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981 Prima edizione ebook: giugno 2015 © 2015 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-7995-0 www.newtoncompton.com Realizzazione a cura di Librofficina Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli Immagine di copertina: © Ilona Wellmann/Trevillion Images Sylvia Kant Prova ad amarmi A mio marito Capitolo 1 Sabato Sedici riquadri. Sedici sul lato lungo e quattro su quello corto. Sessantaquattro pannelli di legno pregiato e un battente egiziano inchiodato nel mezzo, tra il trentesimo e il trentunesimo riquadro. Sa tutto di quella porta. Staziona lì davanti da ben dodici minuti. L’elegante battente è ricoperto d’impronte. Un vero insulto alla perfezione. Estrae il fazzoletto dalla tasca del soprabito e afferra il battaglio, pronta a lucidarlo, ma quel maledetto le sfugge di mano e colpisce in pieno la placca d’ottone, facendo un baccano infernale. Il suo cuore cessa di battere, mentre la porta, lentamente, si apre. «Buonasera». Il vecchio maggiordomo ha la faccia di gesso, la sua voce è una mazza da baseball calata di peso sulla schiena. Si fissano negli occhi come in attesa di un evento, finché lei non si decide a estrarre l’invito dalla tasca del soprabito. «Dottoressa Palmieri, s’accomodi», dice l’uomo, sussiegoso, dopo aver letto il cartoncino che lei gli ha teso. Con le ginocchia rigide come quelle di un’artritica, muove un unico passo oltre l’uscio: subito un compatto muro di voci le picchetta i piedi nel pavimento, impedendole di procedere oltre. «Prego». Il maggiordomo la invita a discendere la breve scalinata di marmo che degrada nell’immenso salone gremito di gente elegante, mentre, paralizzata sul ballatoio, cerca disperatamente un viso conosciuto tra facce di pedofili, donne manager e puttane che s’aggirano tra i tavoli imbanditi. Un’orrida sensazione di soffocamento le attanaglia la gola, mentre lascia vagare lo sguardo oltre la massa di teste, riuscendo solo a scorgere le ampie vetrate dell’attico e le luci soffuse di una piscina che disegnano trame e arabeschi sul soffitto della sala e sul pavimento del panoramico terrazzo incorniciato dai grattacieli di New York. «Prego, dottoressa». Il maggiordomo vorrebbe chiudere la porta, impercettibilmente seccato, ma la paura continua a tenerla inchiodata sull’uscio. «Vuole lasciarlo a me?», aggiunge con maggior calore, indicando il trench primaverile che lei ancora indossa. «Il soprabito», gli sente mormorare, mentre le labbra dell’uomo si piegano in un impalpabile sorriso. «Ah, sì, mi scusi», balbetta sfilandosi il trench senza neppure togliere la borsa dalla spalla. Il maggiordomo stenta a restare serio. «La sua borsa», dice e sfila la pochette dalla manica del soprabito. Lei arrossisce e ripete un flebile: «Scusi». L’uomo, finalmente, la scruta con palese simpatia. «Se vuole, può lasciare a me anche questa». «Grazie», ribatte con un filo di voce, mentre l’uomo s’allontana col soprabito ripiegato sul braccio e la borsa stretta tra le mani. Un’odiosa sensazione d’ansia le serpeggia nello stomaco, non appena il suo sguardo incontra le sontuose misedegli altri invitati, raffrontandole all’umile vestitino celeste di seta stampata a piccoli fiori che indossa. Ridicola. Ridicola e fuori luogo. Come una brutta insegna al neon, la frase lampeggia, a caratteri cubitali, sulla sua fronte. «Angela, ma che fai? Non entri?». Finalmente una voce familiare. «Rachel t’aspetta da un’eternità!». Gira lo sguardo a scrutare la bellezza mozzafiato che l’ha raggiunta sul ballatoio. «Ciao, Susan», mormora sollevata, posandole un rapido bacio sulla guancia, mentre scruta l’elegante abito nero che la fascia fino al ginocchio. Prada? Dolce e Gabbana? Non s’è mai interessata di moda, però è senz’altro un capo d’alta sartoria e, infilata lì dentro, la sua amica è davvero uno schianto. «Cominciavo a stare in pensiero. Non arrivavi mai!», le dice sistemandosi la folta e indomita capigliatura bionda. «Ci ho messo quasi una settimana per decidermi a venire e ben dodici minuti per bussare alla porta», ribatte Angela lanciando un’occhiata all’orologio che porta al polso e uno alla massa di invitati vergognosamente eleganti. Susan, divertita, le passa un braccio attorno alle spalle e la trascina giù per i pochi gradini di marmo che le separano dal salone. «Dài, coraggio!». «Non mi sento proprio all’altezza di questo posto». La bionda la fissa con uno sguardo misto di comprensione e ironia. «Ma sì che lo sei! All’inizio neanche per me è stato facile ma, dopo qualche gaffe clamorosa, ho imparato a muovermi», e le scocca un sorriso che mette in mostra una fantastica chiostra di denti. «Sono allergica alle gaffe clamorose! Ti prego, almeno questa volta lasciami nell’angolo. Sono ancora troppo arrugginita con l’inglese». «Dài! Tranquilla! New York è piena di gente che non sa parlare inglese. Andiamo a bere qualcosa di forte, così ti togli dalla faccia quest’aria patetica!». Trascinata a forza, Angela fende la folla con gli occhi sgranati: davanti e attorno a sé, facce da rotocalco rosa. Il cervello galleggia nella testa completamente vuota per l’emozione. Neanche nelle sue fantasie più sfrenate avrebbe potuto immaginare, riunite in un sol luogo, tante persone famose. In una manciata di secondi riconosce attori e cantanti che adora e diversi pezzi grossi dell’alta finanza americana. Ma dove diamine è finita? Susan, imperterrita, continua a trascinarla come una vecchia bambola di pezza, mentre ode la sua voce tracotante ripetere a oltranza: «Largo, fate largo! Largo, per favore. Permesso? Scusate… Permesso?». La parte opposta dell’attico non arriva mai. Pesta piedi, strascichi, s’impiglia in capelli, in sguardi di sdegno, s’affretta con le gambe, s’affretta con gli occhi, ma gli occhi, si sa, quando vanno di fretta, colgono sempre un particolare: una giacca chiara in mezzo ai blazer blu, gesti eleganti e sicuri tra mani isteriche, un sorriso assassino tra sorrisi stereotipati e, per un attimo infinito, occhi che entrano negli occhi, liquefanno il cervello, bruciano reni, contraggono viscere, risalgono fino al cuore, un paio di extrasistole ed è la fine. La fine. Ne ha visti di uomini belli, ma questo è veramente speciale: una clamorosa faccia da stronzo. Intorno a lui un’orgia di corpi che cercano di sfiorarlo, mani di donne e uomini sulle braccia fasciate dalla giacca elegante, sulla serica pelle del petto abbronzato che s’intravede dalla camicia scura appena sbottonata. Gli altri maschi girano al largo come avvoltoi in attesa degli avanzi. Non s’accorge neppure d’essersi fermata, quando le labbra di Susan le sfiorano l’orecchio. «È da infarto, vero?», sussurra. Nella sua mente tutto s’è fermato, mentre, inebetita, continua a fissare quegli occhi inquietanti. «Chi è?», sillaba con l’ultimo filo di fiato che le è rimasto nei polmoni. «Di’ la verità: te lo faresti qui, davanti a tutti». «No». Le parole escono fuori lente, ma decise. «Potrei innamorarmene». Il suo sguardo estasiato s’incupisce all’istante. «Ma uno così, una come me non la vede neppure». La breve risata dell’amica la riscuote da quella specie di trance che l’ha inaspettatamente travolta. «Oh, sì, invece! Un bell’assegno da tremila dollari ed è tutto tuo!». Non capisce, non vuole capire, ma ha già la delusione dipinta negli occhi. «Sai a chi appartiene quella tentazione diabolica?», continua Susan. «Si chiama Antony Barker ed è, diciamo, l’amante ufficioso di Rachel». Preferirebbe non sapere altro, ma la bionda continua a sussurrarle fastidiosamente all’orecchio. «Non si può definire proprio il suo uomo, perché Tony non appartiene a nessuno… Lui è la sua anima nera». Anima nera. Che significa? «È il suo mantenuto?». La delusione straripa dagli occhi e comincia a dilagarle sulla faccia, mentre continua a fissare quel volto scolpito nel marmo. «Non esattamente», ribatte Susan. «Divorziate, gay, mogli insoddisfatte sono il suo pane quotidiano, il tutto condito da svariati generi di perversione. Di tanto in tanto organizza feste particolari per clienti particolari: maschi, femmine, transessuali… E coca. Coca a fiumi». S’interrompe un istante e abbassa ulteriormente il tono della voce. «Rachel è la sua cliente numero uno». Angela si volge a guardarla di scatto, quasi irritata da simili pettegolezzi. «E tu come lo sai?». Susan la fissa coi grandi occhi azzurri divenuti improvvisamente seri. Lo sguardo di chi è tornato dall’inferno. «Ho fatto carriera grazie a quelle feste». Ha il sangue coagulato nelle vene, ma riesce ancora a mormorare con voce incolore: «Sei stata anche con lui?». La bionda lancia uno sguardo vorace sullo splendido corpo del gigolò. «Non durante quelle feste. Tony scopa solo per affari». «Però ci sei stata», e non riesce a camuffare la nota d’invidia che sente emergere dal proprio tono di voce, mentre l’immagine di Susan, che serra tra le cosce i fianchi stretti di lui, si materializza davanti ai suoi occhi, sferrandole un micidiale pugno allo stomaco. «Qualche anno fa ho fatto una follia. Per scoparci ho venduto un anello di brillanti, ma, credimi, n’è valsa la pena. Peccato non provi piacere a fare sesso. Pochi lo sanno, ma neanche un sospiro esce da quelle labbra meravigliose. E non bacia. Mai». Mentre Susan parla, lo vede chinare la testa di lato per ascoltare ciò che ha da dirgli un bel giovanotto biondo. In risposta, il gigolò distende le labbra sensuali, scoprendo i denti perfetti. Quando sorride, ai lati della bocca, due pieghe accattivanti gli solcano il viso. Le belle dita da pianista scivolano lungo la schiena del ragazzo, attardandosi sui fianchi. Una donna, esile come un giunco, s’avvicina per parlargli all’orecchio, sfiorandogli con le dita la pelle che s’intravede dalla camicia sbottonata e lui elargisce l’ennesimo sorriso assassino. «È un uomo pieno di fascino», sussurra incantata. «È una puttana», sibila Susan. «Si scalda solo quando conta i soldi». Il gigolò, apparentemente ignaro di quell’esame, continua a parlare calmo e rilassato in mezzo alla folla che lo circonda. «Una puttana», sussurra Angela, tentando di dare un senso a quelle parole, ma solo con enorme sforzo riesce a vederlo per quello che realmente è. Poi anche lui la vede. E la fissa. Insistente. Gli occhi dell’uomo bucano l’anima. Sono freddi come il ghiaccio. E poi lo sente. Il tono della voce è sprezzante. «Hai finito?», dice. E ce l’ha proprio con lei. Il cuore di Angela sobbalza e pompa con vigore il sangue verso il petto, lungo il collo, fino ad arrivare alle guance senza alcuna voglia di tornare da dov’è venuto. I piedi ruotano di scatto, pronti alla fuga, la testa anche, per un istante, ma la testa a volte va per conto suo e, quando meno te l’aspetti, tira fuori due stupidissimi palmi di lingua. A quel gesto infantile, la folla che attornia il gigolò sorride. L’uomo, invece, no. I piedi adesso corrono e portano le guance a respirare un po’ d’aria fresca in terrazzo: l’aria, in genere, calma il rossore e, spesso, anche l’umiliazione. «Che stronzo!», sibila infuriata. «Che grandissimo stronzo! Ma chi si crede d’essere!», continua a inveire contro di lui, con la voglia folle di tornare nel salone, mollargli una sberla e poi mettere una distanza infinita tra loro. Ma proprio non può. Non può rischiare di contrariare Rachel. Rachel. Un timore acre le inonda lo stomaco al pensiero del loro primo incontro: mentre attendeva d’essere introdotta nell’ufficio del presidente della Norton & Faulk, la paura le aveva fatto flettere più volte le ginocchia, strette in un elegante tailleur acquistato per l’occasione. «Accomodati». Pamela, la segretaria personale di Rachel, aveva sorriso freddamente cordiale. Dischiusa la porta di legno massiccio, era stata accolta da un ampio ambiente in penombra: gli splendidi tappeti Serapi attutivano i passi come un sottobosco acquoso. Aveva tossito, a disagio, e la figura china sull’immensa scrivania di noce aveva alzato lo sguardo: uno sguardo duro, maschile e un sorriso che, su altre labbra, sarebbe parso radioso. L’immenso potere di quella donna permeava la stanza come la minaccia di un campo minato pronto a esplodere al minimo passo falso. «Temevo non saresti venuta», aveva sussurrato. Non poteva averle detto una cosa del genere. Aveva senz’altro tradotto male. «Vieni più vicino: voglio vedere com’è fatto il genio del marketing che mi hanno spedito da Roma». Una voce di marmo, a tratti graffiante. Angela aveva trascinato fino a lei le gambe molli di paura. «Non temere. Non mordo… spesso», aveva aggiunto con un sorriso divertito, ripetendo la battuta di un famoso film di vampiri, quindi l’aveva afferrata dolcemente per le spalle, facendola volgere a favore di luce. Angela aveva abbozzato un sorriso imbarazzato, arrossendo sotto l’esame attento ed entusiasta. «Sarà un problema importi ai colleghi di sesso maschile: anche qui in America gli uomini sono ancora convinti che una bella donna debba essere per forza un’idiota». «Cambieranno idea», aveva risposto con difficoltà. I lunghi occhi grigi di Rachel l’avevano sondata con calore. «Ne sono certa», aveva detto con quella voce che raschiava i timpani, poi aveva fatto scivolare le mani magre lungo le sue braccia, scostandosi a malincuore. «Angela», aveva mormorato continuando a fissarla con insistenza, «Angela», aveva ripetuto stringendole le mani. «Voglio che diventiamo amiche». A quelle parole, il suo cuore aveva perso qualche colpo: la quintessenza del potere economico americano le stava dicendo che voleva diventare sua amica. Se non fosse stato per il terrore cieco che la divorava, avrebbe cominciato a ridere a crepapelle per quell’assurda richiesta. «Desidero che mi chiami per nome e, qualsiasi problema tu abbia, non temere di rivolgerti a me. A me personalmente, intesi? Ti piace la suite dove sei alloggiata?». La voce le era uscita a nodi: «È fin troppo lussuosa. I camerieri sono molto snob». Un ampio sorriso aveva stirato le labbra di Rachel. «Ti ci abituerai», aveva detto con un tono definitivo che le aveva dato i brividi. «Purtroppo domani sono obbligata a partire per il Brasile e starò via qualche giorno, ma di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, puoi rivolgerti a Susan». Angela l’aveva fissata con sguardo interrogativo. «È