Empatia nel lavoro psicoterapeutico

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Empatia nel lavoro psicoterapeutico
Lucia Pancheri1 e Franco Paparo
Empatia nel lavoro psicoterapeutico2
Parole chiave
Bisogni del paziente; Effetto placebo; Empatia; Esperienza emotivo correttiva; Fattori
terapeutici comuni; Fattori terapeutici non specifici; Funzioni empatiche del terapeuta;
Kohut; Meccanismi terapeutici; Posizione di indagine; Psicoanalisi
Psicoterapia; Responsività ottimale.
Empatia viene dall'inglese empathy, parola coniata per tradurre il termine
tedesco Einfühlung, (per lo più reso in italiano con "immedesimazione"), usato
nella seconda metà dell'Ottocento in estetica per descrivere il processo di
apprezzare il bello naturale o artistico. Il termine Einfühlung indicava il fatto
che nel piacere estetico il soggetto che lo percepisce proietta sé stesso
nell'oggetto della sua contemplazione.
La traduzione empathy fu coniata da Titchener nel 1909 sulla base del greco
empatheia (passione, affezione) per indicare "il processo di umanizzare gli
oggetti, di leggere o sentire noi stessi in quelli" (Titchener, 1910, 417). Il termine
aveva quindi originariamente il senso di percepire e comprendere ciò che non è
umano, umanizzandolo attraverso i propri sentimenti.
Il termine Einfühlung viene poi trasferito, sopratutto ad opera di Lipps (1905),
dall'estetica alla psicologia, venendo infine ad indicare il modo attraverso cui
percepiamo gli altri individui.
Influenzata dai differenti contesti in cui il termine è stato usato, la definizione
del termine empatia mantiene ancora oggi una certa indefinitezza, potendo
indicare costrutti diversi, come un'abilità a percepire i sentimenti di altre
persone (tratto di personalità), un'esperienza cognitivo-affettiva suscitata da
un'altra persona, consistente nel sentire il mondo mentale dell'altro come fosse
il proprio, oppure, in psicoterapia, un processo esperienzale articolato in più
fasi.
In psicoanalisi il termine indica sopratutto una posizione di ascolto
dell'analista, ma è usato anche per indicare un tipo di risposta da parte sua,
tanto che qualcuno ha proposto di utilizzare due termini diversi. L'accezione
più comune del termine è comunque quella che troviamo nella semplice
definizione di Lichtenberg, per cui l'empatia è l'atto di "entrare nello stato
mentale dell'altra persona" (Lichtenberg, 1983, 166) e in analisi "è un modo di
percepire lo stato mentale dell'analizzando" (Lichtenberg, 1983, 215).
A volte confusa con simpatia, gentilezza, compassione, in realtà se ne distingue.
Infatti provare simpatia non significa necessariamente comprendere
intimamente l'altro. A volte l'empatia può consistere nel trattare il paziente con
una certa freddezza. E' questo il caso in cui un atteggiamento percepito come
troppo "caldo" può allarmare il paziente. L'empatia può esser usata anche con
finalità ostili come avviene in certe truffe, o comunque a fini egoistici come
avviene nella pubblicità. E' opportuno anche distinguere l'empatia da quello
1Dipartimento
di Psicologia, Università di Roma "La Sapienza", membro SPI
di questo lavoro appare in: Pancheri L. & Paparo F. (2000), Empathy in counseling and
psychotherapy, incluso in Mollica R.F. et al. (eds.) A Pedagogy of Trauma, Harvard Program in
Refugee Trauma, Cambridge, Mass., January 2000.
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che viene definito come "contagio emotivo", cioè da quelle forme di
condivisione immediata ed involontaria, caratterizzate dall'assenza di
mediazione cognitiva, che si vedono ad esempio in certi fenomeni di gruppo. Il
termine empatia viene infatti riservato alle forme differenziate e non
automatiche di condivisione, che sottendono, oltre ad aspetti affettivi,
complessi processi cognitivi. E' in quest'accezione che il termine è usato
comunemente in psicoterapia e in psicoanalisi.
In psicoterapia sono stati sopratutto Rogers e il movimento da lui ispirato a
partire dagli anni Cinquanta a porre l'empatia (empathic understanding) al centro
dell'interesse clinico, considerandola una delle tre condizioni necessarie e
sufficienti per il cambiamento psicologico (Rogers, 1957). L'empatia era intesa
da Rogers (1980) come la capacità di entrare nel mondo personale del cliente in
modo così intimo da poter capire non solo quello che egli prova
coscientemente, ma anche ciò che si trova al di sotto della sua consapevolezza, e
come la capacità del terapeuta di comunicare la sua comprensione dei
sentimenti e dei pensieri del cliente, usando un linguaggio sintonizzato sul suo.
Ricercatori di indirizzo rogersiano hanno cercato anche di verificare
empiricamente la tesi che l'empatia sia di per sé terapeutica, portando
considevoli prove a sostegno di essa (Orlinsky et al. 1994).
Attualmente è la psicoanalisi che offre le teorizzazioni più interessanti sul tema
dell'empatia, che è utile tener presenti in qualunque rapporto terapeutico.
L'EMPATIA IN PSICOANALISI
Freud usa il termine Einfühlung 20 volte, anche se nella Standard Edition esso
non è tradotto per lo più con il termine "empathy". Uno dei passi più noti in cui
Freud usa il termine Einfühlung si trova in Psicologia delle masse e analisi dell'io
(1921), laddove Freud, parlando dell'identificazione, afferma che: "... ci
troviamo in presenza del processo che la psicologia chiama "immedesimazione"
e che più di ogni altro ci permette di intendere l'io estraneo di altre persone"
(Freud, 1921, 296).
L'empatia gioca un ruolo importante nella tecnica freudiana come prerequisito
dell'interpretazione, ma Freud non la considera un fattore terapeutico di per sé.
In lui prevale l'idea che il cambiamento derivi da una presa di coscienza
ottenuta attraverso l'interpretazione, concezione che ha lungamente dominato
la psicoanalisi.
In contrasto con questa visione, a partire dagli anni Trenta, appare in
psicoanalisi un'altra concezione del cambiamento, portata avanti da autori
come Ferenczi, Balint e Winnicott, basata sull'esperienza di una relazione
diversa dal passato, che esercita un'azione correttiva. Negli anni Cinquanta
Alexander conierà l'espressione, destinata a diventare famosa, di esperienza
emotiva correttiva, per indicare un'esperienza opposta a quella che ha
determinato nell'infanzia le difficoltà del paziente. In questa relazione
correttiva l'empatia gioca un ruolo essenziale.
