La tutela penale dei marchi e dei segni distintivi
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La tutela penale dei marchi e dei segni distintivi
1 La tutela penale dei marchi e dei segni distintivi: analisi dei recenti orientamenti della giurisprudenza. di Lucio Camaldo (Avvocato in Milano, Studio legale Bana - Dottorando di ricerca in Diritto processuale penale comparato presso l’Università di Milano) SOMMARIO: 1. Individuazione delle norme che puniscono la contraffazione.- 2. Questioni applicative tratte da recenti sentenze della giurisprudenza penale. - 3. Il “falso grossolano” nella contraffazione dei marchi. La sentenza della Cassazione 23 febbraio 2000 n. 2119: un orientamento criticabile. - 4. Rilievi critici : l’irrilevanza delle caratteristiche del prodotto e del prezzo nel giudizio sul marchio contraffatto.- 5. I limiti alla operatività del falso grossolano nella contraffazione dei marchi.- 6. Il diverso orientamento seguito recentemente dalla Suprema Corte e dalla giurisprudenza di merito in tema di “falso grossolano”. - 7. Vendita di prodotti con marchi contraffatti e ricettazione: il concorso di reati alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite del 7 giugno 2001. 1. Individuazione delle norme che puniscono la contraffazione. La contraffazione del marchio o degli altri segni distintivi (cioè di quei segni che vengono apposti sui prodotti industriali o sulle opere dell'ingegno e che hanno la funzione di distinguere un determinato prodotto da altri prodotti dello stesso genere, indicandone la provenienza aziendale, l’origine geografica o la qualità) è sanzionata da norme che sono collocate nel codice penale nel titolo dei delitti contro la fede pubblica ossia gli artt. 473 e 474 c.p., e nel titolo dei delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, cioè gli artt. 514 e 517 c.p. La contraffazione dei brevetti, dei disegni o modelli industriali (ed ornamentali) è, invece, sanzionata da una norma che si trova nel codice penale (secondo comma dell’art.473 c.p.) e da una norma che si trova in una legge speciale, l’art. 88 del R. D. 29.6.1939, n. 1127. Si tratta di un sistema di tutela penale completo, con alcuni problemi di coordinamento, che attribuisce una rilevanza a quasi tutti i comportamenti che possono incidere sulla funzione distintiva del marchio se accompagnati dal dolo (come di frequente avviene), cioè dalla consapevolezza della contraffazione. L’incompletezza del sistema è più sul versante dell’incisività delle sanzioni, non sempre adeguate o correttamente applicate. In particolare l’art. 473 c.p. punisce la condotta di chi contraffà o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell’ingegno o dei prodotti industriali, oppure fa uso di tali marchi contraffatti o alterati. Si ritiene che la tutela assicurata da questa norma riguardi soltanto i marchi registrati ed operi entro i confini di efficacia del brevetto. L’art. 474 c.p. invece punisce il soggetto che introduca nel territorio italiano per farne commercio, oppure detenga per vendere, ovvero ponga in vendita o metta altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali con marchi o segni distintivi contraffatti 2 o alterati, senza essere concorso nel reato di contraffazione. Si ritiene necessario per integrare tale reato il dolo specifico ossia il fine ulteriore dell’immissione in commercio o in vendita. Scarsamente applicato risulta l’art. 514 c.p. che punisce chi, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione prodotti con marchi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all’industria nazionale. Di maggiore applicazione è invece l’art. 517 c.p. che sanziona penalmente il comportamento di chi ponga in vendita o metta in circolazione prodotti con nomi, marchi o segni distintivi atti ad indurre in inganno il compratore sull’origine, sulla provenienza o qualità dell’opera o del prodotto. Vi sono poi altre condotte penalmente rilevanti che si accompagnano al fenomeno della contraffazione e sono evidentemente le più svariate, tali da non consentire un’elencazione e trattazione esauriente: si pensi all’associazione per delinquere (art. 416 c.p.), ai reati in materia di immigrazione clandestina, alla riduzione in schiavitù, ai reati fiscali, ai reati doganali. Tuttavia le due fattispecie più frequenti che possono assumere rilevanza nell’ambito del fenomeno della