I metalli

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I metalli
VIII
I
METALLI
Le aree sepolcrali di Metaponto hanno restituito un numero piuttosto
consistente di reperti metallici; si tratta di ben 134 oggetti integri o frammentari di foggia differente e realizzati con materiale diverso. La maggior
parte dei rinvenimenti è costituita da oggetti in bronzo e ferro, ma a differenza di quanto avviene nella necropoli dell’entroterra i ritrovamenti di
metalli preziosi sono tutt’altro che irrilevanti.
Nelle aree sepolcrali urbane sono stati raramente individuati chiodi, borchie, grappe metalliche ed altri attrezzi di uso quotidiano; tutti gli oggetti
rinvenuti sembrano avere un certo valore sia economico che simbolico, come
vedremo meglio in seguito.
Questo tipo di rinvenimenti ci consente dunque di premettere alcune
indicazioni generali sulla diffusione di tali utensili all’interno delle sepolture
metapontine e di evidenziarne i mutamenti. Tali riflessioni verranno del resto
riprese in seguito, quando cercheremo di ricostruire l’evoluzione globale dei
corredi e di sottolinearne le variazioni nel corso dei secoli1.
A Metaponto 72 sepolture su 191 (ca. 38%) contengono al proprio interno strumenti in metallo. Si tratta di una percentuale lievemente inferiore
rispetto a quella relativa ai rinvenimenti della necropoli extraurbana di
Pantanello; in questo caso, infatti, il 41.25% delle sepolture conserva fra gli
elementi del corredo oggetti metallici2. La differenza fra le aree sepolcrali
urbane e quelle della chora è quasi irrilevante, soprattutto se si considera che
le tombe di Metaponto sono state ripetutamente violate nel corso degli anni
e soggette a trafugamenti da parte di scavatori clandestini. È probabile, dunque, che in origine un maggior numero di sepolture, della necropoli urbana
racchiudessero oggetti metallici, ora non più conservati.
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Deborah Rocchietti
Il numero più consistente di rinvenimenti appartiene ai corredi di VI
secolo a.C.: tutte le sepolture aristocratiche di Crucinia contengono al loro
interno due o tre oggetti in metallo. Differente è invece il quadro restituito
dalle altre sepolture coeve a quelle aristocratiche ma dotate di corredi meno
“ricchi”. La percentuale delle tombe che conserva oggetti metallici si attesta,
in questo caso, intorno al 23.52%, ed il numero medio di oggetti per tomba
raggiunge soltanto lo 0.19, valori, come vedremo meglio, inferiori rispetto
alle medie dei secoli successivi.
Tale dato è estremamente interessante, in quanto ci permette, di asserire
che, quanto meno, per l’età arcaica, la deposizione di strumenti metallici
accanto al defunto sembra costituire una prerogativa dell’élite locale. Solo i
maggiorenti della città potevano evidentemente permettersi corredi composti da oggetti metallici. Tali sepolture sono dotate prevalentemente di vasi
bronzei o argentei, l’oinochoe e la phiale, e delle machairai in ferro; mancano dunque, con la sola eccezione della T 238 di Crucinia, testimonianze di
monili3. Le sepolture aristocratiche sembrano, per così dire, privilegiare il
valore simbolico degli oggetti deposti rispetto a quello economico. Le
machairai sono, infatti, un richiamo esplicito alla pratica sacerdotale del
taglio delle carni; mentre l’oinochoe è strettamente connesso all’usanza aristocratica del banchetto. La scelta di tali oggetti doveva, dunque, essere determinata dal forte potere rappresentativo che questi avevano per il defunto e
per l’intera comunità: la presenza degli strumenti metallici, caratterizzava l’inumato nel suo status di aristocratico; proprio per questo motivo le altre
sepolture erano, per lo più, prive di oggetti metallici.
Nel V secolo solo il 18.18% delle sepolture è corredata da oggetti in
metallo. Il numero medio degli strumenti all’interno delle deposizioni urbane del V secolo è pari ad un valore di 0.45. È evidente che la quantità dei rinvenimenti è decisamente inferiore rispetto a quella del secolo precedente, tale
valore non si discosta, tuttavia, grandemente dai risultati ottenuti per l’età
arcaica se si escludono dal computo le sepolture aristocratiche. Anche nel V
secolo sembra poco diffusa la pratica di collocare accanto al defunto un
oggetto metallico. Non riteniamo, tuttavia, che tale fenomeno possa trovare
giustificazione solo nella riduzione e semplificazione generalizzata dei corredi che si verifica, nel corso del secolo, negli altri sepolcreti della penisola4. È
possibile infatti che la carenza di oggetti metallici vada appunto imputata
principalmente al valore simbolico e fortemente distintivo che essi rivestivano nel secolo precedente, senza escludere tuttavia motivazioni di tipo econo-
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Aree sepolcrali a Metaponto
mico. Venuta meno l’aristocrazia locale scompaiono anche i simboli del suo
status elitario. Spariscono completamente le lunghe spade per la divisione
delle carni ed i vasi in metallo, sostituiti da oggetti legati alla toeletta personale e dai gioielli.
Mutano, dunque, la tipologia dei rinvenimenti e l’ideologia sottesa, ma gli
oggetti metallici sono ancora legati ad alcune deposizioni di individui, almeno apparentemente, afferenti al ceto emergente. Non “comune” è sicuramente la tomba 8 di C.da San Salvatore, che conserva al proprio interno uno
specchio di bronzo, un pendente in oro con gorgoneion ed una fiaschetta ad
alto collo con protomi sileniche, insieme ad una lekythos attica figurata a tre
pissidi e ad un alabastron in alabastro. Anche la T 6 di contrada Ricotta, la
cosiddetta “tomba di atleta metapontino”, è caratterizzata da un corredo
piuttosto ricco, composto da tre lekythoi attiche figurate, da un alabastron
in alabastro e da due strigili bronzei. In entrambi i casi si tratta di sepolture
realizzate in pietra, l’una a cassa di lastroni di carparo, l’altra a sarcofago.
Solo nelle fasi successive assistiamo ad una progressiva diffusione di elementi realizzati in bronzo o ferro e soprattutto in argento ed oro. Nella prima
metà del IV secolo, nonostante il ridotto numero di sepolture, il 50% delle
deposizioni contiene al proprio interno oggetti metallici, tale valore diminuisce nel corso della seconda metà dello stesso secolo attestandosi intorno
al 32%. L’usanza di deporre accanto al corpo dell’inumato strumenti metallici sembra destinata ad aumentare ulteriormente nel III secolo; in tale periodo, infatti, il 44.4% delle tombe conserva almeno un oggetto metallico. La
maggior parte delle sepolture ne contiene un solo esemplare, come attestano
i valori medi per sepoltura ancora piuttosto scarsi: 0.42, per la seconda metà
del IV secolo-primo quarto del III secolo, e 0.55 per i restanti tre quarti del
III secolo a.C.
Esistono certo delle eccezioni: si pensi ad esempio alla tomba 4 di C.da
Ricotta dotata di due “netta-orecchi”, di un anello e di una stephane; tuttavia in generale, almeno per gli oggetti in bronzo ed in ferro, sembra più ricorrente l’uso di fornire al defunto un solo oggetto, sia esso uno strigile, uno
specchio o una pisside. I preziosi in oro o argento, sembrano invece far parte
più spesso di vere e proprie parures: difficilmente troviamo soltanto un anello o un pendente; generalmente tali oggetti sono associati fra loro5.
Il grafico che segue evidenzia l’evoluzione diacronica della deposizione di
oggetti metallici all’interno delle sepolture metapontine. La linea fucsia registra le variazioni percentuali del numero di sepolture con metalli, mentre
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quella blu rappresenta l’andamento oscillante del numero medio degli oggetti metallici racchiusi nelle sepolture. I valori dell’asse delle Y di sinistra sono
pertinenti alla percentuale di deposizioni corredate da metalli, quelli dell’asse di destra sono invece relativi ai valori medi degli oggetti stessi.
Fig.1: grafico relativo all’evoluzione diacronica dei metalli nelle sepolture
70
60
50
40
30
20
10
0
2,5
2
1,5
1
0,5
0
VI secolo
V secolo
I 1/2 IV
secolo
percentuale delle tombe con metalli
OGGETTI DESTINATI ALLA
II 1/2 IV- I III secolo
1/4 III secolo
n. medio dei metalli per sepoltura
TOELETTA PERSONALE
Fanno parte di questo gruppo tutti gli strumenti utilizzati per la pulizia e la
cura del corpo, sia maschile che femminile. Rientrano dunque in questa classe
di oggetti gli specchi, le pissidi, gli strumenti per il trucco e gli strigili.
Specchi
Nelle aree sepolcrali urbane sono stati rinvenuti 16 specchi in condizioni
più o meno frammentarie pertinenti ad altrettante sepolture. La percentuale
di deposizioni contenenti al proprio interno uno specchio è dunque pari al
7.8%, con un valore simile a quello riscontrato nel caso della necropoli di
Pantanello (7.5%)6.
Gli specchi rinvenuti nelle aree sepolcrali metropolitane, presentano fra
loro caratteristiche differenti e possono essere classificati in tre tipologie
distinte7.
