Empatia nel lavoro psicoterapeutico
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Empatia nel lavoro psicoterapeutico
Lucia Pancheri1 e Franco Paparo Empatia nel lavoro psicoterapeutico2 Parole chiave Bisogni del paziente; Effetto placebo; Empatia; Esperienza emotivo correttiva; Fattori terapeutici comuni; Fattori terapeutici non specifici; Funzioni empatiche del terapeuta; Kohut; Meccanismi terapeutici; Posizione di indagine; Psicoanalisi Psicoterapia; Responsività ottimale. Empatia viene dall'inglese empathy, parola coniata per tradurre il termine tedesco Einfühlung, (per lo più reso in italiano con "immedesimazione"), usato nella seconda metà dell'Ottocento in estetica per descrivere il processo di apprezzare il bello naturale o artistico. Il termine Einfühlung indicava il fatto che nel piacere estetico il soggetto che lo percepisce proietta sé stesso nell'oggetto della sua contemplazione. La traduzione empathy fu coniata da Titchener nel 1909 sulla base del greco empatheia (passione, affezione) per indicare "il processo di umanizzare gli oggetti, di leggere o sentire noi stessi in quelli" (Titchener, 1910, 417). Il termine aveva quindi originariamente il senso di percepire e comprendere ciò che non è umano, umanizzandolo attraverso i propri sentimenti. Il termine Einfühlung viene poi trasferito, sopratutto ad opera di Lipps (1905), dall'estetica alla psicologia, venendo infine ad indicare il modo attraverso cui percepiamo gli altri individui. Influenzata dai differenti contesti in cui il termine è stato usato, la definizione del termine empatia mantiene ancora oggi una certa indefinitezza, potendo indicare costrutti diversi, come un'abilità a percepire i sentimenti di altre persone (tratto di personalità), un'esperienza cognitivo-affettiva suscitata da un'altra persona, consistente nel sentire il mondo mentale dell'altro come fosse il proprio, oppure, in psicoterapia, un processo esperienzale articolato in più fasi. In psicoanalisi il termine indica sopratutto una posizione di ascolto dell'analista, ma è usato anche per indicare un tipo di risposta da parte sua, tanto che qualcuno ha proposto di utilizzare due termini diversi. L'accezione più comune del termine è comunque quella che troviamo nella semplice definizione di Lichtenberg, per cui l'empatia è l'atto di "entrare nello stato mentale dell'altra persona" (Lichtenberg, 1983, 166) e in analisi "è un modo di percepire lo stato mentale dell'analizzando" (Lichtenberg, 1983, 215). A volte confusa con simpatia, gentilezza, compassione, in realtà se ne distingue. Infatti provare simpatia non significa necessariamente comprendere intimamente l'altro. A volte l'empatia può consistere nel trattare il paziente con una certa freddezza. E' questo il caso in cui un atteggiamento percepito come troppo "caldo" può allarmare il paziente. L'empatia può esser usata anche con finalità ostili come avviene in certe truffe, o comunque a fini egoistici come avviene nella pubblicità. E' opportuno anche distinguere l'empatia da quello 1Dipartimento di Psicologia, Università di Roma "La Sapienza", membro SPI di questo lavoro appare in: Pancheri L. & Paparo F. (2000), Empathy in counseling and psychotherapy, incluso in Mollica R.F. et al. (eds.) A Pedagogy of Trauma, Harvard Program in Refugee Trauma, Cambridge, Mass., January 2000. 2Parte 1 che viene definito come "contagio emotivo", cioè da quelle forme di condivisione immediata ed involontaria, caratterizzate dall'assenza di mediazione cognitiva, che si vedono ad esempio in certi fenomeni di gruppo. Il termine empatia viene infatti riservato alle forme differenziate e non automatiche di condivisione, che sottendono, oltre ad aspetti affettivi, complessi processi cognitivi. E' in quest'accezione che il termine è usato comunemente in psicoterapia e in psicoanalisi. In psicoterapia sono stati sopratutto Rogers e il movimento da lui ispirato a partire dagli anni Cinquanta a porre l'empatia (empathic understanding) al centro dell'interesse clinico, considerandola una delle tre condizioni necessarie e sufficienti per il cambiamento psicologico (Rogers, 1957). L'empatia era intesa da Rogers (1980) come la capacità di entrare nel mondo personale del cliente in modo così intimo da poter capire non solo quello che egli prova coscientemente, ma anche ciò che si trova al di sotto della sua consapevolezza, e come la capacità del terapeuta di comunicare la sua comprensione dei sentimenti e dei pensieri del cliente, usando un linguaggio sintonizzato sul suo. Ricercatori di indirizzo rogersiano hanno cercato anche di verificare empiricamente la tesi che l'empatia sia di per sé terapeutica, portando considevoli prove a sostegno di essa (Orlinsky et al. 1994). Attualmente è la psicoanalisi che offre le teorizzazioni più interessanti sul tema dell'empatia, che è utile tener presenti in qualunque rapporto terapeutico. L'EMPATIA IN PSICOANALISI Freud usa il termine Einfühlung 20 volte, anche se nella Standard Edition esso non è tradotto per lo più con il termine "empathy". Uno dei passi più noti in cui Freud usa il termine Einfühlung si trova in Psicologia delle masse e analisi dell'io (1921), laddove Freud, parlando dell'identificazione, afferma che: "... ci troviamo in presenza del processo che la psicologia chiama "immedesimazione" e che più di ogni altro ci permette di intendere l'io estraneo di altre persone" (Freud, 1921, 296). L'empatia gioca un ruolo importante nella tecnica freudiana come prerequisito dell'interpretazione, ma Freud non la considera un fattore terapeutico di per sé. In lui prevale l'idea che il cambiamento derivi da una presa di coscienza ottenuta attraverso l'interpretazione, concezione che ha lungamente dominato la psicoanalisi. In contrasto con questa visione, a partire dagli anni Trenta, appare in psicoanalisi un'altra concezione del cambiamento, portata avanti da autori come Ferenczi, Balint e Winnicott, basata sull'esperienza di una relazione diversa dal passato, che esercita un'azione correttiva. Negli anni Cinquanta Alexander conierà l'espressione, destinata a diventare famosa, di esperienza emotiva correttiva, per indicare un'esperienza opposta a quella che ha determinato nell'infanzia le difficoltà del paziente. In questa relazione correttiva l'empatia gioca un ruolo essenziale. Ma è con Kohut e con la psicologia del sé, che l'empatia assume l'importanza centrale che oggi le attribuiamo. Kohut ha dato varie definizioni di empatia, il che è comprensibile trattandosi di un