una mia collaboratrice e una cara ragazza», aveva spiegato. «Te la presenterò tra poco. In questi giorni ti mostrerà New York e ogni settore dell’azienda. Poi, dalla prossima settimana, lavorerai con lei in un piccolo distaccamento dell’ufficio marketing. Proprio qui accanto al mio ufficio». A quella notizia un brivido gelato le era corso lungo la nuca. «Ma parlando di cose più amene: sabato sera darò una festa per il mio compleanno. Ti va di venire?». Quella festa schifosa cui non può sfuggire. Angela chiude gli occhi, inspira a fondo la brezza di fine giugno e le abbaglianti luci di New York svaniscono: è appoggiata alla spalletta che costeggia il Lungotevere e il ponentino le spettina i capelli. È sera e all’Isola Tiberina, giù sull’argine, c’è la festa del quartiere. Sul grande schermo del cinema all’aperto proiettano Via col vento e lei lo guarda, scomodamente seduta sul sedile della moto del suo ragazzo che, invece, le russa accanto, con le braccia e la testa appoggiate al parapetto sotto i grandi platani. Le luci degli antichi palazzi si riflettono sulla lenta superficie del fiume, mentre giovani allegri attraversano i ponti tenendosi a braccetto. Il ricordo è un doloroso calcio alla bocca dello stomaco. Qualcuno poggia le mani sul davanzale del terrazzo accanto a lei, riportandola brevemente alla realtà, ma non ha alcuna voglia di socializzare, così serra più forte le palpebre e ricomincia a immaginare: è quasi l’ora di cena e, a Roma, fa già un caldo asfissiante. Sua madre ha finito di fare il bucato e stende le lenzuola in terrazzo mentre suo padre, in pantaloni corti e canottiera, innaffia un limone rachitico che non ha mai dato frutti. Suo nonno s’è addormentato davanti alla televisione, ha quasi novant’anni e, prima di partire, le ha chiesto: «Ti rivedrò?». Un sospiro di sconforto la strappa ai ricordi, facendola volgere di scatto. Nella penombra, due pupille inquietanti s’incollano alle sue. Angela trasale intimorita: riconoscerebbe quegli occhi terribili anche in uno stadio, la sera della finalissima. Si guarda attorno preoccupata, ma forse non ce l’ha con lei. L’uomo ha le belle labbra dischiuse in un sorriso impenetrabile. «Non sono mai stato snobbato così a lungo», dice con una voce calda, da brividi, «e nessuno mi ha mai fatto linguacce». Ce l’ha proprio con lei. Un imbarazzo pesante le impedisce di rispondergli qualsiasi cosa. Distoglie lo sguardo e picchietta nervosa le unghie sul davanzale del terrazzo, desiderando che un’esplosione, un terremoto, un aeroplano che precipita, faccia deviare da lei quell’attenzione inusitata. «Qual è il tuo nome?». Si stupisce nell’udire quella voce profonda, velatamente ironica, uscire dalle labbra sensuali. «Angela… Palmieri», balbetta sulla difensiva. Il gigolò continua a fissarla enigmatico. «Immagino che tu sappia già il mio». «Cos’è, la frase di rito?», lo sferza in preda al panico. Antony si drizza come un cobra, scoccandole un’occhiata fulminante. «Non sono venuto a venderti merce», ribatte duro e sembra sul punto d’andarsene. «Credi che non sappia distinguere fra una ricca oca e una povera papera?», aggiunge sprezzante, in italiano. Angela sgrana gli occhi allibita. «Parli italiano!», ed è quasi una liberazione dopo tutti quei giorni d’inglese stentato. «Sei pregata di non spargere la voce». L’uomo continua a parlare un italiano pulito, privo di qualsiasi inflessione. «Diamine! Ma… sei italiano?» «Di quale altra nazionalità volevi che fosse uno stallone?». Il tono è decisamente ironico e Angela si ritrova a ricambiare il sorriso, mentre la scruta con quegli occhi magnetici. «Mia madre era italiana», mormora chinandosi su di lei con fare intrigante. «Hai poco d’italiano», ribatte lei, scostandosi di scatto, lo stomaco in subbuglio. Le labbra del gigolò si piegano in quel sorrisetto sardonico che, a quanto pare, lo contraddistingue. «Ho quello che conta», e i suoi occhi incredibili sono attraversati da un bagliore incandescente. Angela cerca di deviare la direzione pericolosa presa dal proprio cervello, alla ricerca di quel qualcosa d’italiano che conta tanto. «Tuo padre, invece, è americano?», chiede asciutta. Di nuovo quel sorrisetto beffardo: ha capito perfettamente la divagazione… Carogna. «Newyorkese purosangue», e si china nuovamente su di lei. «Il risultato dell’ibridazione è di tuo gusto?». Angela è di nuovo a disagio. «Ti diverte mettere la gente in imbarazzo?». Il gigolò s’accende una sigaretta e ne inspira il fumo, lentamente, mentre continua a studiarla. «Abitudine», si decide a risponderle dopo un’eternità. Lo guarda piccata dal fatto che non gliene abbia offerta una. «Stai cercando di smettere?», l’apostrofa divertito, inarcando un sopracciglio, e lei si ritrova a fissarlo stupita. «Chi ha smesso o non ha mai fumato, non si offende se ci si dimentica d’offrire». Ma che fa? Legge nel pensiero? «Può darsi che non abbia smesso affatto», ribatte irritata. Gli occhi del gigolò le scandagliano anche le viscere. «Per placare il nervosismo avresti dovuto accenderne una appena uscita in terrazzo». «Potevo averle lasciate nella borsa». «Difficile che un fumatore le dimentichi». «Potevo non essermi innervosita», ribatte ancora, sollevando il mento con aria di sfida. Antony scuote il capo. «Una vera donna non arrossisce in quel modo… spudorato», e distende le labbra in un sorriso abbagliante. Resta inebetita a fissare quella bocca stupenda, cercando almeno di respirare. Il residuo di razionalità che ancora le alberga nel cervello riesce a farle notare che è ironico e divertente, oltre che spudoratamente bello. Le piacerebbe studiarlo, ma proprio non ci riesce: i modi inusuali di lui e la sua avvenenza la precipitano in un disagio paradossale. China lo sguardo sul raffinato orologio che il gigolò porta al polso, un polso signorile che si prolunga in mani curate, dai gesti eleganti, mentre sussurra sospettosa: «Che cosa vuoi da me?». Il gigolò tace. Angela, preso il coraggio a due mani, solleva lo sguardo su di lui: un sorriso misterioso gli stira le labbra, accentuando la fossetta del mento. Un sorriso che sa di pericolo. «Tu che cosa pensi?». La sua voce è come il velluto. «Penso di non aver bisogno dei tuoi servigi», ribatte dura. «Forse tu potresti aver bisogno dei miei, ma non credo che annoverarti tra gli amici sia igienico». Ricomincia a essere allarmata e la cosa le fa uscire di bocca parole poco diplomatiche che però, neanche sa come, riescono a distoglierlo dall’esame della sua faccia. «È vero», lo sente ammettere dopo qualche attimo di silenzio pesante. «Vedo che sei stata ampiamente edotta», aggiunge fissando il panorama notturno. Angela distoglie lo sguardo, pentita per averlo trattato male. «Scusa», mormora piano. «Come diavolo sei finita a New York?», gli sente dire dopo un istante. Torna a fissarlo, con aria appena più cordiale. «Uno stage di sei mesi. Dovevo allontanarmi da Roma». L’espressione del gigolò è quella di un felino in agguato nell’erba alta. «M’incuriosisci», lo sente sibilare tra i denti. «Una curiosità che resterà insoddisfatta». Di fronte ai modi sgarbati di lei, Antony tace, lievemente colpito, poi, la sua voce calda torna a carezzarle i timpani: «Sembri una che ha sbagliato festa». «Puoi scommetterci», ringhia. «E per quale motivo non te ne vai?», chiede stupito, inarcando le sopracciglia. «Non posso», brontola cupa. «Chi te lo impedisce?». Col capo, Angela accenna all’interno dell’attico. «Una tua conoscenza». Antony solleva il mento. «Se ti riferisci a Rachel, hai ragione. È pericoloso contrariarla». «Sono stata avvisata». «Sei stata avvisata di troppe cose». Stavolta lo fissa diretta. «E hanno sbagliato?». L’espressione dell’uomo è ermetica, mentre s’allontana, dopo averle dedicato un ultimo, impenetrabile sguardo. *** «Albert Johnson ti attende nello studio». La voce di Pamela, al suo orecchio, è fastidiosa come il ronzio di un insetto molesto. Rachel si volge, stizzita, a fissare la propria segretaria: quella ragazza è efficiente come un cyborg. E altrettanto fredda. Non l’aveva mai vista accompagnarsi a nessuno, uomo o donna che fosse, nonostante la palese avvenenza. Difficile non notare le sue lunghe gambe, i seni alti, i grandi occhi da gatta e quella bocca larga dalle labbra sensuali, probabilmente capace di dare un piacere intenso a qualsiasi organo sessuale vi venisse a contatto. Il controllo della vita privata dei suoi stretti collaboratori era routine quotidiana, eppure mai nulla era trapelato delle sue preferenze. Pamela Wells pareva dedita soltanto al lavoro e alla carriera… Probabilmente aveva un cassetto pieno di vibratori. «Digli che arrivo subito», ribatte Rachel, dopo un istante. Quando lo raggiunge nel proprio studio, Albert Johnson è assorto nella contemplazione del ritratto maschile che campeggia al centro della splendida libreria in rovere. «Che cosa fai, Albert? Saluti il nonno?», dice ironica. L’uomo si volge, mostrandole il volto, incorniciato da folti capelli bianchi. «Cercavo di ravvisare il tuo viso nei suoi tratti», ribatte. Rachel scuote il capo. «Adam Eisemberg era bello come la figlia, non certo come la nipote». «Ma dal tuo nonno materno hai preso il fiuto per gli affari», dice l’uomo. «E la tua avvenenza non è mai stata inferiore a quella di tua madre», aggiunge andandole incontro con un tenero sorriso. «Il solito galante», ribatte Rachel, appoggiando il capo alla spalla di lui. «Dagli Eisemberg ho ereditato il patrimonio. Dai Norton il brutto carattere e la pessima salute», termina con un sospiro. L’uomo la bacia sui capelli, stringendola brevemente a sé. «Come stai?», le chiede con tono grave. «Non bene, Albert», mormora mesta. «Stasera il tuo umore mi lasciava presagire il contrario». «La mia felicità è di tutt’altra natura». «Ha forse a che vedere col mio uomo?» «Sta svolgendo un ottimo lavoro, ma no. Lui non c’entra». Rabbuiandosi all’istante, Rachel aggiunge: «Antony s’è accorto d’essere sorvegliato?». Johnson abbozza un sorriso rassicurante. «Barker è astuto, ma il mio uomo è il migliore nel suo campo». «Non lo sottovalutare», mormora allarmata. «Non l’ho mai fatto. So bene di che cosa è capace». Rachel siede sul sofà di pelle bianca, portandosi le mani al volto. «Questa situazione è snervante», sussurra. «Non amo celare segreti ai miei stretti collaboratori». Albert abbozza un sorriso che gli illumina gli occhi cerulei. «Lo so, celare segreti è il mio mestiere», dice sedendosi accanto a lei, «non il tuo. Ma se per Barker fosse facile entrare in quelle banche dati, s’insospettirebbe. Per questo è meglio che Morris e Matthison non sappiano nulla». «Non avrei mai immaginato che un presidente degli Stati Uniti avrebbe avuto l’ardire di svolgere indagini sulla Norton & Faulk. Anche se avrei dovuto immaginare che la notizia della mia malattia avrebbe fatto levare in volo gli avvoltoi». «Per fortuna tuo nonno ha fatto in modo che io fossi al posto giusto nel momento giusto», dice Albert accennando al ritratto affisso alle loro spalle. «Ti rammento che gli avvoltoi fanno parte della famiglia di mio nonno e il presidente Lawrence è il loro uomo», ribatte aspra. Lo sguardo con cui Albert la scruta è risentito. «Gli uomini di Adam Eisemberg non hanno mai tutelato gli interessi dei rami cadetti della famiglia», dice glaciale. «E il presidente Lawrence è solo un idealista manovrato da Mark Williams». «Scusa, Albert. So che sei fidato e leale». Rachel sospira forte, le labbra serrate in una linea dura. «Ma sai bene che Mark Williams persegue, da secoli, gli interessi di quel maledetto ramo degli Eisemberg e, alla fine, riuscirà ad acquisire la Norton & Faulk. L’unica cosa che non desidero è che uno scandalo faccia crollare il valore delle azioni. Alla mia morte, gran parte del patrimonio che mi ha lasciato il nonno tornerà ai suoi parenti. Che paghino almeno il dovuto per la mia azienda! È con rinunce dolorose e immensi sacrifici che l’ho fatta diventare la potenza che è oggi! Non voglio che il nome della Norton & Faulk venga infangato per permettere loro di acquisirla per due soldi!», ringhia furibonda. «La mia fedeltà a te viene prima di qualsiasi cosa, lo sai. E così pure quella di tutti gli uomini di tuo nonno». La mano di lui stringe forte la sua. «Perciò rasserenati, Rachel. La montagna non partorirà neppure il famoso topolino». Rachel lo fissa in silenzio per un lungo istante. «Antony sta lavorandosi il nostro amico banchiere?» «Sai che Tony frequenta il letto di Irene Blunt, la cervellona dei tuoi laboratori». La donna annuisce. «E i Blunt sono amici intimi di Steve Matthison». «Henry Blunt sta per rientrare dal suo lavoro di diplomatico in Uganda ed è geloso come un pazzo della moglie», obietta Rachel. «Col suo ritorno, Antony non potrà più infilarsi nel letto di Irene». «E avrà scarse possibilità di frequentare il loro amico banchiere», aggiunge Albert con un’occhiata significativa. «Ho capito», dice la donna. «Organizzerò qualcosa al più presto». «Barker è stato davvero bravo ad agganciare Matthison e il senatore Morris senza destare sospetti. Anche a me secca lasciare quei due all’oscuro della faccenda, ma il tuo gigolò non si fida di nessuno. Neppure di me. Sa bene come vanno le cose. Pochi conoscono i segreti che lui conosce. Il letto è un posto dove ci si lascia andare facilmente a confidenze e Barker è il confidente numero uno. In questi anni, le sue informazioni sono risultate preziose per molte indagini prima di questa, ma non credo sia un idealista». «No», conferma Rachel, «Antony non è un crociato in Terra Santa. Lui ha sempre avuto un solo obiettivo», mormora dura. «Distruggermi». Il viso di Johnson si vela di tristezza e, dopo un istante di silenzio, chiede: «Perché vuoi farla finita proprio così?» «Sono agli sgoccioli», mormora la donna. «Sto soffrendo molto». «E vuoi morire con lui», dice Albert, costernato. «Vuoi portarti Tony nella tomba… Perché?». Gli occhi di Rachel assumono un’espressione folle. «Perché lui è mio». *** «Ma dov’eri finita!», esclama Susan, visibilmente preoccupata, non appena Angela l’ha raggiunta. «A sbollire la rabbia». «Lascia perdere Anima Nera. Vieni, Rachel vuole presentarti delle persone», e la trascina nuovamente con sé. Il presidente della Norton & Faulk è attorniata dai soliti