Leggi l`articolo (free!) - Rivista di Studi Italiani

Transcript

Leggi l`articolo (free!) - Rivista di Studi Italiani
RIVISTA DI STUDI ITALIANI
CONTRIBUTI
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
Come lucente muove sui suoi spicchi
la porta di un albergo
 risponde un’altra e le rivolge un raggio 
m’agita un carosello che travolge
tutto dentro il suo giro
(Eastbourne, vv. 24-28)
FABIO DELUCCHI
Genova
N
el recente saggio Longhi, Montale e l’“albergo di lusso”1, Franco
Contorbia ha rivelato la fonte dell’ormai celebre, provocatoria e
insinuante affermazione di Roberto Longhi riportata nel ’77 da
Lonardi riguardante una presunta predilezione di Montale per gli “alberghi di
lusso” (“con Montale, avrebbe […] confidato Roberto Longhi con il solito
acume e con altrettanta cattiveria, ‘siamo sempre all’ombra di un albergo di
lusso’”)2, rintracciandone la prima testimonianza nel Libro ventitreesimo
1
F. Contorbia, “Longhi, Montale e l’‘albergo di lusso’”, in La modernità
letteraria, I, 1, 2008, pp. 121-29.
2
G. Lonardi, “Due note per Montale: le lettere a Svevo e i saggi sulla poesia”,
in Studi novecenteschi, VI, 17-18, giugno-settembre 1977, pp. 227-40: 233;
poi, con titolo “Due note: le lettere a Svevo e i saggi sulla poesia”, in Id., Il
Vecchio e il Giovane e altri studi su Montale, Bologna: Zanichelli, 1980,
pp. 204-16: 209. L’insinuazione del Longhi riportata da Lonardi è stata poi
ripresa da alcuni tra i più autorevoli critici montaliani, quali Mengaldo,
Luperini e L. Surdich, per cui si vedano, rispettivamente: P. V. Mengaldo,
“Un libro importante su Montale”, in Studi novecenteschi, VIII, 22, dicembre
1981 [ma settembre 1982], pp. 185-208: 207 (poi in Id., La tradizione del
Novecento, n.s., Firenze: Vallecchi, 1987, pp. 189-214: 213; poi seconda s.,
Torino: Einaudi, 2003, pp. 167-89: 188; il riferimento nel titolo è proprio al
164
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
1943-53 di Emilio Cecchi, Taccuini3 (Milano 1976) e ricollegando il lacerto
di Cecchi sul Flora (presumibilmente risalente al 1953 4), in cui, appunto, è
lapidariamente riportato il giudizio di Longhi, a un precedente breve articolo
di Gillo Dorfles5 su Montale pittore, dove all’occhiello (Altre immagini) e al
titolo (Come dipinge) segue un lungo sommario, coincidente con un passo
contenuto nell’articolo stesso:
Più che paesi della realtà, sono paesi di sogno, questi che ha fissato sulla
tela o su foglietti sparsi; spesso rovesci di Menus ove la sigla d’un Grand
Hôtel fa capolino6.
Scrive, quindi, Contorbia:
Com’è noto, della presenza di alberghi di lusso e no – pervasiva, nei libri
di Montale, a far data da Satura (1971) –, è possibile cogliere una traccia
volume di G. Lonardi, Il Vecchio e il Giovane, cit.); R. Luperini, “Tra ‘La
casa delle due palme’ e un albergo di lusso”, in Montale o l’identità negata,
Napoli: Liguori, 1984, pp. 175-94: 183 sg. (poi in Id., Storia di Montale,
Roma-Bari: Laterza, 1986 [n. ed., 1992] da cui cito, p. 183); infine, L.
Surdich, I volti della poesia del Novecento, Introduzione a Le idee e la
poesia. Montale e Caproni, Genova: Il Melangolo, 1998, pp. 9-33: 30.
3
E. Cecchi, Libro ventitreesimo 1943-53, in Taccuini, a cura di N. Gallo e
P. Citati, Milano: Mondadori, 1976, pp. 577-607: 602 (il passo è poi in F.
Contorbia, “Longhi, Montale e l’‘albergo di lusso’”, cit., p. 123). Riporto
anche in questa sede l’estratto dai Taccuini: “Montale/Flora. Il peggior
servizio che un critico possa rendere, per sua deficienza, è quando riduce un
poeta e un artista nei suoi oggetti; come io feci da ragazzo per Kipling, e come
fece Flora per Montale, che lo catalogò in una serie di uccelli impagliati:
uccelli ricercati: che bisognava andare a frugarli, con i loro nomi, col
fuscellino. E sembrava un negozio di cappellini da signora; senza
naturalmente le teste che li avrebbero dovuti portare. Un’osservazione di
Longhi che, nelle poesie di Montale, siamo sempre all’ombra di un albergo di
lusso”.
4
Si veda, a riguardo, F. Contorbia, “Longhi, Montale e l’‘albergo di lusso’”,
cit., p. 124.
5
G. Dorfles, “Come dipinge”, in Galleria degli scrittori italiani. Eugenio
Montale, a cura di G. Soavi e V. Sereni, in La Fiera Letteraria, VIII, 28, 12
luglio 1953, pp. 3-7: 5.
6
Gli estremi dell’articolo di Dorfles (per cui si veda la nota sopra) e
l’occhiello citato sono riportati, con più ampie considerazioni e
approfondimenti, in “Longhi, Montale e l’‘albergo di lusso’”, cit., pp. 124 sg.
165
FABIO DELUCCHI
riconoscibile prima del 1953 in non più di due sedi: si vedano al v. 5 di
Arsenio i “vetri luccicanti degli alberghi”7, al v. 25 di Eastbourne “La
porta di un albergo” (ad essa, al v. 26, “risponde un’altra e le rivolge un
raggio”)8.
Mentre, dal punto di vista strettamente referenziale, è controversa (e, temo,
oggi irresolvibile) l’identificazione del décor di Arsenio, e degli “alberghi” in
questione, la recente pubblicazione delle Lettere a Clizia ha illuminato il
retroterra e lo stesso “spazio” fisico di Eastbourne, consentendo di cogliere la
strettissima jonction che si produce tra il primo folgorante incontro di Montale
con Irma Brandeis (15 luglio 1933) e il viaggio in Inghilterra con la Mosca
(agosto 1933) del quale il lussuoso Queen’s Hôtel di Eastbourne è uno dei
teatri9.
7
Arsenio, in Meriggi e ombre, Ossi di seppia, in E. Montale, L’opera in
versi, a cura di G. Contini e R. Bettarini, Torino: Einaudi, 1981, pp. 81 sg.: 81
(note alle pp. 884 sg.). Da qui in avanti ometto il nome di E. Montale dalla
citazione delle opere più note e dai singoli componimenti o articoli del poeta a
cui faccio riferimento.
8
Eastbourne, in Letteratura, I, 1° gennaio 1937, pp. 29 sg., con data
“Ferragosto, 1933” come nelle bozze relative, corrette a penna dall’autore e
conservate presso l’Archivio Contemporaneo Vieusseux (facsimile pubblicato
in “Piccola iconografia”, in Letteratura, XXX, 79-81, gennaio-giugno 1966,
pp. 230-37, e in Omaggio a Montale, a cura di S. Ramat, Milano: Mondadori,
1966, tav. 11); il testo è stato poi riprodotto in Le più belle liriche dell’anno
1937, scelte da Nicola Moscardelli, Roma: Libreria Internazionale
Modernissima, 1937, pp. 95-97, e in Frontespizio, X, 2, febbraio 1938, pp.
123 sg., sotto la rubrica “La poesia più bella”, a cura di Carlo Betocchi; poi,
con data nell’Indice “1933-1935”, in Le occasioni, IV, in L’opera in versi,
cit., pp. 170 sg. (note alle pp. 922 sg.).
9
F. Contorbia, “Longhi, Montale e l’‘albergo di lusso’”, cit., p. 125, in
Lettere a Clizia, a cura di R. Bettarini, G. Manghetti e F. Zabagli (con un
saggio introduttivo di R. Bettarini, Milano: Mondadori, 2006), si vedano, in
particolare, la lettera del 7 agosto 1933, “scritta sul recto di un foglio di carta
colore grigio […], con intestazione in rilievo in alto a destra ‘Queen’s Hotel, |
Eastbourne’” (in Lettere a Clizia, cit., p. 5, note a p. 286) e la cartolina, senza
data, riprodotta sullo sfondo nella parte posteriore della sovraccoperta del
libro, dove figurano la scritta a penna di Montale a Irma Brandeis (“Scrivimi
dove sarai giorno per giorno tra il I° e il 7 Settembre, e se puoi essere a
Genova per il 5. | Tante cose care da | A.”), una veduta dell’albergo
accompagnata dalla scritta The Queen’s Hôtel | Eastbourne e, in basso il post
scriptum del poeta: “P.S. Chiuso in busta per precauzione”. Il testo completo
166
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
Sull’importanza del primo viaggio in Inghilterra di Montale, dalla cui
occasione nacque negli anni successivi (compresi tra il 1933 e il 1937) la
lirica omonima della cittadina inglese ove il poeta aveva soggiornato, si è
soffermata, in particolare, Anna Nozzoli 10, mentre il merito di avere
individuato con decisione in Eastbourne la presenza di Irma Brandeis-Clizia è
ascrivibile, come è noto, a Luciano Rebay, il quale nel famoso saggio
Montale, Clizia e l’America11 giungeva perfino a definire il componimento in
questione “una poesia pochissimo “inglese” malgrado le apparenze”12.
Testo ormai pressoché unanimemente considerato “di trapasso”13 dalla
figura di Annetta-Arletta-Aretusa (riconoscibile, più distintamente, nella
della cartolina, scritta sul recto e sul verso, è riportato in Lettere a Clizia, cit.,
p. 6 (note a p. 286).
10
A. Nozzoli, “Montale e l’Inghilterra”, in Studi di letteratura italiana. Per
Vitilio Masiello, a cura di P. Guaragnella e M. Santagata, Roma-Bari:
Laterza, 2006, T. III, pp. 85-112. Si vedano ora anche le lettere in cui il poeta
comunica la sua decisione di partire per l’Inghilterra all’amica Lucia
Rodocanachi, in particolare del 13 giugno, 22 giugno e 8 luglio 1933 (in F.