concetto centrale per la psicologia de sé, su cui rifletté tutta la vita. Ne La cura psicoanalitica (1984) la definisce come "la capacità di pensare e sentire sé stessi nella vita interiore di un'altra persona. E' la nostra capacità quotidiana di provare ciò che un'altra persona prova, anche se di solito, e giustamente, in maniera attenuata" (Kohut 1984, 114). Kohut fa 2 l'esempio della madre, che deve provare i sentimenti del bambino in modo meno intenso, altrimenti non potrebbe calmarlo. Kohut coglie diversi aspetti dell'empatia. Il suo contributo più originale riguarda l'aspetto di modalità conoscitiva, già chiaramente teorizzata nel famoso saggio del 1959, per cui l'empatia è la modalità che consente di raccogliere dati psicologici su altre persone. In questo saggio egli afferma che, come noi esploriamo la realtà fisica mediante gli organi di senso, così osserviamo la realtà psichica mediante l'introspezione, in noi stessi, e l'empatia, negli altri. Kohut fa l'esempio di una persona eccezionalmente alta. Senza introspezione e empatia la sua statura rimane solo un attributo fisico. E' solo quando ci mettiamo al suo posto e cominciamo a sentire la sua statura insolita come fosse la nostra e riviviamo le esperienze per cui ci siamo fatti notare per qualcosa, che riusciamo a capire il significato che la statura può avere per quella persona e solo allora abbiamo conosciuto un fatto psicologico. L'empatia è cioè lo strumento per comprendere il sé del paziente dall'interno, in opposizione al comprendere astratto derivato dalle teorie. A partire dal 1959 fino alla fine della sua vita Kohut ha sempre affermato che l'empatia definisce il campo della psicologia, nel senso che egli definisce come fenomeni psicologici solo quelli che si colgono mediante introspezione e empatia, come modalità di osservazione essenziali. La psicoanalisi, lo studio degli stati mentali complessi, a cui si perviene attraverso l'immersione empatica, è per Kohut la scienza dell'empatia per eccellenza. Nel corso degli anni Kohut metterà in evidenza altri aspetti dell'empatia, come "nutrimento psicologico", senza cui la vita umana come la conosciamo non potrebbe sussistere (Kohut, 1975b)), come potente legame emotivo tra gli esseri umani più potente dell'amore nel contrastare la distruttività e la disumanizzazione (Kohut, 1975b, e come massimo ideale da perseguire (Kohut, 1975a). Egli ritiene che l'empatia sia essenziale per la sopravvivenza dell'umanità, nel senso che capire le differenze può aiutare a evitare i conflitti e le guerre. La cosa peggiore che può capitare ad un essere umano è il trovarsi in contesti privi di empatia, disumanizzati, come nelle atmosfere descritte da Kafka. Nel racconto di Kafka intitolato La colonia penale la tortura a cui è sottoposto il prigioniero è resa ancora più terribile dall'atmosfera di totale disumanità in cui si svolge. Per Kohut la salute mentale è garantita dall'esistenza di relazioni empatiche nel corso di tutta la vita. In questo senso l'autonomia, come ideale da perseguire, è un'illusione. Lo sviluppo non consiste nel raggiungimento di un'impossibile autonomia, ma nel passaggio da un rapporto arcaico (rigido) con le figure che sostengono il sé, e che Kohut denomina oggetti Sé, ad un rapporto maturo (flessibile), in cui viene soddisfatto il bisogno normale di comunicazione empatica. La presenza di rapporti empatici nell'infanzia è la condizione di uno sviluppo sano. Tali rapporti forniscono alcune funzioni indispensabili, come la possibilità di rispecchiarsi nell'altro e di sentirsi confermati nella propria esistenza e nel proprio valore (rispecchiamento), l'offerta di un oggetto idealizzabile, sentendosi unito al quale il sé possa attingere calma e forza (esperienza di oggetto sé idealizzato) e l'esperienza di sentirsi simili ad altri essere umani (esperienza di gemellarità). Nell'infanzia l'incapacità cronica di fornire queste funzioni da parte delle figure genitoriali, dovuta alla debolezza e ai deficit della loro personalità, è all'origine della mancanza di coesione e di vitalità del sé che è alla base della patologia La terapia si fonda sull'immersione empatica prolungata. Il motore del processo terapeutico è costituito dalla 3 comprensione empatica da parte del terapeuta dell'esperienza soggettiva del paziente e dall'offerta di spiegazioni di tale esperienza. Kohut nota che con i pazienti profondamente traumatizzati la fase di sola comprensione empatica deve essere prolungata per molto tempo. Il processo di guarigione è visto come un percorso costituito da tre stadi: il terzo stadio, quello essenziale, in quanto definisce l'obiettivo e il risultato della cura, consiste nell'apertura di un canale di empatia tra Sé e oggetto sé, che sostituisce il diretto soddisfacimento del bisogno da parte dell'oggetto sé arcaico (Kohut, 1984). Durante questo processo avverranno inevitabilmente delle rotture empatiche del rapporto con l'analista, ma la loro ricomposizione, favorita dal riconoscimento da parte dell'analista delle proprie carenze empatiche, è uno degli ingredienti fondamentali della cura. In Kohut (1981) appare l'idea che l'empatia per la sua semplice presenza abbia un effetto benefico sia nella situazione analitica che nella vita in genere, ma, forse per paura che la psicoanalisi potesse confondersi con qualcosa di poco scientifico, prevale in lui la tesi che il cambiamento avvenga attraverso altri meccanismi. Kohut afferma infatti che il rafforzamento del sé, che è lo scopo della terapia, si realizza attraverso progressive frustrazioni, dovute agli inevitabili fallimenti empatici del terapeuta, le quali conducono a poco a poco il paziente a sostituire le funzioni che prima chiedeva di svolgere al terapeuta con strutture proprie, riprendendo lo sviluppo interrotto. Saranno i successori di Kohut a sviluppare ulteriormente il concetto di empatia come fattore terapeutico, approfondendo sopratutto l'aspetto dell'empatia come responsività ottimale del terapeuta Terman (1988) afferma chiaramente che l'elemento curativo centrale non è costituito dalle frustrazioni ottimali, ma dal legame empatico. Bacal (199O) concettualizza la funzione terapeutica dell'analista col termine di responsività ottimale. La responsività ottimale è l'esperienza dell'analista che risponde con modalità che facilitano il rafforzamento, la crescita e la vitalità del sé. Essa è definita come "la responsività dell'analista più rilevante in ambito terapeutico, in ogni particolare momento, nel contesto