Cacciatori di Stelle - Rotary Club Arezzo Est
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Cacciatori di Stelle - Rotary Club Arezzo Est
Marco Alessandrini * Cacciatori di Stelle L'esperienza operativa di un Pilota da Caccia dell'Aeronautica Militare con l’F-104 ‘Starfighter’ Mai come questa sera mi sento in obbligo di ringraziare voi, amici del R.C. Arezzo Est, ed in particolare l’amico Francesco, per avermi voluto qui come relatore. Il piacere è doppio in primo luogo perché, da rotariano, ritengo che sia un privilegio poter mettere a disposizione di altri Club il proprio bagaglio e la propria esperienza professionale. In secondo luogo perchè è sempre un piacere, per un pilota, parlare di aerei e della propria professione che, sicuramente, è un po’ particolare e forse non molto nota ai più, se non per i suoi aspetti più spettacolari e coreografici. Ciò che sicuramente mi preme, questa sera, è riuscire a trasmettervi un po’ dell’entusiasmo e delle emozioni che ho vissuto nel corso della mia attività di volo militare e che non mi ha abbandonato anche adesso che volo come pilota civile per la “nuova” Alitalia. Una prima idea sul mio iter professionale ve la sarete fatta ascoltando il curriculum vitae che l’amico Francesco vi ha letto precedentemente. È necessario però, da parte mia, entrare un po’ nel dettaglio relativamente ai passi che si affrontano lungo tale carriera poichè essa, almeno in Italia, non segue in modo canonico un iter di studi ben definito. In realtà non esistono scuole statali (a parte l’Istituto Tecnico Aeronautico di Forlì che però, nel tempo, ha perso di valenza istruzionale pratica per gli aspiranti piloti, a causa delle croniche ristrettezze di bilancio del Ministero dell’Istruzione), o scuole tecnico-professionali a livello universitario, che diano ai giovani la necessaria preparazione per arrivare a conseguire le licenze di pilotaggio, necessarie per svolgere un’attività professionale come pilota. Tutto comincia, da bambini, con il naso all’insù, incuriositi dalle scie che gli aerei lasciavano ad alta quota, o seguendo il rombo dei caccia, cercando di coglierne le evoluzioni che la nostra immaginazione ci faceva vivere come se fossimo stati noi ai comandi di tali affascinanti macchine. La passione continua a crescere grazie alla lettura approfondita del primo “libro di testo”, il “Corriere dei Piccoli” con le avventure di Buck Danny, capitano pilota della US Navy, e grazie ai telefilm, trasmessi dalla “TV dei ragazzi”, dei “Cavalieri del Cielo”, che raccontavano le peripezie dei tenenti Tanguy e Laverdure, piloti francesi, a bordo dei loro magnifici Mirage III. Non potevano mancare i modellini in plastica, scala 1:72 della AIRFIX, che riempivano le mensole della libreria della mia camera da letto. Quella che, in condizioni standard, sarebbe stata una “normale” passione per gli aerei da parte di un ragazzino di 10 anni, si consolidò, invece, in qualcosa di più duraturo quando mio padre decise di portarmi all’Aeroclub di Pescara per regalarmi un volo turistico di 10 minuti sulla città. Da quel momento non avrei avuto più alcun dubbio su quale sarebbe stato il mio futuro: sarei diventato un pilota! A 17 anni conseguivo il brevetto di pilota civile di 1° grado, a 18 anni il 2° grado e, finalmente, dopo la maturità, il concorso per diventare Allievo Ufficiale Pilota dell’Aeronautica Militare. Circa 8000 candidati per 120 posti a disposizione, con una durissima selezione che prevedeva tre giorni di visite mediche, esami di matematica, italiano ed inglese, e numerose prove psico-attitudinali spalmate in quindici giorni di “simulazione” della vita da cadetto, presso l’Accademia di Pozzuoli (ricordate il film “Ufficiale e gentiluomo” con Richard Gere?...). Risultato idoneo e vincitore, trascorrevo quattro anni di corso, durante i quali venivano studiate le materie del biennio di ingegneria assieme a numerose altre materie tecnico-professionali e militari, il tutto “farcito” da dosi massicce di adunate, marce e quantaltro potesse servire a forgiare i futuri ufficiali piloti della nostra Aeronautica Militare. Al termine del corso, “sopravvivevano” solo sessanta degli iniziali centoventi allievi e, con il grado di Sottotenente, in virtù delle mie buone performance accademiche e della buona conoscenza