Dati clinici e letteratura nel trattamento farmacologico del disturbo
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Dati clinici e letteratura nel trattamento farmacologico del disturbo
Studi sperimentali Dati clinici e letteratura nel trattamento farmacologico del disturbo borderline di personalità Clinical data and literature in the pharmacologic treatment of borderline personality disorder VALERIO ORLANDI, GIUSEPPE BERSANI III Clinica Psichiatrica, Servizio Speciale di Medicina Psicosomatica e Psicofarmacologia Clinica, Università di Roma, La Sapienza RIASSUNTO. Il ruolo della terapia farmacologica nel trattamento del disturbo borderline di personalità (DBP), pur non essendo ancora del tutto delineato, sta ricevendo negli ultimi anni molto interesse in ambito scientifico, sia per la elevata frequenza di questo disturbo nella pratica clinica, sia per le trasformazioni che il concetto “borderline” ha subito sin dalla sua introduzione nella letteratura scientifica. Attualmente il DBP sembrerebbe descrivibile in base a quattro dimensioni psicopatologiche, caratterizzate sia geneticamente che biologicamente, almeno tre delle quali sarebbero passibili di un intervento farmacologico: disregolazione affettiva, impulsività-aggressività e psicoticismo. La quarta dimensione (disturbi dell’identità del sé) sembrerebbe invece un target più specifico per trattamenti psicoterapeutici. Tra le classi farmacologiche utilizzate, alcune, ed in particolare neurolettici, SSRI e stabilizzatori dell’umore, si sono dimostrate utili nel trattamento sintomatico delle dimensioni sopra esposte. I neurolettici (NL) a basso dosaggio sembrano potenzialmente efficaci per i sintomi della dimensione psicotica, gli SSRI per umore depresso e comportamenti impulsivo-aggressivi, gli stabilizzanti dell’umore (litio ed AED) per i comportamenti impulsivo-aggressivi e la labilità affettiva. Scopo di questo studio è di descrivere una popolazione di pazienti con disturbo borderline di personalità volontariamente ricoverati presso la III Clinica Psichiatrica, con particolare riferimento al trattamento farmacologico al quale sono stati sottoposti e di confrontare i dati emersi dal nostro campione con gli studi presenti in letteratura, al fine di fornire una relativamente completa revisione del trattamento farmacologico del DBP. PAROLE CHIAVE: disturbo borderline di personalità, dimensioni psicopatologiche, neurolettici tipici ed atipici, antidepressivi triciclici ed IMAO, SSRI, stabilizzatori dell’umore e benzodiazepine. SUMMARY. The role of psychopharmacologic treatment of Borderline Personality Disorder (BPD), although not yet well characterized, is receiving growing interest and attention in international literature because of the relatively high prevalence of this disorder in clinical practice and the better understanding of its core features. Actually, BPD can be described according to four main psychopathological dimensions, characterized both genetically and biologically, three of which may undergo drug treatment: mood dysregulation, impulsivity-aggression and psychoticism. On the other hand, identity disturbance, seems to be more responsive to psychotherapy. Among the drug classes utilized, neuroleptics (NL), SSRIs and mood stabilizers (lithium and antiepileptic drugs) proved to be effective, with neuroleptics potentially effective for psychotic-like symptoms, SSRIs for depressed mood and impulsive-aggressive behavior and mood stabilizers for mood lability and impulsive-aggressive behavior. Aim of this study is to describe a sample of BPD inpatients, with particular attention to the psychopharmacologic treatment they underwent, and to compare our findings with data collected in literature, in the attempt to provide a relatively complete review of BPD drug treatment. KEY WORDS: borderline personality disorder, psychopathological dimensions, typical and atypical neuroleptics, tricyclic and IMAO antidepressant, SSRIs, mood stabilizers and benzodiazepines. E-mail: [email protected] Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 234 Trattamento farmacologico del disturbo borderline di personalità INTRODUZIONE Il ruolo della terapia farmacologica nel trattamento del disturbo borderline di personalità (DBP), pur non essendo ancora del tutto delineato, sta ricevendo negli ultimi anni molto interesse in ambito scientifico, sia per la elevata frequenza di questo disturbo nella pratica clinica, sia per le trasformazioni che il concetto di “borderline” ha subito sin dalla sua introduzione nella letteratura scientifica. L’introduzione di sistemi classificatori come il DSM (1) e l’ICD (2), basati su un modello di diagnosi categoriale, caratterizzato cioè dal rilevamento oggettivo di segni e sintomi, se da un lato ha permesso di fornire agli operatori un punto di riferimento accessibile ed esauriente nel formulare una diagnosi, dall’altro, proprio a causa di tale natura categoriale, non è riuscita a portare ad una migliore caratterizzazione dei disturbi di personalità, che sembrerebbero meglio descrivibili secondo un’ottica dimensionale, volta al riscontro di alcuni clusters sintomatologici, non specifici per nessuna patologia e che attraverserebbero in maniera trasversale le categorie diagnostiche proposte (3). A tale proposito Siever e Davis (4) hanno proposto per i disturbi di personalità un modello psico-biologico, ipotizzando, per alcune dimensioni psicobiologiche (organizzazione cognitivo-percettiva; impulsività/aggressività; instabilità affettiva; ansia/inibizione), caratterizzate sia biologicamente che geneticamente, l’esistenza di un continuum in base al quale eventuali alterazioni di esse potrebbero sfociare, secondo la loro