Beatrice BARBALATO - Interférences littéraires

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Beatrice BARBALATO - Interférences littéraires
http://www.interferenceslitteraires.be
ISSN : 2031 - 2790
Beatrice Barbalato
Il dominio di un io diaristico nel film d’Alain Bergala
Cesare Pavese, un écrivain italien (1995)
Sintesi
I docu-film sulla vita di uomini di lettere tendono a servirsi indiscriminatamente
dei testi di uno scrittore, di finzione o testimoniali, presentandoli surrettiziamente sotto
l’egida di un io diaristico. L’io sullo schermo non è che la conseguenza di una strategia narrativa. Presento in questo saggio, come exemplum, il caso significativo di Cesare
Pavese, autore di due diari Il mestiere di vivere e Il mestiere di poeta e di romanzi principalmente
scritti in prima persona. Sul crinale ambiguo fra l’io diaristico e l’io romanzato è costruito
il film d’Alain Bergala del ciclo Un siècle d’écrivains. Il saggio che segue è diviso in due parti :
la prima riporta i risultati, enunciandone i metodi di ricerca, di uno studio sulle biografie
filmiche di scrittori, come se fossero delle autobiografie ; la seconda esemplifica questi
dati generali attraverso il docu-film Cesare Pavese (1995). In questa parte vengono paragonati gli scritti autobiografici di Pavese Il mestiere di vivere e Il mestiere di poeta con il film di
Alain Bergala che utilizza in voce off ogni fonte come se fosse un espressione testimoniale autobiografica di Pavese stesso.
Résumé
Les films documentaires sur les hommes de lettres se servent très souvent des
textes de l’écrivain, qu’ils soient de fiction ou testimoniaux, en les présentant subrepticement sur le mode du je. Or l’usage du je à l’écran est le résultat d’une stratégie narrative.
Dans cet article, nous présentons, à titre d’exemple, le cas significatif de Cesare Pavese,
auteur de deux journaux d’écrivain : Il mestiere di vivere et Il mestiere di poeta, et de romans
principalement écrits à la première personne. C’est sur la ligne de crête entre le moi et
le je fictionnel qu’est bâti le film d’Alain Bergala réalisé dans le cadre du cycle Un siècle
d’écrivains. L’étude comporte deux parties : la première expose les résultats d’une étude
globale sur les biographies filmiques d’écrivains, présentées comme si elles étaient des
autobiographies ; la seconde exemplifie ces données à travers le documentaire Cesare
Pavese, un écrivain italien (1995). Les écrits autobiographiques de Pavese sont confrontés
au film d’Alain Bergala, qui utilise en voix off n’importe quel extrait comme s’il s’agissait
d’un témoignage personnel, sinon intime, de Pavese lui-même.
Per citare questo articolo :
Beatrice Barbalato, Il dominio di un io diaristico nel film d’Alain Bergala Cesare
Pavese, un écrivain italien (1995), in «Interférences littéraires/Literaire interferenties», 9,
noviembre 2012, “Le Journal d’écrivain. Les libertés génériques d’une pratique d’écriture”, a cura di Matthieu Sergier & Sonia Vanderlinden, 147-160.
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Interférences littéraires/Literaire interferenties, n° 9, novembre 2012
Il dominio di un io diaristico nel film
d’Alain Bergala
Cesare Pavese, un écrivain italien (1995)
1. Le biografie di scrittori sullo schermo come diari
Il soggetto che qui tratterò, nel quadro più esteso della tematica delle forme di
rappresentazione di biografie di scrittori, riguarda un film per la televisione su Cesare
Pavese. Un film che induce ad interpretare i contenuti come se provenissero da un esteso
diario di questo autore. In verità le citazioni della voce/delle voci off sono tratte da lavori
diversi. Lettere, opere di finzione, diari, vengono utilizzati in modo da porre sotto il cappello
dell’io le fonti pur varie di cui Bergala, l’autore del film, si serve. Cesare Pavese, écrivain italien,
1995, 52’ fa parte del ciclo Un siècle d’écrivains1, serie diretta da Bernard Rapp per France 3.
Soprattutto negli anni 1990-2005 la creazione di film sulla vita di scrittori è stata
considerevole, oggi si investe pochissimo in questo genere che solo qualche anno fa
occupava uno spazio significativo nei palinsesti televisivi. In Francia col ciclo Un siècle
d’écrivains diretto da Bernard Rapp sono state realizzate 257 biografie di scrittori. Un
impegno straordinario. Questi film, su cui si deve esprimere nell’insieme un giudizio positivo, malgrado alcune critiche che è legittimo avanzare, presentano delle caratteristiche
comuni che enuncio in sintesi prima di analizzare il film Cesare Pavese, un écrivain italien.
Come ogni linguaggio che arriva sulla scena culturale di un universo già esplorato e tende a riprenderne gli stessi moduli (il cinema ai suoi inizi ripercorre i codici
della messa in scena teatrale, la fotografia la ritrattistica, ecc.), anche i films biografici
televisivi fanno riferimento ai caratteri solidificati di un genere prossimo e preesistente
(genus proximus, differentia specifica, dicevano i latini).
Nelle realizzazioni di film sulla vita di scrittori si constata la tendenza a riprendere i moduli del realismo letterario, tipico della seconda metà del xix secolo, inscrivendo l’insieme delle informazioni nel solco della testimonianza, nel registro della verità2. Il genere delle video biografie riprende molti dei caratteri dominanti del realismo
ottocentesco. Malgrado le ampie variabili che un linguaggio audio-visivo è in grado di
esprimere e di esplorare, questi films (e si intende con la parola films anche ciò che si
designa come documentario) manifestano la tendenza ad accreditare l’opera di uno
scrittore come autobiografica, e lo fanno ripercorrendo le classiche strade del realismo.
Sottolinea Watt che l’aspetto che distanzia il significato della parola realismo
nel mondo contemporaneo rispetto al mondo antico, è la sua origine filosofica. Gli
1. Un siècle d’écrivains, una serie diretta da Bernard Rapp, France 3, 1995. Il film d’Alain
Bergala s’intitola : Cesare Pavese, écrivain italien, 1995, 52’.
2. Riprendo quest’analisi da un mio precedente studio su questo argomento: Beatrice Barbalato,
«Il video e l’immagine dello scrittore. L’io legittimante», in Sul palco c’è l’autore, Louvain-la-Neuve, Presses
Universitaires de Louvain, 2006, pp. 175-188.