leccaculo e da visi più o meno noti del mondo dello spettacolo e della finanza. Indossa uno scintillante abito di lamé che poggia mollemente sulle ossa sporgenti del bacino. Se non fosse tanto magra, parrebbe una regina: corti capelli biondi, lunghi occhi grigi dal taglio orientale, zigomi alti, naso dritto, guance incavate e quelle labbra che un tempo devono esser state morbide e sorridenti. Una donna dalla bellezza strana e affascinante. Le sue mani ossute sfiorano le spalle degli uomini e i visi delle donne che le stanno accanto, elargendo sorrisi brevi e affettati. «Guarda com’è materna con quegli stronzi», sibila Susan. Materna. Un aggettivo che non accosterebbe mai a una come Rachel. Eppure anche lei potrebbe aver generato qualche tipo di prole. «Rachel ha figli?», chiede incuriosita. Susan sospira con una buffa smorfia. «Ringraziando il cielo, quel mostro è sterile come un deserto dopo la pioggia radioattiva». Entrambe cercano di dissimulare un sorriso, mentre si avvicinano alla temibile virago. «Angela, tesoro!», la saluta cordialmente quella voce anglosassone che gratta i timpani. È ancora estremamente a disagio nel chiamarla per nome. «Ciao… Rachel». La donna fa segno a un cameriere di servire ad Angela dello champagne. «Ti stai divertendo?», le chiede. «Moltissimo», mente spudoratamente, afferrando la coppa di cristallo. «Volevo presentarti il nostro capo del personale, Karl Emerson», dice Rachel e subito s’avvicina un bell’uomo alto, dall’alito alla clorofilla. «Karl, lei è Angela», la presenta con una sorta di malcelato orgoglio. «Sono stupefatto!», l’apostrofa lui. «Di solito i grandi talenti non hanno un aspetto tanto gradevole», aggiunge con un’occhiata ammirata. «Sono così felice che tu sia qui». Rachel la fissa intensamente, stringendole le mani tra le proprie e mettendola terribilmente in imbarazzo. «Spero solo che non ti senta troppo a disagio in quest’ambiente». «Scherzi? Sarei quasi tentata di chiedere l’autografo a tutti i presenti!». Rachel ride. Un riso breve, il suo, quasi isterico e se la stringe al seno. «Sei impagabile», mormora fissandola con gli occhi lucidi. «Un vero tesoro». Karl le osserva incuriosito e Rachel subito si scosta. «Voglio che tu faccia amicizia e che ti trovi bene qui negli States, così forse deciderai di restare più dei sei mesi pattuiti». Angela tenta un po’ d’ironia. «Sempre che non mi cacci via prima». Rachel la scruta con uno sguardo da far gelare il sangue nelle vene. «Questo non accadrà. Mai». Deglutisce, cercando di analizzare lo strano comportamento di questa donna, ma Pamela, la segretaria di Rachel, precipita nel gruppo insieme a una folata di Chanel. «Ti vogliono al telefono», dice freddamente, muovendo appena la grande bocca sensuale. Rachel sfiora la guancia di Angela con una carezza. «Scusami», mormora allontanandosi, mentre la banda di leccaculo si dissolve come neve al sole. Le labbra di Susan le sfiorano l’orecchio. «Credo si sia presa una cotta per te». «Ecco il motivo di tutte queste attenzioni!», esclama Angela. Una voce maschile le colpisce alle spalle spargendo odore di clorofilla. «Di che cosa si parla, belle fanciulle?» «Delle tendenze sessuali di Rachel», ribatte Susan. Karl si stringe nelle ampie spalle. «Tendenze piuttosto monocordi. Si scopa solo Barker». Angela si fa coraggio. «Niente donne?» «Non che io sappia», ribatte Karl. «E lo saprei di certo: non sarei il capo del personale, se non avessi spie ovunque», aggiunge con una punta d’orgoglio. «No, Rachel non sa che farsene delle passerine», dice ironico. «Lei ama solo i serpenti. Se possibile velenosi», e a quelle parole, i loro sguardi si spostano all’unisono sull’inquietante figura del gigolò, preso a parlare con un gruppo di donne, poco lontano da loro. «Sai che non t’avevo mai vista?», dice Karl calando su di lei uno sguardo vorace. «Rachel non ha avvisato nessuno del tuo stage». «Sono arrivata da Roma solo da pochi giorni. Questa settimana Susan mi ha mostrato il lavoro svolto nei vari settori dell’azienda, ma temo che lunedì prenderò posto nella stanza dei bottoni». «Perché temi?» «Perché chi sale rapidamente in alto, in genere, altrettanto rapidamente scende». Karl volge lo sguardo attorno a sé. «Molto dipende da quanto t’interessa fare carriera e dai compromessi che accetteresti per continuare a farla». «Diciamo che non amo passare sui cadaveri dei colleghi». Lo sente sospirare pietoso. «Allora farai poca strada, tesoro». «Io, invece, credo che Rachel la stimi proprio perché è una brava ragazza ed è in gamba nel lavoro», s’intromette Susan. «Rachel è fissata con l’Italia», ribatte Karl, astioso. «Per lei non è necessario essere in gamba se sei italiano», quindi scruta oltre le loro spalle mormorando: «Scusate», e fila via come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa d’estremamente importante. «Che testa di cazzo!», ruggisce Susan, facendo il gesto di lanciargli dietro il proprio bicchiere. Angela ride, afferrandole il braccio. «Dài, lascialo perdere». Una musica ad alto volume comincia ad attrarre tutti gli invitati all’aperto, verso il bordo della piscina, interrompendo la discussione. «Ti va di ballare?», chiede la bionda tornando a un tono frivolo. «Certo». E, finalmente, Angela comincia a divertirsi: adora ballare e Susan è scalmanata quasi quanto lei. La musica ritmata e travolgente le svuota la testa. «Ehi, guarda chi c’è!», esclama la sua amica, fermandosi un istante. Segue il suo sguardo e nota una specie di Brad Pitt dimenarsi poco distante da loro. «Molto carino!». «Robert Harrison, Bobby per gli amici. È un fotografo di moda. Gli sto dando la caccia da un paio di mesi», mormora Susan al suo orecchio. «Un bel ragazzo davvero, ma sembrerebbe anche piuttosto impegnato», ribatte accennando all’avvenente bruna che gli balla addosso, baciandolo sfrontatamente. «Ne sei innamorata?». Susan spalanca gli occhi. «Mai stata innamorata in vita mia!», esclama. «Ogni tanto mi fisso su qualcuno e non mi passa finché non me lo sono portato a letto». Bobby, sentendosi osservato, si volge verso di loro con un sorriso complice. «E questa sera mi sembrerebbe ben disposto. T’abbandono un istante: voglio vedere se mi segue», e Susan si dilegua tra la folla senza darle modo di ribattere. Non le è mai piaciuto ballare da sola, figuriamoci in un ambiente del genere, così preferisce avvicinarsi al buffet per prendere qualcosa da bere e seguire gli avvenimenti: poco dopo, nota Bobby defilarsi abilmente e seguire Susan lontano da occhi indiscreti. «Bastardo», borbotta torva, non potendo evitare di fare i dovuti raffronti col proprio recente passato. Avrebbe voglia di correre dalla brunetta e ragguagliarla su quel doppiogiochista del fidanzato, invece ingoia bile, rivolgendosi al barman che attende impettito dietro il bancone degli alcolici. Non regge il martini, ma lo ordina doppio, anche se il suo stomaco già annovera una coppa di champagne e nulla, assolutamente nulla, di solido che non sia quel dolore ingombrante che ormai vi alberga da giorni. Non riesce a distogliere lo sguardo dalla ragazza che continua a ballare spensierata in mezzo agli amici, completamente ignara di quello che, alle sue spalle, sta tramando il proprio compagno. Beve e ne ordina un altro, ancora doppio, cercando di cancellare l’angoscia che la divora: il suo sguardo corre ancora alla fanciulla che si dimena, allegra e bellissima, in mezzo alla pista, mentre il suo uomo è chissà dove a farselo succhiare da Susan. E la rabbia risale a ondate sempre più devastanti. Risale insieme ai ricordi: Roma, una camera da letto e due corpi nudi, avvinti nel sonno. Il solito pugno alla bocca dello stomaco che la tramortisce di disperazione. Inspira forte, tracanna il martini e ingoia altra bile. Con la mascella contratta, s’appoggia al parapetto del terrazzo che corre tutt’attorno all’imponente attico e, per scacciare i pensieri ossessivi che si rincorrono nella sua testa, decide di studiare gli ospiti che danzano a bordo piscina, mettendo in mostra gli organi appena rifatti. «Solo la loro biancheria intima costa un mese del mio lavoro», borbotta tra sé, disgustata. E poi lo vede. E tutto pare fermarsi davanti ai suoi occhi: un paio di belle donne gli ballano addosso, poco lontano da dov’è rimasta, imbalsamata, a fissarlo, col bicchiere di martini fermo a mezz’aria. Una lancinante fitta di desiderio le attraversa i reni, risalendo lungo la spina dorsale. “Uno così non può esistere”, pensa senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso: il vestito di Armani sembra modellato sul suo corpo, evidenziandogli le spalle larghe e la vita stretta, ferocemente elegante e raffinato. Non ha mai visto tanto pericoloso fascino e sensualità racchiusi in un solo incredibile uomo. Antony balla bene, apparentemente divertito dalle donne che gli si strofinano addosso come gatte in calore. “Una puttana”, pensa mestamente, imponendosi di volgere altrove lo sguardo, ma quello, come calamitato, torna a posarsi sul viso altezzoso del gigolò. Tranquilla nel proprio anonimato, lascia che gli occhi si trastullino con la vista di quelle spalle larghe che si muovono sotto la giacca chiara, il corpo conturbante e i muscoli armoniosi che s’indovinano sotto il tessuto del raffinato abito di lino e quelle mani dalle lunghe dita che scorrono, delicate, lungo la schiena di una delle due donne, quasi provandone lei stessa il calore. Un paio di contrazioni allarmanti al basso ventre. Scuote il capo stizzita, domandandosi il motivo per cui una donna dovrebbe pagare un uomo per fare l’amore. Lei non pagherebbe mai per fare quelle cose lì. Anche se, con uno del genere, la tentazione sarebbe forte. Davvero forte. L’immagine di quei corpi nudi, avvinti nel sonno, si materializza ancora una volta nella sua mente, sferrandole un altro micidiale pugno allo stomaco. Chissà se fare l’amore col bellissimo gigolò potrebbe, almeno in parte, stemperare il veleno che le scorre incessante nelle vene. Poi quegli occhi di ghiaccio incrociano, per un istante, i suoi e il cuore accelera vertiginosamente i battiti. “Cristo, mi ha vista”, pensa volgendo lo sguardo al barman che le versa subito da bere. «Grazie», biascica afferrando il nuovo bicchiere di martini. Quando, inesorabilmente, torna a guardarlo, lui la sta ancora fissando, mentre una delle due donne gli cinge i fianchi ballandogli contro. “Adesso penserà che voglio abbordarlo!”. Irritata, china lo sguardo a terra e riprende a sorseggiare il liquore. Però, in fondo, non sarebbe poi così male vendicarsi con uno così. Senza amore, senza alcun coinvolgimento emotivo. Sesso. Sesso e basta. Così come fanno gli uomini. La rabbia sorda torna a far salire il livello di acido cloridrico all’interno del suo esofago e, per diluirlo, ingolla in un sol sorso tutto il martini. «Lascia perdere, è a pagamento», mormora una voce maschile alle sue spalle. «Lo so», ribatte atona, senza neanche degnarsi di osservare il nuovo arrivato, tanto l’odore di clorofilla le ha già segnalato di chi si tratti. «Un martini anche per me», ordina Karl al barman. «Non si deve mai bere da soli». Finalmente riesce a interrompere la rapida sequenza di occhiate tra lei e il gigolò, forzandosi a osservare il capo del personale della Norton & Faulk: un uomo molto attraente, con un fisico prestante, gli occhi celesti e i capelli biondi dal taglio corto, anche se ancora non riesce a inquadrarlo. Proprio non ci riesce. Davvero bello, però! Trenta? Trentacinque anni o giù di lì. Sì, decisamente oltre i trenta… Anche Antony dev’essere oltre i trenta e, a quel pensiero, un sospiro desolato le gonfia il torace. Tremila dollari per una botta! Praticamente tutti i suoi risparmi! E torna a concentrarsi sulla bellezza anglosassone che le staziona accanto. Almeno questo dovrebbe scopare gratis… Chissà come se la cava col sesso questo bel pezzo di figliolo americano. Ma che le salta in mente? Questo è l’alcol che parla. O forse è la solita, schifosissima rabbia. «La tua amica ti ha abbandonata?», chiede Karl con aria predatoria. «Spero per poco», ribatte rigida. Lo vede inarcare un sopracciglio, colto in contropiede. «Ehi! Sei cattiva!». «Oh, no! Non intendevo in quel senso!», si scusa avendo afferrato l’equivoco. «È che mi sento un pesce fuor d’acqua. Non conosco nessuno qui». «Ma conosci me!», esclama lui allegramente. «Dài, vieni», dice afferrandole la mano, «andiamo a fare due chiacchiere sotto il pergolato, almeno non saremo costretti a urlare. Questa musica è assordante». Siedono su un divanetto nascosto da una folta pianta rampicante e ordinano altri due martini che vengono sorseggiati in un silenzio, a dir poco, imbarazzante. Poi, deposto il proprio bicchiere su un tavolino basso di vimini, Karl si volge a guardarla con irritante insistenza. Un sorriso ebete e nervoso si dipinge sulla faccia di lei, mentre stenta a dominare la rigidità che si va via via impadronendo di ogni muscolo del suo corpo. «Che cosa c’è?», chiede alla fine, seccata. Karl socchiude le labbra studiandola freddamente. «Sei una bellezza inusuale, per niente stereotipata. Molto affascinante. Ma resti comunque un fiore del proletariato». Angela reprime a stento la voglia di fuggire, dopo avergli stampato cinque dita sulla faccia. «Rachel va pazza per te», mormora continuando a fissarla. «Vuole essere il tuo Pigmalione. Chissà quanto tempo impiegherà a distruggere la tua aria da tenero cerbiatto smarrito». Ha la gola riarsa dall’astio. «Per quale motivo dovrebbe?» «Perché è il suo unico divertimento. Ma parliamo di cose più interessanti», e un sorriso affascinante gli spiana i lineamenti squadrati. «Sei libera?» «In che senso?», chiede asciutta. «In quel solo senso», puntualizza lui con un’occhiata maliziosa. Dopo qualche attimo d’esitazione si decide a rispondergli. «Ufficialmente sì». «Ufficialmente», ripete lui cogitabondo. «C’era qualche terzo incomodo?». Lo stomaco di Angela si contrae. «Non credo siano affari che ti riguardano». Karl spalanca gli occhi. «E ancora porti il lutto per uno stronzo che t’ha tradita?» «In realtà non c’è nessuno che m’interessi». Lo vede allargare le braccia. «E io?» «Devo ammettere di non aver provato ancora alcuna scossa elettrica». Lo sguardo con cui la fissa è stranamente torbido. «Provvediamo subito», e