modalità ed intensità di manifestazione, in disturbi di Asse I, ad un estremo, ed in un disturbo di Asse II, all’altro estremo. La psicopatologia della sindrome borderline si può comunemente descrivere in base a quattro dimensioni principali: affettiva, impulsiva, di alterata identità del sé, psicotica. Gli aspetti affettivi includono la caratteristica labilità con improvvisi sbalzi d’umore ed instabilità, spesso accompagnate da irritabilità e gesti autolesivi. L’impulsività, che in parte può essere stimolata dagli aspetti affettivi, richiama spesso l’attenzione dei medici e dei familiari e si manifesta frequentemente anche con assunzione impropria di sostanze psicotrope, comportamenti suicidari e bulimici e promiscuità sessuale. I disturbi dell’identità del sé costituiscono, forse, il nucleo centrale del DBP e si manifestano con tentativi di evitare abbandoni reali o immaginari, con relazioni interpersonali molto instabili frequentemente caratterizzate da tempestosità, idealizzazioni, svalutazione. Spesso si manifestano sensi di vuoto, che si aggiungono ad un’immagine di sé già debole e frequentemente mutevole. Gli aspetti psicotici, anche se meno comuni, possono comparire in questi pazienti soprat- tutto in condizioni di stress e si manifestano con ideazione di riferimento e paranoidea, derealizzazione o depersonalizzazione e distorsione della realtà (5). A tale modello dimensionale si ispira anche la neuropsicofarmacologia attuale che, partendo dalle alterazioni biologiche sottostanti, utilizza queste dimensioni psicopatologiche come target sintomatologico delle terapie (6). I neurolettici (NL) a basso dosaggio sembrano potenzialmente efficaci per i sintomi della dimensione psicotica, gli antidepressivi quali triciclici (TCA) ed IMAO per l’umore depresso, gli SSRI per umore depresso e comportamenti impulsivo-aggressivi, gli stabilizzanti dell’umore [litio ed antiepilettici (AED)] per i comportamenti impulsivo-aggressivi e la labilità affettiva (6). Tuttavia, nonostante nelle ultime tre decadi siano state effettuate varie ricerche mirate a meglio interpretare il ruolo della farmacoterapia nei disturbi di personalità, e nel DBP in particolare, ancora non si dispone di dati sufficientemente chiari, soprattutto per la difficoltà di effettuare studi controllati su pazienti che, a causa delle caratteristiche proprie del disturbo da cui sono affetti, spesso non presentano adeguate caratteristiche di compliance al trattamento farmacologico. Per poter cercare di fronteggiare la confusione generata dalla mancanza di chiare linee-guida per la terapia di pazienti DBP, sono stati proposti tre modelli operativi, ognuno in grado di chiarire una parte dell’intricato mosaico costituito dai disturbi di personalità. Questi tre modelli sono: 1) trattare il disturbo come tale; 2) trattare i clusters sintomatologici associati; 3) trattare i disturbi di asse I associati (7). Alla base del I modello si trova la teoria che vede i disturbi di personalità come entità nosologiche ben definite, derivate da fattori in parte costituzionali ed in parte temperamentali che, data la loro natura biologica, potrebbero essere suscettibili di un intervento farmacologico(8-9). Il secondo modello, di natura dimensionale, suggerisce che il trattamento farmacologico dei disturbi di personalità potrebbe essere meglio interpretato in un’ottica trasversale, identificando i sintomi centrali del disturbo, che riflettono delle alterazioni biologiche di base, e trattarli indipendentemente dalla categoria diagnostica di base (10-11). Il terzo modello, invece, prevede che gli effetti positivi della farmacoterapia nei disturbi di personalità derivino dal trattamento dei disturbi di asse I in comorbidità, i quali potrebbero essere mascherati dalla presenza di una prominente patologia di personalità (7). Scopo di questo studio è: 1) quello di descrivere una popolazione di pazienti con disturbo borderline di personalità volontariamente ricoverati presso la III Clinica Psichiatrica, con particolare riferimento al tratta- Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 235 Orlandi V, Bersani G mento farmacologico al quale sono stati sottoposti ed alle difficoltà che si riscontrano nel trattamento di questi pazienti, soprattutto a lungo termine; 2) confrontare i dati emersi dal nostro campione con gli studi presenti in letteratura, al fine di fornire una revisione del trattamento farmacologico del DBP. Tabella 1. Schemi terapeutici adottati nel trattamento del campione totale (N = 53) di soggetti con DBP. TCA = antidepressivi triciclici; SSRI= inibitori del re-uptake della serotonina; SU = stabilizzatori dell’umore; NL = neurolettici; BDZ = benzodiazepine CAMPIONE CLINICO, METODO DI OSSERVAZIONE E DESCRIZIONE Le informazioni sono state raccolte dalle cartelle cliniche di 53 pazienti con DBP, secondo il DSM-IV (1), ricoverati con modalità di tipo consecutivo dal 1989 al mese di ottobre 2001. Il campione è risultato così distribuito: 27 pazienti (50.9%) presentavano esclusivamente una diagnosi di DBP, 18 (33.9%) pazienti un Disturbo dell’Umore di Asse I in comorbidità, 4 (7.5%) pazienti Disturbi Psicotici in comorbidità e 4 pazienti (7.5%) con altri disturbi psichiatrici di Asse I (1 Disturbo Dissociativo, 3 Disturbi di Somatizzazione). Di questi pazienti 14 (26.4%) presentavano inoltre diagnosi di Disturbi Correlati a Sostanze, tra cui 4 con abuso di alcool, 3 con abuso di cannabis, 3 con abuso di oppiacei, 3 con abuso di sedativi, ipnotici od ansiolitici ed 1 con disturbo correlato a più sostanze. L’età media è risultata di 32,3 ± 8,8 anni e la durata media di degenza ospedaliera di 17,2 ±12,5 giorni. Le dimensioni sintomatologiche maggiormente rappresentate sono risultate: labilità affettiva (N = 48; 90.6%), impulsività-aggressività (N = 39; 73.6%), e rabbia (N= 31; 58.5%), disturbi dell’identità del sé (N = 23; 43.4%). Queste ultime sono state indagate in modo non strutturato nel corso dell’esame clinico e segnalate come rilevanti in rapporto all’opinione dell’esaminatore. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a trattamento farmacologico durante il periodo di degenza ospeda- Gruppi ASSOCIAZIONI TRA CLASSI FARMACOLOGICHE N (pz) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 TCA, SU, BDZ TCA, SU, NL, BDZ SSRI, SU, BDZ SSRI, SU, NL, BDZ TCA, SSRI, SU, NL, BDZ NL, BDZ SU, BDZ NL, SU, BDZ BDZ 2 7 14 8 3 3 7 5 4 liera, con farmaci appartenenti a diverse classi, utilizzati da soli o in combinazione: antidepressivi triciclici (TCA), inibitori del re-uptake della serotonina (SSRI), neurolettici tradizionali e non (NL), stabilizzatori dell’umore (SU: litio ed AED) e benzodiazepine (BDZ). I pazienti sono stati suddivisi in 9 gruppi in base agli schemi di associazione utilizzati durante la degenza ospedaliera (Tabella 1). Date le caratteristiche proprie del DBP, non tutti i pazienti sono rimasti in condizioni di degenza per un periodo di tempo adeguato a consentire di valutare la reale efficacia del trattamento farmacologico e quindi saranno presi in considerazione solo pazienti che hanno presentato una durata di degenza ospedaliera di almeno 14 giorni. Del campione totale rimangono, quindi, 28 pazienti con durata media di ricovero di 26.7 ± 9.5 giorni, che in base alla terapia effettuata possono essere suddivisi in 8 gruppi, come riportato in Tabella 2. La valutazione della risposta dei pazienti al trattamento è stata espressa in termini di: stazionarietà (= 0), lieve miglioramento (= 1), marcato miglioramento (= 2) Tabella 2. Schemi terapeutici adottati e percentuale di risposta in base al trattamento effettuato nei 28 pazienti con DBP, con durata di degenza ospedaliera superiore ai 14 giorni. TCA = antidepressivi triciclici; SSRI = inibitori del re-uptake della serotonina; SU = stabilizzatori dell’umore; NL = neurolettici; BDZ = benzodiazepine; N = numero dei pazienti; 0 = stazionario; 1 = lieve miglioramento; 2 = marcato miglioramento Gruppi ASSOCIAZIONI TRA CLASSI FARMACOLOGICHE N (pz) 0 N (%) 1 N (%) 2 N (%) 1 2 3 4 5 6 7 8 TCA, SU, BDZ TCA, SU, NL, BDZ SSRI, SU, BDZ SSRI, SU, NL, BDZ TCA, SSRI, SU, NL, BDZ NL, BDZ SU, BDZ NL, SU, BDZ 2 3 9 7 3 1 2 1 0 0 2 (22.2%) 0 0 0 0 0 1 (50%) 2 (66.7%) 4 (44.4%) 2 (28.6%) 2 (66.7%) 1 (100%) 0 1 (100%) 1 (50%) 1 (33.3%) 3 (33.3%) 5 (71.4%) 1 (33.3%) 0 2 (100%) 0 Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 236 Trattamento farmacologico del disturbo borderline di personalità delle condizioni psicopatologiche, in base al giudizio clinico di due differenti psichiatri esperti, nessuno dei quali era a conoscenza del giudizio dell’altro. Complessivamente 2 pazienti (7.1%) non hanno presentato sostanziali variazioni del quadro clinico, mentre 13 (46.4%) hanno manifestato un lieve miglioramento della sintomatologia ed altri 13 (46.4%) un marcato miglioramento. La maggior parte di questi pazienti (N= 20; 71.4%) presentava in comorbidità almeno una diagnosi di Asse I, in particolare 12 presentavano un Disturbo dell’Umore (42.9%), 8 un Disturbo Correlato a Sostanze (28.6%), 2 un Disturbo Psicotico NAS (7.1%), 2 un Disturbo di Conversione NAS (7.1%), 1 un Disturbo Dissociativo NAS (3.6%) ed 1 Ipocondria (3.6%) (Tabella 2). IL TRATTAMENTO DEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ. CONFRONTO CON I DATI DELLA LETTERATURA Il confronto tra i nostri dati clinici e quanto presente nella letteratura internazionale consente alcune interessanti considerazioni. Innanzitutto la presenza di un disturbo di Asse I sembrerebbe aumentare la durata della degenza ospedaliera, consentendo quindi di meglio valutare gli aspetti psicopatologici dei pazienti e l’eventuale efficacia dei trattamenti farmacologici. D’altra parte proprio la presenza di comorbidità potrebbe, in alcuni casi, determinare il verificarsi di un disturbo di personalità con modalità di decorso più severe, caratterizzate da una maggiore evidenza di sintomi psicotici, un peggiore funzionamento inter-episodico, un esordio più precoce, una maggiore evidenza di disturbi psicopatologici nell’infanzia e nell’adolescenza (12-13) ed un maggior numero di tentativi di suicidio (13-15). È quindi anche a causa di queste sovrapposizioni diagnostiche, oltre che per le caratteristiche peculiari del DBP, che il trattamento farmacologico di questi pazienti attualmente sottende ad un modello di tipo dimensionale, che fornirebbe inoltre la base razionale del ricorso all’associazione tra più classi farmacologiche nel trattamento del DBP. Come già osservato in precedenza, la sindrome borderline si può descrivere in base a quattro dimensioni psicopatologiche principali: affettiva, impulsiva, alterata identità del sé e psicotica (5). In linea generale i neurolettici a basso dosaggio sembrano potenzialmente efficaci per i sintomi della dimensione psicotica, gli antidepressivi quali triciclici ed IMAO per l’umore depresso, gli SSRI per umore depresso e comportamenti impulsivo-aggressivi, gli stabilizzanti dell’umore per i comportamenti impulsivo-aggressivi e la labilità affettiva (6). Verrà ora proposto quale potrebbe essere il ruolo delle singole classi farmacologiche nel trattamento del DBP, in base a quanto presente nella letteratura internazionale (Tabella 3). NEUROLETTICI a) Neurolettici convenzionali. Le prime osservazioni di efficacia dei neurolettici nel trattamento del DBP risalgono agli anni ’50, quando alcuni psicoanalisti, con interesse