Il Tipo 1, definito dagli americani “the pocket mirror”, è uno specchio circolare di piccole dimensioni, realizzato in lamina sottile e destinato probabilmente ad avere una cornice o una struttura di supporto in materiale depe-
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Aree sepolcrali a Metaponto
ribile8. Grazie alle ridotte misure questo specchio è particolarmente adatto ad
essere trasportato all’interno di vere e proprie trousse da viaggio, appartiene,
infatti, a questa tipologia lo specchietto T 53-4, conservato in una pisside
bronzea. Quattro sono gli esemplari provenienti dalle aree sepolcrali urbane
(T 49-9; T 53-4; T 12-1; T 1-1 S.Fara) che presentano tali caratteristiche.
Il Tipo 2, è rappresentato a Metaponto dallo specchio contenuto nella
sepoltura T 7 di C.da Ricotta. Si tratta di un esemplare circolare di dimensioni maggiori rispetto al precedente, privo di manico e decorato con una
serie concentrica di cerchi sul lato concavo. Nessun altro specchio presenta
decorazioni sul retro né applicazioni di rosette o animali lungo il contorno,
come invece avviene per alcuni esemplari contenuti nelle sepolture di
Pantanello.
Al Tipo 3, vanno, infine ascritti, gli specchi contenuti nelle sepolture
SS 6-3 e Tb 27-5. Tali oggetti si distinguono per la presenza di un elemento
di raccordo che facilita l’inserimento di un’impugnatura in materiale deperibile. Lo specchio SS 6-3 è contraddistinto da un codolo a foglia lanceolata,
mentre l’esemplare contenuto nella sepoltura Tb 27-5 è dotato di un anello
per la sospensione. Gli specchi rinvenuti a Metaponto sono piuttosto semplici, privi delle decorazione o degli ornamenti aggiunti che caratterizzano
quelli conservati nelle tombe di Pantanello e di Taranto.
Gli specchi restanti (Tb 14-4, Tb 15-5, Tb 27-5, Tb 28-1, T 5-1, T 101, T 19-1, T 32-1, T 46-1, T 49-1), non possono essere classificati in nessuna delle tipologie note, a causa della loro condizione frammentaria e della
mancanza di dati in proposito.
Tutti gli specchi sono realizzati in bronzo e non presentano, o quanto
meno non vengono annoverate in letteratura, tracce di una possibile stagnatura per rendere perfettamente piana e riflettente la superficie concava dello
specchio, come invece è stato dimostrato nel caso degli esemplari della necropoli di Pantanello9. È invece probabile che la tecnica di lavorazione degli
specchi sia la stessa applicata per la realizzazione degli esemplari rinvenuti
nella chora. Le superfici sottili e la forma arrotondata ci inducono infatti a
pensare che anche per gli specchi deposti nelle sepolture urbane si fosse adottata la lavorazione a cire perdue piuttosto che la forgiatura a caldo.
Le sepolture contenenti al loro interno specchi si datano per lo più all’età
ellenistica. Fanno eccezione in questo senso solo due esemplari: l’uno da una
sepoltura databile alla fine del VI secolo l’altra da una tomba di C.da San
Salvatore di metà V secolo. Mancano, dunque, totalmente nelle cosiddette
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sepolture aristocratiche, destinate, è bene ricordarlo, sia agli uomini che alle
donne della prima metà del VI secolo10. L’assenza degli specchi sembra dunque essere segno evidente di una scelta differente, sul cui valore semantico ci
si è già soffermati. L’usanza di deporre accanto al defunto uno specchio pare
dunque diffondersi a Metaponto solo a partire dalla seconda metà del IV
secolo, con un ritardo di circa un cinquantennio rispetto a quanto avviene
nella necropoli della chora.
L’assenza di specchi nelle deposizioni aristocratiche di VI secolo, non
autorizza, tuttavia, ad associare tali oggetti a sepolture, per così dire, “comuni”. Nel V secolo ed in età ellenistica sembrano infatti conservati solamente
all’interno di tombe realizzate in lastroni di carparo. Anche i corredi delle
sepolture con specchi, del resto, superano, per numero di vasi, i valori medi
dei rispettivi secoli11.
All’interno dei corredi non si registra una stretta relazione fra gli specchi
ed alcune tipologie vascolari o gli altri oggetti in metallo. È possibile, tuttavia, osservare che tutte le tombe con specchi contengono almeno un contenitore per unguenti, sia esso una lekythos o un unguentario. Bisogna, tuttavia, rammentare che tale gruppo di vasi è indubbiamente quello meglio rappresentato nei corredi di età ellenistica. Più interessante è invece annotare
l’associazione frequente dello specchio con altri oggetti pertinenti alla sfera
della kommotike o della kosmetike tecne12. Insieme agli specchi si trovano
spesso, come mostra chiaramente il grafico che segue (Fig. 2), le pissidi, le
fibule o gli ornamenti personali realizzati in materiale prezioso.
Anche i dati relativi alle sepolture di Pantanello sembrano confermare tali
associazioni13: il 57% delle tombe di VI-V secolo con specchi contiene infatti una o più fibule, mentre le pinzette si trovano all’interno di tre sepolture
su quattordici. In età ellenistica il 40% delle sepolture con specchi conserva
anche una pisside in metallo.
Per quanto privi di conferme derivanti dall’analisi dei resti osteologici, ci
sembra di poter affermare che le sepolture contenenti specchi vadano prevalentemente attribuite ad individui di sesso femminile, come attesta l’associazione di
questi manufatti con altri oggetti pertinenti al mundus muliebris. È bene, del
resto, ricordare che gli specchi non si trovano mai all’interno di sepolture che
conservino strigili o armi, strumenti caratteristici del mondo maschile.
Anche gli esemplari di Pantanello ricorrono per lo più all’interno di deposizioni femminili14 e la Prohászka ritiene che “The mirrors are to be considered as women’s property, usually associated with young females during the
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Aree sepolcrali a Metaponto
Fig. 2: Grafico relativo alle combinazioni fra gli specchi e gli altri oggetti del corredo
5th centuary B.C. while mature women were given a mirror around 300
B.C.”15
A differenza di quanto avviene nella necropoli di Pantanello, nessuno
degli inumati delle aree urbane impugna nella mano destra o sinistra lo
specchio, esso è invece posto, nei pochi casi a noi noti, al centro della
sepoltura, in corrispondenza del bacino o delle gambe del defunto. Non è
possibile determinare se tale collocazione corrispondesse a quella originaria
e se, conseguentemente, sia possibile attribuirvi un particolare significato
simbolico.
Pinzette, spatole per il trucco e pissidi
Oltre agli specchi le tombe di Metaponto ci hanno restituito un certo
numero di altri oggetti per la cura del corpo e per il trucco16. Il 3.5% delle
sepolture conservava fra gli elementi del corredo una pinzetta, una spatola
oppure una pisside plumbea.
Tre sepolture (T 11, T 23, T 27) contengono, in particolare, quelle che
Sestieri definisce “mollette o pinzette per lampada”17. Si tratta, più probabilmente, di vere e proprie pinzette per la depilazione dai peli superflui. Le
donne greche si avvalevano infatti di questi strumenti per tenere fermo il pelo
alla radice e successivamente lo recidevano per mezzo di rasoi o di appositi
coltelli18.
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Gli esemplari rinvenuti a Metaponto sono realizzati in bronzo e sembrano avere branche più spesse rispetto a quelle delle pinzette di Pantanello.
Per poter spalmare i trucchi sul viso si utilizzavano piccoli cucchiaini o più
frequentemente delle spatole, talvolta impropriamente definite come “nettaorecchi”19. Tali oggetti potevano poi, forse, essere impiegati anche per applicazioni farmacologiche ed utilizzati per stendere pomate o altri medicamenti; per questa ragione, in letteratura, vengono talvolta interpretati come veri
e propri strumenti chirurgici20.
I due esemplari della T 4 di C.da Ricotta sono estremamente raffinati e
realizzati in argento. Presentano impugnatura ad asticella e, in un caso, terminazione rettangolare piatta, nell’altro, terminazione ovoidale leggermente
concava. La spatola T 4-10 è decorata nella parte schiacciata da un motivo
inciso a zig-zag.
I rinvenimenti delle aree urbane si differenziano da quelli della necropoli
di Pantanello sia per la ricchezza del materiale utilizzato che per la accuratezza mostrata nella realizzazione. Gli esemplari di Metaponto trovano semmai un confronto più puntuale nei cucchiai da trucco rinvenuti nelle sepolture di Taranto, databili al III-II secolo21.
Per contenere gli oggetti del trucco, furono create vere e proprie trousse
realizzate talvolta in metallo. Le sepolture metapontine ci hanno restituito
due esemplari di pisside plumbea, di cui una (T 53-1) risulta sprovvista di
coperchio ed internamente divisa in tre scomparti da una crociera anch’essa
in piombo. L’altra (T 1-2 S. Fara) presenta corpo cilindrico rastremato verso
l’alto e coperchio piatto. L’uso di tale oggetto come contenitore di vasi per
cosmetici è provato dalla presenza all’interno della pisside T 53-1 di un
orcioletto, piccolo vaso per unguenti e profumi, di una lekythiskos a corpo
schiacciato e di uno specchio di ridotte dimensioni.