contraffazione sono la ricettazione (art.648 c.p.) e la frode nell'esercizio del commercio (art.515 c.p.) 2. Questioni applicative tratte da recenti sentenze della giurisprudenza penale. Una volta esaminato il quadro normativo che garantisce una tutela penale al marchio e ai segni distintivi a fronte delle condotte che ne possono minare la funzione riconosciuta sul piano civilistico, assume rilevante importanza ed interesse esaminare alcune questioni che sono sorte in giurisprudenza nella applicazione delle norme precedentemente richiamate. In particolare si segnalano gli interventi, numerosi e spesso contrastanti della Cassazione, sull’interpretazione di alcune fattispecie penali, dai quali derivano conseguenze pratiche di notevole rilievo. Le questioni che si intendono esaminare, alla luce delle recenti decisioni della Suprema Corte sono: - la rilevanza del “falso grossolano” nella contraffazione di marchi il rapporto tra la detenzione per la vendita di oggetti con marchi contraffatti e la ricettazione L’analisi delle problematiche indicate tiene conto dell’interpretazione normativa elaborata dai giudici di merito e di legittimità, con pronunce spesso contrastanti e orientamenti che hanno subito nel tempo una notevole evoluzione. 3. Il “falso grossolano” nella contraffazione dei marchi. La sentenza della Cassazione 23 febbraio 2000 n. 2119: un orientamento criticabile. La Cassazione con la sentenza n. 2119 del 23 febbraio 2000, pubblicata nella Rivista di diritto industriale, 2000, n. 4, parte II, p. 275 ss., ha applicato, per la prima volta con riferimento alla contraffazione di marchi, l’interpretazione che esclude la rilevanza penale del falso grossolano, assolvendo l’imputato dal reato di cui all’art. 474 c.p. La Cassazione ha accolto il ricorso dell’imputato con due argomentazioni sulle quali è necessario soffermarsi, in quanto destano alcune perplessità. Con la prima argomentazione la Corte ha ritenuto che un marchio contraffatto è idoneo a trarre in inganno l’acquirente quando la provenienza prestigiosa del prodotto costituisce 3 l’unico elemento per determinare nell’acquirente di media esperienza la volontà di acquistare il prodotto. Tale idoneità all’inganno viene meno, a parere della Corte, quando altri elementi, quali la evidente scarsità qualitativa del prodotto o il suo prezzo eccessivamente basso rispetto al prezzo di mercato, rivelino all’acquirente che il prodotto non può provenire dalla ditta di cui reca il marchio; in questo caso viene meno la configurabilità del reato contestato in quanto la contraffazione del marchio cessa di rappresentare, per la presenza di tali elementi, un fattore sviante della libera determinazione del compratore. La seconda, più stringata, argomentazione della Cassazione si riferisce alla grossolanità della contraffazione ritenuta immediatamente percepibile per la diversità del colore dei marchi, i loro contorni, la loro collocazione sul prodotto, le cuciture, la grafica stessa, il materiale usato (cartone anziché pelle). A differenza del giudice di merito che aveva concluso per la non rilevabilità di tale grossolanità da parte di una persona non particolarmente esperta, la Cassazione ha invece ritenuto la inidoneità dei marchi a trarre in inganno una persona di media esperienza e diligenza. Infine, la Corte conclude con una affermazione di principio che esorbita completamente dal caso sottoposto al suo esame e che non risulta suffragata da alcun riscontro specifico: sul piano dell’attuale costume sociale l’offerta da parte di venditori ambulanti di prodotti “griffati” sarebbe ormai accolta dalla clientela con diffuso scetticismo circa l’autenticità dei marchi, con una accettazione implicita della provenienza aliena dei prodotti stessi, dato il loro prezzo e l’approssimazione dei segni distintivi. Sulla base di queste considerazioni la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza di appello perché il fatto contestato non sussiste nella sua materialità. 4. Rilievi critici : l’irrilevanza delle caratteristiche del prodotto e del prezzo nel giudizio sul marchio contraffatto Le argomentazioni addotte dalla Cassazione sono criticabili sotto diversi profili. 