la trae a sé, incollando le labbra alle sue e obbligandola a ricambiare un bacio freddo e violento. Talmente scioccata da quell’assalto imprevisto, Angela stenta a ribellarsi, anche se qualsiasi movimento sarebbe comunque vano tra quelle braccia dure come l’acciaio. La tiene stretta contro il proprio petto, i denti le mordono le labbra per obbligarla ad aprirle. Poi una mano impudica scivola sotto il leggero tessuto della gonna, cominciando a frugarle tra le gambe. Quando, finalmente, riesce a scostare il viso da lui per emettere un brevissimo grido, Karl blocca qualsiasi protesta tappandole la bocca con la mano rimasta libera. Poi comincia a forzarle le ginocchia. Le grida soffocate di lei si fanno sonore, non appena lo sente armeggiare con la lampo dei pantaloni e un terrore cieco la invade, facendola dibattere come un pesce preso all’amo. No! No! No! Non così! Non vuole vendicarsi così! Non in questo modo! Tanti anni vissuti a Roma, in piena periferia, e rischia d’essere violentata a una festa di VIP a New York? Come minimo è presente il capo della polizia in persona a questo party schifoso! Poi, come per magia, si ritrova libera e torna a respirare. Gira lo sguardo in cerca d’aiuto, ma, di fronte a sé, vede solo Karl, con i piedi penzoloni e un braccio maschile che gli serra la gola. Il capo del personale della Norton & Faulk ha la faccia cianotica. Lo sente rantolare mentre, con le mani, cerca disperatamente di strapparsi di dosso quella morsa letale. «Basta così, Tony!». L’ordine secco di Rachel giunge dal buio di un altro divano di vimini, poco distante da quello dove, ancora sconvolta, Angela cerca di riassettarsi la gonna gualcita. Il gigolò molla la presa e Karl si china sulle ginocchia tossendo a più riprese. «Vattene». La voce di Antony è fredda come l’acciaio. Karl, senza neppure riprendere fiato, sguscia via rapidamente. «Tutto bene?», chiede Rachel dal buio. Angela si alza goffamente dal divano, cercando di non fissare lo sguardo in quello inquietante del gigolò. «Sì… Scusa Rachel… Vorrei tornare a casa», riesce a balbettare. Rachel si alza a sua volta. «Certo, cara», e l’abbraccia con calore. «Mi spiace che quell’idiota t’abbia spaventata, ma ha tirato troppa coca. Non ti sei accorta dello stato in cui era?». Angela scuote la testa in un breve cenno di diniego. «Eppure vieni da Roma. Dovresti sapere che cosa significano quelle pupille dilatate», aggiunge prendendole affettuosamente il viso tra le mani. «Mai avuto rapporti con la droga». «Meglio per te», mormora passandole un braccio attorno alle spalle. «Tesoro, purtroppo ho congedato l’autista perché avevo chiesto a Susan di riaccompagnarti, ma pare sia sparita con un giovanotto… Antony, ci pensi tu?». Il panico dilaga, all’istante, in ogni anfratto del suo essere. «No no no, Rachel, chiamo un tassì!», esclama allarmata. «Sono più tranquilla se vai con lui», risponde Rachel baciandole la guancia. «Ci vediamo domani, cara», e subito s’allontana per ricevere un altro ospite, troncando qualsiasi obiezione. «Ma…», balbetta, agghiacciata al solo pensiero di restare ancora sola con lui. La voce profonda e tagliente del gigolò la tramortisce come uno schiaffo in pieno viso. «Rilassati», dice scrutandola con quegli occhi capaci di ridurti in poltiglia il cervello. «Non ho il tassametro», e le tende un enorme bicchiere colmo di cognac. «Coraggio, bevi», aggiunge abbozzando un sorriso sornione. «Stasera hai rischiato di perdere la virtù». Angela china lo sguardo e afferra il bicchiere, timorosa che lui possa intuire lo stato confusionale in cui la mette, poi caccia giù il liquore tutto d’un fiato. «Grazie», biascica, mentre il cognac entra in rotta di collisione con lo champagne e tutto il martini ingurgitato durante la serata, «ma non sono più vergine da un pezzo», e subito arrossisce per averlo detto. Antony la osserva divertito. «Non l’avrei mai detto», dice sferzante, quindi, afferratala saldamente per un braccio, la conduce verso il guardaroba. «Il soprabito e la borsa della dottoressa Palmieri», dice alla giovane guardarobiera che se lo divora con gli occhi. «Certo, Mr Barker», ribatte la ragazza con un sorriso lascivo. «Certo, Mr Barker», ripete Angela con una smorfia irriverente, immaginandosi, di colpo, le mani bramose della ragazza sul corpo di lui e provando un acuto, quanto inopportuno, senso d’irritazione. Antony stenta a trattenere un sorriso, scrutandola in tralice, poi, non appena tornata la guardarobiera con i capi richiesti, mormora: «Grazie, tesoro». Un sorriso ebete si dipinge sul volto della ragazza. «Grazie, tesoro», ripete Angela insolente e la fanciulla le scocca un’occhiata velenosa. «Andiamo, stronzetta?», mormora al suo orecchio la voce calda del gigolò e lei, assurdamente lusingata da quell’amichevole appellativo, lo segue, barcollante, fino all’ascensore, mentre il maggiordomo chiude la porta dell’appartamento alle loro spalle, ovattando in un lampo il chiasso della festa. Un improvviso giramento di testa la costringe ad appoggiarsi al muro, procurandole, in aggiunta, una storta. «Ehilà!». La voce profonda di Antony la fa trasalire di nuovo, mentre sente le sue dita forti afferrarle le braccia e stringerla a sé. Oh, santo cielo! Sotto il palmo delle mani, il tessuto della camicia dell’uomo, teso sui muscoli pettorali, sembra ardere come il fuoco. La punta delle sue dita è a diretto contatto con la pelle all’inizio del torace asciutto e virile di lui. Al naso di Angela giunge il suo profumo, un misto di dopobarba costoso e qualcosa che le arriva diretto al basso ventre come un treno merci lanciato in discesa. Si scosta irritata, cercando di riguadagnare una qualche distanza di sicurezza. «Hai mangiato?», le chiede, abbozzando un altro invisibile sorriso. «Ho solo bevuto», biascica con gli occhi socchiusi. «Una bella dormita e passa tutto», dice addossandola alla parete della cabina dell’ascensore appena giunto, quindi s’allontana di qualche passo, continuando a inchiodarla con quegli occhi penetranti. «Ti ringrazio per essere intervenuto», mormora riconoscente, «però potresti smettere di fissarmi a quel modo?». Il gigolò incrocia le braccia sul petto e s’appoggia alla parete, senza accennare a distogliere lo sguardo da lei. «Per quale motivo?». Sente le parole sfuggirle dalle labbra senza alcun controllo. «Perché fai un brutto effetto». Lo sguardo di lui rischia di vaporizzarle ogni organo interno. «È il mio mestiere fare quell’effetto», ribatte provocante. Angela sbuffa, tentando di non fissarlo, ma l’alcol le ha inesorabilmente sciolto la lingua. «È vero che vai con tutte?». Il tono risulta decisamente impertinente, così come lo sguardo che gli rivolge. Antony china il viso di lato e la scruta silenzioso. «Anche con quelle brutte?», insiste imperterrita. L’espressione dell’uomo s’accende di divertimento. «Soprattutto con quelle brutte», dice con quella voce da brividi. Angela lo fissa seria, quindi, ostinata, insiste. «E gli uomini? Vai anche con gli uomini?». Il gigolò emette un profondo sospiro. «Ma allora vai proprio con tutti!», esclama ad alta voce, mentre le porte dell’ascensore si aprono nell’elegante atrio del palazzo. «Oddio, mi sento male», rantola sbiancando. Il gigolò fa appena in tempo a trascinarla in strada, quando un violento conato le contrae lo stomaco, facendole rigettare tutto l’alcol ingurgitato. Ha le braccia tese contro il muro del palazzo e stenta a riprendere fiato, ma sente le mani di lui serrate attorno alla vita. «Devo farti proprio un effettaccio», dice caustico porgendole un fazzoletto, quindi la sorregge fino al ciglio della strada. «La mia auto», ordina a un guardamacchine che s’è goduto tutta la scena. Poco dopo, Antony apre la portiera d’una fiammante Ferrari e l’aiuta a salirvi. Angela, riversa sul basso sedile dell’auto, non appena se lo ritrova seduto a fianco, mormora: «Il mio hotel…». «So dove stai», ribatte secco il gigolò, quindi accelera lentamente per non sottoporre il suo stomaco a pericolosi sobbalzi, mentre il tettino della fuoriserie si apre con un sibilo, veicolando nell’abitacolo, e sulla faccia di lei, l’aria tiepida della tarda primavera. Vorrebbe tanto ringraziarlo per tutte quelle inattese premure, ma l’alcol e l’imbarazzo le cementano la lingua contro il palato. «Ti sei addormentata». Ancora quella voce che accarezza i timpani e scalda il corpo in maniera imbarazzante. Angela spalanca gli occhi e capisce che sono fermi davanti al suo hotel. «Come ti senti?», le chiede. Probabilmente è bianca come un lenzuolo appena uscito dal candeggio, ma gli occhi del gigolò la scrutano con un calore da far evaporare il sangue nelle vene. «Mi sento morire», biascica. Lo vede chinarsi fino a sfiorarle l’orecchio con le labbra, mentre la voce profonda sussurra: «Dammi le chiavi del tuo appartamento». Quelle sole parole evocano letti disfatti, gemiti rochi e corpi nudi splendenti di sudore. Angela balza sul sedile, scostandosi da lui come ustionata, e comincia a tastare tutto attorno alla disperata ricerca della pochette, finché non lo vede chinarsi nuovamente su di lei e sfilare, con calma, la borsa da sotto il sedile. Un crampo doloroso le attanaglia le viscere al solo contatto col corpo dell’uomo e una vampata inopportuna le scalda le gote. Furiosa al pensiero del palese divertimento che questo scatena in lui, serra le labbra a bloccare la sequela di frasi corrosive che sente montare in gola, ma Antony, dopo averle scoccato un’occhiata tagliente, scende dall’auto. Quando la portiera del lato passeggero si spalanca, due braccia robuste la aiutano a uscire dal veicolo. «Ce la fai?», chiede la voce sensuale al suo orecchio. Vorrebbe sottrarsi rapidamente a quello sconveniente abbraccio e a quel respiro caldo che le spedisce lancinanti fitte di desiderio al basso ventre, ma le gambe la sorreggono appena. «Sto morendo», piagnucola. Il gigolò si passa le braccia di lei attorno al collo e la solleva da terra. «No, non stai morendo», dice abbozzando un sorriso. Riesce appena a rendersi conto che l’ha presa in braccio come una bambina, perché non fa che entrare e uscire da una specie di coma etilico, ma il contatto dei loro corpi, le braccia allacciate alle sue spalle larghe, la guancia e il naso premuti contro il suo collo, le provocano le sensazioni più inebrianti che abbia mai sperimentato in tutta la vita. Se è in coma, quella dev’essere l’anticamera del paradiso. *** Il salotto ha la gelida eleganza di ogni lussuosa suite d’albergo. Antony volge lo sguardo attorno a sé, individuando subito la camera da letto. Abiti, scarpe e biancheria intima sono sparsi per la stanza testimoniando l’immane lotta che vi ha avuto luogo per decidere che cosa indossare durante la serata appena trascorsa. «I denti», borbotta Angela con gli occhi socchiusi. «Te li lavi domani», ribatte lui infastidito. «No!», esclama col tono d’una bambina capricciosa. «Non vado a letto senza essermi lavata i denti!». Antony non riesce a reprimere un sospiro d’esasperazione, mentre la conduce verso la stanza da bagno. Tenendola imprigionata tra il proprio corpo e il lavabo, afferra un bicchiere posto sul ripiano e vi versa il collutorio, quindi l’aiuta a sorbirlo. «Per questa sera basterà a levarti l’amaro di bocca», dice attendendo paziente che Angela, in stato di semincoscienza, abbia terminato le proprie abluzioni, quindi la solleva nuovamente da terra. «Francesco», la sente mormorare, mentre la depone sulla morbida coltre del letto. «No, cara», sussurra sciogliendosi dall’abbraccio, «non sono Francesco». «Francesco», ripete Angela con espressione dolente, continuando a tenere le palpebre serrate, mentre il gigolò comincia a spogliarla, scorrendo involontariamente lo sguardo e le dita lungo la curva morbida del seno, stretto nel monastico reggiseno in microfibra bianco, lungo i fianchi e l’incavo del bacino, fino alle gambe tornite e ai piedi affusolati da cui sfila gli eleganti sandali a tacco alto. Obbligandosi a distogliere gli occhi e le mani dal corpo di lei, si china per coprirla con la coperta di raso, ma Angela gli allaccia nuovamente le braccia attorno al collo e lo trae a sé. «Francesco», ripete con le palpebre socchiuse, facendosi più vicina. «Non sono Francesco!», ripete il gigolò allarmato, cercando di scostarsi, ma lei lo stringe più forte e, risoluta, preme la bocca contro la sua. Le lunghe gambe dell’uomo cedono di schianto, costringendolo a sedersi sul letto, mentre, con le mani, cerca di allentare la stretta delle braccia di lei, finché una lingua morbida e calda non gli scivola tra le labbra. Rigido come uno stoccafisso, Antony serra le mascelle, cercando di contrastare la sensualissima incursione, ma, inspiegabilmente, gli manca il respiro e, non appena dischiude le labbra per immettere ossigeno, le loro lingue diventano tutt’uno. Il gigolò cessa di divincolarsi. Le sue mani, impegnate a strapparsi di dosso le braccia di lei, scivolano a carezzarle la schiena nuda, stringendola contro il proprio corpo e ricambiando, quasi in apnea, il bacio torrido e appassionato. La ragazza lo bacia con gli occhi socchiusi, muovendo la testa da destra a sinistra e poi di nuovo, per lunghi istanti, finché, con mossa inattesa, lo rovescia sul letto, intrecciando le gambe alle sue. Antony, interdetto, solleva le mani come in segno di resa, mentre quelle di lei gli scorrono sul viso, tra i capelli, lungo il collo, fino a insinuarsi tra i bottoni della camicia, slacciandoglieli a uno a uno. Poi la sente scostare i lembi del tessuto per potergli accarezzare liberamente i muscoli contratti dell’addome, mentre il bacio si fa sempre più esigente e profondo. Per qualche secondo, le dita di Angela scompaiono, impegnate altrove, finché lui non sente due seni morbidi premergli contro il petto. S’è tolta il reggiseno, insofferente a qualsiasi barriera tra i loro corpi. Antony inspira di scatto, mentre le sue mani, come dotate di volontà propria, corrono ad afferrarsi ai glutei sodi e rotondi di lei. Viso, capelli, seno, fianchi, schiena, le mani del gigolò scorrono febbrili lungo il corpo di Angela, quel corpo che ha cominciato a sfregare contro un’insistente e inopportuna erezione. Il respiro di lui si fa spezzato, quando le dita svelte della ragazza gli sciolgono la fibbia della cintura, il