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Il dominio di un io diaristico nel film d’Alain Bergala
universali per la Scolastica erano considerati esistenti prima delle cose, quali classi o
astrazioni ; mentre la parola realismo soprattutto a partire dal xvii secolo si applica
post res, e soprattutto al particolare.
La chiave del realismo – tipica del romanzo ai suoi esordi – tende a dilatare nel
tempo gli eventi esaltandone i dettagli.
Molti scrittori come Richardson, Defoe, àncorano le esperienze dei personaggi alle circostanze ambientali, esibendo la presenza degli oggetti, come le numerose cianfrusaglie che abbondano nell’isola di Robinson Crusoe, o la molteplice biancheria, i gioielli ‘da contare’, e le varie chincaglierie in Moll Flanders (che – detto en
passant – enfatizzano surrettiziamente un capitalismo nascente). L’enumerazione dei
particolari presuppone la ridefinizione di un universo fatto di persone, di ambienti,
di cose, nominate e situate, una ad una. Un realismo post res che ha la vocazione di
rifondare il mondo. «Nel mondo sovraccarico di Funes, non c’erano che dettagli,
quasi immediati», scrive Borges in «Funes o della memoria»3.
Watt afferma che per produrre l’effetto verità, il realismo dell’Ottocento ha
operato :
-La dilatazione della descrizione dei dettagli.
-La digressione controllata come mezzo per ampliare le conoscenze della
realtà.
-L’estrema coerenza dei personaggi, e la legittimazione del testo da parte
dell’autore.
-L’uccisione del desiderio attraverso epiloghi mirati che riconducono l’idealità
del racconto ad un senso concretamente realistico (inteso anche nel senso di ‘più
conformistico’) della vita.
I dettagli diventano ancoraggi per rendere più vera la realtà rappresentata, e
l’estrema coerenza del racconto chiude lo sguardo verso qualsiasi smagliatura ed
esteriorità. Ciò che viene prospettato è un microcosmo logico e consequente.
Molti di questi caratteri li ritroviamo in maniera più o meno ricorrente nei
docu-films (principalmente negli anni 1980-2005 della Rai-TV, 1995-2001 di France
3, e nel decennio 1995-2005 di ARTE):
1). Un’idea evolutiva del tempo sostenuta dalle immagini (la continuità versus
la discrezione/contiguità), primo elemento di delimitazione di quanto viene illu­
strato. Cioè vita e produzione letteraria dello scrittore sono allineate lungo l’asse
temporale e messe in relazione di continuità.
Questa organizzazione della comunicazione è quasi sempre accompagnata da
un narratore onniscente dalla voce off, anonima, che, come un deus ex machina, contribuisce ad indirizzare lo sguardo verso la continuità della narrazione, incanalandolo
in un unico punto di vista. Nel caso del film su Pavese, che si analizzerà fra breve, si
constata come la varietà di citazioni, di menzioni filmiche, di documentazione epi­
stolare, siano incanalate ad imbuto in una strettoia interpretativa cronologica, che
non corrisponde pienamente al carattere dell’opera dello scrittore, prevalentemente
3. Jorge Louis Borges, «Funes o della memoria», in Finzioni, (trad. di Franco Lucentini),
Milano, Feltrinelli, 1955, p. 91. Prima ediz., Ficciones, 1944.
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ciclica. Un’interpretazione del film indirizzata, inoltre, a spiegare il suicidio come
una morte annunciata ab imis fundamentis, e dove gli eventi strettamente personali
pesano più dell’ipotesi che il suicidio possa essere stata una scelta culturale.
2). Una tendenza all’etnologizzazione. Procedimento che si concretizza attraverso delle riprese filmiche dei e nei luoghi degli scrittori. Girare a Recanati un ciclo
su Giacomo Leopardi, o a Ferrara una trasmissione su e con Giorgio Bassani, ad
esempio, è un consueto ed ovvio modo di affrontare l’argomento, che tende, però,
ad enfatizzare un realismo a carattere etnografico, ironicamente chiamato Il posto
delle fragole (Les fraises sauvages) dal titolo del film di Ingmar Bergman. Lo spettatore
è spinto ad identificare i riferimenti geografici delle opere nei luoghi della memoria
dello scrittore, cioè dove è nato, dove ha trascorso i periodi ritenuti più significativi
della sua esistenza, ecc. In una trasmissione del ciclo Un autore, una città (RAI, 1982),
per esempio, Giorgio Bassani viene ripreso nella piana intorno a Ferrara, oppure nel
centro della città per illustrare i luoghi di ispirazione di un suo romanzo. Si spinge
lo spettatore a identificare i logoi letterari con i luoghi geografici. Bassani non è più un
narratore, un interprete, ma è un testimone.
3). Un realismo che tende a far corrispondere dei momenti della vita con degli
oggetti concreti della memoria (l’abitazione, la chiesa, il giardino, come vedremo per
Cesare Pavese) e trasforma i simboli letterari in delle immagini ipersegniche, riprese
filmicamente in primissimo piano. Quando si vuole fare riferimento a un simbolo
letterario in Pavese si mostra l’oggetto ingrandito : la luna, i falò, ecc.
4). Un realismo referenziale. Alla maniera di Moll Flanders o Robinson Crusoe
gli oggetti vengono dispiegati quali supporti testimoniali della realtà che si racconta.
Mentre una voce off legge un brano de Gli indifferenti (Un autore una città, RAI,
1982) si mostrano le scarpe dei passanti in concomitanza al contenuto del testo
letto.
5). Si chiamano in causa gli esperti, per avvalorare quanto viene presentato,
sollevando lo spettatore da eventuali interrogativi. Proprio come scrive Philippe
Hamon :
La source-garant de l’information s’incarne dans le récit dans un personnage
délégué, porteur de tous les signes de l’honorabilité scientifique : une description médicale sera supportée et véhiculée par la bouche d’un personnage
de médecin, une information esthétique par la bouche d’un personnage de
peintre, une description d’église ou une information sur la religion à travers le
personnage du prêtre, etc…4
Allo stesso modo, nei films che parlano della vita e delle opere degli scrittori ci si
appella a degli esperti, a dei critici, per sostenere, sottolineare ciò che si evince con
evidenza dalle immagini filmiche. Spesso si tratta di esperti che esprimono opinioni
tautologiche. Insomma la ridondanza domina.
In una trasmissione su Sandro Penna (Una strana gioia di vivere RAI, 1984) un
critico d’arte viene interpellato per parlare dell’attività di mercante d’arte svolta dal
141.