di un particolare paziente e della sua malattia" (Bacal 199O, 202). Mentre la psicologia del sé è concentrata principalmente sull'utilizzazione del terapeuta allo scopo di regolazione del sé, Fosshage (1997), fondendo il contributo della psicologia del sé con quello della corrente dell'intersoggettività, ha messo in luce il fatto che per il paziente in certi momenti è importante anche comprendere e sperimentare il punto di vista dell'altro. Per questo autore la responsività ottimale consiste nell'oscillazione tra due prospettive diverse, e cioè la sintonizzazione con i bisogni di sostegno del paziente oppure la necessità del paziente (in certi momenti) di tener conto della soggettività dell'altro. Se all'inizio del trattamento probabilmente è più importante la prima, in seguito acquista importanza la seconda. Weiss e Sampson (1986) hanno sviluppato il concetto di esperienza emotiva correttiva in una direzione nuova, mettendo in luce altri aspetti dell'empatia. Nel modello elaborato da questi autori Il paziente entra in terapia con il piano inconscio di disconfermare le proprie credenze patogene inconscie, che sono alla base della patologia e a questo scopo sottopone ripetutamente a test il terapeuta.. Se il terapeuta supera il test, (mostrando cioè un atteggiamento proplan), il paziente starà meglio. Da questo punto di vista l'empatia si esprime nell'atteggiamento pro-plan del terapeuta, che viene incontro al desiderio inconscio del paziente di disconfermare le credenze patogene. 4 NATURA DELL'EMPATIA Sulla natura dell'empatia c'è stato un considerevole dibattito e ancora adesso la natura di questo fenomeno non è del tutto chiara. Alcuni autori hanno definito l'empatia come un fenomeno primariamente affettivo, riferendosi alla percezione immediata delle emozioni di un'altra persona, altri come un costrutto primariamente cognitivo, riferendosi alla comprensione intellettuale di un'altra persona, altri infine ritengono che l'empatia comprenda componenti emotive e affettive o che possa caratterizzarsi in un modo o nell'altro a seconda delle situazioni (Duan e Hill, 1996). Il modello più condiviso sulla natura dell'empatia in ambito clinico è quello in due stadi interconnessi, presentato da Feiner e Kiersky in un simposio sull'empatia pubblicato su Psychoanalytic Dialogue.s nel 1994. Questi autori ritengono che il processo empatico consista di una fase iniziale in cui una serie di percezioni sensoriali genera una risonanza affettiva, basata sulla capacità umana innata di accedere agli stati affettivi ed esperienziali di altri esseri umani, e in una seconda fase in cui complesse operazioni cognitive e affettive contribuiscono alla costruzione di significati. Per quanto riguarda i processi mentali sottesi alla comprensione empatica, Stolorow suggerisce che si tratti di una ricerca di analogie tra i principi organizzatori (Stolorow & Atwood, 1992) di chi osserva e quelli della persona osservata. Altri (Correale,1999) hanno messo in luce l'intervento dei processi immaginativi, necessario in particolare nel caso dei pazienti psicotici, per comprendere i quali l'immedesimazione non è sufficiente. EMPATIA E SVILUPPO Si ritiene che l'empatia, come viene rivelata dalla visibile preoccupazione per l'altro e dalla tendenza ad aiutare o calmare gli altri che manifestano dolore cominci a svilupparsi nel bambino alla fine del secondo anno di vita (Stern, 1985), ma la piena capacità di capire gli stati mentali dell'altro è un'acquisizione successiva. Secondo Fonagy (1991, 1995) la condizione necessaria per sviluppare la capacità empatica è quella di avere sperimentato relazioni empatiche durante lo sviluppo, in cui il caregiver interpretava correttamente i segnali del bambino e vi rispondeva appropriatamente. La madre empatica è quella che riesce a comprendere glli stati mentali del bambino come entità separata, cioè quella possiede una "teoria della mente". Empatia e attaccamento sicuro L'acquisizione dell'empatia è risultata correlata all'aver sperimentato nella prima infanzia un attaccamento "sicuro" con una figura di attaccamento. Fonagy (1991, 1995) riporta questo dato al fatto che nel rapporto di attaccamento sicuro il bambino può contemplare tranquillamente la mente del caregiver e trovarvi una rappresentazione di se come entità mentale, dotata di sentimenti, pensieri e intenzioni, cosa che lo aiuterà a capire gli stati mentali. CORRELATI BIOLOGICI DELL'EMPATIA 5 Come avviene quando entrano in gioco le emozioni, il rapporto empatico comporta dei correlati biologici, anche se per ora sono stati ancora indagati empiricamente solo in parte. E' stata fatta l'ipotesi (Pally, 1998) che nell'esperienza empatica la persona che si sintonizza con lo stato mentale di un'altra ricrei dentro di sé, anche se in forma attenuata, cambiamenti a livello del sistema nervoso autonomo e sensazioni corporee associate allo stato emotivo dell'altra. Un'altra suggestione viene dalla considerazione degli stretti rapporti tra esperienza di comunicazione empatica e attaccamento. L'esperienza di comunicazione empatica, come la sua deprivazione, potrebbe comportare variazioni nei livelli di oppiodi endogeni o di altri peptidi, che sono risultati implicati nell'attivazione del sistema dell'attaccamento (Nelson e Panskepp, 1998). Lo stesso potrebbe ipotizzarsi riguardo ad altri sistemi neurotrasmetitoriali, come il sistema gabaergico (Weerz & Miczek, 1996) e quelli monoaminergici (Nelson & Panksepp, 1998). L'EMPATIA NEL LAVORO PSICOTERAPEUTICO Nel rapporto psicoterapeutico l'empatia del terapeuta si esprime in due aspetti interconnessi, e cioè come posizione di indagine e come responsività ottimale. L'EMPATIA COME POSIZIONE DI RICERCA Il compito del terapeuta è di ascoltare e comprendere l'esperienza del paziente dall'interno della sua prospettiva. Questo tipo di ascolto, definito da Kohut "immersione empatica prolungata" (Kohut, 1977, 16) e da Stolorow "indagine empatica continuativa" (sustained empatic inquiry) (Stolorow et al., 1987, 10)) può esser scomposto in vari momenti o aspetti. Ascolto L'indagine empatica comincia con l'ascolto del paziente. Questo non comprende solo le parole, ma anche l'osservazione attenta della mimica, dei gesti e degli atteggiamenti dei pazienti. Per Freud la base dell'ascolto nella consultazione psicoanalitica è costituita dall'attenzione fluttuante del terapeuta, consistente nel non privilegiare a priori nessun elemento del discorso del paziente, lasciando piuttosto funzionare la propria