Merlanti, Eugenio Montale. Lettere a Lucia Rodocanachi 1928-1965, tesi
di Dottorato di ricerca “Analisi e interpretazione dei testi letterari italiani e
romanzi”, con il coordinamento di Franco Contorbia, XVI ciclo, Università
degli studi di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 20022003, risp. pp. 68, 79 e 87).
11
L. Rebay, “Montale, Clizia e l’America”, in Forum Italicum, 16, 3, Winter
1982, pp. 173 sg.; poi in La poesia di Eugenio Montale. Atti del Convegno
Internazionale, Milano, 12-13-14 settembre – Genova, 15 settembre 1982,
Milano: Librex, 1983, pp. 281-308: 290 sgg.
12
L. Rebay, “Montale, Clizia e l’America”, cit., pp. 296 sg.
13
R. Leporatti, Eastbourne, in Studi novecenteschi, XXVII, 59, 2000, pp. 83109: 106. Si confrontino, a riguardo dell’identificazione della figura
femminile di Eastbourne, soprattutto la tesi sostenuta da Luciano Rebay, in L.
Rebay, “Montale, Clizia e l’America”, cit., in particolare pp. 296 sg., poi
ripresa pressoché integralmente in P. De Caro, Journey to Irma. Parte
prima, Irma, un “romanzo” (Foggia: De Meo, 1999, pp. 92-97) e L. Barile,
“Troppo dolce sulla china” (in Adorate mie larve, Bologna: il Mulino, 1990,
pp. 69-90: 78), e le interpretazioni più strettamente, se non esclusivamente, in
chiave ‘arlettiana’ in E. Bonora, “Anelli del ciclo di Arletta nelle Occasioni”
(in Giornale storico della letteratura italiana, XCVIII, 158, 501, 1°
trimestre 1981, pp. 44-70; poi in Id., Le metafore del vero. Saggi sulle
Occasioni di Eugenio Montale, Roma: Bonacci, 1981, pp. 9-38: 36 sg.) e R.
Luperini, Storia di Montale, cit. (p. 103). Un maggiore equilibrio
interpretativo, riconoscendo in Eastbourne anche un omaggio al paesaggio,
167
FABIO DELUCCHI
prima parte della lirica) a quella di Irma Brandeis-Clizia (nella seconda), in
Eastbourne le identità delle due figure femminili tendono comunque a
sovrapporsi e ‘confondersi’ nel progressivo delinearsi dei caratteri luminosi e
brand-eisiani proprî della nuova ‘beatrice’: un’ambiguità sancita nel celebre e
‘oscuro’ v. 39 (“anche tu lo sapevi, luce-in-tenebra”)14, nel cui sintagma
finale, di ascendenza evidentemente religiosa e dantesca 15, è possibile
riconoscere tanto i caratteri fantasmatici e di “sommersa” (nelle tenebre, vale
a dire nel regno dei morti, il passato) di Annetta-Aretusa, quanto quelli della
nuova figura portatrice di “luce” e speranza di salvezza Irma Brandeis
(proprio in quegli anni prossima ad assumere, nell’opera in versi di Montale, i
caratteri di un’altra figura del mito ovidiano, Clizia).
Lo stesso Montale nell’intervista rilasciata a Giuliano Dego nell’aprile del
197316 riconosceva nella propria “villeggiatura” del ’33 (evocata, però, con
alla letteratura e alla civiltà inglesi, sono poi nel ‘cappello’ introduttivo alla
lirica in Le occasioni, a cura di D. Isella, Milano: Mondadori, 1971; poi
Torino: Einaudi, 1996, da cui cito da qui in avanti, pp. 176 sg.) e in R.
Leporatti, Eastbourne, cit.
14
Eastbourne, in L’opera in versi, cit., p. 171.
15
Nell’espressione “luce-in-tenebra” è riconoscibile, certamente, una
citazione del Prologo del Vangelo secondo Giovanni, vv. 1-3 (“In principio
era il Verbo, | e il Verbo era presso Dio | e il Verbo era Dio”) e, in particolare,
vv. 4-5 (“In lui era la vita | e la vita era la luce degli uomini; | la luce splende
nelle tenebre | e le tenebre non l’hanno vinta”; cito da La sacra Bibbia,
Padova: Unione Editori e Librai Cattolici Italiani, 2008, p. 1695), fonte ripresa
e rielaborata da Dante in Purg. XV, v. 66, “di vera luce tenebre dispicchi”,
verso a cui Montale allude anche, utilizzando il termine “spicchi”, al v. 24 di
Eastbourne (passo su cui si tornerà in seguito). I possibili riferimenti implicati
nel sintagma utilizzato da Montale, però, potrebbero essere molteplici. Uno,
almeno, mi sembra suggestivo e forse decisivo al fine dell’identificazione
della principale destinataria del v. 39 di Eastbourne; si veda, infatti, la
citazione da Mallarmé con cui Montale chiudeva la lettera a Irma Brandeis del
3 ottobre 1933: “‘Une rose dans les ténèbres’ || ‘Mallarmé’” (Lettere a Clizia,
cit., pp. 17-20: 20, note alle pp. 291 sgg.). La citazione è tratta dall’ultimo
verso della poesia Surgi de la croupe et du bond..., pubblicata per la prima
volta nel 1887 su La Revue Indipendent (ho citato da S. Mallarmé, Poesie, a
cura di E. M. Frisia, Milano: Denti, 1946, pp. 262-65; titolo in traduzione:
L’assente fiore).
16
Intervista di Giuliano Dego a Eugenio Montale. Il bulldog di legno,
Roma: Editori Riuniti, 1985 (da cui cito da qui in avanti), pp. 57 sg. Il testo
dell’intervista era apparso per la prima volta su London Magazine, giugnoluglio 1973, ed era stato ripubblicato, in una versione ridotta (che non
168
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
data 1934) il più importante nonché l’unico suo viaggio ‘libero’ in terra
d’Albione17, vale a dire non effettuato per motivi lavorativi o istituzionali e da
questi condizionato, quali saranno invece i due soggiorni del ’48.
Riguardo al periodo di residenza nella rinomata cittadina del Sussex meta, a
cavallo tra i due secoli, di illustri scrittori e intellettuali, Montale ricordava, in
particolare, l’“albergo di extra lusso” in cui aveva alloggiato e le condizioni
storiche18 per le quali egli, allora direttore del Gabinetto di Lettura G. P.
Vieusseux di Firenze (e non, come avverrà dal 1939, disoccupato per i noti
motivi politici), poté permettersi senza grandi spese il soggiorno ‘lussuoso’
dal cui ricordo nacque quella che rimarrà l’unica sua lirica ‘alta’ di
ambientazione e soggetto inglesi19 e che sancisce il fondamentale passaggio
presenta il lacerto citato) con titolo “Montale esplosivo”, su La Fiera
Letteraria, XVI, 20 aprile 1975, pp. 3-7.
17
Dichiarava, infatti, il poeta: “Era la sola Inghilterra che ho visto, perché
dopo l’ho vista poco. A Londra, poi, io sono stato poco tempo. […] Nel ’48,
invece, ho visto soltanto quanto era stato programmato dal viceconsole”
(Intervista di Giuliano Dego a Eugenio Montale, cit., pp. 57 sg.).
18
Ricordava Montale: “Sono stato a Eastbourne a fare i bagni di mare. Si
spendeva meno in Inghilterra che in Italia, nel ’34. Negli alberghi si pagava
pochissimo. Io a Eastbourne ero in un albergo di extra lusso, pagavo molto
meno di quanto avrei pagato in Italia. […] sono stato bene. C’erano molti
forestieri nell’albergo” (Intervista di Giuliano Dego a Eugenio Montale,
cit., pp. 57 sg.). Il periodo in cui Montale soggiornò a Eastbourne, si ricordi,
fu uno dei più duri in assoluto della storia britannica, perlomeno fino allo
scoppio del secondo conflitto mondiale, in seguito alla crisi economica del
’29. L’Inghilterra, quindi, proprio nei primi anni Trenta, tentava di reagire, da
tradizione, non con il sorgere e, soprattutto, il dilagare di regimi (come invece
accadde in Europa, con l’affermazione definitiva del nazi-fascismo), ma con
apposite imponenti riforme economiche e sociali.
19
La specificazione è d’obbligo, non potendosi considerare tali, in senso
assoluto, i pur importanti e preziosi ‘lampi’ raccolti nella suite ad
ambientazione ‘inglese’ (o meglio, britannica) di ‘Flashes’ e dediche, nati dai
viaggi del ’48 e da una successiva rielaborazione e sovrapposizione di questi
con il ricordo del suo primo soggiorno in Gran Bretagna; componimenti nei
quali, come è noto, è già ben distinguibile la ‘svolta’ stilistica di Montale in
senso ironico, sarcastico e maggiormente prosastico che troverà poi piena
realizzazione in Satura (Milano: Mondadori, 1971). Mi riferisco, ovviamente,
a La trota nera, Di un natale metropolitano, Lasciando un ‘Dove’, Argyll
Tour e Vento sulla Mezzaluna (in ‘Flashes’ e dediche, in La bufera e altro,
IV, in L’opera in versi, cit., pp. 223-27, note alle pp. 958 sg.). In tutte le
edizioni di La bufera e altro a partire da Venezia, Neri Pozza, 1956 la
169
FABIO DELUCCHI
dal Montale ‘ligure’ di Ossi di seppia (Torino: Gobetti, 1925; poi Torino:
Ribet, 1928) e di La casa dei doganieri e altri versi20 (1932) a quello ‘nuovo’,
fiorentinizzato e ormai pienamente inserito nella civiltà umanistica21 europea
(inclusa, ovviamente, la tradizione letteraria di lingua inglese) di Le occasioni
(Torino: Einaudi, 1939).
