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Sindacato, medie imprese, contrattazione:
un’indagine su dieci aziende manifatturiere padovane
Il rapporto di ricerca contiene l’analisi di dieci aziende manifatturiere padovane. Per
ognuna delle imprese coinvolte, David Ragaglia ha indagato strategie mercati e
organizzazione produttiva/del lavoro, Luca Dall’Agnol il funzionamento della rappresentanza
aziendale (RSU), i contenuti degli accordi e il sistema di relazioni sindacali.
Il rapporto, frutto di una serie di interviste condotte sia con i delegati sindacali che con
esponenti delle direzioni aziendali, è l’esito di un percorso di ricerca-azione voluto dalla
Camera del lavoro di Padova e gestito dall’IRES Veneto, l’istituto di ricerche economiche e
sociali della Cgil.
La suddivisione in schede permette una buona fruibilità del materiale, che viene reso
disponibile in questa stesura unicamente per un utilizzo interno.
Si ringraziano tutte le persone che hanno permesso, con la loro disponibilità alle interviste,
l’effettuazione della ricerca.
IRES Veneto, maggio 2010
1
Premessa
Anatomia dell’impresa e contesto organizzativo
3
La rappresentanza dei lavoratori e le relazioni sindacali
6
I casi aziendali
1. Fischer Italia
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2. Hiref S.p.a
19
3. Vibrocementi ILCA s.r.l.
28
4. Industries S.p.a
36
5. Lundbeck Italia
45
6. Mediagraf S.p.A.
53
7. Nuova Ompi
61
8. Sacchettificio Nazionale Corazza S.p.a.
71
9. Simeonato Serramenti S.p.a.
79
10. Zf
87
2
Anatomia dell’impresa e contesto organizzativo
David Ragaglia
Il lavoro svolto si propone di fotografare un’impresa a partire dalla considerazione secondo
cui lo scenario in cui queste organizzazioni si trovano ad agire è sempre più dinamico,
imprevedibile, soggetto a continui e rapidi cambiamenti, ma soprattutto complesso. La
complessità dei sistemi organizzativi deriva dalla molteplicità delle parti che li costituiscono
e dai continui processi di trasformazione e differenziazione delle stesse. In questo quadro
ogni processo lavorativo, ogni ruolo organizzativo, ogni competenza evolve in un’ottica
che induce a considerare le organizzazioni in primis come luoghi di apprendimento per
soggetti stretti tra due elementi strutturanti: la tecnologia e le relazioni.
Conseguentemente si è proceduto cercando di distinguere da un lato l’ambiente e le
strategie che l’impresa e i suoi decisori sono chiamati a prendere, dall’altro l’ambito della
produzione nella sua accezione più immediata, quella legata al lavoro, alla tecnologia
impiegata, alle persone coinvolte nel processo.
1) Mercati, strategie e prodotto
In tal senso la letteratura scientifica sull’argomento conviene come siano
fondamentalmente tre i fattori che rendono instabile e dinamico l’ambiente in cui opera
un’impresa:
• i mutamenti sociali;
• le trasformazioni economiche;
• le innovazioni tecnologiche.
A queste tre macro categorie si è cercato di dare una dimensione operativa in fase di
analisi prendendo in considerazione per ogni impresa:
• la proprietà (membro di un gruppo, collaborazioni, sede e stabilimenti);
• l’ambito competitivo (geografico, di segmento, di settore, integrazione);
• il settore di attività (domanda e concorrenza, il concorrente più temibile, punti di
forza e debolezza rispetto ai concorrenti);
• il sistema prodotto (caratteri distintivi intesi come tecnologia, estetica, flessibilità di
utilizzo, qualità, affidabilità, livello di prezzo, assistenza pre e post vendita).
In un simile scenario le organizzazioni necessariamente sviluppano capacità differenti nel
convivere e nel confrontarsi con il proprio ambiente di riferimento che costituisce sia una
fonte di minaccia che di opportunità per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’impresa. Parte
del lavoro si è quindi focalizzato nel mettere in luce come queste capacità si sedimentino
nell’organizzazione in strategie e per strategia si intende per l’appunto il modo in cui
l’organizzazione risponde alle sollecitazioni esterne.
L’analisi delle strategie dell’impresa si è mossa a partire da quelli che possono essere
considerati i tre maggiori ambiti di elaborazione di scelte per l’impresa:
• prodotti e mercati;
• organizzazione interna;
• cooperazione con altre organizzazioni.
3
Quello che si concretizza per le imprese nell’analisi delle loro strategie è un dilemma tra la
exploration, l’esplorazione di nuove soluzioni, e la exploitation, lo sfruttamento di di quel
bagaglio di persone, conoscenze e routine costruite nel tempo1.
2) Produzione, tecnologie e saperi
Si è poi proceduto a un’analisi che permetta di osservare il processo produttivo scomposto
nelle sue parti essenziali:
• la composizione sociale del lavoro (età media, lavoro femminile, migrante, lavoro
atipico, distribuzione nell’impresa);
• il flusso produttivo del prodotto principale (le risorse impiegate durante il processo
, le linee produttive coinvolte, i reparti, ritmi di lavoro e il tipo di organizzazione);
• le tecnologie impiegate;
• cambiamenti organizzativi (ricomposizione, frammentazione, dequalificazione)
In particolare si è cercato di cogliere come questi elementi, interagendo tra loro, vadano a
definire per i lavoratori, nei differenti contesti, regimi lavorativi caratterizzati da differenti
tassi e spazi di autonomia e per autonomia si intende l’autoregolazione quindi la capacità
di produrre le proprie regole e cioè la capacità di gestire i propri processi d’azione.
Contestualmente si è cercato di registrare come le competenze2 si strutturino all’interno
dell’ambiente lavorativo. L’approccio utilizzato per l’analisi si rifà a una lettura ampiamente
diffusa nelle scienze sociali secondo cui la competenza è un sapere contestualizzato. Tale
sapere deve essere utilizzato dal soggetto al momento giusto, nel momento giusto e nel
modo giusto.
Legare autonomia e competenza diventa particolarmente importante nel momento in cui
se si accetta che la competenza sia un sapere agito, è anche vero che il contesto ha il
potere di determinarne l’efficacia.
3) Un tentativo di ricomposizione
Per facilitare una ricomposizione concettuale dei singoli casi rispetto alla loro eterogeneità
si è adottata per ogni caso una lettura per tipologie produttive che si rifà a tre differenti
paradigmi - paradigma di efficienza statica, paradigma di efficienza adattativa, paradigma
di efficienza dinamica - che ricalcano idealmente l’evoluzione dei sistemi produttivi. È bene
ricordare che le tipologie non sono mai riscontrabili in maniera assoluta nella realtà e
rappresentano un tentativo di semplificazione di quest’ultima, cercando di ridurre la
complessità attraverso processi di distinzione, classificazione, specializzazione e
separazione.
Il paradigma di efficienza statica vede nell’impresa fordista il proprio modello di
riferimento. Un’impresa che, operando in un ambiente stabile punta a grandi serie di
prodotti standardizzati, pone al centro del propri problemi esclusivamente la relazione
esistente fra i costi di produzione e le quantità prodotte. La progettazione del sistema
produttivo si limita conseguentemente alla definizione di cosa e quanto produrre con
l’obiettivo di minimizzare i costi. Un sistema produttivo di questo tipo ricerca l’efficienza
attraverso l’elevata replicabilità delle operazioni di trasformazione, per cui il pilastro
strategico diventa la ricerca della standardizzazione di prodotto e di processo.
1
MARCH James G. (1996), “Exploration and Exploitation in Organizational Learning”, in COHEN
Michael D., SPROULL Lee S. (eds), Organizational Learning, SAGE: Thousand Oaks.
2
MEGHNAGI S., Conoscenza e competenza, Loescher, Torino, 1992
4
•
•
•
•
•
standardizzazione di prodotto
standardizzazione di processo
forte verticalizzazione
produzione in serie
basso grado di personalizzazione del prodotto
Il paradigma di efficienza adattativa si definisce a partire dalla difficoltà nel gestire la
fisiolaogica antinomia tra la produzione, con la sua pianificazione e razionalità, e un
mercato rapido e dinamico. Il terreno decisivo del confronto competitivo viene individuato
nel rapporto tra l’impresa e il mercato, ma è la produzione il perno o il mezzo su cui
operare. La strategia tecnologica focalizzata sull’innovazione del sistema produttivo
diventa parte essenziale della strategia d’impresa. I sistemi automatizzati sono il mezzo
per realizzare quella flessibilità adattativa richiesta dai mercati in un ottica rigorosamente
pull in cui la produzione è regolata dagli ordini effettivi, per cui niente viene anticipato
prima che la domanda assuma una forma certa.
•
•
•
•
•
•
flessibilità adattativa
logiche pull
prodotti modulari
innovazione nel manufactoring
applicazione diffusa delle tecnologie informatiche
sverticalizzazione dei processi
Il paradigma di efficienza dinamica muove dalla consapevolezza che il cambiamento
tecnico-produttivo-logistico, in un sistema in cui la competizione in mercati saturi e con
concorrenti sia globali che locali impone una differenziazione molto spinta in termini di
prodotti/servizi, non è sufficiente. Il cambiamento strategico deve investire la struttura
dell’impresa nel suo complesso. L’outsourcing, il processo di decentramento all’esterno di
alcune parti della struttura organizzativo-funzionale, è la leva strategica per migliorare
interi processi aziendali e consentire la focalizzazione dell’impresa sul core business. La
cessazione a partner specializzati di processi coma la logistica, la contabilità di
magazzino, la produzione è la base per garantire il miglioramento in un’ottica
imprenditoriale. Il paradigma di efficienza dinamico definisce un’organizzazione snella, che
diminuendo la complessità interna si focalizza ed individua sistematicamente le core
competences e il proprio technology portfolio. Tecnologie e conoscenze che possono
assicurare un vantaggio competitivo e su cui l’impresa deve esercitare un dominio diretto.
•
•
•
•
•
governare la varietà
produrre la varietà
riduzione della complessità interna
impresa a rete (outsourcing)
technology portfolio
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La rappresentanza dei lavoratori e le relazioni sindacali
Luca Dall’Agnol
Premessa
Nell’analisi dei casi aziendali sono state prese in considerazione le relazioni industriali.
Nello specifico sono stati affrontati tre temi: la rappresentativa dell’RSU, l’esercizio della
funzione di rappresentanza e il sistema di relazioni sindacali.
1) La rappresentatività della RSU
La rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda consiste nell’agire, parlare, decidere
al posto di un gruppo di lavoratori. Come è stato evidenziato da alcuni studiosi di vicende
sindacali, perché la sua funzione non sia vuota e inefficace, tale rappresentanza deve
fondarsi non solo in una procedura elettiva, ma deve avere una legittimazione sostanziale
da parte dei soggetti che intende rappresentare. Il primo tema preso in considerazione è
stato quello della rappresentatività della RSU, declinata come capacità rappresentativa (o
quantità di soggetti che hanno partecipato all’elezione), come rispecchiamento della
composizione sociale e professionale e infine come capacità di farsi riconoscere dai
rappresentati il ruolo di tutela degli interessi individuali e collettivi.
2) L’esercizio della funzione di rappresentanza
Successivamente, sono state indagate le RSU nell’esercizio del loro ruolo di
rappresentanza. Per fare questo si è deciso di considerare 5 dimensioni: il funzionamento
dell’organismo, il rapporto con i lavoratori, il rapporto con il sindacato esterno, le risorse a
disposizione e infine il rapporto con la controparte.
Per quanto riguarda il funzionamento le questoni evidenziate sono: a) il processo
decisionale interno; b) la eventuale divisione del lavoro tra delegati; c) la definizione degli
obiettivi, delle priorità e la selezione dei problemi; d) i rapporti tra gruppi di appartenenza.
Come si è detto, il rapporto di rappresentanza sindacale non si esaurisce nel momento
elettorale, ma vive e necessita di una comunicazione continua tra delegati e lavoratori.
Innanzitutto, è stata approfondita l’estensione della rappresentanza: diversamente e
specularmente dalla capacità di farsi riconoscere dai lavoratori, qui si intende l’attenzione
o l’interesse alla rappresentanza e tutela delle diverse componenti professionali,
contrattuali e sociali presenti in azienda. Inoltre, sono state individuate le strategie, gli
strumenti, le modalità e le sedi di confronto, lo spazio lasciato alle relazioni informali e la
presenza di momenti di verifica del consenso.
Le RSU, in base al Protocollo del luglio 1993 che le ha istituite, si configurano come un
canale di rappresentanza misto: dei lavoratori dell’azienda, ma anche delle organizzazioni
sindacali. Si è cercato quindi di indagare il tipo di rapporto tra delegati e sindacato esterno
e l’eventuale loro inserimento in una rete formativa e di supporto tecnico.
L’esercizio della rappresentanza dipende certamente anche dalle risorse a disposizione
dei delegati. Non solo di forza, intesa sia come numero di iscritti ad un’organizzazione
sindacale sia come capacità di mobilitazione dei lavoratori, ma anche di agibilità del ruolo
e di motivazione. L’esercizio di un’efficace azione di tutela, ma anche la possibilità di
incidere sullo stile aziendale di gestione delle relazioni sindacali e conseguentemente
sull’intero sistema, dipende anche fortemente dalle conoscenze e competenze di cui la
RSU dispone. Sono quindi stati approfonditi il grado di conoscenza dell’organizzazione
produttiva, del prodotto e della struttura del mercato in cui opera l’azienda, delle strategie
aziendali e del suo stato economico-finanziario, nonché la presenza di competenze
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tecniche necessarie a svolgere la funzione di rappresentanza e tutela. Conoscenze e
competenze che possono avere fonti diverse.
Infine, sono stati presi in considerazione anche l’atteggiamento verso la controparte, la
concezione delle relazioni sindacali e delle diverse forme del confronto (contrattazione,
conflitto, partecipazione), nonché le pratiche negoziali.
3) Il sistema di relazioni sindacali presente in azienda
Con il termine sistema di relazioni sindacali qui intendiamo un modo di regolazione dei
termini d’impiego e dell’interazione tra soggetti sociali in diversa posizione nel mercato del
lavoro e nell’ambito del contesto lavorativo. L’asimmetria di potere tra chi controlla
l’impresa e i lavoratori, deriva dal fatto che i primi possiedono le risorse produttive,
controllano gli investimenti e hanno l’ultima parola nelle scelte di localizzazione degli
impianti. La proprietà e il management inizialmente costruiscono, quasi sempre
unilateralmente, l’ambiente organizzativo, tecnologico, gerarchico e normativo all’interno
del quale avviene la prestazione lavorativa. Solo successivamente i lavoratori potranno
mettere in discussione le condizioni d’impiego, l’organizzazione del lavoro e le relazioni
sindacali.
Questo significa che gli stili dell’impresa nella gestione dei rapporti d’impiego e delle
relazioni sindacali predeterminano le condizioni d’impiego e che il lavoro organizzato è in
grado di incidere su queste solo in presenza di determinate condizioni. Non è una mera
questione di rapporti di forza, sebbene la rappresentatività della RSU, nelle varie accezioni
già evidenziate sia una di queste. Fondamentali sono anche le altre risorse a disposizione
dei delegati. Inoltre, l’interazione tra le parti, nelle diverse forme che può assumere,
produce spesso aggiustamenti nella loro azione. I comportamenti di uno degli attori
offrono non solo vincoli e risorse (anche in termini di fiducia) per l’agire dell’altro, ma ne
influenzano pure il modello cognitivo.
Per definire il sistema di relazioni sindacali presente in ogni azienda sono state
considerate alcune questioni.
La prima è quella dello stile di governo del lavoro, nel senso sia di atteggiamento verso i
dipendenti e le pratiche lavorative sia di atteggiamento verso la rappresentanza sindacale.
Nello specifico, per quanto riguarda la gestione del rapporto con la RSU è stato preso in
considerazione il tipo di riconoscimento della stessa, la concezione del conflitto, le risorse
destinate alle relazioni sindacali, la condivisione delle informazioni, l’orientamento
contrattuale, la modalità negoziale, la propensione all’innovazione dei contenuti e il
rispetto degli accordi. Successivamente ci si è soffermati sulla struttura del confronto,
ossia sulle sue forme, la frequenza e la presenza di procedure codificate.
Infine, l’attenzione è stata riposta sugli esiti negoziali e quindi la forma degli accordi e
l’intensità negoziale, nonché la loro estensione, portata e contenuto. In particolare è stata
indagata la regolazione di alcune questioni centrali nel definire le condizioni di impiego
della forza lavoro, ma al contempo espressive della concezione del lavoro e del sistema di
relazioni sindacali presente in azienda.
La flessibilità: considerata nella dimensione “esterna” o numerica (grado di libertà
nell’adeguamento dell’occupazione), oraria (possibilità di variare l’orario per rispondere ad
esigenze dell’azienda e ei lavoratori) e funzionale (grado di mobilità interna del lavoro e
possibilità di variare il contenuto della prestazione).
Le voci retributive aziendali: in particolare sono stati analizzati i premi di risultato,
andando ad individuare gli indicatori utilizzati, i meccanismi premianti, gli importi e i
meccanismi distributivi. Qualora presenti sono state osservate le altre voci contrattuali:
indennità, elementi in cifra fissa, una tantum e salario legato alla professionalità.
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Riconoscimento e rappresentanza della diversità: la dimensione di genere
Nella analisi dei casi aziendali si è cercato di capire se vi è da parte della rappresentanza
il riconoscimento della presenza e del contributo delle donne al processo produttivo e
nonché degli eventuali elementi critici connessi all’appartenenza di genere. Mi riferisco alla
presenza di discriminazioni nel mercato del lavoro (accesso, forme contrattuali, possibilità
di carriera) e nelle retribuzioni e a problemi di conciliazione tra lavoro e vita. Per fare
questo si cercato nella contrattazione la presenza di istituti volti al superamento di tali
problemi (part-time, orari di lavoro differenziati, alcune forme di banca ore, permessi per
assistenza e cura ecc.).
Riconoscimento e rappresentanza della diversità: la dimensione nazionale e
multiculturale
Nei casi in cui era presente una componente non italiana di lavoratori si è approfondito il
loro inserimento nel contesto produttivo e l’eventuale emersione e riconoscimento di
bisogni connessi alla condizione di immigrato o al riferimento a specifiche identità culturali.
Innovazione: sono state ricercate tracce di innovazione nelle forme e soprattutto nei
contenuti delle relazioni industriali (procedure per l’informazione, commissioni bilaterali,
partecipazioni economico-finanziarie, qualità, riconoscimento della professionalità,
formazione, servizi, ecc.), in particolare laddove sono presenti innovazioni organizzative,
tecnologiche, nelle pratiche lavorative e nella gestione del personale.
Quale modello di relazioni industriali?
Alla luce dell’analisi di ogni caso, è stata data una definizione sintetica del sistema di
relazioni industriali dominante. Per fare questo si è fatto riferimento ai quattro tipi ideali di
sistema sviluppati da Vladimiro Soli nel primo rapporto Ires “Medie imprese e sindacato”
(“costi mininimi”, antagonostico, partecipativo e competitivo), ai quali oltre alcune
specificazioni del modello partecipativo, si è aggiunto un modello definito di
“codeterminazione di fatto”.
Breve nota metodologica
Dal punto di vista metodologico, si tratta di un’analisi qualitativa di 10 imprese per un
totale di 26 interviste a delegati sindacali e dirigenti. Tendenzialmente, per ogni azienda
sono stata fatte 2 interviste a membri della RSU e 1 ad un dirigente.
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1. Fischer Italia
Fischer Italia di Padova appartiene a una multinazionale, il Gruppo Fischer con sede in
Germania, ed è una delle 30 consociate. Tutta la struttura nelle sue diverse sedi conta
all’incirca 4000 dipendenti, Fischer Italia con 350 dipendenti è una delle realtà più grandi
del gruppo.
Il Gruppo Fischer opera in tre diversi settori di attività riconducibili alle sue divisioni:
• Sistemi di fissaggio, il core business dell’azienda;
• Automotiv, una divisione per la progettazione e produzione di tutti quegli elementi
che si possono trovano nei cruscotti di un auto ma non collegati ai sistemi di guida
(porta bicchieri, posacenere, etc);
• Fischer technik, i cui prodotti non sono commercializzati in Italia e sono dei
giocattoli tecnici.
Fischer Italia nasce nel 1963, all’epoca con la denominazione di Fischer Italiana, da un
accordo tra il Gruppo e un imprenditore padovano proprietario di una catena di ferramenta
(nel 1998 la proprietà passerà completamente e definitivamente sotto il controllo del
gruppo tedesco). Fischer Italia entra quindi a far parte della divisione sistemi di fissaggio
ed è oggi una delle 4 consociate che ha al proprio interno l’intero ciclo aziendale con una
parte specificatamente dedicata alla progettazione.
La sede centrale è a Padova (commerciale, marketing, produzione, logistica, formazione,
ricerca e sviluppo) con un polo produttivo a Lozzo (PD) e una sede legata a Fischer
Formazione a Caserta.
All’interno del gruppo c’è una politica di coordinamento che determina una relazione con il
Gruppo molto stretta anche a fronte del fatto che l’Italia è il centro di competenza per tutta
la linea idro-termo-sanitaria, quindi per tutto quello che riguarda la progettazione e la
realizzazione di componenti legati al mondo dell’impiantistica.
1.1 Mercati, strategie e prodotto
Il fatto che l’impresa operi in un contesto internazionale - per quanto il mercato di
riferimento sia quello italiano, la Fischer Italia è responsabile anche per il mercato (in
espansione) del Medio Oriente, del Nord Africa e dei Balcani - fa si che si adotti una
politica industriale di sviluppo prodotto e di innovazione concertato con il gruppo.
Relazione, tra consociata e Gruppo, organizzata attraverso team di lavoro interfunzionali e
internazionali che si occupano degli aspetti industriali, logistici, manufatturieri fino al
marketing e alla strategia commerciale.
L’impresa padovana produce e commercializza sistemi di fissaggio operando in differenti
settori. La sua vocazione, fin dalla nascita, è stata quella di avere un rapporto molto forte
con il rivenditore; essere quindi fornitori del rivenditore che a sua volta offre il prodotto sul
mercato. Questa è stata una scelta che pur avendo garantito la crescita dell’impresa, dal
2000 ha mostrato dei limiti.
La fornitura dei sistemi di fissaggio avviene tendenzialmente secondo due canali:
attraverso il banco del rivenditore o attraverso la vendita diretta in cantiere. I concorrenti
che la Fischer si trova ad affrontare sono divisi secondo queste due modalità. L’impresa,
che ha sposato fin dal 1963 la linea della fornitura attraverso il rivenditore, si è trovata a
ricoprire nei fatti, forte di un consumo di fissaggio con il suo marchio che passa attraverso
al canale trade pari al 65%, una posizione di leadership nel settore.
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Nel 2000 l’impresa ha realizzato che il canale diretto aveva una crescita maggiore. La
Fischer si era trovata a essere leader di un canale in un mercato saturo in cui la possibilità
di ulteriore crescita era difficile e scoperta rispetto al mercato che in quel momento
risultava più attrattivo e presidiato da concorrenti con una forte capillarità.
La politica commerciale è stata rivista a favore di una presenza diretta del marchio sui
luoghi in cui si consumano e si usano i prodotti. Quindi un rapporto diretto con l’utilizzatore
finale. La dimensione e la natura dell’utilizzatore finale ha spinto l’impresa in qualche
modo a contestualizzare la sua offerta in modo che al piccolo venissero offerte una serie
di soluzioni prodotto utilizzabili quotidianamente. Diversamente, considerando soggetti
molto grandi come Impregiro, si è andati a costruire, oltre che ad un offerta mirata,
un’attività di consulenza e un sistema di “forniture per stadi” che seguisse lo stato di
avanzamento del cantiere. Costruendo quindi una relazione con lo studio di progettazione
che sta seguendo il lavoro, che andrà a inserire a capitolato una serie di soluzioni “tipo
Fischer” per poi passare a una fase esecutiva in cui interviene un’assistenza tecnica.
Questa innovazione delle politiche commerciali dell’impresa fa si che la divisione
commerciale non abbia un unico direttore ma che siano state create, contestualmente ai
settori di attività, delle divisioni di business o meglio, visto che condividono buona parte
delle risorse, delle divisioni di vendita.
• Divisione edile, con prodotti da utilizzare nella costruzione di edifici;
• Divisione idro-termo-sanitaria;
• Divisione del serramento, sistemi di fissaggio per installare porte e finestre e la
componentistica per il fissaggio di elementi esterni;
• Divisione grandi clienti progetti, che segue tutte quelle attività legate a un cliente
secondo logiche di commessa;
• Una divisione che segue il mercato del business to business
A queste divisioni si affianca il Canale DIY (Do It Yourself) che segue le grandi catene di
ferramenta e hobbistica. In questo ambito la Fischer cerca di emergere e attirare il
consumatore attraverso una politica di marchio legata al packaging che permetta, anche in
un contesto saturo di brand dei marchi concorrenti e della catena stessa, una immediata
riconoscibilità. È da tener conto anche il settore della ferramenta tradizionale che copre la
piccola ferramenta fino al punto vendita medio-grande.
Ad una riorganizzazione dell’ambito commerciale è seguita anche la creazione di una rete
parallela di promoter impegnati nella “vendita creativa” che agiscono direttamente nei
cantieri.
Questo scelta così specifica deriva da alcune considerazioni sul mercato del fissaggio in
ambito cantieristico. In prima analisi i venditori che entrano nei cantieri per conto dei
rivenditori non sono degli esperti di fissaggio e devono far conoscere al cliente una vasta
gamma di prodotti eterogenei, in più il fissaggio ha per il rivenditore un peso molto esiguo
in termini di ricavi rispetto ad altri prodotti. Il fissaggio però si rivela come l’elemento
fidelizzante per i clienti, in quanto nei cantieri il bisogno di materiali di questa tipologia è
giornaliera. Attraverso la vendita del fissaggio si crea un rapporto tra cliente e rivenditore
capace di veicolare nel futuro commesse più importanti.
Il risultato è stata una rete di commerciali con una preparazione tecnicamente specifica
che andassero dagli utilizzatori finali per creare un collegamento tra il soggetto e il
rivenditore che ospita il marchio Fischer più vicino. Questo ha comportato un riordino del
sistema formativo all’interno dell’impresa, ma soprattutto ha determinato una strategia che
coinvolgendo direttamente il “venditore del rivenditore” puntava alla qualificazione dei
venditori di tutta la rete di partner collegati alla Fischer.
L’attività formativa legata alla cantieristica è diventata una scuola di formazione, Fischer.
Formazione, che è diventato a tutti gli effetti una voce di business dell’impresa con una
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sede anche a Caserta e un offerta che va dal lato tecnico a quello cantieristico, fino alle
tecniche di vendita e gestione risorse umane. La scelta di costruire un polo formativo
risulta particolarmente utile all’impresa anche nella definizione e costruzione di un
“linguaggio comune” nell’abito della cantieristica che trovi nella Fischer un suo centro.
È interessante notare come una delle maggiori difficoltà dell’impresa nell’entrare nella
cantieristica è rappresentato da una sovraesposizione del proprio brand (un esempio è la
sovrapposizione anche nel linguaggio comune del tassello in nylon con il nome
dell’impresa) che tende a legarlo, nell’immaginario comune, a un ambito più hobbystico o
artigianale cosa che rappresenta un ostacolo letteralmente culturale.
1.1.2 Produzione, tecnologie e saperi
La Fischer Italia è un impresa di 320 persone che pur essendo un’industria manufatturiera
con un’area produzione con 35 operai, ha un importantissima porzione organizzativa
dedicata al commerciale con 50 impiegati e al marketing con 28 addetti (supportati da una
rete di 75 agenti sul territorio).
L’importanza della relazione strategica tra la produzione dei sistemi di fissaggio e il
commerciale che segue i clienti delle diverse divisioni commerciali nei loro bisogni e
problemi si evidenzia nel generale piano di riordino organizzativo che l’impresa ha vissuto
dal 2002 adottando compiutamente metodologie - lean - e sistemi informativi, Sap,
orientati a un sistema spinto e trainato dal cliente per ricalcare il modello toyota.
Con un focus sulla produzione si è proceduto a definire gruppi di lavoro composti da
persone appartenenti a funzioni aziendali differenti per poi intervenire sulle attività di
pianificazione e i tempi di attrezzaggio delle macchine.
L’area produttiva di Padova città, che lavora su 3 turni, è orientata alla produzione e
confezionamento interno di tasselli in plastica. Dalla materia prima, nylon, passano allo
stampaggio plastica, quindi l’assemblaggio e il confezionamento che può essere
automatico o manuale, tutto ciò con il controllo qualità in linea. Il tipo di lavoro chiesto agli
operatori nella prima parte è quello di sorvegliare e supportare, con il cambio degli stampi
e le manutenzioni delle macchine, una tecnologia di processo e di produzione del
semilavorato, per poi provvedere a inscatolare il tassello con la sua vite. In caso di
imprevisti e carichi di lavoro maggiori in produzione si ricorre allo straordinario.
La Fischer nel suo processo di leanizzazione ha provveduto tra il 2004 e il 2005 a una
riorganizzazione dei terzisti. La Fischer aveva spostato determinate aree della produzione
verso due piccole imprese della zona. Ha provveduto poi ad acquisirle e ora rimane la
sede di Lozzo (PD), ex Ome (Officine Meccaniche Euganee). In questo sito avviene parte
dello stampaggio plastica, ma è soprattutto, con la torneria, il centro della produzione della
viteria. Lo stabilimento di Lozzo è impegnato nella produzione di sistemi di fissaggio anche
per l’area edile e cantieristica.