1 È necessario ricordare che, come più volte affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, l’oggetto materiale della contraffazione punita dagli artt.473 e 474 c.p. è il marchio in quanto tale e pertanto nel giudizio sulla condotta di contraffazione non può esservi spazio per considerare elementi diversi dai marchi. La prima argomentazione contenuta nella sentenza della Cassazione sopra citata appare dunque criticabile e inadeguata a giustificare la decisione assolutoria in quanto la Cassazione ha escluso la configurabilità del reato di cui all’art. 474 c.p. per una valutazione di inidoneità all’inganno non riferita, come avrebbe dovuto essere trattandosi di un reato di falso, ai connotati del marchio contraffatto rispetto a quello originale, ma ad elementi esterni ed estranei al marchio quali la scarsità qualitativa del prodotto e il prezzo di vendita basso. Poiché la norma penale sanziona la condotta di contraffazione del marchio e non fa riferimento all’oggetto (borsa o capo di abbigliamento) che reca impresso un determinato marchio, la Cassazione fa una evidente confusione tra oggetto che reca impresso il marchio e il marchio stesso. La Corte, in particolare, non considera che è al marchio che occorre fare riferimento nel giudicare della sua contraffazione e non alla qualità del prodotto che lo reca impresso o al prezzo al quale viene venduto. 2 Il rilievo che viene dato al basso prezzo di vendita è fuorviante. Il prezzo non sempre è rivelatore della vendita di un prodotto contraffatto: anche i prodotti con marchio 1 Si veda L. CAMALDO, Una recente pronuncia della Cassazione sul <<falso grossolano>> nella contraffazione di marchi: un orientamento criticabile, in Rivista di diritto industriale, 2000, parte I, p. 209. 2 Cfr. R. BECCHIS, Commento alla sentenza della Cass. 23-2-2000, in Il diritto industriale, n. 2, 2000, p. 115. 4 assolutamente originale, infatti, possono essere venduti a prezzo vile quando siano stati rubati e messi in commercio clandestinamente. Non convince nemmeno il riferimento contenuto nella motivazione della sentenza alla evidente scarsità qualitativa del prodotto, che è affermazione atecnica di assoluta genericità. 3 Il reato infatti concerne il falso marchio e non già il falso prodotto. L’analisi deve dunque incentrarsi sul marchio e la grossolanità deve emergere solo ed esclusivamente dall’esame del marchio stesso. Nel giudizio sulla condotta che abbia portato alla realizzazione di un marchio contraffatto o alla vendita di un prodotto con impresso il marchio contraffatto, non rilevano elementi di fatto, quali l’entità del prezzo dell’immissione in vendita, che non incidono affatto sull’idoneità lesiva della contraffazione dei marchi. Su questo punto la sentenza della Cassazione in esame non trova nessun precedente nello stesso senso e si pone in palese contrasto con le precedenti pronunce della medesima sezione della Suprema Corte. 5. I limiti alla operatività del falso grossolano nella contraffazione dei marchi. Il c.d. “falso grossolano”, elaborato dalla giurisprudenza quale reato impossibile per inidoneità dell’azione e quindi non punibile a norma dell’art. 49 c.p., riguarda i casi in cui un segno distintivo, pur avendo una configurazione diversa da quella originale, risulta tuttavia inidoneo a creare una falsa rappresentazione della realtà, perché così immediatamente riconoscibile come falso da non poter far cadere in errore alcuna persona. La giurisprudenza è unanime nell’affermare che la grossolanità del falso ne esclude la punibilità solo se rende assolutamente impossibile e non soltanto improbabile l’inganno richiedendo che la falsità sia rilevabile ictu oculi da chiunque anche da un osservatore disattento e non solo da una cerchia di esperti. 4 La Cassazione ha inoltre precisato che l’imitazione può anche non essere perfetta: il marchio è contraffatto se rende l’idea complessiva di quello originale, anche in presenza di diversità nella forma e nelle dimensioni 5 . In primo luogo è dunque necessario che gli elementi che denotano la grossolanità della contraffazione siano di tale consistenza da rendere impossibile (e non solo improbabile) il verificarsi dell’evento offensivo. Il marchio contraffatto si deve allontanare in maniera decisiva dai colori e dalle forme che contraddistinguono il segno originale. 