Sari Nusseibeh, Al-Quds Università di Gerusalemme Grazie e
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Sari Nusseibeh, Al-Quds Università di Gerusalemme Grazie e
Sari Nusseibeh, Al-Quds Università di Gerusalemme Grazie e buona sera. Ancora una volta, vi ringrazio per avermi dato l'opportunità di partecipare e parlare del conflitto israelo-palestinese e del suo rapporto con la memoria. Vorrei dire fin da ora che non sono uno studioso di questa materia, della memoria intendo, e neanche del conflitto israelopalestinese. Sono qui solo perché, come palestinese, ho vissuto tutta la vita a Gerusalemme; ho infatti avuto l'opportunità di maturare alcune riflessioni sul conflitto palestinese. E poiché mi è stato chiesto di collegare il tema alla memoria, ho iniziato a pensarci di recente; vi chiedo scusa se le mie osservazioni non vi sembreranno particolarmente ragionate. E voglio iniziare dicendo che non sono un grande fan della memoria e che non ho molta fiducia in lei per diversi motivi, che cercherò di spiegare. Detto questo, desidero aggiungere che credo che esista una differenza chiara, diciamo, tra storia e memoria. E abbiamo ascoltato un'eccellente presentazione da parte del relatore che mi ha preceduto, che ha dimostrato che la ricerca storica in realtà è estremamente utile, soprattutto se realizzata in maniera scientifica. Ci insegna molte cose, ma penso che, quando si tratta... quando il pensiero va alla memoria, poi esista un problema. E cercherò di dirvi qual è il problema, come la vedo io. E cercherò di parlarvi del problema dal mio punto di vista, presentando due esempi. Esempi di natura personale. Non ho fatto alcuna ricerca. Si tratta di esempi dalla mia vita. Uno è... Io sono di Gerusalemme. Di famiglia, abbiamo alcune proprietà nel centro storico di Gerusalemme. Sono proprietà oggetto delle mire di alcuni coloni israeliani. Per molti anni, abbiamo avuto un problema su quella particolare proprietà, all'interno del centro storico. Si tratta di una proprietà in una posizione allettante. E ogni tanto, i coloni israeliani fanno qualcosa. Si espandono, ci fanno qualcosa e noi, come famiglia, ci precipitiamo immediatamente. Cerchiamo di andare in tribunale per impedire loro di fare qualunque cosa. E a volte, naturalmente, le cose perdono in controllo. Le persone cominciare a picchiarsi o lottano tra di loro. E un giorno, ci sono andato io stesso. E mi è capitato di stare fianco a fianco di uno dei portavoce israeliani del movimento di insediamento in quella particolare area. Un signore molto cortese, piacevole. E fondamentalmente stava parlando con me come, sapete, come due vicini di casa amichevoli, e mi diceva quel che stava facendo e che in realtà esprimeva, attraverso le sue azioni, niente che avesse a che fare con me personalmente; che non mi vedeva come un nemico. Che non aveva nulla contro di me. Che ero una brava persona. Non sono realmente i palestinesi il problema. E se fosse stato per lui, non avrebbe tentato di farmi alcun male. E comunque non intenzionalmente, magari accidentalmente. Che il suo scopo principale era quello di obbedire ad un dettame di Dio. Che ciò che faceva era un imperativo religioso, un imperativo divino. E se si scusava anticipatamente nel caso in cui si fosse trovato a farmi del male. Me lo disse in maniera garbata, sembrava molto dispiaciuto. Ma, sapete, lui era così e non poteva che agire in quel modo. Ora, come ho detto, era un ragazzo molto cortese, ma le sue parole mi avevano molto colpito, ero traumatizzato, dentro. Perché mi dicevo, se questo è quello che ho davanti a me, come potrò mai raggiungere una soluzione di qualsiasi tipo? O recuperare questa proprietà. Ora, vorrei passare ad un altro esempio. E tornerò su questo esempio e su quello seguente, per spiegare perché non sono un fan di questa cosiddetta "memoria". Il secondo esempio ha a che fare con mia madre. Non so se ci si aspetta che le persone parlino delle proprie madri in incontri come questo, in cui non ci si aspetta forse... ma io sono fatto così. E per farvi capire in realtà di cosa sto parlando, dovete sapere che mia madre è nata e cresciuta in un posto che più tardi divenne parte di Israele. Israele, vale a dire, fino al 1967. In un luogo chiamato... com'era chiamato... comunque... e vedete, la mia memoria non è buona. Nel 1948 è