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24 settembre 2016 delle ore 13:01
Helmut Newton, l’arte di spogliare le donne
A Genova le intuizioni di un uomo che ha riscritto i canoni della fotografia di moda e non solo. Un
precursore dei tempi. Spudoratamente mitico, come i suoi scatti
Da vero professionista se n'è sentite dire tante,
ha pure «litigato col movimento femminista,
con l'accusa d'aver creato la donna oggetto»,
racconta Denis Curti. Tutta colpa della sua
passione per il corpo femminile, che ha dato
alla sua produzione un imprinting molto
caratteristico, in cui da ogni parte è un pullulare
di sederi, seni e vagine. O della superficialità di
chi tutt'oggi non s'è accorto che, come continua
Curti, «rispetto ai ritratti di nudo attuali, le
donne di Newton sono vere, consapevoli delle
loro azioni». Senza poi contare che quelli erano
gli anni Settanta, un'epoca in cui l'emancipazione
femminile marciava forte. Fortunatamente le
spalle grosse per sopportare il peso del proprio
genio a lui non mancavano. Perché se ti chiami
Helmut Newton (Berlino, 1920 - West
Hollywood, 2004) con poca probabilità avrai
un portfolio di scatti adatto a bambini, ai loro
genitori benpensanti, alle zie femministe
inviperite. Dalla ben costruita mostra "Helmut
Newton – Fotografie” - a Palazzo Ducale di
Genova fino al 22 gennaio 2017, e che «non è
una retrospettiva ma vuole presentare un
Newton più intimo, privato» tiene a precisare
Denis Curti, curatore assieme a Matthias Harder
- emerge come il "problema” del fotografo
tedesco sia stato proprio il suo linguaggio
avanguardista e sperimentale, all'origine di un
parziale falso storico che l'ha inserito tra i re
della pornografia gratuita. Più falso ancora dei
seni posticci fatti indossare alla modella in
Winnie off the coast of Cannes, più costruito
dei set patinati in cui mostrava gli elementi
tecnici sottolineando, a detta di Curti, la «
finzione dello scatto, perché la moda a sua volta
è finzione», avendo presente che «le sue foto
erano sempre una messa in scena».
Ancora nel 2016 Newton fa danni, scontrandosi
persino col "social dei social” Facebook, che ha
oscurato gli account dei due curatori, rei di aver
inserito sui propri profili immagini inerenti la
mostra. Magari «perché si vedeva un capezzolo
», dice Curti. Certo ha lavorato per Playboy, che
non ha il tenore di Famiglia cristiana (con tutto
il rispetto per questa), tuttavia l'anacronismo di
cui si caricano certi eventi è uno stimolo a
riflettere. Un altro intervento del curatore
italiano - secondo cui Newton indirettamente «
chiede al pubblico d'interpretare le fotografie
» - ci ha convinti che questa mostra possa fare
di più e offrire, assieme ad uno spaccato sulla
produzione del fotografo, anche un'opportunità
per riflettere sulla percezione comune di un
certo immaginario, a distanza di quarant'anni
circa ancora intellettualmente "forte”. Ancora,
si è appurato, da censurare. Un papabile indice
è nella foto guida della mostra, Sie kommen,
scelta tra l'ultima delle tre sezioni (corrispondenti
ai tre libri pubblicati da Newton tra il 1976 e il
1981, White women, Sleepless nights e Big
Nudes) in cui quest'ultima è suddivisa. In
origine un doppio ritratto fatto a quattro
modelle, da un lato nude e dall'altro vestite, due
immagini quasi identiche in cui la differenza
ruota particolarmente (ma in realtà non solo,
Newton curava i dettagli più di quanto volesse
far credere) attorno alla presenza o meno degli
abiti. Potendo utilizzare un solo scatto
domandatevi quale avreste scelto voi, e nel
mentre osservate che ad avere la meglio - manco
a farlo apposta - è stato quello "costumato”.
Enorme, eccitante nell'uso delle luci e oggi con
quel gustino vintage che ne fa un'antologia sulla
moda dei primi anni Ottanta. Poi non
scandalizza nessuno, quanto basta a preservare
integra la morale comune.