Ma è con Kohut e con la psicologia del sé, che l'empatia assume l'importanza
centrale che oggi le attribuiamo. Kohut ha dato varie definizioni di empatia, il
che è comprensibile trattandosi di un concetto centrale per la psicologia de sé,
su cui rifletté tutta la vita. Ne La cura psicoanalitica (1984) la definisce come "la
capacità di pensare e sentire sé stessi nella vita interiore di un'altra persona. E'
la nostra capacità quotidiana di provare ciò che un'altra persona prova, anche
se di solito, e giustamente, in maniera attenuata" (Kohut 1984, 114). Kohut fa
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l'esempio della madre, che deve provare i sentimenti del bambino in modo
meno intenso, altrimenti non potrebbe calmarlo.
Kohut coglie diversi aspetti dell'empatia. Il suo contributo più originale
riguarda l'aspetto di modalità conoscitiva, già chiaramente teorizzata nel
famoso saggio del 1959, per cui l'empatia è la modalità che consente di
raccogliere dati psicologici su altre persone. In questo saggio egli afferma che,
come noi esploriamo la realtà fisica mediante gli organi di senso, così
osserviamo la realtà psichica mediante l'introspezione, in noi stessi, e l'empatia,
negli altri. Kohut fa l'esempio di una persona eccezionalmente alta. Senza
introspezione e empatia la sua statura rimane solo un attributo fisico. E' solo
quando ci mettiamo al suo posto e cominciamo a sentire la sua statura insolita
come fosse la nostra e riviviamo le esperienze per cui ci siamo fatti notare per
qualcosa, che riusciamo a capire il significato che la statura può avere per
quella persona e solo allora abbiamo conosciuto un fatto psicologico. L'empatia
è cioè lo strumento per comprendere il sé del paziente dall'interno, in
opposizione al comprendere astratto derivato dalle teorie. A partire dal 1959
fino alla fine della sua vita Kohut ha sempre affermato che l'empatia definisce il
campo della psicologia, nel senso che egli definisce come fenomeni psicologici
solo quelli che si colgono mediante introspezione e empatia, come modalità di
osservazione essenziali. La psicoanalisi, lo studio degli stati mentali complessi,
a cui si perviene attraverso l'immersione empatica, è per Kohut la scienza
dell'empatia per eccellenza.
Nel corso degli anni Kohut metterà in evidenza altri aspetti dell'empatia, come
"nutrimento psicologico", senza cui la vita umana come la conosciamo non
potrebbe sussistere (Kohut, 1975b)), come potente legame emotivo tra gli esseri
umani più potente dell'amore nel contrastare la distruttività e la
disumanizzazione (Kohut, 1975b, e come massimo ideale da perseguire (Kohut,
1975a). Egli ritiene che l'empatia sia essenziale per la sopravvivenza
dell'umanità, nel senso che capire le differenze può aiutare a evitare i conflitti e
le guerre. La cosa peggiore che può capitare ad un essere umano è il trovarsi in
contesti privi di empatia, disumanizzati, come nelle atmosfere descritte da
Kafka. Nel racconto di Kafka intitolato La colonia penale la tortura a cui è
sottoposto il prigioniero è resa ancora più terribile dall'atmosfera di totale
disumanità in cui si svolge.
Per Kohut la salute mentale è garantita dall'esistenza di relazioni empatiche nel
corso di tutta la vita. In questo senso l'autonomia, come ideale da perseguire, è
un'illusione. Lo sviluppo non consiste nel raggiungimento di un'impossibile
autonomia, ma nel passaggio da un rapporto arcaico (rigido) con le figure che
sostengono il sé, e che Kohut denomina oggetti Sé, ad un rapporto maturo
(flessibile), in cui viene soddisfatto il bisogno normale di comunicazione
empatica.
La presenza di rapporti empatici nell'infanzia è la condizione di uno sviluppo
sano. Tali rapporti forniscono alcune funzioni indispensabili, come la
possibilità di rispecchiarsi nell'altro e di sentirsi confermati nella propria
esistenza e nel proprio valore (rispecchiamento), l'offerta di un oggetto
idealizzabile, sentendosi unito al quale il sé possa attingere calma e forza
(esperienza di oggetto sé idealizzato) e l'esperienza di sentirsi simili ad altri essere
umani (esperienza di gemellarità). Nell'infanzia l'incapacità cronica di fornire
queste funzioni da parte delle figure genitoriali, dovuta alla debolezza e ai
deficit della loro personalità, è all'origine della mancanza di coesione e di
vitalità del sé che è alla base della patologia La terapia si fonda sull'immersione
empatica prolungata. Il motore del processo terapeutico è costituito dalla
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comprensione empatica da parte del terapeuta dell'esperienza soggettiva del
paziente e dall'offerta di spiegazioni di tale esperienza. Kohut nota che con i
pazienti profondamente traumatizzati la fase di sola comprensione empatica
deve essere prolungata per molto tempo.
Il processo di guarigione è visto come un percorso costituito da tre stadi: il
terzo stadio, quello essenziale, in quanto definisce l'obiettivo e il risultato della
cura, consiste nell'apertura di un canale di empatia tra Sé e oggetto sé, che
sostituisce il diretto soddisfacimento del bisogno da parte dell'oggetto sé
arcaico (Kohut, 1984). Durante questo processo avverranno inevitabilmente
delle rotture empatiche del rapporto con l'analista, ma la loro ricomposizione,
favorita dal riconoscimento da parte dell'analista delle proprie carenze
empatiche, è uno degli ingredienti fondamentali della cura.
In Kohut (1981) appare l'idea che l'empatia per la sua semplice presenza abbia
un effetto benefico sia nella situazione analitica che nella vita in genere, ma,
forse per paura che la psicoanalisi potesse confondersi con qualcosa di poco
scientifico, prevale in lui la tesi che il cambiamento avvenga attraverso altri
meccanismi. Kohut afferma infatti che il rafforzamento del sé, che è lo scopo
della terapia, si realizza attraverso progressive frustrazioni, dovute agli
inevitabili fallimenti empatici del terapeuta, le quali conducono a poco a poco il
paziente a sostituire le funzioni che prima chiedeva di svolgere al terapeuta con
strutture proprie, riprendendo lo sviluppo interrotto.
Saranno i successori di Kohut a sviluppare ulteriormente il concetto di empatia
come fattore terapeutico, approfondendo sopratutto l'aspetto dell'empatia come
responsività ottimale del terapeuta
Terman (1988) afferma chiaramente che l'elemento curativo centrale non è
costituito dalle frustrazioni ottimali, ma dal legame empatico. Bacal (199O)
concettualizza la funzione terapeutica dell'analista col termine di responsività
ottimale. La responsività ottimale è l'esperienza dell'analista che risponde con
modalità che facilitano il rafforzamento, la crescita e la vitalità del sé. Essa è
definita come "la responsività dell'analista più rilevante in ambito terapeutico,
in ogni particolare momento, nel contesto di un particolare paziente e della sua
malattia" (Bacal 199O, 202).