dovuta partire, come molti palestinesi. Divenne una rifugiata, ma non una rifugiata permanente. Perché riuscì a tornare, e quando tornò, tornò in quella parte della Palestina che era caduta in mano alla Giordania, che divenne Giordania, compresa Gerusalemme est, dov'ero io quando accaddero i fatti di cui vi ho parlato prima. Ora, crebbe, diceva lei, in un posto molto bello. E a Gerusalemme est, dove vivevamo e dove sono cresciuto, la casa stava proprio al confine fra Gerusalemme est e Gerusalemme ovest. Era il confine e ho sempre potuto vedere, vedere fisicamente, l'altro lato. Mai non era possibile passare il confine ovviamente, ma potevamo vederlo. Mia madre, anche mio padre, ma soprattutto mia madre raccontava storie, con grande tristezza, dei loro ricordi all'interno della casa dove era cresciuta. Lei mi diceva quanto era bello, come veniva trattata dai suoi genitori, voglio dire, lei mi raccontava questa storia per farmi credere che si trattasse di un paradiso. Lei mi dava un'immagine quasi paradisiaca, di felicità. È come... mi sembrava come se avesse vissuto in paradiso. So che solitamente le persone vanno in paradiso solo alla fine. Ma nel suo caso, lei mi diceva... mi faceva credere che aveva vissuto in un paradiso. Fino al '47-'48, quando iniziarono i combattimenti e partì. E partì, lasciando tutto alle spalle. Il paradiso rimase alle spalle. Ora potete immaginare, man mano che crescevo, immaginavo che l'altro lato, al di là del confine, dove stava la casa, fosse un paradiso. E mia madre, mia madre, penso come molti altri profughi, più permanenti... mia madre non era una rifugiata permanente, ma come i rifugiati permanenti, probabilmente tutti credevano o avevano memoria dell'esistenza di questo paradiso, sull'altro lato. E i palestinesi che avevano dovuto abbandonare del tutto il paese, ora vivono da tutte le parti e probabilmente guardavano la Palestina e Israele come il paradiso. Sognando di tornare. Nella terminologia palestinese, probabilmente il tema del ritorno è molto importante. Ritorno... tornare indietro. E anche mia madre voleva tornare indietro. Ma ho cercato di capire cosa intendesse con tornare indietro. Voleva tornare nel senso di salire in auto e passare il confine? Dopo il '69, come sapete, le due parti della Palestina, per intenderci, la parte che è diventata Israele e la parte che è tornata sotto la Giordania, e che successivamente è diventata Israele nel 1967, si unificarono. Si potrebbe dire che la gente si poteva muovere liberamente... non è più così... ma all'inizio, subito dopo '67, potevano muoversi liberamente. Allora, mia madre voleva tornare nel senso di salire in auto e guidare fino al centro storico dall'altra parte? Beh, la vecchia casa dove era cresciuta era sparita, comunque. Ma lei, voleva tornare indietro e vedere dove era stato sepolto suo padre? Voleva vedere dove suo padre si era sistemato o qualcosa di simile? Ho scoperto che non intendeva questo. Era in realtà preoccupata di tornare indietro in quel senso. Lo spostamento fisico per lei era un problema. Perché in realtà questo era fondamentalmente in conflitto, si scontrava con qualcosa nella sua mente. Ovvero con la sua memoria del paradiso. E il conflitto, vale a dire lo scontro tra memoria e realtà, non era qualcosa che a lei piaceva davvero avere molto spesso. Così lo ha lasciato al minimo e anche sua madre, quando veniva a trovarci... sua madre viveva a Il Cairo... e una o due delle sorelle, anche loro in realtà non riuscivano ad affrontare la cosa... sapete... a visitare i loro vecchi luoghi. Così capii che quello che volevano davvero, quello che mia madre voleva davvero quando diceva di voler tornare indietro, era di andare indietro, non fisicamente, non geograficamente. Voleva andare indietro nel tempo. Voleva viaggiare nel tempo fino al passato. E penso che sia una cosa comune alle persone che vivono sul nostro lato, ai molti palestinesi che pensano al ritorno. Pensare di andare indietro nel tempo... cosa molto difficile... non so se qualcuno c'è mai riuscito. Ma è un problema. Anche la storia che vi ho raccontato prima è un problema. La storia del colono che vuole venire qui a espropriare la mia proprietà è un problema. E in realtà è guidato da una sorta di retaggio culturale o qualcosa a che fare con la mentalità religiosa. Tornerò su