Solo l’esemplare dalla T 1 di S. Fara22 presenta una decorazione incisa
sulla faccia superiore del coperchio simile a quella di alcune pissidi rinvenute nelle sepolture di Taranto23: all’interno di una cornice concentrica a punti
in rilievo si riconosce un fiore a sei petali con bottone centrale in corrispondenza della presa.
Le pinzette, le spatole e le pissidi provengono da tombe che si datano in
età ellenistica; apparentemente non sembra trattarsi di sepolture particolarmente impegnative sotto l’aspetto architettonico: esse sono infatti realizzate
-tranne in un caso- in tegole corinzie. I corredi pertinenti a tali deposizioni
sembrano, tuttavia, suggerire un quadro di riferimento differente a quello
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Aree sepolcrali a Metaponto
ricostruibile sulla sola base delle tipologie tombali. Se escludiamo la sola T
27, che contiene al proprio interno soltanto una pinzetta e due monete di
bronzo, le altre sepolture conservano un numero consistente di vasi. La T 4
di C.da Ricotta, ha, poi, restituito, oltre agli elementi ceramici, anche una
stephane in bronzo dorato ed un anello digitale. Sembrerebbe, dunque possibile confermare che, anche nel caso delle sepolture urbane, esiste una relazione fra la deposizione in tomba di oggetti afferenti alla sfera del trucco e le
condizioni piuttosto agiate del defunto o meglio della defunta.
Tale situazione conferma dunque quanto sostiene il Lippolis: “Truccarsi
costituisce un elemento di distinzione, in Italia soprattutto fra III e II secolo, quando belletti e prodotti cosmetici vari costituiscono beni di lusso ed
espressione di potere d’acquisto e prestigio economico”24.
Non disponiamo di dati in merito al sesso dell’inumato, ma considerata
la specificità dei rinvenimenti appare assai verosimile che tali oggetti possano contraddistinguere sepolture femminili.
Strigili
Venti strigili in bronzo o in ferro sono venuti in luce durante gli scavi nelle
aree sepolcrali di Metaponto. Gli esemplari erano contenuti all’interno di
diciannove sepolture, corrispondenti circa al 10% delle deposizioni totali. Si
tratta di un valore simile a quello registrato nella necropoli di Pantanello; in
questo caso, infatti, la percentuale di sepolture contenenti strigili si attesta
intorno al 9%25.
Tali oggetti sono generalmente deposti singolarmente all’interno delle
tombe, ma conosciamo anche il caso di una deposizione contenente due
strigili26.
A causa delle pessime condizioni di conservazione di alcuni degli esemplari metapontini ci è impossibile proporre una classificazione tipologica. Ci
limiteremo, dunque, ad osservare, in merito alla materia prima impiegata,
che circa il 78% degli strigili è realizzata in ferro, mentre solo un quarto degli
esemplari è in bronzo. Nelle aree sepolcrali urbane non sono stati invece rinvenuti esemplari fusi o forgiati in bronzo e ferro27.
Gli strigili di bronzo sembrano essere più antichi dei corrispondenti in
ferro, gli unici due esemplari databili alla metà del V secolo sono infatti enei.
Ritrovamenti in bronzo sono tuttavia segnalati anche in contesti di età ellenistica a differenza di quanto avviene a Pantanello, ove la deposizione di strigili in questo metallo è pertinente solo a sepolture di età arcaica e classica.
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Dalla seconda metà del IV secolo gli strigili in ferro divengono, comunque,
più comuni, sia nelle aree sepolcrali urbane che in quelle della chora.
Proprio in età ellenistica si diffonde l’usanza di collocare accanto al defunto questo strumento: non si conoscono infatti attestazioni di strigili nelle
sepolture arcaiche, mentre risultano piuttosto rari nei corredi delle tombe di
V secolo. Di contro, il 10.3% delle deposizioni databili alla seconda metà del
IV-primo quarto del III secolo ed il 14.81% di quelle di pieno III secolo conservano al proprio interno almeno un esemplare.
I dati offerti dai corredi tombali sembrano suggerire un quadro differente rispetto al “clima di intensa attività sportiva” ipotizzato dal Lo Porto tra la
fine del VI secolo e la prima metà del V secolo28. Bisogna tuttavia ricordare
a tal proposito che disponiamo di un ridotto numero di sepolture di età
arcaica e classica, mentre ben più rappresentativo è il campionario delle
deposizioni ellenistiche. Le ripetute violazioni e la mancanza di scavi sistematici può, inoltre, aver irrimediabilmente mutato la reale composizione dei
corredi di VI e V secolo.
È possibile, tuttavia, che anche a Metaponto la presenza degli strigili nelle
tombe abbia subito un processo di diffusione simile a quello verificatosi nella
vicina necropoli di Taranto29. Originariamente l’usanza di collocare accanto al
defunto uno strigile doveva essere riservata a pochi individui, o forse, secondo
l’interpretazione del Lo Porto30, ad un vincitore o ad un atleta che aveva dato
lustro alla città; tale strumento era dunque un vero e proprio status simbol. Solo
con il trascorrere del tempo tale usanza si diffuse maggiormente dando adito
ad un “processo di democratizzazione agonistica”31. Lo strigile, dunque, venne
a costituire l’elemento di connotazione per eccellenza del polites, del cittadino
agiato, ma non afferente alla sfera aristocratica, frequentatore dei ginnasi e delle
palestre pubbliche. Questo strumento sembra, pertanto, conservare soprattutto il suo valore simbolico, perdendo al contrario la connotazione “sportivo-agonistica”, come parrebbero attestare gli altri oggetti del corredo. A differenza di
quanto avviene, ad esempio, a Poseidonia, ove lo strigile costituiva l’elemento
base dei corredi dei maschi adulti insieme all’imboccatura metallica di aryballoi in materiale deperibile32, le sepolture di Metaponto con strigili non hanno
fornito testimonianza di imboccature metalliche. Solo nel 57% dei casi inoltre
lo strigile è associato a contenitori per oli e profumi in ceramica o alabastro.
Tale dato risulta sorprendente se consideriamo che, come si è già ricordato precedentemente, il gruppo funzionale dei vasi per unguenti è quello meglio rappresentato nel periodo ellenistico.
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Aree sepolcrali a Metaponto
Non escluderemmo, per concludere, che tali osservazioni possano essere,
in qualche modo, correlate alla coeva tendenza, individuata nella necropoli
di Pantanello, di deporre strigili in ferro anche nelle tombe femminili33. Non
è forse casuale, allora, che proprio in età ellenistica lo strumento maschile per
eccellenza perda, almeno in parte, questa forte caratterizzazione sessuale a
vantaggio di un più generico valore simbolico.
Osserva, del resto, la Prohászka: “Primarily (…) the tombs containing
strigils are relatively modest”34; “In the beginnig of the 4th centuary B.C. (…)
this renaissance is noticed mainly in more costly burial ”35.
A Metaponto non sembra invece esistere una stretta relazione fra la ricchezza del corredo, la tipologia tombale e la presenza di strigili. Circa il 50%
delle sepolture contenenti tale strumento vanta corredi ceramici composti da
un numero di vasi superiore alla media, ma il restante 50% dispone di una serie
di oggetti quantitativamente e qualitativamente inferiore. Strigili si trovano poi
indistintamente in sepolture realizzate in lastroni di carparo o tegole corinzie e
in un caso in una tomba a fossa terragna (T 25 di C.da Ricotta zona b).
Per quanto i dati a nostra disposizione siano piuttosto esigui, sembra che
a Metaponto gli strigili fossero collocati nelle mani del defunto, prevalentemente dalla parte destra, senza distinzione fra gli esemplari bronzei e quelli
in ferro36.
OGGETTI PER L’ABBIGLIAMENTO
Le sepolture delle aree urbane ci hanno restituito un numero esiguo, ma
ugualmente interessante, di oggetti utilizzati nel confezionamento e nella
decorazione degli indumenti. Si tratta, in particolare, di una coppia di spilloni in argento e di una decina di fibule realizzate con materiali differenti.
La percentuale delle sepolture urbane contenenti tali oggetti (2.6%) è
decisamente inferiore rispetto a quella relativa ai rinvenimenti di Pantanello
(13.7%). Nelle aree funerarie prossime alla città, infatti, solo cinque tombe
hanno restituito spilloni o fibule di contro alle 44 sepolture di Pantanello37.
Anche gli scavi condotti dalla Soprintendenza Archeologica per la Basilicata
nell’area di Pizzica-Pantanello hanno portato alla luce un cospicuo numero
di fibule38.
I due spilloni della T 238 di C.da Crucinia sono realizzati in argento, a
differenza dei più modesti esemplari in bronzo o ferro delle tombe di
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Pantanello. Gli spilloni metapontini si datano alla metà del VI secolo ed
appartengono ad una sepoltura assolutamente “eccezionale”, realizzata in
lastroni di carparo e dotata di un ricco corredo composto da oggetti ornamentali in lamina d’argento dorata e da due alabastra.