Nella prima parte di Eastbourne, di cui, già a una prima lettura, colpisce il
“quadro” d’insieme, definito da Isella “tipicamente inglese”22, Montale
realizza un’autentica compenetrazione non solo tra poesia e ‘impressionismo’
paesistico “quasi in gara con i pittori più eccellenti”23, come rilevava Ettore
sezione IV porta in occhiello la dicitura “LAMPI E DEDICHE”, mentre nell’Indice
compare la denominazione “‘FLASHES’ E DEDICHE”; l’autore, in occasione della
redazione de L’opera in versi, optò per il termine ‘Flashes’ perché “più
restrittivo di lampi (in questo caso)” (L’opera in versi, cit., p. 957).
20
In La casa dei doganieri e altri versi (Firenze: Vallecchi, 1932), erano
comprese poesie già in Ossi di seppia (per cui rimando a L. Barile,
Bibliografia montaliana, Milano: Mondadori, 1977, pp. 14 sg.) e nuove
liriche, alcune già pubblicate su rivista, che saranno poi raccolte nella sezione
I di Le occasioni, tra le quali figurano due tra i più importanti componimenti
strettamente legati al ricordo e al paesaggio degli anni liguri: La casa dei
doganieri (già in L’Italia Letteraria, II, 39, 28 settembre 1930, p. 1; ora in
Le occasioni, IV, in L’opera in versi, cit., p. 161, note a p. 917) e Vecchi
versi (già in Solaria, IV, 2, febbraio 1929, pp. 73-75; poi ripubblicata su Il
Giornale di Genova, 23 dicembre 1931; ora in Le occasioni, I, in L’opera in
versi, cit., pp. 111 sg., note a p. 895).
21
Oltre alle dichiarazioni più celebri del poeta, ricordo il passo dell’intervista
di Sandro Briosi a Montale in cui si legge: “sotto il profilo della maturazione
culturale, i vent’anni che ho passato a Firenze sono stati i più importanti della
mia vita. […] Lì ho scoperto che non c’è soltanto il mare ma anche la
terraferma; la terraferma della cultura, delle idee, della tradizione;
dell’umanesimo. […] Vi ho compreso che cosa è stata, che cosa può essere
una civiltà” (“Spento un fuoco se ne può accendere un altro”, in Uomini e
idee, marzo-aprile 1966; ora in Immagini di una vita, a cura di F. Contorbia,
Introduzione di G. Contini, Milano: Mondadori, 1985 [n. ed., 1996, da cui
cito], p. 310).
22
Le occasioni, a cura di D. Isella, cit., p. 175.
23
E. Bonora, “Anelli del ciclo di Arletta nelle Occasioni”, cit., p. 34.
Un’ulteriore testimonianza di come il paesaggio della costa meridionale
inglese fosse rimasto impresso nella mente del poeta sarà anche il quadretto
realizzato da Montale nell’estate del ’47, alla vigilia del trasferimento a
Milano, per l’amico Gianfranco Contini; in particolare, si vedano le lettere a
Contini del 31 ottobre 1945 (“Ho messo da parte per te un piccolo quadro a
olio da me dipinto questa estate e rappresentante Eastbourne o New Haven o
170
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
Bonora, ma anche, in un rapporto forse ancora più profondo, tra i propri versi
e una traccia musicale, in questo caso non operistica, da individuarsi, a mio
avviso, in quella pura24 e finissima del parimenti ribelle (nei confronti della
tradizione) e a lungo amato Debussy.
In particolare, nelle prime cinque strofe di Eastbourne, delle quali la critica
ha maggiormente evidenziato l’andamento prosaico, tipico preludio
all’apparizione del “miracolo” o “fantasma salvifico”25 femminile, sembra
qualcosa di simile; vedrai che è molto fine di colore, con cliffs, gulls, fattorie
ecc. Il tutto formato 6  7 centimetri») e del 1° novembre 1945 (“Il pezzo che
riservo a te è secondo tutti il migliore uscito dal mio pennello; prepara una
cornice degna. Formato un po’ meno di cartolina”), in Eusebio e Trabucco.
Carteggio di Eugenio Montale e Giafranco Contini, a cura di D. Isella,
Milano: Adelphi, 1997, risp. pp. 115 e 128. Il piccolo olio Gulls in New
Haven (1945) by Eugenio Montale (titolo dattiloscritto su una piccola striscia
di carta incollata sul retro della tela), come testimonia Isella (in Eusebio e
Trabucco [...], cit., p. 119), è fra i ricordi montaliani conservati in famiglia
dagli eredi Contini.
24
Si vedano, a riguardo, in particolare: l’articolo di E. Montale, “Le parole e
la musica”, in Corriere della Sera, 7 maggio 1949 (poi in Auto da fé,
Milano: Mondadori, 1966, pp. 110-13; poi in Montale, la musica e i
musicisti: primo centenario dalla nascita di Eugenio Montale – Genova
1896-1996, a cura di R. Iovino e S. Verdino, Genova: Sagep, 1996, pp. 69-72
e in Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Milano:
Mondadori, 1996, pp. 112-16, note a p. 1769); M. Dalmati, “La musica nella
poesia di Eugenio Montale”, in La poesia di Montale. Atti del Convegno
Internazionale tenuto a Genova dal 25 al 28 novembre 1982, a cura di S.
Campailla e C. F. Goffis, Firenze: Le Monnier, 1984, pp. 325-34; L. Surdich,
“In musica + idee, Montale e Caproni”, in La Rassegna della letteratura
italiana, VIII, 3, settembre-dicembre 1995, pp. 102-35 (poi in La Liguria di
Montale, a cura di F. Contorbia e L. Surdich, Savona: Sabatelli, 1996, pp.
205-50; infine, in L. Surdich, Le idee e la poesia. Montale e Caproni,
Genova: Il Melangolo, 1998, pp. 89-148).
25
Alludo, ovviamente, alle preziose analisi di G. Contini in “Dagli Ossi alle
Occasioni”, in Letteratura, 8, 1938, con semplice titolo “Eugenio Montale”
in quanto capitolo della rubrica collettiva Da La Voce a La Ronda; poi in Id.,
Esercizî di lettura sopra autori contemporanei con un’appendice su testi
non contemporanei, Firenze: Parenti, 1939 (n. ed., a cura di G. De Robertis,
Firenze: Le Monnier, 1947); poi in Id., Nuova edizione aumentata di ‘Un
anno di letteratura’, Torino: Einaudi, 1974; infine in Id., Una lunga fedeltà.
Scritti su Eugenio Montale, Torino: Einaudi, 1974 (n. ed., 2002, da cui cito),
pp. 19-45: 29, 31, 32, 33 e 39.
171
FABIO DELUCCHI
davvero di potere riconoscere, in una sorta di debussyana “bruma celtica”26
trasferita oltre Manica, una traccia proprio della celebre opera che il
compositore francese condusse e portò a termine nel 1905 nella cittadina
inglese, La mer27.
26
In “Il meglio di Ravel”, infatti, Montale oltre a sottolineare “il caratteristico
flou di Debussy, quella sua innegabile dipendenza dalla tradizione
dell’impressionismo e dal simbolismo francesi”, rimarca come “Debussy
portò sempre in sé, anche nelle opere della sua evoluzione, quella bruma
celtica, romantica, che alcuni detestano ma che forma la sua originalità” (“Il
meglio di Ravel”, in Corriere d’informazione, 1-2 febbraio 1958; poi in “Le
prime alla Scala e alla Piccola Scala”, in Prime alla Scala, a cura di G.
Lavezzi, Milano: Mondadori, 1981, da cui cito da qui in avanti [poi Milano,
Leonardo, 1995], pp. 238-41; ora in Il secondo mestiere. Arte, musica,
società, cit., pp. 640-44: 641). Si vedano, inoltre, per considerazioni analoghe:
“Il racconto del silenzio” [recensione a Carlo Cassola, Tempi memorabili,
Torino: Einaudi, 1966], in Corriere della Sera, 17 aprile 1966 (ora in Il
secondo mestiere. Prose 1020-1979, 2 Voll., a cura di G. Zampa, Milano:
Mondadori, 1996, II, pp. 2788-2791: 2789, note a p. 3339); “‘La volpe astuta’
di Janáček”, in Corriere d’informazione, 14-15 maggio 1958 (poi in “Le
prime alla Scala e alla Piccola Scala”, in Prime alla Scala, cit., pp. 255-57;
ora in Il secondo mestiere. Arte, musica, società, cit., pp. 660-663: 660, note
a p. 1826); Pesa il silenzio sul nome di chi ha firmato un manifesto, scritto in
cui Montale collega il Debussy alla “nebbiosità opulenta e preziosa, un umido
che non esclude una certa sécheresse” del paesaggio di Medun, in Corriere
della Sera, 23 ottobre 1960 (poi in Il secondo mestiere. Prose [...], cit., II,
pp. 2329-2334: 2329, note a p. 3312). Nella recensione a Luigi Magnani, Le
frontiere della musica. Da Monteverdi a Schönberg (Milano-Napoli:
Ricciardi, 1957), infine, Montale argomentava: “È dubbio se Debussy possa
considerarsi un semplice impressionista […] ma è chiaro che Debussy non
sarebbe esistito se fosse mancata la corrente poetica cha da Baudelaire porta a
Verlaine e, su altro piano, a Mallarmé” (“Le frontiere della musica”, in
Corriere d’informazione, 19-20 ottobre 1957; ora nella sezione Altri scritti
musicali, a cura di G. Lavezzi, in Il secondo mestiere. Arte, musica, società,
cit., pp. 1059-1062: 1060 sg., note a p. 1866).