bottone dei pantaloni, fanno scivolare la lampo e s’insinuano sotto l’elastico dei boxer attillati. Antony geme al contatto della mano morbida e gentile di lei col proprio sesso. Geme ancora, non appena Angela glielo serra, accarezzandolo in un movimento lento e costante, mentre la bocca sensuale gli scorre lungo il collo, tempestandogli di baci erotici il petto, gli addominali, il ventre, finché non la sente, umida e calda, avvolgergli il glande. Il gigolò inarca la schiena, con una smorfia che pare quasi di dolore, mentre, con le mani, s’afferra alle lenzuola. Ha il capo reclinato all’indietro e gli occhi socchiusi. Respira con la bocca, col fiato corto, mentre la lingua di Angela lo colma di umide ed eccitanti attenzioni, finché, decisa, non la sente riempirsi la bocca e la gola col suo membro. Un rantolo disperato gli sfugge dalle labbra, mentre, intrecciando le dita ai capelli di lei, la conduce al ritmo e alla profondità desiderata. Per un po’, il respiro roco di Antony riempie il silenzio ovattato della stanza. È lungo disteso sul letto, la camicia aperta, i pantaloni slacciati, le mani serrate ai capelli della ragazza, le mascelle contratte e le labbra sollevate sui denti in una smorfia che parrebbe d’intenso dolore, o d’intenso piacere, man mano che Angela affonda la bocca, carezzandolo con la lingua, mentre le mani, gentili ed esperte, fanno scivolare la pelle del prepuzio in un moto lento e tormentoso. Ancora e ancora e ancora, per lunghi, interminabili istanti. Poi, all’improvviso, si scosta e si gira sul fianco, dandogli le spalle. «’Notte», la sente borbottare. Antony sgrana gli occhi allibito: l’ha piantato in asso, mezzo nudo, col respiro ansante, le labbra tumide di baci e il membro altrettanto gonfio. Sconcertato, si passa le mani sul viso e tra i capelli per qualche secondo, prima di riabbottonarsi, con gesti incerti, i pantaloni. Si drizza a sedere sul letto e volge lo sguardo alla ragazza, il cui respiro s’è fatto lento e costante. Angela dorme. Dorme davvero. Il gigolò scuote il capo e si solleva, riluttante, dal giaciglio. «Buonanotte», mormora soffocando un sorriso. *** Quando rimette piede alla festa di Rachel, la folla gremisce ancora l’ampio terrazzo. Il gigolò scruta quell’ammasso di potere e ricchezza sfrontata col gelido distacco di un killer. «Un cognac», ordina al barman che staziona impettito dietro al lungo bancone. Una suadente voce maschile e due labbra calde gli sfiorano l’orecchio. «Sei finito a fare lo stallone?». Antony si scosta bruscamente dallo splendido ragazzo biondo che gli s’è fatto sotto. «A fare lo chauffeur», rettifica atono, afferrando il bicchiere che il barman gli porge, quindi volge lo sguardo alla folla danzante, senza degnarlo più d’alcuna attenzione. Il giovanotto fissa i grandi occhi verdi su di lui, osservandolo incuriosito. «Ho temuto di dover rimandare il nostro impegno», dice raddrizzando le ampie spalle nel completo scuro di Tom Ford. «Un bocconcino davvero succulento, la fanciulla», mormora continuando a fissarlo con estrema attenzione, ma il gigolò ostenta un’aria impenetrabile. «Così inusuale per quest’ambiente. Impossibile non notarla: i grandi occhioni buoni, quell’aria da gattino smarrito, il vestitino della domenica… Una cosina terribilmente eccitante. E poi quella bocca così sensuale… Chissà come dev’essere sentirsela addosso». «Cassandra Morris è ancora nei paraggi?», taglia corto Antony, brusco. Il ragazzo annuisce facendosi servire un martini. «Le ho chiesto un passaggio alla fine della serata», risponde bevendone un sorso e passandosi la lingua sulle labbra morbide. «E lei ha accettato». «Suo marito Charles?» «L’onorevole Morris se n’è andato, come prestabilito». Il giovane abbassa sensibilmente il tono della voce. «Sei proprio deciso a forzare i tempi?» «Andrew, sono tre settimane che me la scopo in totale solitudine». Il tono del gigolò è sarcastico. «Il marito è stato tradito. È giunta l’ora del grande passo». Il giovanotto accenna una smorfia scuotendo impercettibilmente il capo. «È la moglie di un onorevole. Non è abituata alle orge». «In genere le fanno dopo aver fatto visita ai bambini malati di cancro». «No, Tony, non è il caso di Cassandra Morris. Lei è una vera virtuosa». «Che cos’è che ti rende così riguardoso nei suoi confronti? Voti forse per suo marito?», chiede Antony, piantandogli in faccia due occhi da crotalo. «Ha accettato di darmi un passaggio, ma credo abbia in mente un canonico incontro a due». «Suo marito la vuole pronta al più presto». «Charles rischia di mandare a monte la festa. Evitiamo. Almeno per questa sera». «Non se ne parla», ribatte asciutto Antony. «Il marito non vuole più attendere». «O sei tu che non puoi più attendere». Andrew posa una mano sul suo braccio, obbligandolo a volgersi. «Ammettilo». I magnifici occhi verdi sono attraversati da un lampo concupiscente. «Ammetti che ti piace lavorare con me». Antony sente l’erezione dell’altro premergli contro il fianco. «Che ti piace vedermi scopare». La mano scivola sulla patta dei pantaloni, cominciando a muoversi lentamente. «Anch’io godo a vederti fare sesso, Tony», aggiunge con una smorfia di piacere, «ma non immagini quanto godrei a sentirti scopare me». Lo sguardo del gigolò è tagliente come il vetro, il tono della voce plumbeo. «Tieniti pronto», sibila e Andrew ritrae la mano con un sorriso perverso, allontanandosi rapidamente verso una bionda curvilinea che balla poco distante da loro. Antony lo osserva raggiungerla e cominciare a ballarle contro, bello come un angelo dannato, mentre la donna lo fissa con gli occhi di chi pregusta un succulento dessert. Poco dopo li vede allontanarsi verso l’uscita. «Hai portato a casa la ragazza?». La voce graffiante di Rachel lo colpisce alle spalle. Antony sorseggia il cognac senza degnarla d’uno sguardo. «Sì». «E come t’è parsa?» «Ubriaca», ribatte asciutto. Rachel abbozza un sorriso, quindi torna immediatamente seria. «Resti con me stasera?» «No». «Perché non sfoltisci un po’ i tuoi impegni?», chiede con rammarico. «Lo sai. Non mi resta molto tempo». Antony tace, continuando a fissare la folla che danza a bordo piscina. «Non hai nessuna pietà per me?», aggiunge scrutandolo con occhi velati di disperazione. «Perché?», lo sente sibilare tra i denti. «Dovrei?» «No», mormora piano la donna. «Ma potresti». Finalmente si volge a guardarla. «Certo». L’espressione del gigolò è raggelante. «Potrei», e s’allontana verso l’uscita. *** Il finestrino divisorio della limousine è sollevato, così come la gonna dell’avvitato abito da sera della signora seduta sul sedile posteriore. La bocca sensuale di Andrew è incollata alla sua in un bacio lascivo, mentre le dita esperte scivolano sotto il velo del perizoma a perlustrare la situazione. Sussultando di piacere, Cassandra si scosta per riprendere fiato. «Ordino allo chauffeur di fare un giro?», ansima eccitata. «Aspetta», sussurra Andrew, ricominciando a baciarla, «non ancora», e le strappa il perizoma con uno schiocco secco. La donna, sentite le dita del ragazzo insinuarsi nel suo corpo, inarca la schiena e comincia a gemere piano, mentre osserva, rapita, il bellissimo volto chino su di lei. Non riesce a trattenersi dal passargli le mani sotto la camicia sbottonata, sfiorando, con i palmi e le lunghe unghie laccate, i muscoli tesi e scolpiti. Andrew la osserva da sotto le lunghe ciglia dorate, continuando a baciarla sensualmente, quindi si scosta per indossare il condom. «Ti voglio», sussurra al suo orecchio facendola rabbrividire, «adesso», aggiunge con un lampo concupiscente nei bellissimi occhi verdi. Cassandra rovescia il capo, mentre il piacere della penetrazione la fa fremere. Andrew comincia a muoversi lentamente, carezzandole i seni rifatti di fresco, mentre lei si lascia andare sul sedile della limousine, affondando le unghie nei glutei muscolosi del ragazzo, pienamente soddisfatta: sta tradendo suo marito. Di nuovo. L’insidioso senso di colpa viene subito soffocato da un lungo gemito di piacere. Andrew ha trovato il punto migliore per stimolarla e vi si sta applicando con energia. Non è all’altezza di Antony, ma è comunque bravo. Un paio di colpi leggeri al finestrino dell’auto la fanno sussultare impaurita. «Chi diavolo…», ansima, ma Andrew apre subito lo sportello, facendo accomodare il nuovo arrivato. «Antony!», esclama la bionda, sconvolta. Il gigolò s’accomoda sul sedile di fronte a loro e allunga le gambe con un sorriso sornione. «Mi stai tradendo, Cassandra?», chiede ironico. «Io… Mi avevi detto d’essere impegnato». Cassandra è palesemente a disagio: cerca di scostare le mani di Andrew dal proprio corpo, ma quello continua a penetrarla impietoso. «Mi sono liberato prima del previsto». «Per favore, Andrew… Fermati!», balbetta imbarazzata, mentre il ragazzo, imperterrito, continua a spingere i fianchi contro di lei. Gli occhi brillanti di Antony osservano la scena da sotto le palpebre socchiuse, mentre un sorriso beffardo gli piega le labbra. «Andrew, fermati!», ripete Cassandra, cercando di sottrarsi a quei fianchi che le tengono divaricate le gambe. «Perché?», mormora Antony con tono sensuale. «È così eccitante guardarvi», dice prendendo posto accanto a loro. «Vediamo a che punto è il ragazzo», e la sua mano scivola tra le gambe di lei, insinuando le dita tra la vulva e il membro duro del compagno. La donna sgrana gli occhi, sconcertata, mentre Andrew ha un immediato fremito di piacere. «Che meraviglia», sussurra Antony al suo orecchio. «Sei completamente bagnata». «Tony», mormora la donna, incapace di reagire. «Tony, fermati, ti prego». «Mi eccita vederti scopare», mormora il gigolò, scivolando con le labbra lungo la curva del collo di lei. «Da impazzire». Cassandra geme disperata, mentre le lunghe dita di lui si sovrappongono al membro dell’altro, facendo godere entrambi col loro strofinare lento ed estenuante. La voce di Andrew è roca, mentre dice: «È bellissima», e si china a succhiarle i capezzoli. «No, no… Vi prego». Cassandra comincia a tremare. Tutto il suo corpo è percorso da lunghi brividi di piacere. Le mani dei due uomini continuano a perlustrarla, mentre le loro bocche, avide, la divorano. «Vi prego», ansima piano, cessando di scostarli da sé. Antony, afferrata la mano di lei, la dirige verso la patta dei propri pantaloni. «Non senti come ti desidero?», e le sue dita fanno scorrere la lampo, liberando il membro già teso. Cassandra è ancora indecisa tra fuggire e lasciarsi andare tra i due maschi in apparente calore, ma il gigolò preme il glande, con decisione, contro le sue labbra, obbligandola ad aprire la bocca. «Fammi contento», sussurra roco. «Fai godere anche me». La donna, cessata ogni obiezione, si concentra sulla fellatio, mentre gli occhi di Andrew scorrono febbrili dall’uno all’altra. Poi, come a un segnale convenuto, il ragazzo la rovescia sopra di sé, obbligandola a montargli a cavallo del ventre. Antony, scostatosi dalla bocca di lei per permettere quella manovra, indossa il condom, continuando a mormorarle all’orecchio: «Rilassati, Cassandra. Lasciati andare», e le divarica i glutei perfetti. «Rilassati». La donna s’irrigidisce, intuendo le intenzioni di entrambi. «No, no… Che fate…». Il gigolò, inumidite le dita con un piccolo tubetto di gel, gliele passa tra le natiche, allargando lo sfintere anale. «No, Tony, no». La moglie dell’onorevole Morris tenta una flebile ribellione, ma quando anche lui la penetra, il grido di piacere che scaturisce dalla sua gola rischia d’incrinare i vetri oscurati della limousine. Cassandra rovescia il capo e socchiude gli occhi, subendo l’alterno movimento dei bacini virili, finché non la penetrano all’unisono, facendola gridare più forte. Le dita di Antony le sfiorano il clitoride sempre più incalzanti, accompagnando il ritmo della penetrazione. La donna è talmente presa dalle sensazioni estreme che sta provando, che non ode neppure il leggero sibilo del finestrino divisorio che s’abbassa. Il primo orgasmo la coglie alla sprovvista, lasciandola tramortita, ma nessuno dei due uomini accenna a fermarsi. Il secondo orgasmo è ravvicinato. Cassandra geme sempre più forte, iniziando a sudare. Le sue gambe tremano, mentre affonda le unghie nella morbida pelle scura del sedile. «Sì! Sì! Sììì!», grida disperata, mentre il piacere ricomincia a montare. Un’ironica voce maschile risuona dal sedile anteriore dell’auto: «Sono felice che ti stia divertendo, tesoro». Cassandra volge appena lo sguardo finendo negli occhi brillanti d’un corpulento signore. «Charles», mormora attonita. «Tranquilla, cara». L’uomo le sorride indulgente, le braccia appoggiate allo schienale del sedile anteriore. «Adoro guardarti mentre godi». Cassandra socchiude gli occhi. «Charles», ripete vinta, continuando a subire le spinte dei due gigolò. L’uomo attende di vederla sussultare un’ultima volta, quindi si raddrizza facendo un gesto stizzito all’indirizzo di Andrew. «Voglio solo lui», dice Charles seccamente, accennando ad Antony. Il ragazzo, con una smorfia, sfila il membro turgido dalla donna e, dopo essersi ritirato su i pantaloni, scende dalla limousine. Il finestrino divisorio risale, mentre la portiera dell’auto si apre nuovamente per lasciar entrare Charles. «Facciamo un giro?», mormora l’onorevole Morris con un ampio sorriso soddisfatto. Cassandra è presa a rassettarsi l’abito gualcito e ha gli occhi chini, mentre, tra i denti, sibila: «Sei un bastardo, Charles. Un fottuto bastardo». Antony, dopo aver gettato il condom, fa per richiudere la patta dei pantaloni, ma le mani dell’uomo lo fermano. «Aspetta», dice Charles, chinandosi su di lui. «Voglio goderti un po’ anch’io». Cassandra sgrana gli occhi, nel vedere il consorte prendere in bocca il membro del gigolò. «Porco!», ringhia sconvolta. Antony s’irrigidisce, mentre il sudore eccitato dell’onorevole arriva immediato alle sue narici, facendolo fremere di disgusto. Sente la lingua viscida soffermarsi a giocare con ogni rilievo e scanalatura del glande, succhiando, leccando e mordicchiando con caparbia avidità, poi le labbra molli e carnose, come una sgradevole ventosa, lo serrano con forza, mentre la lingua strofina la punta con irritante insistenza. Stenta a trattenersi dall’allontanarlo dal proprio corpo, quando il fastidio iniziale