L`ALLUVIONE DEL 4 SETTEMBRE 1948 Le vittime ei danni

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L`ALLUVIONE DEL 4 SETTEMBRE 1948 Le vittime ei danni
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L’ALLUVIONE DEL 4 SETTEMBRE 1948
Le vittime e i danni. Solidarietà e assistenza.
La situazione socio-economica della città nel dopoguerra.
L’operato dell’amministrazione Comunale.
G. Antonella Gianola
Proverbio polesano: "le acque sta via ani mesi, e po' le torna ai so paesi" (G.A. Cibotto, Cronache
dell'alluvione, Venezia, Marsilio, 1980).
Sul muro esterno dell’attuale sede del comando dei vigili urbani, l’ex mattatoio, vi
è una targa ”ALLUVIONE 48” ed una tacca che indica il livello raggiunto allora
dalle acque; poco più sotto, alcuni giorni dopo il 6 novembre’94,una anonima
mano ha aggiunto, senza alcuna formalità ne ufficialità, la scritta “alluvione 94” ,
a seguito la tacca.
Il legame tra i due eventi calamitosi è, come logico, immediato e forte
nell’immaginario collettivo degli astigiani, non pochi testimoni di entrambe le
catastrofi. Riandare con la ricostruzione della memoria all’alluvione del 48 che, a
ragione del tributo di morti e del collocarsi nel pieno del dopoguerra quando
ancora tutte aperte erano le ferite del conflitto, era stata fino ad oggi - guerre
escluse- l’avvenimento tragico per eccellenza nella nostra città in questo secolo, è
fatto più che giustificato e forse, per un certo verso, “doveroso
Del resto non solo ricordare ma soffermarsi in modo critico sugli avvenimenti
legati alla catastrofe ’48 offre interessanti “specchi” per guardare alle vicende
attuali. Da una parte, ad esempio, le analogie circa le modalità tecniche della
esondazione, le identità o quasi dei luoghi toccati dal disastro (molti nel 48
ancora zona agricola, negli anni successivi – non si sa quanto saggiamente –
edificati) confermano quanto si sa (ma facilmente si dimentica) su questo tipo di
disastri naturali e cioè, ad esempio, elementarmente, che l’alluvione prima o poi
torna sempre “sul luogo del delitto”. Dall’altra parte le differenze nei modi di
affrontare e soprattutto di rapportarsi alla catastrofe descrivono efficacemente i
mutamenti che dal ’48 ad oggi si sono realizzati nel Paese (ad esempio nelle
aspettative che i cittadini hanno rispetto all’intervento pubblico).
Quella che segue è la ricostruzione, fatta attingendo principalmente ai documenti
presso l’Archivio storico del comune di Asti, di alcuni degli accadimenti successivi
all’evento alluvionale del 4 settembre ’48, una fotografia di alcuni degli aspetti
della vicenda (forse quelli che più parlano all’oggi), ma l’alluvione del 48 è anche
un momento del dopoguerra astigiano e da tale contesto occorre, nel rievocarla,
mai separarla.
4 settembre 1948, ore 14
1
Anche quel 4 settembre era un sabato, piovoso in modo eccezionale già dai giorni
precedenti e minacciosa in maniera fosca sin dall’alba,” ….nubi nere e basse
attraverso le quali filtrava faticosamente una luce sinistra e livida”, ricorderà
pochi anni dopo un articolo dedicato all’avvenimento apparso sulla rivista del
comune1; in breve milioni di metri cubi d’acqua vennero a scaricarsi
sull’astigiano, nell’ora fra mezzogiorno e l’una, poco prima che le acque del
Borbore iniziassero a d invadere la città, le precipitazioni raggiunsero i 62
millimetri, contro una media annuale, per il Piemonte, di circa 900.
Furono i torrenti, ancor più che il Tanaro, a dimostrarsi incapaci nel contenere
quella enorme massa d’acqua. Già il giorno precedente, venerdì’, il Triversa
prima, il Borbore poi avevano invaso i campi ed in più tratti le strade attorno ad
Asti, ed in particolare la statale per Torino, risultavano leggermente allagate.
L’immissione sempre più consistenti quantità d’acqua per tutta la giornata
determino in breve la fuori uscita dei corsi d’acqua dal loro amico letto.
Ingrossato anche dalle acque del suo confluente, il Triversa, il Borbore non
trovava più sfogo adeguato nel suo ultimo tratto verso il Tanaro, l’acqua, con il
suo carico di detriti, sterpaglie e materiali vari strappati nella corsa, si costruì
una diga nel punto dove il letto del torrente, si avvicinava allo spalto della linea
ferroviaria Asti–Chivasso da dove, all’incirca alle 14, spiccava il salto, rompeva
definitivamente gli argini e con un onda alta dai tre ai quattro metri travolgeva la
città.
In breve tempo vennero invasi dalle acque tutto il quartiere di San Rocco, il
centro cittadino fino a piazza Alfieri, piazza del Mercato e le vie adiacenti, la
stazione ferroviaria fu completamente sommersa. Più ad ovest l’inondazione
interessava fin giù alla statale per Torino ed anche il Tanaro straripò in più punti
allagando i quartieri Tanaro e San Quirico. Contemporaneamente un treno,
l’accellerato 3180, sulla linea Asti-Chibasso deragliava, per fortuna senza vittime.
Inondazioni anche in provincia dove particolarmente colpite, questa volta
dall’esondazione del Belbo, furono Nizza, Canelli, Castelnuovo Belbo e Incisa,
mentre nel resto del Piemonte risultavano danni nel novarese, nell’albese e
nell’alessandrino(ma risparmiando Alessandria città)
A una settimana di distanza, poi, il 12 settembre, una nuova inondazione, questa
volta di dimensioni decisamente inferiori, tornò ad interessare Asti e, ancor più,
la provincia, mentre numerose frane con in alcuni casi crolli di abitazioni (come a
Scurzolengo dove a cedere furono le abitazioni dei “….più poveri del paese”)si
registravano in numerose zone collinari, a testimonianza della gravità della
situazione del dissesto idro-geologico della zona.
Del resto se piene fluviali ed allagamenti erano relativamente frequenti
nell’astigiano2, quel 1948 si era già mostrato particolarmente segnato nel maggio,
infatti, un’altra alluvione aveva colpito il bacino del Tanaro e ripetuti
straripamenti del fiume nella prima quindicina di maggio avevano inondati tutti i
terreni compresi fra Isola d’Asti e fin oltre Solero ed i sobborghi di Alessandria.
La più grave delle esondazioni, poi, quella fra il 14 ed il 16 maggio colpì
abbastanza seriamente Alessandria; il fiume uscito dagli argini in prossimità di
1
cfr. Nubifragio ed alluvione, in Città di Asti, L’amministrazione del Comune dal 1946 al 1951.Relazione edita a cura
del Comune di Asti,Asti, 1951; per una testimonianza sugli avvenimenti vedi anche Laura Calosso, Laura Nosenzo,
Tanaro, il fiume amico-nemico, pp.193-197, D. Pazza ed 1994.
2
Su quelli che sono stati, nel corso dei secoli i principali episodi alluvionali interessanti Asti e l’astigiano e dei quali si
ha notizia storica cfr. Archivio Storico del Comune di Asti. Le alluvioni ad Asti dal XIV secolo ad oggi, in Palinsesto,
anno 10, n.1.1995.
2
Solero dilagò sulla riva sinistra inondando campi ed abitazioni a Masio,
Quattordio, Felizzano e nelle frazioni di Astuti e San Michele ad Alessandria, un
ponte della linea ferroviaria, già compromesso nella sua stabilità nella guerra e
solo parzialmente riparato, venne abbattuto ed i treni fra Asti ed Alessandria non
circolarono per un lungo periodo.3
Ma in entrambe le provincie fu l’agricoltura ad aver subito danni rilevanti (si parlò
di circa 200 milioni nel dolo astigiano), spingendo le associazioni degli agricoltori
a richiedere agevolazioni ed esoneri dagli ammassi.4 Alle richieste venne data
molto parziale risposta solo nel luglio, con un provvedimento che prevedeva
contributi per l’acquisto di sementi, mentre l’altra questione rimasta aperta dopo
le inondazioni della primavera, quella del rafforzamento degli argini ed in genere
del ripristino delle opere di difesa lungo il corso del Tanaro e dei suoi affluenti,
non pare venne affrontata con efficacia nei mesi che seguirono. Così non è
escluso che danni non riparati dell’alluvione della primavera precedente ed argini
instabili abbiano contribuito più gravosa la situazione in tutto il bacino del
Tanaro alla ripresa delle piogge nell’autunno.