questo punto. È un problema nella misura in cui si scontra con ciò che è possibile, con le regole della civile convivenza; e anche la mentalità di una persona che vuole tornare indietro nel tempo è un problema, perché si scontra con ciò che le persone sono in grado di fare . Entrambe le parti sono un problema. Ora, così ho iniziato a pensare alla memoria da questa prospettiva, e la prima cosa che ho capito è questa. Che anche se parliamo, se la gente parla, se parlo di cose come la memoria del popolo o la memoria collettiva o la memoria sociale o la memoria condivisa, in realtà, se ci pensate (e per favore pensateci e ditemi se mi sbaglio), è per dire "mi ricordo qualcosa"... Ricordare qualcosa è un'esperienza molto molto personale. Ricordare è un'esperienza singolare, che si fa in prima persona. Ora, questo è molto importante da sapere o da pensare. Ora parliamo di persone che ricordano o condividono la stessa memoria. Ma non è come parlare di due persone che leggono lo stesso libro, capite? Quando diciamo, due persone hanno letto lo stesso libro, o sono andati a vedere lo stesso film, c'è un libro unico e c'è un unico film. E i due vanno e lo vedono. Ma quando dici che due persone hanno la stessa memoria, stiamo in realtà usando come una sorta di... non è veramente rigoroso... non è veramente preciso. Quando hanno la stessa memoria, quello che vogliamo dire è che hanno due memorie, perché ogni persona ha la propria esperienza di memoria. Ora, questo è molto importante, credo, che si parta da un ricordo unico. Io ricordo. Ora, due persone condividono un'esperienza. Quindi, ritornano e cercano di mettere insieme questa esperienza. Quello che io ricordo, quello che tu ricordi. Normalmente si inizia un processo di costruzione di ciò che alla fine deve essere denominato una memoria sociale o collettiva, o addirittura una memoria religiosa. Ed è lì che voglio tornare. Perciò si inizia da singoli ricordi. Le persone ricordano singoli episodi. E poi si inizia a metterli insieme e le cose cominciano a svilupparsi e potete immaginare ciò che accade nel processo di sviluppo in termini di apporto da parte delle persone, che romanzano e colorano i ricordi... quanto sono precise... quanto sono chiare... ma man mano si accumulano lentamente e si fondono, come se... E il tempo, a proposito, come in questo caso, come succede di solito, è condiviso, nel senso che diventa una sorta di storia che riguarda tutti. Sembra che credano tutti in questo tipo di memoria. Ma non esiste più, cessa di essere un ricordo, o una memoria di quegli individui. Ora, generazione dopo generazione, voglio dire, c'è una sorta di ascensione, un viaggio di ascensione. Inizi con gli individui, con "Mi ricordo" e "Mi ricordo", attraverso l'esperienza, le cose si fondono, poi lentamente costruiscono qualcosa... e poi si accumulano nel tempo e vanno avanti di generazione in generazione. E nel frattempo, la memoria attira a sé sempre più persone. Così le persone che condividono la stessa storia iniziano a credere di avere la stessa identità, perché la memoria è parte dell'identità. E a un certo punto, dopo il viaggio di ascesa, assistiamo ad un percorso di discesa. In che senso? Nel senso che man mano che nuove persone entrano a far parte della comunità, questa storia collettiva comincia a essere instillata in ciascuna di quelle persone. Così, generazione dopo generazione, così per esempio, io, che sono di seconda generazione palestinese, vengo incorporato in questa storia, di cui faceva parte mia madre. E quindi divento portatore di questa memoria. Ora, non è una mia memoria. E' in realtà una creazione che è stata instillata in me, è un'adozione, che si è appropriata di me – se volete – e forse è meglio dire così, usare questa parola. Questa storia si è appropriata di me. E sono, pertanto, nelle mie azioni, azioni che sono più o meno. le mie, non voglio dire... non sono proprio uno schiavo, ma le mie azioni sono dettate, come determinate, dalla storia. Sono dettate a tal punto che, se fossi un colono israeliano a Gerusalemme, cercherei di espropriare i beni di qualcun altro, e lo farei con la coscienza a pulita. Avrei la coscienza pulita perché si tratta di me, questa è la mia identità, ciò che faccio è la cosa giusta. Ma quando questa chiamata di Dio (sapete, io, il colono israeliano a