4. Philippe Hamon, «Un discours contraint», in Littérature et réalité, Paris, Seuil, 1973, pp. 140-
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poeta, ciò che si deduce assai rapidamente osservando le riprese della e nella sua camera da letto e ascoltando le parole dello stesso Penna (nei brani di Il poeta Penna in
Umano troppo umano di Mario Schifano 1971). Tanti esempi simili sono menzionabili.
Come si è accennato, le costruzioni biografiche in video vengono strutturate
in modo da farle apparire delle autobiografie, mettendo in massimo rilievo la documentazione privata. In sintesi :
1) La cronologia apparenta senza distinzione vita e opere di uno scrittore.
Il parallelismo fra vicende private e pubbliche, l’utilizzazione degli stessi repertori
visivi per la rappresentazione di entrambe, porta a cortocircuitare le une con le altre.
2) Quando l’autore non può essere presente in video (nel caso sia già morto),
si persegue l’obiettivo dell’autenticità testimoniale con qualche artificio : col mo­
strare fotografie o documenti (lettera autografa, testimonianze scritte) ; oppure col
far sentire la ‘voce dell’autore’. Come accade – per citare un esempio fra altri – in
un ciclo dedicato a Silone (RAI, 1988), dove, oltre all’utilizzazione del materiale di
repertorio con vecchie interviste all’autore, gioca un importante ruolo di testimonianza autobiografica la voce off che legge brani delle opere e mostra allo stesso tempo
immagini di Silone, inducendo lo spettatore ad identificare automaticamente opera
ed autore.
Si armonizzano in un continuum diversi registri senza renderli riconoscibili.
Gli interventi del narratore spariscono e le inserzioni delle diverse fonti utilizzate
diventano irriconoscibili. Proprio come è accaduto, secondo Philippe Hamon, al
racconto all’inizio del secolo xix5.
Nelle biografia in video di scrittori questo aspetto è ricorrente : registri diversi
sono mescolati, competenze scientifiche e brani di fiction sono strutturati in un
flusso narrativo con fonti indistinte. E ciò accade anche nella trasmissione di Bergala su Pavese. L’assenza di identificazione delle fonti di archivio e delle datazioni
impedisce un’interpretazione circostanziata di ciò che è presentato.
2. Cesare Pavese : il grande affresco autobiografico
Quasi tutta l’opera di Pavese si presta ad una lettura autobiografica. Non
stupisce quindi che il film di Bergala sfrutti questo aspetto, e che le molte citazioni
impiegate vengano fatte apparire come se fossero tratte da un diario di Pavese. La
chiave realistica gioca un ruolo importante, tanto più che molte opere di Pavese
sono ambientate nei luoghi dove Pavese è nato e vissuto.
Prima di mettere in luce la portata di questa ‘manipolazione’, analizzerò quei
tratti dell’opera di Pavese menzionati nel film o evocati come se provenissero da
materiale autenticamente autobiografico. Questo scivolamente è favorito, come ho
detto, dalla produzione letteraria di Pavese stesso. Pavese aveva perseguito durante
tutta la sua vita l’obiettivo di diventare una creatura letteraria, di plasmarsi umanamente sulle idee derivanti dalle sue letture. Torinese, laureato in letteratura angloamericana con uno studio su Walt Whitman, esprime una Weltanschauung che tende
a forgiare il suo io sulle forme letterarie che più ha coltivato. Il suo giornale di scrit5. Philippe Hamon, Le personnel du roman, Genève, Droz, «Histoire des idées et critique littéraire», 1983, p. 28.
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tore Il mestiere di vivere, intende per vivere soprattutto scrivere. E il diario personale
si mescola senza soluzione di continuità col giornale di scrittore, quale di fatto è
dichiaratamente. In Pavese questa attitudine ad essere una creatura letteraria nelle
pieghe più recondite è un a priori, un modus vivendi et operandi, e non un a posteriori,
come appare nel film, dove ciò che accade diventa in un certo senso il motore
dell’agire di Pavese, e non viceversa.
Chi era Cesare Pavese? Se riconosciamo a Italo Calvino, suo amico, una grandissima intelligenza e l’aspirazione ad una radicale innovazione letteraria, un vero e
proprio voler voltare culturalmente pagina, si può dire che rinnovare per Pavese sia
stato un atto radicato sempre profondamente nella tradizione. Pavese ha studiato,
assimilato la letteratura nelle sue forme rare e inattese, senza peraltro subire alcuna
influenza dai suoi amici illustri. Leone Ginzburg, Italo Calvino, Natalia Ginzburg,
Giulio Einaudi, Carlo Levi, Massimo Mila, Fernanda Pivano, sua allieva e collaboratrice, hanno fatto parte del suo entourage privilegiato. Da questi amici così straordinari, Pavese non è stato stilisticamente influenzato, perché ha soprattutto guardato
al di là dell’Italia, anche se non ne ha mai varcato i confini geografici. Ha tradotto
Joyce, Defoe, Melville. Ha declinato la letteratura classica, da Omero a Leopardi,
con la letteratura nord-americana, dove Herman Melville occupa un posto particolare : «Melville è veramente un greco» ; «[...] il razionalismo platonizzato [...] è stata
la vena dove ha più bevuto Melville»6. Una scelta ardita, perché durante il fascismo
la letteratura americana era considerata una sub specie della letteratura inglese, e a
fortiori una letteratura minore. Per Pavese la letteratura americana fu «il gigantesco
teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti»7.
L’America per Pavese è, secondo Italo Calvino, il paese ‘altro’ rispetto soprattutto
all’Italia fascista : «I periodi di scontento hanno spesso visto nascere il mito letterario di un paese proposto come termine di confronto, una Germania ricreata da un
Tacito o da una Staël»8.
I due testi di Pavese a dichiarato intento autobiografico sono Il mestiere di
poeta e Il mestiere di vivere. Come definirli ? Guglielminetti chiama il MV9 «giornale di
idee»10, avvicinandolo allo Zibaldone di Giacomo Leopardi. Dare una definizione di
quest’opera non è facile : giornale di scrittore, giornale di idee, giornale letterario11?
Tutte queste definizioni messe insieme ?
Alimentata da note personalissime che rendono quest’opera a volte vicina al diario intimo, il MV è stato pubblicato nel 1952, due anni dopo il suicidio di Cesare Pavese
avvenuto nell’agosto 195012. Il corpus del MV è costituito principalmente da riflessioni
6. Cesare Pavese, «Herman Melville, il baleniere letterato», in La letteratura americana e altri
saggi, pref. di Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1951, pp. 75-77.