Mentre la psicologia del sé è concentrata principalmente sull'utilizzazione del
terapeuta allo scopo di regolazione del sé, Fosshage (1997), fondendo il
contributo della psicologia del sé con quello della corrente
dell'intersoggettività, ha messo in luce il fatto che per il paziente in certi
momenti è importante anche comprendere e sperimentare il punto di vista
dell'altro. Per questo autore la responsività ottimale consiste nell'oscillazione tra
due prospettive diverse, e cioè la sintonizzazione con i bisogni di sostegno del
paziente oppure la necessità del paziente (in certi momenti) di tener conto della
soggettività dell'altro. Se all'inizio del trattamento probabilmente è più
importante la prima, in seguito acquista importanza la seconda.
Weiss e Sampson (1986) hanno sviluppato il concetto di esperienza emotiva
correttiva in una direzione nuova, mettendo in luce altri aspetti dell'empatia.
Nel modello elaborato da questi autori Il paziente entra in terapia con il piano
inconscio di disconfermare le proprie credenze patogene inconscie, che sono
alla base della patologia e a questo scopo sottopone ripetutamente a test il
terapeuta.. Se il terapeuta supera il test, (mostrando cioè un atteggiamento proplan), il paziente starà meglio. Da questo punto di vista l'empatia si esprime
nell'atteggiamento pro-plan del terapeuta, che viene incontro al desiderio
inconscio del paziente di disconfermare le credenze patogene.
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NATURA DELL'EMPATIA
Sulla natura dell'empatia c'è stato un considerevole dibattito e ancora adesso la
natura di questo fenomeno non è del tutto chiara. Alcuni autori hanno definito
l'empatia come un fenomeno primariamente affettivo, riferendosi alla
percezione immediata delle emozioni di un'altra persona, altri come un
costrutto primariamente cognitivo, riferendosi alla comprensione intellettuale
di un'altra persona, altri infine ritengono che l'empatia comprenda componenti
emotive e affettive o che possa caratterizzarsi in un modo o nell'altro a seconda
delle situazioni (Duan e Hill, 1996).
Il modello più condiviso sulla natura dell'empatia in ambito clinico è quello in
due stadi interconnessi, presentato da Feiner e Kiersky in un simposio
sull'empatia pubblicato su Psychoanalytic Dialogue.s nel 1994. Questi autori
ritengono che il processo empatico consista di una fase iniziale in cui una serie
di percezioni sensoriali genera una risonanza affettiva, basata sulla capacità
umana innata di accedere agli stati affettivi ed esperienziali di altri esseri
umani, e in una seconda fase in cui complesse operazioni cognitive e affettive
contribuiscono alla costruzione di significati.
Per quanto riguarda i processi mentali sottesi alla comprensione empatica,
Stolorow suggerisce che si tratti di una ricerca di analogie tra i principi
organizzatori (Stolorow & Atwood, 1992) di chi osserva e quelli della persona
osservata. Altri (Correale,1999) hanno messo in luce l'intervento dei processi
immaginativi, necessario in particolare nel caso dei pazienti psicotici, per
comprendere i quali l'immedesimazione non è sufficiente.
EMPATIA E SVILUPPO
Si ritiene che l'empatia, come viene rivelata dalla visibile preoccupazione per
l'altro e dalla tendenza ad aiutare o calmare gli altri che manifestano dolore
cominci a svilupparsi nel bambino alla fine del secondo anno di vita (Stern,
1985), ma la piena capacità di capire gli stati mentali dell'altro è un'acquisizione
successiva.
Secondo Fonagy (1991, 1995) la condizione necessaria per sviluppare la capacità
empatica è quella di avere sperimentato relazioni empatiche durante lo
sviluppo, in cui il caregiver interpretava correttamente i segnali del bambino e
vi rispondeva appropriatamente. La madre empatica è quella che riesce a
comprendere glli stati mentali del bambino come entità separata, cioè quella
possiede una "teoria della mente".
Empatia e attaccamento sicuro
L'acquisizione dell'empatia è risultata correlata all'aver sperimentato nella
prima infanzia un attaccamento "sicuro" con una figura di attaccamento.
Fonagy (1991, 1995) riporta questo dato al fatto che nel rapporto di
attaccamento sicuro il bambino può contemplare tranquillamente la mente del
caregiver e trovarvi una rappresentazione di se come entità mentale, dotata di
sentimenti, pensieri e intenzioni, cosa che lo aiuterà a capire gli stati mentali.
CORRELATI BIOLOGICI DELL'EMPATIA
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Come avviene quando entrano in gioco le emozioni, il rapporto empatico
comporta dei correlati biologici, anche se per ora sono stati ancora indagati
empiricamente solo in parte.
E' stata fatta l'ipotesi (Pally, 1998) che nell'esperienza empatica la persona che si
sintonizza con lo stato mentale di un'altra ricrei dentro di sé, anche se in forma
attenuata, cambiamenti a livello del sistema nervoso autonomo e sensazioni
corporee associate allo stato emotivo dell'altra. Un'altra suggestione viene dalla
considerazione degli stretti rapporti tra esperienza di comunicazione empatica
e attaccamento. L'esperienza di comunicazione empatica, come la sua
deprivazione, potrebbe comportare variazioni nei livelli di oppiodi endogeni o
di altri peptidi, che sono risultati implicati nell'attivazione del sistema
dell'attaccamento (Nelson e Panskepp, 1998). Lo stesso potrebbe ipotizzarsi
riguardo ad altri sistemi neurotrasmetitoriali, come il sistema gabaergico
(Weerz & Miczek, 1996) e quelli monoaminergici (Nelson & Panksepp, 1998).
L'EMPATIA NEL LAVORO PSICOTERAPEUTICO
Nel rapporto psicoterapeutico l'empatia del terapeuta si esprime in due aspetti
interconnessi, e cioè come posizione di indagine e come responsività ottimale.
L'EMPATIA COME POSIZIONE DI RICERCA
Il compito del terapeuta è di ascoltare e comprendere l'esperienza del paziente
dall'interno della sua prospettiva. Questo tipo di ascolto, definito da Kohut
"immersione empatica prolungata" (Kohut, 1977, 16) e da Stolorow "indagine
empatica continuativa" (sustained empatic inquiry) (Stolorow et al., 1987, 10))
può esser scomposto in vari momenti o aspetti.
Ascolto L'indagine empatica comincia con l'ascolto del paziente. Questo non
comprende solo le parole, ma anche l'osservazione attenta della mimica, dei
gesti e degli atteggiamenti dei pazienti.