Gran parte dell’assemblaggio del materiale, quasi il 70%, è comunque demandato a
terzisti. Questi terzisti comprendono comunità che operano nel sociale per il reinserimento
e l’aiuto di soggetti socialmente deboli (tossico dipendenti, ex carcerati, disabili). Il lavoro
richiesto comprende assemblaggi molto semplici ovvero convertire i semilavorati in un
prodotto finito.
Adottare un sistema just in time e aver sparpagliato sul territorio la produzione e
l’assemblaggio dei semilavorati ha necessariamente richiesto un riordino dei magazzini.
All’impresa arrivano (e partono): materie prime, semi lavorati e prodotti finiti da fornitori,
consociate e terzisti. Il magazzino con i suoi 50 addetti diventa il centro del sistema
produttivo della fischer.
Il magazzino è chiamato a gestire circa 8000 codici per circa 6000 tipologie di prodotto
finito, per quasi 2000 semilavorati e una 30 di materie prime. Con picchi di 400 ordini al
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giorno con un flusso in uscita di 3700 unità di spedizione e in entrata di 250. In quest’area
nel 2007 si è proceduto a una sostanziale diminuzione del lead time di ricevimento
attraverso un processo di riordino generale
Una riorganizzazione così sostanziale, in termini di un sistema produttivo pull in cui il
cliente traina il flusso produttivo, definisce l’area assistenza clienti come lo snodo
comunicativo su cui si gioca l’interazione tra la produzione e il magazzino e la vasta area
commerciale della Fischer Italia.
L’assistenza clienti degli uffici commerciali è organizzata sotto un responsabile che è
chiamato a gestire e coordinare il gruppo di operatori che, anche per il tipo di sforzo
richiesto e le tecnologie utilizzate, lavorano in sostanziale autonomia. Gli operatori
gestiscono, veicolano e cercano informazioni di carattere tecnico-commerciale al fine di
dare un riscontro immediato al cliente dell’impresa. Operano quindi su un livello di servizio
interno e sulla risoluzione dei reclami.
Durante il lavoro viene utilizzato prevalentemente un terminale informatico (un PC) su cui
è caricato il programma di gestione dei reclami e il telefono. L’utente che si mette in
contatto può essere riconducibile a uno qualsiasi dei molti ambiti dell’area commerciale.
La gestione del reclamo è di pertinenza della Fischer nel momento in cui in cui il materiale
“esce dall’impresa” (problemi di logistica, problemi di quantità, materiale sbagliato,
documento di trasporto non conforme, sconti, prezzi, documenti, materiale in garanzia). I
media che veicolano i reclami sono diversi: fax, email, segnalazioni da venditori che in
parte sono tutte redirette sui terminali.
Il flusso lavorativo, la così detta risoluzione del cliente, avviene lungo una serie di step
rigidi definiti dal programma di gestione dei reclami: inserimento della pratica con il codice
cliente in riferimento al problema, comprendere da cosa è stato verificato (se può essere
risolta dall’operatore o hanno bisogno di maggiori informazioni), quindi definizione del
problema e risoluzione.
Sta totalmente all’operatore, per il programma quanto definisca i passaggi cognitivi, la
capacità di reperire le informazioni necessarie definendo la competenza base della sua
professionalità; la capacità di discernere, selezionare e individuare le banche dati
necessarie per dare una risposta esauriente al cliente in un flusso lavorativo eterogeneo e
discontinuo in cui le tipologie di problemi da risolvere sono molte e differenti. In cui le
pratiche aperte possono essere più di una diluendo il lavoro necessario per per un singolo
cliente in più giorni in un regime lavorativo che comunque è incentrato sulla velocità. I
soggetti devono essere autonomi nella risoluzione della problematica reperendo da soli le
informazioni e interagendo con la forza vendita esterna e gli uffici.
La direzione, come d’altronde in produzione, ha puntato a una polifunzionalità degli
operatori cosa che si traduce nel far girare il personale tra i vari uffici e ridefinendo
periodicamente le mansioni in un ottica di sperimentazione continua che prende la forma
di un processo a fisarmonica di job enlargement. Un esempio è dato dal fatto che per un
periodo i reclami erano stati incaricati anche di evadere gli ordini di piccola entità,
controllando la disponibilità del materiale e concordando l’evasione in giornata salvo poi
ritornare indietro e cancellare questa decisione.
In questo ambiente lavorativo l’implementazione delle nuove piattaforme informatiche
legate a una visulizzazione per tutti gli uffici su un unica piattaforma anche dell’ambito
logistico dei magazzini ha comportato un ulteriore cambio del flusso lavorativo. Anche la
monta di accredito viene accorpata alle relazione con il cliente facendo sovrappore il
programma di gestione del cliente a interfacce legate allo stato di un ordine. Nel momento
che il cliente segnala un errore gli operatori trasferiscono le informazioni al magazzino,
quindi sono di nuovo loro ad avere visibilità su cosa è accaduto e quindi rimettersi in
contatto con il cliente. Questo ha comportato un carico maggiore per quest’area facendoli
entrare nell’ambito delle competenze dell’amministrativo.
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Vantaggio Competitivo della Fischer Italia:
•
•
•
•
Fare parte di un gruppo
Innovazione di prodotto
Brand riconosciuto
Fidelizzazione della clientela
1.2 RSU della Fischer Italia
1.2.1 La rappresentatività
La RSU della Fischer è composta da 8 membri italiani: 6 uomini e 2 donne. Essa
rispecchia in modo adeguato la composizione sociale dell’azienda dal punto di vista sia di
genere sia anagrafico. La capacità di rappresentare le diverse componenti professionali è
più debole: metà delegati sono operai, 3 sono impiegati e 1 è quadro. Gli operai sono iperrappresentati, ma ciò è comprensibile visto che la sindacalizzazione è diffusa per lo più nel
magazzino e solo parzialmente in produzione. Dal punto di vista dell’appartenza sindacale
7 membri sono legati alla Cgil e 1 alla Cisl. Quest’ultimo è un dipendente dello stabilimento
di Lozzo Atestino, recentemente acquisito dalla Fischer Italia, dove i lavoratori
sindacalizzati sono tutti iscritti a quel sindacato.
La legittimazione sostanziale della RSU è parziale e confinata alla produzione, ma
soprattutto al magazzino, dove lavora il coordinatore della RSU e uno storico delegato
dell’azienda. Non si tratta semplicemente di una questione di partecipazione all’elezione
dei delegati, che è complessivamente bassa, dato che coinvolge stabilmente solo un terzo
dei lavoratori, ma anche di partecipazione alle assemblee e di riconoscimento della RSU
come strumento più adeguato per rispondere a bisogni e problemi lavorativi di natura
collettiva e individuale. Gli impiegati, nonostante siano rappresentati all’interno dell’organo
e in generale i dipendenti degli uffici, adottano strategie di azione individuale, salvo in
qualche caso farsi rappresentare per ottenere il part-time o permessi straordinari per
esigenze di assistenza a familiari.
La scarsa sindacalizzazione e la bassa legittimazione sostanziale della RSU portano con
sé anche una scarsa disponibilità a svolgere il ruolo di delegato e quindi ad un inevitabile
basso ricambio dei membri.
1.2.2 L’esercizio della funzione di rappresentanza
L’attività di rappresentanza è organizzata informalmante e guidata da un delegato
proveniente dal magazzino e appartenente alla Cgil. Il suo ruolo di coordinatore non è
stato deciso dalla RSU, ma si è imposto per leadership, motivazione e disponibilità. Non
esiste una divisione dei compiti tra delegati, anche se all’inizio ci avevano provato, e gran
parte del lavoro è svolto da questo delegato. Le decisioni vengono prese a maggioranza
anche se il giudizio del coordinatore sembra pesare in modo significativo. Gli incontri
avvengono generalmente una volta al mese e comunque prima degli incontri con la
direzione. Alle runione della RSU il delegato della Cisl è quasi sempre assente: le relazioni
tra gli appartenenti alle due sigle sono infatti difficoltose, o meglio inesistenti. Sebbene
esista un unico organismo e un unico sistema di regolamentazione delle condizioni di
lavoro, di fatto le due anime intendono la loro rappresentanza limitata allo stabilimento che
presidiano. Questo significa ad esempio che i delegati della Cgil non partecipano
nemmeno alle assemblee dello stabilimento di Lozzo. Il trasferimento di un lavoratore dello
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stabilimento di Padova ha recentemente permesso l’ingresso del coordinatore nell’altro
stabilimento.
La RSU si dà generalmente degli obiettivi (citati come esempio il miglioramento del premio
di produzione, l’introduzione del part-time e la formazione) e delle priorità. Ciononostante,
sembra solo parzialmente in grado di cogliere l’ampiezza e la logica delle trasformazioni
organizzative in atto e conseguentemente di indirizzare un’azione di rappresentanza
efficace.
La comunicazione e il confronto con i lavoratori avviene attraverso l’assemblea e mediante
tutti gli strumenti tradizionali, come il referendum, il volantinaggio e la produzione di
documenti. L’assemblea è convocata in media una volta al mese ed è generalmente
aziendale; solo nel caso di questioni molto settoriali vengono convocate per le singole
aree coinvolte. La RSU aveva pensato di dedicare delle assemblee specifiche agli addetti
degli uffici per aumentare il loro coinvolgimento; i risultati però sono stati disastrosi, e con
la motivazione di non mostrare la loro debolezza all’azienda hanno deciso di mantenere la
pratica degli incontri aziendali. La RSU ha puntato poi sulle tecnologie di rete per la
circolazione delle informazioni: hanno attivato una newsletter e un indirizzo di posta
elettronica. Il ruolo della comunicazione informale è rilevante per lo più nelle aree a forte
sindacalizzazione, cioè nel magazzino.
L’azione di tutela è formalmente rivolta a tutti, ma è decisamente sbilanciata verso il corpo
operaio e tra questo in particolare ai lavoratori dello stabilimento padovano. Esiste anche
una significativa attenzione verso la condizione e le sorti dei lavoatori atipici presenti in
azienda.
Il rapporto con il sindacato esterno è buono, intenso e coordinato. Ad ogni modo la RSU è
autonoma sia nella gestione delle attività più semplici (convocazione della RSU e delle
assemble, scrittura di documenti o e-mail dirette ai lavoratori) sia di quelle più complesse
come la gestione dell’assemblea e la negoziazione. Per quanto riguarda il confronto con la
direzione i delegati da qualche anno preferiscono non essere affiancati dai funzionari di
categoria, salvo casi eccezionali dove è richiesta la loro presenza. I delegati sono inseriti
in una ampia rete formativa, anche se solo alcuni la sfruttano e ciò determina una
asimmetria crescente in fatto di conoscenze e competenze. In particolare il presidio degli
uffici sembra particolarmente debole da questo punto di vista. Il giudizio positivo
relativamente alla quantità di formazione messa a disposizione dei delegati, si fa più critico
quando si tocca la questione del suo contenuto. Emerge chiaramente la richiesta di
conoscenze e strumenti adeguati ad interpretare il bilancio e le strategie aziendali.
L’RSU dichiara di avere conoscenze scarse sulla struttura del mercato dei prodotti e sulle
sue strategie competitive e addirittura inesistenti in materia di bilancio. Buone invece
sembrano essere le conoscenze relative all’organizzazione del lavoro, anche se emerge
una conoscenza superficiale delle innovazioni introdotte recentemente nel processo
produttivo. Buone sono anche quelle relative alle condizioni di lavoro, alle norme
contrattuali. Tuttavia la RSU ritiene di avere una competenza scarsa nella costruzione del
premio di risultato.
Gran parte delle informazioni relative all’azienda a disposizione dei delegati provengono
dalla dirigenza, ad ogni modo l’RSU ha sviluppato un proprio punto di vista sull’andamento
della stessa a partire dall’esperienza lavorativa e dal presidio di determinate aree
(magazzino e area commerciale). I delegati ricercano anche autonomamente informazioni,
ad esempio prendendo contattato con altre RSU che hanno affrontato questioni analoghe.
La RSU è attiva nel richiedere quegli strumenti che le possono consentire di svolgere
adeguatamente il suo ruolo. Dispone di un ufficio, di un telefono, una fotocopiatrice e di un
PC con connessione ad internet. Il coordinatore ha una buona agibilità sindacale che si
esprime nella possibilità sia di spostarsi all’interno dell’azienda per svolgere il proprio ruolo
di rappresentanza sia di non essere presente per impegni connessi all’appartenenza
14
sindacale che alla formazione. Decisamente minore agibilità è concessa ai delegati che
lavorano negli uffici. In parte questo dipende dal tipo di lavoro (è il caso della delegata che
lavora al servizio clienti), ma è chiaro che il riconoscimento da parte dell’azienda del loro
ruolo è unicamente formale.
L’atteggiamento della RSU verso l’azienda è di tipo contrattualistico, ma con un obiettivo
partecipativo. Vi è un riconoscimento sostanziale delle finalità aziendali e del ruolo del
management a partire dal quale la RSU intende scambiare in maniera funzionale e
proceduralizzata l’impegno lavorativo e la flessibilità non solo con una maggiore
redistribuzione, ma con una attenzione anche ad altri aspetti della condizione lavorativa. Il
conflitto è concepito come uno strumento praticabile, ma solo qualora i normali canali di
risoluzione delle vertenze si siano chiusi. Questo atteggiamento è anche in parte tattico,
dato che la capacità di mobilitazione è molto limitata.
1.2.3 Il sistema di relazioni sindacali presente in azienda
La strategia competitiva della Fischer Italia punta fortemente sulla qualità del servizio al
cliente oltre che del prodotto, per questo la ricerca del coinvolgimento dei lavoratori è
oggetto di particolare attenzione. L’azienda ricerca la disponibilità dei lavoratori investendo
nell’ambiente di lavoro, e in particolare nella sicurezza, nella trasparenza e comunicazione
attraverso una rete intranet, fornendo alcuni servizi e attraverso sistemi formali di
incentivazione al miglioramento continuo e informali ricorrendo ampiamnete ai
superminimi individuali.
L’investimento nel confronto con la RSU è invece minore e selettivo, sebbene negli
accordi integrativi venga sempre formalizzata la volontà di costruire un sistema di relazioni
industriali basato sulla partecipazione. Il riconoscimento della RSU è sostanziale solo per
quanto riguarda il magazzino: i delegati emanazione di questa area riescono a negoziare i
passaggi di categoria dei rappresentati, vengono consultati nel caso di spostamenti dei
lavoratori, hanno maggiori informazioni, ottengono più rapidamente attenzione qualora vi
siano dei problemi o delle richieste e hanno una maggiore agibilità sindacale. Negli uffici
tutto questo non avviene e anzi c’è una discreta pressione su chi svolge il ruolo di
rappresentanza. Un approccio differenziato che potrebbe trovare la sua ragione nella
combinazione di forza della RSU nel magazzino e di centralità della funzione logistica per
l’impresa.
Complessivamente, l’azienda non sembra considerare le relazioni industriali una leva
cruciale per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Esiste un direttore del personale, ma non
fa parte del board che decide la strategia, inoltre la sua autonomia è piuttosto limitata dato
che deve riportare a quest’ultimo tutte le proposte e questioni oggetto di discussione con
la RSU. Questo comporta spesso una dilatazione dei tempi di chiusura degli accordi.
La direzione è abbastanza aperta al confronto su temi più ampi di quelli tradizionali, e
anche all’innovazione dei contenuti, ma ha una condotta negoziale passiva: le proposte e
le iniziative provengono sempre dalla RSU. Inoltre l’organizzazione del lavoro è
considerata una prerogativa aziendale: l’introduzione della logica lean non è passata
attraverso un confronto o una consultazione con la rappresentanza, anche se è stata
invitata a partecipare alla sua implementazione.
Ciononostante la direzione sembra piuttosto disponibile a fornire ai rappresentanti dei
lavoratori informazioni relative all’andamento dell’azienda, produzione, occupazione e in
particolare all’utilizzo di lavoro atipico, ma più in generale tutti quegli argomenti che
possono permettere una visione complessiva dell’azienda. Tale apertura, codificata negli
accordi, tende a rimanere sulla carta, ma questo sembrerebbe dipendere non solo da un
comportamento elusivo della direzione ma anche da una poca cura di questi aspetti da
parte della RSU.
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Il confronto tra le parti è piuttosto frequente, normalmente una volta al mese, ma non si
basa su procedure codificate, sebbene la contrattazione preveda la possibilità di
programmare incontri periodici e l’apertura di tavoli di confronto per materie come la
sicurezza, gli orari e la formazione.
Gli accordi, che assumono solo la forma scritta, non vengono monitorati stabilmente dalla
RSU e questo viene giustificato dal coordinatore alla luce della scarsa disponibilità di molti
delegati.
Il contenuto degli accordi integrativi riguarda: le relazioni tra le parti e il sistema di
informazione, l’orario di lavoro, la sicurezza, le ferie e un permesso speciale di paternità, la
formazione, il part-time, i lavoratori interinali, l’inquadramento professionale e il PdR.
Analisi degli esiti negoziali:
La flessibilità
L’azienda fa un discreto uso della flessibilità oraria, soprattutto in produzione e in
magazzino. Nel 2006 è stato stipulato un accordo nel quale si prevede la possibilità per
l’azienda di attivare il 3° turno notturno. La procedura comporta una comunicazione
aziendale almeno 3 giorni prima dell’inizio del nuovo sistema di orario, con indicazione
della durata prevista e la composizione delle squadre. Sebbene tale disposizione fosse
esplicitamente riferita a tutti i reparti aziendali, produttivi e magazzini, nella pratica ha
coinvolto solo la produzione.
L’accordo in questione regola anche lo straordinario, che è lo strumento ordinario per la
gestione della flessibilità. Le parti hanno previsto che qualora siano necessarie prestazioni
straordinarie da parte di gruppi o di uno o più reparti, ossia quando hanno carattere
collettivo, la direzione può richiederle con un preavviso di almeno 2 giorni.
La flessibilità è scambiata con maggiorazioni della retribuzione oraria: nel caso dello
straordinario possono essere del 20%, 40% o 50%, a seconda del giorno, mentre nel caso
di lavoro a turno l’incremento è dell’8% per i primi due turni e del 40% per il terzo. Il turno
notturno inoltre è compensato con una maggiorazione fissa di (6,04€), un’indennità
sostitutiva della mensa (3,87€) e con ½ ora di Rol aggiuntivo per notte.
Nel 2009 per affrontare una riduzione consistente degli ordini senza dover ricorrere alla
Cig, le parti hanno definito una banca ore straordinaria ed obbligatoria che prevedeva la
riduzione di 52 ore all’interno di un periodo di quasi due mesi. I lavoratori avrebbero
dovuto restituire queste ore secondo le effettive esigenze nel periodo compreso tra
maggio e dicembre. Un gestione poco attenta dello strumento e il successivo ricorso alla
Cig hanno prodotto alla fine delle disparità di trattamento per cui alcuni lavoratori non
hanno effettuato i recuperi ed altri hanno lavorato il sabato senza maggiorazione. Questa
situazione ha creato un certo malumore che in parte è ricaduto sulla RSU.
La Fischer fa un uso ridotto del lavoro somministrato e quasi unicamente per figure
operaie da utilizzare in magazzino. La contrattazione integrativa ha previsto una
procedura di comunicazione sull’uso di queste forme contrattuali atipiche, ma è
praticamente inutilizzata a causa dello scarso interesse della RSU. Ciononostante vi è un
tentativo di estendere la tutela a questi lavoratori: innanzitutto non escludendoli dal PdR e
inoltre prevedendo delle forme di stabilizzazione.
Le voci retributive
Gli elementi retributivi aziendali passano in parte attraverso la contrattazione collettiva e in
parte attraverso quella individuale. Questa componente, diffusa in tutti i reparti, è
particolarmente significativa nel caso dei tecnici, degli ingegneri e in generale delle altre
professionalità. Per quanto riguarda la produzione e il magazzino la RSU accetta la
gestione unilaterale dei superminimi, ma pretende di negoziare i passaggi di categoria.
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La contrattazione collettiva introduce due elementi retributivi: il Premio di Produzione
Aziendale Parametrato (PPAP) e il Premio di Risultato (PdR).
Il PPAP è una erogazione retributiva continuativa ed in cifra fissa che varia a seconda del
livello e viene erogata in unica soluzione nel mese di luglio. L’accordo integrativo del 2004
ha rivisto gli importi che da allora sono rimasti invariati (importi compresi tra 132€ e 238€).
Il PdR è stato imposto dall’azienda sebbene la RSU sia riuscita nel tempo ad inserire un
indicatore di natura redistributiva. In effetti, si caratterizza per una deciso carattere
incentivante in particolare delle prestazioni che possono incidere sugli obiettivi strategici
della Fischer, ossia la qualità e la velocità del servizio al cliente. La struttura del PdR è
stata ritoccata numerose volte: sono stati rivisti alcuni obiettivi perché troppo difficili da
raggiungere, è stato inserito un indicatore di fatturato e recentemente uno legato al
miglioramento continuo, e aumentati gli importi massimi.
Gli indicatori adottati sono 4: “Reclami da Cliente”, “Livello di Servizio”, “Crescita reale”
(crescita del fatturato oltre i 3 punti percentuali), “Fischer Process System” (idee di
miglioramento approvate). Tranne l’indicatore di crescita reale, il cui importo è vincolato
per il 50% al raggiungimento degli obiettivi legati ai reclami e al livello di servizio, tutti gli
altri concorrono autonomamente alla determinazione del premio. Il meccanismo premiante
è a “gradini” senza uno “zoccolo” minimo garantito. I lavoratori somministrati sono inclusi.
Gli importi massimi sono partiti da un livello decisamente basso e sproporzionato rispetto
allo sforzo richiesto per raggiungere gli obiettivi (400€ nel 2005). Nel tempo sono andati
crescendo e nel 2009 è stata messa a disposizione una cifra massima di 1100€. Tuttavia,
negli ultimi il premio percepito dai lavoratori si è aggirato attorno ai 500€.
Riconoscimento e rappresentanza della diversità
Le donne alla Fischer sono quasi tutte impiegate, e come gran parte dei loro colleghi degli
uffici tendono a tutelare i propri interessi individualmente. Solo alcune fanno riferimento
alla RSU per ottenere i permessi retribuiti ex legge 104 del 1992 o per trasformare il
rapporto di lavoro in part-time. La RSU ha negoziato con l’azienda la possibilità di
trasformare i contratti full time in part-time, entro un massimo del 5% sul totale
dell’organico e ha ottenuto inoltre che qualora il dipendente non faccia richiesta, si
costituisca una commissione congiunta per valutare la domanda.
Innovazione
Negli anni la contrattazione si è arricchita di alcuni elementi innovativi. L’iniziativa è quasi
sempre partita dalla RSU, ma, data la scarsa legittimità della rappresentanza, gli esiti
sarebbero stati ben diversi se l’azienda non avesse avuto una politica contrattuale di
apertura. I temi introdotti sono: la commissione formazione per discutere gli interventi
formativi, un sistema di banca ore per gestire una riduzione della domanda, l’aumento del
contributo aziendale al fondo pensione di categoria e l’ingresso in un fondo sanitario.
Quale modello di relazioni industriali?
Alla Fischer troviamo un sistema di relazioni industriali che potremmo definire a
partecipazione “debole”. Esiste un riconoscimento reciproco tra le parti e un impegno per
conciliare gli interessi, anche ripartendo costi e benefici. Le parti hanno anche cercato di
dare una formalizzazione minima al sistema, prevedendo dei momenti di confronto
periodici su alcune questioni, tuttavia il sistema rimane sottoutilizzato. Probabilmente da
parte dell’azienda non c’è un incentivo a qualificare il rapporto, vista la debolezza della
controparte e la sua legittimazione parziale. L’RSU parimenti sembra più interessata a
cercare strategie per recuperare il rapporto con i lavoratori che a valorizzare il confronto
con la direzione.
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L’azienda, è sicuramente più interessata a sviluppare il coinvolgimento individuale dei
lavoratori: l’apertura a negoziare questioni non tradizionali e temi innovativi sembra quindi
reggersi sulla concezione del contratto come servizio ai lavoratori e quindi ad essere
utilizzata come ulteriore strumento di incentivazione.
Infine, il caso della Fischer-Italia evidenzia il tema spinoso della rappresentanza delle alte
professionalità e dei limiti del sindacato nel pensare a forme di approccio, di tutela e
servizi in grado di ricomporre il lavoro a partire dalla sue trasformazioni.
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2. Hiref S.p.a
L’Hiref S.p.a. di Tribano (PD) è un’impresa che fa parte del Gruppo Galletti. Il Gruppo oltre
a comprendere l’Hiref S.p.a. e la Galletti S.p.a. include anche la Tecno Refrigeretion s.r.l..
La Galletti, attualmente con sede a Bentivoglio (BO), operava nel mercato italiano già da
un secolo, ma è solo a partire dagli anni ‘70 e attraverso partnership internazionali che si
indirizza definitivamente e matura competenza nel mercato del condizionamento dell’aria,
arrivando, poi, ad assumere l’attuale identità di Gruppo nel 2001 con la nascita dell’Hiref e
della sua affiliata la Tecno Refrigeretion S.r.l..
Hiref S.p.a. nasce quindi nel 2001 dall’incontro tra l’iniziativa imprenditoriale del Dott. Ing.
Mauro Mantovan (attualmente a capo dell’impresa) e il bisogno da parte della Galletti
S.p.a. di rivedere le proprie politiche aziendali in favore di un approccio marcatamente
orientato alla ricerca tecnologica e un conseguente ampliamento della gamma di prodotti
per incontrare un mercato che non fosse solamente quello nazionale e di settore.
Il modello d’impresa Hiref è orientato all’innovazione; innovazione che si declina di volta in
volta attraverso le strategie dell’impresa, i mercati di riferimento, l’offerta e gli assetti
organizzativi.
La proprietà individua nella propria dimensione d’impresa, media, uno dei propri fattori di
forza. La dimensione dell’Hiref, ancora comunque da considerare una start up sia per
processi organizzativi tuttora in corso sia per la continua ricerca di metodi di produzione, di
personale e studi di mercato, permette di evitare “quell’elefantiasi decisionale” che la
dirigenza leggeva come la principale incapacità di un impresa per emergere nel settore.
L’importanza della reattività e dell’efficacia della risposta diventava strategicamente
cruciale rispetto al mercato in cui l’Hiref desiderava inserirsi.
2.1 Mercati, strategie e prodotto
L’impresa si inserisce all’interno di un settore del condizionamento dell’aria molto
competitivo: condizionamento di precisione e refrigerazione di processi industriali. Questo
particolare campo della climatizzazione - rispetto alla climatizzazione civile, in cui già
operava la Galletti e che ha centinaia di competitor - vede in campo quattro grandi player
a livello europeo con cui confrontarsi. In più bisogna considerare che il Triveneto e
soprattutto con il distretto di cui la stessa Hiref fa parte, ha la maggiore concentrazione del
mondo (Cina esclusa) di imprese del settore, quindi non solo una risorsa in termini di
conoscenze e competenze, ma anche un ambiente altamente competitivo.
La dirigenza dell’Hiref, scegliendo di entrare in un mercato in cui il vantaggio competitivo
non è certo dato dalle politiche di prezzo, individua il risparmio energetico come il proprio
ambito d’azione strategico per eccellenze.
Un ambito piuttosto specifico in cui operano è quello legato al sistema delle infrastrutture
informatiche legate alla comunicazione. La climatizzazione dei data center che
processano le informazioni è un aspetto fondamentale per le imprese che operano
nell’ambito delle ICT. Non solo per un aspetto meramente ingegneristico per cui
processare dati significa produrre calore, calore che a sua volta può mettere in difficoltà o
azzerare le performance della macchina, ma soprattutto perché l’informazione di per sé ha
un valore di cui risponde la compagnia che gestisce o eroga il servizio. Considerando che
i clienti dell’Hiref sono gruppi e compagnie multinazionali, i flussi energetici che sono
chiamati a gestire sono enormi e conseguentemente anche il loro valore e il consumo di
energia per il raffreddamento delle infrastrutture. L’Hiref propone un sistema di
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raffreddamento proporzionato alle performance delle capacità computazionale
dell’informatica contemporanea e con un forte risparmio sui costi di gestione per il cliente.
A questo aspetto si somma la forte attenzione a un prodotto, come lo definisce la stessa
dirigenza, custom made per il cliente. L’Hiref ha cercato di implementare figure polivalenti
che possano lavorare sia in ambito R&S e sia interloquire con il cliente bypassando il
commerciale, e definendo un gap temporale tra problema e soluzione molto breve. Un
meccanismo apertamente teso a costruire una relazione di fiducia col cliente che poi si
concretizza in una politica aziendale precisa: “il valore aggiunto che si cerca di dare al
cliente è la consulenza”. Il ruolo chiave della R&S nella relazione con il cliente si mostra
nel momento in cui i clienti vedono il proprio prodotto testato per la prima volta.