attività mentale inconscia, al fine di cogliere, oltre agli aspetti coscienti, anche gli aspetti inconsci delle comunicazioni del paziente. Per illustrare questo tipo di ascolto Freud ha proposto l'analogia del telefono, secondo cui l'analista "deve rivolgere il proprio inconscio come un organo ricevente verso il malato che trasmette; deve disporsi rispetto all'analizzando come il ricevitore del telefono rispetto al microfono trasmittente. Come il ricevitore trasforma in onde sonore le oscillazioni elettriche della linea telefonica che erano state prodotte da onde sonore, così l'inconscio del medico è capace di ristabilire a partire dai derivati dell'inconscio che gli sono stati comunicati, questo sesso inconscio che ha determinato le associazioni del malato " (Freud, 1912, 536-37). Correale ha osservato che l'empatia è diretta a cogliere, più che delle emozioni discrete, il "fondo psichico" dell'altro (Correale, 1999, 39), cioè l'esperienza soggettiva del suo senso di sé. Ciò è particolarmente importante nel caso dei pazienti con disturbi gravi, in cui il fondo psichico appare alterato. L'ascolto empatico comprende componenti cognitive e emotive, conscie e inconscie. Il paziente suscita nel terapeuta pensieri, ricordi, immagini e fantasie oltre che sentimenti. Sappiamo che è importante porre attenzione a tutto quello che il paziente suscita in noi, anche se non ne vediamo immediatamente 6 l'attinenza, perché può essere utile per capire il paziente. Spesso infatti i pazienti non riescono a dire quello che sentono, ma lo comunicano in altri modi, suscitando emozioni, pensieri, ricordi o fantasie (a volte anche sogni) nel terapeuta. Tra i modelli attuali di ascolto psicoanalitico è utile tener presente quello proposto da Fosshagy (1997). Secondo Fosshage l'analista si sposta tra due vertici di ascolto: la modalità di percezione empatica, in cui egli entra in risonanza con l'affetto e l'esperienza del paziente dal punto di vista del paziente (prospettiva di ascolto centrata sul soggetto), e la prospettiva d'ascolto centrata sull'altro, consistente nel fare esperienza del paziente dal punto di vista dell'altro che interagisce con lui. Entrambe le modalità sono utili per capire il paziente, anche se è probabile che all'inizio egli abbia bisogno di sperimentare sopratutto la prima. L'empatia consiste nel trovare la sintonizzazione ottimale col paziente rispetto a queste due prospettive, variabile a seconda dei momenti. Analisi delle proprie emozioni Durante l'ascolto è importante per il terapeuta monitorare continuamente le proprie emozioni. Esse infatti forniscono una risposta globale alle comunicazioni del paziente, che contiene informazioni che integrano le sue comunicazioni verbali. La facilità o la difficoltà a stabilire un contatto empatico aiuta a fare la diagnosi. Pao (1979) ha descritto la percezione dell'atmosfera particolare, che il terapeuta prova in presenza di un paziente schizofrenico, come marker per fare diagnosi di schizofrenia. Essa consiste nello sperimentare in presenza del paziente un sentimento di estraneità e nel dubbio continuo di non essere in contatto emotivo con lui. Anche in situazioni meno gravi, la difficoltà di empatizzare con il paziente può avere un'importanza notevole ai fini della comprensione. Ad esempio una percezione di "inautenticità" può aiutarci a capire che quello che il paziente dice non corrisponde o corrisponde solo in parte a quello che sente, rivelando la presenza di conflitti o confusione nella sua mente. Altre volte l'emozione che proviamo può aiutarci a capire le difese del paziente, come nel caso in cui avvertiamo una discrepanza tra i contenuti che il paziente verbalizza e l'emozione che manifesta. Ad esempio se il paziente sorride mentre racconta eventi drammatici, possiamo ipotizzare che tenda a distanziarsi difensivamente dalle proprie emozioni. In genere è importante fare attenzione ai sentimenti che il paziente suscita nel terapeuta, come alla discrepanza tra i contenuti che verbalizza e gli affetti che esprime. Comprensione empatica Durante l'ascolto il terapeuta cerca di capire l'esperienza soggettiva del paziente, facendo inevitabilmente delle ipotesi. Dal punto di vista epistemologico, la comprensione empatica è sempre soggettiva, o meglio intersoggettiva. Stolorow (1999), pur riconoscendo che Kohut appare consapevole del contributo soggettivo dell'analista alla comprensione del paziente, afferma che nella concettualizzazione kohutiana dell'empatia analitica permarrebbero residui del pensiero cartesiano basato sul "mito della "mente isolata" (Stolorw & Atwood, 1992, 19), visibili ad esempio nell'affermazione che l'empatia "è in sostanza neutrale e obiettiva" (Kohut, 1980, 483). Stolorow defnisce questa visione "dottrina dell'immacolata percezione" (Stolorow et al. 1999, 386), in quanto comporta una negazione della natura intrinsecamente intersoggettiva della comprensione analitica, a cui la soggettività dell'analista dà un contributo 7 determinante. Gli atteggiamenti epistemologici contrastanti di Kohut portano Stolorow a considerarlo "come una figura di transizione nel passaggio del pensiero psicoanalitico da un'epistemologia cartesiana ad un'epistemologia post-cartesiana" (Stolorow et al. 1999, 385) in cui può aver luogo una psicologia pienamente contestuale. Restituzione della comprensione al paziente Il terapeuta trasmette al paziente la comprensione che ha ottenuto. attraverso i suoi interventi. Tradizionalmente in psicoanalisi l'intervento considerato più importante era l'interpretazione, anche se oggi il ruolo di questo intervento appare notevolmente ridimensionato rispetto ad altri. L'interpretazione deriva dall'empatia (per Kohut essa non è altro che una forma cognitivamente più elaborata di empatia) ed è modulata dall'empatia per quanto riguarda i tempi, la forma, il linguaggio e così via. In molti casi ad esempio sarà necessario un periodo preliminare di solo ascolto e comprensione empatica. L'EMPATIA COME RESPONSIVITA' OTTIMALE Negli ultimi anni, probabilmente anche per l'influenza della teoria dell'attaccamento, l'attenzione degli analisti si è spostata sull'empatia intesa come responsività ottimale dell'analista, nel senso del tipo di risposta più adatta al paziente in un determinato momento. In questo senso l'empatia comprende altri aspetti, a cui accenniamo brevemente. Sintonizzazione con i bisogni del paziente Tutti gli approcci terapeutici creano un transfert, inteso come tendenza a spostare sull'analista