Per Freud la base dell'ascolto nella consultazione psicoanalitica è costituita
dall'attenzione fluttuante del terapeuta, consistente nel non privilegiare a priori
nessun elemento del discorso del paziente, lasciando piuttosto funzionare la
propria attività mentale inconscia, al fine di cogliere, oltre agli aspetti coscienti,
anche gli aspetti inconsci delle comunicazioni del paziente. Per illustrare questo
tipo di ascolto Freud ha proposto l'analogia del telefono, secondo cui l'analista
"deve rivolgere il proprio inconscio come un organo ricevente verso il malato
che trasmette; deve disporsi rispetto all'analizzando come il ricevitore del
telefono rispetto al microfono trasmittente. Come il ricevitore trasforma in onde
sonore le oscillazioni elettriche della linea telefonica che erano state prodotte da
onde sonore, così l'inconscio del medico è capace di ristabilire a partire dai
derivati dell'inconscio che gli sono stati comunicati, questo sesso inconscio che
ha determinato le associazioni del malato " (Freud, 1912, 536-37).
Correale ha osservato che l'empatia è diretta a cogliere, più che delle emozioni
discrete, il "fondo psichico" dell'altro (Correale, 1999, 39), cioè l'esperienza
soggettiva del suo senso di sé. Ciò è particolarmente importante nel caso dei
pazienti con disturbi gravi, in cui il fondo psichico appare alterato.
L'ascolto empatico comprende componenti cognitive e emotive, conscie e
inconscie. Il paziente suscita nel terapeuta pensieri, ricordi, immagini e fantasie
oltre che sentimenti. Sappiamo che è importante porre attenzione a tutto quello
che il paziente suscita in noi, anche se non ne vediamo immediatamente
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l'attinenza, perché può essere utile per capire il paziente. Spesso infatti i
pazienti non riescono a dire quello che sentono, ma lo comunicano in altri
modi, suscitando emozioni, pensieri, ricordi o fantasie (a volte anche sogni) nel
terapeuta.
Tra i modelli attuali di ascolto psicoanalitico è utile tener presente quello
proposto da Fosshagy (1997). Secondo Fosshage l'analista si sposta tra due
vertici di ascolto: la modalità di percezione empatica, in cui egli entra in risonanza
con l'affetto e l'esperienza del paziente dal punto di vista del paziente
(prospettiva di ascolto centrata sul soggetto), e la prospettiva d'ascolto centrata
sull'altro, consistente nel fare esperienza del paziente dal punto di vista
dell'altro che interagisce con lui. Entrambe le modalità sono utili per capire il
paziente, anche se è probabile che all'inizio egli abbia bisogno di sperimentare
sopratutto la prima. L'empatia consiste nel trovare la sintonizzazione ottimale
col paziente rispetto a queste due prospettive, variabile a seconda dei momenti.
Analisi delle proprie emozioni
Durante l'ascolto è importante per il
terapeuta
monitorare continuamente le proprie emozioni. Esse infatti
forniscono una risposta globale alle comunicazioni del paziente, che contiene
informazioni che integrano le sue comunicazioni verbali.
La facilità o la difficoltà a stabilire un contatto empatico aiuta a fare la diagnosi.
Pao (1979) ha descritto la percezione dell'atmosfera particolare, che il terapeuta
prova in presenza di un paziente schizofrenico, come marker per fare diagnosi
di schizofrenia. Essa consiste nello sperimentare in presenza del paziente un
sentimento di estraneità e nel dubbio continuo di non essere in contatto
emotivo con lui.
Anche in situazioni meno gravi, la difficoltà di empatizzare con il paziente può
avere un'importanza notevole ai fini della comprensione. Ad esempio una
percezione di "inautenticità" può aiutarci a capire che quello che il paziente dice
non corrisponde o corrisponde solo in parte a quello che sente, rivelando la
presenza di conflitti o confusione nella sua mente. Altre volte l'emozione che
proviamo può aiutarci a capire le difese del paziente, come nel caso in cui
avvertiamo una discrepanza tra i contenuti che il paziente verbalizza e
l'emozione che manifesta. Ad esempio se il paziente sorride mentre racconta
eventi drammatici, possiamo ipotizzare che tenda a distanziarsi difensivamente
dalle proprie emozioni.
In genere è importante fare attenzione ai sentimenti che il paziente suscita nel
terapeuta, come alla discrepanza tra i contenuti che verbalizza e gli affetti che
esprime.
Comprensione empatica Durante l'ascolto il terapeuta cerca di capire
l'esperienza soggettiva del paziente, facendo inevitabilmente delle ipotesi.
Dal punto di vista epistemologico, la comprensione empatica è sempre
soggettiva, o meglio intersoggettiva.
Stolorow (1999), pur riconoscendo che Kohut appare consapevole del
contributo soggettivo dell'analista alla comprensione del paziente, afferma che
nella concettualizzazione kohutiana dell'empatia analitica permarrebbero
residui del pensiero cartesiano basato sul "mito della "mente isolata" (Stolorw &
Atwood, 1992, 19), visibili ad esempio nell'affermazione che l'empatia "è in
sostanza neutrale e obiettiva" (Kohut, 1980, 483). Stolorow defnisce questa
visione "dottrina dell'immacolata percezione" (Stolorow et al. 1999, 386), in
quanto comporta una negazione della natura intrinsecamente intersoggettiva
della comprensione analitica, a cui la soggettività dell'analista dà un contributo
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determinante. Gli atteggiamenti epistemologici contrastanti di Kohut portano
Stolorow a considerarlo "come una figura di transizione nel passaggio del
pensiero psicoanalitico da un'epistemologia cartesiana ad un'epistemologia
post-cartesiana" (Stolorow et al. 1999, 385) in cui può aver luogo una psicologia
pienamente contestuale.
Restituzione della comprensione al paziente Il terapeuta trasmette al paziente
la comprensione che ha ottenuto. attraverso i suoi interventi. Tradizionalmente
in psicoanalisi l'intervento considerato più importante era l'interpretazione,
anche se oggi il ruolo di questo intervento appare notevolmente ridimensionato
rispetto ad altri.
L'interpretazione deriva dall'empatia (per Kohut essa non è altro che una forma
cognitivamente più elaborata di empatia) ed è modulata dall'empatia per
quanto riguarda i tempi, la forma, il linguaggio e così via. In molti casi ad
esempio sarà necessario un periodo preliminare di solo ascolto e comprensione
empatica.
L'EMPATIA COME RESPONSIVITA' OTTIMALE
Negli ultimi anni, probabilmente anche per l'influenza della teoria
dell'attaccamento, l'attenzione degli analisti si è spostata sull'empatia intesa
come responsività ottimale dell'analista, nel senso del tipo di risposta più adatta
al paziente in un determinato momento. In questo senso l'empatia comprende
altri aspetti, a cui accenniamo brevemente.
