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AGEVO - Associazione Guide Evo
Sussidi per nutrire la preghiera personale dopo gli Evo
11
maggio 2016
Pregare … in ascolto
Per la preghiera quotidiana stiamo seguendo l’itinerario tracciato dal Card. Carlo Maria Martini nel testo: “Il Discorso della montagna” ed. Oscar Mondadori. In questa proposta di meditazione troverete un sunto del testo
preparato da alcune guide EVO.
INTRODUZIONE
Da quando abbiamo iniziato a meditare il Discorso della montagna del Vangelo di Matteo, il Signore ci ha donato
abbondantemente la sua Parola.
Ci sta aiutando “a precisare ulteriormente che cosa significhi seguire Gesù, scegliere le beatitudini, scegliere di
andare a Gerusalemme, di essere respinti come Lui e di morire come Lui per amore dei fratelli. Ciò avviene senza
costrizioni ideologiche, senza inserzioni dottrinali pedanti, bensì in forza dell’amabile umanità di Gesù che viene
contemplata, quasi accarezzata, amata, abbracciata fino a diventare parte del proprio orizzonte mentale che si
identifica con quello di Gesù, secondo le parole dell’apostolo Paolo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in
me”, come suggerisce il Cardinale Martini nel testo “Mettere ordine nella propria vita”, ed. Piemme.
Il discernimento dell’autenticità della mia offerta mi aiuta a precisare la qualità della mia offerta [150-157] e il grado
di amore della mia risposta [165-168].
Nella seconda Giornata Intensiva del secondo anno EVO ciascuno di noi ha incontrato e vissuto l’esercizio “Tre
tipi di offerta” (S.P. 25). La ripetizione di questo esercizio mi aiuterà a esaminare come sto vivendo il mio incontro
con il Signore e a verificare se sono interiormente libero rispetto a ciò che il Signore mi sta chiedendo.
Undicesima meditazione
Dio ci vuole felici
Noi cerchiamo il tuo volto, Padre,
il tuo volto bellissimo e misterioso
da cui ha origine ogni cosa
che noi possiamo adorare nel silenzio.
Lo vediamo nel volto del tuo Figlio, che ce lo ha rivelato con le parole e le azioni.
Fa’ che contemplando e ascoltando le sue parole, possiamo comprendere il suo cuore,
conoscere Te, Dio eterno vivo e vero, e lo Spirito che da Te procede.
Fa’ che possiamo vedere riflesso in ogni cosa
il Mistero trinitario di amore che si manifesta e salva l’umanità.
Nei primi sussidi abbiamo iniziato a meditare sulle Beatitudini come “atrio e atmosfera” del Discorso della montagna. Le abbiamo considerate come un portale, come una“ouverture”, che dà il tono all’intero Discorso. Ora le
esaminiamo più da vicino, presentandole come “corona” del Discorso stesso da sgranare perla dopo perla.
Diamo alla meditazione il titolo: Dio ci vuole felici.
• Egli vuole la nostra felicità, non solamente qui, adesso … subito; desidera che maturi in noi la vera felicità
per questa vita e per l’altra, anche se non potremo percepirla pienamente in ogni istante, specialmente
agli inizi del cammino.
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• Il cammino degli Esercizi facilita e accompagna la maturazione di un discernimento, di una capacità di
scelta. Di fatto non sempre ciò che sembra darci gioia ci rende felici.
• Le Beatitudini indicano le vie, gli atteggiamenti che possono rendere davvero contenti, e costituiscono
quindi un aiuto per la nostra felicità.
Grazia da chiedere: Signore, fa’ che io gusti e accolga profondamente in me lo spirito delle beatitudini.
Aiutami a vivere la mia Identità Cristica, la mia missione specifica, facendo vibrare felice il mio cuore
nell’ascoltare Te che proclami beato chi vive quella tua particolare Parola.
Come suggerisce il Cardinal Martini,
passeremo in rassegna le Beatitudini. Distingueremo facendo l’analisi logica:
i predicati, di fatto uno solo, ripetuto: “beati…”;
i soggetti: “poveri, miti, umili, affamati di giustizia…”;
i verbi, che indicano quale sarà il premio: “saranno saziati, saranno consolati, di loro è il Regno…”.
“Beati…”
Il predicato “beati” ricorre molto frequentemente nell’Antico Testamento. Lo incontriamo nei Salmi, nel libro dei
Proverbi (3, 13), (16, 20), (29, 18); nel profeta Isaia (30, 18), (56, 1-2).
Nel testo del Vangelo, scritto da Matteo in lingua greca, troviamo il predicato makarios che letteralmente significa
“felici” e rende il senso delle Beatitudini evangeliche molto più concreto rispetto a “beati” che potrebbe avere un
significato più astratto.
Queste “felicità”, così numerose nel Nuovo Testamento, ci trasmettono una verità fondamentale: Dio ci vuole felici
e ci propone la via della felicità.
Chi è beato?