7. Cesare Pavese, «L’influsso degli eventi», in La letteratura americana e altri saggi, op. cit., p. 247.
8. Italo Calvino, «Prefazione», in Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi, op. cit.,
p. xiii.
9. Da qui in poi la sigla MV sta per Il mestiere di vivere.
10. ����������
Marziano Guglielminetti, «Attraverso Il mestiere di vivere», in Cesare Pavese, Il mestiere di
vivere, Torino, Einaudi, 2000, p. lii.
11. Pierre-Jean Dufief (a cura di), Les journaux de la vie littéraire, Presses Universitaires de
Rennes, 2009. ��������������������������������������������������������������������������������������
Questo libro analizza le differenze terminologiche in rapporto ai vari generi autobiografici. Per il giornale letterario, più che per altre forme diaristiche letterarie, la parola «extime» di
Michel Tournier appare molto appropriata.
12. ����������������������������������������������������������������������������������������
Questa prima edizione presenta delle censure su alcuni passaggi soprattutto quelli che
menzionano i nomi di persone contemporanee a Pavese, e inoltre sono state soppresse delle frasi
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Il dominio di un io diaristico nel film d’Alain Bergala
di carattere estetico. La parola mestiere Pavese l’aveva utilizzata in un altro lavoro «Il mestiere di poeta» (1934, pubblicato nella seconda edizione di Lavorare stanca) :
[La mia attività mi ha rivelato ] : il mestiere dell’arte e la gioia delle difficoltà
vinte, i limiti di un tema, il gioco dell’immaginazione, dello stile, e il mistero
della felicità di uno stile, che è anche un fare i conti con l’ascoltatore o lettore
possibile. E insisto in specie sulla lezione tecnica di questa mia ultima attività, perché gli altri influssi, cultura nordamericana ed esperienza umana, sono
troppo facilmente comprensibili nell’unico concetto di esperienza che tutto, e
quindi nulla, spiega.13
La questione dell’identità non è mai rapportata da Pavese a un individualismo soli­
psistico. Il mestiere di vivere è il mestiere di poeta : «Ero risalito (o mi pareva) alla
fonte prima di ogni attività poetica, che avrei potuto così definire : sforzo di rendere
come un tutto sufficiente un complesso di rapporti fantastici nei quali consista la
propria percezione di una realtà»14.
Cesare Pavese ricorre all’uso della prima persona in numerose opere, cosa che
ha alimentato la tendenza a interpretarle come espressione diretta della sua vita privata, quasi come un esteso diario intimo. Si è parlato dei personaggi dei suoi romanzi
come degli alter ego15. Si tratta di un equivoco, perché come più volte ha detto Calvino, anche se l’opera di Pavese si puó leggere in chiave autobiografica, essa è principalmente legata alla pratica del suo lavoro di scrittore, articolata sangue e ossa sul
suo mestiere16. La formazione letteraria è stata il fine che Pavese ha perseguito con
accanimento durante tutta la vita e lo ha portato anche a riflettere sulla fondamentale
importanza delle azioni reiterate, quelle che puntualmente ritornano, sottraendo all’io
il senso di una potenza che può essere autogenerata : «Ci vogliono miti universali, fantastici, per esprimere a fondo e indimenticabilmente quest’esperienza che è il mio posto nel mondo»17. Nulla di personale non si traduce in Pavese in espressione letteraria.
Le sue poesie-racconto, la sua prosa poetica, rifiutano apertamente l’ermetismo e il carattere frammentario (registri poetici molto in auge all’epoca) e privilegiano, in modo particolare a partire da Lavorare stanca (1936), dei versi di lungo
respiro che fanno pensare a delle ballate popolari e all’epica. In altre parole, se si
può pensare a una scrittura autobiografica, la si deve ricondurre a un io epico, un io
culturale, volutamente e consapevolmente così interpretato. Non si tratta mai di un
io lirico, come lo stesso Pavese sottolinea. Il commento d’Italo Calvino a La luna e
i falò, considerato il romanzo più autoreferenziale di Pavese, è molto significativo.
Nomen omen :
Nella luna e i falò il personaggio che dice ‘io’ torna ai vigneti, al paese natale
dopo aver fatto fortuna in America [...] . Non a caso è un ‘io’ senza nome : è un
trovatello d’ospizio, è stato allevato da agricoltori poveri come mano d’opera
troppo crude. Cesare Pavese (Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Massimo Mila, a cura di), Il mestiere
di vivere, Torino, Einaudi, 1952.
13. ��������
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, op. cit., p. 5.
14. Ibidem.
15. �Cf. Franco Vaccaneo, Cesare Pavese, una biografia per immagini : la vita, i libri, le carte i luoghi,
Cavallermaggiore, Gribaudo, 2000.
16. �������
Italo Calvino «Prefazione», in Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi, op. cit.,
p. xi.
17. ��������
Cesare Pavese, «Lettera a Fernanda Pivano» (Santo Stefano Belbo, 27 giugno 1942), in
Cesare Pavese (Lorenzo Mondo, a cura di), Vita attraverso le lettere, Torino, Einaudi, 1966, p. 180.
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Beatrice Barbalato
d’infimo salario ; e si è fatto uomo emigrando negli Stati Uniti, dove il presente
ha meno radici, dove ognuno è di passaggio e non ha da rendere conto del suo
nome.18
2.1. Il suicidio di Cesare Pavese
Poco tempo prima del suo suicidio «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi»19,
sembra già presagire la fine. «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-/questa morte che
ci accompagna/dal mattino alla sera, insonne,/sorda, come un vecchio rimorso/o
un vizio assurdo [...]».
«Si potrebbe dire che P. si sia ucciso quando la nicchia in cui si era infilato con
i suoi pensieri si restrinse fino a togliergli il respiro […]»20.
Una morte accarezzata, annunciata, senza dubbio scelta, come testimoniano
il suo epistolario21 e il MV. Lo stesso titolo Il mestiere di vivere lascia intendere la fatica
e l’artificio del vivere. Questo percorso tragico Pavese lo ha costruito poco a poco
con la precisione di un orologio svizzero. Il mestiere di poeta che è il mestiere di vivere,
e viceversa, si conclude, anche se con dolore, allorquando il mandato termina. «In
dieci anni ho fatto tutto » (MV, 17 agosto 1950). «Anno serissimo, di definitivo e
sicuro lavoro, di acquisita posizione tecnica e materiale. […] Difficilmente andrai
più in là» (MV, 31 dicembre 1948).