La presenza degli spilloni argentei in questa sepoltura sembrerebbe confermare, anche nel caso di Metaponto, quanto sostenuto dal Lippolis.
L’autore ritiene infatti che “sin dall’età arcaica si registra la necessità di
esprimere potere economico e status sociale anche attraverso l’abbigliamento”39.
A partire dalla seconda metà del V secolo si afferma in Grecia e nelle
colonie dell’Italia meridionale la tendenza a sostituire all’uso degli spilloni
quello delle più sicure fibule40. Gli esemplari di Metaponto, come del
resto, quelli di Pantanello si datano alla seconda metà del IV-primo quarto
del III secolo.
A causa del ridotto numero di fibule rinvenute nelle aree di deposizione
urbana e della mancanza di precisi dati in merito non è possibile raggrupparle per tipologie. Sappiamo, comunque, che sei degli esemplari metapontini sono del tipo a navicella con arco piegato a gomito e lunga staffa desinente a bottone sferoidale, simili, dunque, al tipo 1 di Pantanello41.
È interessante, inoltre, osservare che, seppur quantitativamente ridotte, le
fibule di Metaponto sono realizzate con una molteplicità di materiali, sconosciuta, ad esempio, a Pantanello42. Sei esemplari sono prodotti in argento,
due in ferro ed una in bronzo.
Tre sepolture contengono al proprio interno una sola fibula; la T 7 di
C.da Ricotta è contraddistinta, invece, dalla presenza di ben sei esemplari. A
questo proposito è interessante ricordare che l’uso di adornare l’abito del
defunto con più di una fibbia disposte in corrispondenza del torace, come
nel nostro caso, è tradizionalmente considerato caratteristico del mondo
indigeno43.
Mentre infatti nelle città coloniali della Magna Grecia ed a Taranto, in
particolare, l’impiego delle fibule sembra estinguersi totalmente con la fine
del IV secolo e l’inizio del III secolo, in ambiente messapico e sannitico l’uso
delle fibbie non sembra venir meno44. La Prohászka ricorda a tal proposito:
“The fibula has been intended as a non personal ornament, and the use of
such ornaments within the colonies could be attributed to native customs
deriving from native women married in the colonies”45.
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Aree sepolcrali a Metaponto
GIOIELLI
A differenza di quanto avviene nelle sepolture dalla chora, a Metaponto
sembra abbastanza diffusa l’usanza di adornare il defunto di gioielli e preziosi. L’8.9% delle deposizioni urbane contiene al proprio interno un
monile in oro o in argento; si tratta di una percentuale considerevole
soprattutto se raffrontata al 4.06% della necropoli di Pantanello. Alcune
tombe (T 4,T 10,T 11,Tb 30,T 238, T 1 S. Fara; pari al 35.3% delle sepolture con gioielli) vantano inoltre la presenza di più preziosi a formare una
vera e propria parure composta da elementi differenti. L’anello digitale può
infatti essere associato alla corona (T 4), agli orecchini (Tb 30; T 1 S. Fara)
o alla collana (T 10; T 1 S. Fara); si conoscono, poi, casi in cui alla collana sono abbinati gli orecchini (T 11; T 1 S. Fara) e al polos un prezioso
rivestimento decorativo in argento (T 238)46. La rilevanza dei rinvenimenti metapontini riguarda in primo luogo l’aspetto quantitativo; le sepolture
urbane hanno infatti restituito otto anelli, due armille, tre collane, due
corone, due copricapi, quattro coppie di orecchini, due pendenti, ed infine una lamina d’argento dorato.
L’anello digitale risulta l’ornamento più frequentemente attestato; esso
costituisce parte del corredo di 7 sepolture pari al 41.17% delle tombe con
gioielli47.
Gli esemplari metapontini possono essere riuniti in tre gruppi a seconda
della tecnica di realizzazione e della diversità morfologia48. Al primo gruppo
appartengono gli anelli filiformi a sezione circolare49, al secondo quelli interamente in metallo con castone liscio o inciso50, al terzo, infine, quelli con
pietra inserita nel castone.
Gli anelli filiformi (T 7-9; T 23-5; T 10-2; T 17-1) sono indubbiamente
gli esemplari più semplici, privi di decorazione e a verga tondeggiante51. Si
datano tutti alla prima età ellenistica, in una fase anteriore a quella dei tipi
più complessi. Riteniamo inoltre di poter escludere un loro impiego come
fermanelli, non essendo stati rinvenuti altri anelli all’interno delle sepolture
pertinenti52.
Tra gli anelli in metallo con castone liscio o inciso dobbiamo rammentare gli esemplari delle tombe T 5 e Tb 30, differenti sia per la forma del castone, che per il materiale impiegato. L’anello T 5-16 ha, infatti, castone ovale
liscio53 ed è realizzato in oro, mentre l’esemplare Tb 30-6 ha castone elissoide ed è in argento.
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Deborah Rocchietti
Morfologicamente più impegnativi e di pregevole realizzazione sono, infine, gli unici due esemplari con pietra inserita nel castone (T 4-9; T 1 S. Fara).
L’anello della T 4 di C.da Ricotta è in oro con corniola incastonata ed
incisa, simile al Tipo XIX b di Taranto54. Il motivo decorativo con toro accovacciato e ape, non trova, tuttavia, confronti diretti negli esemplari della vicina colonia; più diffusa sembra essere la semplice raffigurazione del toro di
profilo55. L’anello rinvenuto nella sepoltura 1 di S. Fara è anch’esso in oro,
ma privo della gemma o pietra dura che originariamente doveva essere inserita nel castone, sostenuta da un innalzamento della lamina. Entrambi gli
esemplari metapontini si datano al III-II secolo a.C.
L’impiego di gemme o pietre dure semplicemente levigate o incise si
diffonde infatti a partire dalla prima metà del III secolo, a seguito delle conquiste di Alessandro Magno, che consentirono di ampliare il mercato degli
scambi raggiungendo regioni ricche di questa materia prima56.
Anche per gli orecchini è possibile formulare alcune osservazioni tipologiche: gli esemplari metapontini sono, per lo più, del tipo a navicella o sanguisuga57, realizzati in oro, in argento ed, in un caso, anche in bronzo. La
coppia di orecchini della tomba Tb 27, presenta una ricca decorazione a filigrana che si sviluppa simmetricamente ai lati della godronatura centrale e tre
pendenti a goccia fissati con esili catenelle al corpo centrale in corrispondenza di rosette a dieci petali. Un esemplare simile, seppur con decorazione più
sviluppata, è conservato al Museo Archeologico Nazionale di Taranto58.
Appartengono ad una tipologia differente gli orecchini contenuti nella
sepoltura 1 di S. Fara: sono, infatti a disco con pendenti. Il disco è decorato
a bassorilievo con rosetta centrale racchiusa entro tre circonferenze concentriche, due delle quali realizzate in filigrana. Il pendente è a forma di Erote,
nudo, cavalcante un delfino in corniola; si presenta in un esemplare con la
lira nella sinistra, nell’altro è invece intento a suonare il doppio flauto59.
Questi orecchini ampiamente diffusi nell’età ellenistica, sono rapportabili al
tipo II variante H della classificazione tarantina60, lo stesso tipo di pendente,
ma di esecuzione meno curata, è stato individuato anche nella sepoltura T 71
di Pantanello61.
Sicuramente eccezionali nel loro genere sono le corone ed i copricapi.
Alla metà del VI secolo possono essere datati i resti di una lamina d’argento dorata con complessa decorazione a fasce parallele -probabilmente pertinente ad un copricapo- rinvenuti nella T 218 di Crucinia. Il fregio superiore presenta una teoria di kouroi e cavalli, mentre i due registri inferiori
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Aree sepolcrali a Metaponto
mostrano rispettivamente, una banda con minute corolle ed un kymation
dorico con protomi di ariete; nel centro, si inserisce una fascia con appariscente decorazione floreale. Il motivo dei kouroi e la fascia a rosette mostrano, indubbie, somiglianze con i frammenti in argento dorato rinvenuti accidentalmente in C.da Ricotta62. È probabile che entrambe le lamine costituiscano il rivestimento prezioso di un polos in tessuto pesante o cuoio più che
la decorazione di una teca lignea, o di un sarcofago63. I frammenti di lamina
della tomba 218 di Crucinia si trovavano, infatti, in corrispondenza del capo
dell’inumanto al momento del rinvenimento.
Il valore cultuale e religioso del polos è ben noto: esso adorna, in genere,
il capo delle divinità nelle statue di età dedalica ed è, talvolta, indossato dalle
offerenti per rendere più gradito ai numi il proprio dono64.
Nel caso della T 218, pertinente ad una giovane donna, è stato supposto
che esso servisse a caratterizzare la defunta nella sua funzione sacerdotale oltre
ad essere segnale esplicito della sua appartenenza alla classe aristocratica65.
