Contemporary Grand Tour: Roma-Berlino

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Contemporary Grand Tour: Roma-Berlino
Contemporary Grand Tour:
Roma-Berlino-America Latina
Andrea Branzi, Anime, installazione, 2016, Fondazione Volume!, Roma
Nell’arte onnivora ed espansa di questi anni mi sembra interessante mettere a confronto forme
espressive fra loro assai distanti; esperienze eterogenee per modi e luoghi delle quali evidenziare
differenze e possibili convivenze. Questo grand tour virtuale e reale parte da Roma, dove – sempre
originale nelle scelte – la Fondazione Volume! ha presentato, tra gennaio e marzo 2016, una
mostra/installazione di Andrea Branzi, Anime. Architetto e designer molto noto, Branzi ha fatto parte
fra gli anni sessanta e settanta del gruppo di architettura d’avanguardia ARCHIZOOM, una di quelle
esperienze che hanno portato l’arte italiana negli spazi centrali di quegli anni, fra cultura Pop e
Swinging London. Anime si rifa alle catacombe che compongono il sottosuolo di Roma, parla della
morte in un racconto ogni volta diverso.
E compone una serie di Memento mori e ironiche Vanitas. Ironia che esplode contrapponendo ai
teschi i più vitali e sensuali vegetali: cipolle fresche, peperoni maturi, cavolfiori, carciofi, elementi
vitalissimi e, inaspettatamente, affiancati a giare di apparenza antica, contenitori delle ceneri di
morti. Nell’ultima sala – la più simile alla cappella di una chiesa – scoppia a intervalli regolari e ad
altissimo volume un brano di Progressive Rock, (forse i Canned Heat o i Ten Years After?) vitale,
devastante e trascinante come l’energia giovane che in quegli anni sessanta Branzi ha vissuto. Se
non la vita, è la vitalità che resiste alla morte.
Quayola, Iconographies, NOME, Berlino
NOME è la galleria aperta a Berlino dal torinese Luca Barbeni; mossa intelligente perché la città ha
un alto tasso di culture digitali ed è sede del festival Transmediale. La galleria propone
esclusivamente immagini tratte da opere digitali. Il problema dell’immagine digitale nasce con il
tentativo di ricavare dai progetti new media degli oggetti più agili e commerciabili, mentre per anni
la scena digitale si è mossa soprattutto su grandi installazioni e su progetti di comunicazione,
seguendo progetti visionari che mettevano alla prova le ipotesi di comunicazione futuribili e aperte
dall’esplosione delle applicazioni digitali. Mentre è cresciuta enormemente la pubblicistica su questi
temi, il mercato ha finora esitato sulle opere. Ma il digitale produce anche degli oggetti inscrivibili
nel sistema dell’arte, soprattutto nelle forme del video e della fotografia. Tra gennaio e marzo 2016 è
stato possibile vedere le opere di Quayola; nei suoi video l’artista italiano che vive a Londra porta i
processi di trasformazione d’immagine con maggiore evidenza, colti nel movimento e efficaci anche
su grandi proporzioni. Nella fotografia lavora egualmente su quadri della pittura classica:
Iconographies è infatti il titolo della mostra alla NOME. I quadri scelti sono spesso topos della
pittura classica come la Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi e quella del Caravaggio, il che
rende più forte lo scontro fra la sistematizzazione dell’immagine informatica e il mondo dell’arte
classica. I software d’immagine più usati sono la traduzione frattale dell’immagine e la sua
tridimensionalità. A volte i processi di trasformazione vengono fermati in un groviglio di schemi 3d
lineari su fondi neri, mentre in altri lavori i quadri vengono sottoposti a una serie di sovrapposizioni
fino a assomigliare ad opere del Cubismo Sintetico. A volte rimane una traccia intelligibile come
nella Venere e Adone di Rubens, semicancellata come un antico affresco, non dall’umidità ma dal
software.