L’Hiref è un impresa che opera prevalentemente all’estero e soprattutto nel Nord Europa,
questo in forza anche della sua natura di start up. L’impresa ha avuto sin dall’inizio una
vocazione transnazionale, ma a giocare un forte ruolo per una sua definitiva collocazione
internazionale è stata la possibilità d’interagire con clienti che potessero pagare
velocemente. Successivamente si è orientata a quei paesi dell’Europa dell’Est che per
entrare in Europa dovevano adeguare i propri standard tecnologici. Ultimamente ha
iniziato ad operare nel continente africano. Altro aspetto da considerare è quello che
operano in maggioranza con clienti direzionali.
Per quanto riguarda l’acquisizione delle materie prime l’Hairef passa attraverso borse
estere, mentre i semilavorati arrivano da aree extra europee e la componentistica
elettronica viene acquistata da grandi multinazionali leader del settore
Come si è visto il prodotto di punta dell’Hiref sono i climatizzatori per il raffreddamento
delle centrali telefoniche o in generale per i data center. Per quanto la differenziazione del
proprio prodotto rispetto alla concorrenza in questo ambito si giochi sul risparmio
energetico, l’Hiref dispone di almeno 40.000 tipologie di prodotto finito che esulano
dall’ambito legato alle ICT. Tale proposta si basa su un approccio modulare ai propri
prodotti che parte da un migliaio di elementi base. Ciò comporta due vantaggi immediati:
• Un sensibile accorciamento del tempo nel processo di definizione del prodotto, in
quanto si possono utilizzare componenti già presenti in altri modelli senza dover
progettare da zero un nuovo prodotto;
• Realizzare economie di scopo attraverso la realizzazione di economie di scala sui
componenti e non sui prodotti finali.
Per mantenere un vantaggio competitivo strutturato su un prodotto a basso consumo
energetico e personalizzato l’Hiref ha puntato fortemente sulla R&S e su un rapporto di
partnership con l’Università. Questa relazione, oltre che naturalmente rafforzare l’area di
ricerca dell’impresa ha portato altri benefici.
Ospitando studenti che svolgono la propria tesi di laurea o di dottorato all’interno
dell’azienda l’impresa opera già una strategia di selezione e valorizzazione delle risorse
umane. Da un lato l’Hiref utilizza la relazione con l’Università come medium per cercare
competenze fuori dai normali canali, dall’altro i soggetti che entrano sono “cresciuti”
nell’Hiref affinando e definendo le proprie competenze contestualmente a quell’ambiente:
knowledge embed.
L’Hiref promuovendo dottorati di ricerca e pubblicazioni scientifiche allarga sia la sua rete
di consulenti esterni e collaboratori, ma attiva una strategia di marketing virale. L’impresa
in questa maniera si fa conoscere riuscendo a intercettare lavori che permettono di
operare in ambiti tecnologici all’avanguardia e in definitiva di costruire un immagine solida
e definita nel settore.
L’Hiref nasce come uno spin off della Galletti rientrando all’interno di una più vasta politica
del gruppo tesa a rafforzare, ampliare e completare l’offerta di mercato del gruppo, ma
mantiene una posizione di forte autonomia. In definitiva si può definire tra le due imprese
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un rapporto che supera la semplice integrazione definendo nei fatti una relazione più
complessa. Sia la Galletti S.p.a. che L’Hiref S.p.a. attuano simultaneamente e
mutualmente delle strategie di exploration e exploitation.
Se si considera il Gruppo Galletti nel suo complesso si vede come all’Hiref S.p.a. siano
spettate quelle funzioni, definiamole esplorative, di ricerca e sviluppo (creazione di
prototipi), di ricerca di nuovi mercati esteri e di relazione con il mondo universitario della
ricerca che hanno portato il gruppo a coprire la domanda di sistemi di condizionamento
altamente performanti dal punto di vista del consumo energetico e costruiti in base alle
specifiche esigenze della clientela. La Galletti S.p.a. invece mette in produzione i prototipi
sviluppati dall’Hiref e “definisce” il prodotto per un mercato nazionale attuando una serie di
rodate routine organizzative legate all’ambito commerciale e alla produzione e attiva
conoscenze maturate in decenni di presenza sul mercato.
2.1.2 Produzione, tecnologie e saperi
L’Hiref è un impresa di 86 dipendendenti, di cui 60, tra diretti e indiretti, lavorano in
produzione e 26 negli uffici. È un impresa piuttosto giovane, la media dell’età dei
dipendenti si attesta intorno ai 30 anni, ma soprattutto è un impresa maschile. La
componente femminile del lavoro è quasi assente ed è concentrata nell’area impiegatizia
(progettazione, commerciale, ufficio acquisti e ufficio tecnico che fa da collegamento tra
l’impresa e l’Università di Padova) in cui lavorano 6 donne delle 8 presenti in azienda (le
restanti lavorano una in magazzino con mansioni di controllo qualità e una in produzione
alla finitura e all’imballo del prodotto). Con un solo addetto alla saldatura in produzione la
componente migrante del lavoro è praticamente assente.
La struttura organizzativa dell’impresa sembra rispecchiare in modo accurato le politiche di
management del gruppo. L’integrazione tra il Gruppo Galletti e l’Hiref passa attraverso una
gestione comune della logistica permettendo così ai clienti di interagire con una sola
interfaccia. Allo stesso modo il Gruppo sfrutta un sistema gestionale unico e localizzato
fisicamente alla Galletti S.p.a.. Per quanto riguarda la rete commerciale anche questa è
unica rispetto al Gruppo, ma la divisione per aree segue la logica che ha portato alla
nascita dell’Hiref: la divisione per competenze. Bologna gestisce e risponde al mercato
italiano e l’estero è seguito dall’impresa padovana. Gli uffici seguono le aree della
progettazione e il commerciale e l’ufficio tecnico serve anche da collegamento tra
l’impresa e l’Università.
È interessante vedere come L’Hiref, per raggiungere i propri obiettivi strategici, tutti basati
sulla rapidità e tempestività (rapidità decisionale in ambito organizzativo, capacità di
rispondere rapidamente ai bisogni del proprio cliente, produrre velocemente prototipi da
proporre al gruppo), scelga di verticalizzare il processo. L’impresa scegli di portare dentro
segmenti produttivi generalmente esternalizzati come la produzione dell’elettronica e la
lavorazione della lamiera, acquisendo le tecnologie relative alla lavorazione della plastica
e rafforzando la struttura di test. Ma non tutto il sistema produttivo è sotto l’ombrello
dell’Hiref. In magazzino, in cui il lavoro è prevalentemente quello di facchinaggio con il
carico e lo scarico delle merci che generalmente sono materie prime, semi lavorati e
componenti per l’impiantistica elettrica, è presente una cooperativa.
La decisione di verticalizzare il processo è in gran parte riconducibile alla sua natura di
start up, in quanto l’abbassamento dei costi era uno dei vincoli più forti a cui doveva
rispondere il management dell’impresa padovana. Cercando di costruire, come spiega la
dirigenza “una catena del valore aggiunto più lunga possibile”, “in modo che la materia
prima abbia un incidenza minore sul bilancio”. Questo al fine di avere un vantaggio in
termini di flessibilità interna nella gestione dell’impresa.
21
L’Hiref come si è visto lavora in maggioranza su prototipi quindi le linee di prodotto
“personalizzate” rappresentano 60% della produzione e il restante 40% sono i prodotti finiti
delle linea dei refrigeratori d’acqua.
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•
linea di produzione della Telefonia
linea di produzione Close control/armadi
linea di produzione Server Civer
linea di produzione Civer Indistriali
Da tre anni ci sono due responsabili di linea (controllano ciascuno due linee) che seguono
l’avanzamento delle macchine sulla linea, l’approvigionamento di materiali mancanti o i
componenti e definiscono l’ordine delle procedure. Si può andare dal singolo pezzo a lotti
di 150 pezzi, permettendo così una produzione che lavora su turni giornalieri con un
ricorso saltuario ed in termini di emergenza allo straordinario ed in caso al reclutamento di
lavoratori a tempo determinato. In questa senso flessibilità è intesa come capacità di
risposta adattiva da parte dell’impresa al mercato e al cliente. Ma anche come capacità da
parte della produzione di attivarsi istantaneamente al sorgere di una problematica
individuando competenze tecniche cruciali e riorganizzare la produzione.
Per quanto la produzione sia piuttosto lineare nelle sue fasi: con la carpenteria dove
vengono assemblati gli elementi che compongono la struttura di sostegno, l’assemblaggio
dell’impianto idraulico e frigorifero, quindi l’impiantistica elettronica, il collaudo, per poi
passare in finitura ed essere imballata e spedita. Si può comunque parlare di un “ambiente
snello” ancora non strutturato disciplinarmente e gerarchicamente. L’elemento critico e
centrale della produzione è comunque il collaudo dato che “il processo non è tutto ben
definito e la maglia è sugli operatori di fine linea e sulla parte elettronica”. A questo step
della produzione si somma un dispositivo di controllo della produzione che permette la
tracciabilità del soggetto che ha lavorato alla macchina.
Le richieste del cliente spesso fanno si che sia impossibile produrre un foglio di montaggio
in tempo. L’ufficio tecnico allora collabora strettamente con la produzione cercando di
trovare una soluzione attraverso un percorso di sperimentazione in cui il sapere tecnico
incontra il sapere professionale dei soggetti direttamente impegnati nella produzione. La
valorizzazione del sapere professionale è una pratica comune anche nel momento in cui ci
sono lotti particolarmente delicati, facendo pensare a un processo per team work anche se
non apertamente formalizzato. In cui la linea è solo uno spazio lungo cui muoversi rispetto
alle problematiche che il capo linea e gli altri addetti alla produzione del lotto devono
risolvere in continua relazione con l’ufficio tecnico.
Questa particolare gestione degli spazi si rispecchia anche nella ricerca e sviluppo. Con
una R&S orientata a dare risposte tempestive alle proposte più particolari dei clienti la
progettazione dei prototipi diventa uno spazio aperto e d’incontro in cui collaborano,
ingegneri, lavoratori, professori universitari e dove la produzione si sovrappone al
laboratorio e viceversa definendo dei fatti l’area della produzione segmentata dalle linee
come uno spazio polivalente attraversato da più e differenti figure impegnate a titolo
differente nella produzione.
Vantaggi competitivi dell’Hiref:
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Innovazione tecnologica
Approccio personalizzato sulle esigenze del cliente
Assitenza al cliente
Time to customer molto rapido
Relazione con l’università
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2.2 RSU dell’Hiref
2.2.1 La rappresentatività
Fino a due anni fa nell’azienda non vi era stata una penetrazione sindacale. I motivi sono
facilmente individuabili: l’azienda era giovane, con pochi addetti, sebbene il loro numero
fosse in forte crescita di anno in anno, molti di questi lavoratori erano neoassunti, con
contratti di apprendistato, tra questi vi erano anche molti ingegneri, spesso entrati dopo un
periodo di stage in azienda nel quale avevano realizzato la tesi di laurea. I lavoratori con
maggiore anzianità aziendale, anche con qualifiche operaie, quelli che hanno visto
nascere e hanno partecipato alla realizzazione dei primi prodotti, hanno invece un
rapporto molto stretto e informale con il titolare dell’azienda, in alcuni casi erano stati
anche colleghi in una precedente ditta. Questo particolare mix di precarietà della
condizione lavorativa, di alta professionalità e di prossimità e informalità nei rapporti con
l’imprenditore avevano inibito ogni avvicinamento al sindacato esterno e ogni richiesta di
costituzione di una struttura di rappresentanza dei lavoratori.
L’ingresso del sindacato in azienda e i primi tesseramenti, come spesso accade, sono stati
il sottoprodotto di un conflitto individuale di un lavoratore con l’azienda: conflitto che non si
è esteso però al resto dei dipendenti, anzi gli attuali delegati hanno stigmatizzato nel
merito e nel metodo il conflitto. Ciononostante, tale evento ha permesso la scoperta di
questa azienda da parte della Fiom-Cgil che è riuscita a fare la prima assemblea
sindacale. Da questa assemblea, molto partecipata, una dozzina di lavoratori del reparto
produttivo, i più “anziani” e con contratto a tempo indeterminato hanno deciso di iscriversi
al sindacato. Poco dopo sono state indette le elezioni della rappresentanza sindacale.
Alla votazione ha partecipato il 67% dei dipendenti: ossia quasi tutti gli addetti alla
produzione e nessuno degli uffici. L’unica sigla sindacale presente è quella che ha
innescato il processo di sindacalizzazione dell’azienda.
La rappresentanza è composta da 3 membri, tutti operai, giovani e rappresentativi dell’età
media dei lavoratori.
La rappresentatività parziale della RSU è anche sostanziale; i delegati sono un punto di
riferimento per questioni individuali e collettive solo per gli operai della produzione. E ne
sono consci. Il resto dei dipendenti, in particolare gli ingegneri negoziano individualmente i
termini d’impiego.
2.2.2 L’esercizio della funzione di rappresentanza
La rappresentanza sindacale è presente in azienda da due anni, è piccola e composta da
lavoratori appartenenti alla stessa sigla sindacale e che tra l’altro si conoscono da alcuni
anni. Il funzionamento dell’organismo è quindi molto informale: non esiste una divisione
dei compiti tra delegati e le decisioni vengono prese consensualmente. Anche per questo
motivo gli incontri formali avvengono ogni due o tre mesi. I delegati sin dall’inizio si sono
posti degli obiettivi, non molti, ma precisi: aumento delle retribuzioni attraverso un PdR,
formazione, inquadramento professionale.
Vista la dimensione dell’azienda, e la concentrazione della produzione in un unico spazio
la comunicazione informale tra i delegati e i lavoratori della produzione è molto frequente
ed anche il canale privilegiato per l’emersione di problemi o esigenze sia individuali sia
collettive. Tra i canali formali di comunicazione si ricorre principalmente all’assemblea, di
norma ogni due o tre mesi. Nonostante la dimensione informale abbia un carattere
predominante è comunque un momento sentito da tutta la base di riferimento dei delegati
che partecipa e ultimamente anche interviene. Inoltre, il contratto integrativo è stato
sottoposto al giudizio dei lavoratori mediante referendum.
23
La RSU non si interessa della rappresentanza degli ingegneri e in generale degli addetti
degli uffici, anche se ha cercato contatti formali con questi lavoratori al momento
dell’elezione.
Il rapporto con il sindacato esterno è decisamente positivo, frequente e caratterizzato in
termini di consulenza tecnica, per la tutela individuale e nell’esercizio sia dell’assemblea
sia della negoziazione, in quanto ha una autonomia gestionale parziale. L’RSU non ha mai
preso in considerazione l’opportunità di contattare i delegati della Galletti, l’azienda
capogruppo.
Per quanto riguarda le risorse a disposizione della RSU, sebbene non vi sia un alto
numero di iscritti (18) sembra avere un buon potenziale di mobilitazione della componente
operaia derivante anche dalla considerazione professionale di cui gode un delegato che è
stato tra i primi lavoratori ad essere assunti dall’azienda. La RSU gode anche di una
sufficiente agibilità, in proporzione alla dimensione aziendale, per l’esercizio del ruolo: i
delegati non hanno difficoltà a muoversi all’interno dello stabilimento, possono accedere
ad una fotocopiatrice, ma non hanno un ufficio riservato. Le riunioni avvengono in mensa.
Per quanto riguarda le conoscenze e le competenze, la RSU ha una buona conoscenza
dell’organizzazione del lavoro e più in generale del processo produttivo di cui conosce
caratteristiche e criticità. Ovviamente, la composizione sociale dell’organismo fa si che gli
aspetti legati alla progettazione siano compresi ad un livello più superficiale. Sufficienti
sono invece le conoscenze relative alla struttura del mercato in cui opera l’azienda, alle
strategie aziendali e al suo stato economico finanziario. Superficiale è la conoscenza del
gruppo di cui Hiref fa parte. I saperi connessi all’organizzazione produttiva sono
sostanzialmente frutto dell’esperienza lavorativa, mentre gli altri sono possibili grazie alla
trasparenza dell’azienda e di un’autonoma strategia di osservazione (dati di bilancio,
ordini, valori degli indicatori del PdR) Sufficienti, in rapporto alla dimensione e complessità
dell’organizzazione, sono anche le competenze tecniche per svolgere la funzione di tutela
individuale e collettiva.
L’atteggiamento verso la controparte e le relazioni sindacali è di tipo partecipativo: vi è un
pieno riconoscimento delle competenze e della leadership del titolare, e la soddisfazione
per la qualità del lavoro e dell’ambiente relazionale sostengono un consenso e un
coinvolgimento diretto e indiretto. La RSU, non considera tuttavia il conflitto come una
pratica di disfunzionale, ma lo ritiene allo stato attuale inutile e in parte impraticabile.
Hanno aderito a scioperi di categoria, ma la partecipazione dei lavoratori è stata per lo più
passiva.
2.2.3 Il sistema di relazioni sindacali presente in azienda
Lo stile aziendale di gestione delle relazioni d’impiego e delle relazioni sindacali avviene
all’interno di un quadro di riferimento unitario. Tuttavia, non si tratta di un approccio
ideologico basato sulla concezione dell’impresa tout court come comunità d’interessi, ma
pretende di legittimarsi alla luce della specifica esperienza imprenditoriale. Il titolare infatti
rappresenta (e si autorappresenta) l’idealtipo shumpeteriano di “imprenditore puro”: si
tratta di un ingegnere, con delle qualità di leadership (intuizione, capacità di visione,
competenza e determinazione) che ad un certo punto della sua carriera di dipendente
decide di rischiare in proprio sviluppando un prodotto innovativo. Le dimensioni
dell’azienda (che è diventata media recentemente e molto rapidamente), l’assenza di
capitale proprio, il legame stretto con alcuni dei primi dipendenti che erano gli ex colleghi,
il senso di appartenenza alla comunità di pratiche degli ingegneri e una sostanziale
visione tecnocratica nella gestione dell’impresa, sembrano aver influito sullo stile informale
e comunicativo di relazione con i lavoratori, sull’utilizzo di forme di gerarchia morbide e di
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pratiche paternalistiche selettive. Questo approccio unitario, tuttavia non ha impedito un
immediato riconoscimento della presenza sindacale, quando è emersa, e
successivamente della legittimità e del ruolo della struttura di rappresentanza. Una visione
fortemente tecnocratica nella gestione dell’azienda ha probabilmente suggerito la
necessità di una rapida integrazione di questa funzione emergente nella struttura
organizzativa. Il riconoscimento formale è pieno, ma con la consapevolezza che è nei fatti
limitato al reparto produttivo. Il conflitto è astrattamente concepito come una disfunzione
del sistema che dovrebbe prevenirlo in un ottica di bene comune. A propendere per
questo approccio potrebbe aver partecipato anche l’amministratore delegato del gruppo
galletti, che sembra avere una visione paternalistica del lavoro e alle spalle ha molti anni
di relazioni industriali “competitive” con la Fiom emiliana. Se si guarda alle risorse
destinate alla gestione del lavoro e al confronto con la RSU, l’Hiref si caratterizza come
una piccola impresa: esiste un ufficio del personale che si occupa unicamente della
gestione amministrativa dei dipendenti, il reclutamento avviene su selezione del titolare e
non è presente alcuna pratica “strategica” di gestione delle risorse umane. Per quanto
riguarda alcune figure più ricercate e specializzate sul prodotto esistono meccanismi di
“head hunting” all’interno delle aziende del cluster.
Il titolare gestisce il consenso e il coinvolgimento anche mediante una ampia trasparenza
nella gestione dell’attività imprenditoriale. L’informazione diretta ai lavoratori avviene
attraverso canali informali e recentemente attraverso un giornalino saltuariamente redatto
dallo stesso titolare. Alla rappresentanza vengono fornite tutte quelle informazioni che
possono essere utili per una efficace tutela dei lavoratori o che concernono l’andamento e
le iniziative aziendali. Ora ciò avviene su richiesta delle RSU, ma è stato codificato un
sistema di informazione a cadenza fissa che aspetta di essere implementato.
In generale il confronto tra RSU e azienda è ancora ampiamente basato sull’informalità; gli
incontri avvengono in genere ogni 2 o 3 mesi, ma se i delegati lo richiedono sono concessi
tempestivamente.
Alla negoziazione partecipano sia l’amministratore delegato del gruppo sia il titolare
dell’azienda, ma la risoluzione di questioni ordinarie è gestita da quest’ultimo mediante
accomodamenti verbali con i delegati.
Per il primo è unico contratto integrativo l’azienda si è dimostrata abbastanza aperta,
lasciando l’iniziativa alla RSU. La portata dell’accordo è abbastanza ampia, le questioni
toccate sono: il modello di relazioni tra le parti, il sistema delle informazioni, la formazione,
l’orario di lavoro, la regolamentazione dello straordinario e le rispettive maggiorazioni, una
forma di tutela degli apprendisti, l’indennità di mensa, permessi speciali retribuiti, il PdR e
la valutazione della professionalità e dell’inquadramento. Su questo tema, molto sentito
dalla RSU e dagli della produzione, l’azienda sembra avere un comportamento un po’
elusivo.
Analisi degli esiti negoziali:
Flessibilità
Hiref è sicuramente un’azienda che ricerca la flessibilità in tutte le sue dimensioni.
Sicuramente esiste una buona mobilità interna e polivalenza degli operai, che è alla base
della attuale discussione sulla professionalità e l’inquadramento. La flessibilità numerica è
gestita attraverso un ampio ricorso all’apprendistato per tutte le figure professionali, e in
misura meno rilevante e solo per alcune figure, alla somministrazione di lavoro
temporaneo. Se questo strumento viene per lo più utilizzato per gestire picchi della
domanda, l’apprendistato è il sistema ordinario di ingresso dei lavoratori: il tasso di
assunzione è infatti molto alto. Nel contratto integrativo troviamo una clausola in cui
l’azienda si impegna a fornire agli apprendisti indicazioni periodiche circa l’andamento
25
dell’inserimento lavorativo e a comunicare l’esito dell’apprendistato due mesi prima della
scadenza.
L’azienda ha anche un’ampia possibilità di variare l’orario per rispondere ad esigenze
produttive: la RSU ha concesso 100 ore annue per lavoratore di straordinario c.d.
“comandato”, esente da comunicazione alla RSU e comunicato almeno 24 ore prima.
Queste ore, oltre alla normale maggiorazione dello straordinario, sono soggette ad un
ulteriore supplemento del 5% della paga oraria.
A favore dei lavoratori sono previsti permessi speciali retribuiti in caso di visite mediche
specialistiche e 3 giorni in caso di nascita di un figlio.
Elementi retributivi
Prima di introdurre gli elementi retributivi presenti nel contratto aziendale è opportuno fare
un paio di considerazioni.
Innanzitutto Hiref è un’azienda che ricerca una certa flessibilità retributiva: i contratti di
apprendistato che sono sicuramente degli strumenti importanti per la formazione e
l’addestramento dei lavoratori permettono anche un contenimento del costo del lavoro. Un
contenimento perseguito anche mantenendo il livello di inquadramento degli operai della
produzione entro il 3° livello: una questione che la RSU ha cominciato a discutere con la
controparte.
Inoltre, bisogna ricordare che sebbene le voci retributive spettino a tutti i lavoratori, gli
ingegneri contrattano individualmente i termini d’impiego.
A parte le maggiorazioni per lavoro straordinario che vanno ad incrementare quanto
previsto dal Ccnl, la voce retributiva centrale del contratto integrativo è il Premio di
Risultato.
Gli obiettivi del premio sono riferiti a due indicatori. Un c.d premio di partecipazione attiva:
calcola il rapporto le ore complessive di assenza per malattie brevi, infortunio in itinere,
assenze per visite mediche permessi o assenze non retribuite e il numero totale delle ore
lavorabili ordinarie. Un indicatore del risultato economico aziendale che si calcola
rapportando il risultato economico lordo prima delle imposte e le ore lavorate
complessivamente.
Il primo è un indicatore di presenza collettivo, che cerca di colpire alcune assenze brevi e
frequenti (alcune voci vengono sterilizzate), il secondo è un indicatore di produttività del
lavoro. Gli obiettivi dei due indicatori concorrono in forma autonoma e disgiunta alla
determinazione del premio e prevedono entrambi un meccanismo premiante a “gradini”,
con determinati intervalli a cui sono collegate quote di premio crescenti. La logica
parzialmente “redistributiva” del premio emerge anche dalla presenza di uno “zoccolo”
minimo garantito complessivamente pari a 300€. L’importo massimo derivante dal
raggiungimento degli obiettivi dei due parametri è di 1400€: il tetto massimo del primo
indicatore è di 600€ e del secondo di 800€.
Il premio viene corrisposto in misura uguale a tutti i dipendenti e, data la sua struttura, ha
cadenza annuale. E’ previsto un sistema di informazione trimestrale sull’andamento dei
parametri e un meccanismo di revisione degli obiettivi in presenza di investimenti relevanti
e\o consistenti modifiche dell’organizzazione.
Un’altra voce retributiva è l’indennità di mensa esterna che è pari al massimo importo non
tassabile, ossia 5,29€ e matura con presenze giornaliere superiori alle 4h e 30 min.
Riconoscimento e rappresentanza della diversità
L’azienda è piuttosto omogenea nei suoi caratteri sociali e anagrafici: è composta
prevalentemente da maschi italiani piuttosto giovani. Non sono emerse quindi finora
esigenze connesse all’appartenenza di genere, alla necessità di conciliazione dei tempi di
vita e di lavoro come alla condizione di immigrato, tali da essere fatte proprie dalla
rappresentanza.
26
Innovazione
Hiref è sicuramente un’azienda che ha fatto dell’innovazione l’elemento fondamentale
della propria strategia competitiva. L’esigenza di sviluppo delle professionalità, di
creazione di nuove abiltità propria di un’organizzazione innovativa, ha trovato posto già nel
primo contratto aziendale. Si tratta di una dichiarazione programmatica che prevede la
predisposizione da parte dell’azienda di un piano formativo annuale sul quale dovrà
essere consultata la RSU, la quale potrà avanzare proposte e suggerimenti.
Quale modello di relazioni industriali?
Hiref sicuramente può essere considerato un sistema di relazioni industriali di tipo
partecipativo.
Prima dell’ingresso del sindacato in azienda vi era una partecipazione diretta dei lavoratori
tipica
dei modelli di piccola impresa, e rafforzata dalla leadership del titolare e dalla qualità
intrinseca dell’attività lavorativa. Con la crescita del numero degli occupati e la costituzione
della rappresentanza sindacale, questo modello non è mutato, ma potremmo dire che si è
arricchito di una nuova funzione che è stata prontamente riconosciuta e integrata
dall’azienda. Certamente il fatto di realizzare prodotti diversificati, con un alto grado di
tecnologia, in piccoli e piccolissimi lotti, ma anche prototipi e esemplari unici adattati alle
specifiche esigenze del clientela, richiede una forte collaborazione e coinvolgimento del
lavoro. La RSU condivide con l’azienda i grandi obiettivi aziendali e le concede, o meglio
le ha permesso di mantenere ampi margini di flessibilità che, nonostante la presenza di un
buon premio di produzione con finalità redistributive più che incentivanti, potrebbero
essere scambiati più proficuamente. Il comportamento delle parti è reciprocamente
conosciuto e prevedibile ed esiste una fiducia reciproca. Nonostante nel contratto sia
esplicitato il modello di relazioni che le parti intendono tenere, non vi è stata una
proceduralizzazione del rapporto preferendo mantenere una gestione informale.
27
3. Vibrocementi ILCA s.r.l.
La Vibrocemento ILCA di Cittadella (PD) è una s.r.l. con a capo un amministratore unico,
impegnata nella realizzazione di strutture prefabbricate in cemento. La Vibrocemento ILCA
fa parte di una rete di imprese consociate che si rifanno tutte a una medesima proprietà,
ma che operano in settori differenti.
La Vibrocemento opera nel campo della prefabbricazione già dalla meta’ degli anni ‘40.
L’azienda nasce subito dopo la seconda guerra mondiale inserendosi nel campo
dell’edilizia civile con il nome di ILCA. Negli anni ha cambiato nome diventando prima
Vibrocemento Veneta e avviandosi a una produzione più marcatamente industriale, per
poi lasciare il marchio Vibrocemento Veneta e ritornare ILCA e quindi assumere la
denominazione corrente di Vibrocemento ILCA. Il marchio Vibrocemento Veneta è stato
invece assunto dalla Vibrocemento Veneta S.p.A., impresa sorella che opera nel ramo
immobiliare.
3.1 Mercati, strategie e prodotto
Da un punto di vista squisitamente geografico, il mercato di riferimento per la
Vibrocemento ILCA s.r.l. è il Veneto, per quanto saltuariamente può impegnarsi su
commesse che possono coinvolgere cantieri in opera sul territorio nazionale. Il range
d’azione dell’impresa e la sua marcata relazione con il territorio sembra derivare
direttamente dal tipo di prodotto fabbricato.
La movimentazione di infrastrutture in cemento armato destinate all’edilizia industriale
(quindi elementi caratterizzati da dimensioni e pesi notevoli) richiede un grosso sforzo
logistico, sia nel trasporto che nella posa in opera, che va a influenzare pesantemente i
costi di realizzazione. Conseguentemente la distanza tra l’impresa e il cantiere diventa una
delle variabili principali che la s.r.l. deve tenere in considerazione rispetto all’offerta che
può fare nel mercato.
Un attività imprenditoriale fortemente legata al territorio e il fatto che il Veneto sia una delle
regioni con più imprese che operano in questo settore fa si che la concorrenza (i
competitor sono meno di una decina) sia localizzata tutta intorno allo stabilimento
produttivo della Vibrocemento ILCA, in un raggio di una decina di chilometri.