Sintonizzazione con i bisogni del paziente Tutti gli approcci terapeutici
creano un transfert, inteso come tendenza a spostare sull'analista bisogni
presenti e passati. Questi bisogni sono stati concettualizzati in modi diversi a
seconda delle varie teorie.
La psicologia del sé afferma che, per mantenere l'equilibrio psicologico, il sé ha
bisogno di sentirsi costantemente immerso in un ambiente che fornisca una
funzione di sostegno e di rifornimento di esperienze che ne mantengono la
coesione (Wolf, 1988). Può trattarsi dei bisogni di rispecchiamento, idealizzazione e
gemellariti scoperti da Kohut, cioè del bisogno di essere riconosciuti e
confermati nella propria identità, del bisogno di idealizzare una persona,
un'idea o un valore e di sentirsi parte di un altro ammirato, calmo, potente, che
fornisce protezione (può essere anche un gruppo o un'ideologia) o del bisogno
di sperimentare una similarità un altro essere umano (possiamo fare rientrare
in questa categoria il bisogno di condivisione). Oppure può trattarsi del bisogno di
antagonismo di cui ha parlato Wolf (1988), consistente nel fare esperienza
dell'altro come una forza che si contrappone in modo costruttivo, o del bisogno
di efficacia, cioè di sentire di avere un impatto sull'altro.
Potremmo aggiungere altri bisogni, a cui corrispondono altre funzioni che il
terapeuta svolge. La teoria dell'attaccamento (Bowlby 1969, 1973, 1980) ha
concettualizzato il bisogno di sicurezza, che conduce l'individuo a ricercare la
prossimità con un altro individuo ritenuto più forte o più saggio nei momenti
di vulnerabilità. Da questo punto di vista il terapeuta deve fornire la base sicura,
che offre protezione e da cui l'individuo può partire per esplorare sé e il
mondo. Altri autori a cominciare da Stern (1985) hanno messo in luce il bisogno
di regolazione affettiva del bambino a cui corrisponde la funzione di regolazione che
la terapia può svolgere per il paziente.
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In molti casi è importante che il terapeuta svolga la funzione di avvocato o di
testimone.: in terapia infatti il paziente può aver bisogno di sentire nel terapeuta
qualcuno che prenda le sue parti e che lo aiuti a difendersi (è stata sopratutto
Alice Miller (1981) a sottolineare questo aspetto) oppure può avere bisogno di
un testimone di quello che sta vivendo.
Altre volte il paziente ha bisogno di dare espressione al dolore, cosa che da solo
non riesce a fare. In questo caso l'empatia consiste nel creare un ambiente
psicologico in cui il dolore trovi la possibilità di esprimersi (Neri, 1998). Oppure
il paziente ha bisogno di essere aiutato a mentalizzare (Fonagy, 1991, 1995), cioè
a parlare in termini psicologici (di sentimenti, emozioni, pensieri e così via).
Infine Fosshage (1997) ha messo in evidenza che a volte il paziente ha anche
bisogno di sperimentare il punto di vista dell'altro. In questo caso la responsività
ottimale del terapeuta consiste nel porsi dal punto di vista della persona che
interagisce con il paziente e nell'intervenire aiutando il paziente a comprendere
il punto di vista dell'altro. Anche in questo caso la guida per capire quale
funzione svolgere per il paziente in un dato momento è costituita dall'empatia.
Se il terapeuta si sintonizza con questi bisogni cercando di rispondervi
empaticamente, il paziente proverà un sollievo immediato. Questo spiega in
parte il benessere che il paziente prova appena intraprende un trattamento,
indipendentemente dal verificarsi di un cambiamento stabile.
Accettazione profonda del paziente L'atteggiamento dell'analista dovrebbe
essere quello di porsi al centro del mondo interno del paziente, sforzandosi di
non giudicare in base ai propri valori, ma di accettare profondamente il
paziente (Rogers parlava di unconditional positve regard).
Questo significa sentire anche le distorsioni della patologia come dovute a
strategie di sopravvivenza, che hanno permesso al paziente di adattarsi in
condizioni sfavorevoli, atteggiamento esemplificato dal modo con cui Kohut
(1984) trattava le difese del paziente.
Coinvolgimento affettivo ottimale del terapeuta Il paziente ha bisogno di
sentire che il terapeuta è veramente interessato a lui ed è emotivamente
coinvolto nella relazione.
L'importanza di elementi come il "calore" del terapeuta per l'esito positivo
della psicoterapia è confermata da ricerche empiriche sui risultati della
psicoterapia (Orlinsky et al. ,1994).
SITUAZIONI CHE POSSONO COMPORTARE PROBLEMI DI EMPATIA
La comprensione empatica dell'analista e la sua responsività possono essere
ostacolate in vari casi, di cui indichiamo i più frequenti.
- Con pazienti appartenenti a contesti socioculturali diversi da quelli da cui il
terapeuta proviene, che possono avere valori differenti dai suoi e che il
terapeuta ha difficoltà a comprendere.
- Con i pazienti psicotici, che cercano di evitare il contatto con il terapeuta
perché sono spaventati dalla relazione e cercano di proteggersi. Con questi
pazienti, che provano emozioni spesso insopportabili, è particolarmente
importante che il terapeuta riesca a condividere certi stati di grande sofferenza
del sé, come la frammentazione, la devitalizzazione, lo svuotamento e così via.
- Con i pazienti che mostrano deficit di mentalizzazione, per cui non riescono
a descrivere i propri sentimenti e pensieri..
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- Con pazienti che non comunicano le emozioni che temono disturbanti per il
terapeuta. Questi pazienti agiscono come in passato hanno agito con le figure di
attaccamento.
- In presenza di problemi non risolti dell'analista.
Tradizionalmente questi problemi sono stati concettualizzati dalla psicoanalisi
come controtransfert,
Empatia, controtransfert e soggettività dell'analista
Il controtransfert è stato definito dalla psicoanalisi in vari modi. Freud (1910)
designava con questo termine i problemi irrisolti e le resistenze interne
dell'analista che impediscono la comprensione del paziente, la scuola kleiniana
(Heimann, 1950) lo ha visto come la reazione globale dell'analista al transfert
del paziente e la psicologia del sé (Wolf, 1988) come i residui bisogni arcaici di
sostegno dell'analista che interferiscono nel rapporto con il paziente.
Il controtransfert inteso come impedimento può interferire sia con la
comprensione empatica che con la responsività ottimale del terapeuta.
