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Le RAGIONI del NO
Nota generale. Riguardo al Referendum confermativo della riforma costituzionale,
al centro del dibattito politico e che si terrà in autunno, solo il 20% degli elettori
dice di aver capito esattamente di cosa si parla.
Meglio! Devi capire solo che se voti contro la riforma sei vecchio, conservatore,
gufo, professorone e favorevole alla “casta”. Sì, perché questa riforma elimina lo
stipendio ai Senatori ridotti a cento, cancella il Cnel e asfalta finalmente le odiose
Regioni. Certo … non si toccano gli emolumenti di tutti gli altri (deputati ed
esecutivo), si conferiscono poteri abnormi al Premier, il Parlamento risulterà
sottomesso alle iniziative del Governo, per effetto congiunto con la legge
elettorale la Corte costituzionale e il Presidente della Repubblica cadranno nella
sfera di influenza del Presidente del Consiglio, si distrugge ogni forma di autonomia
e, perfino di decentramento, ma questi, per la demagogia renziana, sono dettagli
insignificanti. Forse addirittura dei meriti.
Sono, a questo proposito, estremamente attuali le parole di Dossetti:
“La mia preoccupazione è che si addivenga a un referendum, abilmente
manipolato, con più proposte congiunte, alcune accettabili, altre del tutto
inaccettabili, e che la gente totalmente impreparata e per giunta ingannata dai
media non possa distinguere e finisca per dare un voto favorevole complessivo
sull’onda del consenso indiscriminato a un grande seduttore, il che
trasformerebbe un mezzo di democrazia in un mezzo emotivo e irresponsabile di
plebiscito”
Un accenno particolare per l’elezione del Presidente della Repubblica. Lo faranno
deputati e senatori, come ora, ma con una differenza importante. Oggi il
Presidente è eletto con una maggioranza di due terzi dell’assemblea nei primi tre
scrutini, con la maggioranza assoluta dal quarto in poi. In futuro, se la riforma sarà
approvata nel referendum, non sarà più così. Nei primi tre scrutini resta valida la
maggioranza di due terzi dell’assemblea, dal quarto in poi si passa ai tre quinti
dell’assemblea, ma la vera novità della riforma scatta a partire dal settimo
scrutinio: da questo momento in poi basterà la maggioranza assoluta non più
dell’assemblea, bensì dei votanti. In altri termini, se al settimo scrutinio dovessero
votare solo 20 fra deputati e senatori, a eleggere il Presidente basteranno 12 voti.
Ma veniamo più dettagliatamente all’impatto avrà questa riforma che modifica
ben 47 dei 139 articoli della Costituzione.
Fine del bicameralismo perfetto. Nasce un Senato della Repubblica (non più
Senato delle Autonomie come era nella prima stesura) composto da 95 senatori
rappresentativi delle istituzioni territoriali e da 5 senatori che possono essere
nominati dal Presidente della Repubblica.
Ci hanno raccontato che con questo nuovo Senato ci sarà un bilanciamento tra
la progressiva sottrazione di competenze legislative regionali e il recupero di
responsabilità rappresentativa regionale a livello nazionale.
Sono balle! Il ruolo del Senato è estremamente limitato, con una relazione
estremamente debole con le istituzioni regionali e un ruolo decisamente defilato
nel procedimento legislativo, anche se rimangono pur sempre 22 categorie di
leggi bicamerali. Qualcuno ha paragonato il nuovo Senato alla suocera: elargisce
consigli non richiesti! Le funzioni politiche in grado di incidere sugli interessi regionali
saranno decisi dalla Camera dei deputati. Il Senato non avrà alcuna autorità.
Nessuno vedrà questa come la sede in cui si devono svolgere le trattative e le
mediazioni necessarie alla collaborazione tra i due livelli di governo (Stato e
Regioni).