Due inondazioni nell’anno non sembra però avessero suggerito soverchi
interrogativi circa le cause del disastro e i possibili rimedi a catastrofi comunque
ricorrenti: dell’alluvione del settembre tutta la stampa sottolineò il carattere di
eccezionale gravità, indulgendo sulle nefaste conseguenze ed informando, in
particolare nei primissimi giorni, sul bilancio dei danni e sui primi soccorsi, ma di
riflessioni che avessero a riferimento quel che oggi si definisce problematica
ambientale, vi è solo qualche sporadica traccia: qualche accenno alle nefaste
conseguenze dei disboscamenti e delle occupazioni delle zone golenari, venne
pronunciato in alcuni interventi sulla stampa cittadina e regionale5 ma senza
particolare risonanza mentre non mancarono, su uno dei più diffusi quotidiani.
La Stampa (allora la nuova stampa), notazioni che collocavano il problema dei
disboscamenti (ma implicitamente tutto il problema della gestione del territorio)
in un contesto di assoluta marginalità6, privilegiando al più la questione tecnica
degli argini e dei punti di sgorgo. Nessun cenno poi al tema possibile prevedibilità
di simili catastrofi ed alla conseguente necessità di osservazioni e monitoraggi del
territorio.
Quel che si può nel contesto cogliere è la distanza da riflessi ed esperienze che
contemporaneamente si andavano compiendo in Europa e mentre in Francia
dopo le alluvioni nel bacino della Lorena nel dicembre del ’47 veniva disposta
l’istituzione di una Commissione tecnica che studiasse le cause e soprattutto
individuasse i mezzi atti a prevenire per il futuro eventi del genere7, non par di
rilevare analoghe preoccupazioni negli interventi che si susseguirono dopo il
disastro.
3
cfr. La piena del Tanaro decresce ma i danni sono ingenti in La Nuova Stampa ,18.5.1948, n. 109.
Ad essere stati colpiti in modo particolare erano i terreni irrigui di Isola d’Asti, Rocca d’Arazzo, Rocchetta Tanaro,
Costigliole, Castello d’Annone, Costigliole e Felizzano e, in Asti, le zone di Recinto Ponte Tanaro e Borgo Trincere, in
tutto circa 200 ha. Sui danni in agricoltura nella primavera del ’48 cfr. Il Cittadino, 22.5.1948, n. 40, 29.5.1948 n. 42,
5.6.1948 n.44, Il Lavoro, 19.5.1948 n. 19, 2.6.1948 n. 21, 9.6.1948 n 22 e 14.7.1948 n. 27.
5
cfr. ad esempio Occorre imbrigliare il terrente perché non ripeta i suoi misfatti in Il Cittadino,15.9.1948 n. 71 e Igino
Malandrone, Cause, rimedi, e responsabilità delle alluvioni, ibid.13.5.1948 n. 30, che ben sintetizzano il tono del
dibattito sul tema.
6
cfr. La pressione del vento e dell’acqua ha provocato scosse telluriche, in La Nuova Stampa, 9.0.1948 n. 203.
7
cfr. Marcel Ruobault, Le catastrofi naturali sono prevedibili, pp. 16-21, Torino,Einaudi,1973.
4
3
La distanza non pare colmata nemmeno nel dibattito parlamentare che sul tema
“alluvione” si tenne alla Camera il 20 settembre. Solo gli interventi di Torretta
(Pci) e Calosso (Psi) fecero in qualche modo riferimento al tema delle cause
dell’alluvione, puntando innanzitutto il dito sui danni non rimossi dell’alluvione
della primavera e sui disboscamenti con un più generale cenno alla mancanza di
una politica forestale.8
Ma com’è del resto comprensibile, furono soprattutto i problemi del senza tetto e
in generale i danni e gli aiuti alle zone alluvionate, a costituire l’argomento
principale del dibattito, politico e non, mentre i temi più legati a questioni di
tutela del territorio e di prevenzione dei danni ambientali dovranno ancor
attendere molti anni per aver spazio nelle riflessioni ed anche nel comune sentire
del Paese.
I danni
Al momento della conta dei danni, circa un terzo del concentrico cittadino risultò
essere stato invaso dalle acque che raggiunsero e superarono, in più punti, i tre
metri, coprendo fino al primo piano di molte abitazioni.
42 caseggiati distinti, 70 dichiarati inagibili,90 danneggiati seriamente ma
riconosciuti ancora abitabili, 70 che avevano riportato danni lievi, la prima
valutazione del numero dei senza tetto era di oltre 400, in alcune stime
pubblicate sugli organi di stampa i danni ai privati arrivavano ai 5 miliardi.9
Ma il bilancio più doloroso fu quello delle perdite in vite umane. 16
complessivamente i morti in provincia, 14 ad Asti e 2 a Canelli, alcuni
appartenevano allo stesso nucleo famigliare come gli Zollo e le sorelle Radellino,
famiglia questa perseguitata da un crudele destino legato all’acqua con altri due
morti in tragiche circostanze, un bimbo annegato in un pozzo, un fratello militare
in marina dichiarato disperso durante la guerra.10
Funerali a spese del comune per le vittime dell’alluvione, solenti funerali in
Cattedrale officiati dal vescovo per otto di loro (per gli altri rito funebre nei
comuni d’origine), le esequie si poterono celebrare solo il giorno 9 in ragione delle
condizioni disastrate del cimitero, lapidi divelle, larghi tratti del muro di città
andati distrutti, il segno della distruzione causata dall’onda di piena anche qui,
quasi simbolo della totalità della ferita inferta.
Dopo, sepolte le vittime, l’attenzione tornò a concentrarsi sulle conseguenze
materiali del disastro ed iniziarono le stime. In dettagliate relazioni, fin dai primi
giorni successivi all’alluvione, l’ufficio del Centro Civile individuò e quantificò i
danni arrecati alle opere idrauliche, segnalando nel contempo le opere resesi
8
Resoconto del dibattito parlamentare il La Nuova Stampa, 21.9.1948 n. 214.
cfr. La Nuova Stampa, Vittime e miliardi di danni, 5.9.1948 n. 201 e Miliardi di danni, 7.9.1948 n. 202; Il Cittadino,
11.9.1948 n. 70,25.9.1948 n. 74, Il Lavoro, 8.9.1948 n. 33. Per le stime ufficiali dei danni cfr. ASCo, - Archivio Storico
del Comune di Asti-B/22, Atti del Comitato cittadino di soccorso – Verbali delle riunioni, verbale del 11.9.1948 e
B/22,Rapporto dell’amministrazione civica e conseguenti provvidenze; ed inoltre AISRAt – Archivio del’Istituto per la
storia della Resistenza e della società contemporanea della provincia di Asti -, F.Pci, Corrispondenza, 1948 – Alluvione,
che conserva una completa raccolta delle relazioni del Genio Civile di Asti.
10
Le vittime, ad Asti, furono: Badellino Aurelia, casalinga; Badellino Carla, casalinga; Bevilacqua Daniela, modista;
Cavalliotto Giuseppina, operaia; Cianciulli Luigi, calzolaio; Daneo Elena in zolla, casalinga; De Silvestri Umberto,
lattoniere; Fasano Francesco, cantoniere FF.SS.; Gallo Giovanni, zoccolaio; Ghi Margherita, casalinga; Montrucchio
Eugenio, contadino; Orecchia Giovambattista, pensionato; Zolla Eugenio, rappresentante; Zolla Margherita, casalinga
(da un manifesto funebre fatto affiggere dalla Amministrazione comunale ed ora in ASCo,B/21). Ad esse vanno
aggiunti cinque vigili del fuoco di Genova periti in un incidente stradale mentre stavano raggiungendo Asti per i primi
soccorsi.
9
4
necessarie per il consolidamento delle opere in provincia. Complessivamente la
stima era di 155.000.000 di nuove opere …indispensabili per evitare nuovi danni
anche nell’eventualità di piene a carattere non eccezionale e di 173.000.000 di
riparazioni per lavori da effettuarsi lungo il corso del Tanaro e di 65.000.000 per
il corso del torrente Borbore11, tradotto in cifre attuali l’importo si aggira attorno
ai 9 miliardi.12 Ad essi erano da aggiungersi i lavori occorrenti per il ripristino
delle strade e per la riparazione delle altre opere pubbliche danneggiate,
acquedotto a rete fognaria in primo luogo.