Paolo Cirio, Overexposed, NOME, Berlino
Anche Paolo Cirio, protagonista di tante riuscite operazioni di hacking online, propone delle
immagini. E sono le fotografie pixellate di personaggi delle grandi corporation e altre istituzioni,
personaggi nell’ombra che Cirio scova ed espone come ritratti di “invisibili”. Altri artisti interessanti
come Matthew Plummer e altri sono passati nella galleria, alla quale auguriamo l’attenzione che
merita anche in uno spazio espositivo vasto come quello delle gallerie berlinesi.
HIC ET NUNC/IBI ET NUNC – Dei paradossi democratici è il titolo di una rassegna-video che viene
dall’America Latina. Riuniti all’Accademia di Spagna a Roma tra dicembre 2015 e gennaio 2016, gli
artisti vengono da paesi che in nome della democrazia hanno spesso dovuto combattere – México,
Paraguay, Colombia, Venezuela, Guatemala, Cuba, e altri Paesi in continuo scontro con le istituzioni
– mentre si pone e ripropone il problema del senso e del contenuto della Democrazia.
“Democratizzare la Democrazia” vuol quindi dire ricavare nuovi contenuti dalle strutture esistenti
rafforzarle o modificarle completamente. La “Democrazia Perfetta” non ha una formula precisa e
rimane un obiettivo su cui le culture continuano a puntare, ma oggi la necessità di un nuovo salto
qualitativo in relazione ai nuovi contenuti forti vuole un’arte aggressiva. Ma lavorare su tali
contenuti è una delle realtà portanti nell’arte latino-americana, elemento che le ha sempre dato un
taglio di maggiore aggressività rispetto a altri paesi. El ocaso de los estados Nacion dei PSJM
utilizza un vecchio videogame che, in forma di virus, rapidamente ricopre e corrode le bandiere delle
Nazioni Unite. Le nazioni Unite sono ancora oggi uno strumento adatto ai nostri tempi oppure da
ridefinire? Avelino Sala è interessato alla coscienza individuale nel sociale. Il lavoro presentato è un
lungo video, Autrui, che riprende una grande scritta tridimensionale che tristemente brucia in
qualche sperduta periferia. Autrui, gli “ALTRI”, sono il problema da risolvere se vogliamo costruire
la società, con questi altri che rimangono oggi sconosciuti. Regina Josè Galindo è un’artista del
Guatemala che cresce di notorietà in Italia con lavori e performance di taglio fortemente
politicizzato. La Galindo qui analizza le “performance” dei poliziotti che svolgono il loro ruolo. Il
Plotone del titolo sono le formazioni che svolgono i loro ruoli di guardia nella Piazza della
Costituzione. Un folto gruppo di soldati in mimetica, armati e pronti a sparare. E che, fucili
mitragliatori alla mano, guardano duri e impassibili i passanti. La Galindo si domanda come venga
vissuta questa scelta di vita, essendo, in un paese povero, il più richiesto dei lavori e anche quello
più legato alla violenza repressiva dello stato. Ancora più critico il video del cubano Adriàn Melis El
Aplauso che monta una lunga serie di applausi in diverse aule parlamentari ma composte da diversi
governi. Gli Applausi sono ogni volta infiniti e i volti lieti dei parlamentari sembrano segnare una
“nuova era”. Si applaude, ma in realtà si applaude alla farsa. Nel video del paraguayano Pedro
Barrail il denaro è l’immagine ossessivamente ripetuta. Denaro che viene stampigliato con la parola
interrogativa “Recuerdo?” per 21 minuti consecutivi. Il passare del tempo non è segnato dai
sentimenti o dagli eventi generali, ma unicamente dal denaro e dalla sua presenza imperante nella
vita di tutti. Il semplice statement del rapporto fra vita e economia prende sapore nuovo, indicando
un deprimente quotidiano. Una citazione da La Gaia Scienza di Nietzsche chiude la mostra e esprime
il pessimismo di fondo dei curatori: “Non stiamo sempre cadendo? Indietro, di lato, in avanti in tutte
le direzioni? C’è ancora un alto o basso sensibile? Non stiamo allontanandoci come attraverso un
infinito niente? Non sentiamo il respiro di uno spazio vuoto?”. Sì, lo sentiamo.
Lorenzo Taiuti
D’ARS anno 56/n. 222/primavera 2016
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