bisogni presenti e passati. Questi bisogni sono stati concettualizzati in modi diversi a seconda delle varie teorie. La psicologia del sé afferma che, per mantenere l'equilibrio psicologico, il sé ha bisogno di sentirsi costantemente immerso in un ambiente che fornisca una funzione di sostegno e di rifornimento di esperienze che ne mantengono la coesione (Wolf, 1988). Può trattarsi dei bisogni di rispecchiamento, idealizzazione e gemellariti scoperti da Kohut, cioè del bisogno di essere riconosciuti e confermati nella propria identità, del bisogno di idealizzare una persona, un'idea o un valore e di sentirsi parte di un altro ammirato, calmo, potente, che fornisce protezione (può essere anche un gruppo o un'ideologia) o del bisogno di sperimentare una similarità un altro essere umano (possiamo fare rientrare in questa categoria il bisogno di condivisione). Oppure può trattarsi del bisogno di antagonismo di cui ha parlato Wolf (1988), consistente nel fare esperienza dell'altro come una forza che si contrappone in modo costruttivo, o del bisogno di efficacia, cioè di sentire di avere un impatto sull'altro. Potremmo aggiungere altri bisogni, a cui corrispondono altre funzioni che il terapeuta svolge. La teoria dell'attaccamento (Bowlby 1969, 1973, 1980) ha concettualizzato il bisogno di sicurezza, che conduce l'individuo a ricercare la prossimità con un altro individuo ritenuto più forte o più saggio nei momenti di vulnerabilità. Da questo punto di vista il terapeuta deve fornire la base sicura, che offre protezione e da cui l'individuo può partire per esplorare sé e il mondo. Altri autori a cominciare da Stern (1985) hanno messo in luce il bisogno di regolazione affettiva del bambino a cui corrisponde la funzione di regolazione che la terapia può svolgere per il paziente. 8 In molti casi è importante che il terapeuta svolga la funzione di avvocato o di testimone.: in terapia infatti il paziente può aver bisogno di sentire nel terapeuta qualcuno che prenda le sue parti e che lo aiuti a difendersi (è stata sopratutto Alice Miller (1981) a sottolineare questo aspetto) oppure può avere bisogno di un testimone di quello che sta vivendo. Altre volte il paziente ha bisogno di dare espressione al dolore, cosa che da solo non riesce a fare. In questo caso l'empatia consiste nel creare un ambiente psicologico in cui il dolore trovi la possibilità di esprimersi (Neri, 1998). Oppure il paziente ha bisogno di essere aiutato a mentalizzare (Fonagy, 1991, 1995), cioè a parlare in termini psicologici (di sentimenti, emozioni, pensieri e così via). Infine Fosshage (1997) ha messo in evidenza che a volte il paziente ha anche bisogno di sperimentare il punto di vista dell'altro. In questo caso la responsività ottimale del terapeuta consiste nel porsi dal punto di vista della persona che interagisce con il paziente e nell'intervenire aiutando il paziente a comprendere il punto di vista dell'altro. Anche in questo caso la guida per capire quale funzione svolgere per il paziente in un dato momento è costituita dall'empatia. Se il terapeuta si sintonizza con questi bisogni cercando di rispondervi empaticamente, il paziente proverà un sollievo immediato. Questo spiega in parte il benessere che il paziente prova appena intraprende un trattamento, indipendentemente dal verificarsi di un cambiamento stabile. Accettazione profonda del paziente L'atteggiamento dell'analista dovrebbe essere quello di porsi al centro del mondo interno del paziente, sforzandosi di non giudicare in base ai propri valori, ma di accettare profondamente il paziente (Rogers parlava di unconditional positve regard). Questo significa sentire anche le distorsioni della patologia come dovute a strategie di sopravvivenza, che hanno permesso al paziente di adattarsi in condizioni sfavorevoli, atteggiamento esemplificato dal modo con cui Kohut (1984) trattava le difese del paziente. Coinvolgimento affettivo ottimale del terapeuta Il paziente ha bisogno di sentire che il terapeuta è veramente interessato a lui ed è emotivamente coinvolto nella relazione. L'importanza di elementi come il "calore" del terapeuta per l'esito positivo della psicoterapia è confermata da ricerche empiriche sui risultati della psicoterapia (Orlinsky et al. ,1994). SITUAZIONI CHE POSSONO COMPORTARE PROBLEMI DI EMPATIA La comprensione empatica dell'analista e la sua responsività possono essere ostacolate in vari casi, di cui indichiamo i più frequenti. - Con pazienti appartenenti a contesti socioculturali diversi da quelli da cui il terapeuta proviene, che possono avere valori differenti dai suoi e che il terapeuta ha difficoltà a comprendere. - Con i pazienti psicotici, che cercano di evitare il contatto con il terapeuta perché sono spaventati dalla relazione e cercano di proteggersi. Con questi pazienti, che provano emozioni spesso insopportabili, è particolarmente importante che il terapeuta riesca a condividere certi stati di grande sofferenza del sé, come la frammentazione, la devitalizzazione, lo svuotamento e così via. - Con i pazienti che mostrano deficit di mentalizzazione, per cui non riescono a descrivere i propri sentimenti e pensieri.. 9 - Con pazienti che non comunicano le emozioni che temono disturbanti per il terapeuta. Questi pazienti agiscono come in passato hanno agito con le figure di attaccamento. - In presenza di problemi non risolti dell'analista. Tradizionalmente questi problemi sono stati concettualizzati dalla psicoanalisi come controtransfert, Empatia, controtransfert e soggettività dell'analista Il controtransfert è stato definito dalla psicoanalisi in vari modi. Freud (1910) designava con questo termine i problemi irrisolti e le resistenze interne dell'analista che impediscono la comprensione del paziente, la scuola kleiniana (Heimann, 1950) lo ha visto come la reazione globale dell'analista al transfert del paziente e la psicologia del sé (Wolf, 1988) come i residui bisogni arcaici di sostegno dell'analista che interferiscono nel rapporto con il paziente. Il controtransfert inteso come impedimento può interferire sia con la comprensione empatica che con la responsività ottimale del terapeuta. Tuttavia, se il terapeuta si rende conto del proprio controtransfert e riesce a comprendere le ragioni della propria reazione, esso può diventare un prezioso strumento di comprensione, in quanto il controtransfert implica sempre una risposta ad un modo di essere o ad un atteggiamento del paziente. Oggi in verità, più che parlare di controtransfert, si