27
Il collegamento è stato appena accennato da Leporatti, che si limita a
sottolineare il carattere debussyano del preludio nella citazione iniziale
dell’inno (R. Leporatti, Eastbourne, cit., p. 98). In Montale, a quanto mi
risulta, non è accenno all’opera specifica del Debussy, ma, in una nuova
riflessione sul rapporto tra musica e letteratura, nonché sull’“impressionismo
musicale” del compositore francese, si veda il diretto collegamento che il
poeta istituiva, in maniera immediata, tra Debussy e una data significativa,
coincidente, peraltro, con la composizione di La Mer, il 1905: “La Salomé di
172
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
Composta di tre tempi (De l’aube à midi sur la mer; Jeux de vagues;
Dialogue du vent et de la mer), La mer rappresenta probabilmente la massima
espressione della musica ‘impressionista’ e, in questo caso, con soggetto
paesistico del Debussy che il giovane poeta, come è noto, a riguardo del terzo
dei Préludes debussyani, Minstrels, nel famoso passo del suo Quaderno
genovese28 già definiva “musica descrittiva e impressionistica piena di
sconnessione, di colori e di metri”29.
Se il tentativo di ‘ricreare’ in poesia tale ricchezza “di sconnessione, di
colori e di metri” con mezzi “diversi” rispetto a quelli che la tradizione
metteva a sua disposizione30 è esplicito e dichiarato dallo stesso Montale
Strauss apparve nel 1905, una data che fa di Strauss – come di d’Annunzio –
un artista in ritardo di quasi mezzo secolo sulle così dette conquiste
dell’impressionismo (pittorico) e del simbolismo. È invece di quel tempo
l’impressionismo musicale di Debussy” (“Salomé di Strauss”, in Corriere
d’informazione, 15-16 marzo 1956, con titolo “Ritorna Salomé coi sette
veli”; poi in Corriere d’informazione, 11-12 marzo 1967; poi in “Le prime
alla Scala e alla Piccola Scala”, in Prime alla Scala, cit., pp. 193-95; ora in Il
secondo mestiere. Arte, musica, società, cit., pp. 588-91: 588, note a p.
1819).
28
E. Montale, Quaderno genovese, a cura di L. Barile, con uno scritto di S.
Solmi, Milano: Mondadori, 1983 da cui cito da qui in avanti; poi in Il
secondo mestiere. Arte, musica, società, cit., pp. 1281-1340 (note alle pp.
1887 sgg.), dove però sono assenti sia l’importante Postfazione di Laura
Barile (in Quaderno genovese, cit., pp. 179-192; poi in Appendice a
Montale, Londra e la luna, Firenze: Le Lettere, 1998, pp. 151-61), sia le
preziose Note della curatrice.
29
Quaderno genovese, a cura di L. Barile, cit., p. 33, note alle pp. 138 sg.
30
Alludo, ovviamente, al passo di Intenzioni (Intervista immaginaria): “non
trovavo nella poesia, diciamo, nell’arte della parola, qualche cosa che vi
corrispondesse. Si trattava di esprimermi con mezzi diversi da quelli della
tradizione, con mezzi almeno parzialmente diversi” (in La Rassegna d’Italia,
I, 1, gennaio 1946, pp. 84-89; poi in Poesia italiana contemporanea, a cura
di G. Spagnoletti, Parma: Guanda, 1959, pp. 341-48; quindi in Per conoscere
Montale, a cura di M. Forti, Milano: Mondadori, 1976, pp. 77-84; poi in
Sulla poesia, a cura di G. Zampa, Milano: Mondadori, 1976, pp. 561-69;
infine, in Il secondo mestiere. Arte, musica, società, cit., da cui cito da qui
in avanti, pp. 1475-1484: 1611). Analoghe dichiarazioni sono anche in
Biografie al microfono [Intervista di Giansiro Ferrata, 1961] e in
Cinquant’anni di poesia [Intervista di Leone Piccioni, 1966], ora nella sezione
Monologhi, colloqui de Il secondo mestiere. Arte, musica, società, cit., risp.
pp. 1611 e 1656-1678 (note alle pp. 1930 e 1933).
173
FABIO DELUCCHI
riguardo alla giovanile Minstrels31 (in Movimenti, prima sezione di Ossi di
seppia), così come una traccia di Debussy è evidente ed è stata riconosciuta
dalla critica nel secondo componimento della prima sezione di Ossi di seppia,
Corno inglese32 (unica lirica della suite musicale giovanile Accordi inserita in
raccolta), Lonardi ha individuato un possibile collegamento anche tra il
‘movimento’ di sinuoso affondare e risalire delle “ondine trombettiere” (le
“polene”) di Punta del Mesco33 con il componimento Ondine34, nei secondi
Préludes di Debussy.
31
Minstrels (in epigrafe, “da C. Debussy”), con titolo Musica sognata, in Ossi
di seppia, Torino: Gobetti, 1925, venne poi espunta dalle successive edizioni
della raccolta per ricomparire in Accordi & pastelli, Milano: Scheiwiller,
1962; infine (con titolo Minstrels), in Movimenti, Ossi di seppia, in L’opera
in versi, cit., p. 14, note alle pp. 866-67. Si confronti anche, tra le altre poesie
giovanili di Montale non comprese nelle edizioni di Ossi di seppia, Musica
silenziosa, nella sezione Poesie disperse edite e inedite, in L’opera in versi,
cit., p. 760, note a p. 1165. Sulla presenza di Debussy nelle prime liriche di
Montale si veda, in particolare, G. P. Biasin, Il vento di Debussy, in La poesia
di Eugenio Montale, Firenze 1984, cit., pp. 88-106, da cui cito da qui in
avanti (il saggio, con alcune varianti, era già stato pubblicato su la Regione
Liguria, X, 12, dicembre 1982, pp. 39-52; poi in Rivista di Studi Italiani, I,
2, dicembre 1983, pp. 50-72; infine, lo scritto compare come cap. I de Il vento
di Debussy, Bologna: il Mulino, 1985, pp. 9-41).
32
Corno inglese, in Primo Tempo, Prima s., 2, 15 giugno 1922, pp. 35-41,
dove il gruppo: Riviere, Accordi (Sensi e fantasmi di una adolescente), in cui i
sette elementi Violini, Violoncelli, Contrabbasso, Flauti-fagotti, Oboe, Corno
inglese (poi in Movimenti, Ossi di seppia, in L’opera in versi, cit., p. 11,
note alle pp. 864 sg.) e Ottoni, con in calce la didascalia “Unissono fragoroso
d’instrumenti. Comincia lo spettacolo della Vita” (sequenza ristampata su
L’Espresso-Mese, I, 6, ottobre 1960, pp. 88 sg., a cura di G. Spagnoletti; poi
in Accordi & pastelli, cit.). La serie Accordi compare ora nella sezione
Poesie disperse edite e inedite, in L’opera in versi, cit., pp. 765-72, note alle
pp. 1166 sg. Si veda a riguardo, in particolare, Il vento di Debussy, cit., pp.
102-106.
33
Punta del Mesco, vv. 5-8 (“Dal rostro del palabrotto si capovolsero | le
ondine trombettiere silenziose | e affondarono rapide tra le spume | che il tuo
passo sfiorava”) e 17-24 (“Polene che risalgono e mi portano | qualche cosa
di te: un tràpano incide | il cuore sulla roccia – schianta attorno | più forte un
rombo. Brancolo nel fumo, | ma rivedo: ritornano i tuoi rari | gesti e il viso che
aggiorna al davanzale | – mi torna la tua infanzia dilaniata | dagli spari!”
(Punta del Mesco, in Le occasioni, IV, in L’opera in versi, cit., p. 166, note a
p. 920).
174
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
Nelle prime tre strofe di Eastbourne è evidente, a mio avviso, come il poeta
tenti di ricreare dal punto di vista ritmico e tonale, ma anche graficamente,
l’effetto sinergico di sovrapposizione di livelli musicali e ‘impressioni’
paesistiche della prima parte di La mer, in cui la lunga atmosfera di
sospensione è spezzata da rapide accelerazioni ritmiche, in un analogo
parallelo tra il proprio stato d’animo (e, al solito, in Montale, la condizione
umana stessa) e il lento e costante flusso e riflusso delle onde marine.
Dopo la citazione d’apertura dell’inno, infatti, in una sorta di ‘monologo
interiore’ o recitativo solo apparentemente in stile prosastico, nella fitta trama
ritmica composta di alternanze vocaliche, timbriche, rime al mezzo
(imperfette) e pause interne, Montale sviluppa una crescente ‘tensione’ tra sé
e il flusso marino, ricreandone i moti alterni e vicendevoli nella stessa
successione e misura metrica dei versi.
Un effetto icastico e musicale (alquanto differente, anzi antitetico, rispetto a
quello de I fiumi di Ungaretti), per esprimere una condizione anche
esistenziale, dunque, attraverso cui il poeta realizza una ‘strategia’ grafica e
stilistica strettamente funzionale alla maggiore efficacia del messaggio
poetico, per certi aspetti analoga a quella che troverà massima realizzazione
nell’agile e rapida serie di versi spezzati e di differente lunghezza de
L’anguilla35.
Nelle prime tre strofe di Eastbourne, infatti, Montale alterna versi lunghi e
brevi a ricreare proprio l’effetto ‘a strisce’ tanto delle onde marine quanto
della sua stessa situazione esistenziale e biografica; un intento che, arricchito
di significative coincidenze semantiche, è quasi esplicito nella terza strofe, in
cui troviamo “l’onda lunga” (v. 11) in posizione di chiusura di endecasillabo
34
Il riferimento di Montale, come scrive Lonardi, è dunque alle “ondine metà
donne metà pesci”, vale a dire delle “sirene classiche ma in versione nordica”
(G. Lonardi, Il fiore dell’addio: Leonora, Manrico e altri fantasmi del
melodramma nella poesia di Montale, Bologna: il Mulino, 2003, in
particolare p. 154), ma è evidente la volontà di Montale di ‘giocare’ anche con
l’equivoco e l’ambivalenza dei termini, tanto del vocabolo “ondine” (da non
riferirsi, dunque, al mare, ma anche al mare), quanto dell’attributo
“trombettiere”, a indicare non il suono (o, omericamente, il canto) che da esse
proviene, come indica il ‘falso ossimoro’ che segue nello stesso verso 6 dato
da “silenziose”, ma la loro tipica raffigurazione sulle prore dei vascelli (le
“polene che risalgono”, v. 17, in L’opera in versi, cit., p. 166). Scrive,
comunque, Lonardi: “Quanto a Montale e Debussy, non esauriscono certo il
tema gli assaggi fin qui offerti, in libro o in articolo, dalla critica monta liana”
(G. Lonardi, Il fiore dell’addio [...], cit., p. 148, nota 13).