Un capitolo tutto a se era quello dell’agricoltura e se già nelle inondazioni della
primavera, come si è visto, si erano avute consistenti perdite per i raccolti, a
settembre il tributo imposto al settore fu nettamente superiore sia in termini di
superficie interessata dagli eventi alluvionali (almeno il doppio) che di importo dei
danni.13 A differenza che in primavera, ad essere colpito in modo particolarmente
significativo era un ambito della produzione agricola che si era venuto
sviluppando in modo consistente e con tecniche anche intensive a partire dagli
anni trenta e che con le sue alte rese costituiva uno degli aspetti di punta della
economia agricola dell’astigiano, quello orticolo.14
Una prima sommaria valutazione dei danni indicava in 90.000.000 quelli per le
culture ortive ed i vivai (soprattutto vivai di viti innestate), danneggiati circa 600
ettari ed un danno stimato medio di 150.000 lire per ettaro, ed in 45.000.000 per
le coltivazioni agrarie normali (soprattutto foraggiere, secondi raccolti,
granturco),con circa 1.500 ettari colpite ed un danno medio di 30.000 per ettaro.
Alle perdite ai raccolti erano da aggiungersi quelle, consistenti soprattutto per i
terreni lungo il corso del Borbore, che derivavano dallo svolgimento della piena
all’assetto dei suoli ed i danni alle attrezzature per le coltivazioni specializzate.
La particolare consistenza dei danni a raccolto e attrezzature subiti dal settore
orticolo, coniugata al rilievo che nella economia astigiana quel settore rivestiva,
spiegano l’attenzione che agli orticoltori alluvionata venne data dalle istituzioni (la
categoria degli orticoltori fu, ad esempio) la prima ad essere esonerata, in tutto o
in parte, dal pagamento dei tributi comunali).
In Asti gli orticoltori colpiti dall’alluvione furono 13615, la metà quasi in recinto
San Rocco e nelle zone che direttamente ed immediatamente ebbero a subire
l’irruenza del Borbore, gli altri in zona Tanaro, a san Quirico, a Valterza, in
recinto Catena e in recinto Sardegna (questi ultimi ebbero successivamente a
lamentarsi di una tardiva e scarsa attenzione)16
11
cfr. AISRAt. F. Pci, Corrispondenza, 1948 – Alluvione.
La conversione in valore attuale delle cifre è stata fatta utilizzandola tabella Istat riportante i coefficienti di
aggiornamento del potere di acquisto della lira, valori 1994 (cfr. Il Sole – 24 Ore, 16.1.1995). Poiché non mitigato da
raffronti anche su altri valori, il procedimento offre indubbiamente risultati non del tutto soddisfacenti ai fini della storia
sociale: il raffronto è stato fatto quindi solo a fini indicativi. Comunque, per chi voglia esercitarsi, il coefficiente per
moltiplicare valori espressi in lire 1948 traducendoli in lire 1994 è 23,4498.
12
13
cfr. relazioni ed appunti dei deputati locali in AISRAt, F Pci, Corrispondenza, 1948 – Alluvione.
Ibid.
15
L’elenco degli orticoltori astigiani danneggiati in ASCo, B/21,Facilitazioni ed esenzioni fiscali. I dati del censimento
degli orticoltori alluvionati ci offrono anche, indirettamente, un’immagine della Asti dell’immediato dopoguerra: ad
esempio non sono pochi (16, cioè il 10% circa) gli orti di una certa consistenza (l’elenco, inviato al Comitato Cittadino
di Soccorso, è redatto dalla associazione degli orticoltori) segno ovvio di quali allora erano i confini con il contado, ma
forse anche indizio della persistenza di una economia di guerra che aveva sollecitato lo sfruttamento a scopi alimentari
di ogni spazio coltivabile.
16
Di tale tono una lettera-petizione firmata da un gruppo di abitanti della zona e datata 30.11.1948, (cfr. ASCo, B/22,
Piano di massima per il risanamento della zona urbana sinistrata dall’alluvione 4.9.1948).
14
5
Tutti, attraverso la Società Orticola o la Confederterra, chiedevano, prima che
esenzioni fiscali e contributi, di poter contare su manodopera e mezzi per operare
la bonifica sei terreni. Per ripulire dalla spessa coltre di melma i terreni le braccia
ed i badili apparvero infatti subito insufficienti, ma la realtà era quella di una
difficile se non impossibile, e non solo per i lavori necessari in agricoltura ma
anche per lo sgombero del fango e ai detriti in genere, di mezzi meccanici; la
mancanza di automezzi in particolare fu ragione anche di dure polemiche nei
giorni immediatamente successivi l’alluvione17 e, per tornare ai problemi
strettamente legati all’agricoltura, il Comune, su istanza della Confederterra,
arrivò a rivolgere alla Fiat, attraverso la Camera del Lavoro di Torino, la richiesta
di avere in prestito, per i lavori negli orti, due trattori a cingolo18. La Fiat
effettivamente intervenne negli aiuti inviando, per alcuni giorni, squadre di operai
specializzati, ma ai trattori a cingolo non si fece più alcun cenno e la difficile
prosecuzione delle attività di ripulitura e bonifica dei terreni sollecitò, alla fine del
mese di settembre, l’alluvione da parte del Comune di una delibera che stabiliva
di inviare agli ortolani “mezzi e uomini” per i lavori.19
E con nessun altro mezzo che le braccia avveniva pure la pulitura delle strade dal
fango, una pulitura che precedeva necessariamente a rilento se, ancora a
novembre, molte zone del centro storico erano ingombre dei detriti dell’alluvione.
Di fronte a queste dimensioni delle conseguenze del disastro il governo stanziò un
primo lotto di aiuti, per le opere di pronto soccorso, di 300 milioni per tutte le
zone alluvionate; ad Asti ne erano destinati circa 114, la cui erogazione conobbe,
però non poche difficoltà. Questi primi interventi facevano riferimento al Decreto
legislativo 1010 del 12 aprile ’48, che consentiva spese a carico del Ministero dei
Lavori pubblici per provvedere ai lavori “ …di carattere urgente ed inderogabile…
determinate da eventi calamitosi con tutte le limitazioni che, vedremo, tale
formulazione imponeva, solo nell’anno successivo una legge speciale, la 506 del
29 luglio ’49, finalmente diede corpo all’impegno di spesa assunto all’indomani
del disastro e consentì lo stanziamento, ma di soli 350 milioni, per riparazioni e
ricostruzioni di opere danneggiate nelle alluvioni del 1948".20
Il comitato cittadino di soccorso
Alle 17 di lunedì 6 settembre, in Municipio, si riunì per la prima volta il Comitato
cittadino di soccorso. Alla riunione oltre al sindaco, che l’aveva convocata, vi
erano rappresentanti di tutti i partiti politici e molti dei principali enti cittadini,
dalla Camera del Lavoro all’Unione commercianti a esponenti del mondo
dell’artigianato, assieme a membri della Camera di Commercio della Croce Rossa,
della Cassa di Risparmio, al Prefetto ed ai parlamentari eletti nel collegio di Asti,
17
A protestare sulla scarsezza dei mezzi di soccorso era, ad esempio, il segretario della federazione del Pci di Asti,
Oreste Villa, in Per i danneggiati dai nubifragi ci vogliono dei fatti, in Il lavoro, 15.9.1948, n. 34.
18
ASCo,B/21,Facilitazioni ed esenzioni fiscali.
19
Ibid., delibera 73 del 24.9.1948.
20
Mentre il DLg 1010 limitava l’intervento alle sole opere urgenti, cui erano appunto destinati i primi stanziamenti, la
legge 506 doveva nelle intenzioni soccorrere nell’azione di ricostruzione ed in particolare coprire, ma solo in parte, le
spese per riparazioni di strade, opere idrauliche, acquedotti e “nella misura del terzo delle spese per riparazioni o
ricostruzioni di chiese parrocchiali …edifici di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza … scuole e case
comunali”. Ai finanziamenti riconosciuti dalla 506 il Comune di Asti fece ricorso, ad esempio per la riparazione
dell’acquedotto.
6
una composizione che rispondeva alla dichiarata volontà di coinvolgere nell’azione
di soccorso tutta la società civile astigiana.
Era però soprattutto ai partiti, un po’ ciellenisticamente presenti nel comitato in
modo paritario, più che agli eletti negli organi di rappresentanza che veniva
attribuita la capacità/funzione di tale rappresentanza e a tal riguardo non
mancarono, da parte della minoranza, critiche e perplessità circa le scelte operate
dal sindaco, espresse nel primo consiglio comunale successivo alla nascita del
comitato, quella dell’11 settembre; particolarmente vivace nelle osservazioni fu il
consigliere democristiano Pugliese che oltre a lamentarsi della non presenza degli
eletti aggiungeva osservazioni (poi riprese da alcuni organi di stampa locali) circa
il mancato coinvolgimento diretto delle”…persone più facoltose della città… “ che
avrebbero forse potuto dare, in virtù di tale coinvolgimento, un contributo
finanziario più cospicuo.21 Le critiche non ebbero comunque particolare esito e
non determinarono modifiche alla composizione, peraltro nei fatti assolutamente
non rigida, dell’organismo.