Tuttavia, se il terapeuta si rende conto del proprio controtransfert e riesce a
comprendere le ragioni della propria reazione, esso può diventare un prezioso
strumento di comprensione, in quanto il controtransfert implica sempre una
risposta ad un modo di essere o ad un atteggiamento del paziente.
Oggi in verità, più che parlare di controtransfert, si tende a parlare di
soggettività dell'analista, il che consente di cogliere, oltre ai difetti di empatia
che derivano dai problemi irrisolti e dalle difese dell'analista, anche i limiti
derivanti dalla presenza un'organizzazione mentale diversa rispetto a quella
del paziente.
Problemi di controtransfert con pazienti che hanno subito traumi Nel caso di
pazienti che hanno subito dei traumi, l'empatia del terapeuta può aiutare a
superare l'alexitimia che spesso è una conseguenza del trauma. Ma la capacità
empatica del terapeuta può essere ostacolata da vari problemi controtransferali.
Può trattarsi innanzitutto di difese di fronte alle emozioni implicate che il
terapeuta ha difficoltà a sopportare. In particolare il terapeuta, confrontato con
esperienze di estrema inumanità subite dal paziente, può tendere a distanziarsi
da lui. Altre volte il terapeuta può essere disturbato dall'identificazione del
paziente con l'aggressore, come conseguenza della violenza subita. Sono stati
anche descritti casi in cui il terapeuta si difende dal provare quella che è stata
definita "colpa del sopravvissuto" (guilt of survivor), cioè il sentimento di colpa
derivante dal fatto di essere sfuggiti al destino tragico di persone vicine.
L'esperienza subita dal paziente può infatti richiamare situazioni analoghe
della vita del terapeuta, legate al fatto di aver avuto un destino migliore
rispetto ai propri familiari o al proprio gruppo. Nel caso di traumi dovuti a
violenze rapportabili a conflitti sociali e guerre, possono verificarsi nel
terapeuta difetti di empatia dovuti a ragioni ideologiche. Ad esempio nel
mondo occidentale siamo facilmente portati ad identificarci con le vittime
dell'olocausto, ma potremmo non avere la stessa facilità ad identificarci con le
vittime di violenze, quando si tratta di persone che consideriamo come nostri
nemici.
In questi casi solo se il terapeuta comprende ed elabora le sue emozioni può
aiutare il paziente ad accettare e ad elaborare le proprie.
EMPATIA COME FATTORE TERAPEUTICO
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Mentre inizialmente la psicoanalisi riteneva che il cambiamento fosse legato
sopratutto all'insight, è ormai largamente accettata l'idea che l'empatia, intesa
nel doppio aspetto di comprensione profonda e di responsività ottimale o
facilitante, abbia di per sé un valore terapeutico. La stessa contrapposizione tra
i due fattori terapeutici tradizionalmente considerati in psicoanalisi, insight e
relazione, si è stemperata. Si ritiene infatti che anche l'interpretazione eserciti la
sua azione terapeutica oltre che per il suo contenuto, anche attraverso il
sentimento di essere capiti e il messaggio relazionale che la sottende.
Come abbiamo detto, l'idea che l'empatia abbia un valore curativo è coerente
con alcuni risultati degli studi empirici sull'esito della psicoterapia.
Empatia come fattore terapeutico non specifico
L'empatia viene oggi teorizzata in psicoanalisi come un fattore terapeutico
specifico. Ma è assai probabile che essa abbia un ruolo importante, anche se
diverso a seconda dei casi, in tutte le guarigioni, comprese quelle mediche.
E' noto che le guarigioni sono dovute non solo ai fattori specifici, teorizzati dai
vari trattamenti, ma anche ad altri fattori, comuni a molti o a tutti i trattamenti,
che sono stati denominati come fattori terapeutici aspecifici, o come forse è meglio
denominarli, fattori terapeutici comuni. L'esempio più clamoroso di azione
terapeutica dovuta a fattori non specifici è costituito dall'effetto placebo, che si
verifica quando la guarigione è ottenuta somministrando una sostanza inerte.
Le ricerche che hanno indagato empiricamente l'effetto placebo e i fattori
terapeutici comuni hanno messo in evidenza l'esistenza di una correlazione
positiva tra l'esito positivo dei trattamenti non solo psichiatrici e
psicoterapeutici, ma anche medici, e alcune variabili relative alla relazione con
il curante, che hanno a che vedere con l'empatia, sopratutto intesa nel senso di
responsività ottimale (Pancheri & Brugnoli, 1999). Ad esempio l'effetto placebo
è apparso correlato all'interesse del medico per il paziente e all'atteggiamento
"caldo" del medico, il quale appare correlato anche alla compliance nei
trattamenti farmacologici.
Il successo della psicoterapia appare correlato a diverse variabili, relative al
rapporto terapeutico in quanto tale, che lo caratterizzano, specie nelle
valutazioni dei pazienti, come una relazione empatica, intensamente emotiva,
fondata sulla comprensione e sull'accettazione da parte del terapeuta. La
qualità e l'intensità di questo coinvolgimento si possono comprendere alla luce
di varie teorie, in particolare la teoria dell'attaccamento e la teoria dei transfert
di oggetto sé, che ricollegano le emozioni sperimentate dal paziente nel
rapporto terapeutico ai primi attaccamenti infantili, rivissuti nel transfert e ai
bisogni rimasti insoddisfatti nella storia evolutiva, e vedono la relazione
terapeutica come un'esperienza emotiva correttiva delle carenze sperimentate in
passato dal paziente. E' probabile che sia proprio l'esperienza emotiva
correttiva, presente in tutti i trattamenti psicoterapeutici e in cui l'empatia gioca
un ruolo fondamentale, a costituire il fattore terapeutico comune più importante
in psicoterapia.
L'azione dei fattori terapeutici aspecifici può influenzare anche la fisiologia
dell'organismo, come appare nell'effetto placebo. Potremmo ipotizzare che
l'azione terapeutica aspecifica, che innesca i meccanismi psicobiologici
sottostanti alla guarigione dovuta al placebo, consista essenzialmente nel fatto
che il curante si offre come figura idealizzata che sostiene il sé del paziente nel
momento di crisi dovuta alla malattia, empatizzando con la sua sofferenza (ad
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esempio offrendo funzioni di rispecchamento e gemellarità) ed esercitando un
potere calmante, o si pone come figura di attaccamento che fornisce sicurezza in
un momento di pericolo (reale o simbolico)
Meccanismi terapeutici dell'empatia
Esistono varie spiegazioni possibili dell'azione terapeutica dell'empatia, intesa
nei sensi sopraindicati, di cui elenchiamo le più importanti.
Contenimento E' stato detto che l'empatia agisce come contenimento, in
quanto lo stato emotivo comunicato dal paziente viene contenuto in chi lo
riceve e in questo modo reso più sopportabile. Questa funzione di
contenimento appare importante sopratutto nel caso di pazienti gravi.