Il ruolo del Senato ne esce ridimensionato, ma a prezzo di una notevole dose di
complicatezza procedurale. I percorsi base del procedimento legislativo sono 4,
ma le ipotesi procedurali che possono verificarsi sono una decina.
Va poi osservato che mentre la Costituzione afferma la centralità del Parlamento,
si va ora verso la centralità dell’esecutivo. Si dovrebbe invece pensare ad un
Governo che si preoccupa di avere nelle Camere un interlocutore vivo e
responsabile anziché cercare di dominarle. L’opera di emarginazione del
parlamento si completa con l’approvazione dell’Italicum che garantisce in ogni
caso una maggioranza parlamentare, anche contro la rappresentanza reale.
Una nota particolare per l’art. 70.
Il testo originario recita: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle
due Camere”
Il testo novellato: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due
Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e
soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la
tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di
consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la
legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e
delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei
Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della
partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle
politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di
incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’art. 65, primo comma, e per le
leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma,
116, terzo comma 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo
comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna
con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in
forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma. Le altre leggi
sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato
dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della
Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti,
può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica
può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei
deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non
disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per
deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via
definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica
per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel
termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la
Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato
della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo
pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri
componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati
dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può
deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della
trasmissione.
I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di
competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della
Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere
attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame
della Camera dei deputati.”
Alla faccia della semplificazione!!! Che Dio ce la mandi buona…. se il testo
dovesse essere approvato.
Ci hanno anche detto che si riducono i costi. Poiché la struttura del Senato rimarrà
la stessa ed i nuovi Senatori dovranno percepire un rimborso spese di trasferta, il
risparmio, realisticamente, sarà solo dell’8,8 per cento e ammonterà a circa 48
milioni annui. Al di là di ogni considerazione sugli inevitabili costi della democrazia
si ricorda che il nuovo aereo di Renzi ne costa, da solo, 15.
Riduzione del contenzioso Stato/Regioni. Altre balle! Ci è stato spiegato che il
sistema delle competenze concorrenti era fonte di un costante contenzioso in
materia di competenze tra lo Stato e le Regioni, quindi sono state eliminate.
A dire il vero questa scelta mi sembra frutto della totale assenza di una cultura
dell’autonomia nella gran parte della classe politica italiana, quindi per evitare i
conflitti si è deciso di eliminare uno dei contendenti, le Regioni appunto.
Entrando nel dettaglio tecnico va peraltro osservato che le materie non sono altro
che delle “etichette” che negli anni hanno avuto bisogno di una costante opera
interpretativa della Corte costituzionale. Appare infatti evidente che qualsiasi
problema le istituzioni siano chiamate ad affrontare (ambiente, energia,
commercio, istruzione, infrastrutture, occupazione o altro) non rientrerà mai
completamente in una determinata “materia”: quindi senza una leale
collaborazione tra i diversi livelli istituzionali il contenzioso continuerà. Il nuovo art.
117 attribuisce potestà legislativa allo Stato in ordine a: disposizioni generali e
comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e
programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica; disposizioni
generali e comuni sul governo del territorio; sistema nazionale e coordinamento
della protezione civile. Bene se le disposizioni generali sono di competenza dello
Stato, quelle di dettaglio sono di competenza delle Regioni: senza una leale
collaborazione tra i diversi livelli istituzionali il contenzioso continuerà.
Riforma centralista. Da quanto visto sino ad ora emerge con forza che non è stata
minimamente presa in considerazione l’ipotesi che la maggiore efficienza,
democraticità e flessibilità del sistema e il migliore coordinamento di governo
potessero passare per una valorizzazione delle autonomie anziché una loro
compressione.
L’assetto regionale della Repubblica uscirebbe, da questa riforma, fortemente
indebolito attraverso un riparto di competenze che alle regioni toglierebbe quasi
ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale
autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità
anche sul piano finanziario e fiscale. Si lascia, peraltro, del tutto intatto
l’ordinamento delle regioni a statuto speciale.