Il comitato avrebbe lavorato, con varia intensità, per
più di un anno,
occupandosi, nel corso della sua attività, di tutti gli aspetti del soccorso e
dell’immediata ricostruzione e costituendo inoltre punto di riferimento per gli altri
comuni disastrati della provincia.
Presidente era il sindaco di Asti, l’avvocato Felice Platone, un comunista, che
dopo essere stato il sindaco designato dal Cln, era stato eletto nel ’46, capolista e
con un decreto successo personale in termini di preferenze (quasi il 40% degli
elettori comunisti lo aveva votato, con un netto distacco su tutti gli altri eletti
nella lista che avevano avuto, al contrario, un numero di preferenze assai
ridotto)22 in una tornata elettorale che aveva segnato un nettissimo successo delle
formazioni di sinistra. Oltre al primato comunista, Asti nel ’48 aveva tributato un
buon successo anche ai socialisti che si erano attestati a pochissima distanza
dalla Dc, ma questo risultato che aveva determinato la costituzione di una giunta,
come si diceva allora, socialcomunista, si era già subito modificato con le elezioni
all’assemblea costituente, nel giugno di quello stesso anno, quando, con un
aumento dei votanti che si era quasi automaticamente tradotto in aumento dei
voti alla Democrazia Cristiana, quest’ultima aveva superato il Pci. Nelle politiche
dell’aprile del ’48, poi,dopo una campagna elettorale anche qui caratterizzata da
aspre contrapposizioni ideologiche, ma che aveva, curiosamente, lasciato fuori
l’amministrazione del comune tanto da parte dei sostenitori del fronte che da
parte degli avversari, il risultato, in linea con gli esiti nazionali, era stato
decisamente sfavorevole al Fronte ed ora Platone e la sua giunta si trovavano ad
amministrare una città che esprimeva, per quanto riguarda il governo nazionale,
sentimenti politici del tutto opposti.
Questo fatto ebbe in parte anche a segnare la gestione dell’emergenza, con
qualche, ma non eccessiva, polemica sulla stampa cittadina avversa e soprattutto
con difficoltà, che ebbero a registrarsi nei mesi successivi al disastro, a trovare, in
21
Consiglio comunale del 11.9.1948, verbale sommario della riunione il ASCo, B/22, Atti del comitato cittadino di
soccorso. In generale le polemiche e le critiche alla gestione degli interventi post-alluvione fatta dall’amministrazione
comunale avevano connotati di tipo ideologico, a cominciare appunto da quella sul mancato coinvolgimento dei ceti più
abbienti, e quasi mai prendevano a bersaglio una concreta scelta amministrativa.
22
Per i dati elettorali mi sono avvalsa principalmente delle fonti di stampa ed in particolare Il Lavoro, 27.3.1948 n. 13;
2.4.46 n. 14; 8.6.1946 n. 24; 24.6.1948, n. 15. Inoltre per una completa analisi dei risultati delle consultazioni elettorali
in Asti e provincia cfr. Mario Renosio, Storia del Pci in provincia di Asti, tesi di laurea. Università degli Studi di
Torino, Facoltà di lettere e Filosofia, corso di laurea in Filosofia, a.a. 1986-87.
7
sede governativa, “canali privilegiati” per accedere a sussidi e finanziamenti per le
opere pubbliche. Nel complesso, però, l’attività del Comune risentì poco del
modificato clima politico, scontando “solo” (ma tanto bastò per rendere la
ricostruzione lenta e precaria la generale situazione di difficoltà economica del
dopoguerra.
Quello del comitato era “…semplicemente un compito di coordinamento della
pubblica assistenza a favore delle famiglie sinistrate e povere e non di indennizzo
delle proprietà danneggiate”, così si esprimeva il Sindaco-Presidente in una
lettera alla locale Intendenza di Finanza con la quale si restituiva una richiesta di
risarcimento danni che quell’Ufficio aveva ritenuto di inoltrare “per competenza”
al Comitato e quest’ottica, tutta interna al concetto di “aiuto ai bisognosi”, era
generalmente condivisa da tutti i componenti il comitato, al di là delle differenti
impostazioni date al problema. Il concetto delle riparazioni delle perdite e del
sussidio per far fronte alle mutate condizioni determinate dalla calamità, che
anima le richieste di aiuti e finanziamenti oggi (legittimamente) avanzato dopo
ogni disastro naturale, è figlio di una idea (al di là di tutte le distorsioni che di
essa abbiamo conosciuto) di solidarietà sociale che ancora nel dopoguerra era
estranea, nel concreto agire, a tutte le forze politiche: la questione era ancora
quella dei “poveri” o dei “lavoratori bisognosi” (a seconda della diversa
impostazione ideale con la quale le varie forze politiche si rapportavano al
problema) da assistere, non quella dei cittadini da indennizzare23. In quest’ottica
si mosse appunto il Comitato24, preoccupato in ogni caso di dare assistenza alle
famiglie maggiormente bisognose, alle quali del resto venivano distribuiti non
certo sussidi di natura pubblica (se si accettuano, nei primi giorni dopo il
disastro, aiuti in natura tratti dai fondi dell’ECA e della “post bellica”) ma il
ricavato di sottoscrizioni che coinvolsero, in una lodevole gara di solidarietà,
cittadini ed associazioni non solo astigiane.
Dopo un acceso dibattito all’interno del comitato circa i criteri da utilizzare per
elargire e quantificare gli aiuti e ancor più sul modo (poiché l’esigenza era
riconosciuta da tutti) di evitare possibili duplicazioni dei sussidi, alla riunione del
27 settembre venne infine accolta la proposta del Sindaco e deciso di dare un
primo contributo uguale per tutti alle famiglie che ne avevano fatto richiesta. La
somma venne fissata in 10.000 lire, cifra di poco inferiore al salario mensile di un
operaio (maschio) non specializzato, una cifra con la quale, come testimoniano
alcune lettere di sinistrati inviate al Comitato, era forse possibile fare le
primissime opere di intervento (gli infissi, l’impianto elettrico) sugli immobili
danneggiati o sostituire un letto o una credenza andati distrutti ma non molto di
più.25 Ad essa vanno aggiunti gli aiuti in natura, la distribuzione di vestiario, di
mobili e di suppellettili, nonché, per un certo periodo dopo il disastro, il sostegno
attraverso le mense che fornivano pasti ai sinistrati, attività questa che durò fino
23
cfr. ASCo, B/21, Contributi, Elargizioni, offerte, Corrispondenza, lettere del 7.10.1948 del Sindaco di Asti, nella sua
veste di Presidente del Comitato, all’Intendente di Finanza.
24
Che del resto questa fosse l’ottica nella quale abitualmente ci si muoveva lo dimostra ad esempio una lettera del
Sindaco di Casale Monferrato, città in prima fila negli aiuti ad Asti, che si dichiarava particolarmente sensibile”…
all’arduo problema dell’assistenza alle innumeri famiglie di poveri lavoratori.” (cfr. ASCo, B/21, Contributi … lettera
del 23.11.1948).
25
“… Le diecimila lire ricevute mi sono bastate per far rimettere i vetri e le serramenta in ordine e per far rifare il
pagliericcio del sofà che mi serve per letto…” scrive il 4.12.1948 A.E., mentre B.G. parla di un impianto elettrico
costato 3000 lire (cfr. ASCo,B/22,Richieste sussidi).
8
a dicembre, assistendo da principio 630 persone, (diventavano 400 in ottobre, un
centinaio a novembre e 45 a dicembre) e che coinvolse nelle prime settimane in
modo massiccio le strutture messe a disposizione dal vescovato.26
Complessivamente furono 850 le famiglie cui il Comitato diede un contributo,
quello standard di 10.000 lire nella maggioranza dei casi, ma anche, in un
secondo tempo, contributi inferiori (quello minimo fu di 2.000 lire) o superiori
(fino a 60.000) e secondi contributi, in ragione della gravità del danno subito. Fra
i beneficiati, anche, l’asilo del quartiere Tanaro e l’asilo Anfossi, due istituzioni
religiose, e l’Opera Pia Telline.