rasenta il dolore fisico, limitandosi ad atteggiare il viso a una smorfia ambigua. Sotto la raffinata camicia sbottonata, le dita sudate di Charles perlustrano i suoi muscoli addominali, carezzandogli il ventre piatto, quindi afferrano alla base il membro rigido, stringendolo forte, mentre continua a succhiargli dolorosamente il glande. Il gigolò sobbalza, quando lo sente impossessarsi voluttuosamente anche dello scroto contratto, prima col palmo sudato, poi con la grande bocca vorace che, provocandogli un disgustoso senso di vertigine, gli risucchia i testicoli in una specie di caverna bollente. «Che grandissimo porco», mormora Cassandra con profondo disprezzo. Antony serra le palpebre e cerca il vuoto. Nessuno lo sta toccando. Non c’è nessun odore nelle narici, nessuna traccia di sapore sulle labbra. E nella mente, il nulla. Il completo, assoluto nulla. Domenica Labbra soffici e levigate aderiscono perfettamente alle sue, attirandola in un bacio più profondo. La bocca sensuale dell’uomo la percorre avida, sente il suo respiro roco, bollente, i denti lisci, la lingua morbida e incalzante, lo sente muoversi tra le gambe e affondare lentamente, sente le lunghe, potenti spinte dei fianchi, il pulsare e lo scorrere del membro rigido nella vagina completamente aperta a lui, il tormentoso strofinare del petto contro i capezzoli, la compattezza dei muscoli guizzanti sotto le dita, il battito impazzito del cuore, il montare violento del piacere: è la prima volta che sogna un uomo che non sia Francesco e la cosa le insinua un velenoso e ridicolo senso di colpa. È assurdo sentirsi in colpa per un tradimento del genere e ancor più assurdo sentirsi in colpa nei confronti di Francesco. Francesco: il suo pensiero è come una pugnalata dritta al cuore che rischia di farla impazzire di dolore, ma l’abbraccio e le labbra calde di quell’altro, nel sogno, riprendono il sopravvento, cancellando, in un battito di ciglia, qualsiasi altra sensazione che non sia un piacere folle e sconveniente. La forma e il sapore della bocca del gigolò, il calore del suo corpo, il tocco delle sue mani sulla pelle, lo scorrere del membro caldo e rigido sono talmente reali che stenta a riemergere dal profondo stato d’estasi che ancora l’avvolge. Quando, finalmente, apre gli occhi, si ritrova sola nel grande letto matrimoniale, con un odioso trillo che le perfora i timpani. «Pronto!», esclama seccata e insonnolita portandosi all’orecchio il cellulare. «Ciao tesoro, sono mamma». Angela si solleva dal letto, cercando di cacciare le torride sensazioni del sogno erotico appena interrotto. «Mamma! Ciao!», esclama allegramente. «Ti ho svegliata?» «Non preoccuparti, stavo per alzarmi». «Tuo nonno voleva spedirti le lasagne, ma gli ho detto che è un po’ difficile fartele recapitare in tempo utile e così le mangeremo pensando a te». «Mamma, sei crudele!». «Ci sono novità?», e nota una certa apprensione nel tono della voce di lei. «Lunedì comincio a lavorare nell’ufficio accanto a quello del capo. E ieri sera mi ha invitata alla sua festa di compleanno». «Ah», mormora sua madre. «E ti sei divertita?» «Abbastanza. C’erano un paio di persone simpatiche». «Chi?» «Susan… E Antony», mormora arrossendo. «Susan la tua collega? Ma questo Antony chi è? Di che si occupa?». Davvero una bella domanda. «Public Relations», balbetta. «A proposito di uomini. Hai sentito Francesco?». Colpo basso. Bassissimo. Così di prima mattina. Angela deglutisce a fatica le lacrime. «No». «Hai fatto male ad andartene senza dirgli nulla». «Lui, con me, ha fatto molto peggio», rantola rabbiosa. «Te l’assicuro». «Ti ha cercata a casa la sera stessa che sei partita. Era sconvolto». Sapeva che l’avrebbe cercata dai suoi. Per questo era partita immediatamente. Non aveva alcuna intenzione di rivolgergli la parola e, tantomeno, ascoltare le sue squallide scuse. «Mamma, ti prego», rantola ancora, «cambiamo discorso». «Lui ti vuole bene, a suo modo». «Certo! E il suo modo comprende anche scoparsi le altre!», esclama esasperata. Sua madre tace di colpo. «Scusami, mamma, non volevo gridare, ma sai che questo argomento mi fa male». «Angela, gli uomini a volte ragionano con parti del corpo che non hanno niente a che vedere col cervello, ma se non ce l’hanno per vizio, vanno perdonati. Dovevate sposarvi. Che idea t’è venuta di piantarlo in asso e scappare in America! Io lo so, tu da lì non torni più!». Sua madre piagnucola senza ritegno. «Ti conosco! Con quella testa dura e quello stupido orgoglio». Il sospiro di Angela è rumoroso e le lamentele di sua madre s’arrestano. «Certo che torno», dice con un tono più allegro. «Chi ci resiste in tutto questo lusso!». «È tanto ricca la gente che frequenti?» «Sfacciatamente ricca, ma rassicurati, non ho alcuna intenzione di frequentarla». Sua madre emette un sospiro colmo d’ansia e, dopo averla salutata, le passa suo padre. «Angela, bella di papà, come stai?» «Bene, se mamma smette di rompere». «Quando torni?» «Ma papà, sono appena arrivata!». Ascolta con gioia la sua risata sommessa poi, dopo un altro paio di minuti di conversazione, termina la telefonata intercontinentale con un macigno sul cuore. Le manca la sua famiglia. Le manca da morire, ma il suo cuore è ancora troppo pieno di rabbia e disperazione per poter solo pensare di tornare a casa. E affrontare Francesco. Non passa che una manciata di secondi che lo squillo del telefono la scuote ancora. «Angela?», dice una familiare voce femminile. «Ciao, Susan!». «Che cosa stai facendo?» «Sto ancora rotolandomi tra le lenzuola. E tu?» «Indovina!». «Ti sei messa con Bobby?» «Tesoro, noi scopiamo insieme! Comunque questa sera niente sesso. La sua ragazza è partita per lavoro e Bobby vuole uscire. Ti andrebbe di venire con noi?» «No, grazie, questa sera c’è un bel film in TV. E poi non mi piace fare il terzo incomodo». «Il quarto, semmai! Con noi esce anche suo fratello, un bell’omaccione sulla quarantina, padre e marito fedele, quindi non corri pericoli. Andiamo a teatro, poi a cena e, se ce la facciamo, anche a ballare. Che ne dici?». Solo dopo aver chiuso la comunicazione, finalmente realizza d’indossare solo gli slip e che il suo reggiseno è volato fuori del letto. Si passa le mani sul viso e tra i capelli, cercando di rammentare che cosa sia successo la sera precedente, ma i suoi ultimi, vaghi ricordi sono solo un intricato puzzle di momenti imbarazzanti. Come in un film rivede se stessa impegnata a vomitare anche l’anima sul marciapiede, con Antony che la sorregge. E poi la Ferrari di lui che la conduce verso l’hotel, le sue braccia che la sollevano e nient’altro. Chissà se si è spogliata da sola o l’ha fatto Antony. E chissà se si è limitato a spogliarla… Quest’ultimo pensiero le provoca un lungo brivido. Certo che sarebbe proprio una bella fregatura esserselo scopato con gli ultimi risparmi e non ricordare assolutamente nulla! *** Apre le email, scorrendole febbrilmente, ma del messaggio tanto atteso ancora nessuna traccia. Rachel è seduta da qualche minuto davanti al proprio computer, picchiettando le unghie sul lucido ripiano della scrivania del suo studio. Il suono improvviso del telefono cellulare la fa trasalire. «Sì», dice col cuore in gola, avendo notato il numero nascosto dell’interlocutore. «Salve, Rachel», risponde una profonda voce maschile. «Puoi parlare?» «Sì. Sono sola». «Il tuo splendido amante stasera non è con te?», chiede l’uomo con ironia. «Sono certa che tu sappia perfettamente con chi è in questo istante», ribatte lei con amarezza. «Sei nel tuo ufficio?» «No. Sono a casa, nello studio». «E stai guardando lo splendido panorama che si può ammirare dal tuo attico». Rachel tace un istante. «Sei stato a casa mia?» «Di recente». «Hai già piazzato l’ordigno?», chiede ansiosa. «La carica è all’interno della struttura del letto. Per attivarlo, dovrai passare le dita nell’angolo a sinistra della testata. C’è una pellicola per il riconoscimento delle impronte, collegata in wireless al detonatore… Non vogliamo che una povera cameriera ci rimetta la vita cambiando le lenzuola». Tace di nuovo, indecisa. «Le telecamere non hanno registrato alcun movimento». La risata sommessa di lui le giunge all’orecchio come una brezza. «Mi pagheresti così tanto se fossi uno sprovveduto? Un’idea davvero romantica terminare la propria vita teneramente abbracciata a un uomo tanto intrigante». Il tono è divertito. «Che peccato, però, smembrare quel corpo magnifico», mormora facendo schioccare la lingua contro il palato in un vago cenno di rimprovero. «Una mera curiosità…». L’uomo s’interrompe. «Dimmi», lo incoraggia Rachel. «Non potevi scegliere un mezzo meno cruento per portare a termine il tuo piano?» «Li ho vagliati tutti», ribatte lei. «Nessuno fornisce la certezza del risultato. L’esplosione sarà limitata alla mia camera da letto?» «Non incrinerà neppure i vetri delle stanze contigue». «Non voglio che ci finisca in mezzo qualche innocente». «Non preoccuparti. Sono il migliore». La voce dell’uomo torna a essere insinuante. «Vuoi portare Barker con te nella morte. Posso chiederti perché?» «Perché lui è mio». All’orecchio le giunge una lieve risata. «Non mi sembra una proprietà esclusiva». Rachel china lo sguardo con un sorriso ermetico. «È molto più esclusiva di quanto non immagini», mormora. «E per l’altra faccenda?». Davanti ai suoi occhi, appare una email. «Queste sono le persone che ha incontrato», dice la voce calda dell’uomo. Apre l’allegato e comincia a scorrere le foto che appaiono sullo schermo del computer, senza riuscire a reprimere un gesto di stizza: le immagini ritraggono Antony a bordo di una limousine, accanto a una bionda statuaria e con un uomo inginocchiato tra le gambe. Le foto, scattate sicuramente con una fotocamera speciale, colgono le immagini equivoche che si susseguono al di là dei vetri oscurati e che le mozzano il respiro. Rachel distoglie lo sguardo dal monitor con una smorfia. Quando i suoi occhi si decidono a tornare alle immagini, l’onorevole Charles Morris e sua moglie Cassandra precedono Antony all’interno della loro villa principesca. «Ci siamo», sibila atona. «Continua a seguirlo». *** Susan è ferma all’entrata del teatro. Un vento dispettoso le spettina i capelli, gonfiando il trench primaverile e lasciando scoperte le lunghe gambe affusolate. È talmente bella che ogni uomo che le sfila davanti lascia almeno un litro di bava ai suoi piedi. «Scusa il ritardo». Angela la raggiunge trafelata. «Non riuscivo a trovare un tassì!». «Non importa», le sorride condiscendente, aggiustandosi l’indomita capigliatura bionda. «Bobby e suo fratello sono già entrati a prendere i posti». Lo spettacolo è iniziato da qualche secondo, ma il buio del teatro è quasi totale. Tentano di riconoscere le ombre che si muovono sulle poltrone di velluto, ma niente da fare. Poi un tizio si alza dall’ultima fila laterale della platea, facendo loro ampi cenni. «Non dirmi che hanno trovato solo quello schifo di posti!», mormora Susan. Raggiunto l’angolo opposto della platea, due uomini si alzano per farle accomodare. «Siediti qui», le sussurra Susan. «Ciao, io sono Robert. Bobby per gli amici», mormora una voce alla sua destra, non appena si è seduta. «Angela», risponde stringendo una mano che cerca la sua nel buio. «Lui è mio fratello Glenn». Le viene indicato un profilo maschile che si staglia contro la luce fioca del palcoscenico. Un bel profilo. «Piacere… Angela», mormora incerta, volgendosi alla propria sinistra. Un sorriso s’accende nella penombra e una profonda voce maschile mormora: «Ciao, Angela», mentre una mano grande e calda afferra la sua, stringendola un istante più del dovuto. Si ritrova, così, a fissare due spettacolari occhi blu che la scrutano con imbarazzante intensità quando, per un effetto scenico, la luce sul palco si fa più brillante. Per un breve istante, intravede un naso diritto, una mascella quadrata, una folta capigliatura bionda e una bocca sensuale, maliziosamente sorridente. “Che pezzo d’uomo!”, pensa colpita, riuscendo a emettere solo un flebile «Ciao». «Silenzio!», sibila stizzito qualcuno seduto davanti a loro e il profilo di Glenn torna a volgersi al palcoscenico. Dopo qualche minuto, Angela percepisce la figura di Bobby chinarsi verso Susan, poi il rumore sordo e imbarazzante di baci lascivi. Glenn respira forte e scuote il capo continuando a fissare lo scialbo spettacolo. «Non ti piace?», mormora Angela, facendosi più vicina e cogliendo in pieno l’aroma maschile di lui. «Odio questi musical sdolcinati. Bobby invece ne va pazzo e poi non li guarda neppure», ridacchia la voce affascinante al suo orecchio, spedendole inquietanti fitte nei lombi e tra le gambe. È la seconda volta, da che è sbarcata in America, che un uomo la scuote dal suo stato di coma profondo. «Silenzio!», ripete irritato qualcuno sempre davanti a loro. Glenn sospira forte e riprende a guardare lo spettacolo, mentre i sospiri di Susan e Bobby cominciano a infittirsi. Volgendosi verso di loro, Angela scorge la testa dell’amica china sull’inguine del compagno. «Il clima si fa incandescente», sussurra la voce calda di Glenn al suo orecchio, accennando allo spettacolo dove gli attori si lasciano andare a effusioni. «E non solo sul palco», aggiunge sbirciando la testa di Susan infilata tra le cosce del fratello. «Silenzio!», sibila qualcuno sempre più spazientito. Glenn sospira nel buio e si lascia scivolare sulla poltrona con la chiara intenzione di farsi una bella dormita. Indispettita, Angela si sporge su di lui e sussurra: «Non avrai mica intenzione di lasciarmi sola con questi due che… che…». Solo quando incontra il respiro caldo di lui, s’accorge di parlargli a pochi centimetri dal viso. Glenn sorride esitante. «Non vedo che cos’altro potrei fare». Si ritrova a fissargli le labbra, mentre s’avvicina ancora. Non capisce da dove le arrivi tutta quell’audacia, ma prima che possa ritrarsi, una mano scivola lesta dietro la sua nuca, impedendole di sottrarsi al bacio di due labbra morbide e dischiuse. Un calore improvviso si sparge in ogni vena del suo corpo, scendendo rapidamente nel ventre e ancora più giù, mentre un braccio robusto le cinge la vita. Le labbra di Glenn sono piene, calde, la lingua vellutata scivola sulla sua in un movimento lento, quasi timido. Eccitata