Il suicidio di Pavese finisce col marcare inevitabilmente, in una lettura a ritroso, tutta la sua vita e le sue opere. Possiamo associarci alle parole de Il narratore22
di Walter Benjamin, che designa la morte come il termine ad quem che permette di
leggere tutta una vita alla luce della sua fine. Questo termine ad quem viene correntemente semplificato al massimo e diventa una chiave di lettura delle sue sconfitte
amorose, del malessere per non aver partecipato attivamente alla Resistenza, dove
più di un suo amico aveva trovato la morte. Le sue difficoltà sessuali, la sua virilità23,
così mal vissuta, accentuano, certo, la sua tristezza. Per Segre, si tratta anche di una
forma di «claustrofilia, che esclude i riferimenti troppo precisi e contingenti alla
realtà»24.
Al suicidio il MV fa reiteratamente riferimento come possibile scelta esistenziale (tra altre affermazioni : «È più spiacevole morire vecchi che giovani», MV 29
18. ������
Italo Calvino, «Pavese e i sacrifici umani», in Saggi, V. 1, Milano, Mondadori, Meridiani,
1995, p. 1231.
19. �������������
La raccolta Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è composta da dieci liriche di cui due in inglese,
ritrovate dopo la sua morte in un dossier rosso. Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Torino,
Einaudi, 1981. Le liriche sono state scritte fra l’11 marzo e il 10 aprile 1950.
20. Cesare Segre, « Introduzione », in Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, op. cit., p. xix.
21. ����������������������������������������������������������������������������������������������
Pavese scrive nell’agosto 1959 in una lettera a Pierina (nomignolo di Romilda Bollati) : «Io
sono, come si dice, alla fine della candela», in Cesare Pavese (Lorenzo Mondo, dir.), Vita attraverso
le lettere, op. cit., p. 257. «Well, Doris, from Saturday to Monday 8-10th, I’ll pay a visit (the last one) to
my contry», «Lettera a Doris Dowling», 6 luglio, 1950. Negli ultimi mesi della sua esistenza, si può
dire che ogni lettera contenga una frase che allude alla sua futura morte.
22. Walter Benjamin, «Le narrateur. Réflexions sur l’œuvre de Nicolas Leskov», in Essais 2 19351940, tradotto da Maurice De Gandillac, Essais 1935-1940, Paris, Denöel et Gontier, 1983/1971, p.
68. Il saggio è stato scritto nel 1936. Prima ediz. Frankfurt, 1955.
23. Anche se Pavese ci tiene a definire come «virile» soprattutto la sua attività. http://www.
classicitaliani.it/pavese/pavese002.htm. p. 5. Cesare Pavese, «Il mestiere di poeta», in Lavorare stanca,
Torino, Einaudi, 1943.
24. Cesare Segre, «Introduzione», in Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, op. cit., p. xvii.
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Il dominio di un io diaristico nel film d’Alain Bergala
marzo 1939). Il suicidio insomma è visto come scelta, ciò che non esclude che Pavese non vivesse un’autentica disperazione esistenziale25.
L’insieme di fogli di MV fu lasciato da Pavese in un dossier verde fra le sue
carte, su questi vi aveva aggiunto una pagina col titolo Il mestiere di vivere. Diario
1935-195026. Il 17 agosto 1950 Pavese scrive : «Questo è il consuntivo dell’anno non
finito, che non finirò».
Il MV, anche se fa allusione a fatti privati, non può essere interpretato come
un quaderno di confidenze. È un’opera letteraria con un tono sempre scelto, che si
apparenta in parte alle sue lettere, che costituiscono intenzionalmente e, in modo
predominante, degli esercizi di stile.
Questo diario si caratterizza come opera letteraria per tante ragioni :
1). Si ispira allo Zibaldone di Giacomo Leopardi, un’opera di riferimento per i
diari di scrittore italiani ; a Mon cœur mis à nu e ai pensieri di Fusées de Charles Baudelaire, autore più volte citato nel MV. Al Secretum (De secreto conflictu mearum curarum) di
Petrarca fa allusione la prima parte dell’opera (6 ottobre 1935 - 28 febbraio 1936)
che Pavese aveva intitolato appunto Secretum professionale.
2). Pavese aveva la volontà di rendere pubblico il suo diario. Prima di morire ha
lasciato i fogli di MV tutti in ordine. E molte frasi dell’opera inducono a pensarlo27.
3). Pavese muore lasciando scritto sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò28 :
«Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene ? Non fate troppi pettegolezzi ». Parole ispirate a Vladimir Majakowski : « Se muoio non accusate nessuno. E per favore,
niente pettegolezzi».
4). Le ultime parole de Il mestiere di vivere (18 agosto) calibrate e lapidarie dicono :
«Niente parole. Un gesto. Non scriverò più». Sintagmi asintetici, una lista di termini senza congiunzioni. Un congedo dalla scrittura, che corrisponde tout court in Pavese alla vita.
La sua morte fa parte di un percorso letterario, dove il suicidio costituisce un
momento che l’essere umano può culturalmente scegliere, sulla base di un pensiero
filosofico principalmente stoico, come Pavese ha scritto più volte nel MV.
2.2. Il tempo, la vita, il racconto
Man must endure
His going hence e’en as his coming hither.
Ripeness is all.29
Il film di Bergala utilizza in modo servile passi di differenti opere messe insieme come per comporre un puzzle raffigurante il suicidio. Riprendiamo dunque
per paragonarli col film, alcuni fili portanti del suo lavoro letterario, che vengono
25. �Ibid., pp. xx-xxi.
26. ��������
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere 1930-1950, op. cit., ediz. del 1952.
27. ��������
Cesare Segre, «Introduzione», in Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, op. cit., p. vii.
28. I Dialoghi con Leucò : Una serie di ventisei racconti brevi strutturati in forma dialogica.
Opera scritta dal 1945 al 1947, pubblicata nel 1947. Nel maggio 2007, Jean-Marie Straub ha messo
in scena al teatro Francesco di Bartolo di Buti in provincia di Pisa un adattamento de La Belva, sesta
conversazione dei Dialoghi con Leucò.
29. ���������
William Shakespeare, King Lear, citato da Cesare Pavese, «L’arte di maturare», in La
letteratura americana e altri saggi, op. cit., p. 330.