Le prime delibere, però, e cioè quella del 27 settembre e quella, immediatamente
successiva (o più numerosa, 235 famiglie)del 1 ottobre, escludendo un numero
abbastanza rilevante di richiedenti (un appunto sull’attività dei carabinieri, che in
quella prima fase offrirono la loro collaborazione al Comitato, parla di circa 600
famiglie accertate ai primi di ottobre ’48), sembrano essere state vincolate ad
esigenze di bilancio: ai 3.260.000 lire che erano stati erogati in sovvenzioni,
corrispondo fra le attività, 623.467 lire di contributi di privati già materialmente
versati al Comitato e 2.000.000 stanziati dal Comune di Asti quale proprio
contributo.27 Solo successivamente, quando gli aiuti dei privati e di altre
Amministrazioni comunali si rilevarono non inconsistenti, ripresero le
deliberazioni delle sovvenzioni. Il 25 novembre 182 famiglie e poi 152 il 22
dicembre, a non tutte il contributo di 10.000 lire, ma a 27 solo di 5.000, così
come di sole 5.000 lire era il contributo stabilito per tre famiglie con
provvedimenti del 24 dicembre. Nel 1949 continuano le elargizioni e cominciano,
per alcuni casi gravi, i secondi contributi, gli ultimi furono assegnati nel giugno
1949.
Le istanze di sussidio che venivano presentate in municipio vennero tutte sia pur
rapidamente vagliate, con istruttore che prevedevano anche sopralluoghi, per
“verificare le condizioni economiche di ciascuna famiglia colpita”28.
La scrittura della “scheda informativa” per rilevare i dati delle famiglie alluvionate
offre interessanti indicazioni sulla mentalità che sorreggeva l’approccio ai
sinistrati da parte del Comitato. Dopo le rituali indicazioni circa la composizione
del nucleo familiare e la professione del capo famiglia e dei componenti, si
passava alla stima della necessità di soccorso che la famiglia considerata
esprimeva, la valutazione avveniva attraverso la qualificazione (sommaria) del
danno all’abitazione, l’indagine circa l’avvenuto recupero o meno dei mobili e delle
suppellettili e poi della biancheria, delle stoviglie e degli strumenti, ed infine
attraverso la quantificazione delle condizioni economiche della famiglia, che era
fatta secondo una equitativa scala di valori variante dal misero al buono, con raro
riferimento però, quantomeno per quel che à dato di rilevare dalle schede ancora
conservate presso l’Archivio Storico del Comune di Asti, a dati oggettivi; a
corollario poi l’indicazione se avesse avuto o meno la famiglia richiedente “parenti
in linea ascendente diretta abbienti”29.
Si à già accennato allo scarso numero di schede informative che sono conservate
e perciò ogni più approfondita riflessione a proposito dei criteri che sopportarono
26
Sulla distribuzione gratuità di generi alimentari e di vestiario cfr. ASCo,B/22, Atti del Comitato Cittadino di Soccorso
e ASCo, B/21, Materiale Vario.
27
Il contributo del comune deciso nella seduta del Consiglio comunale del 11.9.1948,(cfr. ASCo, B/22, Atti del
Comitato Cittadino di Soccorso, Verbale della seduta del Consiglio Comunale).
28
Così in una nota interna del Comitato, cfr.:ASCo,B/22, Atti del Comitato Cittadino di Soccorso.
29
Le schede informative conservate in ASCo, B/22, Alluvione 1948 – Varie.
9
decisioni circa la concessione o meno ed in quale misura dei sussidi da parte del
Comitato e interdetta dalla oggettiva assenza di una base quantitativamente
congenua a tale indagine; dalle poche schede conservate, però, à senz’altro facile
evincere come fosse soprattutto agli elementi attinenti le condizioni economiche
dei danneggiati che veniva dato poco peso rilevante nella decisione,
accompagnata da una certa propensione a ritenere più bisognose le famiglie di
lavoratori dipendenti piuttosto che quelle degli autonomi, eccezioni fatta che per
gli ortolani, forse nell’ovvia considerazione che nell’alluvione avevano non solo
avuta danneggiata l’abitazione ma anche compromessa la loro fonte di reddito.30
Pur non possedendo tutti i dati relativi agli assistiti, dagli elenchi conservati e
contenenti informazioni complessive sulle famiglie sovvenzionate si ricavano
informazioni che, con le ovvie cautele, à possibile ribaltare sull’intero;
preponderati erano i nuclei famigliari i cui capifamiglia si dichiarava operaio,
seguivano gli astigiani, i pensionati (un certo numero di ex-ferrovieri), i
disoccupati, ambulanti e impiegati in numero all’incirca uguale. Ultimo capitolo
dell’attività del comitato di soccorso le sovvenzioni alle imprese che furono invece
deliberate a parte; la Camera di commercio mise subito a disposizione del
Comitato 500.000 lire31 da devolvere a favore di artigiani e piccoli commercianti e
la distribuzione avvenne attraverso le associazioni di categoria. Anche per loro,
comunque, il criterio della scelta fu la valutazione, oltre che del danno subito,
anche della condizione di bisogno.
“…Ora senza soldi e senza mezzi e con l’inverno alle porte, domando a voi
come potrò cavarmela”32 – i sinistrati
Le famiglie che si rivolsero al Comitato per ottenere un aiuto ed un indennizzo
erano tutte le famiglie che, già provate dalla guerra, avevano con l’alluvione perso
o avuto gravemente danneggiati quei pochi beni che consentivano loro
un’esistenza solo che dignitosa. Le numerose istanze conservate ci offrono
l’immagine di un universo dove il possesso o meno di due lenzuola, quattro federe
ed una coperta (o ”catalogna”, come veniva più spesso definita) era il labile
discrimine fra la normalità e l’indigenza: più che ogni dato statistico sulla
condizione della popolazione dopo il conflitto, possono perciò questi documenti,
utili non solo e non solo tanto per ricostruire un avvenimento ma per riandare
alla materialità di un periodo storico.
In genere il Comitato, oppure al Sindaco o ancora, ma in numero inferiore, al
Prefetto, venivano indirizzate brevi istanze con l’indicazione (non di rado erano
vere e proprie elencazioni) dei beni perduti nell’alluvione; le richieste dei privati
quasi sempre erano state certamente redatte direttamente dall’interessato: scritte
a mano, su fogli di fortuna (pagine staccate di quaderno o altro) solo in rari casi
impiegavano
il
metalinguaggio
tipico
delle
richieste
alla
pubblica
amministrazione; se invece l’istanza non era del, la figura di intermediario più
30
Significativo di questo atteggiamento è la vicenda di una piccola commerciante del quartiere San Rocco, V.B., che,
pur avendo subito gravi danni e pur versando in non buone condizioni economiche, vide solo in un secondo tempo
riconosciuto il suo diritto ad avere un contributo: scriveva il sindaco al Prefetto ”La B., proprietaria di un chiosco di
legno e di un magazzino, ha perduto tutto nell’alluvione del 4 settembre, senonché, trattandosi di commerciante, venne
in un primo momento esclusa dalla assistenza del Comitato.”(cfr. ASCo,B/21, Contributi …lettera del Sindaco di Asti
al Prefetto del 30.11.’48).
31
cfr. ASCo,B/21,Contributi… delibera della giunta Camerale del 12.9.1948.
32
ASCo,B/21, Richieste sussidi, lettera di B.G. del 16.12.’48.
10
frequente era quella del parroco, ma pure non dovettero mancare, in base ad
accordi presi con il Comitato di soccorso, segnalazioni dei comitati spontanei degli
alluvionati che si erano costituiti subito dopo l’alluvione. La forma quasi sempre
non burocratica e la diretta stesura da parte del richiedente, lasciano supporre
l’esistenza di un rapporto di fiducia ed immaginato come diretto nei confronti
dell’autorità cui ci si rivolgerà, non stupisce quindi che assieme alle semplici
istanze siano pervenute al comitato anche lettere nelle quali i sinistrati
descrivevano le loro condizioni e, talvolta, le loro aspettative.
Differenti erano le richieste di contributi rivolte da astigiani e commercianti, per i
quali l’intercessione della associazione di categoria o di altro agente professionale
era quasi la regola, scritte molte volte a macchina, in forma corretta da rituale,
lasciano intendere come l’approccio con l’amministrazione ma anche con il
concetto di rimborso danni fosse già altra cosa per questa categoria.
Le prime richieste di aiuto arrivarono immediatamente dopo il disastro
continuando a pervenire fino alla metà di ottobre quando segnarono una
interruzione per riprendere ad arrivare poi verso la metà
dicembre,
accompagnata da qualche piccola, larvata polemica sulle inclusioni ed esclusioni
dalla lista degli assistiti33, verso dicembre, le ultime istanze erano della prima
metà del gennaio ’49.