6 Gli elementi indicati dalla Cassazione nella sentenza del 23 febbraio 2000 non paiono di per sé sufficienti per un giudizio di innocuità del falso poiché manca una valutazione comparativa tra marchio originale e contraffatto, certamente più agevole per il giudice di merito, cui la Suprema Corte avrebbe dovuto demandare una nuova valutazione di fatto. Inoltre si deve considerare che la contraffazione del marchio produce una lesione della pubblica fede non limitata ai rapporti tra venditore ed acquirente. Quando infatti un articolo contraddistinto da un marchio contraffatto viene acquistato con finalità ostensive e mostrato 3 Cfr. V. FASCE, Brevi cenni in ordine alla innocuità del falso nell’ipotesi di cui all’art. 474 c.p., in Riv. Pen., 2000, n. 6, p. 587. 4 Vedi Cass., sez.V, 27 marzo 1985, Bonanno, in Cass. pen., 1986, p. 1075; Cass., sez. V, 9 marzo 1999, Moggia; Cass. sez. V 26 novembre 1984, Leonardi; Cass., sez. V, 20 novembre 1985, Arenga, in Cass. pen., 1987, p. 548; Cass., sez. I, 2 giugno 1992, Gasparro, in Cass. pen., 1993, p. 2834; Cass., sez. V, 3 luglio 1989, in Riv. Pen. 1990, 733. 5 Cfr. Cass., sez II, 27 maggio 1994. 6 R. BECCHIS, Commento, cit., p.113. 5 in pubblico dall’acquirente, si determina nei terzi, che vedono il prodotto contraffatto, una confusione tra prodotto originale e quello imitato con una conseguente messa in pericolo o lesione della fede pubblica vista nella sua dimensione di bene giuridico dell’intera collettività. 7 In questo caso non valgono ad impedire la lesione del bene della fede pubblica protetto dalle disposizioni in esame, né il fatto che l’acquirente non sia stato ingannato dal falso contrassegno, né le caratteristiche del prodotto o il prezzo di acquisto, che sono elementi inerenti soltanto al rapporto tra acquirente e venditore e non sono conosciuti dai terzi. Il reato di contraffazione di marchi, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, è, inoltre, un reato plurioffensivo perché lede sia la fede pubblica sia i diritti patrimoniali del titolare del marchio contraffatto. 8 Per potere ritenere la sussistenza del falso grossolano occorre dunque, non solo che non venga lesa la fede pubblica, ma anche che non siano posti in pericolo gli interessi economici del titolare del segno a non vedere immessi nel mercato prodotti, merci, ovvero opere dell’ingegno con il proprio contrassegno falsificato, in modo da sfruttarne la forza di penetrazione presso il pubblico e la valenza patrimoniale, anche se la falsificazione è grossolana. 9 Dal punto di vista civilistico non è più tutelata solo la funzione distintiva del marchio, ma anche quella suggestiva o pubblicitaria rispetto alla quale anche condotte, che non siano suscettibili di ingannare quanto alla provenienza, possono comunque risultare pregiudizievoli perché sviliscono il marchio originale. Pertanto l’ipotesi del falso grossolano nella contraffazione di marchi deve essere sempre interpretata restrittivamente e, anche in ragione della natura plurioffensiva del reato, andrà applicata con estrema cautela, solo nei casi nei quali la differenza tra marchio originale e quello contraffatto sia veramente macroscopica. 6. Il diverso orientamento seguito recentemente dalla Suprema Corte e dalla giurisprudenza di merito in tema di “falso grossolano”. Il ragionamento espresso per la prima volta dalla Cassazione con la sentenza in esame è stato subito disatteso da alcune importanti e successive pronunce della stessa Suprema Corte e della giurisprudenza di merito. 10 La Cassazione sez.V con la sentenza del 11 aprile-19 giugno 2000 n. 7201, pubblicata in Rivista di diritto industriale, 2001, parte II, p. 110 ha assunto un orientamento diametralmente opposto rispetto a quello precedente, attribuendo rilevanza alla contraffazione del marchio indipendentemente dalle caratteristiche del prodotto su cui questo è impresso. La Corte Suprema ha infatti respinto il ricorso degli imputati che denunciavano la violazione dell’art. 474 c.p. sostenendo che non vi poteva essere stata, nel caso di specie, lesione della pubblica fede perché l’oggetto materiale, su cui era impresso il falso marchio Panasonic, era costituito da meri simulacri di legno riproducenti due telecamere e un videoregistratore. La Cassazione ha precisato che l’art. 474 c.p. punisce la riproduzione del segno distintivo o del marchio realizzata in modo tale da potersi confondere con il marchio o con il segno distintivo protetto, 7 P.L. RONCAGLIA, Nozione di confondibilità e tutela della funzione suggestiva del marchio, relazione tenuta al Convegno “Problemi attuali in tema di marchi”, Milano, 18 febbraio 2000, atti in corso di pubblicazione. 