tende a parlare di soggettività dell'analista, il che consente di cogliere, oltre ai difetti di empatia che derivano dai problemi irrisolti e dalle difese dell'analista, anche i limiti derivanti dalla presenza un'organizzazione mentale diversa rispetto a quella del paziente. Problemi di controtransfert con pazienti che hanno subito traumi Nel caso di pazienti che hanno subito dei traumi, l'empatia del terapeuta può aiutare a superare l'alexitimia che spesso è una conseguenza del trauma. Ma la capacità empatica del terapeuta può essere ostacolata da vari problemi controtransferali. Può trattarsi innanzitutto di difese di fronte alle emozioni implicate che il terapeuta ha difficoltà a sopportare. In particolare il terapeuta, confrontato con esperienze di estrema inumanità subite dal paziente, può tendere a distanziarsi da lui. Altre volte il terapeuta può essere disturbato dall'identificazione del paziente con l'aggressore, come conseguenza della violenza subita. Sono stati anche descritti casi in cui il terapeuta si difende dal provare quella che è stata definita "colpa del sopravvissuto" (guilt of survivor), cioè il sentimento di colpa derivante dal fatto di essere sfuggiti al destino tragico di persone vicine. L'esperienza subita dal paziente può infatti richiamare situazioni analoghe della vita del terapeuta, legate al fatto di aver avuto un destino migliore rispetto ai propri familiari o al proprio gruppo. Nel caso di traumi dovuti a violenze rapportabili a conflitti sociali e guerre, possono verificarsi nel terapeuta difetti di empatia dovuti a ragioni ideologiche. Ad esempio nel mondo occidentale siamo facilmente portati ad identificarci con le vittime dell'olocausto, ma potremmo non avere la stessa facilità ad identificarci con le vittime di violenze, quando si tratta di persone che consideriamo come nostri nemici. In questi casi solo se il terapeuta comprende ed elabora le sue emozioni può aiutare il paziente ad accettare e ad elaborare le proprie. EMPATIA COME FATTORE TERAPEUTICO 10 Mentre inizialmente la psicoanalisi riteneva che il cambiamento fosse legato sopratutto all'insight, è ormai largamente accettata l'idea che l'empatia, intesa nel doppio aspetto di comprensione profonda e di responsività ottimale o facilitante, abbia di per sé un valore terapeutico. La stessa contrapposizione tra i due fattori terapeutici tradizionalmente considerati in psicoanalisi, insight e relazione, si è stemperata. Si ritiene infatti che anche l'interpretazione eserciti la sua azione terapeutica oltre che per il suo contenuto, anche attraverso il sentimento di essere capiti e il messaggio relazionale che la sottende. Come abbiamo detto, l'idea che l'empatia abbia un valore curativo è coerente con alcuni risultati degli studi empirici sull'esito della psicoterapia. Empatia come fattore terapeutico non specifico L'empatia viene oggi teorizzata in psicoanalisi come un fattore terapeutico specifico. Ma è assai probabile che essa abbia un ruolo importante, anche se diverso a seconda dei casi, in tutte le guarigioni, comprese quelle mediche. E' noto che le guarigioni sono dovute non solo ai fattori specifici, teorizzati dai vari trattamenti, ma anche ad altri fattori, comuni a molti o a tutti i trattamenti, che sono stati denominati come fattori terapeutici aspecifici, o come forse è meglio denominarli, fattori terapeutici comuni. L'esempio più clamoroso di azione terapeutica dovuta a fattori non specifici è costituito dall'effetto placebo, che si verifica quando la guarigione è ottenuta somministrando una sostanza inerte. Le ricerche che hanno indagato empiricamente l'effetto placebo e i fattori terapeutici comuni hanno messo in evidenza l'esistenza di una correlazione positiva tra l'esito positivo dei trattamenti non solo psichiatrici e psicoterapeutici, ma anche medici, e alcune variabili relative alla relazione con il curante, che hanno a che vedere con l'empatia, sopratutto intesa nel senso di responsività ottimale (Pancheri & Brugnoli, 1999). Ad esempio l'effetto placebo è apparso correlato all'interesse del medico per il paziente e all'atteggiamento "caldo" del medico, il quale appare correlato anche alla compliance nei trattamenti farmacologici. Il successo della psicoterapia appare correlato a diverse variabili, relative al rapporto terapeutico in quanto tale, che lo caratterizzano, specie nelle valutazioni dei pazienti, come una relazione empatica, intensamente emotiva, fondata sulla comprensione e sull'accettazione da parte del terapeuta. La qualità e l'intensità di questo coinvolgimento si possono comprendere alla luce di varie teorie, in particolare la teoria dell'attaccamento e la teoria dei transfert di oggetto sé, che ricollegano le emozioni sperimentate dal paziente nel rapporto terapeutico ai primi attaccamenti infantili, rivissuti nel transfert e ai bisogni rimasti insoddisfatti nella storia evolutiva, e vedono la relazione terapeutica come un'esperienza emotiva correttiva delle carenze sperimentate in passato dal paziente. E' probabile che sia proprio l'esperienza emotiva correttiva, presente in tutti i trattamenti psicoterapeutici e in cui l'empatia gioca un ruolo fondamentale, a costituire il fattore terapeutico comune più importante in psicoterapia. L'azione dei fattori terapeutici aspecifici può influenzare anche la fisiologia dell'organismo, come appare nell'effetto placebo. Potremmo ipotizzare che l'azione terapeutica aspecifica, che innesca i meccanismi psicobiologici sottostanti alla guarigione dovuta al placebo, consista essenzialmente nel fatto che il curante si offre come figura idealizzata che sostiene il sé del paziente nel momento di crisi dovuta alla malattia, empatizzando con la sua sofferenza (ad 11 esempio offrendo funzioni di rispecchamento e gemellarità) ed esercitando un potere calmante, o si pone come figura di attaccamento che fornisce sicurezza in un momento di pericolo (reale o simbolico) Meccanismi terapeutici dell'empatia Esistono varie spiegazioni possibili dell'azione terapeutica dell'empatia, intesa nei sensi sopraindicati, di cui elenchiamo le più importanti. Contenimento E' stato detto che l'empatia agisce come contenimento, in quanto lo stato emotivo comunicato dal paziente viene contenuto in chi lo riceve e in questo modo reso più sopportabile. Questa funzione di contenimento appare importante sopratutto nel caso di pazienti gravi. Condivisione emotiva Il meccanismo terapeutico dell'empatia sarebbe costituito dalla condivisione emotiva, che