In circa le metà delle istanze i richiedenti si limitavano ad elencare le perdite
subite o avanzavano generiche richieste di aiuto, ma nelle altre, quelle più
circostanziate, i sinistrati richiedevano, in una quasi equa ripartizione, mobili (il
letto, il tavolo o un armadio) oppure biancheria, vi era poi qualche richiesta di
stufe o di legna per l’inverno per asciugare i muri, mentre in una addirittura era
quella di ottenere aiuti per le riparazioni (non si sa se esaudita).
Negli elenchi di quanto smarrito o reso inservibile dall’alluvione, si può leggere
una precisa contabilità di corredi dalle ridotte dimensioni, descritti talora con una
minuzia che arrivava a segnalare il singolo capo di biancheria personale perduto,
oppure la illustrazione di interni di abitazioni che solo raramente si
permettevano, oltre ai mobili indispensabili, un sofà (magari letto per un membro
della famiglia) o una credenza. Non stupisce quindi, visto il tenore di vita che si
deduce da queste descrizioni, che fra la popolazione l’alluvione venisse vissuta
come una sopravvenienza che si aggiungeva aggravando condizioni già comunque
precarie, ma allo stesso modo non stupisce che, al di là dell’emergenza, la
questione alluvionati ben presto venisse a perdersi all’interno di un più generale
problema di assistenza e sostegno alle fasce deboli: in realtà ancor più che le
conseguenze della calamità naturale era il problema della disoccupazione a
destare preoccupazione.34 Il sopraggiungere dell’inverno poi, contribuendo ad
aumentare il numero dei senza lavoro per il venir meno delle attività stagionali
che rappresentavano comunque un calmiere alla mancanza di occupazione,
rendeva ancor più insostenibili le condizioni di vita dei meno abbienti. Le attività
33
Ad esempio un segnale delle (inevitabili), polemiche era una lettera scritta alla Federazione Pci da un gruppo di
operai della Way- Assauto che lamentano mancate provvidenze a favore di loro colleghi colpiti dalla calamità (cfr.
AISRAt, F. Pci, Corrispondenza 1948),mentre il giornale della curia La Gazzetta d’Asti ospita lamentele nei confronti
di quelli che definisce “profittatori” (cfr. Le lamentele degli alluvionati e l’opera del Comitato Cittadino di Soccorso in
La Gazzetta d’Asti, n. 44 del 12.11.1948).
34
Significative le ricerche avanzate dalla Camera del Lavoro, tutte rivolte a frenare la disoccupazione, da quella di
estendere il sussidio di disoccupazione, a quella di varare iniziative di lavori pubblici (cfr. L’inverno è vicino,
mobilitiamoci, in Il Lavoro, n. 40 del 8.11.1948).
11
sociali dell’amministrazione comunale da un lato, le iniziative benefiche dall’altro,
guardavano in primo luogo a queste emergenze.
A sforzarsi per tener desta l’attenzione sui colpiti dall’alluvione i Comitati
spontanei di sinistrati che si erano costituiti nei due quartieri maggiormente
colpiti, Tanaro e San Rocco. Gli organizzatori di questi comitati erano personalità
legate ai partiti della sinistra e soprattutto al Partito comunista (ma non va
dimenticato che la sinistra aveva nei due quartieri ed in particolare modo a
Tanaro, la propria più consistente base elettorale, qui non scalfita nemmeno nelle
elezioni dell’aprile) con la conseguenza che la loro nascita non risultò
particolarmente gradita ai rappresentanti della opposizione in Consiglio
comunale, che nelle prime riunioni del Comitato di soccorso avevano avuto modo
di esprimere la loro diffidenza verso ogni altra istituzione che non fosse quella
ufficiale. Particolarmente vivace l’opposizione del democristiano Pugliese che già
nella riunione del 7 settembre si dichiarava oltremodo preoccupato”…evitare che
sorgano altri comitati direttamente gestiti dai sinistrati, per evitare
duplicazioni”35, ovviamente più morbida e possibilista la posizione dei comunisti,
che appoggiavano le richieste dei comitati degli alluvionati e vedevano e
presentavano il loro sorgere e moltiplicarsi come un fatto inevitabile ed in un
certo senso positivo.36
Ma soprattutto la preoccupazione della minoranza era evitare che l’alluvione
diventasse un occasione di eccessivo protagonismo della giunta e del Sindaco,
mettendo contemporaneamente in ombra le altre formazioni politiche. Del tutto
coerente con queste preoccupazioni furono quindi da un lato le proposte circa lo
scarso coinvolgimento nella attività dei componenti del Comitato, a tutto
“vantaggio” di Platone e della sua parte politica37 e dall’altro, per controbilanciare
quella che era ritenuta una eccessiva presenza fra gli alluvionati di esponenti di
partiti di sinistra, le richieste al Comitato cittadino perché riconoscesse e
sostenesse economicamente l’attività delle istituzioni ecclesiastiche.38 Il ruolo dei
Comitati spontanei, così osteggiati da una parte del mondo politico astigiano, si
risolse sostanzialmente in una sorta di intermediazioni fra alluvionati ed
istituzione comunale, facilitata forse dall’assonanza politica fra i due soggetti, e le
principali richieste avanzate, dalla sospensione del pagamento delle imposte
comunali per le famiglie maggiormente colpite alla partecipazione al vaglio delle
richieste di sussidio e controllo sulla loro erogazione, vennero accolte senza che
nel merito si registrassero eccessive contrapposizioni.
La questione più spinosa da affrontare era quella degli alloggi: case vecchie e mal
ridotte non avevano sopportato l’irruenza delle acque, non pochi quindi erano gli
immobili totalmente da abbattere e gravemente lesionati. Erano 142 le famiglie
che dopo il disastro avevano chiesto alle autorità una diversa sistemazione
abitativa, la gran maggioranza nel quartiere di San Rocco, già segnato da una
situazione di degrado e fatiscenza riconosciuta pressoché unanimemente39 e di
35
cfr. ASCo, B/22, Riunioni del Comitato.
Circa la posizione del Pci rispetto ai Comitati degli alluvionati cfr. Provveda il governo ai bisogni sempre più urgenti
degli alluvionati in Il Lavoro, 15.9.1948, nonché gli interventi del segretario della federazione Pci, Oreste Villa, nel
Comitato Cittadino di Soccorso (ASCo,B/22, Riunioni del Comitato).
37
Le proteste in tal senso particolarmente vivaci alla riunione del 22.9 (cfr. ASCo,B/22, Riunione del Comitato).
38
Alla riunione del 13.9.1948, ad esempio, era proposito da Stella di “venire incontro” alle spese sostenute dal
Seminario per ospitare gli spalatori. Pronta l’opposizione di Villa che faceva rilevare come del tutto identico fosse lo
sforzo ad esempio del Pci o dell’Anpi: la conclusione del dibattito fu quella di dare un contributo solamente ai soldati.
39
Sulla indispensabilità di un intervento di risanamento in Borgo San Rocco erano tutti concordi, piani di interventi
erano già stati formulati nel periodo dello sviluppo edilizio urbano degli anni trenta con progetti di edificazione dello
36
12
fronte a questa emergenza sia i Comitati spontanei che alcuni componenti del
Comitato cittadino di soccorso prospettarono la possibilità di giungere a
requisizioni di vani in abitazione non lesionate. L’ipotesi, avanzata a più riprese e
poi formalmente discussa nella riunione del Comitato cittadino del 13 settembre40
divise i partecipanti; a favorire la soluzione di compromesso che venne adottata e
che rimetteva il problema a dopo l’esecuzione di un attento censimento dei
bisogni e all’aver esperito ogni altro tentativo di soluzione, fu soprattutto la
tiepidezza del Prefetto verso ogni ipotesi di requisizione.
In realtà il problema si risolse in tempo relativamente breve e se un certo numero
di senza tetto poté contare su sistemazioni presso parenti per poi far ritorno alle
case più o meno riattate, gli altri, non in grado di trovare altra soluzione e
provenienti da immobili andati completamente distrutti, dopo una sistemazione
di fortuna in scuole o istituti regionali, vennero alloggiati in locali ricavati, ad
opera del Comune, nella ex caserma Carlo Alberto.41
Già luogo di raccolta degli sfollati durante e subito dopo la guerra, la ex caserma
Carlo Alberto, o “ casermone”, come sarà conosciuto in seguito, iniziò quindi
ufficialmente con l’alluvione quel suo destino di contenitore e simbolo delle
emergenze cittadine che fino alla metà degli anni settanta avrebbe continuato ad
interpretare.