Condivisione emotiva Il meccanismo terapeutico dell'empatia sarebbe
costituito dalla condivisione emotiva, che attenua la solitudine e l'isolamento.
Nel caso della patologia depressiva è stato notato un rapporto inverso tra
empatia e depressione. E' noto che lo stesso insorgere della patologia
depressiva è spesso una conseguenza della rottura di un rapporto di sostegno
essenziale per l'individuo.
Nel caso dei pazienti che hanno subito dei traumi nell'infanzia, è stato detto che
l'elemento determinante perché un trauma esplichi la sua azione patogena è
l'impossibilità di condividerlo, mentre l'esistenza di un rapporto empatico
agirebbe invece come un fattore di resistenza al trauma.
In terapìa l'instaurazione di un rapporto empatico e la possibilità di
condividere con il terapeuta le sofferenze subite eserciterebbero un'azione
correttiva. Questo può essere il meccanismo terapeutico di base sottostante alla
tecnica del detailing
(Hirschman, 1997), consistente in una forma di
sintonizzazione affettiva che aiuta il paziente a esprimere l'esperienza
traumatica, facilitandone l'espressione a livello verbale.
Accettazione da parte di una figura idealizzata Spesso le sofferenze del
paziente derivano dall'esistenza di aspetti di sé che il paziente non può
ammettere L'accettazione profonda del terapeuta aiuta il paziente ad accettarli.
Rafforzamento della coesione del sé Come afferma Wolf (1988), tutti abbiamo
sperimentato il fatto che sapere di esser capiti fa sentire meglio. Questa
osservazione è così fondamentale che viene data per scontata. L'ascolto
empatico ha un effetto benefico indipendentemente dalle informazioni ottenute
e nonostante gli errori che il terapeuta può fare nel cogliere l'esperienza del
paziente. Possiamo dire che l'empatia esercita una funzione di sostegno del sé,
che si sente così rafforzato.
Sembra che anche l'offrire il sostegno ad un altro rafforzi la coesione del sé, il
che consente di affermare che anche il terapeuta riceve dei benefici psicologici
nel rapporto con il paziente, che non consistono solo nell'aumento della
comprensione e nell'arricchimento della propria esperienza. Non è facile
comunque distinguere il benessere che i terapeuta trae dal fatto di esercitare le
funzioni di sostegno per il paziente dal sostegno che il terapeuta stesso riceve in
una buona terapia, in quanto anche il paziente funziona come oggetto sé
dell'analista (Stolorow & Atwood, 1992). Infatti il paziente fornisce
continuamente all'analista esperienze di conferma, efficacia, gemellarità e
regolazione affettiva, oltre ad aiutarlo a comprendere il punto di vista dell'altro.
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Esperienza emotiva correttiva di oggetto sé
Secondo Bacal (1990) la
responsività ottimale dell'analista, sperimentata dal paziente in modo
continuativo, fornisce quella che è stata definita esperienza correttiva di oggetto sé,
la quale esplica un'azione rinforzante del sé.
Attualmente l'attenzione degli studiosi del cambiamento terapeutico, anche in
conseguenza delle scoperte dell'infant research, si è spostata verso il
riconoscimento dell'importanza delle interazioni regolatrici che si realizzano in
modo costante nel rapporto empatico con l'analista. Tali interazioni regolatrici
comprendono la conferma del paziente e la validazione della sua esperienza
intrinseca all'ascolto empatico del terapeuta, l'esperienza del paziente di avere
un impatto sul terapeuta (esperienza di efficacia), l'esperienza di sicurezza fornita
dall'ambiente terapeutico, l'esperienza del terapeuta come qualcuno che
comprende anche attraverso l'interpretazione e l'esperienza degli sforzi del
terapeuta per aiutare il paziente (Fosshage, 1997).
Formazione di nuovi principi organizzatori Vari modelli psicoanalitici
contemporanei ritengono che noi organizziamo l'esperienza in base a dei
principi inconsci, che si sono formati a partire dalle relazioni con le persone più
significative durante la vita evolutiva.
Il rapporto empatico con il terapeuta consentirebbe la formazione di nuovi
principi organizzatori (Stolorow & Atwood, 1992) più funzionali, che si
aggiungono ai vecchi principi disfunzionali e possono infine prevalere su di
essi. Ad esempio un paziente che ha sviluppato degli atteggiamenti grandiosi
disfunzionali come conseguenza di una mancata convalida da parte dei
genitori, ottenendo nel rapporto con il terapeuta le necessarie risposte
convalidanti, potrà stabilire nuovi principi per organizzare la propria
esperienza, rinunziando agli atteggiamenti compensatori.
Questa visione sembra preferibile rispetto al punto di vista tradizionale
secondo cui il cambiamento avverrebbe perché il paziente interiorizza l'analista
empatico come oggetto buono, che sostitusce gli oggetti cattivi introiettati in
precedenza.
Interventi pro plan del terapeuta Secondo il modello di Weiss e Sampson
(1986), possiamo dire che l'atteggiamento empatico del terapeuta produce
cambiamento in quanto è pro plan, cioè conduce il terapeuta a superare i test a
cui il paziente continuamente lo sottopone per disconfermare le credenze
patogene che sono alla base della patologia.
COME INCREMENTARE LE CAPACITA' EMPATICHE DEL TERAPEUTA
Dall'importanza dell'empatia come strumento conoscitivo e fattore terapeutico
in psicoterapia, consegue l'opportunità di incrementare la capacità empatica del
terapeuta.
Non ci sono regole astratte per essere empatici. Quello che è empatico in un
caso non lo è in un altro. Un esempio palese è fornito dalla self-disclosure del
terapeuta, riguardante eventi della sua vita, può avere effetti del tutto opposti a
seconda dei casi.
Possiamo però indicare alcuni modi di ampliare la capacità empatica. Wolf
(1988) afferma che il processo empatico, inteso come modo di ottenere dati,
diventa sempre più attendibile con l'esperienza e può essere educato al pari di
altre percezioni. Ad esempio la conoscenzza di certe teorie può aumentare
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l'empatia, aiutando a comprendere nuovi aspetti dei pazienti, come è avvenuto
con le teorie di Kohut che hanno aiutato a comprendere i problemi di coesione
e vitalità del sé, poco compresi dalle teorie precedenti.
Un'esperienza terapeutica personale può aiutare il terapeuta a conoscere meglio
la propria organizzazione mentale e il suo impatto nella relazione con il
paziente, aiutandolo a tener conto delle proprie mancanze di empatia e a
riparare le rotture empatiche. In mancanza di una terapia personale è
comunque utile l'autoanalisi dei propri vissuti.