8 Cfr. A. ROSSI VANNINI, La tutela penale dei segni distintivi, in Trattato di diritto penale dell’impresa, diretto da A. Amato, Padova, 1993, p. 136 e 139; AZZALI La tutela penale del marchio di impresa, Milano, 1955, p. 61; in giurisprudenza Cass. 3 marzo 1998, Thiam, in Cass. pen., 1999, p. 1129. 9 Vedi A. ROSSI VANNINI, Il diritto penale industriale, in Trattato di diritto penale dell’impresa, diretto da A. Amato, Padova, 1993, p.140. 10 Si veda L. CAMALDO, Il revirement della Suprema Corte in tema di tutela penale dei marchi e dei segni distintivi, in Rivista di diritto industriale, 2001, n. 3, parte II, p. 181 ss. 6 e ha affermato il principio che “la contraffazione rileva anche quando il prodotto su cui il marchio viene apposto risulti vistosamente difforme dall’originale”. Il Tribunale di Bassano del Grappa (in composizione monocratica) con la sentenza n. 119 del 22 maggio 2000 (ud. 28 aprile 2000), in corso di pubblicazione in Rivista di diritto industriale, ha espressamente criticato la decisione della Cassazione del 23 febbraio 2000, alla quale aveva fatto riferimento la difesa dell’imputato, e ha, viceversa, affermato che la previsione di cui all’art. 473 c.p., così come del resto quella di cui all’art. 474 c.p., è diretta a tutelare la pubblica fede contro la falsificazione di segni di pubblico riconoscimento ed in particolare dei marchi registrati e pertanto “ogni valutazione circa la pretesa grossolanità della contraffazione non può non avere riguardo unicamente alla riconoscibilità o meno ictu oculi della riproduzione del marchio medesimo, senza che alcuna rilevanza possa avere il grado di contraffazione della merce sulla quale il marchio è posto o la riconoscibilità da parte del quisque de populo di una situazione di commercio o messa in vendita di cose con marchi contraffatti desumibile in base alla modalità della stessa (come ad esempio la vendita sulla pubblica strada da parte di cittadini extracomunitari di merce a prezzo chiaramente incongruo per difetto rispetto a quello originale).” Nella motivazione della sentenza citata si afferma inoltre che le modalità dell’acquisto e il prezzo sono circostanze non significative dell’assenza di ogni lesione al bene giuridico della pubblica fede, in quanto sono elementi circoscritti alla sola relazione intercorrente tra venditore ambulante della merce ed acquirente della stessa, mentre la naturale destinazione di un prodotto contraffatto è quella di essere esibito come status symbol a terzi del tutto ignari della provenienza, né consapevoli della contraffazione del prodotto, con conseguente innegabile lesione del bene della pubblica fede. In base a queste considerazioni l’imputato è stato condannato per il reato di cui all’art. 474 c.p. La Corte d’Appello di Napoli, sez.I, 28 giugno 2000 n. 5713, in corso di pubblicazione in Rivista di diritto industriale, ha affermato che il prezzo di vendita del prodotto contraffatto non è per nulla indicativo di un falso grossolano: “la circostanza che il prezzo imposto dalla M.P. ai prodotti da essa commercializzati era di molto inferiore di quello relativo ai prodotti originali, non rileva nel meccanismo di induzione in errore del consumatore che lo spinge all’acquisto, in quanto esso è determinato precipuamente e visivamente dagli altri elementi che integrano l’imitazione del prodotto originale”. Inoltre la Corte ha accolto le argomentazioni svolte dalla costituita parte civile, affermando che “è sufficiente che la contraffazione investa il marchio nei suoi elementi essenziali e che, in tal modo, esso sia idoneo alla falsa indicazione di provenienza, non essendo necessaria una perfetta identità tra il marchio originale, la cui configurazione ha, nel caso di specie, natura complessa, e quello contraffatto: la possibile confusione o difficoltà di distinzione deve essere valutata senza prescindere dalla media capacità identificativa dei consumatori e mediante un giudizio che la Corte Suprema ha chiarito deve essere di ‘impressione’ e non di riflessione”. Recentemente la Corte di Cassazione, sez. V penale, 27 ottobre 2000 n. 11071, pubblicata in Rivista di diritto industriale, 2001, n. 3, parte II, p. 169 ss., ha censurato la motivazione del giudice di merito che, nel caso specifico, si è soffermato lungamente sul fatto che i jeans apparivano non autentici perché differenti rispetto all’originale erano i bottoni, il taglio, le cuciture, ma non ha speso parole per spiegare se il marchio era o meno contraffatto o alterato, chiaramente “dimenticando che l’art. 474 c.p. non tutela i prodotti ma i marchi”. Pertanto la Suprema Corte ha affermato il principio che “non è possibile dedurre dalla motivazione sulla falsità del prodotto e sulla ritenuta grossolanità della stessa [come aveva fatto il giudice di merito], la falsità grossolana della alterazione o contraffazione del marchio, poiché trattasi di due aspetti differenti del problema.” 