Segno dell’onore e del pubblico rispetto tributato a cittadini illustri66 i
diademi si diffondono, nell’area del golfo acheo, soprattutto, in età ellenistica67; ne abbiamo, infatti, testimonianza nei rinvenimenti sepolcrali di
Taranto68 e di Heraclea69. Le prime attestazioni di corone in ambito metapontino si datano tra la seconda metà del IV e il primo quarto del III secolo70. Si tratta, almeno in un caso, di un esemplare (T 4-8) in lamina d’oro a
foglie di quercia con rosacea centrale71. Gli elementi floreali sono realizzati a
stampo e sommariamente ritagliati con nervature e bordi rilevati. La lamina
aurea manca del supporto originario che doveva, evidentemente, essere realizzato in materiale deperibile.
Tra i rinvenimenti nelle aree sepolcrali metapontine bisogna inoltre ricordare: tre collane, di cui una in oro con catenella a doppia maglia “loop on loop”
e vaghi globulari in pasta vitrea inseriti ad intervalli regolari72, e due armille,
l’una bronzea e l’altra in ferro con terminazioni a testa di anatrella. Le sepolture urbane hanno infine restituito due pendenti; si tratta in un caso di un “pendaglietto in oro” con la raffigurazione a rilievo della Gorgone, e nell’altro di un
pendente in argento di forma lunata. Il primo esemplare citato, non trova corrispondenze in ambiente tarantino, il tipo del pendente figurato sembra, del
resto, piuttosto insolito in tutta l’area magnogreca. Solo la Tomba 126 di
Cuma contiene infatti al proprio interno sei esemplari simili73. Meglio attestato è invece il tipo a crescente rinvenuto in contesti tombali tarantini databili
alla fine del V secolo e ai primi decenni del IV secolo a.C.74.
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Deborah Rocchietti
Il valore apotropaico della raffigurazione della Gorgone è risaputo, ma è
interessante osservare che simili proprietà sono riferite anche al crescente o
lunula, di probabile origine siriana75.
Gli ori rinvenuti nelle sepolture metapontine si trovano generalmente collocati in corrispondenza delle mani o del capo; le rispettive posizioni sembrano dunque confermare l’ipotesi che i monili fossero indossati dall’inumato nel momento dell’esposizione del cadavere e della successiva sepoltura.
Non si conoscono, infatti, forme di tesaurizzazione all’interno di teche o di
pissidi. I gioielli svolgevano evidentemente una chiara funzione rappresentativa dello status sociale raggiunto dal defunto o dalla defunta e per questo
dovevano essere esibiti palesemente durante la cerimonia funebre.
Abbiamo utilizzato l’espressione “defunto o defunta”, perché non disponiamo, nel caso di Metaponto, di dati precisi in merito al sesso dell’inumato. Sappiamo, tuttavia, e che il copricapo e la lamina in argento dorato della
tomba T 238 facevano parte del corredo di una deposizione femminile76 e
che gli orecchini ed il pendente della sepoltura Tb30 sono stati attribuiti ad
una sepoltura infantile77.
Quasi tutte le sepolture contenenti gioielli sono del tipo a lastroni o a sarcofago, fanno eccezione due sole tombe realizzate in tegole laconiche. Anche
i corredi pertinenti sembrano essere piuttosto ricchi, non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente. Il 60% delle sepolture in questione racchiude infatti al proprio interno un numero di vasi superiore alla media ed il
30% delle medesime conserva più di un oggetto prezioso; frequenti risultano inoltre le associazioni con altri strumenti in metallo.
VASI E STRUMENTI PER CUCINARE
L’usanza di deporre vasi metallici all’interno delle sepolture non sembra
essere particolarmente diffusa a Metaponto78. Tale fenomeno pare anzi limitato ad un preciso arco cronologico ed una specifica committenza. La quasi totalità dei rinvenimenti proviene, infatti, dalle tombe aristocratiche di Crucinia e
si data alla metà circa del VI secolo a.C. Il corredo base di tali sepolture è composto dall’oinochoe bronzea, di tipo rodio, dalla phiale in bronzo o argento ed
infine dalle machairai in ferro, le lunghe spade per il taglio delle carni. Il riferimento alla pratica di pasti comunitari che prevedevano il consumo delle carni
arrostite e del vino è, dunque, esplicito. Si tratta chiaramente di un costume
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Aree sepolcrali a Metaponto
aristocratico, legato ad usanze che contraddistinguono l’élite cittadina. La presenza di tali vasi all’interno delle sepolture ha, dunque, chiaramente valore simbolico: essi contribuiscono a definire lo status del defunto e lo caratterizzano
come appartenente al gruppo emergente.
Corredi simili sono stati rinvenuti nelle sepolture aristocratiche delle
necropoli indigene della Basilicata meridionale. La Tomba A di Armento e la
Tomba 170 di Chiaramonte (Loc. Sotto La Croce), per citare solo le più
emblematiche, conservano al proprio interno l’oinochoe rodia, le machairai
e gli strumenti per controllare il fuoco, associati, in questi casi, alla panoplia
completa di tipo greco79. La presenza di tali oggetti, propri del mondo aristocratico greco, all’interno di sepolture indigene fornisce una prova tangibile di quell’intenso processo di scambi culturali fra le popolazioni originarie
del luogo ed i coloni greci.
L’unico vaso bronzeo80 (SS 6-8) databile al V secolo appartiene ancora ad
una sepoltura che si distingue dalle altre, non tanto per la tipologia tombale,
quanto per il ricco corredo. Si tratta, infatti, dell’unica sepoltura di età classica contenente uno specchio ed un prezioso.
In età ellenistica la situazione muta radicalmente, l’abitudine di deporre
all’interno delle sepolture contenitori in metallo sembra estinguersi quasi
completamente. Cambiano, inoltre, le tipologie vascolari presenti: l’oinochoe e la phiale scompaiono, a vantaggio di patere e più generici contenitori e vasi in piombo.
I pochi rinvenimenti di età ellenistica provengono da tombe realizzate con
tegole corinzie e dotate di corredi numericamente ridotti. Si perde, evidentemente, il valore simbolico che tale pratica aveva in età arcaica; l’usanza di
deporre vasi metallici nelle tombe finisce, dunque, per diventare un fenomeno poco diffuso, ma privo di particolari valenze semantiche.
ARMI
La presenza di armi all’interno delle sepolture è un fatto eccezionale, sia
nella Grecia propria81 che in ambito coloniale82; esso è, inoltre, legato spesso alle popolazioni indigene che assimilarono precocemente modelli culturali greci.
Ad Agrigento i rinvenimenti di armi nelle sepolture greche sembrano
costituire un fenomeno raro, ma non così insolito. Le sepolture della necro-
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Deborah Rocchietti
poli di C.da Pezzino hanno restituito infatti numerose punte di frecce, conservate in sepolture a cassa83.
Il loculo 2 della tomba T 1-2 della necropoli in C.da Mosè, sempre ad
Agrigento, conteneva un’armatura anatomica appartenente ad un corredo
arcaico di fine VI secolo a.C.84 A queste attestazioni dobbiamo inoltre aggiungere il rinvenimento di uno schiniere con motivo a spirale e testa di serpente,
simile a quello della tomba metapontina con l’elmo di Saint Louis85. Per quanto i rinvenimenti nelle aree sepolcrali di Agrigento siano più cospicui rispetto
a quelli di altre necropoli, la presenza di armi all’interno delle tombe greche
sembra, anche in questo caso, un fenomeno del tutto eccezionale.
L’introduzione dell’armamento greco con elmo corinzio, schinieri e spada,
nelle sepolture indigene si diffonde, invece, sia pure come fenomeno elitario,
a partire dagli inizi del VI secolo pressoché in tutta l’area enotria ed indigena della Basilicata86. Testimonianze in proposito ci sono fornite non solo
dalle deposizioni isolate di alcuni guerrieri87, ma anche dalle raffigurazioni di
opliti o di combattenti a cavallo su lastre diffuse in ambito indigeno88.
Nel caso di Metaponto, la presenza di strumenti di offesa o di difesa costituisce indubbiamente un fenomeno raro, ma certamente non trascurabile. I
rinvenimenti delle deposizioni urbane sono estremamente eterogenei: la
tomba individuata nel 1942 in C. da Crucinia conteneva al proprio interno
una panoplia completa, come attestano i rinvenimenti di frammenti in lamina di bronzo o d’argento dorato pertinenti ad uno scudo rotondo, lo schiniere in bronzo ed l’elmo “calcidese” che originariamente doveva essere collocato in essa ed è ora conservato al City Art Museum di Saint Louis nel
Missuri89.
La tomba T 38, databile anch’essa al VI secolo, conservava una lama di
spada, mentre le restanti quattro sepolture con armi erano corredate in tre
casi da più generiche lame ed in un caso da punte di freccia. La differenza
esistente fra le sepolture sopracitate è evidente. Una sola tomba è infatti dotata della completa panoplia greca, mentre altre tre deposizioni conservano soltanto “lame” che potevano essere utilizzate anche per altri scopi non specificamente legati al mondo della guerra.