della lingua inglese, venivo inviato negli Stati Uniti per seguire il corso di pilotaggio militare statunitense. Al termine di tale corso, della durata di due anni, rientravo in Italia con il brevetto di Pilota Militare americano, convertito poi con quello italiano. Una volta in Italia, finalmente il primo incontro con l’F-104 Starfighter, il mitico “Cacciatore di Stelle”, il velivolo di punta dell’Aeronautica Militare Italiana, un purosangue da 2400 km/h di velocità massima, spinto da un motore di 90.000 cavalli di potenza! A Grosseto seguivo il corso di abilitazione iniziale al pilotaggio del “104”, per poi essere assegnato al 23° Gruppo ‘Caccia Intercettori Ognitempo’, presso il 5° Stormo di Rimini Miramare. A questo punto, per far meglio comprendere come operino i piloti di un Gruppo Caccia Intercettori, è necessario spiegare prima come sono organizzati e quali siano i compiti di tali Gruppi. L’aspetto più interessante è sicuramente legato al fatto che questi Reparti, sin dal tempo di pace, sono organiF104 del 5° stormo (stemma della Diana alata in coda) in fase di atterraggio alla base di Rimini Miramare. Foto del luglio 1971 camente inseriti nella catena di Comando e Controllo della NATO. Ciò stà a significare che l’Aeronautica Militare italiana e, quindi, in ultima analisi, la controparte ”politica”, ovvero il Ministero della Difesa, non hanno alcuna autorità sull’impiego dei piloti e dei velivoli da caccia italiani, i quali ricevono i loro ordini e le direttive operative, direttamente da un Comandante della NATO. Tali reparti hanno la missione di difendere lo spazio aereo di propria competenza, coadiuvati dai siti radar della Difesa Aerea i quali, nel caso in cui venissero avvistati velivoli non identificati o dalle presunte intenzioni ostili, inviano, attraverso tale catena di Comando e Controllo NATO, l’ordine di decollo immediato (ordine di “Scramble”) per intercettare, identificare ed, eventualmente, accompagnare tali velivoli all’atterraggio o scortarli fuori dallo spazio aereo o, in caso di conflitto, procedere al loro abbattimento. Per svolgere tale missione durante il tempo di pace, i Gruppi Intercettori mantengono, 24 ore su 24, un certo numero di piloti e velivoli in condizioni di pre-allarme, ovvero pronti al decollo entro cinque minuti dalla ricezione dell’ordine di “Scramble”. Tutta l’attività addestrativa di volo che viene compiuta presso il reparto è, quindi, finalizzata a raggiungere la capacità di svolgere tale missione, in qualsiasi momento, di giorno o di notte, ed in qualsiasi condizione meteorologica. Occorre circa un anno di addestramento per arrivare alla qualifica di pilota “Combat Ready”, ovvero pronto al combattimento, e tale qualifica si raggiunge volando missioni di addestramento al combattimento aereo, acrobazia (da soli o in formazione con altri velivoli), navigazioni ad alta e bassa quota, missioni di scorta aerea, missioni di aerocooperazione per la Marina e per l’Esercito, e missioni finalizzate all’impiego dell’armamento di bordo presso i poligoni di tiro aereo. Il cruscotto dell’F104 La qualifica “Combat Ready” è il primo gradino della carriera nell’ambito di un Gruppo Intercettori. Dopo un paio di anni di volo, si viene nominati “Capo Coppia”, ovvero responsabili di missioni che vedono impegnati non più di due velivoli assieme. Segue, un anno dopo, la qualifica di “Capo Formazione”, che consente di condurre in missione un numero illimitato di velivoli. Per gli Ufficiali di Stato Maggiore provenienti dall’Accademia, come nel mio caso, assieme a tali qualifiche “operative” si conseguono anche incarichi di comando veri e propri, come Comandante di Squadriglia (ogni Gruppo si compone, nell’organigramma, di tre Squadriglie), Capo Ufficio Addestramento e Capo Ufficio Operazioni. Qui si conclude la prima parte della mia relazione che, se vogliamo, è stata una elencazione un pò asettica dei gradini della carriera che mi hanno portato, dai primi passi aeronautici mossi in un piccolo aeroclub di provincia, all’F-104, velivolo di punta della nostra Aeronautica. Ma è indubbio che dietro un curriculum, a guardar bene, si nascondono emozioni forti ed incancellabili. Ed è a queste che ora attingerò per farvi capire come sia molto particolare questo mestiere e come sia molto particolare