La supervisione consente di superare le idiosincrasie e i blocchi individuali,
fornendo inoltre sostegno al terapeuta. Lo stesso accade nelle discussioni di
gruppo e nella comunicazione con i colleghi. Nei contesti in cui ci sono dei
pazienti appartenenti ad altre culture è molto utile la partecipazione nel gruppo
di operatori sociali appartenenti alla cultura del paziente.
Un altro consiglio consiste nel portare il discorso dal generale al particolare, in
modo da poter immaginare la scena descritta dal paziente nei dettagli,
facilitando l'identificazione con il paziente.
Occorre sempre prestare attenzione alle immagini e alle metafore usate dal
paziente, che in genere hanno un potere evocativo superiore a quello delle
parole. In questo senso può essere anche utile ascoltare un sogno.
Con le vittime di gravi abusi si può usare la tecnica del detailing. (Hirschman,
1997), consistente nel fare rivivere e descrivere al paziente la scena traumatica
nei minimi dettagli.
Infine è necessario cercare di vedere sempre il paziente come individuo unico
e non come categoria, quella della vittima (Hirschman, 1997).
RISCHI DELLA CONDIVISIONE EMPATICA NEL LAVORO CLINICO
Un ultimo problema, cui accenniamo soltanto di sfuggita, riguarda i rischi della
condivisione empatica. Questa infatti non ha sempre soltanto un effetto
positivo per chi la usa, se non è seguita da una adeguata elaborazione mentale.
Psicoterapeuti, operatori sanitari e sociali, che non possono sottrarsi al contatto,
spesso penoso, con le emozioni altrui, corrono il rischio di sviluppare forme di
sofferenza psichica e fisica in conseguenza dello stress che subiscono sul lavoro.
Ciò sembra riguardare in particolare il personale paramedico. Ad esempio
sembra che i paramedici mostrino con maggior frequenza la presenza di
sintomi del Disturbo Postraumatico da Stress rispetto alla popolazione generale
(Grevin, 1996). Tali rischi sono stati analizzati dalla letteratura sulla sindrome del
burnout .
Per quanto riguarda i rimedi, oltre all'opportunità di effettuare una
prevenzione mediante corsi di formazione in cui venga trattato l'argomento, noi
vorremmo sottolineare solo un aspetto, e cioè l'importanza di poter discutere
regolarmente almeno con un collega, non necessariamente più esperto,
l'andamento del caso assegnato e le proprie risposte emotive in modo da
contrastare, proprio attraverso la condivisione empatica, i danni che a volte
l'empatia può provocare.
Conclusioni
L'empatia ha un ruolo in qualunque rapporto terapeutico e probabilmente in
qualunque guarigione, per cui è particolarmente importante capirne i vari
aspetti. Attualmente è la psicoanalisi che offre le teorizzazioni più interessanti
sul tema, che è utile tener presenti in qualunque rapporto psicoterapeutico.
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In psicoterapia è utile distinguere due aspetti interconnessi dell'empatia, come
posizione d'ascolto e come responsività ottimale, aspetti che possono essere
ulteriormente scomposti in diversi momenti. L'empatia come posizione di
indagine si esprime nell'ascolto, nel monitoraggio delle proprie emozioni, nella
comprensione di significati e nella restituzione della comprensione al paziente.
L'empatia come responsività ottimale si esprime nella sintonizzazione con i
bisogni del paziente, nell'accettazione profonda del paziente e nel
coinvolgimento affettivo ottimale del terapeuta.
I bisogni dei pazienti sono stati concettualizzati diversamente a seconda delle
varie teorie: la psicologia del sé ha messo in evidenza i bisogni di
rispecchiamento, idealizzazione e gemellarità (tra cui possiamo fare rientrare il
bisogno di condivisione), il bisogno di antagonismo e il bisogno di efficacia. La
teoria dell'attaccamento ha messo in evidenza il bisogno di sicurezza. Altri
autori hanno parlato del bisogno di regolazione affettiva,. Potremmo aggiungere
molti altri bisogni, a cui corrispondono funzioni simmetriche che il terapeuta
svolge, come il bisogno di avere un avvocato o un testimone, il bisogno di dare
espressione al dolore, di mentalizzare o il bisogno di sperimentare il punto di vista
dell'altro. La lista potrebbe continuare.
Se inizialmente la psicoanalisi ha attribuito il cambiamento sopratutto
all'insight, oggi è largamente accettata anche in psicoanalisi l'idea che l'empatia,
sopratutto intesa come responsività ottimale, abbia di per sé un ruolo
terapeutico essenziale. Potremmo chiederci se l'empatia sia un fattore
terapeutico specifico o aspecifico (comune a più trattamenti). Certe
teorizzazioni psicoanalitiche presentano l'empatia come un fattore terapeutico
specifico. Ma è probabile che l'esperienza emotiva correttiva, che tutti trattamenti
psicoterapeutici forniscono e in cui l'empatia gioca un ruolo determinante, sia il
fattore terapeutico comune più importante in tutte le psicoterapie.
Per quanto riguarda i meccanismi terapeutici dell'empatia, si possono
ipotizzare diversi modelli d'azione, come il contenimento, la condivisione
emozionale, l'accettazione da parte di una figura idealizzata, il rafforzamento
della coesione del sé, l'esperienza emotiva-correttiva o la creazione di nuovi
principi organizzatori.
Dall'importanza dell'empatia ai fini terapeutici, deriva la necessità di
incrementare le capacità empatiche del terapeuta. Non ci sono regole astratte
per essere empatici, ma si possono suggerire alcuni modi per aumentare
l'empatia del terapeuta, come la conoscenza di teorie che aiutino a comprendere
aspetti dei pazienti poco compresi dalle teorie precedenti, l'esperienza di una
terapia personale, il continuo monitoraggio delle proprie emozioni, la
supervisione, i gruppi di discussione e in genere la comunicazione con i
colleghi. Nei contesti in cui ci sono dei pazienti appartenenti ad altre culture, è
utile la partecipazione nel gruppo di operatori sociali appartenenti alla cultura
del paziente. Altri consigli, specialmente utili con le vittime di abusi, sono
quello di spostare il discorso dal generale al particolare per riuscire ad
immaginare le scene descritte dal paziente nei minimi dettagli e facilitare
l'identificazione, e il fatto di considerare il paziente come un individuo unico e
non come una categoria (quella della vittima).
L'uso prolungato dell'empatia con persone che soffrono, se non è seguito da
un'adeguata elaborazione mentale, può comportare il rischio di sviluppare
forme di sofferenza psichica, studiate dalla letteratura sulla sindrome del
burnout. Anche queste però possono essere alleviate attraverso la condivisione
empatica.
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