particolare per questo disturbo di personalità, hanno notato che l’assunzione di clorpromazina determinava nei pazienti una diminuzione di alcuni sintomi “neurotici” ed in particolare di ansia, agitazione, fobie ed ossessioni (16). Con il passare degli anni l’interesse circa questo argomento crebbe ed iniziarono i primi studi non controllati. Reyntjens et al. (17) prima e Collard (18) poi, nei loro studi a cielo aperto, evidenziavano come basse dosi di pimozide (dosaggio medio (d. m.) di 3 mg, ed 1–2 mg, rispettivamente) erano associate ad un miglioramento della sintomatologia globale in più del 50% dei pazienti esaminati Tabella 3. Ruolo delle varie classi farmacologiche nel trattamento delle dimensioni psicopatologiche del DBP. ++ = dimostrata efficacia; + = discreta efficacia, pochi studi controllati; ± = efficacia controversa; ? = efficacia dubbia; - = scarsa efficacia. Per le abbreviazioni delle classi farmacologiche vedi il testo CLASSE Umore Impulsività/ Aggressività Cognitività/ Percezione Immagine di sé IMAO TCA SSRI NL AED Litio BDZ ++ + ++ + ± + - ? ± ++ + ++ + ± ? ±±+ + ? ? + + ? - Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 237 Orlandi V, Bersani G (17), soprattutto nei primi tre mesi di trattamento (18). Nel 1982 Leone in un studio open notò che la loxapina (un antipsicotico triciclico, d. m. 14.5 mg) determinava, rispetto alla clorpromazina, una più pronunciata riduzione di rabbia ed ostilità nelle fasi iniziali del trial, che però tendeva ad esaurirsi già alla sesta settimana, quando entrambi i farmaci presentavano pari efficacia ed incidenza di effetti collaterali (19). Due anni più tardi Serban e Siegel (20) hanno condotto uno studio prospettico in parallelo tra tiotixene (d. m. 9.8 mg) ed aloperidolo (d. m. 3.0 mg) ed hanno osservato un miglioramento di grado tra il moderato ed il marcato nell’84% del campione (52 pazienti), con particolare evidenza per i disturbi cognitivi, la derealizzazione, le ideazioni di riferimento, l’ansia, la depressione ed anche per la “bassa immagine di sé”, che generalmente risponde meglio alla psicoterapia (21). Tutti questi studi tuttavia provengono dalla pratica clinica privata dei vari autori, che rappresenta un notevole bias per l’attendibilità del campione; la mancanza di un gruppo di controllo con placebo, inoltre, rende difficile stimare correttamente l’ampiezza degli effetti terapeutici riportati. Il primo trial controllato con placebo risale al 1982, quando Montgomery e Montgomery hanno paragonato in parallelo gli effetti di 20 mg intramuscolare al mese di flupenthixolo e 30 mg/die di mianserina versus placebo ed hanno ottenuto dopo sei mesi una significativa riduzione dei tentativi di suicidio nei pazienti trattati con l’antipsicotico (22). Nel 1986 Goldberg et al. hanno paragonato il tiotixene (d. m. 8.67 mg) al placebo in 50 soggetti con DBP, disturbo schizotipico di personalità (DSP) o una comorbidità tra i due disturbi, con differenze significative soprattutto per quanto concerne deliri, ideazioni di riferimento, sintomi ossessivo-compulsivi, ansia fobica, rabbia psicotica ed ostilità, ed, in misura minore, per somatizzazione, depersonalizzazione, derealizzazione, sospettosità e paranoia. L’ipersensibilità al rifiuto nelle relazioni interpersonali, così come la “rabbia-ostilità”, presentavano un’elevata risposta al placebo, fornendo quindi a detta degli autori una indicazione per trattamenti psicoterapeutici (23). Nello stesso anno Soloff e collaboratori hanno confrontato, in una popolazione di DBP, DSP e DBP-DSP ospedalizzati, aloperidolo (d. m. 4.8 mg) con amitriptilina (d. m. 147 mg) e placebo. Il neurolettico si è dimostrato superiore all’antidepressivo alla fine del trial e gli effetti terapeutici si sono dimostrati ad ampio spettro, coinvolgendo sintomi neurotici, depressivi e psicotici (24). I migliori indicatori di esito favorevole al trattamento con aloperidolo, secondo gli stessi autori, sembrerebbero la presenza di sintomi schizotipici, sospettosità ed ostilità (25). In un altro studio tuttavia è stata riscontrata solo una piccola evidenza di efficacia per aloperidolo (d. m. 3.9 mg), rispetto a fenelzina e placebo (26). Precedentemente Cowdrey and Gardner (27) hanno notato che il 50% dei pazienti che aveva portato a termine un trial di sei settimane con trifluoperazina (d. m. 7.8 mg) presentava una minore tendenza al suicidio ed a disturbi del comportamento, con un effetto, peraltro meno rilevante, anche su depressione, ansia e sensibilità al rifiuto. b) Neurolettici atipici. L’introduzione in commercio di antipsicotici atipici ha portato un rinnovato interesse in materia di trattamento farmacologico del DBP. Nel 1993 Frankenburg e Zanarini hanno studiato, in aperto, 8 pazienti DBP e 7 pazienti DBPDSP, trattati, per un periodo di tempo compreso tra 2 e 9 mesi, con clozapina a medi dosaggi (d. m. 253.3 mg). È stato riscontrato un significativo miglioramento nel funzionamento globale ed in 7 items di 8 della scala “sintomi positivi” della BPRS ed in 3 items di 5 della scala “sintomi negativi” (28). Più recentemente Benedetti et al. (29) hanno valutato l’effetto di basse dosi di clozapina (da 25 a 100 mg al giorno, d. m. 43.8 mg) nel trattamento di 12 pazienti DBP con gravi sintomi psicotici, che risultavano migliorati dopo 3 settimane di trattamento, insieme ad una significativa riduzione nei valori della BPRS e della sintomatologia generale (HAM-D, in particolare impulsività e sintomi affettivi), nonché un miglioramento del funzionamento globale (GAF). Nel 1999 il gruppo di Chengappa ha riportato, in 7 pazienti psicotiche di sesso femminile, un effetto favorevole del trattamento con clozapina (d. m. 421 mg) sulla riduzione