35
L’anguilla, in Silvae, La bufera e altro, V, in L’opera in versi, cit., p. 254,
note a p. 967.
175
FABIO DELUCCHI
(un verso, dunque, ‘lungo’) in opposizione al seguente verso ‘breve’
(quinario) “della mia vita” (v. 12) “a striscio, troppo dolce sulla china”36 (v.
13, un altro endecasillabo) e viene quindi sancito dal chiasmo conclusivo della
strofe e del primo ‘quadro marino’ di Eastbourne (vv. 14-15), in cui ai
“fragori” che “si distendono” (v. 14), in posizione finale di endecasillabo,
segue la chiusura ossimorica in verso breve (settenario): “si chiudono in
sordina”37.
A ben vedere, le analogie di Eastbourne con le altre liriche ‘debussyane’ di
Montale, Corno inglese38, in particolare, ma anche Minstrels e Punta del
Mesco, seppure, ovviamente, in modalità e con stili alquanto diversi tra loro,
sono molteplici; a iniziare proprio dalle allusioni a strumenti39 e motivi
36
Si confronti, in particolare, il v. 13 di Giunge a volte, repente… (“Mia vita è
questo secco pendio”), in Mediterraneo, Ossi di seppia, in L’opera in versi,
cit., p. 55, note a p. 877.
37
Eastbourne, v. 15, in L’opera in versi, cit., p. 171. Anche questo
procedimento di opposizione dei campi semantici di lunghezza e brevità, a
indicare il contrasto tra natura e vita, è uno stilema montaliano ricorrente, per
cui ricordo, su tutti, il caso del delicatissimo componimento del 1926 Dolci
anni di lunghe rifrazioni… [Destino di Arletta, nel manoscritto conservato da
Luciano Rebay], vv. 1-4: “Dolci anni di lunghe rifrazioni | illuminano i nostri
ultimi, sommersi | da un fiotto che straripa, | anni perduti” (in Poesie disperse
edite e inedite, in L’opera in versi, cit., p. 781, note a p. 1168).
38
Si veda, in particolare, la lettura di Gian Paolo Biasin di Corno inglese (G.
P. Biasin, Il vento di Debussy, cit., pp. 102-06), il quale nella lirica, definita
“ancora più debussyana di Minstrels”, ipotizza un riferimento alla terza parte
di La mer, Le dialogue du vent et de la mer (Il vento di Debussy, cit., pp.
102-03). Per un’ulteriore analisi di Corno inglese e un approfondimento della
linea Debussy-d’Annunzio esplicitamente tracciata in diverse occasioni da
Montale si veda anche la lettura di P. V. Mengaldo, Corno inglese e Alcyone,
in “Per la cultura linguistica di Montale: due restauri”, in Studi in memoria
di Luigi Russo, Pisa: Nistri-Lischi, 1974, pp. 478-504. Ricordo, a riguardo,
quanto lo stesso Montale, non senza buoni motivi, rivendicava: “Credo che la
mia poesia sia stata la più ‘musicale’ del mio tempo (e di anche prima). Molto
più di Pascoli e di Gabriele. Non pretendo con questo di aver fatto di più e
meglio. La musica è stata aggiunta, a d’Annunzio, da Debussy” (Ho scritto un
solo libro [Intervista di Giorgio Zampa, 1975], in Interviste, nella sezione
Monologhi, colloqui de Il secondo mestiere. Arte, musica, società, cit., pp.
1720-1725: 1721).
39
Oltre alla presenza del contrastato parallelo “io”-mare, troppo ampia nella
lirica di Montale per essere ricondotta a uno specifico modello o autore di
riferimento, si noti, in particolare, come la presenza del termine “trombe”, con
valenza sonora e visiva (quindi, emotiva), accomuni le liriche citate; in
176
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
musicali fittamente intrecciati e sovrapposti agli elementi naturali che, di tali
suoni, si fanno appunto corrispettivo, per lo più per via di negazione,
stabilendo una sorta di ‘dolce’ discordanza con gli alterni stati d’animo del
poeta.
Significativo, inoltre, può essere l’analogo procedimento in Minstrels e in
Eastbourne di porre in apertura di verso dopo un termine del verso precedente
in posizione isolata la ‘formula’ “tu pure”40, creando così una sospensione
particolare, in Corno inglese, che su tale relazione è interamente costruita, i
vv. 10-13 (“e il vento che scaglia a scaglia | livido, muta colore, | lancia a terra
una tromba | di schiume intorte”, in L’opera in versi, cit., p. 11); si è già
visto, inoltre, l’attributo “trombettiere” per le “ondette” di Punta del Mesco
(v. 6, in L’opera in versi, cit., p. 166), mentre in Eastbourne, in accezione più
tradizionale, lo squillo di “trombe” introduce l’ampia sequenza ‘paesistica’,
tipicamente inglese, delle prime tre strofe; in Minstrels, l’immagine era resa,
in forma evidentemente teatrale, dall’ampia perifrasi ai vv. 3-10 (“Acre
groppo di note soffocate, | riso che non esplode | ma trapunge le ore vuote | e
lo suonano tre avanzi di baccanale | vestiti di ritagli di giornali, | con
istrumenti mai veduti, | simili a strani imbuti | che si gonfiano a volte e poi
s’afflosciano”, in L’opera in versi, cit., p. 14). Le “trombe” compaiono anche
al v. 16 di Caffè a Rapallo (in Poesie per Camillo Sbarbaro, I, in Movimenti,
Ossi di seppia, in L’opera in versi, cit., p. 15, note a p. 867), in cui, oltre alle
“nuove Sirene” (v. 10) che potrebbero rivelare già un collegamento con la
musica di Debussy (come si è visto per Punta del Mesco), ai vv. 13-18 è
l’unico precedente in Ossi di seppia dell’immagine caotica di festa (parata)
che ritroveremo poi, in un clima di guerra imminente, in Eastbourne: “S’ode
grande frastuono nella via. || È passata di fuori | l’indicibile musica | delle
trombe di lama | e dei piattini arguti dei fanciulli: | è passata la musica
innocente”; musica, si noti, a cui segue un moto enfatico inserito,
significativamente, tra parentesi “(meraviglioso udivo)” (v. 33) analogamente
a quanto avviene proprio in Eastbourne, ai vv. 38-39 “ed io in ascolto | (mia
patria!)” (in L’opera in versi, cit., p. 171).
40
Minstrels, vv. 22-25: “Bruci | tu pure tra le lastre dell’estate, | cuore che ti
smarrisci! Ed ora incauto | provi le ignote note sul tuo flauto” (in L’opera in
versi, cit., p. 14); si confrontino i vv. 19-23 di Eastbourne: “E vieni | tu pure
voce prigioniera, sciolta | anima ch’è smarrita, | voce di sangue, persa e
restituita | alla mia sera” (in L’opera in versi, cit., p. 170). È evidente da
questo raffronto come, in costruzioni analoghe, il poeta evolva da una lirica
strettamente intimista e soggettiva a una forma di ‘dialogo’ con la figura
femminile, sia pure assente, arricchendo anche il tema musicale di molteplici
motivi letterarî e esistenziali.
177
FABIO DELUCCHI
ritmica e un raccordo tra due strofe che prelude al disvelamento del motivo
sotteso a tutta la lirica (quantomeno alla prima parte, in Eastbourne).
Se nella lettera del 22 maggio 1964 a Silvio Guarnieri 41, come è noto, lo
stesso poeta contribuì a chiarire alcuni importanti aspetti della poesia, in
particolare riaffermando l’importanza del periodo biografico in cui il viaggio
e la successiva composizione si collocavano 42  senza però risolvere, al solito,
gli aspetti di voluta equivocità della poesia, peraltro ad essa connaturati e
necessari alla sua efficacia , l’identificazione ormai certa del lussuoso
“albergo” di Eastbourne (v. 25) con il monumentale Queen’s Hotel43 permette
anche ulteriori ‘illuminazioni’, o chiarimenti, riguardo quello che Contorbia,
come si è visto all’inizio di questo scritto, definisce lo “‘spazio’ fisico” di
Eastbourne in cui il poeta si trovò a vivere la sua (intimamente, o a posteriori)
intensa giornata di festa in terra inglese.
Montale, dunque, presumibilmente dalle vetrate44 del Queen’s Hotel, udì lo
‘squillo’ delle “trombe” che intonavano l’inno nazionale inglese (Eastbourne,
41
In L. Greco, Montale commenta Montale, Parma: Pratiche, 1980 (n. ed.,
1990) da cui cito da qui in avanti, p. 47.
42
Scriveva, come è noto, il poeta: “Caro Silvio, | ti rispondo in ritardo, e
perciò forse inutilmente. Bank Holiday. Il soggetto è quel ferragosto. ‘L’onda
lunga a striscio’ è quell’onda che torna dopo la bassa marea. ‘Dolce sul
pendio’ come anche la mia vita in quegli anni (1933), ‘dolce’ ma insidiata.
‘Mia patria!’ è my fatherland, l’inno. Il giorno è folto di cose e di memorie.
La voce è il solito messaggio dell’assente-presente. La festa non ha pietà
perché non cancella il vuoto, il dolore ecc. Nella plaga, in quel tramonto.
Scende la sera” (Montale commenta Montale, cit., p. 47).
43
Il Queen’s Hotel, edificio monumentale inaugurato nel 1880, assunse anche
un valore simbolico per gli abitanti di Eastbourne, segnando il confine tra il
centro, commerciale, turistico e residenziale, e le abitazioni della working
class, prevalentemente pescatori, del versante orientale. Un detto locale, in
uso almeno fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale, recitava che
“nessuna lady sarebbe dovuta andare a est del Queen’s Hotel”.