e incuriosita lascia scorrere una mano lungo il collo di lui: sotto le dita di Angela c’è il nodo stretto di una cravatta e la stoffa serica della camicia, tesa su pettorali duri e compatti, ma si stupisce di non trovare la classica pancetta del quarantenne sposato. Non osa andare oltre il ventre piatto e muscoloso di lui, risalendo, con le mani, fino alle spalle larghe e robuste che sembrano voler strappare le cuciture della giacca di stoffa buona. Mentre lo bacia, sente il respiro dell’uomo farsi sempre più affrettato, le mani calde, indecise sul suo seno, gli inutili tentativi di dominare quella strana attrazione fisica che sovrasta ogni prudenza. Sente le labbra di lui premere contro la pelle sensibile tra la spalla e il collo e non riesce a trattenere un piccolo rantolo quando comincia a leccare il tendine in quel punto, poi, lentamente, lo sente tornare a coprirle la bocca con la sua, con maggiore decisione, afferrandole la mascella con le dita per impedirle di sottrarsi ai suoi baci. Si esplorano con le mani e con la bocca, evitando le parti intime giù in basso per una sorta d’imbarazzo reciproco, divorandosi come due adolescenti per tutto il primo atto della commedia. Poi, un applauso prolungato li strappa da quella straziante sensazione di desiderio inappagato. Si sciolgono in fretta dall’abbraccio, rassettandosi confusi. Appena le luci s’accendono, Angela sbircia, curiosa, il proprio vicino e viene accolta da un sorriso colpevole e ironico al contempo. “Dio, come sei bello!”, pensa arrossendo platealmente non appena incrocia due ridenti occhi blu. Anche lui la scruta, un braccio appoggiato allo schienale della poltrona. «Vedo che abbiamo fatto conoscenza», mormora Bobby preoccupato, pulendo con un fazzoletto il rossetto che Angela ha lasciato sulle labbra del fratello maggiore. Questa volta anche Glenn avvampa, poi si scuote e dice: «Mi sembra che lo spettacolo non piaccia a nessuno. Che ne direste di andare a cena?». Non è mai stata al ristorante giapponese. L’ambiente ovattato le suscita la strana impressione di trovarsi in una chiesa, spingendola a parlare quasi sottovoce. Com’è diverso dalle chiassose trattorie italiane. «Ti piace il sushi?», chiede Robert. «È fantastico!», esclama Susan. Glenn la fissa con un sorriso mesto. «Meglio le tagliatelle, vero?» «È buonissimo», mormora Angela. «E poi, per principio, non mangio mai cucina italiana all’estero», termina con lo sguardo incollato alle labbra sensuali di lui, provando ancora la torrida sensazione di averle premute contro la bocca. Glenn deglutisce, imbarazzato. «Di dove sei precisamente?», le chiede. «Di Roma». «Ci vado spesso per lavoro». «Perché?», chiede incuriosita. «Che lavoro fai?» «Glenn e sua moglie sono i proprietari della Harrison & Reuter», ribatte Bobby al posto del fratello. Angela lo fissa con aria interrogativa. «La più grande agenzia pubblicitaria degli Stati Uniti!», esclama incredulo che lei non ne abbia mai sentito parlare. Angela scocca uno sguardo allarmato a Susan: ma chi diavolo le ha presentato? «Io sono il fotografo ufficiale e socio di minoranza», termina Bobby con un sospiro. «Scusa la mia ignoranza», ribatte rigida. «Ma sono una semplice proletaria». Glenn la osserva inarcando un sopracciglio. «Una proletaria molto snob, temo». «Credo che ognuno dovrebbe limitarsi a frequentare le persone del proprio ceto». «Sì, decisamente snob», concorda Robert. «Davvero non credi nei rapporti tra classi sociali diverse?», chiede piano Glenn dopo qualche istante, approfittando d’una discussione intercorsa tra Bobby e Susan. Angela lo sbircia in tralice. «Dipende». «Da cosa?». La voce dell’uomo si fa improvvisamente roca e lei stenta a rispondergli. «Scusa, di solito non sono così sfacciato, ma questa sera non capisco cosa mi sia preso. Non faccio mai il cascamorto con le ragazze». Glenn abbassa il tono della voce e lo sguardo. «E dio solo sa quante occasioni avrei col lavoro che faccio». «Per uno come te non deve essere facile restare fedele». «No, ti sbagli», ribatte duro. «Sono un marito fedele perché amo mia moglie». Una sberla meritata col pieno dei voti, così, per ristabilire le distanze, Angela si lancia sull’argomento che nessuna candidata amante toccherebbe mai. «Quanti bambini avete?». Un sorriso orgoglioso distende i lineamenti marcati di lui. «Un maschio e una femmina. Amati e viziati», aggiunge pensoso. «Vivono a Boston con la madre. Per colpa del mio lavoro, riesco a vederli solo nel fine settimana». «Scusa, ma non puoi farli vivere con te a New York?», chiede Susan stupita. «Mia moglie non ama New York», ribatte Glenn, asciutto. «Mi spiace molto per come mi sono comportata», mormora Angela. «Non t’indurrò più in tentazione». Glenn solleva lo sguardo intelligente su di lei e, lentamente, dice: «Troppo tardi». *** Il Sahara è affollato. La musica ad alto volume e le forti luci intermittenti della discoteca la disorientano. Susan e Bobby hanno trovato alcuni amici comuni e si sono lanciati in pista, ma Angela non ha alcuna voglia di ballare. Stare seduta accanto a Glenn le dà un piacere intenso e dimenticato. E così si ritrova a maledire Antony con tutte le forze: se i suoi sensi fossero rimasti appannati, non avrebbe mai e poi mai osato flirtare così spudoratamente con un uomo mai visto né conosciuto e soprattutto sposato, ma lo sconvolgente incontro col tenebroso gigolò le aveva scatenato un tale bradisismo interiore da lasciarla in piedi quasi per miracolo. «In che casino mi sto cacciando?», mormora angosciata. «Come?», chiede Glenn. Gli fa cenno di chinarsi per potergli parlare. «Ti annoi?» «No, ma mi piacerebbe almeno riuscire a parlare», risponde sfiorandole l’orecchio con le labbra e procurandole un brivido inopportuno. «E se ballassimo anche noi?» «Ti va?». Gli fa cenno di no. «Adoro ballare, ma questa sera preferisco stare qui». «Starti vicino è molto piacevole, anche senza parlare», ammette lui. «Dimmi, com’è possibile che una ragazza come te sia ancora libera? Dov’è l’inganno?». Angela riesce ad abbozzare un sorriso triste. «Sono libera da poco tempo». «E scommetto che lo sarai ancora per poco». «Non credo. L’unica persona che mi abbia interessato finora non è disponibile». Si stringe nelle spalle, lei stessa dubbiosa se si stia riferendo a lui o a qualcuno su cui la mente ha involontariamente sorvolato. «Capiterà di meglio», dice Glenn con una certa amarezza. «Ne sono certo». Angela piega lo sguardo verso la pista da ballo e i suoi occhi sono subito attratti da un volto inquietante: di fronte ad Antony balla una donna che non è Rachel. Il gigolò si muove bene, seguendo il ritmo e le curve della propria compagna con la solita espressione scostante e altera, bello e affascinante da fare male. Un male tremendo. Chissà quante clienti ha già soddisfatto prima della bionda curvilinea che stringe tra le braccia. E il solo pensiero le toglie il respiro. «Quello lì? Come lo vedi per me?», chiede accennando ad Antony. Angela si volge, non sentendo giungere alcuna risposta, e negli occhi di Glenn legge un’ostilità senza riserve. «Male», ringhia lui a denti stretti. «Per qualsiasi donna», dice con voce sorda, fissando Antony con odio palpabile. «Sai chi è?». Disorientata di fronte all’atteggiamento del proprio compagno, Angela mormora: «Mi hanno detto che è un uomo pericoloso». «Non immagini quanto». «Non quanto te». Glenn si volge a fissarla, francamente stupito. «Ipocrita», sussurra, ma le parole gli muoiono contro le sue labbra. Angela si lascia andare al bacio sapiente e poco rispettoso cingendogli il torace con le braccia, mentre un calore insostenibile s’irradia in tutto il suo corpo. Glenn si scosta bruscamente, respirando come se gli mancasse l’aria. «Forse è meglio se vai a ballare», rantola guardandosi prudentemente attorno. «Sì, forse è meglio», mormora Angela, lasciandolo solo col proprio whisky. Glenn la osserva allontanarsi verso la pista da ballo, senza riuscire a staccare gli occhi da quello spettacolare fondoschiena. E l’uccello gli ricomincia a tirare come un dannato nelle mutande. Quella ragazza emana un fascino, intenso e sensuale, di cui neppure è consapevole. Una bellezza dolce e insolita. Molto particolare. Un viso che non stanca mai. Un sorriso da desiderare al proprio fianco per tutta la vita. Appena l’aveva vista, nella penombra del teatro, l’aveva immaginata con i capelli sciolti, riversa tra le sue braccia in un letto disfatto e l’uccello gli era diventato duro come il marmo. Aveva cercato, invano, di distrarsi con lo scialbo spettacolo teatrale che gli scorreva davanti, ma i gemiti e i mugolii di suo fratello e della sua amante non gli avevano facilitato il compito. Avevano scambiato qualche battuta, poi lei gli s’era fatta vicina. Troppo vicina. E lui non aveva resistito: come una calamita s’era ritrovato incollato a quelle labbra meravigliose e l’aveva assaggiata. Il pensiero di Astrid, dei bambini, del vecchio e potente suocero non gli aveva neppure sfiorato il cervello per tutto quel folle, inebriante, primo atto. S’era dominato a stento dal farsela lì, seduta stante, sulle poltrone del teatro. Quante donne bellissime gli s’erano proposte in tutti quegli anni e mai aveva perso la testa. Una cosa del genere gli era capitata solo con sua moglie. Solo con lei aveva provato quella totale perdita di controllo. Accidenti! L’aveva baciata in pubblico! E se l’avesse visto qualche conoscente? Poteva sempre dire d’aver subìto l’assalto di un’aspirante modella… Meglio togliersi in fretta da lì. Avrebbe mandato un messaggio al fratello più tardi. Quel cretino di Bobby! Era finito nei guai per colpa di quel suo fottutissimo uccello! Annette, la fidanzata, sopportava da anni tutti i suoi tradimenti. Tradimenti di cui Bobby non faceva mistero. Ma lui non era come suo fratello. Non lo era mai stato. Almeno finora… Incantato, osserva Angela muoversi, sinuosa, sulla pista da ballo gremita di gente. Anche quello schifoso gigolò la sta osservando di sottecchi. La voglia di farsi largo in mezzo alla pista per sottrarla alle attenzioni di quel pervertito lo fa fremere dalla testa ai piedi. Con un sospiro profondo Glenn si alza dal divanetto e riguadagna l’uscita del locale. Mentre passa davanti ai bagni, però, il suo sguardo cade sul distributore dei preservativi… Una volta. Una volta soltanto. Una volta e poi basta. Nessuno lo saprà mai. La faccia spigolosa del vecchio Max Reuter gli si materializza nel cervello, insieme al contratto prematrimoniale stilato dallo studio legale del ricco suocero. Se avesse tradito Astrid, avrebbe perso anche il lavoro: la società sarebbe passata totalmente nelle mani della moglie. Ex moglie, a quel punto. E lui si sarebbe ritrovato solo con la propria fulgida laurea in direzione aziendale a mendicare un posto. Sempre ammesso che il potente suocero non gli facesse terra bruciata attorno. La paura gli attanaglia le viscere. Rischia di perdere moglie, figli e lavoro per una scopata. Sua moglie, però, due anni prima, s’era divertita un mondo a succhiare l’uccello di un altro, come aveva potuto constatare lui stesso, osservando le foto e i filmati del detective che le aveva messo alle calcagna! La stessa libertà, purtroppo, non era riservata a lui. Anche la sua era una famiglia benestante. Suo padre era un rinomato chirurgo cardiovascolare, sua madre un brillante avvocato, ma niente di minimamente comparabile alla ricchezza del famoso studio legale Reuter e figli. Sì, perché Astrid aveva anche due fratelli maggiori, entrambi avvocati, famosi per essere feroci come una coppia di rottweiler, mentre la loro signora madre era addirittura la figlia d’un banchiere. Quando, a Harvard, s’era innamorato di lei, non sapeva che quella splendida fanciulla fosse la figlia minore di tali potenze massoniche, ma, una volta scoperto l’arcano, la cosa gli aveva fatto drizzare l’uccello a livelli parossistici e, così, s’era ingegnato non poco per farle piantare il parecchio assente fidanzato dell’epoca… Ex fidanzato con cui era tornata a scopare gagliardamente due anni prima. Si volge ancora alla pista da ballo e scruta, con odio feroce, il bellissimo gigolò, preso a ballare con una bionda statuaria. Accanto a lui, Angela balla con Susan e Bobby, totalmente ignara della battaglia che lui sta sostenendo… E poi, di nuovo, il suo sguardo corre al viso perfetto di Antony e una rabbia feroce lo invade. «Vaffanculo!», sibila infilando i soldi nel distributore dei preservativi. «Vaffanculo!». *** China lo sguardo con un sospiro seccato, cadendo negli occhi chiari della donna che gli balla contro e quella, subito, si solleva in punta di piedi cercando le sue labbra. «Niente baci, Cassandra», e scosta il viso da lei. «Scusa». La bionda arrossisce e riprende a ballare, ma Antony gira sui tacchi e s’allontana dalla pista da ballo. «La gattina ha cominciato a fare le fusa». La familiare voce di Andrew lo apostrofa non appena raggiunto il bancone del bar. Antony, inespressivo, scruta i magnifici occhi verdi del collega, mentre fa un segno al barman. «Non so di chi parli», dice atono. «Ha accalappiato un bel pezzo da novanta: Glenn Harrison, dell’agenzia Harrison & Reuter. Poco fa, li ho visti infilarsi la lingua in bocca. E poi ho visto lui fermarsi al distributore dei preservativi», aggiunge insinuante, strizzandogli l’occhio. «Che ci fai qui?», chiede Antony, brusco. «Un cliente», risponde Andrew, indicandogli un maturo signore che si dimena in mezzo alla pista. Il gigolò segue il suo sguardo, mentre afferra il long drink che gli porge il barman. «Avrei voluto abbordare la gattina fin da ieri sera alla festa, ma c’è sempre stato qualcuno a guastarmi i piani». Antony si volge a fissarlo brevemente. «Stasera Harrison. L’altra sera, tu». «Rachel mi ha ordinato di accompagnarla in albergo». Andrew abbozza un sorrisetto sarcastico. «Vedo che hai capito perfettamente di chi sto parlando». «L’ho solo accompagnata», ripete Antony, asciutto. «E prima ancora l’hai seguita in terrazzo, dopo che l’avevi apostrofata in modo tanto sgarbato». Lo sguardo del giovane è tagliente. «Mi sono goduto tutta la scena. Non le hai staccato gli occhi di dosso dal momento che il maggiordomo ha aperto la porta. Non t’ho mai visto guardare nessuno in quel modo. Sembravi folgorato. E poi anche