di atti autolesivi, aggressività eterodiretta, somministrazione di ansiolitici e misure di isolamento e sul funzionamento globale (30). Due case reports riportano dell’uso di risperidone nel trattamento del DBP. Il primo paziente ha presentato un miglioramento dell’umore e dell’energia con l’aggiunta di 1 mg di risperidone a 300 mg di fluvoxamina (31); il secondo, con 4 mg di risperidone in monoterapia, ha riscontrato una marcata riduzione dell’impulsività e dei gesti autolesivi (32). Due anni più tardi Schulz e colleghi hanno presentato dei dati preliminari provenienti da uno studio controllato in doppio cieco di 8 settimane su 27 pazienti trattati con risperidone (d. m. 2.5 mg); sebbene non vi fossero differenze significative tra i due gruppi in termini di funzionamento globale, i pazienti trattati con risperidone Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 238 Trattamento farmacologico del disturbo borderline di personalità presentavano minore evidenza di paranoia, psicoticismo, ipersensibilità ai rapporti interpersonali ed ansia fobica (33). Nel 1999 è stato pubblicato uno studio di 8 settimane che valutava, in aperto, l’efficacia di olanzapina (d. m. 7.73 mg) in 11 pazienti DBP in comorbidità con distimia. I nove pazienti che hanno concluso il trial hanno presentato un significativo miglioramento in tutte le scale di valutazione (SCL-90; BPRS, GAF, BIS 11; BDHI); il miglioramento riguardava soprattutto lo psicoticismo, la depressione, la sensibilità al rifiuto, la rabbia e l’ostilità (34). Complessivamente, quindi, i neurolettici a basse dosi sembrerebbero il trattamento farmacologico di scelta nel trattamento dei sintomi cognitivo-percettivi del DBP, con possibile indicazione, in aggiunta agli SSRI, nei casi severi di sintomatologia affettiva (rabbia) ed impulsiva (discontrollo comportamentale). Antidepressivi triciclici (TCA) ed IMAO. La scarsa risposta del DBP agli antidepressivi triciclici è stata osservata già nei primi trial a cielo aperto della imipramina (35-36), con migliore risposta nei pazienti affetti da depressione psicotica secondo Overall (37). Il primo studio prospettico riguardante i TCA è stato effettuato dal gruppo di Akiskal (38), che ha trattato 65 pazienti affetti da “depressione caratteriale” con TCA prevalentemente noradrenergici (desipramina o nortriptilina) a pieno dosaggio ed in caso di insuccesso con TCA prevalentemente serotoninergici (clomipramina ed amitriptilina), sempre a pieno dosaggio. Il 31% dei pazienti ha risposto bene a questa classe farmacologica, soprattutto soggetti femminili con storia anamnestica di depressione maggiore ed ipersonnia. Più recentemente Links et al. (39) hanno riportato una efficacia di grado lieve per la desipramina (d. m. 162.5 mg) nel trattamento del DBP e significativamente minore rispetto a quella del litio (d. m. 985.7 mg). L’unico studio a doppio cieco presente in letteratura confrontava amitriptilina (d. m 147 mg) con aloperidolo (d. m. 4.8 mg) e placebo. L’amitriptilina dimostrava una efficacia marginale rispetto al placebo sulla riduzione dei sintomi depressivi (HAM-D e BDI), ma significativamente minore rispetto all’aloperidolo (24). Inoltre in uno studio condotto sulla stessa popolazione di soggetti è stato notato che i 13 soggetti su 26 che non hanno risposto al trattamento con amitriptilina presentavano un marcato peggioramento alla sesta settimana rispetto al placebo, sia in termini di funzionamento globale sia di ideazioni paranoidee ed impulsività, con episodi di aggressività eterodiretta (40). L’utilità degli antidepressivi TCA sembra almeno controversa, con possibile indicazione nel trattamento del DBP in comorbidità con depressioni atipiche, che sembrerebbero, comunque, rispondere meglio agli IMAO. Di maggiore rilievo sembrerebbe essere il ruolo degli IMAO nel trattamento del DBP. Dopo i primi incoraggianti risultati ottenuti da studi non controllati, riguardanti pazienti con “schizofrenia pseudoneurotica” (41) o pazienti con “disforia isteroide” (42), Cowdrey e Gardner nel 1988 hanno effettuato il primo studio controllato con IMAO. Gli autori hanno somministrato, in uno studio crociato in doppio cieco, a 16 pazienti ambulatoriali di sesso femminile alprazolam (d. m. 4.7 mg), carbamazepina (d. m. 820 mg), trifluoperazina (d. m. 7.8 mg), tranilcipromina (d. m. 40 mg) e placebo, ognuno per sei settimane. I nove pazienti che hanno completato il trial con tranilcipromina hanno presentato un marcato miglioramento riguardo ansia, depressione e sensibilità al rifiuto, accompagnato da una riduzione anche di discontrollo comportamentale, riduzione comunque più evidente negli stessi soggetti trattati con carbamazepina (27). Nello stesso anno Liebowitz et al. (43) hanno riscontrato la superiorità della fenelzina vs imipramina e placebo in 119 soggetti affetti da depressione atipica, in termini di depressione, disforia isteroide, ostilità e sintomi ossessivo-compulsivi. L’anno successivo Parsons e colleghi hanno estrapolato da questo studio 75 soggetti che soddisfacevano i criteri diagnostici per disturbi depressivi. I soggetti che presentavano anche una diagnosi di DBP hanno risposto favorevolmente alla terapia con fenelzina (d. m. 60 mg) nel 92% dei casi contro il 35% di risposta all’imipramina (d. m. 200 mg) ed il 24% di risposta al placebo (44). Malgrado questi favorevoli risultati, tuttavia, la fenelzina non si è dimostrata molto efficace nel trattamento del DBP nell’unico studio prospettico controllato su 108 pazienti ospedalizzati (26). Gli autori comunque suggeriscono che la fenelzina potrebbe essere utile nel trattamento della rabbia e dell’ostilità in questi pazienti; l’aloperidolo è risultato superiore