44
Ricordo il celebre passo di Intenzioni (Intervista immaginaria): “In sostanza
non mi pare che il nuovo libro contraddicesse ai risultati del primo: ne
eliminava alcune impurità e tentava di abbattere quella barriera fra interno ed
esterno che mi pareva insussistente anche dal punto di vista gnoseologico” (in
Il secondo mestiere. Arte, musica, società, cit., p. 1482). Scrive, a riguardo
dell’elemento della ‘finestra’ nella poesia di Montale, Bertone: “Alla finestra
vista da un interno della stanza, alla finestra che fin dagli inizi (nella pittura
nordica) è stato il tramite dell’invenzione del paesaggio, e che è tramite tra
dentro e fuori, privato e pubblico, umano e naturale, tra finito e infinito […]
Montale sa imprimere una bella evoluzione” (G. Bertone, Lo sguardo
escluso. L’idea di paesaggio nella letteratura occidentale, presentazione di
178
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
v. 1) giungere dal Pier di Eastbourne (il “padiglione erto su palafitte”, v. 2),
secondo la realtà poetica (più probabilmente, il suono proveniva dal
‘Birdcage’ bandstand, chiosco lungo la passeggiata a mare dove si esibiva,
tradizionalmente, la banda militare britannica)45, e annunciare il farsi del
giorno che egli stesso, con un efficacissimo procedimento di
‘sovrapposizione’ memoriale e coordinazione temporale di eventi tra loro
successivi (quale ritroveremo, portato ai massimi risultati, in Mottetti),
coglieva nel “guizzo” luminoso del sole del mattino che “accende i vetri” (v.
8) e “risplende” (v. 10) nel “candore di mica delle rupi”46 (v. 9): “rupi”
identificabili proprio con il bianco promontorio roccioso di natura calcarea
G. L. Beccaria, Novara: Interlinea, 2000, pp. 250 sg.); i casi più noti, in Ossi
di seppia, quindi prima della ‘caduta delle barriere’ di Le occasioni, sono
riscontrabili in: Caffè a Rapallo, vv. 3-5 (“velato | tremore di lumi oltre i
chiusi | cristalli”) e Quasi una fantasia, vv. 1-4 (“Raggiorna, lo presento | da
un albore di frusto | argento alle pareti: | lista un barlume le finestre chiuse”),
in Movimenti; Tentava la vostra mano la tastiera…, vv. 7-10 (“bruiva | oltre i
vetri socchiusi la marina chiara”), nella sezione Ossi di seppia (risp., in
L’opera in versi, cit., pp. 15, 18 e 42, note alle pp. 867 e 875). Lo stesso
oggetto della porta girevole, si vedrà in seguito, svolge la funzione di
annullamento, sovrapposizione e ‘sconvolgimento’ delle barriere tra interno e
esterno.
45
Ricordo che Montale, il quale, in Eastbourne, si ‘allea’ con il nemico
dell’Italia fascista, vale a dire l’Inghilterra, proprio negli anni in cui compose
la lirica e, per esattezza, nel 1935, fu richiamato alle visite militari; si vedano,
a proposito, le lettere a Lucia Rodocanachi del gennaio-febbraio 1935 (in
Lettere a Lucia Rodocanachi, cit., pp. 154-56), del 1° maggio 1940 (in
Lettere a Lucia Rodocanachi, cit., p. 262), in occasione della seconda visita
militare, e del 18 aprile 1941 (in Lettere a Lucia Rodocanachi, cit., p. 294),
in cui il poeta comunica il definitivo esonero per motivi di salute (“sono
FREE!”). Della vicenda dà notizia anche G. Zampa, in Cronologia, in E.
Montale, Tutte le poesie, a cura di G. Zampa, Milano: Mondadori, 1984, p.
LXXI. Presso il bandstand di Eastbourne nei giorni di festività si esibiva
tradizionalmente l’orchestra militare, che, in chiusura di ogni esibizione,
intonava l’inno nazionale inglese, come è possibile trovare indicato nei
programmi dell’epoca. Il “Birdcage” bandstand, costruito nel 1894, fu
demolito nel 1934 e l’estate seguente, il 5 agosto 1935, venne inaugurato il
nuovo bandstand, costituito da un chiosco semicircolare in marmo con cupola
in stile bizantino ricoperta da una piastrellatura di colore blu, platea e due
gradinate sovrapposte, anch’esse in marmo e con colonnati, quale si presenta
ancora oggi.
46
Eastbourne, in L’opera in versi, cit., p. 170.
179
FABIO DELUCCHI
Beachy Head 47, che, analogamente alla scura e irta Punta del Mesco a
Monterosso, delimita il versante occidentale della baia di Eastbourne ed è,
quindi, situato dirimpetto al sorgere del sole, ai raggi del quale, come il poeta,
in una sorta di moto ‘shakespeariano’48, insieme fisico e allegorico, esso
sembra riscaldarsi e provare sollievo.
47
Un suggestivo scherzo della toponomastica (di cui, comunque, non è traccia
nell’opera di Montale) vuole che a occidente del capo di Beachy Head si
trovino le Seven Sisters, sei promontorî rocciosi a strapiombo sul mare
tutt’oggi difficilmente accessibili sui quali però, a differenza di quanto è
avvenuto nelle Cinque Terre, l’uomo non è riuscito a fissare i propri
insediamenti.
48
Il particolare effetto, volutamente ‘ambiguo’, è dato, in particolare, dal
pronome personale “ne”, a precedere il verbo “risplende” (v. 10), suggerendo
così una complicità che conferisce al “calore di mica delle rupi” (v. 9) una
funzione attiva e, quindi, una connotazione, oltre che di dinamica fisica, anche
allegorica, quasi umanizzata, secondo un procedimento analogo a quello che
si ritroverà, in particolare, nel Sonetto XXXIII di Shakespeare, tradotto da
Montale in un’epoca pressoché contemporanea, o di poco successiva, alla
composizione di Eastbourne, peraltro in un’altra suggestiva immagine
mattutina: “Spesso, a lusingar vette, vidi splendere | sovranamente l’occhio
del mattino, | e baciar d’oro verdi prati, accendere | pallidi rivi d’alchimie
divine” (Sonetto XXXIII, in Quaderno di traduzioni, in L’opera in versi, cit.,
p. 712, note a p. 1155). Nella quartina successiva seguirà un mutamento
meteorologico e tematico dietro il quale è chiaramente ravvisabile l’allegorica
presenza della figura lontana nel quadro paesistico, in modo non dissimile da
quanto, vedremo, avviene anche in Eastbourne: “Poi vili fumi alzarsi,
intorbidata | d’un tratto quella celestiale fronte, | e fuggendo a occidente il
desolato | mondo, l’astro celare il viso e l’onta” (Sonetto XXXIII, vv. 5-8, in
Quaderno di traduzioni, in L’opera in versi, cit., p. 712). Si vedano, a
riguardo di questa versione di Montale, gli ormai celebri studi di M. P.
Musatti, “Montale traduttore: la mediazione della poesia”, in Strumenti
critici, 41, febbraio 1980, pp. 122-48: 130-35) e R. M. Toulmin,
“Shakespeare ed Eliot nelle versioni di Eugenio Montale”, in Belfagor,
XXVI, 1, 31 gennaio 1971, pp. 453-71: 453-59. La versione del Sonetto
XXXIII (Spesso, a lusingar vette, vidi splendere…) compare a stampa per la
prima volta, con la versione del Sonetto XXII (Allo specchio, guardandomi,
mi credo…), in Città, 7 dicembre 1944, dove il gruppo Motivi, in cui anche
Serenata indiana (poi in Finisterre, La bufera e altro, in L’opera in versi,
180
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
Dal prospetto del Queen’s Hotel, dunque, da una stanza affacciata sulla
passeggiata a mare della cittadina (la Marine Parade, dove si trova l’albergo, e
la contigua Grand Promenade) o dalle ampie vetrate del salone principale
dell’albergo, il poeta poteva avere una visuale panoramica completa del golfo,
dal lontano dissolversi della costa del Sussex sul lato orientale fino al
promontorio occidentale di Beachy Head, mentre di fronte a sé, divisa in due
dal maestoso Pier su cui si erigono imponenti baldacchini in stile baroccobizantino, si stendeva la lunga spiaggia dorata di Eastbourne sulla cui “china”
scavata dalla marea egli poteva vedere delineate le tracce del “dolce” (v. 13)
declinare della propria vita, “a striscio”, come le differenti gradazioni di
colore disegnate dall’acqua sulla rena, e destinata a chiudersi nel silenzio (“in
sordina”, v. 15): suggestivi effetti anche visivi, come si è visto in precedenza,
magistralmente ricreati dal poeta nelle prime tre strofe della lirica attraverso
l’alternanza di endecasillabi, settenarî (vv. 4, 7, 8 e 15), quinarî (vv. 6 e 12) e
un quaternario (v. 10).
In seguito al primo ‘tempo’ di Eastbourne (vv. 1-15) e dopo la prima
visione, in certo senso ‘tradizionale’ per la lirica di Montale e chiaramente
arlettiana (la “voce di sangue” del v. 22)49, ai vv. 16-23, preannunciata
dall’apparizione di “figure” reali, mute e schierate in fila lungo la passeggiata
a mare che dal Queen’s Hotel giunge fino ai piedi di Beachy Head come in
una cornice purgatoriale dantesca (sul modello, in particolare, di Punta del
Mesco)50, si apre la parte più intensa e ‘nuova’ della poesia, nella quale al
cit., p. 193, note a p. 941); poi, con Sonetto XXII, in Poeti antichi e moderni
tradotti da lirici nuovi, a cura di L. Anceschi e D. Porzio, Milano: Il
Balcone, 1945, p. 55); poi, con Sonetto XXII e Sonetto XLVIII (Con che
animo, partendo, li ho rinchiusi…), nel gruppo Motivi, in L’Immagine, I, 2,
giugno 1947, pp. 109-15, dove anche Una voce giunta con le folaghe (poi
Voce giunta con le folaghe…, in La bufera e altro, in L’opera in versi, cit., p.
250, note a p. 966) e il facsimile de Il sole d’agosto trapela appena… (poi in
Poesie disperse, in L’opera in versi, cit., p. 782, note a p. 1170); infine, in
Quaderno di traduzioni, Milano: Edizioni della Meridiana, 1948 (poi
Milano: Mondadori, 1975), ora in L’opera in versi, cit., p. 712, note alle pp.