il legame che lega tutti quelli che, come me, hanno scelto di intraprendere la professione del pilota militare. Un legame forte che comincia a prendere forma già dai primi passi in Accademia, dove si susseguono, giorno dopo giorno, le cerimonie dell’Alzabandiera accompagnate dalle note dell’Inno di Mameli, in anni (gli “anni di piombo”...) in cui al solo parlare di Patria e Bandiera si veniva tacciati di essere reazionari e fascisti! La cerimonia, poi, di Giuramento di fedeltà alla Patria: tutti schierati sull’attenti, davanti alle Massime Autorità ed ai nostri familiari, orgogliosi di vederci così fieri nella nostra bella divisa azzurra, e con l’urlo “LO GIURO” a suggellare, per sempre, il nostro vincolo con la Patria. E la soddisfazione di poter dimostrare a noi stessi ed agli Americani, la valenza della scuola aeronautica italiana e la nostra capacità a far bene anche in terra straniera e tornare in Italia con le “Silver Wings” (l’Aquila da pilota militare americano) appuntate sul petto. E in Italia l’emozione più grande: il primo volo sull’F-104 Starfighter! A partire dal “rito” della vestizione: circa mezz’ora per indossare la tuta (vedi foto a lato), i calzari da volo, i pantaloni “anti-g”, il giubbino di sopravvivenza in mare “Secumar”, le “giarrettiere” per vincolarci al seggiolino eiettabile, i guanti ignifughi ed il casco. Bardati come toreri, l’ingresso nell’arena: si sale la scaletta che ci porta dentro lo stretto abitacolo dello “spillone”( l’affettuoso nomignolo che diamo al “104”). L’esperto Sottufficiale che mi accompagna e segue con attenzione le mie mosse, mi aiuta ad imbragarmi al seggiolino eiettabile “Martin Baker”. Al termine di questa lunga e complessa procedura (con il passare degli anni basteranno solo un paio di minuti per essere legati a bordo...), sono tutt’uno con il mio aereo! Con un cenno della mano faccio segno che sono pronto a mettere in moto: il Sottufficiale motorista manda aria dal compressore Atlas Copco alla turbina del mio General Electric J79 e dietro di me comincio a sentire le vibrazioni del motore che comincia a prendere vita. Tutto è pronto per il decollo. Con il tettuccio chiuso ed il casco ben stretto, ed i rumori esterni che mi arrivano ovattati, non riesco ancora ad apprezzare quanto sia potente il motore che è solo due metri dietro la mia schiena. Ma basta poco per capirlo: spostando tutta avanti la manetta del motore, inserisco il “post-bruciatore”, ovvero la massima potenza di spinta, ricevo un “calcio” dietro la schiena e vengo schiacciato sul seggiolino: i 90.000 cavalli del mio J-79 mi fanno accelerare a 330 km/h e dolcemente ruoto indietro la cloche per staccarmi dalla pista... A questo primo ed indimenticabile volo ne sarebbero seguiti tanti altri, più di duemila, lungo dieci anni di attività di Reparto. Con l’esperienza che, con il passare del tempo, maturavo “sul campo”, facevo consolidare il senso di rispetto dei gregari che conducevo in missione e, vivendo fianco a fianco con loro, con loro condividevo momenti di euforia operativa, come durante i numerosi decolli su “Scramble” che ci vedevano proiettati, in 5 minuti, dal divano o dal letto della Palazzina d’Allarme, a 15.000 metri di quota all’inseguimento di una traccia sullo schermo del radar o a volare in formazione stretta, nel cuore della notte, in mezzo al Mediterraneo, a protezione del Fianco Sud della NATO contro le “intemperanze” di Gheddafi. Questo senso di “appartenenza” e di cameratismo non veniva a mancare nemmeno nei momenti più tristi della mia carriera di Pilota Militare, ovvero quando si era costretti ad accompagnare, per un ultimo saluto, i numerosi colleghi deceduti in seguito ad incidenti di volo... Il rischio ed il timore di incidenti. Fattori intrinsecamente ed imprescindibilmente legati all’attività di volo militare, sempre presenti nell’aria, vissuti da noi piloti con consapevolezza e timore reverenziale e vissuti con rassegnazione dai nostri cari... Ed è questo tutto il complesso di emozioni, forti, uniche ed indimenticabili, che hanno costellato la mia carriera rendendo irripetibile la mia esperienza di vita e che, questa sera, io spero di essere riuscito a trasmettervi. Relazione tenuta il 26 gennaio 2012 * Socio del R.C. Rimini Riviera 1° Comandante pilota C.A.I. (ex Alitalia)