Il superamento delle competenze concorrenti, come abbiamo detto
probabilmente inutile al fine di ridurre il contenzioso, porta ad un riaccentramento
statale della responsabilità legislativa. Diventano, tra le altre, di competenza
esclusiva dello Stato: coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario; norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del
lavoro pubblico; disposizioni generali per la tutela della salute; sicurezza
alimentare; tutela e sicurezza del lavoro, nonché le politiche attive del lavoro;
l’ordinamento scolastico, l’istruzione universitaria e la programmazione strategica
della ricerca scientifica e tecnologica.
Siamo arrivati al punto di introdurre una norma di estremo dettaglio pur di
attaccare la capacità di far politica delle Regioni. Il comma 2 dell’art. 40 riguarda
i gruppi politici presenti nei consigli regionali. La norma introduce un divieto di
corrispondere ai suddetti gruppi consiliari “rimborsi o analoghi trasferimenti
monetari” con oneri a carico della finanza pubblica, vale a dire a carico delle
regioni o di qualsiasi altro ente pubblico. Con questa norma i gruppi politici non
potranno, probabilmente, più usufruire di collaboratori e tecnici vedendo così
limitate, se non annullate, le capacità di azione politica.
Nasce poi quella che qualcuno ha definito molto propriamente la clausola –
vampiro. Il comma 4 dell’art. 117 recita: “Su proposta del Governo, la legge dello
Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo
richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la
tutela dell’interesse nazionale”. A nessuno può sfuggire che l’intera architettura
del riparto delle competenze legislative viene svuotata della propria carica
prescrittiva, potendo essere derogata a giudizio insindacabile, vista anche
l’estrema genericità dei presupposti, da uno dei soggetti lo Stato appunto,
violando peraltro il principio della gerarchia delle fonti, in quanto con legge
ordinaria si andrebbe a mutare un dettame costituzionale.
Contano meno anche i cittadini. Le firme da raccogliere per una proposta di
iniziativa popolare passano da 50 a 150 mila e, per il referendum, da 500 a 800
mila, in cambio dell’abbassamento del quorum.
I falsi risparmi sulle Regioni
Afferma il Presidente del Consiglio che con la riforma non ci saranno più i vitalizi, il
Presidente della Regione cesserà di guadagnare più del Presidente degli USA e i
gruppi non avranno più soldi per pranzi e cene.
Balle, balle e ancora balle!
Dopo il decreto legge 174/2012, che Renzi non conosce o finge di non conoscere,
e che le regioni hanno dovuto recepire è accaduto questo:
-
i vitalizi non ci sono più;
-
gli stipendi dei consiglieri regionali sono fissati, uguali per tutti, con legge
nazionale e il presidente della Regione guadagna certamente meno del
moralizzatore, Matteo Renzi;
-
i gruppi consiliari hanno ora in dotazione il 7/8% delle risorse economiche
che avevano durante il periodo degli scandali, servono esclusivamente per
le spese d’ufficio e sono sottoposte a regole strettissime.
Regionalismo differenziato. E’ stato detto che il rafforzamento della propria
specialità, da perseguire con materie aggiuntive ai sensi del 3° comma dell’art.
116, possa essere una risposta della Regione che intende rafforzare il proprio
profilo all’interno dello Stato, una risposta in reazione al forte processo di
riaccentramento dei poteri normativi operato dalla riforma costituzionale.