Newton però quella morale preferiva
stuzzicarla, da uomo «ironico e intelligente nel
raccontare la società», racconta ancora Curti,
calcando sempre il peso della finzione
fotografica, obbligando al vouyerismo in
un'appassionata scena di sesso in ufficio da
osservare attraverso il buco della serratura
simulato dal fotografo; con pose e azioni fuori
contesto inscenate da manichini mescolati ad
un'umanità più imbalsamata di loro, architettando
una scena di sesso tra un uomo e una donna in
vera plastica, dove lei ha indosso un vero abito
di Yves Saint Laurent, scatto pubblicato nel '78
su Vogue Francia. Anche questo era lo scatto
pubblicitario per il fotografo tedesco, il
cosiddetto "redazionale” svolto alla Newton
maniera prevedeva un occhio lungo sui modi
della comunicazione visiva, dove in alcuni casi
il prodotto entrava a far parte di un racconto
vero e proprio, e dove ancora il prodotto stesso
diveniva quasi un pretesto per ulteriori
ricercatezze narrativo-visive. Ricerche ben
sottolineate dalla mostra e che non escludevano
l'apporto di iconografie mitiche, scegliendo tra
artisti come David in una Morte di Marat
riadattata al femminile per Mont Blanc, o
Velazquez in una Venere allo specchio immersa
nella Parigi più metropolitana, intenta a bearsi
dei suoi vistosi orecchini. Si contano sulle dita
di due mani gli scatti basati su uomini, «
raramente utilizzava modelli» sottolinea Curti;
le presenze maschili in mostra sono più che altro
amici "famosi” come Andy Warhol, ma in modo
particolare un naturalmente sexy Karl
Lagerfeld in versione "tronista ante litteram”, e
solo tre anni dopo conformato all'immagine
ingessata più contemporanea. Sulle dita di una
sola mano si contano invece quelli in cui la
presenza umana non è pervenuta, come per il
primo piano al bue squartato in una macelleria
di San Gimignano, immagine qui provocatoriamente
posizionata al centro esatto di una più grande "
macelleria” di corpi umani.
L'Italia appunto, dove Newton ha realizzato gli
scatti memorabili in Villa d'Este a Como; o la
serie Naked and Dressed tra le architetture
razionaliste di Brescia, qui esposta giocando
sulla possibilità - prevista dal fotografo stesso
- di scombinare a piacimento il senso di ogni
coppia d'immagini, presentata quindi, ammette
Harder, «senza curarsi del posizionamento
degli scatti in fase di pubblicazione, alternando
con libertà il "prima nudo o prima vestito”, cosi
da dare un'interpretazione più aperta». E con
l'Italia c'è anche tanta Francia, e molti Stati
Uniti, i set per un fotografo che difficilmente si
sentiva a suo agio in uno studio cambiavano alla
svelta; Newton era nomade «le camere
d'albergo erano spesso i suoi studi ambulanti
» afferma Curti davanti al «primo nudo
consapevole nella storia della fotografia», una
maliarda Charlotte Rampling all'interno della
sua sontuosa suite, nello stesso anno - il 1973 in cui l'attrice girava la provocatoria pellicola
Il portiere di notte di Liliana Cavani. Il cinema
quindi, più d'una seduzione occasionale; entra
ed esce dalle sue foto come la letteratura, dalle
ingessature e corsetti ispirati al romanzo Crash
di J. G. Ballard (successivamente divenuto un
film per la regia di Cronenberg), ai trattamenti
estetici che assomigliano più a torture in stile
Kubrick di Arancia Meccanica, dove - non a
caso - è un braccio marcatamente maschile a
tenere le "redini del gioco” mirando il corpo
femminile con un potente getto d'acqua. Altro
jolly della mostra è l'arco temporale compreso
dalla metà anni Settanta ai primi Ottanta, per i
curatori fondamentale misura di come
l'accettazione del nudo nella fotografia di moda
cambiò radicalmente in poco più di un lustro, e
con essa la popolarità di Newton: se nel '73 una
sua foto veniva rifiutata, relegata all'uso privato
del fotografo, nel 1981 era strapagata,
divenendo da subito immagine di culto e istant
classic del ritratto. Indiscutibilmente parte di
quella popolarità è stata merito delle bellissime
e carismatiche donne con cui ha lavorato e con
le quali assicura Harder «non c'è mai stato nulla
», giacché per lui era solo un «flirtare con la
macchina fotografica». Però le amava,
dopotutto era «eterosessuale, sposato con la
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Exibart.com
stessa donna per cinquantacinque anni, quando
molti fotografi di moda sono gay». Che la
genialità di un fotografo dipenda anche dal suo
orientamento sessuale? Un Helmut Newton
omosessuale avrebbe scritto tutta un'altra
pagina della fotografia planetaria?
Andrea Rossetti
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24 settembre 2016