Sembra corretto dire che i fattori che più influenzano le dinamiche legate alla concorrenza
tra i vari soggetti presenti nel mercato siano tutte riconducibili esclusivamente alla
differenziazione del prezzo della propria offerta. In un ambito in cui “tutti offrono gli stessi
prodotti con piccolissimi variazioni” e in cui i prodotti sono generalmente identici l’elemento
che differenzia e su cui definire le proprie strategie è esclusivamente il prezzo.
La Vibrocemento cerca quindi di contenere i costi sui materiali, sulla resa produttiva delle
squadre di montaggio e dello stabilimento.
Se per le materie prime come cemento, ghiaia, sabbia (vengono acquisite in Veneto) ferro
(acquistate in Lombardia) si cerca di spuntare il prezzo migliore lavorando su grosse
quantità o cercando più fornitori, gran parte dello sforzo di contenimento dei costi è
piuttosto orientato verso la componente del lavoro.
Il lavoro rappresenta un costo per l’impresa anche per l’intrinseca pericolosità di questa
professione. Aumentare il livello di sicurezza inevitabilmente rallenta i tempi necessari al
lavoro e quindi va a influire sull’offerta al cliente.
La Vibrocemento ILCA, poi, utilizza ancora squadre di montatori interni, pratica lavorativa
che altre aziende del settore hanno abbandonato preferendo orientarsi all’utilizzo di
montatori esterni. Se da una parte mantenere squadre interne per il lavoro in cantiere è
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una fonte di garanzia del lavoro e della sua qualità, dall’altra parte, sottolinea l’impresa,
può rappresentare un costo.
Infatti “nel momento della presentazione dell’offerta questo è un problema perché alza il
prezzo” e in più il prezzo potrebbe “fluttuare” a cause di ritardi o problemi legati
direttamente alla posa in opera.
Aprire una relazione con soggetti esterni, invece, definirebbe una sorta di valico
organizzativo che prima di tutto farebbe si che queste problematiche (legate alla posa e ai
costi di gestione del cantiere) fossero confinate all’impresa esterna e che quindi poi spetti
a quest’ultima confrontarsi con il cliente finale per eventuali mancanze e ritardi. In secondo
luogo l’uso di un’impresa esterne definire un relazione nella quale l’ILCA assumerebbe un
ruolo differente in cui non sarebbe più il soggetto che deve comunicare un cambiamento
nei costi all’utente finale, ma il cliente che chiede il rispetto degli accordi siglati con
l’impresa assunta per la posa.
In un mercato del genere, con molti competitor e geograficamente vicini, in cui le proprie
politiche sono legate quasi esclusivamente al prezzo, la Vibrocemento ILCA ha cercato di
costruire rapporti di fidelizzazione con i propri clienti.
Le società con cui si trovano a lavorano sono solitamente imprese edili che devono
ampliare o organizzare dal nulla un nuovo sito produttivo e più sporadicamente soggetti
privati che chiedono la realizzazione di stabilimenti. In entrambi i casi l’ILCA può
differenziare la propria offerta realizzando e costruendo l’intero lavoro dalla progettazione
alla posa in opera o semplicemente fornire i i pezzi che poi il cliente si preoccuperà di far
montare.
Nel corso dell’ultimo anno, però, l’impresa ha lavorato un 30% per “clienti esterni” e per il
restante 70% con l’immobiliare della proprietà attiva nella lottizzazione industriale. Il
gruppo quindi è lo strumento che permette all’impresa, soprattutto nell’attuale crisi, di
assorbire i colpi del mercato.
3.1.2 Produzione, tecnologie e saperi
La Vibrocemento Ilca è un’impresa che impegna 66 dipendenti. Di questi sono 14, di cui
sei donne, che lavorano negli uffici (commerciale, rapporti con il personale, ufficio
progetti), mentre il resto dei lavoratori, tutti uomini, sono impiegati, tra diretti e indiretti, in
produzione e nelle squadre di montaggio che lavorano nei cantieri.
Il flusso lavorativo si snoda a partire dall’ufficio tecnico che prepara i disegni, cartacei, che
poi il responsabile di produzione porterà in produzione per darli ai capi pista ed iniziare la
produzione dei vari componenti dei prefabbricati in cemento. I lavoratori sono organizzati
in squadre, che lavorano sul giornaliero, i cui capi sono lavoratori “anziani” con una forte
esperienza maturata a contatto con la produzione che hanno il compito di coordinare le
varie fasi della produzione.
• I ferraioli, che preparano le gabbie in ferro per il pezzo che deve essere prodotto
nelle piste.
• I carpentieri, che preparano o modificano lo stampo per la gettata.
• Gli operatori di getto che fanno la gettata.
29
Nelle piste, che sono 6 e si differenziano esclusivamente per la tipologia di prodotto e non
per le procedure, generalmente si possono produrre, in base alla portata degli stampi, uno
o due pezzi al giorno fino a un massimo di tre. La lavorazione è poi scandito dalle varie
modifiche da apportare ai singoli pezzi andando a intervenire in fasi differenti su gabbie e
stampi.
La gabbia di ferro, infatti, una volta preparata, viene posta dentro lo stampo che i
carpentieri hanno sistemato per poi chiuderlo con un sistema idraulico. Quindi si procede
alla gettata e a successive lavorazioni per evitare che si formino bolle all’interno del pezzo
e per stendere in maniera omogenea la gettata. Si fa indurire, seccare, e in questa fase gli
operai sono chiamati a sorvegliare il tutto.
In tutto il processo, molto faticoso, in cui il lavoro fisico è preponderante e con continui
carichi sospesi, si opera costantemente con caroponti per spostare materiali e pezzi e le
varie mansioni si compongono secondo rodate routine che vanno a definire un mosaico di
azioni e competenze che vanno a chiedere a tutti i soggetti coinvolti una forte capacità di
coordinamento in un regime a elevata interdipendenza tra le operazioni.
L’apporto dei singoli lavoratori sembra marcato da un certo grado di autonomia soprattutto
per quanto riguarda l’impostazione e la soluzione dei problemi. Questo sembra collegarsi
sia al carattere routinario delle mansioni, ma anche al fatto che soggetti con livelli di
scolarizzazione bassa o che parlano con difficoltà la lingua italiana possono impostare il
proprio lavoro anche solo guardando i disegni cartacei che illustrano il pezzo e la
particolare lavorazione richiesta.
La sabbia e la ghiaia sono stipate nell’impianto di betonaggio (2 addetti), il magazzino in
cui è impiegato un carpentiere contiene i materiali e gli strumenti necessari ai montatori.
Infatti se questo è quanto accade all’interno dello stabilimento produttivo, le squadre di
montaggio, con 11 addetti, lavorano invece direttamente nei cantieri.
La squadra di carico e scarico (3 addetti) lavora tra produzione e cantieri funzionando da
cerniera. Da una parte stocca nel piazzale all’aperto i prodotti, dall’altra li carica per il
trasporto. Anche in questo caso è un lavoro molto pericoloso caratterizzato da carichi
sospesi e pezzi ingombranti e pesanti.
Nel caso i montatori non siano impegnati vengono impiegati anche in altre lavorazioni. I
lavoratori di tutto l’impianto e non solo quelli del carico girano costantemente, ricoprendo
nel corso dell’anno diversi ruoli e svolgendo differenti mansioni. Questa “turnazione” dei
compiti è anche influenzata dal tipo e dall’entità degli ordini per i clienti che liberano o
attraggono forze in base alla situazione.
Per il lavoro nello stabilimento l’impresa nota come non sia richiesta una grande
professionalità. Questo ha fatto sì che per quanto “si fosse cercato sempre un personale
italiano, anche solo per un problema di lingua” nello stabilimento lavorano in maggioranza
personale straniero (25) e questo per una mancanza pressoché assoluta di domanda da
parte della manodopera italiana.
Per le squadre esterne che, secondo l’impresa, fanno un lavoro più professionale e
pericoloso si cerca sempre di prender o personale già formato che proviene da altre realtà
o si cerca di formarlo prima, partendo con la movimentazione dei carichi fino a inserirlo
nella squadra e iniziare un affiancamento. Questa politica ha portato a squadre esterne
composte solo da italiani.
Sembra emergere che tra il lavoro nello stabilimento e quello del cantiere passi una linea
di demarcazione che in prima analisi risulta etnica, ma che sembra dipendere da una
necessità organizzativa.
La difficoltà e la pericolosità del lavoro e il continuo impiego di lavoro fisico e di capacità
soggettive del lavoratore nelle varie fasi, sia in cantiere che nello stabilimento, ha messo in
evidenza per l’impresa come l’elemento organizzativamente fondante del processo in
entrambi i campi sia una capacità di coordinazione della squadra nel suo complesso che
30
non può essere esclusivo appannaggio del capo squadra. Da qui la scelta organizzativa
dell’impresa di “armonizzare culturalmente le squadre” per agevolare la comunicazione e
la coordinazione.
La Vibrocemento Ilca ha quindi un organizzazione del lavoro improntata a una
standardizzazione di processo (macchinari, utensili, manodopera, attrezzature) connotata
fortemente dalla possibilità di poter utilizzare flessibilmente, in termini di mansioni e ruoli,
una manodopera formata prevalentemente nello stabilimento e a contatto con il lavoro.
Vantaggi competitivi della Vibrocemento Ilca s.r.l.:
• Prezzo;
• Lavorare in sinergia con una immobiliare che si rifà alla stessa proprietà.
•
3.2 RSU della Vibrocemento
3.2.1 La rappresentatività
La RSU della Vibrocemento è composta da 3 delegati maschi. La composizione
professionale rispecchia le aree di legittimità e di estensione sostanziale della
rappresentanza, ossia quella dell’impianto produttivo e quella del montaggio. Gli impiegati,
infatti, non partecipano né alle elezioni né alle assemblee e gestiscono individualmente il
proprio rapporto di lavoro. Due delegati appartengono all’area produttiva e uno è
espressione dei montatori. L’ingresso di quest’ultimo nell’organo è avvenuto a seguito di
una richiesta di rappresentanza di questi lavoratori che svolgono una attività lavorativa
molto diversa e esprimono delle domande particolari. La regolamentazione delle RSU
prevedrebbe per una azienda di queste dimensioni un numero massimo di due delegati,
ma la proprietà ha ammesso la presenza di un terzo componente. In effetti vista la
composizione sociale, ma soprattutto le tensioni interne alla fabbrica, l’azienda ha preferito
accettare il costo di un delegato aggiuntivo, che dover affrontare contrasti e la
competizione interna per la rappresentanza, che, a detta del direttore del personale
avrebbero potuto compromettere relazioni sindacali. All’interno dell’impianto infatti, sono
forti gli attriti tra lavoratori italiani e lavoratori immigrati, al punto che si è determinata una
segmentazione netta su base nazionale dell’appartenenza sindacale e del voto ai delegati.
Gli operai italiani infatti votano per i candidati italiani e quelli sindacalizzati sono quasi tutti
iscritti alla Cisl; specularmene gli immigrati sostengono candidati non autoctoni e sono
iscritti alla Cgil, sprezzantemente definita da gran parte degli italiani come il “sindacato
degli immigrati”. Apice di questa polarizzazione è stata la scelta di un candidato italiano
della Cgil alle ultime elezioni della RSU di passare all’altro sindacato perché non eletto,
dato che i voti degli iscritti sono andati quasi tutti ad lavoratore marocchino. Per i montatori
la questione è diversa: si tratta infatti di 13 operai in gran parte legati da vincoli parentali,
che ragionano secondo interessi di gruppo, da sindacato di mestiere e per questo
sostengono compattamente un loro delegato. Essi non vivono l’impianto, sono sempre nei
cantieri a montare i prefabbricati e non entrano nelle problematiche interne; il fatto che
siano tutti iscritti alla Cgil dipende unicamente dalla adesione a questo sindacato da parte
del loro delegato.
La rappresentatività dei delegati – come vedremo è difficile parlare di rappresentanza
sindacale unitaria – è sostanziale sebbene confinata nell’ambito della produzione e del
montaggio, dove però lavora la gran parte dei dipendenti della Vibrocemento. Tutti gli
operai infatti partecipano alle elezioni della RSU e alle assemblee e molti fanno riferimento
ai delegati e ai funzionari per la tutela dei loro interessi.
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3.2.2 L’esercizio della funzione di rappresentanza
Alla Vibrocemento la RSU, come organo unitario, esiste solo formalmente, la
rappresentanza dei lavoratori è frammentata e avviene su diversi livelli, nei quali agiscono
attori diversi. Per questo non è sufficiente parlare del suo funzionamento, ma si deve
soprattutto prendere in considerazione il ruolo e l’azione dei singoli delegati, di gruppi di
lavoratori e dei funzionari esterni. La RSU infatti si ritrova ufficialmente poche volte,
sempre affiancata dai funzionari di categoria e non si pone autonomamente degli obiettivi
o delle strategie. Le relazioni sono tese ed è forte tra i delegati dell’impianto persiste un
clima di “guerra fredda”, basato sulla necessità di dover convivere nonostante l’assenza di
fiducia e di rispetto e quindi nemmeno di solidarietà. Le frizioni interne riguardano i
lavoratori e solo secondariamente si contaminano con la politica sindacale
dell’organizzazione di riferimento. I continui spostamenti tra una sigla e l’altra,
testimoniano una scarsa presenza di motivazioni ideologiche alla base dell’affiliazione, ma
rimandano a meccanismi di solidarietà basati sulla condivisione dello stesso status
giuridico e alla capacità di rispondere ad esigenze particolari e al limite individuali. Del
clima interno risentono ovviamente anche le relazioni “esterne” tra le due sigle. Fino
all’ultima elezione della RSU la competizione tra Cgil e Cisl era molto acuta e questo in
parte era dovuto anche alla necessità di ricostruzione di un’identità della prima
organizzazione a seguito di alcune vicende interne. Con le elezioni però le tensioni interne
hanno raggiunto il parossismo e i funzionari sindacali, per paura di una loro
degenerazione, hanno siglato una tregua tacita. Ora le relazioni sono discrete e orientate
a ricucire gli strappi interni o quantomeno a contenerli entro certi limiti.
La RSU non è autonoma nello svolgimento del proprio ruolo, i delegati sono sempre
affiancati dai funzionari non solo nella gestione delle assemblee, nella definizione delle
rivendicazioni e nella negoziazione, ma anche nella tutela degli interessi individuali dei
lavoratori. Questo è spiegabile in parte con le conoscenze e competenze dei
rappresentanti che sembrano essere piuttosto scarse, in parte con il blocco prodotto dalle
tensioni tra i componenti. Tuttavia, influisce anche una politica di categoria che prevede un
forte affiancamento dei delegati, i quali molto spesso hanno una debole agibilità sindacale
all’interno dei luoghi di lavoro. Alla Vibrocemento ad esempio i delegati non dispongono di
spazi o strumenti per svolgere il loro ruolo e sono anche piuttosto vincolati durante l’orario
di lavoro.
Il rapporto tra RSU e sindacato esterno è quindi piuttosto frequente e inteso, nel quale il
secondo soggetto ha un ruolo da protagonista e il primo di testimonianza. Il rapporto è
sicuramente positivo, però bisogna sottolineare che il delegato della Cgil ha percepito il
cambio di strategia del suo funzionario in qualche modo come un appiattimento sulle
posizioni della Cisl e preferirebbe una maggiore distinzione nello stile e nel contenuto.
Oltre ai delegati dell’impianto e ai funzionari esterni, ci sono altri soggetti che agiscono
all’interno del sistema di relazioni sindacali. Innanzitutto il delegato dei montatori, il quale
pur facendo parte della RSU ha un ruolo autonomo di rappresentanza degli interessi del
suo gruppo professionale. Essi svolgono delle attività lavorative completamente diverse
dagli operai dell’impianto, un’attività ancora più rischiosa e sempre in trasferta e per
questo ritengono di dover avere un trattamento in parte diverso che è sancito nei temi
contrattuali, ma anche nell’assemblea separata. L’ultimo soggetto, non istituzionale, che
partecipa alla regolazione del rapporto di lavoro è quello dei lavoratori mussulmani. Questi
sebbene siano iscritti alla Cgil e abbiano un delegato di riferimento, tendono a contrattare
direttamente con l’azienda le questioni che hanno a che vedere con la pratica religiosa.
Per quanto riguarda la comunicazione con i lavoratori: ogni delegato comunica
informalmente con il gruppo di riferimento, sociale o professionale che sia. L’assemblea
invece, è uno strumento gestito dai funzionari.
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Tutti i diversi soggetti che partecipano alla rappresentanza e alla tutela degli interessi dei
lavoratori hanno un atteggiamento partecipativo nei confronti dell’azienda. Questo, unito al
fatto che la linea di frattura basata sullo status giuridico che attraversa l’impianto è
piuttosto profonda, determina una situazione in cui i due gruppi hanno legami più stretti e
forti con il direttore del personale che tra di loro.
3.2.3 Il sistema di relazioni sindacali presente in azienda
La Vibrocemento è parte di un gruppo a gestione familiare, in cui la dirigenza è cooptata
dall’interno, tuttavia nel caso del direttore del personale di questa azienda vi è stata
un’eccezione. Esso, sebbene non fosse estraneo ai titolari, ha avuto un percorso di
carriera che è cominciato dalla produzione. Nonostante il basso grado di specializzazione
delle funzioni dirigenziali e di generale accentramento decisionale, il direttore del
personale gode di ampia fiducia da parte della proprietà che si concretizza in una discreta
autonomia per quanto riguarda la gestione del lavoro e delle relazioni sindacali. Questa
situazione sembra determinare il mix di paternalismo e approccio partecipativo che
caratterizza l’impresa.
Il paternalismo, incarnato per lo più dalla proprietà, riguarda il rapporto con i dipendenti e
si manifesta in una generale apertura verso i bisogni dei lavoratori, nell’attenzione alla
sicurezza, nella tutela dell’occupazione (rifiuto di utilizzo della Cig, anche quando ce ne
sarebbe la possibilità), nella tolleranza del sindacato e della rappresentanza, in un
inquadramento, deciso unilateralmente, ma medio-alto dei lavoratori e nel sistema delle
assunzioni che passano preferibilmente attraverso la segnalazione da parte dei dipendenti
di amici e parenti.
Il direttore del personale si caratterizza invece per un approccio partecipativo alle relazioni
sindacali. Il riconoscimento della presenza di interessi non sovrapponibili è assimilata
anche se si ritiene che questi possano e debbano trovare una convergenza per produrre
vantaggi a somma positiva. La rappresentanza dei lavoratori è quindi legittimata anche se
in chiave subalterna. I delegati dovrebbero sostanzialmente partecipare al governo del
lavoro, attraverso l’informazione, un ruolo pedagogico e l’erogazione di servizi individuali e
collettivi tra i quali la regolamentazione di alcuni elementi della prestazione lavorativa.
Coerentemente con questa visione, lo sciopero è concepito come legittimo solo nelle fasi
positive, di crescita del ciclo economico, mentre nelle fasi di crisi dovrebbe sempre
prevalere la condivisione e l’accomodamento, pena una rottura della fiducia. Ovviamente
gli scioperi di categoria e quelli politici non sono problematici, perché non mettono in
discussione l’ordine interno e le prerogative aziendali, salvo il fatto di cercare di assorbirli
tramite una gestione possibilmente congiunta delle ripercussioni negative sulla
produzione.
Il riconoscimento da parte dell’azienda dell’autonomia del ruolo di rappresentanza è
limitata. Il direttore del personale ritiene inoltre che la RSU per svolgere questa funzione
debba essere credibile e autorevole, cioè dovrebbe essere in grado di ottenere il
consenso dei lavoratori. Anche per questo motivo, l’azienda riconosce come interlocutore
il sindacato esterno e non la RSU, alla quale è affidato il compito di esplicitare i problemi
legati alla produzione e i bisogni dei vari gruppi di lavoratori. In questo modo l’azienda
partecipa a riprodurre un sistema di rappresentanza basato sulla supplenza e la
deresponsabilizzazione della RSU.
Ad ogni modo, il comportamento del direttore del personale nei confronti delle controparti
è corretto e trasparente e non sfrutta apertamente le tensioni tra i lavoratori, ma semmai
contribuisce a depotenziarle.
Ai delegati il direttore del personale non dà informazioni sull’andamento dell’azienda, le
commesse e le strategie di sviluppo, ma nemmeno i dati relativi agli indicatori connessi
con il PdR. E tuttavia i delegati sembrano mostrare una certa deferenza nel richiederle.
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Essi invece hanno sviluppato un sistema autonomo per capire la situazione economica;
ovviamente la riduzione degli straordinari è un segnale evidente, ma spesso una
contrazione della domanda è maschera dalla strategia del gruppo che ha al suo interno
una struttura immobiliare che compra i prefabbricati e poi cerca di rivederli. Un sistema
esplicitamente utilizzato dai lavoratori è quello di controllare l’azienda committente.
La modalità negoziale del direttore del personale è basata sul dialogo, l’iniziativa deve
essere sempre dei delegati, mentre lui si riserva la discrezionalità di valutare la
negoziabilità o meno della questione. Sostanzialmente lo spazio della negoziazione
formale riguarda la retribuzione, l’orario e le condizioni di lavoro. Su questi temi al direttore
è riconosciuta competenza e sensibilità, che è ricondotta al fatto di provenire dall’impianto.
Da parte sindacale si riconosce inoltre che una certa tradizionalità delle materie contrattate
è anche frutto di una loro scarsa iniziativa e innovazione. Ad ogni modo, l’organizzazione
aziendale sembra essere considerata una prerogativa aziendale, mentre in materia di
gestione dei passaggi di categoria esisterebbero degli spazi di manovra per il sindacato,
che la crisi ha però prontamente ristretto.
Su questi temi gli accordi sono scritti, mentre le questioni legate alla pratica religiosa sono
soggette ad una negoziazione informale e verbale.
Analisi degli esiti negoziali:
La flessibilità
La Vibrocemento è una azienda che fa ampio uso delle varie forme di flessibilità e in
questo è agevolata da un’ampia disponibilità da parte dei dipendenti, specie per lo
straordinario che, in situazioni ordinarie, è il modo comune di prestare l’attività lavorativa.
Poi, qualora vengano ottenute commesse particolari, che richiedono tempi stretti di
consegna o in generale vi siano molte commesse le parti tendono a stipulare accordi ad
hoc per regolamentare la richiesta di un maggiore sforzo lavorativo. In queste situazioni
inoltre, l’azienda ricorre alle agenzie di somministrazione e subappaltando lavoro ad altre
aziende.
Esiste inoltre un sistema di banca ore facoltativo (1:1,3) che è molto utilizzata dai
lavoratori immigrati.
Infine, per evitare il ricorso alla Cig si è giunti ad un accordo per l’anticipo delle ferie.
Inizialmente l’azienda aveva cercato di imporre unilateralmente questa scelta, ma il
delegato di origine straniera ha evidenziato con forza il fatto che questo avrebbe costretto
molti lavoratori immigrati a non poter tornare nei loro Paesi di provenienza. Si è giunti così
ad un accordo migliorativo, che ha ridotto l’impatto del provvedimento attraverso una
sospensione totale e una sospensione parziale della produzione, e ha previsto la
possibilità di anticipare periodi di ferie a chi ne necessitasse a causa del godimento
anticipato.
Elementi retributivi
A livello aziendale l’elemento retributivo centrale è il PdR. Questo è stato costruito
congiuntamente dall’azienda e dal sindacato esterno e nel corso degli anni è stato
soggetto ad una serie di manutenzioni per renderlo più aderente all’effettivo contributo
lavorativo di tutti i lavoratori. Ad esempio, su proposta del direttore del personale gli
impiegati sono stati equiparati agli operai, ossia è stata abolito l’automatismo per cui a loro
spettava il 100% del premio maturato a prescindere da giorni effettivamente lavoratati.
Inoltre, sempre la direzione sta studiando un modo per introdurre anche degli indicatori
che prendano in considerazione la prestazione di questi dipendenti.
Il premio di risultato considera un indicatore legato alla produttività del lavoro, basato sul
numero di metri cubi prodotti per ora. Le ore calcolate sono quelle di tutti i lavoratori della
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produzione e del montaggio, comprese le ore impegnate dai lavoratori con cariche
sindacali per lo svolgimento di attività attinenti al loro ruolo.
Il meccanismo premiante prevede un consistente “zoccolo minimo garantito”, pari a 420€
che può crescere di un’ulteriore quota di 200€ qualora vi sia una riduzione delle assenze
giustificate dal 12% al 10%. Tale importo può essere poi incrementato da importi variabili a
seconda del raggiungimento di determinati livelli di produttività. Il premio tuttavia non è
destinato a crescere di molto rispetto alla base di partenza e quindi, più che assumere una
valenza incentivante ha una caratteristica distributiva.
Il premio prende però in considerazione anche la presenza, la quale viene utilizzata per
correggere a livello individuale l’entità del premio. Anche in questo caso è però garantito
un zoccolo minimo. Inoltre, qualora un lavoratore abbia maturato molte assenze a causa di
gravi malattie, infortuni o per situazioni familiari particolari, è prevista una commissione ad
hoc composta da direzione, RSU e funzionari delle organizzazioni di categoria deputata a
valutare l’erogazione del premio.
I superminimi individuali non sembrano essere particolarmente diffusi e utilizzati per lo più
per premiare l’anzianità lavorativa. I lavoratori, in base ad una decisione unilaterale
dell’azienda, tendono però ad essere inquadrati su livelli retributivi medio-alti.
Riconoscimento e rappresentanza della diversità
L’azienda come abbiamo detto ha una componente di lavoratori immigrati rilevante. Essi
tendono a concentrare i loro voti su un delegato in grado di rappresentare il loro status e
fanno generalmente riferimento a lui. Ciononostante per quanto riguarda le questioni
legate alle pratiche religiose il gruppo dei lavoratori mussulmani, che è solo una parte
seppur maggioritaria degli immigrati, negozia direttamente con la direzione la quale si è
dimostrata aperta a recepire richieste di spazi e di modulazione degli orari,
compatibilmente con le esigenze produttive. Nello specifico, ha messo a disposizione un
box per la preghiera e ha concesso, a chi ne fa richiesta, di allungare la pausa pranzo del
venerdì da un ora a 90 minuti in modo da permettergli di recarsi in una moschea situata
nelle vicinanze. Inoltre, durante il periodo di ramadam direzione e lavoratori concordano
modalità di erogazione della prestazione adeguati a venire incontro alle esigenze rituali.
L’azienda ha però sollevato il problema della produttività dei lavoratori praticanti in questo
periodo dell’anno e sembra dovrà essere oggetto di discussione con le organizzazioni
sindacali e i lavoratori coinvolti. Tuttavia finora è stato cavalcato da alcuni lavoratori italiani
che imputano agli immigrati minori livelli di produttività.
Innovazione
Dalle relazioni industriali non emergono elementi di innovazione dei contenuti e delle
forme del confronto.
Quale modello di relazioni industriali?
Alla Vibrocemento si è strutturato un sistema di relazioni industriali di tipo partecipativo
centrato sulla supplenza della RSU da parte del sindacato esterno e dalla partecipazioni di
altri soggetti alla regolamentazione delle condizioni di impiego. Lo scambio tra le parti non
è formalizzato, ma si sorregge su una fiducia reciproca consolidata nel tempo e frutto di
una convergenza tra paternalismo aziendale, elementi di deferenza e riconoscimento della
correttezza e del ruolo positivo del direttore del personale.
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4. Industries S.p.a
L’Industries è un impresa che opera nel settore della moda controllando diversi e noti
marchi d’abbigliamento. L’impresa risponde a una finanziaria nord americana che ha
rilevato le quote di maggioranza pochi anni fa.
L’impresa ha la sua sede legale a Milano dove sono concentrate le funzioni legate alle
public relations (rappresentanza, i contratti di pubblicità e di relazione con la stampa).
Trebaseleghe (PD), un tempo un impianto produttivo con 2000 dipendenti impegnati nel
confezionamento di abbigliament, invece è la sede amministrativa e contabile dell’impresa
in cui si definiscono le strategie produttive, si amministra l’azienda e si organizza la
logistica dei prodotti finiti e delle materie e degli accessori.
All’interno del sito padovano si concentra anche la funzione “creativa” dell’impresa con la
realizzazione dei campionari dei vari marchi - dall’ideazione alla produzione concreta questo fa si che ci siano prevalentemente uffici, poi l’area dedicata allo sviluppo dei
prototipi e un piccolo magazzino che segue esclusivamente il campionario e la sua
distribuzione.
L’orientamento dell’attuale direzione sembra essere quello di rendere Trebaseleghe il polo
cognitivo dell’impresa, cioè quello che definisce le politiche del gruppo e sviluppa i prodotti
per poi portare tutto il resto verso l’esterno.
Il prodotto della Industries è destinato a una fascia di consumo di medio alto livello e per
alcune linee e marchi è prettamente di alto livello, questo ha fatto si che l’impresa non
abbia risentito del calo dei consumi dovuto all’attuale crisi.
L’attività commerciale è completamente rivolta a un mercato internazionale e globale che
copre praticamente tutto le aree del nord del mondo.