alla fenelzina nel controllare l’impulsività e lo psicoticismo, mentre la fenelzina nel migliorare i sintomi depressivi. Nonostante la forte evidenza empirica di efficacia degli IMAO, in particolare nel trattamento delle dimensioni affettiva ed impulsiva, questi farmaci, a causa degli effetti collaterali problematici e delle restrizioni dietetiche a cui i pazienti dovrebbero essere sottoposti, non possono essere considerati di prima scelta nella terapia del DBP, con possibile indicazione, però, nel trattamento della comorbidità con depressioni atipiche. SSRI. Il riscontro, in studi sperimentali di tipo neurobiologico, di anomalie nella trasmissione serotoninergica nel sistema nervoso centrale, che sarebbero alla Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 239 Orlandi V, Bersani G base della dimensione sintomatologica di impulsivitàaggressività (6), ha spinto ad indagare il ruolo di questi farmaci nel trattamento del DBP. La maggior parte degli studi riguarda la fluoxetina, la prima molecola degli SSRI ad entrare nella pratica clinica. I primi studi a cielo aperto (45-47) hanno riportato effetti terapeutici positivi, con dosaggi compresi tra i 20 e gli 80 mg, in pazienti DBP, in varie dimensioni sintomatologiche, tra cui depressione, sintomi ossessivo-compulsivi, comportamenti autolesivi ed ideazioni paranoidee. Un altro studio non controllato suggeriva un effetto di tipo antiaggressivo della fluoxetina in soggetti con disturbi di personalità (48), seguito da un report che indicava una riduzione della frequenza di “attacchi di rabbia” in pazienti depressi con disturbo di personalità in comorbidità (49). In seguito a questi preliminari risultati positivi sono stati pubblicati i primi studi controllati. Il primo fu condotto nel 1995 da Markovitz, il quale dimostrò, in un piccolo gruppo di pazienti DBP ambulatoriali, un significativo miglioramento dei pazienti trattati con fluoxetina (d.m. 80 mg) rispetto al placebo in varie dimensione, tra cui depressione, ansia e funzionamento globale (50). Un secondo studio controllato, della durata di 13 settimane, è stato condotto, nello stesso anno, dal gruppo di Salzman, su una popolazione di 22 pazienti, con dosaggi compresi tra i 20 ed i 60 mg; gli Autori hanno riscontrato un miglioramento significativamente superiore per il farmaco, sia nel funzionamento globale che nella psicopatologia generale, soprattutto riguardo il sintomo rabbia e l’aggressività rivolta agli oggetti (51). Lo studio controllato più recente è stato effettuato da Coccaro e Kavoussi nel 1997 su 40 pazienti ambulatoriali, di cui 13 con DBP; la durata era di 12 settimane e tutti i pazienti presentavano una storia anamnestica di irritabilità e comportamenti impulsivo-aggressivi; la dose di fluoxetina era di 20 mg per le prime 4 settimane, di 40 mg fino all’ottava settimana e poi di 60 mg. La proporzione di soggetti rispondenti al trattamento è sempre risultata significativamente maggiore nel gruppo trattato con fluoxetina, così come il miglioramento della sintomatologia riferita, sia irritabilità che aggressività, in maniera stabile nel tempo (52). Evidenza di efficacia è stata riportata anche per sertralina e paroxetina. La sertralina (d. m. 131 mg) è risultata efficace nel ridurre irritabilità ed aggressività, a partire dalla seconda settimana, in uno studio in aperto della durata di 8 settimane condotto su 11 soggetti con disturbo di personalità, di cui 8 con DBP (53). La paroxetina (d. m. 40 mg) ha determinato una significativa riduzione di comportamenti autolesivi, senza però nessuna differenza sul tono dell’umore, in uno studio randomizzato a doppio cieco versus placebo, in una popolazione di 91 pazienti, con almeno una diagnosi di disturbo di personalità di cluster B. È stato notato, inoltre, un effetto positivo, sebbene transitorio, del farmaco sul sintomo rabbia, almeno in pazienti con DBP lieve o moderato (54). Nel 1995 è stato pubblicato uno studio non controllato riguardante la venlafaxina, un inibitore del re-uptake di serotonina e noradrenalina, a dosaggi anche superiori a 400 mg al giorno, in pazienti che non hanno risposto precedentemente a sertralina, paroxetina o fluoxetina. Gli Autori hanno riscontrato un significativo miglioramento di aggressività, irritabilità, umore depresso e comportamenti autolesivi (55). Complessivamente l’efficacia riscontrata nel trattamento dei sintomi affettivi ed impulsivi, il favorevole profilo di effetti collaterali e la relativa sicurezza in overdose fanno di questa classe farmacologica uno dei più importanti sussidi terapeutici nel DBP, fornendo anche un importante contributo nello studio della neurobiologia dei disturbi di personalità. STABILIZZANTI DELL’UMORE a) Litio. La similarità fenomenologica tra le rapide oscillazioni d’umore dei soggetti con personalità emozionalmente instabili e le più durature osservate nei soggetti bipolari ha suggerito la possibilità di utilizzare il litio nei pazienti con DBP. Il primo studio controllato in doppio cieco, crociato, ha fornito una preliminare conferma a questa ipotesi; Rifkin et al. hanno studiato 21 pazienti, 14 dei quali hanno ottenuto una significativa diminuzione delle oscillazioni d’umore giornaliere con litio rispetto a placebo; 3 non hanno presentato miglioramenti né con litio né con placebo (56). Nel 1976 Sheard ed il suo gruppo hanno studiato, in doppio cieco, un campione di 66 carcerati con disturbi di personalità che presentavano gravi comportamenti aggressivi. Per il primo mese di trattamento i soggetti sono rimasti drug-free, quindi metà ha iniziato una terapia con litio e metà con placebo. Durante la terapia con lo stabilizzante si notò una pressoché totale scomparsa delle infrazioni più gravi (serie minacce ed aggressioni), rispetto al gruppo di controllo; la sostituzione di litio con placebo determinava la ricomparsa dei comportamenti aggressivi, suggerendo quindi un’azione più soppressiva che curativa (57). Il più recente studio controllato confermava l’efficacia globale del litio (d. m. 985.7 mg) e dimostrava la sua superiorità sia sul placebo sia sulla desipramina (d. m. 162.5 mg) (39). Per gli altri stabilizzatori dell’umore, esistono evidenze di efficacia soprattutto per carbamazepina ed acido valproico. Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 240 Trattamento farmacologico del disturbo borderline di personalità b) Carbamazepina. La prima descrizione di miglioramento dei comportamenti aggressivi con carbamazepina risale al 1977, quando Tunks e Dremer determinarono con 800 mg [livelli ematici (l. e.) di 14 mg/l] di carbamazepina la completa scomparsa di discontrollo degli impulsi, con ricadute alla riduzione dei dosaggi (58). Il primo studio controllato della carbamazepina dimostrava l’efficacia del farmaco nel ridurre la severità e la frequenza dei comportamenti aggressivi nel 50% e nel 66.6% dei 15 pazienti osservati (59). Nel 1986 Gardner e Cowdrey descrissero, in uno studio controllato, una significativa riduzione delle esplosioni aggressive in 14 soggetti femminili in trattamento con carbamazepina a 600 mg (60), replicata anche in seguito (27). c) Acido Valproico. Dati più recenti evidenziano invece l’efficacia dell’acido valproico. Nel 1995 Wilcox ha descritto uno studio in aperto di 6 settimane del valproato (d. m. 1500, l. e. 100 mg/ml) in 30 pazienti DBP; nonostante non si siano evidenziati miglioramenti né di sintomi depressivi né ansiosi, tali pazienti mostravano una significativa riduzione del punteggio totale della BPRS e delle manifestazioni aggressive (61). Nello stesso anno Stein et al. hanno studiato, in un trial clinico in aperto, 11 pazienti, sottoposti a psicoterapia da almeno 8 settimane, trattati con valproato a dosaggi tali da determinare livelli ematici compresi tra i 50 ed i 100 mg/ml. Lo studio è stato completato da 8 partecipanti; 4 (50%) soggetti presentavano un miglioramento globale della sintomatologia, 4 (50%) un miglioramento dell’umore ed una riduzione dei sintomi depressivi, mentre 3 (38%) migliorarono ansia, rabbia, impulsività e sensibilità al rifiuto. I valori di HAM-D e HAM-A, già bassi all’inizio dello studio, non presentavano una riduzione marcata alla fine del trial e gli autori suggeriscono che i miglioramenti evidenziati potevano essere ascrivibili ad un effetto di stabilizzazione dell’umore, più che di elevazione (62). Nel 1998 Kavoussy e Coccaro riportavano un miglioramento significativo, alla quarta ed ottava settimana, dell’irritabilità e dei comportamenti impulsivo-aggressivi in 6 degli 8 partecipanti ad uno studio non controllato di 8 settimane, trattati con dosaggi flessibili di acido valproico; tutti i pazienti avevano precedentemente fallito un trattamento di 8 settimane con fluoxetina (fino a 60 mg) (63). Nello stesso anno è stato pubblicato l’unico studio controllato con placebo; sono stati studiati, per 10 settimane, 16 pazienti (7 maschi e 9 donne) con diagnosi di DBP, che sono poi stati assegnati casualmente a placebo od acido valproico, a dosaggio variabile secondo la tollerabilità del paziente, tale però da determinare livelli ematici di 80 mg/ml. In un’analisi intent-to-treat, nessun paziente con placebo ha presentato miglioramenti globali, contro il 60% dei pazienti assegnati al valproato ed il 100% dei pazienti che hanno concluso il trial; non si riscontravano significativi miglioramenti di aggressività nei due gruppi in termini di aggressività, mentre i pazienti in trattamento con valproato presentavano una significativa riduzione della sintomatologia depressiva (64). Recentemente è stato pubblicato uno studio in aperto di otto soggetti DBP in trattamento con lamotrigina fino a 300 mg. Tre pazienti hanno terminato il trial ed hanno mostrato un marcato miglioramento, nell’arco di 3-4 mesi, della sintomatologia globale ed una riduzione dei comportamenti impulsivi (65). Nel loro insieme gli stabilizzanti dell’umore costituiscono un valido trattamento per la labilità affettiva (litio) e per l’impulsività-aggressività (antiepilettici). La mancanza però di un numero sufficiente di studi controllati non consente, ancora, di considerarli definitivamente un trattamento di prima scelta nel trattamento del disturbo borderline di personalità. Ansiolitici. Il ruolo degli ansiolitici non è stato ampiamente studiato in pazienti DBP. Malgrado i primi studi indicassero una possibile efficacia di queste sostanze nel fornire un miglioramento globale della sintomatologia (66-68), uno studio controllato più recente suggerisce che le benzodiazepine (alprazolam, d. m. 4.7 mg) potrebbero determinare l’insorgenza di disinibizione e quindi di episodi di discontrollo, tra cui tentativi di suicidio (27). L’utilizzo di benzodiazepine potrebbe risultare utile nel trattamento dei sintomi affettivi accompagnati da ansia, tuttavia il rischio di abuso e di tolleranza farmacologica dovrebbe favorire una cautela di impiego. Il buspirone, teoricamente, potrebbe superare queste problematiche, tuttavia l’assenza di un effetto terapeutico immediato rende difficilmente accettabile questa medicazione dai pazienti borderline. Non sono, comunque, presenti al momento attuale dati clinici riguardanti questa sostanza (69). CONCLUSIONI Nonostante il ruolo della terapia farmacologica nel disturbo borderline di personalità sia ancora lontano dall’essere ben definito, emergono, comunque, interessanti spunti di riflessione. L’attuale