“Hai già versato il tuo contributo – affrettati”42
- Gli aiuti
A tutto novembre ’49 giunsero ad Asti come contributi in denaro da privati e da
altri comuni 15.727.751 lire, di esse 2.054.367 vennero dirottate ai comuni di
Nizza Monferrato, Canelli, Incisa Scapaccino, Calamandrana e Castelnuovo
Belbo, il resto della cifra quasi tutto utilizzato per i sussidi, in denaro ed in
natura, a favore degli alluvionati.43
Ai contributi ed alla solidarietà dei privati, il Comitato di soccorso mostrò subito
di dare particolare rilievo, certamente conscio della possibilità altrimenti di fare
fronte alla tragedia, così subito dopo l’alluvione i muri di Asti cominciarono a
riempirsi di manifesti che, con linguaggio non dissimile da quello che aveva
esortato ai prestiti di guerra, invitavano ad aderire alla sottoscrizione che il
Comune aveva lanciato, contemporaneamente venivano rivolti a cittadini astigiani
residenti all’estero e ad altre Amministrazioni comunali appelli affinché venissero
versati aiuti per i sinistrati.44
Il risultato di questo sforzo furono contributi, sia in denaro che in natura, offerti,
oltre che dai cittadini e dalle istituzioni non solo di Asti e provincia ma anche, ed
in termini relativamente non irrilevanti, di altre località. Per la massima parte si
trattava di comuni piemontesi, Torino, Alessandria, Casale, Monferrato e Novi
Ligure i più sensibili, non mancarono però contributi dalla Liguria e dalla
IACP che erano in corso di realizzo al momento dell’alluvione. (sul tema cfr.G.Butrico, Asti. Progetto e ricostruzione
della città.1918-1940, Asti, Comune – Assessorato per la cultura, 1988).
40
cfr. ASCo,B/22,Riunione del Comitato.
41
Le famiglie di senza tetto ancor prima di sistemazione ed alloggiate presso istituti religiosi erano, al novembre, solo
più una decina, mentre ospiti della ex caserma Carlo Alberto erano circa 60 (cfr.ASCo,B/22, Riunioni del comitato,
verbale del 15.11.1948).
42
Da un manifesto fatto affiggere dalla Amministrazione comunale per evitare i cittadini a sottoscrivere a favore degli
alluvionati (ASCo,B/21, Materiale Vario).
43
cfr. ASCo,B/22, Atti del Comitato Cittadino di Soccorso dove sono conservati tutti gli atti relativi alle sottoscrizioni
pro-alluvionati
44
cfr. ASCo,B/21,Contributi, Elargizioni, offerte, Corrispondenza.
13
Lombardia, in particolare Milano; pochissimi invece i soccorsi da altre zone
d’Italia e quasi sempre in ragione di uno specifico legame dei sottoscrittori con
Asti e l’astigiano.45
Mentre per quanto attiene gli aiuti dei concittadini non mancarono polemiche ed
accuse di scarsa sensibilità,46 unanime fu il riconoscimento dato, in ragione
anche della sua importanza simbolica, alla solidarietà dei non astigiani. I canali
attraverso i quali quella solidarietà si era andata raccogliendo erano molteplici,
ma i principali furono municipalità e luoghi di lavoro.
Attraverso i comuni pervenne poco meno di un terzo delle sottoscrizioni in denaro
oltre a consistenti offerte in natura; erano in parte aiuti deliberati dalle
amministrazioni comunali, ma soprattutto si trattava di proventi di sottoscrizioni
che i comuni organizzarono, anche su esplicito invito del Comune cittadino di
soccorso, fin dalla metà di settembre; alcuni, come Torino o Casale Monferrato, si
fecero promotori di veri e propri comitati ”pro alluvionati” che continuarono la
loro attività per alcuni mesi. Risultati analoghi a quelli della municipalità, per
quanto attiene le cifre raccolte e probabilmente le persone coinvolte, furono
ottenuti delle collette organizzate sui luoghi di lavoro.
Innanzitutto furono coinvolte le fabbriche ed i grandi enti cittadini, dove venne
lanciata, a partire dalla Way-Assauto, uno dei luoghi simbolo del mondo operaio
astigiano, la proposta delle quattro ore di lavoro a favore degli alluvionati,
proposta accolta e rilasciata poi, esattamente nella stessa forma, stabilente cioè
un rapporto diretto fra la retribuzione del sottoscrittore e l’aiuto offerto con tutto
il significato emblematico che ciò rappresentava, in altre fabbriche e fra gli
impiegati del comune. Altrove invece vennero proposte solo generiche
sottoscrizioni, ma nel complesso il coinvolgimento del mondo del lavoro fu,
quantomeno per numero di realtà coinvolte, importante. Ancor più significative
poi, soprattutto se rapportato all’insieme dei contributi non “indigenti”, fu la
partecipazione dei lavoratori e delle realtà produttive non astigiane.
Va rilevato che, benché in moltissimi casi l’iniziativa fosse chiaramente di tipo
sindacale, raramente il mediatore della raccolta fondi era esplicitamente una
struttura del sindaco, molto più frequente era la fabbrica o l’ufficio ad essere
soggetto della colletta: il luogo di lavoro si dimostrava essere importante luogo di
aggregazione e la stessa identità di gruppo che pareva prevalere era quella di
lavoratori di un determinato insediamento industriale, e ciò innanzitutto,
ovviamente, per le grandi fabbriche, ma non solo.
Non mancarono poi episodi in cui le amministrazioni delle industrie si
associavano alla sottoscrizione dei lavoratori, in qualche caso con lo stesso
importo da questi complessivamente raccolto, e comunque nel complesso non
marginati furono i contributi quasi sempre in denaro (ma una fabbrica di
lampadari, ad esempio, mandò un certo numero di suo prodotti e il caso non fu
isolato) delle imprese. Senz’altro inferiori furono gli aiuti inviati direttamente da
privati, in questo caso si trattava sovente di aiuti in natura, pochi quelli da partiti
politici, infine furono realizzate raccolte di fondi di associazioni le più varie alcune
anche occasionali, come i “sette operai comunisti della IECME di Montiglio“. Si
registrò un solo caso di sottoscrizione promossa da un giornale, mentre in un
45
Ibid.
Le accuse di scarsa sensibilità avanzate tanto da Il Cittadino (cfr. A due mesi dall’alluvione, in Il Cittadino
10.11.1948, n.87) che dalla Gazzetta d’Asti (cfr. Le lamentele degli alluvionati e l’opera del Comitato Cittadino di
Soccorso, in La Gazzetta d’Asti, 12.11.1948 n. 44).
46
14
altro caso il giornale (“L’Unità”) fu scelto da un sottoscrittore per far pervenire il
suo contributo.
Ma la solidarietà verso gli alluvionati astigiani si manifestò anche con il lavoro
volontario: furono numerose nell’immediato dopo-alluvione le persone che, con
nessun altro mezzo che la pala, si erano impegnate ad Asti per una non facile
opera di soccorso. La solidarietà delle reti parentali e vicinali fu certamente
importante, ma poi un grosso peso lo ebbe la solidarietà organizzata. Quella ad
esempio di lavoratori della Fiat che ottengono dalla fabbrica mezzi ed un
permesso di tre giorni, quella di lavoratori delle fabbriche astigiane e quella
veicolata da organizzazioni e forze politiche.
Fra queste spicca l’Anpi, che inviò in Asti a più riprese uomini da Genova, Torino,
Biella, Ivrea e altri centri del Piemonte. Importante anche l’impegno da un lato del
Pci47 e dall’altro, anche se in forme in parte differenti, delle organizzazioni
cattoliche.
Probabilmente giocò un ruolo non secondario il fatto che Asti fosse retta da una
giunta di sinistra, ma certo consistente fu l’impegno di militanti comunisti giunti
da numerose provincie del Piemonte e della Liguria e lo stesso aiuto dei partigiani
si caratterizzo quasi sempre per essere portato da uomini che, dichiaratamente,
erano appartenenti a formazioni garibaldine. L’aiuto portato, scriveva il segretario
della Federazione Pci di Asti al rappresentante delle Avanguardia Garibaldina di
Biella, “…contribuisce a valorizzare l’opera delle Avanguardie Garibaldine e,
indirettamente, di tutta la nostra organizzazione”48, in ciò mostrando di dare
all’opera, generosa, di militanti e simpatizzanti un significato che andava al di là
del gesto contingente e che, innanzitutto, ratificava la capacità di organizzazione
del Partito comunista e di tutte le formazioni ad esso vicine. Ma lo spalar fango
per le strade astigiane con la fascia del Pci o dell’Ampi al braccio testimoniava
anche di un modo di intendere l’appartenenza politica, di un senso di militanza
che era anche modo e strumento di partecipazione alla vita civile.