4.1 Strategia organizzativa
Il mercato legato alla moda è per antonomasia molto rapido e dinamico. L’impresa di
Trebaseleghe ha intrapreso un percorso di rivoluzione dei modelli di funzionamento
dell’impresa fortemente improntato all’outsourcing.
Il processo di decentrare verso l’esterno le proprie attività non solo aveva già investito da
anni le attività a bassa valore aggiunto come la realizzazione in serie del capo o, il più
importante da un punto di vista creativo, sviluppo del campionario di determinati marchi,
ma ha recentemente coinvolto macro processi ad alto valore aggiunto come la logistica in
entrata e quella in uscita dei prodotti finiti e delle materie prime.
La produzione in serie dei marchi collegati alla Industries è totalmente esternalizzata sul
territorio italiano con laboratori nel Nord Est e Sud Italia (ma attualmente questi ultimi
sembrano essere in fase di chiusura) fino a collaborare con poli produttivi nell’Est Europa,
il Nord Africa e naturalmente la Cina.
Recentemente si è provveduto a chiudere sedi e cessare collaborazioni con tutti i nodi
dell’area legata alla logistica. Il bisogno del miglioramento logistico a tutti i livelli è dovuto
alla capacità di stare in un time to client molto stretto in cui i ritardi vengono sanzionati, ma
soprattutto per mantenere alta quella fiducia dei rivenditori rispetto a un servizio, la
distribuzione dei capi finiti, che se non efficacemente supportato rischia di far “perdere
l’esclusiva” del prodotto rispetto alla stagione e ai trend del mercato della moda. Un
analogo discorso vale anche per i fassonisti che dipendono fortemente dalla consegna dei
materiali (tessuti e accessori). La logistica determina in definitiva una buona performance
produttiva e una buona immagine di mercato per l’impresa.
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Il magazzino di Trebaseleghe che seguiva il Pronto Moda, quindi la distribuzione ai
grossisti del prodotto finito, è in fase di chiusura. È stato già chiuso lo stabilimento di Santa
Maria di Sala con i suoi 50 operai in cui avveniva il controllo qualità dei capi provenienti
dalle lavorazioni esterne, la distribuzione del prodotto finito e la distribuzione degli
accessori. Così anche si sta cessando la collaborazione con il magazzino di Verona che
seguiva le materie prime. In contemporanea alla chiusura di questi siti e al riordino
organizzativo all’interno dell’impresa l’impresa ha provveduto a creare a Piacenza, in
collaborazione con una società di logistica, un importantissimo parco logistico.
All’interno di quest’area è stata spostata tutta l’attività di Santa Maria di Sala e il Pronto
Moda. La scelta dell’impresa è riconducibile a una scelta guidata da un migliore
posizionamento geografico del nuovo sito che può servire più facilmente tutto il Nord Italia
e l’estero essendo ubicato al crocevia tra l’Europa orientale e occidentale; e
all’innovazione, potenziamento e miglioramento del sistema logistico nel suo complesso.
L’impresa di Piacenza si occupa in definitiva dello stoccaggio del prodotto finito e delle
materie prime, della distribuzione del prodotto finito e della distribuzione della materia
prima ai fassonisti. Il sistema è totalmente automatizzato e informatizzato e collegato
all’area logistica di Trebaseleghe attraverso una piattaforma informatica specifica. La
società esterna chiamata a gestire il sito ha provveduto anche ad assumere il personale
impiegatizio e dell’area magazzino. Attualmente nel sito operano lavoratori di cooperative,
ma è stata data anche la possibilità di mobilità per i dipendenti veneti di Industries in cassa
integrazione straordinaria. Questo vale sia per la parte legata a un lavoro prettamente
fisico, ma anche per l’area degli uffici.
La Industries, frantumando i processi e le strutture produttive, mantiene la capacità di
organizzare le funzioni esternalizzate che, insieme allo sviluppo creativo del prodotto, al
marketing e all’area commerciale vanno a comporre le competenze centrali e strategiche
dell’impresa. Quello che si definisce nei fatti è un’impresa reticolare in cui diversi moduli
organizzativi e produttivi interagiscono tra loro per la realizzazione e la
commercializzazione del prodotto finito.
4.1.2 Produzione, tecnologie e saperi
Nella rete Industries i poli propriamente riconducibili all’impresa, per la sua attuale
organizzazione e le sue competenze strategiche, sono sostanzialmente due: Milano con le
public relations e Trebaseleghe con la definizione del campionario nell’area creativa e la
gestione dell’area logistica.
Lo stabilimento di Trebaseleghe è composto di 467 persone. La struttura era stata
inizialmente pensata per bisogni eminentemente produttivi quindi è periodicamente
sottoposta a rivisitazioni del design interno per implementare e supportare efficacemente
gli uffici nei loro bisogni comunicativi.
Il problema comunicativo non è solo un elemento gestionale legato all’integrazione delle
varie funzioni in un ottica comune, nella Industries è un elemento fondante dell’aspetto
produttivo legato alla realizzazione del campionario.
Il prodotto Industries è suddiviso e organizzato nella sua realizzazione a partire dai
differenti marchi. Il lavoro parte idealmente e letteralmente dallo stilista che crea il
campionario con il suo gruppo (ce ne sono uno o più per ogni marchio e linea prodotto
uomo e donna). Lo stilista, che raramente è presente in azienda, è supportato da uno staff
che si divide tra i modellisti che hanno una preparazione generalmente specifica (scuole e
stage) e lavorano nell’ambito creativo e il così detto prodotto.
Gli addetti al prodotto, divisi per marchi e linee, si preoccupano di aiutare la produzione
reperendo i materiali necessari. I modellisti provvedono a stampare i cartamodelli che poi i
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prototipisti in sartoria realizzeranno compiutamente. Il capo quindi ritorna allo stilista che lo
giudica e valuta eventuali modifiche, quindi diventa campionario.
In questo flusso lavorativo, la linearità del processo che corrisponde all’avanzamento del
prodotto, è costantemente interrotta e rivista in un confronto continua tra le differenti aree.
È interessante notare come modellisti, prodotto e prototipisti ricalchino molecolarmente un
sistema tecnico-logistico-produttivo, in cui il prodotto è chiamato a intervenire per reperire
materiali per i prototipisti e i prototipisti ricevono le istruzioni operative dai modellisti in un
continuo feedback tra tecnici e produzione. Ma è nello specifico rapporto tra i modellisti e
prototipisti che emerge il nucleo della produzione propriamente detta nell’impianto di
Trebaseleghe.
I modellisti lavorano su PC con appositi programmi sviluppando i capi per poi produrre i
carta modelli. Questi poi vanno in sartoria tra i prototipisti che tagliano e assemblano i
capi.
La produzione o i prototipisti, una 20 di donne, segue la produzione dei campionari in
collaborazione con i modellisti, che sono chiamati a intervenire ogni qual volta il prodotto
non rispetti gli standard fungendo da filo diretto rispetto ai desideri dello stilista, e lavorano
in team in cui le diverse esperienze e conoscenze vengono condivise per la realizzazione
del lavoro finale. La condivisione della propria esperienza lavorativa è particolarmente
importante anche rispetto al fatto che il loro è un lavoro non serializzato. La conoscenza
dei tessuti, dei loro comportamenti, le esperienze pregresse costituiscono la
professionalità e le competenze centrali di queste lavoratrici, strutturando un laboratorio
caratterizzato da un forte apprendimento sul campo. In cui la formazione per essere
considerata completa è molto lunga e incentrata sulla risoluzione di problematiche
connesse alla produzione.
È l’incontro delle due professionalità che determina un buon flusso lavorativo ed è anche
la causa dei problemi presenti in produzione. Il lavoro svolto al computer dai modellisti,
infatti, sembra mancare, per i prototipisti, di una “prova reale”; di un esperienza rispetto a
come appare su uno schermo un capo e come si comporta una volta realizzato. La
competenza che sembra mancare è quella collegata ad una esperienza tecnica, il “venire
a farlo”, per conoscere la resa dei materiali. In più il lavoro è strutturato attraverso una
serie di “prove” che non necessariamente sono eseguite con i materiali che saranno
utilizzati in produzione (questo perché possono mancare in magazzino). Quindi sapere
come generalmente si comporta quel capo è importante per evitare ritorni successivi in
produzione.
In questo senso i prototipisti hanno proposto momenti di formazione in cui si lavorasse
insieme ai modellisti. I modellisti che hanno una formazione specifica nel campo della
realizzazione del capo dal punto di vista del design, una formazione teorica che viene
mantenuta tale lavorando su programmi che pongono il lavoro su un piano virtuale,
dovrebbero conoscere le problematiche legate alle realizzazioni concrete di un capo
attraverso il confronto con l’esperienza delle operaie in produzione.
Nella logistica, l’atro aspetto legato alla produzione e in cui sono impegnate 81 persone, si
è provveduto a una ristrutturazione dell’organizzazione contestualmente al cambio del
direttore della logistica e coerentemente alla nascita del polo piacentino. Santa Maria di
Sala gestiva la parte ricettiva e distributiva del prodotto finito mentre Trebaseleghe si
occupava della distribuzione della materia prima alla produzione. Questi due siti erano
distanti non solo geograficamente manche da un punto di vista organizzativo, definendo
quindi due realtà a se stanti in cui ogni ufficio era indipendente per gestione e risoluzione
delle problematiche.
La nuova dirigenza ha riscontrato come questa separazione pesasse sulle risorse
dell’impresa e ha quindi proceduto a fondere i due uffici con l’eliminazione del polo di
Santa Maria di Sala e affidando tutta l’area della contrattualistica relativa ai trasporti e ai
fassonisti a Trebaseleghe.
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L’ufficio,composto da 5 persone, ha sotto controllo l’intera gestione del contratto per
quanto riguarda la logistica dell’intermodalità e del trasporto. Sono quindi chiamati a
risolvere tutte le problematiche relative al trasporto e fanno da nodo per tutte le istruzioni e
informazioni che sono da dare ai vari uffici e reparti, trasferendo informazioni dalle aree
periferiche al centro e viceversa e raccordando i bisogni e problemi dei diversi soggetti
interni ed esterni all’impresa.
Quest’area è collegata con Piacenza attraverso una piattaforma gestionale che, introdotta
recentemente, agevola e struttura una gestione e un controllo comune dei dati relativi alla
movimentazione delle merci, ma che è andata a rivoluzionare non esclusivamente l’area
logistica, ma tutta l’azienda in tutte le sue aree.
Il software utilizzato in precedenza era informaticamente datato e più volte riadattato , ma
soprattutto non permetteva il trasferimento di determinate informazioni al management. Il
nuovo sistema invece è appositamente costruito per dare rapidamente informazioni su
tutte le merci movimentate, i capi prodotti, i capi distribuiti e informazioni relative alla
contabilità.
Il cambiamento del software ha chiesto a tutti gli utenti dell’impresa uno sforzo per un
apprendimento di una nuova logica di sistema che andava a rompere routine lavorative
consolidate. Il cambiamento del software non ha rappresentato di per sé un problema
organizzativo nella sua installazione. Il problema si è manifestato rispetto a ciò “che sta a
monte”: l’organizzazione e la produzione delle informazioni.
Ha comportato un aumento del carico lavorativo per alcuni segmenti dell’impresa (nuove
procedure) e l’alleggerimento per altri. Parte del problema dell’introduzione del nuovo
sistema potrebbe rifarsi al fatto che invece di essere stato introdotto attraverso l’ausilio di
personale che affiancasse i lavoratori è stato caricato direttamente sui terminali con una
formazione, dedicata e specifica, solo ai reparti giudicati più strategici e erogata in tempi e
metodologie differenti (credito, customer service, logistica distributiva). Lasciando poi a chi
lo padroneggiava meglio il compito di spiegarlo ai colleghi in fase lavorativa.
Riguardo alle problematiche legate all’introduzione della nuova piattaforma è necessario
considerare che un software è comunque un sistema standardizzato che viene adattato
alle esigenze aziendali, definendo un regime in continuo cambiamento regolato
dall’emergere e dalla risoluzione di problemi in fase applicativa che porteranno sul medio
periodo ad una sua stabilizzazione. L’impresa che segue le implementazioni hardware e
software, una ditta esterna ma presente in azienda, al sorgere di una incongruenza deve
intervenire registrando le esigenze dei vai uffici per poi riportarle alla propria sede centrale
che provvede alle modifiche. Definendo così un tempo di prova e sperimentazione
necessariamente diluito nel tempo perché la piattaforma si stabilizzi.
Il job enlargement seguito al cambiamento del software è stato comunque accettato dai
lavoratori alla luce della reale possibilità per l’azienda nel suo complesso di accedere a più
dati e con una quantità di informazioni maggiori da poter incrociare nei vari uffici.
Vantaggi competitivi della Industries:
• Impresa a rete.
4.2 RSU Industries
4.2.1 La rappresentatività
La RSU è composta da 6 delegati e nonostante la forte presenza femminile che si aggira
attorno al 70%, 4 membri su 6 sono maschi. Si tratta di dipendenti con una certa anzianità
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lavorativa visto che in gran parte hanno tra 40 e 50 anni ed uno più di 50. La
composizione professionale è piuttosto varia: due operai, due impiegati e due quadri. La
legittimazione sostanziale dell’organismo di rappresentanza è invece limitata all’area
produttiva e quella della logistica, dove è più forte la sindacalizzazione e il riconoscimento
del ruolo della RSU, sebbene pure in queste aree esistano dei reparti, tra i quali il c.d.
“prodotto” (dove avviene la ricerca di tessuti ed accessori) nei quali i delegati faticano ad
“entrare”. Ad ogni modo, l’ingresso di un quadro donna autorevole e molto qualificata, ha
permesso l’avvicinamento di qualche figura impiegatizia o di alta professionalità.
Prima dell’ingresso della Cgil nella RSU, avvenuto 3 anni fa, i delegati appartenevano tutti
alla Cisl e questo ha portato con sé una scarsa attenzione al rinnovo dell’organo di
rappresentanza. Alle ultime elezioni ha votato una percentuale appena superiore al 50%
dei dipendenti, e questo solo grazie ad un forte impegno dei candidati e ad una tattica
volta a favorire la partecipazione rendendola meno visibile. Infatti, oltre ad uno scarso
riconoscimento della rappresentanza collettiva, esiste una diffusa deferenza verso la
direzione e alcuni “capi” intermedi. Alle assemblee inoltre partecipano in media 40-50
persone, quindi nemmeno tutti gli iscritti ai sindacati.
I lavoratori fanno riferimento ai delegati per lo più per questioni individuali, anche se in
presenza di situazioni critiche, generalmente connesse a ristrutturazioni organizzative, si
nota un aumento della partecipazione dei lavoratori. Ad esempio, a maggio del 2009 vi è
stato il primo sciopero aziendale, legato alla chiusura del magazzino di Santa Maria di
Sala; uno sciopero che ha riscosso un discreto successo visto che vi ha partecipato quasi
la metà dei dipendenti.
4.2.2 L’esercizio della funzione di rappresentanza
Il funzionamento della RSU è abbastanza formalizzato anche se risente della scarsa
agibilità sindacale. I delegati si incontrano ogni settimana, fuori dall’azienda, perché non
hanno uno spazio interno dedicato e discutono dell’andamento dell’impresa e delle
questioni connesse al lavoro. Inizialmente, i delegati si erano divisi i compiti, in base a
conoscenze, capacità e disponibilità delle singole persone, ma questa scelta organizzativa
non ha funzionato ed è stata rivista. Nel caso la RSU debba decidere, cerca l’unanimità,
non esiste un coordinatore, anche se la delegata quadro appartenente alla Cisl sembra
avere un ruolo molto importante, sia per l’autorevolezza, il carisma e le competenze di cui
dispone sia per il maggiore tempo a disposizione, dovuto al forte demansionamento a cui
è stata soggetta e che all’origine di una vertenza con la azienda per mobbing.
Tra i delegati i rapporti sono sufficientemente buoni, anche se a volte le relazioni tra le due
sigle sono difficili. In particolare è forte il sospetto tra i membri appartenenti alla Cgil che i
vecchi delegati della Cisl avessero un rapporto privilegiato con la direzione alla base
anche di esiti negoziali insufficienti.
La comunicazione formale con i lavoratori avviene solo mediante le assemblee che si
tengono ogni 2 o 3 mesi. Esiste un forte scambio informale per lo più tra i singoli delegati e
i colleghi di reparto o area. L’RSU se da una parte ricerca un rapporto con gli impiegati e i
quadri, dall’altra sembra poco interessata a rappresentare i lavoratori temporanei a cui non
riconosce una piena cittadinanza aziendale. Infatti non sembra creare particolare scalpore
l’esclusione di lavoratori a termine e somministrati dal PdR.
Il rapporto con i sindacati esterni è saltuario e percepito come routinario e insufficiente. In
particolare si lamenta lo scarso accompagnamento nello svolgimento del ruolo, il non
inserimento in una rete formativa adeguata e una limitata consulenza tecnica. Questo
giudizio coinvolge entrambe le sigle, anche se è più marcato nel caso della funzionaria
della Cgil.
40
I delegati ritengono inoltre che i funzionari siano poco capaci di innovare lo scambio con
l’azienda, tuttavia non si rendono conto che spetta anche a loro partecipare al processo
negoziale.
La RSU non può contare su una sufficiente forza: il tasso di sindacalizzazione è basso
(circa il 20%), l’agibilità sindacale insufficiente – dato che l’azienda non ha messo a
disposizione della RSU nessuno strumento per lo svolgimento del ruolo – e la
mobilitazione dei lavoratori difficile e parziale. Solo recentemente sono emersi alcuni
segnali di maggiore partecipazione dei lavoratori alla mobilitazione, in seguito ai processi
di riorganizzazione aziendale. Le conoscenze a disposizione della RSU sono
complessivamente buone per quanto riguarda l’organizzazione produttiva, il prodotto, la
struttura del mercato in cui opera l’azienda. Insufficienti sembrano invece quelle relative
alle strategie aziendali e allo stato economico finanziario. Sufficienti, sebbene concentrate
principalmente in una persona, sono le competenze tecniche necessarie a svolgere la
funzione di rappresentanza e tutela. Emerge tuttavia la presenza nella RSU di una buona
motivazione, di tenacia e di consapevolezza circa lo stile aziendale di gestione del lavoro
e delle relazioni sindacali.
Dopo diversi anni in cui la RSU ha svolto un ruolo subalterno alla dirigenza e alle sue
scelte, i nuovi delegati hanno cercato di impostare un nuovo sistema di relazioni con
l’azienda. In astratto, i delegati concepiscono la rappresentanza sostanzialmente come
strumento di partecipazione del lavoro al buon andamento dell’azienda, che secondo loro
passa anche attraverso un equo riconoscimento dell’impegno dei dipendenti. Tale
approccio però si è dovuto scontrare con una visione del governo del lavoro di tipo
unilaterale e a tratti antagonista verso la rappresentanza sindacale. L’interazione tra le
parti sociali produce sempre aggiustamenti nella loro azione; in particolare il recente
comportamento della dirigenza nel processo di riorganizzazione aziendale ha minato
pesantemente il rapporto con la RSU, la quale non sembra più di disposta a dare fiducia
alla azienda sapendo che sarebbe mal riposta.
4.2.3 Il sistema di relazioni industriali presente in azienda
Il management ha una visione unitaria dell’azienda nella quale il rapporto con i lavoratori
deve essere diretto e non mediato da una rappresentanza. Il riconoscimento della RSU è
quindi semplicemente formale e limitato ai reparti in cui ha una rappresentatività
sostanziale, inoltre – soprattutto da quando ha abbandonato una posizione subalterna – vi
una costante svalutazione del suo ruolo e un ostacolo ai processi di partecipazione alla
rappresentanza o alla mobilitazione sindacale. Se la presenza della Cisl – unico sindacato
presente per molti anni – era tollerata in quanto fautrice attraverso un suo funzionario e
alcuni delegati di un sistema di relazioni sindacali definito dai nuovi membri come “poco
trasparente” e subalterno, l’ingresso della Cgil è stato fortemente osteggiato. Questo è
comunque avvenuto e sembra aver inciso sullo stile di gestione delle relazioni industriali
che con l’elezione della nuova RSU è divenuto più formale e proceduralizzato.
L’approccio insofferente verso la rappresentanza è rimasto immutato nonostante le
diverse proprietà che si sono susseguite negli anni; non si è mai cercato di impostare un
rapporto diverso e questo potrebbero spiegare come mai il direttore del personale, unico
tra i dirigenti, sia stato in grado di sopravvivere ai vertici aziendali.
L’azienda nonostante abbia formalizzato negli accordi integrativi un sistema di
informazione piuttosto ambizioso che dovrebbe coprire tutti gli aspetti relativi alla gestione
del lavoro e della sua prestazione, ma anche le prospettive produttive e le scelte
organizzative dell’azienda, ha un approccio elusivo e non trasparente. L’RSU deve
insistere costantemente per ottenere delle informazioni e comunque, come è capitato
41
anche recentemente, questa pressione non porta alla fine ad ottenere ciò che è stato
richiesto. Sebbene l’azienda si sia impegnata a comunicare le modifiche organizzative e il
decentramento produttivo, la chiusura del magazzino di Santa Maria di Sala e
l’esternalizzazione della logistica in uscita, con l’apertura a Piacenza di una piattaforma
appaltata ad una cooperativa, è stata tenuta nascosta alla RSU e ai sindacati territoriali e
nazionali fino ad un giorno prima della sua apertura.
Il comportamento scorretto dell’azienda in questa vicenda e l’ostinazione a negare un
progetto più ampio di ristrutturazione della struttura organizzativa ha incrinato i rapporti
con la RSU e generato timore e tensione tra i dipendenti che assistono a mutamenti nei
carichi lavorativi di alcuni reparti e che non riescono ad ottenere una chiara conferma di
voci che si stanno a diffondersi informalmente.
L’azienda non solo non è interessata a legittimare sostanzialmente la rappresentanza
sindacale, ma non sembra neppure interessata a valorizzare i lavoratori e investire nel
miglioramento delle pratiche lavorative. O meglio l’investimento sembra essere limitato agli
addetti di alcuni reparti e aree (come il prodotto, la modellistica e la funzione commerciale
e quella di governo della logistica), ossia quelle che presumibilmente potrebbero diventare
il core business dell’azienda. Questo confermerebbe una strategia volta ad esternalizzare
non solo il magazzino, le attività di confezionamento, il prontomoda, ma anche la
prototipia. Non esiste possibilità di carriera se non limitatamente al proprio reparto e non
sono presi in considerazione passaggi da un reparto all’altro.
Il confronto tra le parti avviene normalmente ogni due o tre mesi; esiste inoltre una
commissione in materia di formazione, che l’azienda usa però unicamente per informare i
delegati sui piani formativi e le persone coinvolte. L’orientamento contrattuale è
sostanzialmente ristretto agli istituti tradizionali con timide aperture alcuni temi (diritti di
informazione, formazione, part-time) che però tendo a restare sulla carta. L’intenzione
sottesa al confronto è volta ad un controllo stringente dei costi del contratto (quindi di
determinate figure lavorative) e di limitazione del ruolo rappresentativo. La condotta
negoziale è dilatatoria, anche perché il direttore del personale ha una autonomia limitata e
deve riportare l’andamento della negoziazione all’amministratore delegato. Dal 2008 il
direttore del personale è affiancato da un funzionario di Confindustria. Una scelta che
sembra dettata dalla necessità di avere una figura esperta di accordi integrativi, in
particolare nella costruzione di PdR, visto che con l’ultimo accordo è stato reintrodotto il
salario per obiettivo, ma anche in grado di gestire le relazioni con una RSU plurale
nell’appartenenza e meno subalterna nell’approccio alla dirigenza, in un contesto di
tensione derivante dalla riorganizzazione aziendale.
Analisi degli esiti negoziali:
Flessibilità
Industries è una azienda che da numerosi anni ricerca la flessibilità attraverso un continuo
processo di esternalizzazione di fasi del processo produttivo e di progressiva
concentrazione in alcune funzioni e aree che ritiene strategiche e a maggior valore
aggiunto come: il prodotto, la modellistica, la gestione della logistica e soprattutto le
funzioni commerciali e di gestione del marchio. In alcune aree ancora interne, ma sempre
più periferiche rispetto al core business, come nella prototipia e nel magazzino dei
semilavorati, la flessibilità è ricercata attraverso un discreto uso di lavoro atipico. Diffuso è
anche l’uso di stagisti, in particolare negli uffici e nella logistica. Per quanto riguarda le
altre forme di flessibilità, lo straordinario è rientrato entro livelli fisiologici, in particolare
nelle aree periferiche, mentre la flessibilità funzionale è inesistente.
La riorganizzazione della logistica, con la conseguente chiusura del magazzino di Santa
Maria di Sala, ha portato ad un accordo difensivo, necessario per l’apertura di una pratica
42
di Cassa integrazione Straordinaria, nel quale sono previsti degli incentivi economici
all’esodo.
Elementi retributivi
Le retribuzioni di base nel comparto del tessile abbigliamento sono notoriamente piuttosto
basse. La politica retributiva dell’Industries è di contenimento dei costi, nonostante una
costante performance economica positiva in termini di fatturato e di Mol. Per quattro anni,
dal 2004 al 2008, i lavoratori non hanno beneficiato del PdR in quanto l’azienda era
indisponibile ad erogare contemporaneamente il salario per obiettivi e il buono pasto.
Quella del pasto caldo è una rivendicazione storica in quanto molti lavoratori soffrivano il
disagio del pranzo perché non abitando nelle vicinanze dello stabilimento erano costretti a
portarsi il vitto e consumarlo in azienda. Per la RSU la questione era diventata una priorità,
al punto che ha ceduto sull’erogazione del PdR pur di ottenere un buono pasto di importo
crescente negli anni e che solo con l’accordo integrativo del 2008 a raggiunto l’importo
massimo esente da imposizione fiscale (5,29€). L’azienda nell’accordo del 2004 aveva
inoltre previsto a parziale compensazione l’erogazione di un importo una tantum di 800€
distribuito sui 4 anni di vigenza del contratto, ciononostante i lavoratori hanno percepito
solo la prima tranche.
In compenso le retribuzioni sono incrementate da superminimi individuali distribuiti
discrezionalmente dall’azienda o nel caso di figure professionali particolarmente ricercate
contrattati individualmente. I prototipisti, che dopo una negoziazione sulle categorie sono
tutti inquadrati al 4° livello intermedio, hanno anche un superminimo collettivo di 50€ che
l’azienda ha preferito riconoscere a fronte della sua indisponibilità a concedere alle
lavoratrici di questo reparto il 5° livello.
Prima dell’accordo del 2004 esisteva un PdR costruito su un unico indicatore di redditività.
Gli attuali delegati erano decisamente insoddisfatti del meccanismo premiante in quanto
pur in presenza di fatturati in crescita i lavoratori non solo non riuscivano ad ottenere il
100% del premio, bensì degli importi decisamente bassi.
Nel 2008 la RSU è riuscita a reintrodurre il salario per obiettivi nonché l’inserimento di un
indicatore più vicino ai guadagni aziendali. Oltre al Mol troviamo quindi un parametro
connesso al valore dei capi venduti (VCV), determinato dal prodotto del numero dei capi
spediti ai clienti per il valore dell’ordine, al netto degli sconti.
Il meccanismo premiante prevede che ciascun parametro partecipi in maniera autonoma e
disgiunta alla formazione dell’importo erogato: il PdR è determinato per il 40% dal VCV
che deve essere superiore a quello dell’anno precedente e per il 60% dal Mol. Per quanto
riguarda questo parametro sono previsti una serie di livelli, ognuno dei quali da accesso
ad una percentuale della quota parte di premio: ad esempio se il Mol consuntivo è
inferiore al 95% di quello di budget i lavoratori non hanno accesso ad alcun importo,
mentre se è superiore al 110% essi maturano il 125% della quota di premio prevista. Tra
questi due estremi sono previste dei risultati intermedi.
L’accordo integrativo del 2008 ha definito dei premi decisamente bassi sebbene crescenti
negli anni: si parte da 250€ del 2009 per arrivare a 450€ nel 2012. Inoltre è previsto un
correttivo legato alla presenza individuale, che riduce l’importo nel caso di assenze per
maternità facoltativa, di giornate non lavorate per malattia oltre i 15 giorni e per permessi
non retribuiti, sciopero e assenze non giustificate.
Dal PdR sono esclusi tutti i lavoratori che non hanno un contratto a tempo indeterminato.
Riconoscimento e rappresentanza della diversità
Industries come molte aziende del tessile e dell’abbigliamento è formata in gran parte da
donne. Da parte dell’azienda non vi è però interesse a riconoscere pari opportunità nei
43
percorsi di carriera, al punto che le donne non hanno accesso alle cariche apicali e
difficilmente a quelle intermedie. Inoltre, la maternità sembra ancora essere considerata
una minaccia alla produttività e per questo da non incentivare: il part-time è concesso con
molta difficoltà e in maniera discrezionale, per questo i delegati hanno chiesto di poter
istituire una commissione ad hoc in grado di garantire trasparenza ed equità nella
concessione del tempo ridotto. La tensione determinata dalla riorganizzazione però ha
congelato la proposta. Inoltre è in corso una vertenza per mobbing intentata da una donna
con importanti compiti nella funzione commerciale che di ritorno dal periodo di maternità
ha subito un forte demansionamento.