tendenza ad un Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 241 Orlandi V, Bersani G approccio dimensionale nella diagnosi e terapia di questo disturbo ha costituito le basi per la ricerca delle alterazioni biologiche sottese alle dimensioni psicopatologiche, passibili quindi di intervento farmacologico. Da questa disamina della letteratura non emergono classi farmacologiche efficaci su tutte le quattro dimensioni attualmente utilizzate nella descrizione del DBP (affettiva, impulsiva, di alterata identità del sé, psicotica). I neurolettici sembrerebbero potenzialmente efficaci per i sintomi simil-psicotici e non per l’umore depresso, al contrario gli antidepressivi triciclici e soprattutto gli IMAO potrebbero avere un ruolo nel trattamento dell’umore depresso, con scarsa efficacia, e per i triciclici anche effetti paradossali, in alcuni sottogruppi di pazienti con comportamenti impulsivi od aggressivi. Gli SSRI hanno dimostrato efficacia nel trattamento dell’umore depresso e dei comportamenti impulsivi ed aggressivi, mentre il litio e gli altri stabilizzanti dell’umore, oltre che sull’aggressività, potrebbero migliorare alcuni aspetti della labilità affettiva (70). La mancanza di classi farmacologiche ad ampio spettro di azione suggerisce la necessità di un approccio multidimensionale alla terapia farmacologica, con la possibile utilizzazione di associazioni di classi farmacologiche differenti (e.g. SSRI, stabilizzanti, neurolettici) e la necessità di un maggiore numero di studi controllati, soprattutto per i nuovi antipsicotici (Tabelle 4, 5, 6). L’insieme di questi studi descritti, comunque, sottolinea l’interesse crescente per il trattamento farmacologico del DBP che deve essere considerato come un valido strumento di integrazione alle strategie psicoterapeutiche, fino a qualche anno fa ritenute l’unica possibilità di trattamento per questi pazienti. I farmaci dovrebbero essere utilizzati per modulare l’intensità dei sintomi affettivi, cognitivi ed impulsivi, ma sembrerebbero poco efficaci nell’eliminare sentimenti di rabbia, tristezza e dolore in risposta a separazioni, rifiuti od altri eventi di vita stressanti, che costituiscono invece uno dei target principali dei trattamenti psicoterapeutici. Tabella 4. Trattamento farmacologico della dimensione affettiva in pazienti con DBP Classi Farmaci Specifici Sintomi Validità di evidenza* SSRI/SNRI Fluoxetina, sertralina, venlafaxina Umore depresso, ansia labilità affettiva, sensibilità al rifiuto, irritabilità A IMAO Fenelzina, tranilcipromina Labilità affettiva, sensibilità al rifiuto, depressione atipica, disforia isteroide B Stabilizzatori dell’umore Carbonato di litio Labilità affettiva C Antiepilettici Carbamazepina Ansia, rabbia C Antiepilettici Acido Valproico Umore depresso, ansia, sensibilità al rifiuto agitazione, rabbia C Benzodiazepine § Alprazolam, clonazepam Ansia, agitazione** C NL tipici § Aloperidolo Rabbia acuta, ostilità, discontrollo comportamentale A *calcolata secondo i criteri di Jobson e Potter (71): A= almeno due studi controllati randomizzati a doppio cieco; B = almeno uno studio randomizzato a doppio cieco; C = studi a cielo aperto, case reports ed altri studi che non rientrano nei criteri sopra esposti. **rischio di abuso, tolleranza; alprazolam è stato associato ad episodi di discontrollo comportamentale. § agenti farmacologici utilizzati come trattamento aggiuntivo. [modificato da APA, 2001, (69)]. Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 242 Trattamento farmacologico del disturbo borderline di personalità Tabella 5. Trattamento farmacologico della dimensione impulsivo-aggressiva in pazienti con DBP Classi Farmaci Specifici Sintomi Validità di evidenza* SSRI Fluoxetina, sertralina Impulsività, rabbia, Autolesionismo, aggressività A IMAO Fenelzina, tranilcipromina Rabbia, irritabilità, impulsività A Stabilizzatori dell’umore Carbonato di litio Impulsività, aggressività A Antiepilettici Carbamazepina Impulsività C Antiepilettici Acido Valproico Impulsività, agitazione, aggressività C NL atipici Clozapina Grave autolesionismo, C NL tipici** Aloperidolo Rabbia acuta, ostilità, autolesionismo, aggressività fisica A *calcolata secondo i criteri di Jobson e Potter (71): A = almeno due studi controllati randomizzati a doppio cieco; B = almeno uno studio randomizzato a doppio cieco; C = studi a cielo aperto, case reports ed altri studi che non rientrano nei criteri sopra esposti. **agenti farmacologici utilizzati come trattamento aggiuntivo. [modificato da APA, 2001, (69)]. Tabella 6. Trattamento farmacologico della dimensione cognitivo-percettiva in pazienti con DBP Classi Farmaci Specifici Sintomi Validità di evidenza* NL tipici Aloperidolo, perfenazina, trifluoperazina, thiothixene, tioridazina, flupentixolo, loxapina, clorpromazina Idee di riferimento, illusioni, ideazioni paranoidee (ed associate rabbia/ostilità), comportamenti suicidari ricorrenti A NL atipici Clozapina, olanzapina, risperidone Come per i neurolettici tipici ed in particolare autolesionismo e psicoticismo resistente ai neurolettici tradizionali C SSRI** Fluoxetina, sertralina, venlafaxina Irritabilità, umore depresso,rabbia/ostilità, aggressività, impulsività A IMAO** Fenelzina, tranilcipromina Irritabilità, umore depresso,rabbia/ostilità, aggressività, impulsività A *calcolata secondo i criteri di Jobson e Potter (71): A= almeno due studi controllati randomizzati a doppio cieco; B= almeno uno studio randomizzato a doppio cieco; C= studi a cielo aperto, case reports ed altri studi che non rientrano nei criteri sopra esposti. **agenti farmacologici utilizzati come trattamento aggiuntivo. 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