La presenza di punte di freccia è, invece, più comune, come abbiamo
visto nel caso della necropoli di Pezzino; un esemplare simile a quello rinvenuto nella tomba metapontina, proviene da una sepoltura di Pantanello
databile alla prima metà del IV secolo90. La Prohászka ritiene che l’inumato della sepoltura T 315 sia stato ucciso dalla punta di lancia individuata,
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Aree sepolcrali a Metaponto
all’interno della sepoltura, in corrispondenza della cassa toracica91. Non si
può pertanto escludere che tali armi si trovino talvolta all’interno delle
sepolture non come parte del corredo, ma in quanto cause dirette della
morte dell’individuo.
Spicca inevitabilmente in questo quadro di rinvenimenti piuttosto scarsi
la sepoltura di C.da Crucinia che merita una più attenta disamina. La tomba
individuata nel 1942 si differenzia, in primo luogo, dalle altre per la tipologia: essa è infatti realizzata in lastroni di carparo ed è dotata di dimensioni
eccezionali (2.60x1.15x1.35); le restanti sepolture invece non si riferiscono
ad un tipo fisso, una è a semplice fossa terragna, un’altra è realizzata in lastroni di carparo, l’ultima infine è a sarcofago. Diversificati sono, inoltre, i corredi: la tomba di Crucinia, già violata al momento del rinvenimento, conteneva ancora i resti di una ricca panoplia con decorazioni in argento dorato,
le altre sepolture non sembrano invece spiccare per la ricchezza e la molteplicità degli elementi contenuti.
Questi elementi contribuiscono a provare l’assoluta unicità della sepoltura in questione. Le armi collocate accanto all’inumato si distinguono per
l’eccezionalità del materiale impiegato e per la ricercatezza della decorazione. L’ε’πι′σηµα metallico dello scudo, con ariete accovacciato, era, infatti, in
sottile lamina d’argento dorato e nello stesso materiale erano realizzate le due
palmette e la lunga banda con boccioli e fiori di loto che dovevano costituire il probabile supporto all’immagine dell’animale. L’elmo calcidese presenta
paragnatidi figurate a testa di ariete sul quale doveva innestarsi un lophos in
pelo di cavallo o materiale deperibile92. Lo schiniere in bronzo, decorato con
la raffigurazione di un oplita a cavallo e di un groviglio di serpenti, sembra
far parte di una panoplia adatta ad essere sfoggiata durante le parate militari, piuttosto che indossata nei combattimenti93.
L’ασπις argolico con struttura lignea, rivestimento in pelle e ε’πι′ σηµα
eseguito con metalli diversi e preziosi, sembra richiamare esplicitamente le
descrizioni degli scudi degli eroi omerici94.
Si tratta, dunque di una sorta di panoplia oplitica “aggiornata”95, in cui gli
aspetti esibitori e “di apparato” sono così spiccati e manifesti da far pensare, in
modo quasi inevitabile, alla sepoltura di un uomo che abbia rivestito un’importante funzione nella sfera politico-militare cittadina. Appare difficile, al
momento attuale, spingersi oltre nella ricostruzione; come afferma Bottini,
“potrebbe trattarsi di un magistrato, forse di un personaggio dai connotati
tirannici (Lombardo), ma non è neppure da escludere la possibilità di ricono-
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Deborah Rocchietti
scervi invece un capo militare di etnia anellenica, assoldato dalla città achea e
qui sepolto secondo le consuetudini esibitorie proprie della sua gente”96.
Significativo in questo senso può essere il confronto con altre due sepolture sempre individuate nell’area di Crucinia e databili alla fine del VI secolo o al principio del V secolo a.C. La tomba 17 -un sarcofago litico ricavato
da un unico blocco di calcare- conteneva al proprio interno una spada, tre
cuspidi di lancia, un’ascia, parecchi scalpelli frammentari e quattro strigili in
bronzo insieme ad altri elementi metallici, fra cui uno sperone ed un morso,
oltre ad un lekythos attica a figure rosse attribuita al pittore di Aischines97.
La tomba 16, adiacente alla precedente e simile ad essa per tipologia, dimensioni ed orientamento, era corredata da punte di lancia, da uno strigile e da
un maggior numero di piccoli contenitori in ceramica. Le due sepolture si
differenziano, dunque dalle altre ad esse coeve e spazialmente vicine, per l’associazione al loro interno delle armi, degli strumenti propri della cavalleria praticamente inesistente a Metaponto- e dell’attività artigianale. L’uso di collocare accanto al defunto i propri strumenti da lavoro è piuttosto diffuso
nelle aree indigene, lo si riscontra nelle sepolture nn. 31 e 105 della necropoli di Valle Sorigliano o nella cd. tomba dell’operaio a Temparella. “Si può
presumere -usando le parole di De Siena- che si tratti di soggetti liberi,
appartenenti ad un gruppo anellenico, integrati fisicamente nella comunità
cittadina, cui è consentito di essere collocati in un lotto non secondario della
necropoli e di poter esibire i propri segni di status sociale e di funzione”98. Ci
pare inoltre che in queste due sepolture gli inumati siano preoccupati di
ostentare i segni della loro partecipazione alla paideia greca attraverso gli strigili e le lekythoi, ma che non dimentichino totalmente la loro appartenenza
ad un ethnos differente conservandone le tradizioni culturali. Il caso della
sepoltura di C.da Crucinia sembra essere molto differente, in quel caso, nessun altro elemento, oltre alla ricca panoplia, può indurci ad ipotizzare che si
tratti di un mercenario al soldo dei cittadini metapontini; difficilmente si
spiegherebbe, del resto, come ad uno straniero potessero essere conferiti, in
pieno VI secolo, tanto potere e tanti onori.
L’individuazione di elementi della panoplia greca nelle deposizioni indigene dei personaggi più eminenti può allora forse intendersi come la riplasmazione di un modello di comportamento dell’aristocrazia militare achea di
età arcaica, che a noi risulta per lo più sconosciuto99.
Ci pare dunque particolarmente convincente l’ipotesi che tale sepoltura
debba essere riferita ad un cittadino eminente, forse appartenente allo stesso
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Aree sepolcrali a Metaponto
gruppo aristocratico della giovane sacerdotessa della T 238; anche sulla decorazione del polos ritorna, infatti, il motivo dell’ariete accovacciato interpretato come simbolo di appartenenza ad un determinato gruppo famigliare aristocratico100.
DEFIXIONIS TABELLA
Si indicano con questo termine le α
‘ ′ραι o maledizioni di carattere privato. Scritte in genere su tabelle o lamine di piombo, le defixiones101 avevano
lo scopo essenziale di paralizzare la persona cui si voleva nuocere in ogni
manifestazione della sua esistenza, condannandola di fatto ad una morte prematura. L’idea che creature viventi potessero essere trascinate nell’Ade prima
della morte naturale era da tempo noto ai greci, e già nei poemi omerici se
ne trovano indizi102. Per far sì che le maledizioni si avverassero, era, dunque,
necessario fare in modo che queste giungessero nell’oltretomba.
Fondamentale era pertanto la scelta del luogo in cui collocare le laminette:
talvolta si prediligevano i santuari dedicati alle divinità ctonie, in altri casi si
preferiva interrarle in pozzi o buche del terreno, spesso poi venivano disposte all’interno delle sepolture. Erano prediletti in particolare i sepolcri di persone colpite da morte violenta o prematura, alle quali si attribuivano anime
inquiete e perciò inclini a tormentare quanti ancora erano in vita.
Defixiones sono state rinvenute nelle sepolture del ceramico di Atene103 ed
in alcune tombe arcaiche di Selinunte104.
L’esemplare metapontino è invece più tardo; contenuto all’interno della
tomba T 5 di C.da Ricotta, esso si data alla fine del IV inizi del III secolo
a.C.105. Si tratta di una laminetta in piombo106 iscritta e ripiegata -secondo la
consuetudine- sei volte su se stessa. Nella lamella, lunga 6.7 cm e larga circa 5
cm, ricorrono i nomi di alcuni personaggi noti nell’onomastica tarantina di IV
e III secolo a.C.107 Si tratta di diciassette medici operanti, come si deduce facilmente dal testo della tabella, in una sorta di clinica (ε’ ργαστερι′ον) contro cui
si scaglia l’odio implacabile del defigente. Alcuni dei medici nominati nella
defixio possono probabilmente essere identificati con i contemporanei “filosofi pitagorici”, consacrati come tali nel Catalogo di Giamblico. A Metaponto,
come, del resto, a Velia e a Cos, doveva dunque esistere nella metà circa del III
secolo una sorta di associazione di medici o medici-filosofi, esercitanti la loro
attività in una clinica o laboratorio comune.
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Deborah Rocchietti
Note
1 Cfr. infra, pp. 185-206.
2
Prohászka 1995; Eadem 1998, pp. 787-834.
3
Conferenza tenuta dal Dott. De Siena presso l’Università degli Studi di Torino nell’a.a.
1992-1993; De Siena 1998 (b); Idem 1999, pp. 232-242.
4
Cfr. in merito, per il caso della necropoli di Taranto: Lippolis 1994 (a); per quello della
necropoli di santa Venera a Poseidonia: Cipriani 1989, Eadem 1994. Per una più approfondita trattazione del problema cfr. inoltre infra, pp. 185-187.