Questa disposizione è, sino ad oggi, rimasta inattuata e la sola Lombardia ci ha
provato, in data 3 aprile 2007, con la Risoluzione n. 5 (pubblicata nel Burl del 23
aprile 2007 – D.c.r. 3 aprile 2007 n. VIII/367 Risoluzione concernente l’iniziativa per
l’attribuzione alla Regione Lombardia di ulteriori forme e condizioni particolari di
autonomia ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costtutuzione) che prevedeva
di avviare un confronto con il Governo per ottenere ulteriori forme e condizioni
particolari di autonomia in dodici materie (tutela dell’ambiente e dell’ecosistema;
tutela dei beni culturali; organizzazione della giustizia di pace; organizzazione
sanitaria; ordinamento della comunicazione; protezione civile; previdenza
complementare e integrativa; infrastrutture; ricerca scientifica e tecnologica e
sostegno all’innovazione per i settori produttivi; università: programmazione
dell’offerta formativa e delle sedi; cooperazione transfrontaliera; casse di
risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito
fondiario e agrario a carattere regionale), non è successo niente.
Oggi ci riproviamo e per questo vogliamo il consenso del popolo lombardo.
Per questo abbiamo voluto con forza che il Consiglio regionale, in data 17
febbraio 2015, deliberasse, a maggioranza dei due terzi, di indire referendum
consultivo per l’espressione del voto sul seguente quesito : “Volete voi che la
Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità
nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato
l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative
risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.116, III comma, della Costituzione e con
riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in
base all’articolo richiamato ?”
Noi ci crediamo ancora! Ci crede anche il PD lombardo? Ci crede anche il
Governo che ha voluto questa riforma, o ha conservato la norma, seppur
riducendola, solo come specchietto per le allodole? Vedremo…
Riforma illegittima. Noi pensiamo che la riforma sia non solo pessima nei contenuti,
ma anche illegittima.
L’at.138 della Costituzione testualmente recita: “ Le leggi di revisione della
Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con
due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono
approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella
seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare, quando entro tre mesi
dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una
Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali….”
Poiché vengono modificati ben 47 articoli su 139 visto e risulta assolutamente
impossibile applicare l’istituto del referendum confermativo, di cui all’art.138, con
una riforma così ampia e complessa, poiché i cittadini potrebbero,
legittimamente, essere favorevoli ad alcuni mutamenti e completamente contrari
verso altri, riteniamo che non siamo di fronte ad una mera revisione della
Costituzione, bensì ad una vera e propria riforma, che intacca i principi
costituzionali, e che il Parlamento non è legittimato a fare, dovendosi invece
riservare questo potere ad una Assemblea costituente.
La riforma viola, in ogni caso, la prima parte del dettato costituzionale che
all’articolo 5 testualmente recita: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e
promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più
ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
Poiché la Corte costituzionale ha affermato con la sentenza n. 1146 del 1988 (più
volte ribadita) di essere competente a giudicare la costituzionalità delle leggi
costituzionali e di revisione costituzionale nel caso esse violino “i valori supremi su
quali si fonda la costituzione italiana” invitiamo il Presidente Maroni, qualora la
riforma costituzionale dovesse essere confermata dal referendum, a promuovere
l’impugnativa della norma innanzi alla Corte costituzionale.
Diverso il caso delle ultime riforme costituzionali.
Nel corso del 2001 è stato modificato il titolo V della parte seconda della
Costituzione (la parte dedicata a comuni, province e regioni) attraverso
l’introduzione di nuove norme che hanno determinato un sostanziale
ampliamento dei compiti e delle funzioni attribuite a questi soggetti. Le modifiche
costituzionali sono state sottoposte a referendum confermativo e cittadini hanno
espresso la loro volontà a favore dell’introduzione di questa riforma il 7 ottobre
2001.
Appare interessante sottolineare come questa riforma, che va nel senso
diametralmente opposto di quella che stiamo esaminando, sia stata fatta, anche
quella, da un Governo e un Parlamento di centro-sinistra. Insomma fanno e
disfano a colpi di maggioranza, sempre al grido: abbiamo la Costituzione più bella
del mondo!
Bocciata invece nel referendum confermativo tenuto il 25 e 26 giugno 2006, la
riforma del centro-destra che istituiva il Senato federale della Repubblica,
riduceva il numero complessivo dei parlamentari, snelliva l’iter di approvazione
delle leggi, attribuiva maggiori poteri al premier e dava alle Regioni competenza
legislativa in materia di sanità, scuola e polizia locale. Una riforma, a mio avviso,
molto più equilibrata ed efficace nel bilanciamento di poteri tra Stato centrale e
Regioni.