154
Beatrice Barbalato
semplificati nell’interpretazione filmica. In Pavese è presente un’idea del tempo sinonimo di un processo continuo di letterarizzazione : «In fondo tu scrivi per essere
come morto, per parlare da fuori del tempo, per farti a tutti ricordo. Questo per
gli altri, ma per te ? Essere per te ricordo, molti ricordi, ti basta ? Essere Paesi tuoi,
Lavorare stanca, il Compagno, i Dialoghi, il Gallo ?». (MV, 10 aprile 1949). In più punti
nel MV, ritorna la nozione d’après coup (cf. le riflessioni del MV del 22 e 27 febbraio
1940). Il giornale servirebbe a tradurre l’esperienza bruta in esperienza teorica che
osserva il post factum, in termini vicini alla psicanalisi. Tutto è come echizzato da Pavese. Egli aveva letto Freud30 e Jung, e conosceva L’erreur de Narcisse (citato nel MV il 9
ottobre 1939) dell’esistenzialista e spiritualista Louis Lavelle31. Forse la problematica
di Narciso, la sua autoriflessività ha interessato Pavese, che si dà del tu e crea così il
suo doppio. «Passavo la sera seduto davanti allo specchio per tenermi compagnia...».
(MV, 6 novembre 1938) Pavese si mette in scena rinchiuso in un cerchio che gira
fra l’io e il tu/io. Uno sdoppiamento frequente nei diari di scrittori, come scrive
Béatrice Didier32.
«L’infanzia non conta naturalisticamente, ma come occasione al battesimo,
battesimo che ci insegna a commuoverci davanti a ciò che abbiamo battezzato».
(MV, 15 giugno 1943) Per Pavese valorizzare il momento infantile significava anche
lottare contro il lato ossessivo del suo accanito lavoro. «L’unica gioia al mondo è cominciare». (MV, 23 novembre 1937) Un’idea che risuona ne La luna e i falò, quando
sottolinea che diventare adulti significa andarsene, morire, cioè non riuscire più ad
avere l’attitudine mentale ed emotiva del ri-cominciare.
I due temi dell’infanzia e della magia s’intrecciano, e Pavese condivide con Calvino l’idea che vi sia una scoperta nella ripetizione : «La poesia è ripetizione, è venuto a
dirmelo Calvino». (MV, 10 gennaio 1950) «Quel che accade una volta accade sempre».
(MV, 27 ottobre 46) Una frase ripresa nel film di Bergala. La ripetizione è anche la
natura del simbolico « Quel che è stato, sarà» (MV, 7 dicembre 1945).
E, sotto l’influenza di Frazer - Pavese era responsabile per la casa editrice
Einaudi della cosiddetta «collana viola» (Collezione di studi religiosi et etnologici e
psicologici) -, scrive : «L’accadere una volta per tutte di un fatto mitico che esprime
un evento ciclico del cosmo (ratto di Core) è analogo all’espressione che si dà, in
arte, a una molte volte ripetuta esperienza di paesaggio, gesto, evento. Quante volte
hai osservata la collina di Quarti e Coniolo prima di esprimerla ?» (MV, 3 agosto
1946).
L’idea di una ciclicità è presente e riconduce continuamente la diacronia a un
livello più elaborato costituito dalla sincronia. Un’idea di costruzione che va al di là
della successione, come scrive Cesare Segre nel menzionare degli studi che focalizzano questo aspetto33. Anche la scelta dei tempi verbali contribuisce a creare questa
30. ���������
Giuditta Isotti Rosowsky, Pavese lettore di Freud. Interpretazione di un tragitto, Palermo,
Sellerio, 1989.
31. ����������
Marziano Guglielminetti, «Attraverso Il mestiere di vivere», in Cesare Pavese, Il mestiere di
vivere, op. cit., p. xlv.
32. Béatrice Didier, «L’invention du moi», in Le journal intime, Presses Universitaires de
France, 1976.
33. ��������
Cesare Segre, «Introduzione», in Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, op. cit., p. vii. Segre si
riferisce ad Anco Marzio Mutterle, «Contributo per una lettura del Mestiere di vivere», in AA.VV.,
Profili linguistici di prosatori contemporanei, Padova, Liviana, 1973, pp. 392-393. Mutterle parla di unità fra
il piano diaristico e quello del discorso, che garantisce la continuità del testo a un livello sotterraneo.
155
Il dominio di un io diaristico nel film d’Alain Bergala
distinzione, a eternizzare le storie impiegando l’imperfetto indicativo, a portarle
nell’ intemporale come accade ne La luna e i falò : «ero rivenuto, avevo fatto fortuna,
sembrava. Sapevo già tutto, sapevo e piangevo».
Questo congedo di Natalia Ginzburg, scritto appena dopo la morte, delinea
un ritratto molto significativo di Pavese :
Era, qualche volta, molto triste : ma noi pensammo, per lungo tempo, che sarebbe guarito di quella tristezza, quando si fosse deciso a diventare adulto : perché ci
pareva, la sua, una tristezza come di ragazzo - la malinconia voluttuosa e svagata
del ragazzo che ancora non ha toccato la terra e si muove nel mondo arido e
solitario dei sogni. Qualche volta, la sera, ci veniva a trovare ; sedeva pallido, con
la sua sciarpetta al collo, e si attorcigliava i capelli o sgualciva un foglio di carta ;
non pronunciava, in tutta la sera, una sola parola ; non rispondeva a nessuna delle
nostre domande. Infine, di scatto, agguantava il cappotto e se ne andava. Umiliati, noi ci chiedevamo se la nostra compagnia l’aveva deluso, se aveva cercato
accanto a noi di rasserenarsi e non c’era riuscito ; o se invece si era proposto,
semplicemente, di passare una serata in silenzio sotto una lampada che non fosse
la sua. [...] Diventavamo, in sua compagnia, molto più intelligenti ; ci sentivamo
spinti a portare nelle nostre parole quanto avevamo in noi di migliore e di più
serio ; buttavamo via i luoghi comuni, i pensieri imprecisi, le incoerenze.34
2.3. Il suicidio di Pavese nella trasmissione di Bergala
La trasmissione di Bergala struttura il percorso biografico, tanto articolato e complesso di Pavese, come nelle linee essenziali messe in luce, sulla base delle citazioni tratte
da suoi diversi testi, presentandole come tratte da un suo diario, operazione facilitata,
come si è visto, dalla stessa opera dell’autore35. In realtà le analisi delle opere di Pavese
come Lavorare stanca mostrano come l’io del poeta sia piuttosto l’effetto di connessioni a
distanza36, come ha ben messo in evidenza Anco Marzio Mutterle. L’io di Lavorare stanca (e
si potrebbe estendere questa stessa riflessione alle altre opere) è assoggettato a una articolazione macrotestuale37. E anche se MV è un diario, dunque sottomesso alla cronologia,
pertanto non suscettibile d’essere tessuto come un’opera di ‘finzione’, si trovano nondimeno delle ricorrenze, dei fili rossi dall’inizio alla fine, dei macrotesti che l’attraversano.
