISSANTI PASQUALE: L'arcivescovo Gerardo a Siponto. Vita Diocesana, a.
XIX, n. 1, genn.-marz. 1982, pp. 50 e seg.
31 - OGNISSANTI P., L'arcivescovo Gerardo, op. cit.; per l’origine del culto mariano
a Siponto cfr; pure OGNISSANTI PASQUALE: L'Arcivescovo Ugone. Vita Diocesana, a.
XXI, n. 3, lug.-Sett. 1984, pp. 32 e seg.
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Tra i proprietari della plaga sipontina figurano: Boamundus Bricto domini
Candelari, Silvester de Lama Candelari, Johannes Aisius Casali, attivi nel 1164, così
come Nonnus Petrus, preposito, et Raino S. Quirici, Guidi Soldanus S. Quirici iudex
regalis, Pascalis militi S. Quirici.
La vita nel casale di Candelaro deve svolgersi fino al 1219, ed anche oltre, se vi figurano: Guilelmus de Siponto dominus Candelari fil. qd. Guilelmi de Siponti
regii iusticiari e Ursonis de Siponto Castellanus Candelarii; nel 1203, figura un Bartholomei de Pastino, e, nel 1212, un Boni de Pulsano; nel 1217, una Carina de La Mendula
e, nel 1235, un Henrici de Facciolo. Ma già un secolo prima, si ha notizia di una
famiglia De Tivilla, del genere francorum che, nel 1143, con i fratelli Simon, Eudo,
Guilelmus, operano con gli uomini del Casale Bessentini.
E che dire dei Kadelaito, imperiali tormarcho, al servizio del vescovo Gerardo, nel 1064, e presenti con un Bartolomeo, come teste, fino al 1293; e dei de
Ollia o de Ullia, che annoverano un Garino, catipano Siponti nel 1197; e di Guglielmo da Siponto, imperatoris iusticiarius, nel 1196, e proprietario di terre in località Domacavalli; e dei Guisenolfo, imparentati con i Giovanni Zito, proprietari di una
vineam, nel 1180, e che esercitano la professione di avvocati e di giudici; e dei
Gaderisio, anch’essi proprietari di vigne e che svolgono la professione di notai
oltre che a Siponto anche a Monte S. Angelo; e i Giovanni Zito imparentati anche
con i Papa Giovanni, pure essi proprietari di terreni e imparentati, a loro volta,
con i Benesmiro?
Ma, a parer nostro, la famiglia che meglio ha saputo cogliere i frutti di
questa trasformazione economico-sociale è proprio quella dei Benesmiro, per
la quale, a conclusione di queste note, vogliamo tracciare con più abbondanza
di notizie le vicende, anche per dare il giusto merito ad una famiglia che, più
delle altre, ha saputo imporsi al cospetto delle città vicine e della stessa Curia
imperiale, cioè, come lo stesso simbolo della vitalità di Siponto.
Di un Benesmiro milite eccl. S. Leonardi advocato si ha notizia in alcuni documenti del 1144 e del 1146; nel 1147 si ha la conoscenza di un Ursone Zito filio
Benesmiri milite ac regii camerari. Come si vede i Benesmiro fanno carriera inserendosi nella rete dei funzionari regi senza, peraltro, lasciare il precedente ufficio di
advocato ecclesie di S. Leonardo di Lama Volara. L’attività di Benesmiro, accompagnata da quella del figlio Ursone, si esplica negli anni 1150, 1156 e 1157.
In un documento nel 1165 appare un altro nome legato ai Benesmiro,
Sassone milite vice Benesmiri sui patris ad eccl. advocato; e nel 1173 appaiono Benesmiro
et Sassonis fratribus nostris advocati. La notizia è notevole, perché ad un Sassone si
associa un fratello dal
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nome Benesmiro, figlio, molto evidentemente, del primo Benesmiro, la famiglia, quindi, comincia ad espandersi. In questo periodo il nome dei Benesmiro
oltre che dai documenti del Regesto appare anche nei documenti della città di
Troia pubblicati da Jean Marie Martin32; nel 1162 si ha notizia, appunto, di una
terram Bonismiri de Armanno conzatore. Ci pare, quindi, ovvio sottolineare l’accento
sulla attività svolta da questo Benesmiro, attività, come si è visto, fiorente in Siponto prima e in Manfredonia poi. E sempre dagli stessi documenti appare nel
1175 un Benesmiro regio justiciario advocato eccl., ecc.; non vi è dubbio, perciò, che
si tratti della stessa famiglia.
Nel 1177 si ha un Benesmiro Siponti sacris suis litteris... regio giustiziere
dell’Honor Montis Sancti Angeli, carica che si riscontra in un altro documento di
Troia del 1184: la fortuna dei Benesmiro è fatta.