Gerusalemme est, che mi approprio dei beni di un'altra persona)... quand'è che Dio mi ha parlato per dirmi di farlo? Non l'ha fatto. Dio ha parlato... se ha parlato... Non credo personalmente che abbia parlato... suppongo... sono disposto a credere che a un certo punto abbia parlato con qualcuno... Ma immaginate che a un certo punto della storia dei tempi lo abbia fatto. Poi, nel tempo, ciò che ha detto si è sviluppato, evoluto e cambiato... fino a quando finalmente ha dettato le azioni di quell’uomo, in piedi davanti a me, che è disposto a combattere fino alla morte (e alla fine quelle persone combattono fino alla morte) per qualcosa come questo. Succede perché questa memoria si è appropriata di lui. Quindi quello che sto dicendo è che si inizia con una singola esperienza, è una singola esperienza di questa memoria. E sapete, sappiamo, sappiamo che anche se viviamo la stessa esperienza, andiamo a vedere lo stesso film, usciamo dalla sala e potremmo non essere d'accordo su quello che abbiamo visto. Lo sappiamo, giusto? Leggiamo lo stesso libro. Potremmo non essere d'accordo su quello che abbiamo visto. Se avete seguito i colloqui che si sono svolti a Camp David nel 2000 con Barak, Arafat e il Presidente Clinton, saprete che quando alla fine dell'incontro le persone uscirono dall'edificio, ci furono storie molto diverse in merito a quanto accadde veramente a Camp David. Anche in quei colloqui. Perciò sappiamo che anche quando facciamo le stesse esperienze o andiamo a vedere lo stesso film, sappiamo che potremmo uscire con percezioni diverse. Diventa anche più complicato se queste percezioni vengono poi tradotte in pezzetti di memoria. E poi sapete, cerchiamo di mettere insieme le cose. Voglio dire, sicuramente la cose verranno impreziosite e molto spesso iniziano a non avere alcun rapporto con la realtà. Ora, io non sono totalmente... Io non sono un nemico della memoria. Voglio dire, penso che la memoria sia una buona cosa, anche se io non ci sono molto portato... Io non sono un nemico totale della memoria. La memoria è una buona cosa. E la memoria è parte di ciò che costituisce un'identità. Ma proprio perché è parte di ciò che costituisce un'identità, dobbiamo stare molto attenti ad alcune delle cose che ho segnalato. Infatti, la memoria può, in qualche modo, renderti schiavo. La memoria, soprattutto ciò che diventa essenzialmente ciò che noi chiamiamo memoria collettiva, o tradizione, o una memoria religiosa o una memoria culturale, si sa, può molto spesso rendere schiavi. Renderci schiavi nel senso di dettare ciò che facciamo e che non facciamo. E ti ritrovi (per tornare al conflitto israelo-palestinese, per esempio) a combattere e continuare a combattere, non perché è necessariamente ciò che hai deciso di fare con criterio, ciò che credi sia la cosa migliore da fare. Lo fai, combatti e continui a combattere. Perché siete sulla stessa barca, sulla stessa onda, perché avete adottato la stessa ideologia. E questo può impedirvi di andare avanti. Abbiamo sentito dire che non si può davvero guardare al futuro senza tenere nel giusto conto il passato. E se siete consapevoli di non essere in grado di vedere il passato correttamente, non potrete guardare al futuro. Ma credo che ciò che ho imparato dal mio coinvolgimento diretto, coinvolgimento come un palestinese come tanti altri, coinvolto in politica, contro ogni aspettativa considerando dove vivo, per come la vedo io... La mia intuizione è che la memoria è una cosa buona, ma non dobbiamo fidarci troppo di lei. Dobbiamo stare attenti. Bisogna distinguere tra memoria e storia. E assicurarci che ciò su cui stiamo lavorando non siano solo miti che persone generano su un lato o l'altro. Venite a visitare la mia parte di mondo e vedete che ci sono molti molti miti che ci dicono cosa sta accadendo e di che si tratta, e così via. Così concludo solo dicendo che per poter guardare al futuro, in effetti, per creare un futuro che sia in qualche modo legato all'umanità (e non sto parlando solo di palestinesi, sto parlando anche di voi qui), in qualche modo dobbiamo liberarci di gran parte del bagaglio della memoria, che è cattivo, che è negativo. Dobbiamo cercare di guardare a noi stessi come creatori di nuovi fatti. Fatti che possiamo vivere, non solo fatti che diciamo di ricordare e in base ai quali viviamo. Grazie.