attenua la solitudine e l'isolamento. Nel caso della patologia depressiva è stato notato un rapporto inverso tra empatia e depressione. E' noto che lo stesso insorgere della patologia depressiva è spesso una conseguenza della rottura di un rapporto di sostegno essenziale per l'individuo. Nel caso dei pazienti che hanno subito dei traumi nell'infanzia, è stato detto che l'elemento determinante perché un trauma esplichi la sua azione patogena è l'impossibilità di condividerlo, mentre l'esistenza di un rapporto empatico agirebbe invece come un fattore di resistenza al trauma. In terapìa l'instaurazione di un rapporto empatico e la possibilità di condividere con il terapeuta le sofferenze subite eserciterebbero un'azione correttiva. Questo può essere il meccanismo terapeutico di base sottostante alla tecnica del detailing (Hirschman, 1997), consistente in una forma di sintonizzazione affettiva che aiuta il paziente a esprimere l'esperienza traumatica, facilitandone l'espressione a livello verbale. Accettazione da parte di una figura idealizzata Spesso le sofferenze del paziente derivano dall'esistenza di aspetti di sé che il paziente non può ammettere L'accettazione profonda del terapeuta aiuta il paziente ad accettarli. Rafforzamento della coesione del sé Come afferma Wolf (1988), tutti abbiamo sperimentato il fatto che sapere di esser capiti fa sentire meglio. Questa osservazione è così fondamentale che viene data per scontata. L'ascolto empatico ha un effetto benefico indipendentemente dalle informazioni ottenute e nonostante gli errori che il terapeuta può fare nel cogliere l'esperienza del paziente. Possiamo dire che l'empatia esercita una funzione di sostegno del sé, che si sente così rafforzato. Sembra che anche l'offrire il sostegno ad un altro rafforzi la coesione del sé, il che consente di affermare che anche il terapeuta riceve dei benefici psicologici nel rapporto con il paziente, che non consistono solo nell'aumento della comprensione e nell'arricchimento della propria esperienza. Non è facile comunque distinguere il benessere che i terapeuta trae dal fatto di esercitare le funzioni di sostegno per il paziente dal sostegno che il terapeuta stesso riceve in una buona terapia, in quanto anche il paziente funziona come oggetto sé dell'analista (Stolorow & Atwood, 1992). Infatti il paziente fornisce continuamente all'analista esperienze di conferma, efficacia, gemellarità e regolazione affettiva, oltre ad aiutarlo a comprendere il punto di vista dell'altro. 12 Esperienza emotiva correttiva di oggetto sé Secondo Bacal (1990) la responsività ottimale dell'analista, sperimentata dal paziente in modo continuativo, fornisce quella che è stata definita esperienza correttiva di oggetto sé, la quale esplica un'azione rinforzante del sé. Attualmente l'attenzione degli studiosi del cambiamento terapeutico, anche in conseguenza delle scoperte dell'infant research, si è spostata verso il riconoscimento dell'importanza delle interazioni regolatrici che si realizzano in modo costante nel rapporto empatico con l'analista. Tali interazioni regolatrici comprendono la conferma del paziente e la validazione della sua esperienza intrinseca all'ascolto empatico del terapeuta, l'esperienza del paziente di avere un impatto sul terapeuta (esperienza di efficacia), l'esperienza di sicurezza fornita dall'ambiente terapeutico, l'esperienza del terapeuta come qualcuno che comprende anche attraverso l'interpretazione e l'esperienza degli sforzi del terapeuta per aiutare il paziente (Fosshage, 1997). Formazione di nuovi principi organizzatori Vari modelli psicoanalitici contemporanei ritengono che noi organizziamo l'esperienza in base a dei principi inconsci, che si sono formati a partire dalle relazioni con le persone più significative durante la vita evolutiva. Il rapporto empatico con il terapeuta consentirebbe la formazione di nuovi principi organizzatori (Stolorow & Atwood, 1992) più funzionali, che si aggiungono ai vecchi principi disfunzionali e possono infine prevalere su di essi. Ad esempio un paziente che ha sviluppato degli atteggiamenti grandiosi disfunzionali come conseguenza di una mancata convalida da parte dei genitori, ottenendo nel rapporto con il terapeuta le necessarie risposte convalidanti, potrà stabilire nuovi principi per organizzare la propria esperienza, rinunziando agli atteggiamenti compensatori. Questa visione sembra preferibile rispetto al punto di vista tradizionale secondo cui il cambiamento avverrebbe perché il paziente interiorizza l'analista empatico come oggetto buono, che sostitusce gli oggetti cattivi introiettati in precedenza. Interventi pro plan del terapeuta Secondo il modello di Weiss e Sampson (1986), possiamo dire che l'atteggiamento empatico del terapeuta produce cambiamento in quanto è pro plan, cioè conduce il terapeuta a superare i test a cui il paziente continuamente lo sottopone per disconfermare le credenze patogene che sono alla base della patologia. COME INCREMENTARE LE CAPACITA' EMPATICHE DEL TERAPEUTA Dall'importanza dell'empatia come strumento conoscitivo e fattore terapeutico in psicoterapia, consegue l'opportunità di incrementare la capacità empatica del terapeuta. Non ci sono regole astratte per essere empatici. Quello che è empatico in un caso non lo è in un altro. Un esempio palese è fornito dalla self-disclosure del terapeuta, riguardante eventi della sua vita, può avere effetti del tutto opposti a seconda dei casi. Possiamo però indicare alcuni modi di ampliare la capacità empatica. Wolf (1988) afferma che il processo empatico, inteso come modo di ottenere dati, diventa sempre più attendibile con l'esperienza e può essere educato al pari di altre percezioni. Ad esempio la conoscenzza di certe teorie può aumentare 13 l'empatia, aiutando a comprendere nuovi aspetti dei pazienti, come è avvenuto con le teorie di Kohut che hanno aiutato a comprendere i problemi di coesione e vitalità del sé, poco compresi dalle teorie precedenti. Un'esperienza terapeutica personale può aiutare il terapeuta a conoscere meglio la propria organizzazione mentale e il suo impatto nella relazione con il paziente, aiutandolo a tener conto delle proprie mancanze di empatia e a riparare le rotture empatiche. In mancanza di una terapia personale è comunque utile l'autoanalisi dei propri vissuti. La supervisione consente di superare le idiosincrasie e i blocchi individuali, fornendo inoltre sostegno al terapeuta. Lo stesso accade nelle discussioni di gruppo e nella