1154 sg.
49
Eastbourne, in L’opera in versi, cit., p. 170.
50
“Vanno su sedie a ruote i mutilati, | li accompagnano cani dagli orecchi |
lunghi, bimbi in silenzio o vecchi. (Forse | domani tutto parrà un sogno)”
(Eastbourne, vv. 18-19, in L’opera in versi, cit., p. 170). Di un’analoga
funzione in Punta del Mesco sono incaricati i “curvi spaccapietre” (v. 16, in
L’opera in versi, cit., p. 166). Per una profonda e articolata analisi di
181
FABIO DELUCCHI
ritmo piano e descrittivo delle prime strofe segue, parallelamente al farsi del
giorno, un altro ‘gioco’ di rifrazioni più intenso e frammentato quale è, di
fatto, lo stile stesso delle strofe centrali del componimento, VI e VII (vv. 2437), in cui la fitta trama di endecasillabi è interrotta, tutt’altro che
casualmente, solo da due settenarî (vv. 25 e 35)51.
Il poeta, quindi, è ora pienamente coinvolto dentro il quadro della caotica
giornata festiva, in un alterno “carosello” (v. 27) di moti identificativopatriottici (“ed io in ascolto | (‘mia patria!’) riconosco il tuo respiro, | anch’io
mi levo”, vv. 28-30)52, agnizioni e disillusioni che lo sovrasta e sgomenta (vv.
24-30)53, quasi a preannunciare dantescamente la comparsa della donna
beatrice (che in Eastbourne, però, rimarrà ancora celata nelle tenebre).
Nella decisa svolta tematica e stilistica della seconda parte della lirica, in
particolare, assolve un ruolo strutturalmente e figurativamente determinante
(ma anche fondamentale dal punto di vista interpretativo, come vedremo) il
parallelo instaurato dalla preposizione dal valore avverbiale, comparativo e
temporale (idealmente, coordinante) “Come” ai vv. 24-25 (“Come lucente
muove sui suoi spicchi | la porta di un albergo”)54, chiaramente sviluppato su
Eastbourne in relazione ai canti XV e XVI del Purgatorio si veda R. Leporatti,
Eastbourne, cit., pp. 96 sgg.
51
I due versi, infatti, rimarcano la funzione centrale dell’oggetto (v. 25, “la
porta di un albergo”) e del tema più profondo e centrale della lirica, vale a dire
il rinnovarsi del male (ovvero, l’assenza di “pietà”) nell’uomo e nella storia
(Eastbourne, v. 35, [la festa] “non ha pietà. Rimanda”), stabilendo così un
diretto collegamento anche tematico con il canto XV del Purgatorio, in
particolare con l’episodio del martirio di Santo Stefano a opera dei Giudei,
terza visione di mansuetudine (“Poi vidi genti accese in foco d’ira | con pietre
un giovinetto ancider, forte | gridando a sé pur: ‘Martira! martira!’. | E lui
vedea chinarsi, per la morte | che l’aggravava già, inver’la terra, | ma de li
occhi facea sempre al ciel porte, | orando a l’alto Sire, in tanta guerra, | che
perdonasse a’ suoi persecutori, | con quello aspetto che pietà disserta”, Purg.,
vv. 106-14) e prefigurando il motivo più profondamente cliziesco e
brandeisiano del sacrificio.
52
In L’opera in versi, cit., p. 170.
53
Eastbourne, vv. 14-30: “m’agita un carosello che travolge | tutto dentro il
suo giro; ed io in ascolto | (‘mia patria!’) riconosco il tuo respiro, | anch’io mi
levo e il giorno è troppo folto” (in L’opera in versi, cit., pp. 170 sg.).
54
In L’opera in versi, cit., p. 170. Analoghe immagini di ‘rispondenze’
luminose nella poesia di Montale sono anche, ad esempio, nelle liriche “a
ispiratrici con-fuse” (DE Caro, Journey to Irma. Parte prima, Irma, un
“romanzo”, cit., p. 97) Sotto la pioggia, vv. 8-9 (“Raggia vermiglia | una
tenda, una finestra si rinchiude. | Sulla rampa materna ora cammina, | guscio
d’uovo che va tra la fanghiglia, | poca vita tra sbatter d’ombra e luce”) e Costa
182
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
un’immagine dantesca55, tra il movimento circolare e luminoso della “porta”
girevole (a “spicchi”, v. 24) dell’“albergo” e il successivo sovrapporsi di
livelli emotivi, metafisico-conoscitivi e memoriali in cui le barriere tra la
realtà esterna e l’intimità del poeta sembrano davvero cedere e i due piani
ricongiungersi, per poi mostrarsi, invece, nei versi immediatamente
successivi, inesorabilmente distanti e risolversi in un unico destino56.
La “porta”, quindi, ‘agisce’ da fulcro e termine di riferimento, sia reale che
figurativo, rispetto all’evolvere stilistico e tematico della lirica, divenendo il
corrispettivo del ‘vortice’ emozionale e fisico (il “carosello che travolge | tutto
dentro il suo giro”, vv. 27-28) che causa lo smarrimento del poeta e introduce
perentoriamente l’immagine del caotico ‘svolgimento’, appunto, della “festa”
San Giorgio, vv. 1 e 4-5 (“Un fuoco fatuo impolvera la strada”; “Risponde
un’altra luce e l’ombra attorno | sfarfalla, poi ricade”, in Le occasioni, IV, in
L’opera in versi, cit., risp. pp. 165 e 167, note alle pp. 919 sgg. Si ricordi,
inoltre, che Corrispondenze (ora in Le occasioni, IV, in L’opera in versi, cit.,
p. 172, note alle pp. 923 sg.), poesia su cui si tornerà in seguito, fu pubblicata
con Eastbourne sul numero di Letteratura, I, 1, del gennaio 1937 (pp. 2931).
55
Nel canto XV del Purgatorio, come è noto, Virgilio illustra a Dante il
fenomeno della rifrazione dei raggi luminosi, legge ‘fisica’ atta a dimostrare
una verità religiosa e morale, data dall’identificazione di “luce” e “amore”; si
vedano, in particolare, i vv. 67-69 e 75, da cui Montale, evidentemente, deriva
i vv. 24-25 della sua lirica: “Quello infinito e ineffabil bene | che là su è, così
corre ad amore | com’a lucido corpo raggio vene. | Tanto si dà quanto trova
d’ardore; | sì che, quantunque carità si stende, | cresce sovr’essa l’etterno
valore. | E quanta gente più là su s’intende, | più v’è da bene amare, e più vi
s’ama, | e come specchio l’uno a l’altro rende” (Purg., XV, vv. 67-75). Nel
verso 77, quindi, Virgilio annuncia a Dante la venuta di Beatrice, la cui
luminosità divina è sottesa e si emana in tutto il canto, preludio alla salita al
Paradiso. Dall’espressione dantesca, con termini quali “raggio”-“raggi” (ai vv.
7, 17, 69 e 141) e l’immagine della “luce rifratta” (in Purg., XV, v. 22), può
derivare, dunque, anche il “raggio” del v. 26 di Eastbourne, nuova ‘rifrazione’
in cui è ripreso il motivo del “guizzo” che “accende i vetri”, al v. 8 della
stessa lirica.
56
“Tutto apparirà vano: anche la forza | che nella sua tenace ganga aggrega | i
vivi e i morti, gli alberi e gli scogli | e si svolge da te, per te. La festa | non ha
pietà” (Eastbourne, vv. 31-35, in L’opera in versi, cit., p. 171). Sarebbe,
ovviamente, riduttivo ripercorrere in questa sede il tema del progressivo
annullamento delle barriere tra morte e vita, fino al capovolgimento delle due
condizioni, nella poesia di Montale, uno dei temi massimi e di maggior
efficacia della sua produzione lirica, di La bufera e altro in particolare.
183
FABIO DELUCCHI
(v. 34), “dispiega”57 (v. 36) “una bontà senz’armi” (v. 37) e si mostra, infine,
quale principale ‘correlativo’ della catena di dolore e necessità che tutto
travolge; un parallelo sancito e ‘risolto’, in termini assoluti, nel primo dei due
versi isolati della parte conclusiva della lirica, proprio nell’immagine
archetipica della “ruota”58 (al solito, in Montale, con valenza sia storica che
metafisica): “Vince il male… La ruota non s’arresta”59 (v. 38).
Lo stesso Montale, nella lettera del 1° novembre 1945 a Gianfranco Contini,
riguardo alla porta d’albergo di Eastbourne, precisava:
57
Il verbo, in realtà, è in forma riflessiva (“si dispiega”), con dislocazione del
soggetto, in posizione, dunque, rimarcata (linguisticamente, rematica), ma
anche ‘ambigua’: vale a dire, con possibile valenza di complemento oggetto in
una lettura impersonale del predicato verbale. Si noti, ancora una volta,
l’utilizzo di un verbo che indica l’evolversi di un’azione, in questo caso, per
via lineare, come nelle prime strofe (in opposizione, dunque, ai termini
indicanti movimenti ‘circolari’ e avvolgenti delle strofe centrali, che proprio
con il verbo «si dispiega», al v. 36, si avviano alla soluzione metafisica e
gnoseologica dei vv. 38 e 39).
58
Si veda, a riguardo, la ricchissima campionatura e analisi di “archetipi”
ricorrenti nella poesia di Montale, tra i quali ampio spazio è riservato proprio
all’analisi degli oggetti sferici (con il ricorrente riferimento alle teorie
junghiane) in M. J. Meyanud, “Oggetti e archetipi nella poesia di Eugenio
Montale dagli Ossi” a La bufera”, in La poesia di Eugenio Montale,
Firenze: 1984, cit., pp. 21-87: 39-50 e 68-85. Uno dei casi più ‘oscuri’ e
complessi dell’immagine della “Ruota” nella poesia di Montale sarà in una
lirica di molti anni successiva rispetto a Eastbourne, ‘Ezekiel saw the
Wheel…’ (in Silvae, La bufera, in L’opera in versi, cit., p. 247, note a p.