Infine se guardiamo gli istituti contrattuali si capisce che il sostegno economico della
lavoratrice in questo periodo di assenza non è considerato. Il buono pasto, infatti, non è
riconosciuto in caso maternità obbligatoria, facoltativa e permesso ex legge 104. Inoltre, le
assenze per maternità facoltativa sono tra quelle che riducono l’importo individuale del
PdR.
L’azienda certamente non sembra interessata a politiche di sostegno della maternità né a
riconoscere alle donne una rappresentanza nella gerarchia proporzionale alla loro
presenza, la RSU sebbene sia consapevole della situazione, appare poco propensa ad
intervenire su questo fronte.
Innovazione
Industries è un’azienda dinamica, molto attenta ad adattare la propria struttura
organizzativa interna e la rete relazionale esterna da lei comandata, in funzione dei
mutamenti dell’ambiente competitivo. Non è invece interessata ad innovare le pratiche
lavorative e nemmeno le relazioni industriali.
Quale modello di relazioni industriali?
In Industries emerge un sistema di relazioni industriali a costi minimi, nel quale l’azienda
cerca di contenere il costo del lavoro, in particolare quello connesso a funzioni che
considera come periferiche rispetto ad un core business sempre più centrato sulla
concezione dei capi e il governo di un rete di produzione, commercializzazione e gestione
dei marchi. La rappresentanza, il sindacato, sono visti come un vincolo e una fonte di costi
aggiuntivi che devono essere minimizzati. In passato la presenza di una RSU e di
funzionari subalterni, aggravata dall’assenza di pluralismo sindacale, hanno permesso la
parvenza di rapporti partecipativi che mascheravano tuttavia una relazione fortemente
asimmetrica e uno scambio povero quanto a temi considerati e a valorizzazione
(quantitativa e qualitativa) della prestazione lavorativa.
L’ingresso della Cgil e l’elezione di una rappresentanza meno deferente e motivata a
qualificare il rapporto di scambio con l’azienda hanno partecipato a manifestare la
concezione del lavoro della dirigenza e gli obiettivi della negoziazione. Ad ogni modo, la
RSU ha modificato il suo atteggiamento verso la controparte solo a seguito della gestione
unilaterale e occulta (nonostante la presenza di clausole contrattuali sull’informazione)
della ristrutturazione aziendale. Questo evento ha incrinato seriamente il rapporto di
fiducia e legittimato il conflitto come forma di confronto, in un contesto in cui però la RSU
dispone di scarse risorse di forza e una cultura della deferenza è ancora piuttosto radicata
tra i lavoratori.
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5. Lundbeck Italia
La Lundbeck è un gruppo farmaceutico danese che ha il suo centro decisionale a
Copenaghen. Il gruppo, con 5500 dipendenti di cui circa la metà in Danimarca e più di 50
sedi nel mondo, è attivo nell’ambito della ricerca, produzione e commercializzazione di
farmaci per la cura delle patologie del sistema nervoso centrale.
La Lundbeck, che è stata fondata nel 1915, cresce e acquisisce l’identità di gruppo negli
anni ’70-’80 al seguito del successo nella commercializzazione di un antidepressivo che
diventa il farmaco non generico più prescritto negli USA per la sua tipologia.
Il gruppo è diviso in tre divisioni:
• Ricerca che impiega quasi un migliaio di persone ed è localizzata in Danimarca e
USA;
• Commerciale/business operation che comprende la maggioranza delle società del
gruppo con una presenza globale;
Supply
operation and engineering che si occupa della produzione del farmaco e del
•
principio attivo e con sedi a Padova, in Danimarco, ed in Inghilterra.
La Lundbeck Foundation è proprietaria del 70% del gruppo Lundbeck, mentre alla guida si
trova un Executive Management di sei persone, tutte danesi, guidate da Ulf Wiinberg in
qualità di CEO e Presidente del gruppo.
La sede di Padova era inizialmente uno stabilimento chimico che produceva principi attivi
per le industrie farmaceutiche, quindi la classica impresa padronale con a capo il suo
fondatore. Il gruppo Lundbeck la acquisita nel 2000 per incrementare prima di tutto la
propria capacità produttiva. All’acquisizione non segue nessun drastico cambiamento del
management e il gruppo dirigente italiano rimane integro e nelle loro funzioni o
quantomeno viene preservata la struttura formale.
L’essere entrati a far parte di un gruppo ha comunque portato dei cambiamenti all’impresa
di Padova:
•
•
•
•
•
•
la formazione per i dirigenti;
una nuova cultura aziendale;
l’utilizzo di nuovi strumenti di gestione e di organizzazione del personale;
la governance;
l’internazionalizzazione dell’impresa;
una forte informatizzazione dei processi gestionali.
5.1 Mercati, strategie e prodotto
La Lundbeck è una multinazionale che opera a livello internazionale proponendo una
vasta gamma di prodotti farmaceutici per la cura dei disordini mentali. Il 100% del fatturato
è quindi prodotto all’estero. In particolare il primo mercato di riferimento è dato dall’area
europea che rappresenta da sola il 55% del mercato complessivo. Sono però gli Stati Uniti
con il 22% a rappresentare l’area strategicamente più sensibile per il gruppo, superando
da soli il 21% rappresentato dal resto del mondo. La performance sui mercati è poi
strettamente legata alla commercializzazione di alcuni farmaci - sei prodotti - che sono
considerati i loro key products e che rappresentano l’84% delle vendite. In tal senso il
peso del mercato statunitense è chiaramente leggibile rispetto ai dati di crescita e di
rafforzamento che il gruppo ha avuto globalmente, collegati all’introduzione di un nuovo
farmaco per la cura degli spasmi infantili in quel mercato.
45
La ricerca costante di nuovi prodotti è uno delle linee fondamentali dello sviluppo del
gruppo. Più di 480 persone sono attualmente impegnate in Danimarca e Stati Uniti
nell’ambito della Ricerca e Sviluppo. Bisogna considerare che i tempi di sviluppo di un
farmaco sono piuttosto lunghi. Il processo di sperimentazione scientifica copre un arco di
tempo non inferiore ai tre anni e in alcuni casi arriva fino a 5 anni. Poi ci sono le pratiche
legate all’approvazione dei farmaci da parte delle autorità nazionali competenti. A livello
mondiale sono impiegate per questa attività 800 persone. Alla ricerca si somma una
precisa strategia di partnership con imprese che operano nel settore farmaceutico e con
l’università.
Lo stabilimento di Padova fa parte della divisione legata alla Supply operation and
engineering. L’acquisizione del 2000 era quindi legata, in prima battuta, a un bisogno da
parte del gruppo danese esclusivamente produttivo: aumentare la produttività. Bisogna
considerare che quella farmaceutica è una produzione altamente intensiva in termini di
capitale e la parte legata alla qualità e all’analisi è poi preponderante nella trasformazione.
Quello che era stato acquisito era un general know how di tipo procedurale (produzione),
mentre il know how scientifico legato alla definizione del processo attivo rimaneva
appannaggio del gruppo e legato anche territorialmente (divisione ricerca) alla Danimarca
e agli USA (il loro mercato di riferimento).
Lo stabilimento di Padova, però, non è solo il contenitore di procedure e di tecnologie di
processo tese alla produzione del principio attivo che poi altre imprese del gruppo
condenseranno in un farmaco, per poi inscatolarlo e commercializzarlo. Il know how
particolare che mette in gioco e contraddistingue Padova è legato allo sviluppo di processi
di sintesi. Al fine di potenziare ancora di più l’ambito della ricerca in cui sono impegnati già
una ventina di persone sono state attivate anche una serie di attività e relazioni con poli
universitari della regione.
La posizione nell’architettura organizzativa del gruppo e il mantenimento dello staff
originario ha permesso all’impresa padovana di poter operare nel mercato con “due
anime”, entrambe orientate a strategie di spoiling: una relazione organica e gerarchica con
il gruppo e una relazione, che fa leva su variabili di contesto, con soggetti terzi. La scelta
quindi è stata quella di non produrre esclusivamente per la casa madre che comunque è il
“cliente di riferimento” da cui dipende il profitto, ma attivare anche un business esterno con
clienti terzi.
L’impresa padovana, con un grosso sforzo del management, ha scelto di vedere la casa
madre come un cliente, mantenendo una sorta di identità separata. Ovviamente questa
visione fa parte più della cultura manageriale padovana che in una reale autonomia
d’azione dal gruppo. Concretamente però ha permesso che parte del fatturato provenga
dallo sviluppo di processi e/o dalla produzione del principio attivo o del generico per conto
terzi. Questo è stato facilitato anche dalla relazione che si instaura con la clientela data
dalla natura stessa del sistema di regolamentazione dei farmaci che permette di
mantenere relazioni stabili e continuative. In un ambiente così fortemente regolamentato
per poter registrare un produttore del principio attivo un’impresa deve sostenere dei costi
molto elevati per tutte le procedure richieste (ispezioni, deposito del processo al ministero
della salute del paese, etc.) per cui una volta creata la connessione con un produttore il
prezzo del lavoro diventa solo una delle variabili strutturali dell’intera operazione. La vera
scelta che pesa è quella di cambiare o meno produttore ricominciando da zero il percorso.
Se poi si considera che la casa madre è proprietaria del, per cui lo stabilimento di Padova
può al massimo implementarlo a fini di resa della produzione, nel caso delle altre
collaborazioni ci può essere il casso della commissione per lo sviluppo di un processo. Tra
le loro politiche non c’è l’attenzione alla vendita di brevetti, perché ritenuta una “attività
aggressiva” nel mercato dei farmaceutici. Preferendo una brevettazione mirata alla
protezione.
46
Naturalmente uscire, anche se di poco e per piccole entità, dall’ombrello della casa madre
comporta dei rischi. La concorrenza nasce nel momento che il cliente desidera la
produzione del principio attivo. In questo caso la variabile del prezzo può giocare una
differenza, tanto che i player da monitorare non sono imprese ma sono “sistemi” con una
forte cultura di implementazione di processo: Cina ed India.
5.1.2 Produzione, tecnologie e saperi
Nello stabilimento di Padova sono impiegate 122 persone. L’organizzazione e gli spazi in
cui queste persone si muovono ricalcano le due principali funzioni produttive della
Lundbeck: la definizione di un processo ed il processo stesso.
Direzione, amministrazione e finanza e marketing assorbono solamente 15 persone sul
totale. La maggioranza del personale è invece equamente distribuita tra la produzione (49)
e quel blocco di competenze scientifiche e procedurali che coprono le aree della qualità e
controllo, ricerca e sviluppo, ingegneria e manutenzione (54). Se in produzione sono
praticamente assenti (1 al finisaggio) le poche donne presenti (18) alla Lundbeck sono
concentrate nell’area impiegatizia (qualità, amministrazione, marketing) e nell’area di
ricerca e sviluppo. Nell’impresa di Padova al momento non sono impiegati lavoratori
extracomunitari.
La natura della gestione e della produzione stessa della Lundbeck richiede
necessariamente una serie di conoscenze specialistiche che si riflettono nel percorso
formativo dei dipendenti: 31 hanno la licenza di scuola media, 49 sono diplomati, 35
hanno una laurea, 6 con un percorso di specializzazione post laurea. A questo 30% di
laureati va sommato poi l’attenzione da parte della direzione nell’intercettare per la
produzione quei soggetti che escono dal polo petrolchimico di Marghera. Questo a motivo
non tanto di una conoscenza specifica della produzione che nei fatti non hanno, ma
piuttosto per una esperienza in grado di adattarsi rapidamente al tipo di lavorazione svolta
a Padova.
È corretto per comprendere il flusso produttivo della Lundbeck partire dall’area di ricerca.
Come si è visto sia l’attività per conto terzi che il lavoro per la casa madre richiede allo
stabilimento o il totale sviluppo o l’implementazione del processo per una resa in
produzione che non intacchi il principio attivo. I team leader, con conoscenze tecniche
specifiche, coordinano 4 persone, che possono anche dividersi con la produzione, per
studiare e definire il processo in base al comportamento del principio attivo da sviluppare.
Queste operazioni si integrano con un laboratorio, in cui lavorano stabilmente 5 o 6
persone sempre coordinate da un team leader, che interviene nel lavoro del laboratorio
ogni qual volta è necessaria un analisi sullo stato del prodotto nel processo. Quindi il
reparto pilota fa tutte le necessarie prove di convalida secondo le procedure dettate
dall’organo di controllo nazionale perché si possa arrivare alla produzione in un quadro
che rispetti pienamente le normative. Ovviamente i tempi, per quanto si tratti di operazioni
routinarie e serializzate, in questa fase sono quelli dettati dalla ricerca stessa.
Queste procedure definiranno poi il foglio di produzione. Questo foglio è il vero e proprio
medium tramite il quale gli addetti alla produzione sono in contatto con la funzione
organizzatrice del processo. Per quanto gli operai in produzione siano soprattutto chiamati
a svolgere azioni legate alla preparazione delle sostanze da utilizzare in fase di
lavorazione, il controllo e costante monitoraggio del processo, l’attivazione delle diverse
fasi per la lavorazione, fino alla messa in sicurezza della macchina per la manutenzione e
il trasporto delle sostanze di scarto per il loro stoccaggio, il foglio di lavorazione definisce
comunque un regime di variabilità nella routine. Variabilità sul processo che non può mai
essere messa in dubbio in fase di produzione dal lavoratore. La rigida divisione
disciplinare in produzione e una forte gerarchizzazione dell’ambiente lavorativo (capo
reparto, capo turno) è necessaria dal momento che l’intero processo è irrigidimentato da
47
norme e controlli che chiedono al lavoratore di eseguire quanto scritto sul foglio e al capo
turno e al capo reparto di far si che il processo rispetti gli standard generali di processo. E
in caso di problemi sono chiamati ad una rapida interfaccia con l’area di ricerca per
definire in che punto fisico dell’impianto e del processo si sia riscontrato tale intoppo. Per
quanto l’operatore risponda a se stesso nel suo lavoro in quanto segue il proprio foglio di
lavoro e sia coordinato da un team leader, il grado di autonomia (scegliere i propri compiti
o cambiarne l’ordine di esecuzione, metodi di lavoro, impostazione e soluzione del
problema, la velocità), che gli è accordato e che lui si riconosce rispetto al processo stesso
è necessariamente nullo. Tutto questo struttura un regime di doubble loop tra produzione
e ricerca.
Considerando che si producono “beni non di massa” per pochi clienti e con 200 spedizioni
all’anno, e che si utilizzano tecnologie di processo, in produzione ci sono ritmi piuttosto
diluiti in quanto “il lavoro presuppone tempi di attesa”. Il lavoro è organizzato su tre turni da
9 persone con 4 semiturnisti 6-14 14-22. Con un capo turno, un capo reparto e un capo
produzione che gestisce tutta la produzione.
Ottenuto il talco si va al finissaggio in cui il principio attivo viene asciugato dell’ultima parte
di solvente ancora presente per ottenere il principio attivo puro e prepararlo per la
spedizione al cliente in fusti da 30 kg.
Accanto alla relazione ricerca-produzione, ci sono tre reparti che supportano l’intero
processo. Il magazzino che contiene i principi attivi per la produzione. Vi lavorano 3
persone e preparano i prodotti necessari agli operai in produzione diretta.
Il reparto eva che è un impianto in cui lavorano 4 persone e dove vengono smaltiti tutti gli
scarti della produzione.
Quindi l’Officina. Manutentori ed elettricisti, che lavorano in giornaliero, sono una presenza
costante in produzione e lavorano in stretta relazione e coordinamento con gli operai
diretti. Del reparto una parte sono dipendenti Lundbeck e generalmente svolgono la
manutenzione ordinaria, a loro si affiancano gli addetti alla manutenzione straordinaria e
alla riparazione che fanno parte di una ditta esterna.
La relazione con il gruppo si declina anche in un vero e proprio imperativo tecnologico.
Infatti la Danimarca risulta molto attenta ai cambiamenti tecnico organizzativi avendo
introdotto il sistema SAP a livello comunicativo-informatico e avendo iniziato ad introdurre
la metodologia lean.
Vantaggi competitivi della Lundbeck:
• Qualità
• Tecnologie
• Prodotto
5.2 RSU della Lundbeck
5.2.1 La rappresentatività
La rappresentanza dei lavoratori è presente da molti anni, da prima che l’azienda già
produttrice di principi attivi, fosse acquisita dal gruppo Lundbeck. La RSU è attualmente
composta da 4 delegati maschi, italiani e giovani. Da questo punto di vista il forte
cambiamento dell’organizzazione produttiva sembra aver coinvolto anche la
rappresentanza: due dei 4 delegati hanno infatti meno di 35 anni, uno addirittura meno di
48
30. Il quarto delegato, il membro “storico” del gruppo ha seguito la nuova RSU per circa un
anno, per poi abbandonare il ruolo. Per quanto riguarda la composizione professionale 2
sono in produzione e due nei dipartimenti R&S e controllo qualità, mentre dal punto di
vista dell’appartenenze sindacale ci sarebbe un’equa distribuzione tra Cgil e Cisl, ma
l’uscita del delegato più anziano ha esso in minoranza la prima. (Scarsa disponibilità a
candidarsi per il ruolo)
La legittimazione sostanziale della RSU è limitata ad alcune aree e in particolare a quelle
che hanno espresso i delegati. Nelle altre aree questo riconoscimento sembra venire
meno o comunque essere parziale e limitato ad alcune funzioni particolari. In alcune
assemblee, ad esempio quelle in cui si presentano i rinnovi degli accordi nazionali e
aziendali o si affrontano materie che hanno a che fare con mutamenti consistenti delle
modalità di erogazione della prestazione lavorativa, la partecipazione è sostenuta, circa
60-70 persone, un numero decisamente superiore agli iscritti che sono circa 25. I quadri e
molte figure tecniche infatti tendono complessivamente a gestire individualmente il proprio
rapporto di lavoro.
5.2.2 L’esercizio della funzione di rappresentanza
Le dimensioni ridotte dell’organismo di rappresentanza non necessitano una
proceduralizzazione delle attiva, non esiste nessuna divisione interna del lavoro,
nemmeno informale e con le dimissioni del delegato più anziano, nemmeno un
coordinatore. Parimenti non esiste un sistema formale di decisione: si cerca sempre la
convergenza, facilita dal fatto che tra i due delegati più attivi, che tra l’altro non
appartengono alla stessa organizzazione, il clima è decisamente buono. Il terzo
componente è invece molto meno presente alle attività. Normalmente gli incontri ufficiali
avvengono ogni 2 o 3 mesi, ma è molto frequente il confronto informale
Attualmente la RSU sembra vivere una crisi di ruolo e di identità. Con l’uscita dalla RSU
del delegato storico si sono perse quelle conoscenze, competenze derivanti dall’anzianità
aziendale e di mandato. Ora la RSU non si pone obiettivi e priorità, anzi si trova a disagio
nel confronto con la controparte. Sostanzialmente è trainata dalle scadenze esterne e
istituzionali e dall’iniziativa delle dirigenza. L’unico obiettivo che un delegato sembrerebbe
porsi è l’ingresso nel Cae del gruppo.
La RSU di Padova mantiene dei rapporti con quella di un’altra azienda del gruppo che ha
sede a Milano, la quale non avendo attività produttive, ma solo commerciali, si confronta
con questioni organizzative e lavorative molto diverse. Anche per questo non c’è un
rapporto strutturato, stabile e di collaborazione tra loro. Il problema che vive la RSU di
Padova è che il delegato di Milano è anche il rappresentante italiano nel Cae. La
rappresentanza di Padova si sta battendo per poter avere una voce in quella sede,
ritenendo di non essere adeguatamente rappresentata dal delegato di Milano. Fin’ora ha
avuto risposte negative da parte del gruppo.
Il Cae è visto dalla RSU come uno strumento potenzialmente molto importante, ma da loro
sottoutilizzato. A parte la loro esclusione, esiste poca comunicazione con i membri e in
particolare l’esecutivo dominato da rappresentanti danesi che sembrano conoscere poco
l’inglese. Inoltre, nonostante ci sia una ampia circolazione di informazioni ammettono di
non essere in grado di interpretarle e di utilizzarle nelle relazioni con l’azienda.
I delegati sono consapevoli di avere delle scarse conoscenze su molte questioni oggetto
di negoziazione, sui diritti dei lavoratori e l’attività della RSU. Questa debole preparazione
determina una certa deferenza verso la direzione e gli stessi colleghi. La comunicazione
con i lavoratori avviene un paio di volte all’anno tramite le assemblee, ma soprattutto
passa per canali informali. I delegati hanno una scarsa autonomia e sostengono di avere
49
difficoltà ad offrire anche servizi e tutela individuale di base, come leggere una busta
paga.
Ad ogni modo, dai delegati emerge una grande motivazione a migliorare, la quale si
infrange però con il rapporto con i rispettivi sindacati esterni, percepito come
insoddisfacente anche perché non gli fornisce le competenze necessarie per svolgere
efficacemente il loro ruolo.
L’approccio della RSU verso la controparte negoziale è quello tipico di una partecipazione
deferente. I delegati non hanno iniziativa contrattuale, hanno poca esperienza negoziale e
non concepiscono lo sciopero come uno strumento necessario.
5.2.3 Il sistema di relazioni sindacali presente in azienda
L’acquisizione dell’impresa familiare da parte della multinazionale danese e la seguente
managerializzazione nella struttura di governo hanno mutato la concezione e lo stile di
governo del lavoro. Da un approccio paternalistico, si è passati ad una concezione del
lavoro come risorsa da valorizzare, incentivare e mantenere all’interno. Per questo
l’azienda sta investendo molto in formazione, sicurezza, partecipazione attraverso circoli di
qualità e nel benessere lavorativo, anche mediante studi sull’organizzazione del lavoro e
indagini periodiche sul clima aziendale. Esiste inoltre un ampia trasparenza garantita da
un sistema di comunicazione intranet aziendale e di gruppo che mette a disposizione
molte informazioni.
Un investimento minore sembra invece essere riposto nelle relazioni industriali, o meglio
nel rapporto con la controparte. Il riconoscimento è sostanziale e l’approccio della
dirigenza è aperto e trasparente, ma sembra risentire del riconoscimento limitato da parte
di molte aree dell’azienda e delle scarse risorse di cui dispone la RSU. Ciononostante,
l’orientamento contrattuale dell’azienda è aperto e disponibile ad introdurre nuove
problematiche, anche se bisogna constatare che l’iniziativa contrattuale e l’innovazione è
spesso spinta dall’azienda.
Esiste formalmente un significativo sistema di informazione e consultazione dei delegati su
materie come l’organizzazione del lavoro, professionalità ed inquadramenti, livelli
occupazionali, formazione e sicurezza. Tuttavia, tale accordo sembra essere rimasto sulla
carta, e come riconosciuto dai delegati, forse per mancanza di iniziativa della RSU.
Il confronto con la controparte è di tipo volontaristico: non esistono incontri a cadenza fissa
salvo per la definizione del piano annuo degli orari e nemmeno commissioni permanenti.
Gli incontri avvengono ogni due o tre mesi e qualora richiesto dalla scadenza contrattuale.
Gli accordi sono solo scritti, si riducono al contratto integrativo e al massimo alla revisione
del PdR e sono proposti dall’azienda. Il ruolo della controparte sembra ridursi a poco più
che ad una ratifica. Per quanto riguarda la loro portata, i temi non si discostano molto da
quelli tradizionali: centrale è l’elemento retributivo, poi trova spazio il sistema di
informazione e consultazione, i temi della formazione, dell’ambiente e l’orario di lavoro con
le relative maggiorazioni.
Analisi degli esiti negoziali:
Flessibilità
L’azienda non fa un uso elevato delle varie forme di flessibilità, se si esclude il ciclo
continuo che però è tipico negli impianti chimici. Il lavoro atipico è utilizzato solo nella
forma della somministrazione: riguarda principalmente la produzione, ma in parte anche gli
uffici ed è utilizzato sostanzialmente come periodo di prova prima dell’assunzione. La
flessibilità oraria riguarda solo i dipartimenti e consiste in una disponibilità massiccia allo
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straordinario, tipica delle alte professionalità. Anche la flessibilità funzionale è ridotta,
benché sia richiesto un certo grado di polivalenza agli addetti al ciclo di sintesi.
Gli elementi retributivi
Prima di presentare il premio di partecipazione bisogna evidenziare che il premio di
partecipazione incide soprattutto sulle retribuzione degli operai e degli impiegati ai livelli
più bassi. Le figure tecniche e i quadri vengono incentivati attraverso riconoscimenti
economici individuali. Inoltre, le figure più specializzate del chimico farmaceutico sono
piuttosto ricercate e possono contrattare individualmente il loro stipendio.
Il salario per obiettivi è chiamato dall’azienda premio di partecipazione; non si tratta di una
semplice variazione stilistica, ma è stato costruito dall’azienda proprio per incentivare il
coinvolgimento dei lavoratori. Vi è un indicatore legato alla qualità e uno alla sicurezza dei
lavoratori. Il primo considera sia l’assenza di contestazioni nella produzione sia il
superamento con solo osservazioni minori degli audit da parte dei principali enti regolatori
(casa madre, Aifa, Fda, clienti strategici). Il secondo invece premia la segnalazione dei
mancati incidenti e la partecipazione a corsi di formazione in materia di sicurezza.
Esistono comunque anche delle componenti redistributive, che incidono per il 60% del
premio, legate al raggiungimento degli obiettivi produttivi assegnati dalla casa madre e al
fatturato derivante dalle produzioni per clienti esterni al gruppo.
Ogni indicatore partecipa autonomamente alla determinazione del premio e per ogni
obiettivo è previsto un meccanismo premiante a “gradini” privo di uno “zoccolo” minimo
garantito. L’importo massimo erogabile è 1100 euro e è uguale per tutti i dipendenti. Dal
premio sono esclusi i lavoratori somministrati. (quanto prendono …mandare una mail)
Riconoscimento e rappresentanza della diversità
Lundbeck gli unici lavoratori immigrati sono nord-europei che ricoprono posizioni
prestigiose e si occupano dei rapporti con l’estero. Le poche donne presenti in azienda
sono impiegate nei vari dipartimenti, con l’aumento del peso delle funzioni indirette sono
tuttavia in aumento. La contrattazione non regola nessuna delle questioni spesso sollevate
dalla componente femminile. Per problemi legati alla conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro non si fanno rappresentare dalla RSU, ma si rivolgono direttamente all’ufficio del
personale o ai manager di riferimento.
Innovazione
Da quando è diventata Lundbeck, l’azienda ha innovato molto nell’ambito della corporate
governance, dell’organizzazione del lavoro, delle Ict e delle pratiche di lavoro. Non vi è
stata invece alcuna innovazione nell’ambito delle relazioni con la RSU.
Quale modello di relazioni industriali?
La Lundbeck è un’azienda chimico-farmaceutica, quindi capital intensive, che compete
garantendo elevati standard di qualità e sicurezza del prodotto, affidabilità e tempestività
nella consegna, nonché producendo e vendendo ricerca su principi attivi. Si può
comprendere quindi l’investimento nella valorizzazione del lavoro e nell’adozione parallelamente alla lean manufactoring e al forte investimento in Ict - di High Performance
Work Practices volte all’aumento del coinvolgimento dei dipendenti e quindi delle
performance individuali.
Lo scarso investimento nelle relazioni industriali e la sostanziale gestione aziendale dei
contenuti contrattuali sembrerebbero inoltre confermare la tesi secondo cui le strategie di
gestione strategica delle risorse umane tenderebbero verso modelli unilaterali di
regolazione del lavoro e quindi ad indebolire il modello di governo basato sulle relazioni
industriali. Ad ogni modo, non si può scartare anche un’altra ipotesi che è stata sollevata
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anche da un delegato, ovvero che l’azienda sarebbe aperta ad innovare e a qualificare il
rapporto con la RSU, ma è disincentivata dalla sua debole rappresentatività sostanziale e
dalla mancanza di competenze per sostenere un modello partecipativo “forte”.
Infine un’ultima considerazione: all’interno della Lundbeck, su 121 dipendenti 35 hanno
una laurea e 6 un titolo post-laurea, inoltre 20 persone lavorano nella R&S. La scarsa
legittimazione della RSU da parte di questi lavoratori evidenzia un altro problema, che
però è del sindacato in generale, ossia quello della rappresentanza delle alte
professionalità e dei lavoratori della conoscenza.
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6. Mediagraf S.p.A.
Mediagraf S.p.a. opera nel settore tipografico e nasce tra il 1988 e 1989 a seguito della
fusione di due tipografie di Padova entrambe legate all’editoria cattolica. Negli anni ha
progressivamente affiancato alle riviste captive che contraddistinguevano e su cui si erano
strutturate le due esperienze tipografiche da cui nasceva, anche la stampa di cataloghi,
periodici generalisti -riviste, settimanali, mensili etc.- e depliant pubblicitari legati alla
grande distribuzione che è arrivato a essere considerato il settore di punta dell’impresa.
La sede della Mediagraf S.p.A. e l’impianto produttivo principale sono a Noventa
Padovana, a Roma c’è un secondo sito, più piccolo (una trentina di dipendenti),
esclusivamente dedicato alla produzione.
L’aspetto che tutt’oggi caratterizza la Mediagraf S.p.A. e che la lega fortemente alla sua
origine è un assetto proprietario che ricalca e conferma il legame dell’impresa con il
mondo cattolico; in cui i Frati di San Antonio sono l’azionista di maggioranza e la parte di
proprietà rimanente è divisa tra la Diocesi padovana e la Conferenza Episcopale Italiana.