7 Nella stessa prospettiva, la Corte di Cassazione, sez. II penale, 13 febbraio 2001 n. 6062, pubblicata in Rivista di diritto industriale, 2001, n. 3, parte II, p. 169 ss., ha affermato che “difficilmente il concetto di falso grossolano può essere delineato nell’ambito dell’art. 474 c.p., per la preminente ragione che detta norma è volta a tutelare, in via principale e diretta, non la libera determinazione dell’acquirente (come l’art. 517 c.p.), bensì la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno o dei prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione”. A tal proposito, si vedano anche le sentenze inedite della Cassazione, sezione V penale, 21 settembre 2000 (dep. 10 novembre 2000) n. 11474 e Cassazione, sezione V penale, 26 gennaio 2000 (dep. 18 marzo 2000) n. 3336. Con queste affermazioni di principio la Cassazione dissipa ogni dubbio e ogni confusione precedentemente emersa che aveva condotto, con una motivazione evidentemente viziata, alla esclusione della sussistenza del reato, invocando l’ipotesi del falso grossolano. Un’applicazione ad ampio raggio del falso grossolano non punibile comporterebbe una sorta di depenalizzazione di fatto delle condotte previste e punite dal codice penale che, allo stato attuale, non solo non è astrattamente possibile, ma comporterebbe una grave lacuna nella repressione di un fenomeno in continua espansione quale quello della contraffazione di marchi. 7. Vendita di prodotti con marchi contraffatti e ricettazione: il concorso di reati alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite. Accade frequentemente che chi detiene per la vendita o mette in commercio oggetti i cui marchi siano stati contraffatti (da altri), abbia precedentemente acquistato o ricevuto detti prodotti con la consapevolezza della contraffazione del marchio. Si pone pertanto il problema se il soggetto debba rispondere, oltre che del reato previsto dall’art. 474 c.p., anche del più grave delitto di ricettazione. La Cassazione a Sezioni Unite penali con la sentenza del 9 maggio – 7 giugno 2001 n. 23427, in corso di pubblicazione sulla Rivista di diritto industriale, 2001, ha recentemente risolto i precedenti e contrastanti orientamenti giurisprudenziali affermando la possibilità del concorso tra il delitto di ricettazione e il reato di vendita di prodotti con marchi o segni distintivi contraffatti. Sul punto, negli ultimi anni, si è assistito ad un altalenarsi di decisioni delle singole sezioni della Cassazione, nelle quali ora si affermava che i suddetti reati non possono concorrere, essendo le relative norme incriminatrici in rapporto di specialità, ora si sosteneva la possibilità del concorso materiale di reati per la diversità delle condotte punite e del bene giuridico protetto dalle due disposizioni penali.11 Le conseguenze che derivano, sul piano pratico, dall’applicazione del primo orientamento, piuttosto che del secondo, sono, come è evidente, radicalmente differenti: nel primo caso infatti, ove si affermi l’esistenza di un concorso apparente di norme e si applichi il principio di specialità, l’imputato dovrà rispondere del solo reato di detenzione o vendita di prodotti con marchi contraffatti ritenuto speciale rispetto alla ricettazione; nel secondo caso invece, ritenendo configurabile il concorso di reati, l’imputato sarà penalmente responsabile di entrambe le condotte. Le Sezioni Unite, in primo luogo, hanno sancito l’applicabilità della norma che punisce la ricettazione nel caso in cui, apposto un marchio contraffatto su un prodotto, quest’ultimo 11 Per i riferimenti giurisprudenziali vedi E. SVARIATI, nota a Cass. pen., sez. V, 18 novembre 1999 n. 5525, in Cass. Pen., 2001, p. 520. 