965), in cui Clizia, egualmente presente, è entità ormai oscurata e ‘sepolta’ nel
passato, ma il cui ricordo, con quello di Annetta (e, forse, anche della madre
morta) emerge a distanza di anni, in particolare nell’immagine della “Ruota
minacciosa”, al v. 26, che il poeta stesso definì “un simbolo di sofferenza”
(lettera a Silvio Guarnieri del 29 aprile 1964, in L. Greco, Montale
commenta Montale, cit., p. 43). Anche in Eastbourne, dunque, analogamente
a quanto avviene in ‘Ezekiel saw the Wheel…’, i simboli sferici sono
molteplici: “sedia a ruote” (v. 16); la “porta” girevole che “muove sui suoi
spicchi” (vv. 24-25); “carosello” (v. 27); “giro” (v. 28); “svolge” (“da te, per
te”, a indicare un movimento in sé finito e ‘concluso’, v. 34) e, appunto,
“ruota” (v. 38).
59
Eastbourne, v. 38, in L’opera in versi, cit., p. 171.
184
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
Lo spicchio indica quelle porte girevoli nelle quali uno rischia di tornare
indietro se non esce in fretta: divise in quattro garitte60.
Il particolare fisico della porta girevole, perciò, è elemento centrale
dell’intera lirica non solo per il particolare gioco dantesco di rifrazione dei
raggi luminosi61, come già rimarcava Isella62, ma anche perché in quel
perentorio movimento avvolgente il poeta riconosce la stessa natura di
necessità e flusso vitale (quindi, di morte) delle prime strofe, ove essa si
manifestava, su un piano ‘lineare’, in maniera più “dolce”, ma egualmente
dolorosa.
È adesso possibile illuminare un ulteriore dettaglio del reale spazio fisico in
cui si svolge la lirica montaliana e riconoscere nella “porta” a “spicchi” dei
vv. 24-25 di Eastbourne proprio la porta d’ingresso del Queen’s Hotel, in
legno e divisa “in quattro garitte” (non automatica) come ancora oggi si
presenta, ad arricchire ulteriormente la suggestiva immagine del
‘corrispondersi’ di due porte che, da oggetto estraneo e minaccioso,
divengono una sorta di neostilnovistica personificazione degli amanti, i quali,
minacciati agli opposti angoli della terra dal clima della nuova guerra
incombente, soli e separati (dall’oceano, e dalla storia), intrappolati in una
realtà caotica e vana, pure riescono, in un turbine di sentimenti, a
60
Precisava, inoltre, Montale all’amico Contini, il quale gli chiedeva alcuni
chiarimenti per la traduzione francese di Eastbourne, riguardo ai vv. 24-25:
“può darsi che tournants [il corsivo è mio] vada bene” (in Eusebio e
Trabucco. Carteggio di Eugenio Montale e Giafranco Contini, cit., p.
127). Una simile visione (quale riportata nell’estratto sopra nel testo) fatale e
“minacciosa” da parte del poeta dell’oggetto in qualche maniera automatico
sembra quindi anticipare la successiva ‘demonizzazione’ degli oggetti
meccanici incontrati da Montale nel suo secondo viaggio inglese (del 1948),
per cui ricordo, in particolare, le scale mobili, indicate con una metonimia
chiaramente infernale (“sui gradini automatici che slittano in giù…”), di Di un
natale metropolitano, v. 12 (in ‘Flashes’ e dediche, in La bufera e altro, IV, in
L’opera in versi, cit., p. 224, note a p. 958), e poi ampiamente presenti, come
è noto, nei componimenti confluiti in Satura e nelle successive raccolte.
61
Si veda la nota relativa ai vv. 24-25 di Eastbourne nella pagina precedente.
62
Scrive Isella sulla seconda parte di Eastbourne, inaugurata proprio dai vv.
24-25: “Fino a che, propiziato e accompagnato da nuovi guizzi luminosi (i
vetri razzanti delle porte girevoli di qualche albergo), il processo di recupero
tocca, al suo ultimo stadio, la ‘vertigine’ dei mistici” (Le occasioni, a cura di
D. Isella, cit., pp. 175 sg.).
185
FABIO DELUCCHI
‘riconoscersi’63 e comunicare:  “risponde un’altra e le rivolge un raggio”64 –
(v. 26).
Dal ‘movimento’ della porta del Queen’s Hotel, quindi, Montale sviluppa
l’accelerazione ritmica della poesia e, soprattutto, il tramite evocativo e di
‘contatto’ con l’assente, la figura nuova che si affaccia sulla sua opera poetica
ormai identificabile, anche in Eastbourne, con Irma Brandeis (Clizia), la
quale, ricorda De Caro65, in un suo stesso racconto di poco precedente alla
composizione montaliana, A Lady Alone66, si raffigurava sola e smarrita nella
hall di un grande albergo newyorkese, affascinata e turbata insieme dal dolce
carosello, visivo e sonoro, delle porte girevoli d’ingresso, ch’ella rendeva,
sortendo un effetto comunque suggestivo e sensuale, con una ben più agevole
e immediata tecnica onomatopeica: “the soft swoosh-swoosh of the revolving
entrance”67.
63
Alludo, ovviamente, al v. 29: “Riconosco il tuo respiro” (Eastbourne, in
L’opera in versi, cit., p. 170).
64
In L’opera in versi, cit., p. 170. In particolare, si confrontino i vv. 24-26 di
Eastbourne con l’apertura di Corrispondenze, poesia che, pubblicata insieme
a Eastbourne, come si è visto, nella sezione IV di Le occasioni occupa la
posizione immediatamente successiva, a creare un’atmosfera di crescente
sospensione e attesa per la ‘nuova’ figura, presentita ma non ancora
pienamente rivelatasi nel suo fulgore (un’attesa di Irma-Clizia che, seppure di
diversa natura e nata in anni e in un contesto molto diversi, nello svolgimento
della raccolta è magistralmente ricreata nella sezione II, Mottetti): “Or che in
fondo un miraggio | di vapori vacilla e si disperde, | altro annunzia, tra gli
alberi, la squilla | del picchio verde” (Corrispondenze, vv. 1-4, in Le
occasioni, IV, in L’opera in versi, cit., p. 172, note alle pp. 923-24).
65
Si veda P. De Caro, Journey to Irma [...], cit., pp. 96-97.
66
Lo scritto di I. Brandeis, A Lady Alone, è ora, sia in versione originale che
in traduzione (Una signora sola), in Appendice (I racconti di Irma) a P. De
Caro, Journey to Irma [...], cit., pp. 356 sg.
67
I. Brandeis, A Lady Alone, in Journey to Irma […], cit., p. 360.
186
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
APPENDICE
1. Eastbourne, Marine Parade e Queen’s Hotel, fine Ottocento. Inaugurato nel
1880, il Queen’s Hotel divideva simbolicamente il centro cittadino e
residenziale dalla zona popolare, abitata prevalentemente da pescatori. Una
leggenda locale vuole che, almeno fino agli anni Trenta e Quaranta, “nessuna
fanciulla sarebbe dovuta andare a est del Queen’s Hotel”.
187
FABIO DELUCCHI
2. Eastbourne, Grand Parade e Pier Theatre, fine Ottocento.
188
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
3. Eastbourne, Grand Parade e The ‘Birdcage’ bandstand, 1912. Presso il
bandstand di Eastbourne nei giorni di festività si esibiva tradizionalmente
l’orchestra militare, che, in chiusura di ogni esibizione, intonava l’inno
nazionale inglese, come è possibile trovare indicato nei programmi dell’epoca.
Costruito nel 1894, fu demolito nel 1934 e l’estate seguente, il 5 agosto 1935,
venne inaugurato il nuovo ‘bandstand’, costituito da un chiosco semicircolare
in marmo con cupola in stile bizantino ricoperta da una piastrellatura di colore
blu, platea e due gradinate sovrapposte, anch’esse in marmo e con colonnati,
quale si presenta ancora oggi.
189
FABIO DELUCCHI
4. Eastbourne, 1931; l’LZ 127 Graf Zeppelin sorvola la costa meridionale
inglese. Fotografia di George Rogers Clark.
190
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
5. Eastbourne, Queen’s Hotel e Marine Parade, 2009.
“Bank Holiday… Riporta l’onda lunga | della mia vita | a striscio, troppo
dolce sulla china. | Si fa tardi, i fragori si distendono, | si chiudono in sordina”
Eastbourne, vv. 11-15 (Le occasioni)
191
FABIO DELUCCHI
6. Queen’s Hotel, la porta girevole d’ingresso, 2009.
“Come lucente muove sui suoi spicchi | la porta di un albergo | risponde
un’altra e le rivolge un raggio | m’agita un carosello che travolge | tutto dentro
il suo giro” Eastbourne, vv. 24-28
192
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
7. Eastbourne, 2009; spiaggia e vista di Beachy Head, promontorio calcareo
che delimita l’estremità occidentale del golfo della cittadina inglese, visibile
anche dalle ampie vetrate del prospetto del Queen’s Hotel.
“Freddo un vento m’investe | ma un guizzo accende i vetri | e il candore di
mica delle rupi | ne risplende” Eastbourne, vv. 7-8
193
FABIO DELUCCHI
8. Eastbourne, verso Beachy Head, 2009.
“Vanno su sedie a ruote i mutilati, | li accompagnano cani dagli orecchi |
lunghi, bimbi in silenzio o vecchi. (Forse | domani tutto parrà un sogno). | E
vieni | tu pure voce prigioniera, sciolta anima ch’è smarrita, | voce di sangue,
persa e restituita | alla mia sera” Eastbourne, vv. 16-23
194
MONTALE A EASTBOURNE:
LA PORTA GIREVOLE DI UN “ALBERGO DI EXTRA LUSSO”
9. Eastbourne, The Pier, 2009.
“‘Dio salvi il Re’ intonano le trombe | da un padiglione erto su palafitte | che
aprono il varco al mare quando sale | a distruggere peste | umide di cavalli
nella sabbia del litorale” Eastbourne, vv. 1-6
195