Il consiglio d’amministrazione è presieduto da un amministratore delegato (unico laico) che
con il suo arrivo, nel 2004, ha avviato una generale ristrutturazzione dell’assetto
organizzativo dell’impresa marcando una certa discontinuità con la precedente gestione.
6.1 Mercati, strategie e prodotto
La Mediagraf è un’impresa che si può dire operi esclusivamente sul territorio nazionale se
si escludono periodici come il Messaggero di Sant Antonio che sono destinati ad una
distribuzione internazionale, ma che hanno anche logiche differenti rispetto ai prodotti
tipografici destinati al mercato. Più precisamente, poi, è il Nord Italia l’area in cui l’impresa
padovana ha nel tempo strutturato e continua sfruttare la propria rete per quanto si sia
orientata a cercare contatti anche nel Centro Italia.
La relazione della Mediagraf con il proprio mercato di riferimento si declina a partire da
quello che può essere visto come un imperativo tecnologico in cui le “macchine” utilizzate
in produzione determinano pesantemente l’ambito di mercato in cui un’impresa può
inserirsi - clienti, competitor, prodotti, etc-. In tal senso l’evoluzione e l’ascesa dell’impresa
nel mercato ha seguito e continua a seguire l’evoluzione ingegneristica delle tecnologie
della stampa.
Questa dimensione marcatamente territoriale è anche riconducibile al peso che gioca il
time to customer per i clienti della tipografia. La capacità di poter raggiungere
tempestivamente e nei tempi concordati un pubblico disperso sul territorio determina in
primo luogo un vincolo ferreo per i clienti della Mediagraf; in seconda battuta, per la
Mediagraf stessa, è il vincolo principale che non le permette di accedere al mercato
estero. Cercare uno sviluppo verso l’estero potrebbe essere percorribile spostandosi su
prodotti (come i libri) che possono avere tempi meno compressi, ma questo chiederebbe
all’impresa un importante investimento in nuove tecnologie per poi comunque confrontarsi
con competitor da anni presenti sul mercato o con economie in ascesa come la Cina
(bisogna considerare che le materie prime per la stampa in generale e in particolare
maniera la carta sono molto costose).
Per quanto riguarda i competitor della Mediagraf questi sono le imprese che prima di tutto
hanno le stesse rotative. Questa fa si che il gruppo che rappresenta i concorrenti della
Mediagraf siano loro speculari sia per dimensioni, macchinari e mercati; definendo un
settore di mercato omogeneo e densamente occupato in cui a medie imprese si
affiancano grandi gruppi dell’editoria.
53
L’omogeneità delle varie imprese data da elementi tecnici e logistici si rovescia in una
ambivalenza tra la figura del competitor e quella del partner che descrive nei fatti una
complessa rete di relazioni tra la Mediagraf e le altre imprese. Il particolare settore in cui si
trovano a operare vuole che “un edizione non possa non uscire” quindi ad una logica di
pura competizione subentra una strategia tesa a mantenere la commessa. Così i lavori
vengono terziarizzati, passati ad altre imprese affinché il cliente abbia un prodotto nei
tempi richiesti e non rompa il rapporto con l’impresa e definendo così, a livello delle
imprese, una rete intessuta attorno a “rapporti di reciprocità”. Questo rapporto si
concretizza anche in situazioni per cui “se in produzione si rompe una macchina sono loro
a dare il ricambio”.
Il peso che queste questa rete di relazioni ha per le politiche dell’impresa si evidenzia
anche rispetto alle politiche di prezzo che negli ultimi anni e con una forte accelerazione
dell’ultimo periodo alcuni competitor hanno adottato riducendo il costo della propria offerta
sul mercato (questo deriva da una riduzione delle fogliazioni e delle tirature). Relazione
che gli ha permesso di mantenere i propri clienti e di acquisirne di nuovi, ma comunque
registrando margini più bassi con un calo del fatturato del 5%.
Se l’importanza di mantenere relazioni stabili con la clientela ha portato quasi
inevitabilmente a strutturare una rete di relazioni imperniate sulla figura del
concorrente/partner, la Mediagraf, sempre nella medesima direzione, ha attivato politiche
di servizio al cliente tese a gestire parte della logistica legata alla produzione associandola
ad una politica del prezzo che tenga conto del servizio.
L’impresa per esempio si incarica di comprare la carta dal fornitore per poi farla arrivare
fino alla tipografia. In tal modo ciò che in ogni caso era nata come una esigenza del cliente
è diventata una strategia dell’impresa che fa in qualche modo da “capo commessa”. A
differenza di aziende poligrafiche che si caratterizzano come mono prodotto la mediagraf
cerca una soluzione “adatta” al cliente mantenendo la capacità di creare i prodotti più
variegati. Quindi occuparsi anche di tutto l’aspetto logistico per clienti con commesse
molto brevi (tra i 3 o 5 giorni) va nella direzione di un’assistenza continua che prefigura per
il futuro dell’impresa una volontà di strutturare politiche orientate a un global service.
Un secondo asse di sviluppo per l’impresa sembra essere quello legato alla stampa
digitale individuando nella sede di Roma lo spazio produttivo per tali tecnologie anche se
al momento una svolta produttiva di questo genere sembra utile solo per determinate
tipologie di prodotto e per tirature limitate.
È interessante notare come la maggior parte degli stampatori impegnati in produzione
provenga da una scuola professionale (che è stata chiusa negli ultimi anni) che era
contestuale alla sede produttiva di Padova. Questo elemento ha determinato un
interessante vantaggio competitivo per la Mediagraf.
Oltre ad avere personale competente che si è formato all’interno dell’impresa la Mediagraf
è un contenitore di professionalità. Questo fa si che in un ambiente in cui il personale che
conosce e può condurre una macchina è scarso, l’impresa faccia anche da reclutatore di
personale specializzato per altre aziende che stanno impiantando rotative. Infatti fino a
poco tempo fa la Mediagraf era l’unica realtà con tecnici specializzati in grado di interagire
con determinate tipologie di macchinari. La Mediagraf ha quindi adottato nell’ultimo
periodo una politica di stabilizzazione proprio volta a recuperare e accrescere la
“professionalità” in produzione, trattenendo quei lavoratori che erano stati assunti a tempo
determinato e che si sono formati in produzione accanto ai tecnici che invece provengono
professionalmente dal vecchio istituto professionale. Il medesimo atteggiamento volto alla
valorizzazione delle risorse umane dell’impresa vale anche per gli ambiti manageriali e
commerciali in quanto secondo il management: “prodact manager, i capi commessa,
personale tecnico specializzato sono assolutamente introvabili”.
54
Per quanto riguarda una politica legata alle certificazioni e alla qualità l’impresa padovana
si orienta su “certificazioni richieste dal cliente” tendenzialmente legate alle materie prime
da utilizzare in produzione.
6.1.2 Produzione, tecnologie e saperi
A Noventa Padovana oltre il consiglio amministrativo e l’amministratore delegato si
concentrano le tre figure chiave e centrali alla base del riordino organizzativo. Nel 2004,
con l’arrivo del nuovo amministratore delegato alla guida del consiglio di amministrazione
della Mediagraf, inizia un processo di riordino che investe la struttura organizzativa e che
viene definito di “managerilizzazione” dell’impresa.
Queste figure sono il direttore operativo che ha anche l’interim del commerciale, il direttore
delle attività produttive che si occupa di tutta la produzione e quindi di tutto il processo che
va dalla prestampa alle spedizioni, alla manutenzione, ai capi commessa fino ai product
manager, e il responsabile della logistica e dei sistemi informativi che si occupa anche
dell’acquisto della carta. Un importante cambiamento è avvenuto proprio a livello logistico
in quanto prima tutto gravava ed era gestito dal reparto trasporti cosa che nei fatti
comportava una “disattenzione alle spese” che è stata superata creando un responsabile
unico della logistica.
A queste si affiancano le funzioni che possono essere definite di staff che sono le risorse
umane, i servizi generali, l’amministrazione e finanza e il controllo di gestione. Con il
generale riordino si è anche proceduto all’abolizione della figura del responsabile della
qualità preferendo un approccio più di processo e meno verticale, nel quale la qualità
fosse nei fatti gestita e implementata in ogni fase del lavoro (dalla prestampa alla
confezione) cercando di rafforzare il controllo già nei reparti tramite un maggiore
coinvolgimento operaio. In definitiva da un sistema emergenziale e routinario si è passati
ad un sistema più propriamente strutturato. L’impresa, a livello dell’infrastruttura e delle
comunicazioni, utilizza un sistema sap.
Il cambiamento organizzativo che ha investito l’area del management non ha allo stesso
modo impegnato direttamente la produzione salvo considerare l’aumento delle mansioni di
controllo per il lavoratori in seguito alle politiche di qualità adottate in produzione. Noventa
Padovana ha circa 180 dipendenti di cui quasi 150 impegnati, tra diretti e indiretti, nella
produzione. Tra questi la componente femminine come quella immigrata del lavoro è
assolutamente residuale rispetto al totale dei lavoratori salvo notare come il lavoro
femminile, sono 15 in tutta la Mediagraf, sia presente in maniera preponderante nell’area
commerciale e degli uffici rappresentando abbondantemente la maggioranza (in
produzione lavora solo una donna). Detto questo, il cambiamento in produzione risulta
essere sempre una diretta conseguenza dell’adeguamento tecnologico che le politiche
legate al prodotto richiedono.
Quindi il cambiamento di “macchine” e l’adeguamento dei lavoratori alle nuove risulta una
conseguenza necessaria rispetto a piani commerciali piuttosto che a politiche di R&S
(nell’impresa non è presente un tale dipartimento).
È bene comunque considerare che il cambiamento delle attuali rotative non porta a
radicali cambiamenti né nel processo lavorativo né delle pratiche lavorative degli addetti
definendo diverse competenze o eliminando mansioni. Questo è riconducibile al
particolare rapporto tra i lavoratori dell’impresa e la tecnologia che definisce da un lato un
importante vantaggio competitivo della Mediagraf, dall’altro è l’elemento costituente di quel
contenitore di professionalità che l’ambiente della produzione.
Il flusso produttivo si snoda a partire da quando un cliente viene aggregato ad un capo
commessa dell’ufficio tecnico . In base alle caratteristiche del prodotto si definisce un
preventivo, si considera se il cliente è in grado di fornire autonomamente l’impaginazione
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(quindi mandare i file in prestampa) e in base alle pagine da stampare si stabilisce quale
sia la macchina più idonea a svolgere il lavoro e si procede all’acquisto della carta. Questa
prima fase che programma l’uscita del prodotto e ne definisce le tempistiche per la
produzione struttura ed evidenzia un flusso rigido e sequenziale.
Il centro della produzione è il reparto della stampa-confezione in cui lavorano circa 120
persone. Ci sono 4 rotative che lavorano su 4 turni e principalmente sui prodotti legati alla
grande distribuzione:
• Una 16 pagine (che sta per essere dismessa per essere sostituita da una macchina
di ultima generazione)
• Una 32 pagine
• Una 48 pagine
• Una 64 pagine
I conduttori di macchina delle rotative generalmente lavorano su due programmi giornalieri
(uno arriva alle 12 e uno alle 17-18) che si presentano in formato cartaceo e definiscono le
commesse da svolgere. Il lavoro è organizzato in squadra o team, in cui c’è un capo
macchina che gestisce e organizza il lavoro. Agli operatori spetta anche una certa parte di
manutenzione legata alla messa in sicurezza dei macchinari in vista della manutenzione
programmata che svolgono gli addetti alla manutenzione (una squadra di manutentori
elettricisti e una squadra di manutentori meccanici che lavorano su 3 turni). Nel reparto
stampa si trovano anche le macchine a foglio che sono generalmente utilizzate per
lavorazioni specifiche come la stampa delle copertine di alcuni prodotti non autocopertinati
e queste lavorano in parallelo alle rotative:
• 5 elementi più verniciatura
• 10 elementi più verniciatura
Le copertine, una volta uscite dalle macchine a foglio, vengono portate nel reparto
confezione da un tagliatore che le rifila (quella del tagliatore è una figura che da fissa è
diventata “mobile” e che viene richiamato nel momento che serve) per poi essere messe
con il corpo della rivista in macchine che fanno l’accavallatura delle segnature e quindi si
procede a inserirvi un punto metallico. Il processo dell’accavallatura è svolta da due
macchine e impegna circa 12 persone che lavorano su 3 turni.
Al reparto stampa si è poi accorpata la fase della raccolta. Questa è un’innovazione
dell’ultimo periodo che va a definire una stretta interdipendenza tra la fase produttiva e
quella dell’imballo dei pezzi prodotti e deriva dallo stretto rapporto tra determinate tipologie
di prodotto che determinano variazioni del flusso produttivo e il sistema della logistica.
Per quanto il processo illustrato possa far trasparire un certo imperativo tecnologico in cui i
lavoratori seguono, sorvegliano e supportano una lavorazione rigidamente scandita e
totalmente affidata alle macchine è il fattore umano a giocare una forte variabile sulla
stabilità e l’efficienza del processo.
Il lavoro a team ha definito degli stili organizzativi legati alle varie squadre. L’avviamento
delle macchine comporta una serie routine di settaggio tese a definire i parametri con cui
la macchina lavorerà. Per quanto questi valori siano dati e legati al prodotto, agli operatori
di macchina e nella fattispecie al capo macchina che definisce e organizza il lavoro, è data
un’autonomia nella definizione di questi ultimi. Autonomia concessa sulla basa di
competenze costruite contestualmente al posto di lavoro e in relazione con le macchine e
come queste si comportino sul breve e sul lungo periodo. Competenze, per esempio, che
si traducono oggettivamente nella capacità da parte del team di ridurre lo scarto in fase di
avviamento di macchina: momento in cui è fisiologicamente più alto. Queste competenze
comunque rimangono una risorsa incastonata, embedded, nel team che le codifica e le
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struttura in procedure e routine che difficilmente entrano a far parte di una vera
“conoscenza di reparto”.
Per quanto riguarda il magazzino che contiene tutto ciò che serve alla stampa questo, tra
carico e scarico e l’amministrazione, impegna 11 addetti. Se l’approviggionamento degli
inchiostri, delle colle, dell’additivo di bagnatura e il filo metallico e degli altri materiali è
calcolato sulla media della produzione, la carta viene ordinata secondo una metodologia
just in time, anche se con la crisi la Mediagraf ha cercato di diminuire le giacenze in
magazzino.
Alcuni lavori che non possono essere svolti in azienda vengono dati fuori a terzi e sono
collegati a prodotti, generalmente con molte pagine, che richiedono lavorazioni finali con
macchinari specifici. In produzione è presente con un addetto anche un’impresa esterna
che si occupa del recupero della carta bianca e stampata.
Vantaggi competitivi della Mediagraf:
• Innovazione di processo
• Una rete di partner/competitors
• Competenze e professionalità acquisite contestualmente al processo produttivo
6.2 RSU della Mediagraf
6.2.1 La rappresentatività
Il sindacato entra alla Mediagraf - che all’epoca era ancora “Messaggero” e pubblicava
unicamente l’omonima rivista dedicata ai fedeli di Sant’Antonio - a metà anni ‘70 con
l’arrivo di un nuovo caporeparto da Milano, il quale porta con se la militanza nella Cgil. La
sindacalizzazione è lenta e difficile, ma nel tempo si consolida e si arricchisce della
presenza della Cisl. Si costruisce il consiglio di fabbrica e da quel momento non è mai
venuta meno la rappresentanza dei lavoratori.
Ora alle elezioni della RSU partecipano circa 150 persone, ovvero più dell’80% dei
dipendenti. Un dato questo che sintetizza anche l’estensione della rappresentanza che
sostanzialmente si ferma ai reparti produttivi.
L’organismo è composto da 9 membri: di cui 6 appartenenti alla Cisl, 2 alla Cgil e 1 alla
Uil. Tradizionalmente, i rapporti tra i due sindacati più importanti erano meno squilibrati e
normalmente la prima aveva un delegato in meno e la seconda uno in più. Oltre la metà
dei membri ha un’età superiore ai 40 anni, e sono numerosi quelli che hanno svolto diversi
mandati.
I delegati sono tutti uomini italiani appartenenti ai reparti produttivi. Questi sono tutti
coperti, tranne quello di carico-scarico, dove più alto è il turn-over a causa della maggior
presenza di lavoratori somministrati. Anche le figure professionali operaie sembrano ben
rappresentate, sebbene è implicitamente emerso un limite, quello del capomacchina, oltre
il quale il ruolo di delegato non sembra conciliarsi con le responsabilità e lo status
professionale.
La rappresentatività sostanziale abbiamo detto si ferma davanti alla parta degli uffici;
questo spiega l’assenza di donne tra i delegati. I lavoratori immigrati invece sono solo 3.
Il fatto che gli impiegati non riconoscano ai delegati il ruolo di tutela dei loro interessi, non
sembra dipendere tanto da strategie di contenimento da parte del management, ma
piuttosto da una preferenza per strategie individuali di negoziazione delle condizioni
d’impiego.
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In produzione la legittimazione è piena: alle assemblee la partecipazione è totale e anche
le azioni conflittuali hanno un buon seguito, sebbene come vedremo a volte ci sia una
segmentazione per reparto.
6.2.2 L’esercizio della funzione di rappresentanza
Il funzionamento dell’organismo di rappresentanza si basa su di una serie di procedure
convenzionali. Le riunioni che si tengono una volta ogni 2-3 mesi prevedono un ordine del
giorno che viene discusso, le decisioni vengono prese cercando l’unanimità, ma capita
che si arrivi a portare al confronto con la controparte delle posizioni differenti. I delegati
oltre ad avere generalmente una lunga esperienza professionale, hanno alle spalle diversi
anni di rappresentanza. Un componente è stato addirittura funzionario di categoria e
questo sembra facilitare la definizione degli obiettivi e delle priorità su cui si deve
concentrare la RSU. I rapporti tra le diverse sigle sindacali sono a volte difficoltosi:
esistono tensioni legate al modo di interpretare la rappresentanza, spesso forti divergenze
sugli obiettivi e una scarsa fiducia reciproca. I delegati legati alla Cgil ad esempio non
perdonano a quelli della Cisl di aver cercato un accordo con la direzione su una questione
relativa alla retribuzione della professionalità, approfittando della loro assenza e
rinnegando la piattaforma decisa collegialmente. In generale esiste una forte competizione
sindacale, con alcuni reparti che sono impenetrabili alla Cgil.
La comunicazione con i lavoratori avviene principalmente attraverso l’assemblea che si
tiene ogni 2-3 mesi e per tre turni. La partecipazione è totale da parte degli operai ed è il
luogo in cui normalmente vengono sottoposte le proposte di accordo. Anche lo strumento
del referendum è stato usato, ma raramente. Il confronto avviene anche informalmente,
mentre si lavora e spesso sono gli stessi lavoratori che cercano i delegati. La possibilità di
movimento all’interno dell’azienda è per alcuni più difficile, in quanto sono relativamente
vincolati alla macchina. Vincoli a parte, i delegati Cisl sembrano essere molto più disinvolti
negli spostamenti interni. I delegati non hanno contatti con i lavoratori dello stabilimento di
Roma.
Il rapporto con il sindacato esterno è diverso a seconda dell’appartenenza: i delegati della
Cgil hanno un rapporto meno frequente e sostanzialmente routinario. Emerge anche una
certa insoddisfazione per l’approccio troppo “politico” del funzionario di riferimento. La Cisl
invece sembra avere un rapporto più assiduo e coordinato: i delegati inoltre sono inseriti in
una rete di formazione e di supporto tecnico decisamente più efficace. I membri della Cgil
riconoscono che i loro colleghi hanno maggiori competenze tecniche e conoscenze, in
particolare per quanto riguarda l’interpretazione dei bilanci e l’analisi delle strategie
aziendali. Su tali questioni e sulla costruzione del PdR affermano di affidarsi totalmente
agli altri delegati, ed in particolare a quello che per diversi anni è stato funzionario di
categoria. Complessivamente, la RSU dispone di buone conoscenze e competenze per
poter svolgere in maniera incisiva la sua funzione.
L’RSU può disporre inoltre di un buon numero di iscritti ad un sindacato, circa 100 e di una
discreta agibilità sindacale. Per svolgere il loro ruolo hanno un ufficio, dotato di computer e
connessione ad internet. Un limite invece all’efficacia dell’azione è connesso alla
competizione tra sindacati alla quale a tratti si sovrappone un rivendicazionismo di reparto
quasi di natura corporativa, che ha portato a scioperi non unitari o di piccolo gruppo
all’interno dell’azienda.
A causa della competizione tra delegati appartenenti alle due organizzazioni sindacali non
possiamo parlare di un atteggiamento generale verso la controparte, ma di un costante
confronto tra un approccio di tipo partecipativo dei delegati Cisl è uno più contrattualista
degli appartenenti alla Cgil. Un confronto che nonostante la maggiore forza, in termini di
iscritti e di delegati, di una delle due sigle non trova un equilibrio stabile. Per cui capita che
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l’approccio e le posizioni della Cgil abbiano il sostegno della maggioranza dei lavoratori.
Comune ad entrambi i gruppi è l’assenza di una cultura della deferenza che permette un
uso maturo e ultimamente tattico dello sciopero. Una evoluzione derivante dalla necessità
di affrontare una nuova dirigenza che ha un approccio altrettanto tattico alle relazioni
industriali e sfidante verso il conflitto.
6.2.3 Il sistema di relazioni sindacali presente in azienda
Il cambio ai vertici dell’azienda avvenuto nel 2004 ha cambiato notevolmente le relazioni
sindacali all’interno della Mediagraf. La managerializzazione dell’azienda voluta dal nuovo
Amministratore Delegato ha coinvolto anche la funzione del personale.
La vecchia dirigenza, cooptata dalle organizzazioni cattoliche, gestiva l’azienda in base a
criteri non sempre connessi all’efficienza ed era attenta a mantenere la pace sociale
all’interno dell’azienda non per motivi strategici, ma ideologici. Questo ha comportato,
digerito il trauma dell’ingresso, un riconoscimento formale della presenza sindacale ed una
generale apertura alle richieste di miglioramento delle condizioni di lavoro, affiancata ad
una solida politica di favore verso i lavoratori “disponibili” e di sostegno alla Cisl.
Il nuovo management, ottenuta un’ampia libertà di manovra da parte della proprietà, ha
subito rimesso in discussione quel modello. L’impresa è sempre concepita come una
comunità di interessi, dove azienda e lavoratori dovrebbero essere compartecipi nella
creazione di un bene comune, ma nel quale la rappresentanza deve avere un ruolo
subalterno e ridotto al controllo di una forza lavoro non in grado di percepire le necessità
competitive dell’azienda. Il riconoscimento della RSU è quindi formale e sembra
necessitato dalla buona legittimazione di cui gode e dalla capacità di mobilitare le aree
produttive. In effetti, nel primo periodo il direttore delle risorse umane ha cercato di eludere
il confronto con la rappresentanza, cercando un rapporto diretto e informale con i
lavoratori, ma le pressioni della RSU gli hanno fatto capire che quel modello di gestione
del lavoro non era praticabile. Ad ogni modo, l’azienda è orientata verso
un’individualizzazione della prestazione lavorativa e della sua retribuzione.
Il comportamento e le posizioni della RSU sono analizzate dal manager che utilizza la
competizione interna tra le diverse anime sindacali e i micro interessi di “macchina” di
alcuni lavoratori per imporre le proprie scelte. Lo sciopero è concepito dal punto di vista
ideologico come disfunzionale all’interesse comune, ma ultimamente la tattica è di sfidare
il sindacato sul terreno del conflitto.
L’azienda si dimostra disponibile a fornire le informazioni più istituzionali e ritiene che la
loro condivisione sia importante per la costruzione del consenso, ma non si attiva
spontaneamente, bensì solo su richiesta dei delegati. Le scelte strategiche sono oggetto
di comunicazione solo al momento della loro implementazione e non vi sono margini di
consultazione. Un esame congiunto è previsto per questioni come la formazione e la
sicurezza, ambiti in cui l’azienda sembra puntare molto.
La politica contrattuale dell’azienda è di valutazione discrezionale delle questioni diverse
da quelle tradizionali che possono essere oggetto di negoziazione. L’introduzione di nuove
tematiche avviene in una logica di affermazione delle prerogative aziendali
nell’organizzazione del lavoro. Su questo terreno alla RSU la dirigenza vorrebbe lasciare
uno spazio di confronto sui carichi di lavoro, le problematiche tecniche legate
all’interazione con la macchina e la retribuzione delle professionalità e soprattutto la
costruzione del consenso operaio attorno le scelte di riorganizzazione. Ad ogni modo, la
RSU non sembra disposta a limitare la propria autonomia e cerca di intervenire anche su
questo terreno con un approccio dialogante e di apertura verso le esigenze della
produzione. L’esito è talvolta la negoziazione di sperimentazioni con una valutazione
congiunta dei risultati.
59
Gli indirizzi contrattuali derivano speso dalla necessità di adattamento alle trasformazioni
in atto, ma non mancano iniziative autonome come nel caso dell’introduzione di un fondo
sanitario aziendale. L’obiettivo primario del management è quello di una regolazione
efficace dello scambio, attraverso però una gestione tattica della negoziazione, che fa leva
sulla competizione interna tra sigle e gruppi di lavoratori. Parallelamente all’obiettivo
primario, sembra essere presente l’intenzione di erodere progressivamente il ruolo della
RSU.
Il confronto formale tra le parti è piuttosto frequente, generalmente un paio di volte al
mese e qualora sia richiesto dai delegati non vi è elusione. Quello informale invece e
continuo: questo è favorito dalle dimensioni dell’azienda, ma anche dall’atteggiamento
“scientifico” (tiene corsi di formazione sul ruolo della componente emotiva nella
negoziazione) del direttore del personale che punta a creare un clima positivo e a
stimolare il coinvolgimento attraverso relazioni interpersonali confidenziali. Anche nella
condotta negoziale il direttore delle risorse umane adotta questo approccio, mentre il
direttore di produzione che lo affianca adotta uno stile normativo e intransigente.
L’attività negoziale è piuttosto frequente e con l’arrivo della nuova dirigenza è stata
eliminata la pratica degli accordi verbali.
Analisi degli esiti negoziali:
Quale modello di relazioni industriali?
Il sistema di relazioni industriali presente all’interno della Mediagraf può essere definito a
partecipazione debole e instabile. Questo perché da una parte la competizione interna tra
gruppi di lavoratori che si interseca alle appartenenze sindacali comporta la presenza di
stile di relazioni industriali che oscilla tra il coinvolgimento e il contrattualismo, riducendo la
possibilità di costruire un modello di scambio proceduralizzato e formale volto a definire un
quadro di comportamenti prevedibili. Da parte dell’azienda vi è una maggiore attenzione
alla individualizzazione della prestazione lavorativa e al coinvolgimento diretto dei
lavoratori, mediante il ricorso a per lo più semplici strategie di gestione delle risorse
umane. Un investimento nella partecipazione diretta che non si estende a quella indiretta;
la direzione sembra vedere nella RSU, così com’è in azienda, più un vincolo al
cambiamento che una risorsa per l’innovazione e la gestione efficiente dell’azienda. Certo
le tensioni possono disincentivare l’investimento dell’azienda nelle relazioni sindacali, ma
non sembra il caso della Mediagraf: innanzitutto le divisioni vengono sfruttate tatticamente
e poi la concezione del ruolo della RSU da parte della direzione non si fonda
sull’autonomia del ruolo, ma su un’idea subalterna e di controllo della forza lavoro.
Ciononostante la direzione deve confrontarsi con la realtà di una azienda sindacalizzata e
con una RSU che complessivamente ha una buona legittimazione, adeguate conoscenze
e competenze ed è priva di una cultura della deferenza.
Una RSU che condivide gli obiettivi di fondo dell’azienda ed è aperta al cambiamento se
condiviso.
Questo porta a livelli di convergenza e partecipazione variabili e non definitivamente
acquisiti.
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7. Nuova Ompi
La Nuova Ompi è un’impresa con sede a Piombino Dese (PD) che opera da sessant’anni
nella produzione di packaging in vetro per l’industria farmaceutica. L’azienda è di proprietà
della famiglia Stevanato e fa parte del gruppo Stevanato il cui CEO è Sergio Stevanato. È
importante rilevare come la Nuova Ompi e il Gruppo Stevanato siano perfettamente
integrate e sovrapposte anche solo per una prossimità spaziale. Infatti Piombino Dese è
storicamente, e rimane, il cuore decisionale e produttivo del gruppo.
Dall’inizio dell’attività nel 1949, come laboratorio artigianale che lavorava il vetro per
l’industria artigianale, il gruppo ha cambiato settore orientandosi verso il packaging
farmaceutico, è poi cresciuto con un sostanziale aumento delle capacità produttive dei
propri impianti e della gamma dei prodotti. Ha poi vissuto una progressiva specializzazione
e ingrandimento affiancando alla divisione dedicata alla produzione di contenitori una
divisione impegnata nello sviluppo e produzione di tecnologie di trasformazione e controllo
del processo. Quindi una forte accelerazione e ascesa nel mercato all’incirca nel 2005 che
marca una sostanziale internazionalizzazione del gruppo.
Alla Stevanato Group che funge da società di servizi con strutture amministrative e
commerciali, dall’ICT alle funzioni di procurement, si affiancano e dipendono diversi
marchi raggruppati tra la Glass Division (il core business dell’impresa con aziende che
fanno produzione di packaging in vetro per l’industria farmaceutica) e l’Engineering
Division.