Soffermiamoci ora sui soggetti.
È piuttosto difficile determinarli; abbiamo a che fare con parole dal significato assai ampio. Ne deriva una
molteplicità di interpretazioni.
Come suggerisce il Cardinal Martini, riprendiamo le beatitudini, una per una, preoccupandoci di individuare la
traduzione più vicina al pensiero di Gesù, detta con nostre parole.
La beatitudine prima e fondamentale è chiaramente quella dei poveri in spirito.
In un altro passo del Vangelo, Gesù dice: “Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt
18, 3). Dunque oltre che dei poveri di spirito, il regno dei cieli è dei bambini.
In Mt 11, 25 si parla di “piccoli”, népioi in greco, bambini da zero a due anni che non sanno parlare, completamente
affidati alle braccia del padre e della madre: è l’infante a cui Dio ha rivelato i tesori del Regno.
La povertà appare così come un abbandono in Dio anche quando non si ha nulla.
Potremmo allora tradurre: beati coloro che non si appoggiano su se stessi e confidano in Dio solo, beati coloro che
non hanno potere e mettono tutta la loro forza in Dio.
La povertà è non solo carenza dei beni stimati in questo mondo, è affidamento a Dio, è umiltà (Lc 1, 48), ( Mt 11,
29).
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Il profeta viene mandato per consolare gli afflitti, “per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece
della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto” (Is 61, 2-3).
Afflitti sono coloro che si rammaricano per il fatto che Dio non è amato, per il fatto che l’Amore non è amato. Beati
coloro che sanno piangere sui mali del mondo e sui mali della propria anima, come coloro che piangono sulla città
di Sion, come Gesù piange su Gerusalemme (Lc 19, 41). Star male è già preghiera.
Chi vive questa afflizione compie opera di misericordia e riceve consolazione.
Abbiamo accennato alla beatitudine dei miti nei sussidi 5 e 6: “ possederanno la terra e godranno di una grande
pace” (Sal 37, 11). I miti, in opposizione agli empi e ai malfattori, sono persone senza pretese, che non approfittano della forza, non prevaricano, sono prive di potere o, se ce l’hanno, non lo usano. Il Salmo 37 li esorta a essere
pazienti e fiduciosi nel Signore, perché “i malvagi saranno sterminati” (Sal 37, 9). Al contrario: “la salvezza dei
giusti viene dal Signore, nel tempo dell’angoscia è loro difesa” (Sal 37, 39).
Possiamo tradurre: beati coloro che non si fanno giustizia da sé, ma sperano soltanto in Dio, e perciò non intervengono con prepotenza, lasciando nelle mani di Dio la loro causa.
Gli affamati e assetati di giustizia sono coloro che vorrebbero vedere la volontà di Dio realizzata quaggiù, e si
sforzano, per quanto è in loro, di piacere al Signore soltanto.
Madre Teresa di Calcutta traduce questa fame e sete di essere giusti con queste parole: beati coloro che si danno
da fare per farsi santi, che sono affamati di santità, fiduciosi che il Signore li santifica.
Non lasciamoci fermare dai nostri limiti, ma affidiamoci all’aiuto della provvidenza.
Più facile l’interpretazione della beatitudine dei misericordiosi, di coloro che compiono opere di misericordia,
descritte ampiamente dalla Scrittura e riprese da Papa Francesco nella Misericordiae Vultus. Si tratta di opere
concrete, come ci richiama la conclusione della parabola del buon samaritano: “va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Lc
10, 37).
È ben giusto che chi fa tali opere ottenga misericordia.
Cosa significa puri di cuore?
Puro è il cuore libero da passioni sensuali, dall’attrazione della sessualità disordinata?
Oppure è il cuore limpido, che compie la volontà di Dio e solo quella?
Le due interpretazioni non si escludono e in sintesi significano: beati coloro che riservano a Dio l’obbedienza di un
cuore indiviso, beati coloro che guardano a Lui e non si lasciano prendere, invadere, schiacciare da interessi di
questo mondo, è anche questa una grazia da chiedere.
È la beatitudine riecheggiata nel Salmo 24: “Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha
mani innocenti e cuore puro”.
È la beatitudine che imploriamo con le parole del Salmo 51: “Crea in me, o Dio, un cuore puro”.
La beatitudine degli operatori di pace, insieme a quella dei misericordiosi, è la beatitudine dell’amore del prossimo, e più che una disposizione dell’animo, è un modo di agire.
Gli operatori di pace sono coloro che mettono pace, là dove c’è amarezza, divisione, conflitto, maldicenza, che
seminano pace, lavorano per la pace. In tutti i modi cercano di rovesciare le situazioni lanciando messaggi di
riconciliazione.
Beati i perseguitati a causa della giustizia: giustizia è “essere giusti”, aderire a Cristo, osservare la legge cristiana. Chi rompe con la logica del mondo, chi non si conforma a questo secolo, paga tale rottura. Gesù vuole che
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noi vediamo la nostra beatitudine anche là dove si viene maltrattati, non per aver fatto il male, ma per aver fatto il
bene (At 5, 41).