Last but not least la riforma è stata approvata da un Parlamento illegittimo, eletto
con una legge elettorale dichiarata incostituzionale da una Corte che ha
testualmente dichiarato che si era “rotto il rapporto di rappresentanza”.
Conclusione
Tutto quello fin qui detto sarà del tutto ininfluente nel dibattito pro o contro la
riforma costituzionale in occasione del referendum confermativo. Il testo partorito
dall’ex capo dei vigili urbani di Firenze, Antonella Manzione, non sarà preso
realmente in considerazione, perché al Presidente del Consiglio non gliene
importa niente di quello che contiene. Per Renzi non è una riforma ma un atto di
forza da mettere sul tavolo: con me o contro di me!
Il premier dichiara che se dovesse perdere il referendum si dimetterà. Come tutti
sappiamo non c’è nessun nesso tra governo e referendum. Si tenta però di
intimorire chi volesse votare No. Perché, si sa, dopo Renzi può esserci solo il diluvio!
Dello stesso parere il poco autorevole e competente ministro per le Riforme
Costituzionali (sic!) Maria Elena Boschi.
Nota a margine
Tra coloro che si sono schierati contro la riforma ci sono 11 ex presidenti della
Corte costituzionale, 5 ex vicepresidenti e un giudice.
Nella squadra del no:
Francesco Amirante (magistrato ed ex Presidente della Corte costituzionale),
Antonio Baldassare (costituzionalista ed ex Presidente della Corte costituzionale),
Franco Bile (ex Presidente della Corte costituzionale), Francesco Paolo Casavola
(ex Presidente della Corte costituzionale), Riccardo Chieppa (ex Presidente della
Corte costituzionale), Ugo De Siervo (professore ordinario di diritto costituzionale
ed ex Presidente della Corte costituzionale), Gianmaria Flick (già Ministro della
Giustizia ed ex Presidente della Corte costituzionale), Ettore Gallo (ex Presidente
della Corte costituzionale), Valerio Onida (già professore ordinario di diritto
costituzionale ed ex Presidente della Corte costituzionale), Alfonso Quaranta (ex
Presidente della Corte costituzionale), Gustavo Zagrebelsky (professore ordinario di
diritto costituzionale ed ex Presidente della Corte costituzionale)
Ah uno a cui piace la riforma c’è: Giuliano Amato, quello che nella notte tra il 9 e
il 10 luglio del 1992 prelevò il sei per mille da tutti i depositi bancari !
Afferma Matteo Salvini nel suo ultimo libro:
La controriforma Renzi, che smantella tutte le autonomie, rischia di farci
precipitare non tanto nella terza, quanto piuttosto nell’ultima Repubblica. Quella
in cui rimarranno in piedi solo delle istituzioni relitto, parole svuotate di ogni
possibilità di intervento autonomo, mentre tutto il potere si coagulerà nella filiera
delle prefetture, la stessa che oggi disciplina la gestione dei profughi senza alcuna
trasparenza, a colpi di affidamenti diretti, con infiltrazioni mafiose di cui
probabilmente le inchieste giudiziarie non ci hanno raccontato che la punta
dell’iceberg.
Fortunatamente i padri costituenti, che venivano da vent’anni di dittatura e
conoscevano molto meglio di noi i pericoli delle riforme legali a colpi di
maggioranza, hanno previsto il passaggio referendario per le modifiche della
Carta costituzionale.
Quello sarà il giorno dei giorni per la nostra democrazia, perché saremo chiamati
a decidere non tra destra e sinistra, ma tra democrazia e servitù, tra autonomia e
assistenzialismo, tra territori e palazzi, tra produttori e parassiti.