8 venga poi acquistato con la consapevolezza della sua contraffazione, recando così un’offesa al diritto del titolare dell’esclusiva e alla correttezza del mercato. 12 In secondo luogo, riconosciuto che l’acquisto di prodotti recanti marchi contraffatti può integrare il reato di ricettazione, le Sezioni Unite hanno affermato che “le condotte delineate dagli articoli 648 e 474 c.p. sono ontologicamente nonché strutturalmente diverse e che esse non sono neppure contestuali, essendo ipotizzabile una soluzione di continuità anche rilevante.” Infatti con l’art. 648 c.p. viene incriminato l’acquisto e più in generale la ricezione di cose provenienti da reato, mentre con l’art. 474 c.p. viene sanzionata la detenzione per la vendita o comunque la messa in circolazione di beni con marchi o segni distintivi contraffatti e non è contemplato il momento della ricezione del prodotto. L’azione prevista dalla prima disposizione è istantanea, mentre la detenzione ai fini di vendita è permanente e successiva rispetto alla condotta di acquisto. Nello stesso senso si vedano anche le sentenze inedite della Cassazione sezione II penale, 12 maggio 2000 (dep. 23 novembre 2000) n. 12102, Cassazione sezione II, 8 ottobre 1999 (dep. 5 novembre 1999) n. 12611, Cassazione sezione II penale, 27 ottobre 1999 (dep. 2 dicembre 1999) n. 13823, Cassazione sezione V penale, 5 novembre 1999 (dep. 12 dicembre 1999) n. 14277. Si deve pertanto affermare l’autonoma rilevanza delle due norme penali che qualificano e puniscono distinte condotte.13 Nel caso in cui un soggetto ponga in essere entrambe le condotte rispettivamente previste dalle due disposizioni e ne sussistano gli elementi costitutivi, questi dovrà rispondere sia della ricettazione avente ad oggetto i prodotti con marchi falsi, sia del commercio dei medesimi, configurandosi, in base al principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza in esame, un concorso materiale di reati. Tale decisione assicura una tutela più estesa e più forte ai titolari dei marchi o segni distintivi, a fronte del fenomeno della contraffazione che negli ultimi anni è in continua crescita e investe interessi di sempre maggior rilievo. 14 Comportando un notevole aggravio di pena, l’applicazione in concorso dei reati di cui agli artt. 648 e 474 c.p. costituisce uno strumento per colpire con maggior severità chi detenga o ponga in vendita o metta comunque in circolazione oggetti con marchi contraffatti.15 Milano, 2 ottobre 2001 12 A tale conclusione la giurisprudenza era già pervenuta in alcune precedenti pronunce, al riguardo v. Cass., sez. II, 28 giugno 1990 (dep. 11 giugno 1991), Montanaro, in Cass. pen., 1992, p. 2370, dove si afferma che “ricorre il reato di ricettazione (art. 648 c.p.) nella condotta di chi acquista motori per autoveicoli con il marchio visibilmente contraffatto a scopo di rivenderli a terzi e di trarne profitto”. V. anche Cass., sez. II, 12 ottobre 1989 n. 13498, in Riv. Pen., 1990, p. 235. 13 In dottrina sul punto v. G. MARRA, Revirement della Cassazione sui rapporti tra ricettazione e detenzione al fine della vendita di prodotti con marchio contraffatto, in Cass. pen., 1999, p. 1134, che rileva : “conferma dell’affermazione che le due norme disciplinano fatti diversi deriva anche dalla circostanza che le due fattispecie possono realizzarsi da sole, autonomamente l’una dall’altra, a differenza dell’ipotesi di concorso apparente di norme laddove qualora il fatto non integri gli estremi della norma speciale si applicherà comunque la norma generale”. In giurisprudenza, da ultimo v. Cass. pen., sez. II, 12 aprile-18 maggio 2000 n. 5747, Diop Madiagne, in Guida al diritto, 2000, n. 25, p. 69. 14 V. a tal proposito, E. SVARIATI, Contraffazione e ricettazione, in Giur. merito, 1989, p. 1197. 15 Si rileva che la tutela civilistica dei marchi e dei segni distintivi spesso risulta insufficiente, sia per la tardività dei rimedi cautelari e sanzionatori rispetto al pregiudizio subito, sia per la difficoltà di individuare i responsabili, v. in tal senso M. PAPA, La vendita di prodotti con marchi contraffatti: spunti sui rapporti tra ricettazione e norme disciplinanti la circolazione di<< cose illecite>>, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1985, p. 728. Per una approfondita analisi degli strumenti civilistici di tutela del marchio v. G. SENA, Il nuovo diritto dei marchi. Marchio nazionale e marchio comunitario, Milano, Giuffrè, 2001, p. 229 ss.