Il film di Bergala utilizza l’opera di Pavese per farne un affresco autobiografico
filmico. Non è il solo a utilizzare questa tecnica, che costituisce una tendenza ricorrente nelle trasmissioni sulle biografie di scrittori. Il suicidio facilita questa lettura
teleologica. Ma, come Pavese stesso aveva detto l’anno della sua morte : «Non ci si
uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci
rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla» (MV, 25 marzo 1950). «[...] Vivere
senza scrivere non vivo»38. Cioè le sue sconfitte amorose, i suoi problemi sessuali non
34. ���������
Natalia Ginzburg, «Ritratto d’un amico», in Le piccole virtù, Torino, Einaudi, 1962, p. 28.
Pubblicato nel 1957 sul «Radiocorriere».
35. Laurence Pieropan, «L’influence de l’autobiographie dans l’émission télévisée consacrée
à l’écrivain Cesare Pavese», in Beatrice Barbalato (a cura di), Les écrivains en vidéo, Bruxelles, Émile
Van Balberghe Libraire, 1999, pp. 53-64.
36. �������������
Anco Marzio Mutterle, I fioretti del diavolo. Nuovi studi su Cesare Pavese, Alessandria,
Edizioni dell’Orso, 2003.
37. ������
Bart Van Den Bossche, Tra narrativa e poesia : dal primo al secondo Lavorare stanca, in
«Mosaici», Special Issue, Parole, immagini, racconti. Cinque saggi su Cesare Pavese poeta, in commemorazione
del suo centenario, Rossella Riccobono (a cura di), Giugno 2011.
38. ��������
Cesare Pavese, «Ad Aldo Camerini, Venezia» (Torino, 16 giugno 1950), in Cesare Pavese
(Lorenzo Mondo, a cura di), Vita attraverso le lettere, op. cit., p. 250.
156
Beatrice Barbalato
sono sufficienti a spiegare il gesto estremo, se non nel suo essere un uomo di cultura
a 360°. Il libro di Dominique Fernandez L’échec de Pavese (1968) riporta la sconfitta ad
un’analisi psicanalitica legata esclusivamente ai suoi problemi intimi, e non rende del
tutto merito, mi sembra, alla complessa figura dello scrittore.
2.4. Denominatori comuni
Riporto di seguito i punti salienti del film. Bernard Rapp prima dei titoli di
testa dice : «Non resta alcun documento sulla sua vita», ciò che è evidentemente falso,
perché esistono testimonianze di amici, le sue lettere, una documentazione esauriente.
Si tratta, dice Rapp, di un tête à tête fra Bergala e Pavese. Se questo aspetto è in effetti
presente nel film, si tratta con evidenza della ricostruzione di ‘un’intimità’ ad usum
delphini. La sequenza di apertura parla del ritorno a Santo Stefano Belbo di Pavese a
quarant’anni e offre una panoramica da una finestra che è quasi identica all’ultima : la
finestra della camera dell’hotel di Torino in cui Pavese si è suicidato. Sin dall’inizio gli
amori, da quelli giovanili in poi, sono presentati come un desiderio che poi si rivela
per Pavese irrealizzabile. Così accade anche per la presentazione delle sue convinzioni politiche : antifascista, sostenitore di autori impegnati politicamente, istigatore
per giovani allievi a combattere nella Resistenza, Pavese non si impegna in nessuna
azione concreta contro il fascismo. Non firma nel 1929, ad esempio, la lettera a favore
di Benedetto Croce (12’ 39’’), che si era espresso negativamente riguardo al Concordato fra Stato e Chiesa dell’11 febbraio 1929. Per questo rifiuto Croce fu accusato da
Mussolini di essere “un imboscato della storia”. Questo momento della vita di Pavese
nel film viene ricordato come un peccato di gioventù, avendo Pavese solo 21 anni.
Il suicidio di un suo amico Baraldi (13’42’’), spinge Pavese a replicarne il gesto.
I tentativi di suicidio di Pavese stesso sono puntualmente citati nel film. Un altro
amore evocato è quello mancato per Tina Pizzardi, comunista clandestina che gli
chiede di ricevere a casa sua delle lettere compromettenti. Pavese accetta. Intercettato
dalla polizia politica viene processato e mandato al confino a Brancaleone Calabro
nel 1935 (18’35’’), sconterà dietro una domanda di grazia solo otto mesi. Traccia di
questo periodo si trovano nel racconto Il carcere, protagonista Stefano, di cui vengono
letti dei brani in prima persona in voce off. Tornato a Torino apprende che Tina sta per
sposarsi. Tenta il suicidio (lettura di brani tratti da La Prigione e Paesi tuoi ).
Conosce Fernanda Pivano che diventerà una scrittrice famosa e grande esperta di letteratura americana, traduttrice dall’inglese per la casa editrice Einaudi (25’).
La corteggia durante 5 anni. Lei sposa un altro. Nella prima pagina di Feria d’agosto
scrive «In memoria / † / 26 luglio ’40 - 10 luglio ’45» : le due date in cui l’ha chiesta
in matrimonio.
Nel settembre ’43 i nazisti occupano la città di Torino. Pavese si rifugia a Casale
Monserrato e fa l’istitutore per un Collegio religioso dove passa il tempo conversando di temi
teologici.
Alcuni suoi amici muoiono : Leone Ginzburg decede in prigione sotto tortura, Giaime Pintor e Gaspare Paietta giovanissimi muoiono nello scontro con
i nazisti (30’ e oltre). In aprile il nord Italia è liberato. Pavese torna a Torino.
Non viene risparmiato dalle critiche quando si iscrive al Partito comunista,
perché questo atto viene inteso come una scelta tardiva, non avendo parteci157
Il dominio di un io diaristico nel film d’Alain Bergala
pato Pavese attivamente alla Resistenza. Presso la succursale Einaudi a Roma
conosce Bianca Garufi, segretaria nella stessa casa editrice. Nuovo fallimento
amoroso.