“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per
causa mia”. San Paolo in maniera vivissima e singolare ha vissuto questa beatitudine. Contrastato nel suo ministero, messo in difficoltà, imprigionato, battuto, scacciato dalle città, vedeva in questa situazione il segno della
verità della sua missione. Dalla persecuzione stessa traeva la forza per andare avanti e continuare il cammino di
proclamazione del mistero di Gesù: “Mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle angosce, nelle persecuzioni sofferte per Cristo” (2 Cor 12, 10).
Si tratta di un modo di sentire, di vivere, di pensare che è quello di Gesù e dei primi cristiani. Anche noi siamo chiamati a seguire Gesù nella sua umiliazione, povertà, benevolenza, mitezza, misericordia, bontà, come ci insegna
Sant’Ignazio nel Terzo grado di amore (S.P. 18, S.P. 29).
La promessa per noi
Riprendiamo ora a sgranare uno per uno la “corona” dei verbi.
“Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”. È il concetto dominante: la gioia della beatitudine
deriva proprio dal fatto che il Regno è posseduto fin da ora da coloro che accettano e scelgono di non avere niente
e di non avere nessun diritto in questa terra.
“Beati gli afflitti perché saranno consolati”. La consolazione non è garantita subito, nell’immediato, è una promessa che attiene al futuro, in questa vita o nell’altra, e che bisogna aspettare con fede.
“Beati i miti perché possederanno la terra”. I miti erediteranno la terra nella quale Dio sarà lodato, riverito, servito
e nella quale vi sarà perfetta giustizia. I miti erediteranno la terra perché saranno accolti in pienezza nella vita da
Gesù.
“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”. Lo vedranno in futuro, lo vedranno nel compimento dell’eternità. Cominceranno anche a vederlo un poco, nella chiarezza della loro speranza; come pure avranno, nell’oscurità della
fede, qualche intuito della sua grandezza.
“Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”. Tutto il Discorso si basa sulla figliolanza divina,
attribuita qui soprattutto a coloro che diffondono pace intorno a sé, quella pace che è dono divino.
“Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il regno dei cieli”. Avranno Dio per re. Il regno dei
cieli è il premio che sottostà a tutte le altre forme di premio, perché le comprende tutte.
“Beati voi quando vi insulteranno … rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”.
Con un’aggiunta propria di questa beatitudine: “Così hanno perseguitato i profeti prima di voi”, e potete dunque
trarne consolazione.
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La nostra vita alla luce delle Beatitudini
La gioia è la nota dominante della mia vita? Mi considero fortunato, felice? In altre parole, vivo le Beatitudini?
Naturalmente occorre misurare la felicità con il criterio delle Beatitudini; quando siamo contenti in questo quadro,
siamo sicuri di essere sulla strada evangelica.
Dobbiamo interrogarci, su tempi medi e lunghi, non su tempi brevissimi, se la felicità del Vangelo è nostra.
Il regno di Dio non promette successo in questo mondo, ma rende contenti quelli che si abbandonano a lui. È
una contentezza fondata sulla fede e sulla speranza, sulla fiducia nella parola del Signore che mantiene le sue
promesse, e non su ciò che si vede.
La dinamica di fede e di speranza purifica totalmente tutte le pretese dell’uomo di salvarsi da solo. Le Beatitudini
sono l’habitus, l’atteggiamento di chi si è abbandonato a Dio, al quale tocca santificarlo, sostenerlo, proteggerlo,
promuoverlo.
Senza aspettarsi che tutto si verifichi in maniera visibile e con successo mondano.
Chi vive così raggiunge la serenità interiore, sperimenta quella gioia spirituale che nasce dall’aver capito il cammino del Regno, dall’avere Dio per re.
Questa gioia l’abbiamo dentro, ma spesso non la lasciamo affiorare. Facciamola emergere! Lasciamoci stupire
da fatti semplici, ovvie realtà, che sono invece tesori meravigliosi di Dio, autentici miracoli della grazia, segni del
Regno già presente!
Sono capace di scommettere sul futuro?
È chiaro che le Beatitudini promettono, senza assicurare sempre per l’oggi. Abbiamo visto che quasi tutti i verbi
sono al futuro.
Di fatto le Beatitudini operano fin da ora (5, 3; 5, 10).
Dio può concedercene, e di fatto ce ne concede, un’anticipazione quando lo serviamo con perseveranza, con
cuore sincero.
Le Beatitudini appartengono a coloro che sanno attendere. Noi non sappiamo fare i conti con il futuro, vorremmo
che tutto fosse presente, siamo incapaci di attesa.
La speranza è attesa del dono di Dio che verrà.
Tanto più ci aspettiamo gratificazioni immediate, tanto meno vivremo la gioia evangelica.
Le Beatitudini sono la cartina di tornasole per verificare se davvero viviamo il Discorso della montagna.
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