5 Cfr. infra, p. 159.
6 Cfr. in merito Prohászka 1995, pp. 24-54; Eadem 1998, pp. 788-796
7
Ci atterremo nella determinazione della tipologia degli specchi al modello sperimenta-
to dalla Prohászka per i rinvenimenti di Pantanello. I tre tipi individuati a Metaponto corrispondono dunque rispettivamente al tipo 1, 2, 3 di Pantanello.
8 Cfr. in merito Lippolis 1986, pp. 349-362.
9
Cfr. Prohászka 1995, pp. 38-43.
10 Comunicazione personale del dott. Manassero che si è occupato dello studio dei resti
osteologici delle tombe aristocratiche di Crucinia.
11 Cfr. supra, La ceramica nelle deposizioni metapontine: tipologie, analisi quantitativa e
relazioni fra gruppi funzionali, pp. 81-121.
12 Il primo termine indica propriamente le operazioni di toeletta e di trucco, mentre il
secondo si riferisce, più genericamente, alle fasi di vestizione e di sistemazione dell’acconciatura e dei gioielli (Lippolis 1986(a), p. 349).
13 Cfr. in merito Prohászka 1995, pp. 50-51.
14 Delle tombe databili ad età arcaica o classica una soltanto può essere attribuita ad un
uomo mentre 13 sepolture sono pertinenti ad individui di sesso femminile. La proporzione fra
le tombe maschili e quelle femminili con specchi resta pressoché invariata anche nel IV
secolo: 1 sepoltura sicuramente maschile contro le 9 muliebri (Prohászka 1995, pp. 47-48).
15 Ibidem, p. 54. Conferme in tal senso sono del resto fornite anche dalle altre necropoli
della Magna Grecia. Gli unici esemplari di specchi rinvenuti nelle sepolture del V secolo a
Santa Venera si trovano all’interno di una tomba destinata ad una giovane diciassettenne
(Cfr. Cipriani 1989, p. 89); appartengono, poi, a sepolture femminili gli specchi individuati a
Taranto (Lippolis 1986(a)).
16 Si tratta in totale di 7 oggetti per la toeletta femminile: 3 pinzette, 2 spatole e 2 pissidi.
17 Sestieri 1940, pp. 74-75, 79
18 Cfr. Prohászka 1995, p. 86
19 Cfr. in merito Lippolis 1986(a), p. 350. Lo Porto utilizza appunto l’espressione “netta-orecchi” riferendosi ai rinvenimenti della tomba T 4 di C.da Ricotta (Lo Porto 1966, pp. 190-191).
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Aree sepolcrali a Metaponto
20 Cfr. G.Synder, Instrumentum medici, Ingelheim am Rhein 1973, p. 54
21 Cfr. in particolar modo il cucchiaio da trucco conservato al Museo Archeologico di
Taranto (Inv. 22420), proveniente dalla tomba degli ori di Canosa, e altri esemplari di fabbricazione tarantina (Lippolis 1986, pp. 356-357).
22 Si rammenta che la C.da S. Fara si sviluppa in corrispondenza dell’incrocio fra la SS 175
e la 106 Ionica.
23 Intendiamo riferirci in particolare all’esemplare N.23956, con superficie ornata da cerchi
concentrici incisi e da due fasce ornate ad onde ricorrenti l’una e con un motivo ad ovoli
l’altra ma soprattutto alla pisside N. 119340 con coperchio decorato da un fiore a sei petali e bordo con motivo a zig-zag (Ibidem, pp. 354-355).
24 Lippolis 1986, p. 349.
25 Cfr. Prohászka 1995, p. 55; Eadem 1998, p. 797.
26 Si tratta della sepoltura T6 rinvenuta nel 1911 in C.da Ricotta (Lo Porto 1966, pp. 192-193)
27 Tre sono invece gli strigili con manico in ferro e lama in bronzo rinvenuti nelle sepolture
di Pantanello (Cfr. Prohászka 1995, pp. 63-64; Eadem 1998, p. 800).
28 L’autore si base in primo luogo sul rinvenimento di frammenti pertinenti ad un’anfora
panatenaica nel santuario di Apollo Licio, interpretata quale “donario proveniente da una
competizione panellenica, vinta verosimilmente da un atleta metapontino”. In secondo
luogo adduce quale prova dell’organizzazione di gare atletiche nella città di Metaponto la
coniazione di stateri con la figura di Acheloo, destinati al vincitore degli agoni. Non si può
infine dimenticare che Bacchilide nell’epinicio XI celebra appunto un atleta originario della
colonia achea, Alexidamos figlio di Phaiskos, vincitore a Delfi nelle gare di lotta per fanciulli (Lo Porto 1982, pp. 341-345).
29 Lippolis 1997, p. 12.
30 Lo Porto 1982, p. 345.
31 Maruggi 1997(b), p. 84.
32 Cfr. Cipriani 1989, p. 79.
33 Cfr. Prohászka 1995, pp. 78-79; Eadem 1998, p. 801.
34 Eadem 1995, p. 81.
35 Ibidem, p. 82.
36 A Pantanello, è invece stato notato che mentre gli strigili in bronzo si trovano prevalentemente nella parte inferiore della sepoltura o eventualmente all’altezza delle mani, gli
esemplari in ferro sono disposti preferibilmente nella parte superiore della tomba in corrispondenza delle spalle e degli arti (Ibidem, pp. 74-75).
37 Cfr. Ibidem, pp. 99-100, 103; Eadem 1998, pp. 808-811 .
38 Cfr. Scarano 1992, figg. 1-2.
39 Lippolis 1986(b), p. 329.
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Deborah Rocchietti
40 Erodoto racconta che a seguito di un episodio increscioso fu proibito alle donne ateniesi di indossare spilloni e fu loro imposto di vestire il chitone e l’himation, secondo la moda
ionica. Gli spilloni erano infatti stati utilizzati delle vedove dei combattenti ateniesi, morti
nella campagna contro Egina, per uccidere l’unico superstite scampato al massacro.
(Erodoto 5, 87-90). Per una trattazione dettagliata sulla diffusione delle fibule dalla metà del
V secolo a.C. cfr. Prohászka 1995, pp. 99-100.
41 Cfr. Ibidem, pp. 105-106; Eadem 1998, pp. 811, 813
42 La necropoli della chora ha infatti restituito soltanto esemplari di fibule in ferro o in bronzo (Eadem 1995, pp. 111-112).
43 Cfr. Lippolis 1986(b), pp. 335-337; Pontrandolfo 1988, p. 172; Prohászka 1995, pp. 124-125,
189-194.
44 Per quanto riguarda il mondo messapico cfr. Lippolis 1986(b), p. 335 con bibliografia precedente; per il mondo sannitico cfr. Prohaszka 1995, pp. 123-124.
45 Ibidem, p. 191.
46 A Taranto alcune delle tombe a fossa contenenti gioielli hanno restituito intere parure o
comunque associazioni composte da più oggetti preziosi. Le associazioni più ricorrenti sembrano essere: anello digitale e corona funeraria (5.2%), anello e collana (2.2%), anello ed
orecchini (3.5%) (Cfr. in merito Masiello 1994, p. 302).
47 Analogo dato è stato ricavato per le sepolture di Taranto, l’anello digitale si trova infatti
nel 58% delle sepolture con gioielli e nel 43% dei casi è deposto come unico ornamento personale del defunto (Ibidem, p. 305).
48 Ci atteniamo in questa suddivisione al modello proposto da Alessio per gli anelli di
Taranto, escludendo tuttavia dalla nostra tipologia il gruppo degli anelli con scarabeo o
scaraboide poiché assenti a Metaponto (cfr. Alessio 1986, pp. 251-308).
49 Corrispondenti al tipo 1 di Pantanello (Prohászka 1995, pp. 127-128; Eadem 1998, pp. 815816).
50 Cfr. Tipo 2 di Pantanello (Eadem 1995, p. 128; Eadem 1998, pp. 815-816)
51 È probabile che fossero realizzati in argento o in metalli meno pregiati quali bronzo o
ferro, ma in letteratura non ci sono forniti precisi dati in merito. Sappiamo, infatti, soltanto che
l’anello T 7-9 è in argento (Lo Porto 1966, p. 195).
52 Tale ipotesi interpretativa sembra invece trovare riscontro in alcuni corredi tombali
tarantini (cfr. Alessio 1986, p. 266.)
53 Simile, dunque, al Tipo VII A di Taranto (Ibidem, p. 257).
54 Cfr. Ibidem, pp. 264-265.
55 Un esemplare, proveniente da una tomba nell’agro di Pisticci, ha castone di corniola
incisa con toro che carica (Guzzo 1993, p. 314.); l’anello (Inv. 4665), conservato al Museo
Archeologico Nazionale di Taranto, presenta invece scaraboide con incisione raffigurante
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Aree sepolcrali a Metaponto
un torello di profilo gradiente verso destra (Alessio 1986, p. 279).
56 Cfr. in merito Ibidem, p. 262.
57 Cfr. Tipo I di Taranto (Schojer – D’Amicis 1986, p. 131-132).
58 Si Tratta dell’anello No. 110.090 (Ibidem, pp. 154-157).
59 Giardino 1992, p. 53.
60 Si tratta del tipo a disco con pendente configurato ad Erote (Schojer-D’Amicis 1986, pp.
175-178).