comunicazione con i colleghi. Nei contesti in cui ci sono dei pazienti appartenenti ad altre culture è molto utile la partecipazione nel gruppo di operatori sociali appartenenti alla cultura del paziente. Un altro consiglio consiste nel portare il discorso dal generale al particolare, in modo da poter immaginare la scena descritta dal paziente nei dettagli, facilitando l'identificazione con il paziente. Occorre sempre prestare attenzione alle immagini e alle metafore usate dal paziente, che in genere hanno un potere evocativo superiore a quello delle parole. In questo senso può essere anche utile ascoltare un sogno. Con le vittime di gravi abusi si può usare la tecnica del detailing. (Hirschman, 1997), consistente nel fare rivivere e descrivere al paziente la scena traumatica nei minimi dettagli. Infine è necessario cercare di vedere sempre il paziente come individuo unico e non come categoria, quella della vittima (Hirschman, 1997). RISCHI DELLA CONDIVISIONE EMPATICA NEL LAVORO CLINICO Un ultimo problema, cui accenniamo soltanto di sfuggita, riguarda i rischi della condivisione empatica. Questa infatti non ha sempre soltanto un effetto positivo per chi la usa, se non è seguita da una adeguata elaborazione mentale. Psicoterapeuti, operatori sanitari e sociali, che non possono sottrarsi al contatto, spesso penoso, con le emozioni altrui, corrono il rischio di sviluppare forme di sofferenza psichica e fisica in conseguenza dello stress che subiscono sul lavoro. Ciò sembra riguardare in particolare il personale paramedico. Ad esempio sembra che i paramedici mostrino con maggior frequenza la presenza di sintomi del Disturbo Postraumatico da Stress rispetto alla popolazione generale (Grevin, 1996). Tali rischi sono stati analizzati dalla letteratura sulla sindrome del burnout . Per quanto riguarda i rimedi, oltre all'opportunità di effettuare una prevenzione mediante corsi di formazione in cui venga trattato l'argomento, noi vorremmo sottolineare solo un aspetto, e cioè l'importanza di poter discutere regolarmente almeno con un collega, non necessariamente più esperto, l'andamento del caso assegnato e le proprie risposte emotive in modo da contrastare, proprio attraverso la condivisione empatica, i danni che a volte l'empatia può provocare. Conclusioni L'empatia ha un ruolo in qualunque rapporto terapeutico e probabilmente in qualunque guarigione, per cui è particolarmente importante capirne i vari aspetti. Attualmente è la psicoanalisi che offre le teorizzazioni più interessanti sul tema, che è utile tener presenti in qualunque rapporto psicoterapeutico. 14 In psicoterapia è utile distinguere due aspetti interconnessi dell'empatia, come posizione d'ascolto e come responsività ottimale, aspetti che possono essere ulteriormente scomposti in diversi momenti. L'empatia come posizione di indagine si esprime nell'ascolto, nel monitoraggio delle proprie emozioni, nella comprensione di significati e nella restituzione della comprensione al paziente. L'empatia come responsività ottimale si esprime nella sintonizzazione con i bisogni del paziente, nell'accettazione profonda del paziente e nel coinvolgimento affettivo ottimale del terapeuta. I bisogni dei pazienti sono stati concettualizzati diversamente a seconda delle varie teorie: la psicologia del sé ha messo in evidenza i bisogni di rispecchiamento, idealizzazione e gemellarità (tra cui possiamo fare rientrare il bisogno di condivisione), il bisogno di antagonismo e il bisogno di efficacia. La teoria dell'attaccamento ha messo in evidenza il bisogno di sicurezza. Altri autori hanno parlato del bisogno di regolazione affettiva,. Potremmo aggiungere molti altri bisogni, a cui corrispondono funzioni simmetriche che il terapeuta svolge, come il bisogno di avere un avvocato o un testimone, il bisogno di dare espressione al dolore, di mentalizzare o il bisogno di sperimentare il punto di vista dell'altro. La lista potrebbe continuare. Se inizialmente la psicoanalisi ha attribuito il cambiamento sopratutto all'insight, oggi è largamente accettata anche in psicoanalisi l'idea che l'empatia, sopratutto intesa come responsività ottimale, abbia di per sé un ruolo terapeutico essenziale. Potremmo chiederci se l'empatia sia un fattore terapeutico specifico o aspecifico (comune a più trattamenti). Certe teorizzazioni psicoanalitiche presentano l'empatia come un fattore terapeutico specifico. Ma è probabile che l'esperienza emotiva correttiva, che tutti trattamenti psicoterapeutici forniscono e in cui l'empatia gioca un ruolo determinante, sia il fattore terapeutico comune più importante in tutte le psicoterapie. Per quanto riguarda i meccanismi terapeutici dell'empatia, si possono ipotizzare diversi modelli d'azione, come il contenimento, la condivisione emozionale, l'accettazione da parte di una figura idealizzata, il rafforzamento della coesione del sé, l'esperienza emotiva-correttiva o la creazione di nuovi principi organizzatori. Dall'importanza dell'empatia ai fini terapeutici, deriva la necessità di incrementare le capacità empatiche del terapeuta. Non ci sono regole astratte per essere empatici, ma si possono suggerire alcuni modi per aumentare l'empatia del terapeuta, come la conoscenza di teorie che aiutino a comprendere aspetti dei pazienti poco compresi dalle teorie precedenti, l'esperienza di una terapia personale, il continuo monitoraggio delle proprie emozioni, la supervisione, i gruppi di discussione e in genere la comunicazione con i colleghi. Nei contesti in cui ci sono dei pazienti appartenenti ad altre culture, è utile la partecipazione nel gruppo di operatori sociali appartenenti alla cultura del paziente. Altri consigli, specialmente utili con le vittime di abusi, sono quello di spostare il discorso dal generale al particolare per riuscire ad immaginare le scene descritte dal paziente nei minimi dettagli e facilitare l'identificazione, e il fatto di considerare il paziente come un individuo unico e non come una categoria (quella della vittima). L'uso prolungato dell'empatia con persone che soffrono, se non è seguito da un'adeguata elaborazione mentale, può comportare il rischio di sviluppare forme di sofferenza psichica, studiate dalla letteratura sulla sindrome del burnout. Anche queste però possono essere alleviate attraverso la condivisione empatica. 15 BIBLIOGRAFIA Bacal H.A. (1990) The elements of a corrective selfobject experience, Psychoanalytic Inquiry, 10, 347-372 Bowlby J. 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