A Torino, città nel film definita metafisica, alla De Chirico, la voce off parla di
Pavese come uno straniero nella sua stessa città. Brani tratti da diverse opere vengono detti dalla voce fuori campo in prima persona (35’-38’).
Riflette sui suoi amori mancati, «quello che è stato, sarà» (33’11’’) dice la voce
di Pavese, una frase già segnalata precedentemente in una didascalia (11’5’’). Per dire
che l’esperienza fallimentare si reitera e si reitererà. E ancora questa frase ritorna
quando la voce off afferma che la vita di Pavese e i personaggi de La luna e i falò si
identificano (44’10).
1949 : Siamo a Santo Stefano Belbo. Un tono malinconico accompagna la
panoramica su paesaggi, case, vigneti, illustrati da letture presuntamente autobiografiche. Immagini che sottolineano il ritorno all’infanzia e al simbolico. Viene mostrata la medesima inquadratura di una finestra, come nella prima sequenza su Santo
Stefano Belbo.
Sabato 26/08/1950, hôtel Roma, dopo varie chiamate telefoniche, andate
deserte, Pavese si suicida.
Ciò che caratterizza il film, come ho spiegato, è l’intenzionalità di dirigere
verso un solo punto, il suicidio, il racconto della vita di Pavese. Ad una voce off che
racconta la biografia, si articolano i brani dove è Pavese che parla in prima persona.
Nel film non si specificano le fonti dei brani menzionati, che sono tutti espressi
alla prima persona singolare, dando l’impressione allo spettatore di provenire da
un diario.
Vi è poi un’elementarizzazione della portata letteraria. Lo sguardo indagatore
infantile di Pavese si traduce nel film in simboli rudimentalizzati, mentre sin dall’inizio il film vuole proporsi come un’indagine che dirà cose nuove sullo scrittore.
Altre semplificazioni sono presenti nel film :
1). Non vengono segnalate quasi mai le fonti delle citazioni. E soprattutto non è sempre chiaro dove queste cominciano e dove finiscono; inoltre
la struttura cronologica che ritma il racconto inizia e termina nei luoghi dell’
infanzia.
2). La logica del discorso viene eccessivamente essenzializzata : per esempio
quando si parla della polmonite di Pavese, presa per aver atteso inutilmente sotto la
pioggia e al freddo una ragazza, si fa vedere un gatto nero !
3). Per avvalorare la stretta logica del peso del destino si getta, senza inquadrarla
in un contesto discorsivo, la frase di Pavese già citata : «Ciò che succede una volta,
succede sempre», che aggrava il senso di necessità che accompagna il racconto.
E inoltre :
1). L’uso di tre diverse voci off è indiscriminato. Avevo supposto ad una prima
analisi del film che una logica governasse l’utilizzazione delle voci : una voce per
MV, una voce per le citazioni tratte dai romanzi (dunque per i registri di finzione) ;
158
Beatrice Barbalato
una voce per le lettere. Invece il passaggio da una voce ad un’altra è del tutto accidentale.
2). I tratti simbolici sono elementarizzati : il fuoco, la luna, la campagna, re­
stano le immagini referenziali che vorrebbero assurgere a simboli, queste immagini
sono solo ingrandite, come degli ‘oggetti’ ripresi in primo piano.
3). La voce di alcuni personaggi è assimilata a quella di Pavese, come nel caso
del personaggio di Nuto de La luna e i falò.
Alla fine, al 44’, uno dei narratori dice «En ce roman [N.B. : La luna e i
falò] la boucle est bouclée», chiudendo esplicitamente il cerchio fra la vita e
l’opera.
2.5. Una certa idea dell’Italia
C’è un altro aspetto del film da mettere in luce, e che menziono a latere, e
riguarda la prospettiva di un autore francese, Alain Bergala, che guarda la cultura
italiana col suo mirino, dove grande importanza hanno nel caratterizzarla la musica, il cinema, la cultura popolare. È certamente anche per questo che una parte significativa di musiche di sottofondo sono quelle di Paolo Conte (musicista,
cantautore, anche lui piemontese), e da immagini documentaristiche o filmiche
topiche. Delle canzoni politiche emotivamente forti vengono menzionate. Sui
versi : «Hitler e Mussolini sono stati due assassini...», della canzone «Popolo del
paese», della raccolta Il canto dei mendicanti di Matteo Salvatore si dispiegano le
immagini della Resistenza e della guerra. (27’10’’)39. Diverse sequenze di film celebri sostengono in modo forte il registro visivo : Due soldi di speranza di Goffredo
Alessandrini, per le scene di una giovane donna nei campi a Brancaleone Calabro,
24’33’’; Ossessione di Luchino Visconti nella scena di un uomo con cappello che
si avvia verso un negozio (16’43); Il grido di Michelangelo Antonioni : l’uomo accappottato su un carrello di treno con una bambina in braccio (16’21) ; We living
(Noi vivi) di Goffredo Alessandrini ; Quattro passi tra le nuvole di Alessandro Blasetti
(42’43) ; Paisà per delle immagini tratte dalle sequenze sulla Resistenza nella città
di Firenze (31’18)40. Citazioni di films straordinariamente significativi sulla condizione sociale e le attese degli italiani, durante gli stessi anni, più o meno, in cui è
vissuto Pavese.
*
*
*
Le trasposizioni in video di diari di scrittori si concretizzano secondo modalità
spesso topiche, dove viene enfatizzato il carattere realistico e testimonialmente autobiografico del lavoro letterario dello scrittore. Nel caso di Cesare Pavese, se le tecniche
di reiterazione nella sua opera riportano sempre a zero la nozione di cronologia, il film
di Alain Bergala, invece, costruisce un percorso che fa apparire il suicidio come neces39. ��������������������������������������������������������������������������������������������
I minuti e i secondi che sono stati segnalati in questo saggio, possono variare, seppur di
poco, a seconda degli apparecchi utilizzati.
40. �������������������������������������������������������������������������������������������������
Tutte le fonti sono segnalate nei titoli di coda, non nei sottotitoli durante lo scorrere delle
sequenze. L’identificazione delle citazioni filmiche è dunque a mia cura.
159
Il Dominio di un io diaristico nel film d’Alain Bergala
sario, in un crescendo sull’asse della cronologia. L’intento è di far coincidere teleologicamente l’opera e la biografia dell’autore.
L’opera di Pavese presentata quasi sempre alla prima persona, facilita enormemente questa modalità di trasmissione filmica.
Beatrice Barbalato
Université catholique de Louvain (Louvain-la-Neuve)
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