61 Prohászka 1995, p. 264; Eadem 1998, p. 816.
62 Lo Porto 1988-89, pp. 311-318; La Cerra-Tempesta 1992.
63 Tali sono le proposte suggerite da Guzzo in merito alle dieci figurine di C.da Ricotta (Cfr.
Guzzo 1972, pp. 249-251). Per la prima interpretazione cfr. inoltre La Cerra-Tempesta 1992.
64 Cfr. Masiello 1986, p. 72. Un confronto diretto si trova in una piccola metopa di Selinunte
scoperta nel 1968 reimpiegata nel lato sud della fortificazione meridionale dell’acropoli con
la raffigurazione di tre divinità. Quella centrale, riconosciuta come Hecate, porta un alto
copricapo cilindrico simile a quello che doveva trovarsi nella tomba T 238 (De Siena
1998(b)).
65 Indubbiamente suggestiva è poi la proposta avanzata da De Siena che suggerisce di
individuare una relazione fra la T 238 e la sepoltura che originariamente doveva contenere
l’elmo di Saint Louis. Sia l’episema dello scudo che la decorazione della fascia terminale del
polos ripropongono, infatti, il motivo dell’ariete, interpretabile forse come simbolo o emblema famigliare. La contiguità topografica e la vicinanza cronologica delle due sepolture
contribuirebbero, dunque, a provare l’appartenenza dei due inumati ad uno stesso gruppo
famigliare (De Siena 1998(b), p. 315).
66 Una legge delle XII tavole, ad esempio ci fornisce la prova che, anche in ambiente italico, il deporre una corona nella sepoltura era consuetudine riservata agli individui eminenti (Cicerone, De Legibus, XXIV, 60).
67 Cfr. Masiello 1986, p. 73.
68 Cfr. in merito Ibidem, pp. 71-108.
69 Cfr. Pianu 1990, pp. 39-40 (T 23), 96-99 (T 3 via Umbria, T 11,T 38), 104-105 (T 3 via Belluno),
115 (T 13), 119 (T 66).
70 A differenza di quanto si verifica in ambito metapontino a Taranto sono state rinvenute
corone in tombe che si datano tra la fine del VI e il V secolo a.C.
71 Tipo VIII I nella classificazione fornita dalla Masiello (Masiello 1986, pp. 82-83).
72 Confronti diretti sono possibili con il Tipo V delle collane di Taranto (Gli Ori 1986, pp. 200203; 221-224).
73 Guzzo 1993, p. 112.
74 Dell’Aglio 1986, p. 228.
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Deborah Rocchietti
75 Ibidem.
76 De Siena 1998(b), p. 314.
77 Lo Porto, sulla base degli oggetti del corredo, attribuisce la deposizione ad una bambina. L’età dell’inumato è determinata osservando le ridotte misure del sepolcro, lungo solo
0.91 m e largo 0.42 m (Lo Porto 1981, p. 375).
78 Scarsissime sono del resto anche le attestazioni forniteci dai corredi delle sepolture di
Pantanello. Le deposizioni della chora hanno restituito infatti soltanto due frammenti pertinenti ad una coppa apoda in bronzo ed un frammento di vaso in ferro (Prohászka 1995, pp.
170-171). Solo la T 193 si distingue dalla altre perché al proprio interno conserva i frammentari di quattro contenitori metallici utilizzati probabilmente per la preparazione di unguenti
e cosmetici (Ibidem, pp. 154-156).
79 Cfr. Armi, pp. 61-69 (Tomba A di Armento), pp. 71-78 (Tomba 170 di Chiaromonte)
80 Si tratta di una fiaschetta fusiforme con alto collo adorno, al di sotto dell’orlo, di due protomi sileniche applicate, sormontate da anelli per la sospensione del vaso. Il fiasco era provvisto di un tappo cilindrico formato da due dischetti in bronzo uniti da una fascia anch’essa bronzea, desinente in alto in un anello da presa (Lo Porto 1966, p. 230).
81 Una sepoltura in pithos databile al VII secolo e rinvenuta al confine fra l’Arcadia e
l’Acaia, ha, ad esempio, restituito un elmo “illirico” del tipo più antico e un paio di schinieri
di forma piuttosto tozza, forse prodotti locali, oltre ad una spada e a tre lance (Snodgrass
1991, p. 107).
82 Mazzei 1996, pp. 119-120
83 De Miro 1989, p. 24
84 Idem 1988, p. 244
85 Ibidem, p. 256; Gianluca Tagliamonte, ha proposto in occasione del II Congresso
Internazionale su “La Sicilia dei due Dionisî”, di considerare tale sepoltura pertinente ad un
mercenario precocemente assoldato nell’esercito agrigentino. Interpretazione analoga è
stata inoltre avanzata dallo stesso anche nel caso della sepoltura metapontina rinvenuta
nel 1942 in C.da Crucinia e contenente l’elmo di Saint Louis. L’ipotesi formulata da
Tagliamonte ha suscitato, la reazione immediata della Pontrandolfo, che in sede di dibattito ha posto l’accento sull’eccezionalità della sepoltura metapontina, ma ha ribadito l’appartenenza del defunto all’etnos greco, e, in particolare, all’élite cittadina che nel luogo
seppelliva i propri cari.
86 Cfr. Tagliente 1993, pp. 49-53.
87 Bottini 1996, pp. 541-548.
88 Ci riferiamo alle lastre del fregio di Serra di Vaglio e a quelle rinvenute a Metaponto nei
pressi del santuario di loc. San Biagio alla Venella. Raffigurazione di guerrieri armati si trovano anche sull’anfora “nolana” da Pisticci (Metaponto, Museo Archeologico Nazionale, inv.
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Aree sepolcrali a Metaponto
20113), e sulla brocchetta indigena da Pomarico Vecchio conservata in una collezione privata. (Cfr. in merito, Bottini 1993, pp. 55-60; Tagliente 1993, pp. 79-81).
89 Per una approfondita analisi del materiale rinvenuto nella sepoltura cfr. Lo Porto 1977-1979.
90 Prohaszka 1995, pp. 158-159.
91 Ibidem.
92 Un elmo calcidese simile a quello conservato al museo di Saint Louis è conservato al
Museo Archeologico di Napoli (Barra Bagnasco-Elia 1996, p. 83, scheda 8.62).
93 Non si può tuttavia escludere che anche tali oggetti di particolare valore fossero impiegati durante i conflitti, almeno secondo l’interpretazione proposta da Claude Rolley: “ Ces
jambères decorées ne sont pas uniquement des armes de parade, puisqu’un certain nombre de dedicaces rappellent qu’elles ont étè prises à l’ennemi (C. Rolley, Les Bronzes,
Fribourg 1983, p. 143).
94 Cfr. in merito A. Snodgrass, Early greek armour and weapons, Edinburgh 1964, pp. 169-179.
95 Bottini 1993, p. 92.
96 Ibidem, p. 93.
97 Una puntuale e ricca presentazione dei materiali contenuti nelle tombe si trova in De
Siena 1993, pp. 123-33.
98 Ibidem, p. 132.
99 La Pontrandolfo ritiene che le armi, gli oggetti in bronzo, i vasi potori ed i contenitori per
il vino, individuati nelle sepolture aristocratiche di Chiaromonte ed Alianello, riflettano la
composizione dei corredi delle sepolture dell’élite greche e siano frutto della rielaborazione di modelli dell’aristocrazia militare sibarita, a cui era propria la logica di habrosunetruphé (Pontrandolfo 1995(a), pp. 178-180).
100 Cfr. De Siena 1998(b), p. 315; Giardino-De Siena 1999, p. 355
101 Il termine defixio deriva dal latino defigere: inchiodare, nel senso si inchiodare l’odiato
nemico al proprio destino. Per questo motivo molte volte le laminette iscritte venivano trapassate da un chiodo (Guarducci 1978, p. 245).
102 Ibidem, p. 242.
103 In una sepoltura del Ceramico di Atene, databile al V secolo a.C., è stata rinvenuta, in
corrispondenza del bacino dell’inumato, una scatoletta di piombo, simile nella forma ad un
sarcofago, contenente una figurina maschile anch’essa di piombo con le braccia legate
dietro alla schiena ed un nome di persona (Mnesimachos) inciso in lettere minutissime sulla
gamba destra. Nella faccia interna del coperchio della scatola era inciso il testo di una
defixio contro quel Mnesimachos rappresentato dalla statuetta (Ibidem).
104 Tre sepolture della necropoli di Buffa hanno restituito defixiones databili alla seconda
metà del VI secolo a.C.
105 Per la trascrizione ed analisi del testo cfr. Lo Porto 1980, pp. 282-288.
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Deborah Rocchietti
106 La scelta del piombo non è certo casuale: grigio, pesante e gelido, questo metallo si
adatta perfettamente al contenuto funesto dell’epigrafe (Cfr. Costabile 1998, p. 11).
107 Lo Porto 1980, pp. 286-288.
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