lei t’ha visto: lo sguardo di una bambina innamorata… Finché Susan non le ha detto chi tu fossi in realtà», sogghigna. «Poi hai trascinato Rachel proprio accanto al divanetto dove Karl aveva portato la fanciulla. Quando quell’idiota le ha messo le mani addosso, per un istante, ho temuto che gli avresti staccato la testa dal collo». Andrew gli sfiora l’orecchio con le labbra. «Che uomo protettivo». Il sorriso del gigolò è raggelante. «Sei un inguaribile romantico». *** «Sei ancora in tempo», mormora, aprendo la porta della propria suite. Glenn la fissa intensamente ed entra dopo di lei, serrandola tra le braccia muscolose. Il suo profumo le riempie le narici, facendola fremere. È caldo e bellissimo. Un vero maschio. Le sue mani scorrono sui muscoli pettorali, tesi sotto la camicia di stoffa costosa. L’erezione le sfrega contro il bacino, spedendole deliziose fitte di desiderio in mezzo alle gambe, mentre gli splendidi occhi blu lampeggiano sotto le palpebre socchiuse. La bacia a lungo, addossandola alla porta che si richiude con uno scatto secco. «Sei ancora in tempo», ripete ansante, ancora scossa dal bacio torrido, ma lui ha già preso a sfilarle il trench e a trascinarla verso il sofà, mentre Angela è impegnata a sbottonargli la camicia, tirandola con forza fuori dai pantaloni. «Sei. Ancora. In tempo», scandisce tra un bacio e l’altro, scorrendo le mani sul petto di lui, finalmente nudo. Glenn la rovescia sul sofà, mentre la sua voce roca ansima: «Tempo scaduto», e si sfila giacca e camicia dalle spalle, poi le solleva la gonna, insinuandosi tra le sue gambe, mentre, con la bocca, le tormenta i capezzoli sotto il bordo del reggiseno di pizzo. Angela geme, inarcandosi dal piacere, mentre lo sente sfregare l’erezione contro le sue parti intime. Poi, si solleva per poterle sfilare gli slip e divaricarle ancora le gambe. «Dio…». La voce di Glenn è strozzata dall’eccitazione, le sue dita le separano le piccole e le grandi labbra, scorrendo frementi sul clitoride. Il piacere intenso di quelle carezze le strappa un grido che viene soffocato dalla bocca di lui. Mentre la bacia appassionato, lo sente scartare la confezione del condom. Le divarica ancora le labbra con le dita, poi la sensazione sconvolgente del membro turgido che la riempie. Glenn la penetra con un gemito soffocato, cominciando subito a muoversi con l’impeto di chi non riesca più a frenare il desiderio. Angela caccia il ricordo di Francesco nell’angolo più remoto del cuore e s’afferra alle ampie spalle dell’uomo, muovendo i fianchi con foga per andargli incontro. Il primo orgasmo li coglie dopo pochi minuti, quasi di sorpresa. «Non mi ricordavo capace d’una furia simile». Gli occhi blu di lui brillano, divertiti, tra ciuffi ribelli di capelli biondi, le labbra morbide e piene, leggermente dischiuse, il viso maschio e squadrato. Com’è diverso da Francesco. Molto diverso. Riprende a baciarlo con foga, spingendo la lingua a cercare la sua e il piacere di quel bacio cancella il dolore acuto del ricordo. *** Il cancello della villa si apre al passaggio della Ferrari. La ghiaia, sotto le ruote dell’auto, schizza in ogni direzione, mentre percorre il lungo viale alberato. «Tuo marito?», chiede Antony fermando l’auto davanti all’ampio ingresso in stile neoclassico. «Ci aspetta», risponde Cassandra sporgendo le lunghe gambe al di fuori della vettura. Sceso a sua volta dall’auto, Antony sale i pochi gradini che lo separano dal portone, seguendo la donna che ancheggia precedendolo sotto il porticato. Come se li avesse visti arrivare, un corpulento signore sulla cinquantina apre loro la porta. «Ciao, Tony», dice l’uomo con un sorriso esitante. «Charles», ribatte laconico. Appena messo piede nel mastodontico ingresso, Antony lancia una rapida occhiata attorno a sé e lungo la scalinata ricurva che porta alle camere da letto. «Siamo soli?» «Ho concesso la serata libera a tutto il personale, eccetto la guardia esterna», mormora la bionda cominciando a spogliarsi, «ma ho ordinato di spengere le telecamere nella stanza da letto». Giunto nella sontuosa camera, Antony s’accosta al basso tavolino da fumo e trae dalla tasca dei pantaloni una bustina piena di finissima polvere bianca. Dopo averla rovesciata sul ripiano lucido, e divisa in strisce sottili, si china a inspirarla utilizzando un tubicino di platino, quindi si raddrizza, strofinandosi il naso e invitando la bionda e il marito a fare altrettanto. «Basta, Charles, o non ti si drizza più», dice avendo notato la foga con cui l’uomo s’è gettato sulla cocaina. «Siediti», gli dice poi, indicando una poltrona piazzata davanti all’opulento letto a baldacchino, mentre la bionda è presa a sbottonargli la camicia, scorrendo le labbra lungo il torace. L’onorevole Morris si sistema sulla poltrona e poggia i gomiti sui braccioli di legno intarsiato, come chi si prepari ad assistere al proprio spettacolo preferito. Il sudore gli imperla il labbro superiore, conferendo alla carnagione chiara un riflesso untuoso. Sua moglie Cassandra sbottona, con movimenti febbrili, i pantaloni del gigolò, inginocchiandosi davanti a lui. Antony socchiude gli occhi, apparentemente rapito da quella visione, ma il suo pensiero è già molto lontano. «Sei meraviglioso», mormora la donna passandogli la lingua su tutta la pelle. «Meraviglioso». La voce di Cassandra si spenge, roca, sul membro eretto di lui. L’uomo sulla poltrona infila la mano sotto la patta dei pantaloni slacciati e comincia a muoverla lentamente. «Ti piace, Charles?», mormora Antony in direzione del corpulento signore. «Ti piace guardarla mentre me lo succhia? Che bella bocca ha tua moglie, sentissi come muove la sua lingua…». Il gigolò soffoca un gemito, imitando un’eccitazione inesistente. Grosse macchie di sudore si allargano sotto le ascelle di Charles e sull’ampio ventre peloso, mentre la mano accelera il ritmo. «Ti piace vederla godere?», mormora Antony, quindi, sollevata la donna, la costringe a stendersi sul letto. Con gesti rapidi ed esperti, le lega i polsi e le caviglie alle colonnine tornite del baldacchino usando lunghi lacci di seta, poi le passa un paio di cuscini sotto il sedere rotondo. «Facciamo godere Cassandra», sussurra insinuando le lunghe dita nelle umide profondità di lei, strappandole rantoli e lamenti senza senso. Dopo qualche minuto di quegli affondi tormentosi, Antony si china a cercare il punto migliore per stimolarla. La lingua del gigolò scivola a leccare la parte sommitale tra le labbra, prima lentamente, poi sempre più rapido. L’orgasmo coglie la bionda dopo una manciata di secondi, strappandole acute grida di piacere e facendola sussultare a lungo. Antony aspetta ancora un istante prima di fermarsi per farle provare un altro rapidissimo orgasmo clitorideo, quindi la sonda nuovamente con le dita, saggiandone lo stato d’eccitazione. «Vieni, Charles», mormora all’uomo seduto in poltrona. «L’altra sera ci siamo dedicati a tua moglie, ma stasera voglio far godere anche te». Charles si alza col viso paonazzo, s’avvicina al gigolò e lascia che lui finisca di slacciargli i pantaloni. Il tocco di Antony porta la sua eccitazione al parossismo. «Posso leccartelo?», chiede ansante. «Certo Charles». Antony poggia le mani sulle spalle dell’uomo, invitandolo a inginocchiarsi davanti a lui. «Lo sai che mi piace da impazzire quando lo fai». Il gigolò socchiude gli occhi, mentre l’uomo gli prende in bocca il membro e comincia a succhiare sempre più forte. Il vuoto. Una specie d’interruttore generale spenge la luce nella sua mente, mentre zaffate di sudore rancido colpiscono le sue narici, facendolo fremere di disgusto. «Fermati Charles. Così mi fai venire», sussurra il gigolò, costringendolo a sollevarsi. Quando gli prende in mano il membro, turgido fino all’inverosimile, e lo guida dentro il corpo della moglie, l’onorevole Morris mugola di piacere. La donna, penetrata dal marito, ha un leggero sussulto. Antony indossa rapidamente il condom, quindi si sporge verso il vicino comò per afferrare il flacone di lubrificante in bella mostra. L’interruttore è staccato, la luce è spenta, i pensieri lontani migliaia di miglia. Quando divarica i grassi glutei dell’uomo e lo penetra, Antony è già altrove. Alle sue orecchie non giungono le grida di piacere di Charles, né quelle di Cassandra. Sotto le sue dita è come se ci fosse il nulla. Alle sue narici non giunge l’odore pungente delle secrezioni di quei corpi e, sulla lingua, non è rimasta alcuna traccia di sapore. Dopo pochissimi istanti, con un grido disperato, l’onorevole Morris eiacula, incapace di trattenersi oltre, preso dal piacere di penetrare la moglie e dal piacere di essere, a sua volta, penetrato. Antony si ferma col respiro leggermente ansante e, sfilato il membro dall’orifizio dell’uomo, si toglie il preservativo abbozzando una smorfia di disgusto. Charles crolla sul letto con la faccia paonazza, abbracciando la moglie ancora legata e divaricata. Distogliendo lo sguardo da quello spettacolo osceno, Antony s’accosta al basso tavolino da fumo dov’è sistemata una bottiglia di cognac e un paio di bicchieri. Sulla sedia poco distante ha abbandonato la propria giacca: trae dalla tasca il pacchetto di sigarette, accendendosene una, quindi si china a versarsi da bere dalla bottiglia di cristallo massiccio. Bevuta una lunga sorsata di liquore, volge le spalle a entrambi, e soprattutto alla telecamera nascosta, facendo scivolare, da una fiala infilata nel pacchetto di sigarette, alcune gocce d’un liquido chiaro nel bicchiere di cognac, poi, sedutosi sul letto accanto ai due coniugi, li invita a bere. Non potendo muoversi liberamente, la donna beve dalle sue mani e l’uomo fa altrettanto. «Allora Cassandra, hai capito quali sono i gusti di tuo marito?», chiede Antony liberandola dai legacci. «Sì», sibila lei sprezzante, massaggiandosi polsi e caviglie. «L’ho capito». Il gigolò abbozza un sorriso. «Piace anche a te, se non sbaglio». «Ricordi bene», mormora sfiorandogli il membro ancora teso. «Charles, sei pronto?» «No ragazzi», ansima il senatore. «Non sono ancora in grado di armare… Ho comprato qualche giocattolo via internet. Sono lì nel cassetto. Tony, per favore, pensaci tu». La volta precedente, Antony s’era dovuto ingegnare non poco per eiaculare rapidamente, dato che il principale divertimento del senatore consisteva nel succhiargli dolorosamente l’uccello. Per il resto del tempo, Charles s’era limitato a filmare e a masturbarsi guardandolo scopare la propria avvenente signora. D’altronde il contratto era chiaro: Antony doveva gradualmente abituare Cassandra alle perversioni del marito e, questa sera, aveva già fatto notevoli passi avanti: nonostante fosse la prima volta che vedeva il marito sodomizzato, non pareva esserne rimasta granché turbata. Il senatore, poi, godeva più a masturbarsi e a fare pompini che non a scopare, perciò, soddisfatta la signora, il lavoro poteva dirsi praticamente concluso. Almeno quella parte del lavoro. «Allora ci penso io?», chiede Antony, ironico. Gli occhi della donna brillano d’eccitazione, le sue mani fremono sul suo membro, portandogli allo scoperto il glande. «Dài Tony», mormora lasciva. «Pensaci tu», dice sollevando l’uccello per potergli leccare lo scroto. Antony tira indietro la testa, fingendo piacere, mentre allunga il braccio verso il comodino al suo fianco. «E bravo Charles», dice aprendo il cassetto. «Guarda quanti vibratori hai comprato! Anche cinghie di cuoio e un morso da cavalli! Ma sei proprio un porcellino! Allora Cassandra, che cosa preferisci?», dice porgendole via via gli oggetti. «Fai tu», ribatte lei con la bocca piena di lui. «Come preferisci», dice spengendo la sigaretta nel posacenere. I denti della donna sono stretti attorno al morso da cavalli, assicurato alla sua testa da spesse cinghie di cuoio. Lunghi lacci di seta le serrano i polsi alle ginocchia, impedendole praticamente di muoversi. Gli occhi di Cassandra sono sgranati per il timore e l’impazienza, mentre il gigolò, indossato un altro condom, afferra il flacone di lubrificante e la prepara alla penetrazione. La donna, scossa dalle sue carezze intime, serra istintivamente le gambe, ma lui, seccato, tira fuori altre cinghie e lega le sue caviglie alle colonnine del letto, obbligandola a rimanere divaricata e completamente esposta. «Stai ferma», sibila spalmando il lubrificante sulle sue parti intime, quindi le sistema una serie infinita di cuscini sotto le natiche, finché l’orifizio anale non è comodamente all’altezza del suo membro. «Perfetto», mormora soddisfatto come un artista di fronte alla propria opera d’arte. «Che dici, Cassandra, cominciamo con questo?», dice penetrandola. Il grido di lei è un misto di piacere e sorpresa. «Rilassati. Spingi, brava, così, bravissima», ansima il gigolò, procedendo nella penetrazione anale. «Ce l’hai grosso, Tony», dice Charles con voce roca, accarezzando i capelli della donna. «E mia moglie non è abituata al sesso anale. Forse sarà il caso che sostituisci il tuo uccello con un vibratore di dimensioni più ridotte», ma Cassandra, con gli occhi sgranati e le labbra ringhianti, comincia a scuotere la testa. Le labbra di Antony si piegano in un sorriso perverso. «Non credo desideri che mi fermi», e la donna comincia a emettere acuti lamenti di piacere. A quella reazione, il tono del senatore diventa eccitato come un bambino la mattina di Natale: «Posso filmare, Tony? Eh? Posso filmare anche stasera?» «Certo Charles», ribatte, muovendo il bacino in modo da scorrere, avanti e indietro, per tutta la lunghezza del membro. «Il souvenir ti costerà solo un altro extra». Il senatore s’allunga verso il comodino dal proprio lato e, aperto il cassetto, ne estrae una piccola e costosa telecamera. «Qualsiasi prezzo», ansima, in ginocchio sul letto, accendendo l’apparecchio. «Pago qualsiasi prezzo». «Allora Cassandra, quale preferisci davanti?», chiede Antony mostrandole alcuni ingombranti vibratori. «Questo?», termina mostrandole quello più voluminoso. A quella vista le pupille di lei si dilatano. «Piccola ingorda», dice stirando le labbra in un sorriso crudele e le sue dita cominciano a divaricarle le piccole e le grandi labbra, strappandole un’altra lunga serie di gemiti. Fine dell'estratto Kindle. Ti è piaciuto? DOWNLOAD FULL VERSION