Di Ursone non si hanno più notizie, mentre compare per la prima volta
il nome di Goffredo in un documento del 1180: Goffredo de Siponto, filio qd. Benesmiro advocato nostro, e sempre nel 1180 compare anche un Domo Benesmiri. Con
un salto di sedici anni riappare il nome di Sassone, ma come padre, e manco a
dirlo, di un Benesmiro: Sm. Bonesmiri ol. Sassonis filii. Nel frattempo, come si è
potuto notare, si ha una leggera modifica nel nome: da Benesmiro a Bonesmiro.
Il nome di Sassone appare ancora anni dopo, legato ad una proprietà
sulla montagna, nel 1201 si rileva: pecia una terre Bonismiri ol. filii Sassonis. Nel 1202
si ha notizia di un Benesmiri militis de Siponto e nel 1212 la fortuna arride ancora
ad un componente di questa famiglia: Bonesmiro regio justiciario Siponti comestabulo
eccl. advocato, e nel 1212 e nel 1216 i Benesmiro si fregiano del titolo di Comitis
Siponti iudicis. Nel 1219 abbiamo un Benesmiro Sipontino comestabulo et regio iusticiario ac comito Sipontino iudice e nel 1221 un Bonesmirus Sipontinus comestabulus et
imperialis iusticiarius.
Si badi bene che la fortuna di questa famiglia continua anche se si succedono diverse dominazioni sull’Italia meridionale, anzi aumenta sempre di più. E
non è che i componenti la famiglia, maschi o femmine che siano, non disdegnino di far risaltare le loro origini, anche quando si trovano ad operare o ad abitare in località diverse da Siponto, o vanno spose a signori di Terre, come è il
caso di Al___________
32 - MARTIN JEAN MARIE: Les chartes de Troia. Edition et étude critique des plus
anciens documents conservés à l'Archivio Capitolare, I (1024-1266) (Codice Diplomatico Pugliese,
XXI), Bari, 1976.
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franda, filia Bonesmiri, nel 1221, o di Romana, filia Domini Bonesmiri de Siponto,
sposa di un Johannes Ameriusius regius baronus et loci Tiviani, nel 1228.
Con il periodo angioino il nome dei Benesmiro non compare più in documenti riguardanti Siponto, ma li riscontriamo a Foggia, come Nicola de Bonosmiro, Regie Fogie iudice, o come Nicolaus de Bonosmiro iudex, nel 1302. E’ da pensare, quindi, che questa famiglia si sia definitivamente allontanata da Siponto e da
Manfredonia se negli anni successivi la si vede molto attiva a Trani, dove conserva la propria professione e diviene proprietaria di molti beni immobili33.
Il periodo di attività di questa famiglia, come si è visto, è abbastanza lungo se vede affermarsi sulla vecchia concezione autonomistica della comunità
cittadina una nuova concezione unitaria del regno e, nonostante queste profonde trasformazioni, la famiglia Benesmiro ha continuato il suo cammino rivestendo cariche di altissimo prestigio.
E non è che la famiglia contasse solo su personaggi dotti o letterati, o su
attività svolte solo nell’ambito della propria città, o che non fosse esente da disavventure; una famiglia viva, dunque, che non disdegna di rivolgersi a papa
Alessandro III (1159-1181), strenuo nemico del Barbarossa e difensore dei
Comuni, come Sassone, per impetrarne la liberazione del figlio Goffredo fatto
prigioniero in Dalmazia e per la restituzione dei beni tolti a quest’ultimo da alcuni uomini di Sebenico 34.
Lo stesso Goffredo non può non essere un personaggio avventuroso se
si era spinto, senz’altro per commercio, sull’altra sponda; dunque, non può questa famiglia, come scrive il Fuiano, da piccola nobiltà locale assurgere ad alti
incarichi curiali35, se non ci fosse stato un substrato idoneo nella città di provenienza.
Quali conclusioni bisogna trarre da quanto finora detto?
Se di una società sipontina bisogna parlare, se si vogliono riscontrare nel
nostro popolo delle tradizioni, nel senso più ampio della parola, se vogliamo
scoprire le radici della nostra dignità di essere un popolo o una comunità, tutto
ciò non può non individuarsi che con le nostre origini, e ci pare che il quadro
che abbiamo descritto sia abbastanza sufficiente per dimostrare quanto finora
affermato; molte cose il tempo e gli avvenimenti storici hanno cancellato, ma la
sostanza della nostra cultura, della nostra vocazione economica, delle nostre
tradizioni popolari e religiose ci pare che sia rimasta pressoché inalterata.
Pasquale Ognissanti
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33 - VITALE VITO: Trani dagli angioini agli spagnuoli. Bari, 1912.
34 - FUIANO MICHELE: La città di Siponto nei secoli XI e XII. Nuova Rivista Storica, A.L. fasc. I-II, 1966, Soc. Editr. D. Alighieri.
35 - FUIANO M., op. it.
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