L’impegno di parte cattolica era invece quasi del tutto concentrato nella attività
del clero e del laicato e fortemente legato all’azione delle parrocchie e al vescovato,
che si distinsero soprattutto nell’opera di organizzazione delle messe e di
distribuzione dei generi alimentari; una azione non meno importante e
quantitativamente rilevante quindi, ma certo più “istituzionale”.
Oltre l’emergenza
Nella riunione del consiglio comunale del 6 novembre ’48 un consigliere di
minoranza rivolgeva una interrogazione per conoscere i motivi per cui molte delle
strade del centro cittadino fossero ancora “in completo abbandono” a che punto
fossero le pratiche “per l’abbattimento di molte case pericolanti e malsane e il
piano di ricostruzione; infine quando si inizieranno i lavori di radicale
sistemazione del corso Stazione”49; un intervento che certo nei toni era dettato
dalle ragioni politiche della polemica maggioranza-opposizione ma che, non
47
Sui soccorsi agli alluvionati organizzati dal Pci e dall’Ampi cfr. AISRAt, F. Pci, Corrispondenza, 1948 – Alluvione.
Ibid.
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cfr. ASCo, B/22, Rapporto dell’amministrazione civica e conseguenti previdenze, lettura del Sindaco di Asti al
Prefetto del 10.11.1948.L’interpellanza, della quale viene informato il Prefetto, è occasione per il Sindaco di sollecitare
il pagamento di contributi per le opere ancora da compiersi.
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smentito nella replica circa l’esattezza dei fatti contestati, lasciava intendere come
il recupero alla normalità della vita cittadina stesse registrando preoccupanti
rallentamenti.
E in effetti fin dalla fine di ottobre il Comune aveva sospeso, per mancanza
assoluta di certezza nei finanziamenti, l’esecuzione di ogni lavoro pur urgente di
risistemazione delle opere pubbliche, contemporaneamente iniziando un lungo
contenzioso con il Governo per ottenere i rimborsi ed i sostegni promessi subito
dopo il disastro; contenzione il cui esito, incerto fin dall’inizio, non fu poi del tutto
rispondente alle esigenze della ricostruzione.
Il principale strumento legislativo operante ed utilizzato anche in materia di
ripristino delle opere pubbliche danneggiate era, come già si è detto, il D.Lgs.
1010 del ’48 che normava l’intervento del Ministero dei lavori pubblici in caso di
calamità naturali e per l’esecuzione dei lavori di pronto soccorso è fu proprio
attorno a questa locuzione, pronto soccorso, attorno cioè alla valutazione in
merito alla effettiva urgenza ed inderogabilità di molti dei lavori fatti eseguire per
il ripristino delle opere pubbliche danneggiate e che l’amministrazione comunale
aveva deciso contando poi sul rimborso da parte dello Stato, che si incentrarono
tutte le eccezioni alla partecipazione governativa alla ricostruzione.
La tendenza del Ministero dei lavori pubblici era quella di limitare fortemente il
riconoscimento della qualifica di lavori di pronto soccorso, in contrasto talvolta
anche con le valutazioni dell’ufficio del Genio Civile di Asti al quale
l’amministrazione comunale si era rivolta, sino dall’11 settembre, per il nulla osta
all’esecuzione dei primi e più urgenti interventi; un giudizio, quello del Ministero,
che aveva determinato appunto quella sospensione di cui si era lamentata
l’opposizione e che in seguito avrebbe limitato fortemente i rimborsi dei lavori che,
comunque riconosciuti come assolutamente inderogabili, dopo l’interruzione
dell’ottobre era stati ripresi ed ultimati.
Significative per descrivere l’atteggiamento governativo rispetto alle opere del
post-alluvione furono le vicende legate alla risistemazione dell’acquedotto e della
rete fognaria. Entranbe gravemente danneggiate, per la loro completa
risistemazione furono necessari parecchi mesi di attività e interventi complessi
che, per la rete fognaria, dovettero tener conto anche del parzialmente mutato
assetto del regime idraulico dei corsi d’acqua conseguente, appunto, alle
inondazioni, mentre per l’acquedotto, dopo alcune primissime opere
indispensabili per riconsentire l’erogazione dell’acqua potabile a tutta la città,
richiesero anche consolidamenti a seguito di successivi cedimento del fondo
stradale nei pressi del ponte sul Borbore a Revignano.
Una nota della Prefettura di Asti del 7 dicembre ’4950, però, mise la definitiva
parola fine alla speranza di ottenere, in relazione alla riparazione dell’acquedotto,
il rimborso di altro che le somme spese nei primi interventi, mentre il costo della
riparazione della rete fognaria, dopo innumerevoli istanze e pressioni anche di
altri enti cittadini, dopo rinvii alla esecuzione dei lavori sempre in attesa di
certezze sulla copertura finanziaria, venne finanziato, ai sensi della legge 506
del’49, per metà dallo Stato, che verso l’ultima (o più consistente) rata del
pagamento del sussidio il 30 luglio del 1955 (!),ben cinque anni dopo cioè la
delibera che aveva stabilito l’avvio dei lavori.
Sorte non dissimile ebbero tutti gli altri interventi, dagli abbattimenti di edifici
pericolanti, alla risistemazione del Cimitero, al rifacimento di strade e
marciapiedi, mentre di tutte quelle opere di consolidamento di argini stabilite
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cfr. ASCo,B/22, Rapporto…
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dallo stesso Genio civile come indispensabili per evitare nuovi disastri non si ha
notizia: in questo quadro. E comprensibile come, in questo scenario, progetti di
più ampio respiro, tendenti alla qualificazione delle zone alluvionate e dei quali
pure si era discusso all’indomani dell’alluvione, venissero ben presto accantonati.
Così fu per il recupero del quartiere San Rocco51, individuato fra le priorità della
ricostruzione con una delibera del consiglio comunale dell’11 settembre ’48, dove
peraltro si richiamavano impegni di edificazione già assunti dallo IACP e che
occorreva, alla luce dell’accaduto, intensificare: emblematica, per dire
dell’atteggiamento all’indomani del disastro rispetto al quartiere, la fra
pronunciata alla riunione del 13 settembre da Villa ”… approfittare della disgrazia
per affrontare il problema”52, ma al di là delle prime intenzioni il quartiere negli
anni immediatamente successivi registro esclusivamente l’ultimazioni del lotto dei
lavori già previsto al 4 settembre, mentre nel dibattito che si aprì a partire dal
1950 sull’edilizia, e che prese avviò dalla questione della edificazione del sedime
del ex Alla in piazza Alfieri, il tema della risistemazione delle aree alluvionate non
trovò spazio alcuno.
E che il tema della riedificazione delle zone colpite dall’alluvione venisse presto
accantonato e testimoniato anche dalla lettura che dell’esperienza legata al
disastro veniva fatta nella relazione sulla attività della giunta a fine mandato53:
nel bilancio di quanto al riguardo realizzato peso rilevante andava all’azione per
organizzare la solidarietà e gli aiuti alla popolazione colpita e, per quanto attiene
il capitolo ricostruzione, la riparazione delle opere pubbliche (per la quale, si è
visto, parte considerevole dello sforzo economico rimase a carico delle casse
comunali), nulla invece circa più ambizioni progetti di riqualificazione abitativa
dei quartieri alluvionati.
Né del resto dissimili erano state le valutazioni fatte all’ultima riunione del
Comitato cittadino di soccorso, quella del 2 dicembre ’49, con una relazione del
Sindaco-Presidente tutta improntata al rendiconto delle cifre degli aiuti e delle
elargizioni, “Resta così ufficialmente chiusa – concludeva Platone – una delle più
dolorose pagine della storia della nostra città, alla quale non manca però il
conforto che emana dalla gara di solidarietà impegnata nel frangente della
sciagura, fra tutti i ceti non solo della città e provincia, ma fra Enti, industrie,
maestranze e privati di altre regioni”54, e con queste parole, a parte gli strascichi
contabili, alla vicenda “alluvione” veniva posta la parola fine.
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Sul progetto di risistemazione di Borgo San Rocco cfr. ASCo,B/22,Risanamente del Borgo San Rocco.
ASCo,B/22,Riunioni del comitato.
cfr. Nubifragio ed alluvione, cit.
cfr. ASCo, B/22, Riunioni del comitato.
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