Della Glass Division fanno parte:
• Nuova Ompi, con sede a Piombino Dese (l’impianto produttivo più vecchio e
importante del gruppo);
• Alfa Matic, con sede a Latina;
• Medical Glass localizzata in Slovacchia;
• Ompi Of America localizzata in Messico (con una commerciale negli U.S.A).
L’area dell’Engineering Division è composta di due aziende che progettano e realizzano
una le linee di produzione e l’altra i dispositivi di controllo visivo da applicare in
produzione. La divisione opera sia per il mercato interno e quindi per le aziende del
gruppo, che per aziende esterne. Queste imprese sono:
• Spami, con sede a Piombino Dese che dal 1970 produce e sviluppa le tecnologie di
processo
• Optrel (13 dipendenti), con sede a Vicenza e acquisita recentemente faceva parte
di un gruppo che realizzava meccanismi di ispezione da installare sulle linee di
produzione farmaceutiche.
Il business dello sviluppo e della vendita di macchinari per aziende terza rappresenta il
40% del fatturato della divisione. La Optrel attualmente è impegnata a chiudere le
commesse esistenti per poi concentrarsi più attivamente su funzionalità da applicare alle
linee di produzione del gruppo, integrandosi più strettamente agli impianti di Spami.
7.1 Mercati, strategie e prodotto
Il Gruppo opera nel settore di nicchia delle forniture per l’industria farmaceutica e si è
attestato nel tempo come il terzo produttore mondiale di packaging farmaceutico.
61
La stevanato agisce in un mercato globale (il 75% del fatturato del gruppo proviene
dall’export di cui la Glass Division rappresenta l’84% e l'Engineering Division 16%) e in
rapida espansione (soprattutto il mercato dei vaccini e dell’insulina) cosa che ha fatto sì
che negli ultimi 5 anni il gruppo abbia praticamente raddoppiato il personale passando da
700 dipendenti a quasi 1300, passando da un organigramma piatto a un organizzazione
composta da una quindicina di dirigenti con una articolazione per funzioni in fase di
strutturazione continua e passando da un fatturato di 104.000 milioni di euro nel 2005 a
160.000 nel 2009.
Le caratteristiche della produzione, di massa (il gruppo produce 1.800.000.000 di pezzi
all’anno) e strutturata su grossi quantitativi con richieste di qualità intrinseca del prodotto
altissime e con caratteristiche dimensionali e meccaniche molte stringenti, si presenta di
fatto come una barriera all’ingresso nel business di nuovi concorrenti e soggetti.
I due maggiori competitor dell’impresa e che sono i leader nel settore sono due
multinazionali con sede in Germania e Stati Uniti. La loro posizione di vantaggio è
assicurata anche dal fatto di essere fornitori verso la Glass Division del tubo vetro, il semi
lavorato dal quale parte e si struttura la produzione (a questi due si affiancano un numero
molto ristretto di produttori statunitensi, tedeschi e giapponesi). Il tubo vetro utilizzato può
essere realizzato solo con particolari tipi di vetro. Ciò è determinato dal particolare ambito
di utilizzo dei flaconi prodotti che sono destinati a linee di produzioni farmaceutiche. Quindi
sono obbligati a rispettare standard tecnico qualitativi molto rigidi legati alle materie prime
e ai farmaci che dovranno contenere. Questo regime determina che siano molto pochi i
fornitori e in posizione di forza.
Il gruppo riesce a invertire tale rapporto attraverso l’Engineering Division, fornendo le linee
di produzione, installandole e fornendo supporto post-vendita ai suoi competitor.
A queste variabili che si potrebbero definire ambientali del mercato deve essere affiancato
il dato relativo alla tipologia di rapporto che il gruppo instaura con i propri clienti (che nella
fattispecie sono i maggiori marchi farmaceutici mondiali) che va a influenzare il prodotto e
le sue tipologie.
La Nuova Ompi, o meglio il Gruppo, non fa produzione a catalogo, piuttosto con il
procedere degli anni ha definito, in maniera reattiva alle richieste del mercato, delle
tipologie stabili di prodotto. Queste tipologie trovano poi nei prodotti da più tempo sul
mercato quelli da considerare maturi per poi progressivamente individuare quelli più
sperimentali.
La gamma di prodotti della Nuova Ompi e quindi la sua capacità produttiva, comprende: il
flacone che è il prodotto maturo per antonomasia e rappresenta il grosso della produzione
(il primo prodotto storicamente confezionato). Le fiale, il secondo prodotto che si è andato
a definire nel tempo. La carpula o tubo fiala. La siringa che a sua volta sta subendo
un’ulteriore evoluzione verso la produzioni di siringhe con ago incollato e siringhe con ago
incollato sterile (con una produzione che nei fatti entra nell’ambito farmaceutico).
Ogni prodotto è quindi realizzato su specifiche richieste e concordato con il marchio
farmaceutico che dovrà inserirlo nelle proprie linee produttive definendo una prassi
organizzativa che vede nel cliente il soggetto con cui relazionarsi per adattare le proprie
tipologie.
In particolare è la produzione di siringhe in ambiente sterile che rappresenta la punta di
una strategia più vasta tesa a rimodellare l’organizzazione della produzione. Il processo
produttivo della Nuova Ompi era strutturato intorno a linee automatizzate di contenitori in
vetro che, una volta acquistati e acquisiti dall’industria farmaceutica, sarebbero stati resi
idonei a contenere prodotti farmaceutici. In tal senso iniziare una produzione di contenitori
sterili significa entrare prettamente all’interno della filiera dell’industria farmaceutica.
Questa precisa scelta produttiva è stata presa considerando una dinamica di
terziarizzazione del mondo farmaceutico. Per l’industria farmaceutica questa fase della
62
lavorazione interessa ancora un ambito legato alla gestione del packaging. Terziarizzarlo
significa lasciare più spazio e risorse allo sviluppo della molecola.
Per la nova Ompi invece rappresenta la naturale continuazione della loro filiera produttiva
e la possibilità di offrire prodotti a un più alto valore aggiunto: offrire un prodotto già sterile
pronto per il riempimento.
Questo cambiamento comporta un notevole investimento. Devono essere create strutture
che possano operare in ambienti sterili. Significa modificare le procedure operative e in
particolare in riguardo all’area della qualità. Si entra nel mondo del farmaceutico che
comporta un cambiamento culturale per l’impresa e per i soggetti impegnati in produzione
e significa sviluppare attività e progetti nuovi che richiedono nuove visioni e nuovi
passaggi produttivi.
Un elemento di rischio che si è introdotto nel mercato è collegato al livello di prezzo dei
propri prodotti. Il gruppo si è trovato a dover fronteggiare due variabili. Da un lato c’è un
elemento statitico dato dall’industria farmaceutica che ha iniziato a chiedere revisioni di
prezzo sui prodotti molto importanti (sconti del 15-20%). Parallelamente, l’elemento
dinamico, i principali competitor possono fare operazioni di prezzo che vanno nella
direzione delle richieste dell’industria farmaceutica. Questo secondo fattore deriva
dall’apertura e dalla crescita di siti produttivi esteri, da parte della concorrenza, in aree
geografiche in cui il costo della mano d’opera è molto più basso.
Il gruppo ha risposto con una strategia di internazionalizzazione attraverso l’apertura di
due siti produttivi all’estero (Slovacchia e Messico) in aree in cui il costo del lavoro è più
basso. La Medical Glass, con circa 170 dipendenti, quando è stata acquisita era già
operava nel settore. Mentre il Messico, con la Ompi Of America, è ancora in una fase di
star up e si considera che entrerà a pieno regime entro 2 anni.
L’internazionalizzazione del gruppo sembra derivare da due fattori. Il primo nasce dalla
considerazione che per il Gruppo l’incidenza sul fatturato del costo del lavoro rappresenta
il 30%, una quota pari a quella dei semilavorati utilizzati in produzione. Quindi
parallelamente a un grosso lavoro di razionalizzazione degli acquisti, di validazione di
fornitori per poter lavorare sul costo della materia prima, si è dovuti intervenire sul costo
del lavoro. Tra i progetti al vaglio della dirigenza c’è l’idea di spostarsi in futuro anche in
Cina aprendo degli impianti produttivi. Disegnando, in definitiva, una più vasta politica
imprenditoriale tesa, a lungo termine, a mandare all’esterno le produzioni più solide e
consolidate (prodotti maturi) in cui il costo del lavoro è più vantaggioso per concentrarsi in
Italia su produzioni a un più alto valore aggiunto, caratterizzati da innovazioni tecnologi
frutto di ricerche dei gruppi di R&S.
Continuare una produzione esclusivamente incentrata sul packaging significherebbe per
l’impresa non restare più in Italia. Sempre in linea con queste pratiche di exploration il
Gruppo vuole puntare sempre più decisamente verso l’ambito dei contenitori speciali per il
mondo farmaceutico: contenitori ad alto contenuto tecnologico. Tutto l’ambito della ricerca
e sviluppo per quanto riguarda questi progetti è in Italia e il Gruppo ha aperto una serie di
collaborazioni con l’università.
Il secondo fattore deriva da bisogni legati alla logistica e al desiderio di entrare in un nuovo
mercato come quello Nord Americano in cui il gruppo non è ancora presente in maniera
significativa. Il sito messicano quindi nasce dal bisogno di avvicinarsi geograficamente al
mercato Nord Americano per sopperire a problemi logistici legati al trasporto di un prodotto
fragile e delicato e permettere i controllo degli impianti da parte dei clienti Nord Americani.
Lo stabilimento messicano è poi ubicato in una grande città con un’università dotata di un
dipartimento di ingegneria, cosa che ha permesso e permetterà di trovare personale del
luogo qualificato da formare poi ulteriormente negli stabilimenti italiani.
Da un punto di vista eminentemente produttivo, invece, la direzione sta cercando di
standardizzare il più possibile i processi produttivi (ogni sito deve essere validato dai
marchi farmaceutici per poter produrre determinati contenitori) per determinare un regime
63
produttiva che permetta al management di “distribuire” la produzione tra più siti per poter
razionalizzare la produzione e saturare tutte le linee e tutti gli impianti.
7.1.2 Produzione, tecnologie e saperi
Alla Nuova Ompi lavorano 780 persone di cui il 40% è rappresentato da migranti e con
una importante componente femminile che arriva a coprire il 70% della forza lavoro
impiegata.
L’impianto produttivo ha 70 linee in cui parte del personale è impiegato a ciclo continuo
con tre giorni di lavoro e tre di riposo. Questa differenziazione è riconducibile a determinati
impianti produttivi che necessitano una fase piuttosto lunga di riscaldamento durante
l’avviamento. La produzione è divisa:
•
•
•
•
•
Reparto 1, produzione di flaconi e lavora su ciclo ordinario;
Reparto 2, produzione di carpule e lavora su ciclo continuo;
Reparto 3 e 3bis, produzione di flaconi e lavora su ciclo continuo e ciclo ordinario;
Reparto 4 , produzione di siringhe e lavora su ciclo ordinario;
Reparto 5, produzione delle siringhe in ambienti sterili.
All’arrivo dell’ordine le varie “macchine” vengono attrezzate e avviate dal gruppo della
squadra cambi, quindi l’assistente di linea segue il processo. Le linee in tutti reparti sono
completamente automatizzate. I tubi di vetro, i semi lavorati, vengono caricati su una linea
da un operatore; il nastro li trasporta attraverso diverse fasi della lavorazione modellamento a caldo, taglio, controllo, ricottura - per poi entrare nelle clean room (stanze
ad ambiente controllato ma non sterile) per procedere alla fase di confezionamento che
può avvenire manualmente o tramite un sistema robotizzato. Lungo la lavorazione, dal
processo eminentemente produttivo all’inscatolamento nelle clean room, diversi dispositivi
visivi di controllo e ispezione (cosmetic inspection, dimensional control, internal diameter)
seguono il processo.
La linea quindi raccoglie in se diverse funzioni, ma considerando l’apporto del lavoro
umano al processo è scomponibile in due aree differenti: la prima parte in cui l’operatore è
chiamato a sorvegliare il processo di formazione dei prodotti richiama le competenze e le
pratiche lavorative legate a un Banco a Controllo Numerico. Il lavoro, una volta impostato
da un terminale (le linee più vecchie presenti in azienda richiedono ancora un apporto
marcatamente “manuale”), procede senza intromissioni esterne fino alla conclusione del
lotto. L’operatore deve preparare la macchina, definirne i parametri, rifornirla e deve
intervenire nel moneto in cui avvengono guasti meccanici o i sistemi di ispezione visiva
automatizzati segnalano non conformità dei prodotti: gli operatori controllano il processo e
assistono le macchine.
La seconda parte, l’inscatolamento nelle clean room, si determina attraverso l’interazione
di una squadra di lavoratori, gestiti da un coordinatore, e robot che depositano sulla
rulliera i prodotti e costruiscono le scatole con ulteriori fasi di controllo e prelevamento di
campioni. Le squadre lavorano indossando guanti in latice, cuffie, grembiuli e calzari e
ispezionano, visivamente, il prodotto chiudendo il ciclo del controllo di qualità.
L’ambiente rumoroso e di fabbrica della linea con il suo operatore nella sua prima parte e
l’ambiente a clima controllato delle clean room in cui operano squadre non segna
solamente una forte discontinuità ambientale, ma designa anche una divisione disciplinare
del lavoro che si caratterizza come una divisione di genere all’interno della produzione.
Nelle clean room infatti lavorano quasi esclusivamente donne di cui molte immigrate.
64
In caso di grossi lotti in produzione (è il caso della recente pandemia che ha richiesto un
carico di lavoro maggiore) la direzione fa ricorso a forza lavoro con contratti a tempo
determinato.
Dal 2005, con il rinnovo della dirigenza nel Gruppo Stevanato, è anche cambiato il regime
lavorativo in produzione. Si è iniziato a “far girare il personale” tra i vari reparti, per
sviluppare competenze e capacità polifunzionali e quindi slegare determinate competenze
da specifici reparti. Una seconda innovazione nel campo produttivo è stata l’introduzione
negli ultimi anni di un sistema di TQM.
Affiancati alla produzione delle linee operano i manutentori. Questi lavorano in parte
seguendo il ciclo continuo e in parte lavorano a turno normale. Accanto a questi, poi,
lavorano stabilmente anche 15 persone impiegate in una ditta esterna. L’uso di
esternalizzare parte delle funzioni produttive è limitato soprattutto al comparto dell’officina,
anche se per particolari progetti la Nuova Ompi ha lavorato lei stessa come terzista
impegnando le proprie linee e maestranze.
Il magazzino, arrivo dei materiali e partenza dei lotti, è gestito da una 10 di persone che
lavorano in team con un forte grado di autonomia nelle proprie mansioni.
La razionalizzazione interna dei regimi produttivi per arrivare ad una standardizzazione dei
processi produttivi e creare una struttura dei costi standard per mettere in stabilità le linee
e le macchine mette in luce come la Nuova Ompi si sia mossa dal 2005 a oggi verso la
costruzione di un paradigma produttivo orientato all’efficenza statica, in vista di un futuro
orientato a una politica del Gruppo orientata a un paradigma di efficienza dinamica.
Vantaggi competitivi della Nuova Ompi:
• Innovazioni di processo
• Innovazioni di prodotto
7.2 RSU Nuova Ompi
7.2.1 La rappresentatività
L’organo di rappresentanza dei lavoratori della Nuova Ompi dovrebbe essere composta
da 11 membri, tuttavia numerosi delegati tendono a dimettersi e molti non partecipano o
partecipano molto limitatamente e marginalmente all’attività sostenendo di essere troppo
impegnati con il lavoro o come in una caso, nell’attività sindacale esterna. Dal punto della
composizione sindacale è presente la Cisl con 6 delegati e la Cgil con 5. Se si escludono i
“capi”, esiste una buona copertura dei reparti e delle professionalità interne. Un dato
all’apparenza positivo, se non si considera la particolare struttura del gruppo. Infatti, quasi
tutti i lavoratori degli uffici, sono formalmente dipendenti della holding “Stevanato group”,
che ha sede nello stesso sito di Piombino Dese. Non sono rappresentati nemmeno i
lavoratori della “Spami”, l’azienda del gruppo che progetta e produce la macchine per la
lavorazione del tubo vetro e che ha parimenti sede nel sito: Essa è adiacente ai reparti
della Nova Ompi e nello stesso stabile dove è dislocata la stanza della RSU. Questa
azienda composta da 80 dipendenti non ha una propria RSU e non è coperta dagli accordi
della Nuova Ompi.
Nonostante la grande maggioranza dei dipendenti siano donne, nell’RSU sono presenti
solo due donne. Esiste anche un’alta percentuale di lavoratori e soprattutto lavoratrici
immigrate, ciononostante vi è solo una delegata non autoctona.
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La RSU ha una debole legittimazione sostanziale: pochi sono i lavoratori che partecipano
all’assemblea, pochi quelli che fanno riferimento ai delegati per la tutela individuale e
ancora meno per quella collettiva. I lavoratori tendono a gestire spesso i loro problemi e le
necessità - anche quelli che hanno a che vedere con questioni organizzative o comunque
collettive - con i capi reparto, lasciando all’oscuro la rappresentanza, che viene a sapere di
alcuni accomodamenti anche di gruppi di lavoratori solo indirettamente, attraverso la
comunicazione informale.
7.2.1 Esercizio della funzione di rappresentanza
L’organismo di rappresentanza funziona in modo informale, soprattutto per la disponibilità
di alcuni delegati “storici” a far vivere una RSU che non solo stenta ad avere un ruolo da
protagonista, ma addirittura arranca nello svolgimento delle proprie funzioni. Non sembra
esserci disponibilità al ruolo da parte dei lavoratori, nemmeno dei pochi iscritti e quindi non
vi è un ricambio dei componenti Non esiste una divisione interna anche se esiste un
esecutivo di fatto, formato da tre delegati che siglano gli accordi. La RSU non ha degli
obiettivi espliciti, non c’è una strategia, e quindi confina la propria azione alla gestione
dell’ambiente di lavoro o dei problemi che di volta in volta emergono per lo più a seguito di
iniziative aziendali. Formalmente l’organismo si riunisce ogni 2 o 3 mesi e prende le
decisioni cercando il consenso dei membri più attivi. I rapporti tra le due sigle sono difficili:
questo sembra dipendere da una competizione interna per il tesseramento e dalla
concezione e uno stile diverso di gestione del ruolo.
La comunicazione con i lavoratori avviene per lo più in maniera informale, nel passaparola
quotidiano al lavoro o durante le pause. Attraverso questo canale la RSU acquisisce gran
parte delle informazioni relative alle scelte organizzative aziendali: ciononostante il flusso
comunicativo non è denso né ben distribuito e infatti alcuni reparti sono a malapena
conosciuti. L’assemblea è l’unico strumento formale di confronto, ma è scarsamente
partecipata. Dai lavoratori sembra emergere un malessere per le condizioni di lavoro, ma
secondo i delegati questo sentimento non si tramuta in disponibilità al miglioramento
attraverso l’azione collettiva. I delegati intervistati biasimano questo comportamento che è
per loro anche fonte di frustrazione.
Molto problematico è il rapporto e la comunicazione tra i delegati italiani e le lavoratrici
immigrate. Per quanto riguarda i lavoratori atipici, l’estensione sostanziale della
rappresentanza sembra essersi allargata ai lavoratori somministrati solo recentemente e
comunque in maniera parziale: da 2006 infatti sono stati ammessi alla spartizione
dell’importo messo a disposizione dall’azienda come PdR.
La RSU dispone di una buona conoscenza del processo produttivo e del mercato dei
prodotti. Molto più superficiale è invece quella relativa allo stato economico-finanziario e
alle strategie dell’azienda: questo dipende dalla poco trasparenza dell’azienda verso la
RSU che inversamente proporzionale all’apertura verso gli stakeholder esterni e i media.
Molte informazioni vengono quindi acquisite indirettamente. Bisogna dire però che certe
informazioni, rilevanti per una azione efficace, non sembrano essere richieste dalla RSU.
Le competenze tecniche a disposizione dei delegati sarebbero sufficienti in una piccola
media-impresa, ma non lo sono all’interno di una azienda multinazionale che continua a
crescere dal punto di vista dimensionale, relazionale e qualitativo. Tale situazione
ovviamente chiama in causa anche il sindacato esterno, che non sembra aver investito
attenzione e risorse a sufficienza in questa azienda: il rapporto sembra di natura routinaria
attraverso la partecipazione dei funzionari alle assemblee e alla contrattazione.
L’atteggiamento della RSU verso la controparte è potenzialmente partecipativo: i delegati
valutano positivamente le strategia aziendali di crescita e di innovazione, perché
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permettono di mantenere e allargare la base occupazionale e ritengono che il ruolo della
RSU debba essere quello di tutelare le condizioni di lavoro in un quadro di collaborazione
per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Ciononostante, questo atteggiamento non
trova spazi di espressione, in quanto l’azienda non è interessata a valorizzarlo. Il conflitto
non è considerato uno strumento praticabile nella situazione data e solo in un'unica
occasione è stato minacciato.
7.2.3 Il sistema di relazioni sindacali presente in azienda
La Nuova Ompi concepisce il lavoro essenzialmente come un costo e non ha remore a
comunicarlo costantemente alla RSU. Il riconoscimento della rappresentanza è
meramente formale, ed è forte il tentativo di eludere, se non ostacolare la RSU nel suo
ruolo è nella sua titolarità negoziale. L’azienda non è trasparente nei confronti dei delegati
e non è interessata a consultarli: solo su pressione o in occasioni strumentali da
informazioni dettagliate sull’andamento dell’azienda, gli investimenti e sulle innovazioni
organizzative che intende apportare. I dati di bilancio sono tenuti ben nascosti agli occhi
della RSU e recentemente è addirittura capitato anche che gli fossero comunicati risultati
di esercizio diversi da quelli reali. La proprietà, ma anche il management considera il
conflitto un evento patologico, da evitare o da disinnescare prontamente.
Il confronto tra le parti non è frequente e si riduce alla firma del contratto integrativo o alla
regolazione di macro-questioni organizzative in una logica di adattamento alle
trasformazioni imposte dall’azienda. L’orientamento contrattuale della direzione è limitato
agli istituti tradizionali e gli obiettivi sono la gestione dei costi: in presenza di richieste
diverse da quelle che sono normalmente contemplate, la dirigenza ha un approccio
elusivo e deve consultare la proprietà. Tendenzialmente, tutte le questioni diverse dal PdR
e dal sistema degli orari tendono ad essere gestite unilateralmente.
Per il mantenimento di alti livelli di produttività e di qualità l’azienda confida nel
paternalismo, nella disponibilità dei lavoratori e nelle deferenza nei confronti dei
capireparto, che sono spesso gli interlocutori dei lavoratori oltre che i soggetti che
governano la produzione e le prestazioni lavorative.
Analisi degli esiti negoziali:
Flessibilità
L’azienda approfitta della debolezza della RSU per fare un uso ampio e unilaterale della
flessibilità. Il management, confidando nella generale disponibilità dei lavoratori, nella loro
deferenza verso la gerarchia interna (capi reparto), nell’ignoranza delle disposizioni
contrattuali e la scarsa comunicazioni con la rappresentanza, riesce ad avere una ampia
capacità di variare l’orario dei lavoratori e di spostarle all’interno dell’impresa. Una
regolazione unilaterale che consente anche dei risparmi in termini di maggiorazioni.
La RSU riesce a portare sul tavolo negoziale tali questioni solo quando le intercetta,
magari attraverso il passaparola. Oppure quando si tratta di riorganizzazioni strutturali
dell’organizzazione, riguardanti molti reparti e che incidono pesantemente sulla
prestazione lavorativa. Di questo tipo sono gli accordi di flessibilità oraria, per un maggiore
sfruttamento degli impianti, che hanno progressivamente introdotto il ciclo continuo,
sebbene in alcuni reparti.
La richiesta di uno sfruttamento più intensivo degli impianti per aumentare i volumi
produttivi e ridurre i costi connessi all’avviamento è presente in azienda da più di dieci
anni, da quando sostanzialmente vi è stato l’introduzione dell’automazione e delle
tecnologie di controllo della qualità. Ciononostante, il passaggio da tre turni su 5 giorni a
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tre turni su 7 giorni, è stato all’inizio rifiuto non tanto dalla RSU, ma dagli stessi lavoratori
che in molti casi hanno manifestato la volontà di lasciare l’azienda.
L’intensificazione quindi è stata introdotta gradualmente e ad oggi solo alcuni reparti
funzionano a ciclo continuo. Nel 2003 ad esempio sono stati istituiti per alcuni reparti dei
turni di 12 ore. Per far questo sono stati introdotti rapporti di lavoro part-time di 24 e 32 ore
(altre 8 ore durante la settimana) che sembrano aver riscosso interesse da parte di donne
rientrate dalla maternità o con figli ancora piccoli, ma che hanno comportato anche nuove
assunzioni. La flessibilità è stata monetizzata attraverso vari istituti, con particolare favore
verso il part-time a 32 ore (premio presenza, e possibilità di partecipare al PdR come un
full-time). Infine nel 2006 è stato firmato l’accordo per il ciclo continuo.
L’azienda sembra fare un discreto uso di lavoro atipico e in particolare di lavoro
somministrato non solo per gestire i picchi produttivi. L’RSU però non è in grado di
quantificare la presenza di questi lavoratori e non ha mai richiesto all’azienda informazioni
sulle forme contrattuali presenti e sul loro utilizzo.
Elementi retributivi
Il PdR della Nuova Ompi è stato ideato dalla direzione e sostanzialmente imposto
unilateralmente. La rappresentanza non ha mai pensato di proporre degli indicatori e si
limita a rinegoziare alcuni obiettivi, quando intervengono mutamenti organizzativi che
potrebbe incidere pesante sull’importo finale o a transare eventuali premi troppo bassi, o
mancati obiettivi.
La struttura del premio è molto complessa ed è stata rivista diverse volte; la RSU sembra
comprendere solo a grandi linee i meccanismi premianti.
Fino al 2009 gli indicatori che venivano presi in considerazione erano: valore della
produzione, qualità esterna, scarto vetro, resa impianti, prodotti accettati, ore di cernita e
costo del lavoro. Il meccanismo premiante prevedeva che gli obiettivi collegati ai primi due
indicatori fossero condizione necessaria per il riconoscimento del premio. Il
raggiungimento degli obiettivi legati a scarto vetro, resa impianti e prodotti accettati
consentiva di accantonare una somma definita “Premio base”. A tale somma andava
aggiunto un “premio per obiettivi specifici” legato sempre a questi tre indicatori: esso
prevedeva importi crescenti in base alla percentuali di miglioramento, i quali venivano
prima rivalutati in base ai livelli di qualità esterna e poi moltiplicati per l’indice di
miglioramento risultante dal rapporto tra valore della produzione dell’anno di riferimento ed
il valore della produzione dell’anno precedente, infine nuovamente moltiplicati per l’indice
di variazione del rapporto valore della produzione su costo del lavoro.
A questi due premi poi se ne aggiungeva un terzo legato alla riduzione delle ore di cernita.
Questa operazione algebrica portava alla fine ad un cespite che l’azienda ridistribuiva ai
lavoratori in base alla presenza e con una riparametrazione in base al livello.
Il premio escludeva esplicitamente i lavoratori somministrati.
Nel 2009 il PdR è stato rivisto in via sperimentale e reso un po’ più semplice e chiaro.
Inoltre è stato inserito un meccanismo premiante la riduzione dell’assenteismo che
l’azienda ritiene aver raggiunto livelli preoccupanti. Il premio si struttura sostanzialmente in
una parte annua, molto simile al premio base già in vigore, e in un premio di risultato
individuale calcolato mensilmente e con un importo massimo di 40€.
In questo accordo sono stati inclusi anche i lavoratori somministrati. I lavoratori in part-time
continuano a recepire il 100% del premio se a 32 ore e l’85% se a 24 ore.
Questo premio di risultato, anche nella versione sperimentale adottata nel 2009, può
avere difficilmente un effetto incentivante vista la difficoltà a connettere la propria
prestazione con il raggiungimento di un obiettivo. Gli importi inoltre sono
complessivamente bassi: mediamente un operaio inquadrato al 3° livello è arrivato a
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prendere in questi anni importi compresi tra 500 e 600 €. Per quanto riguarda
l’assenteismo, bisogna ricordare che questo è un fenomeno sociale complesso e che i
premi non sembrano molto efficaci nel contrastarlo, ma semmai producono una
differenziazione salariale basata sulla disponibilità, a maggior ragione quanto gli importi in
questione sono così irrisori. Per affrontare l’assenteismo bisognerebbe innanzitutto
analizzate il tipo di assenze, le caratteristiche dei lavoratori nonché l’organizzazione e
l’ambiente di lavoro.
Restando sugli elementi retributivi, la contrattazione aziendale prevede una
maggiorazione pari al 55% in caso di lavoro nei giorni festivi e dei premi di presenza (che
variano in base al turno e al giorno della settimana) per chi lavora in ciclo continuo.
A partire dal 2007 è presente un’indennità di mensa di 2€.
Infine, la busta paga sembra essere appesantita da superminimi individuali, ma la RSU
non ne ha una “mappa” perché ritiene questo un tema sconveniente da trattare con i
lavoratori.
La quota di salario contrattata dalla RSU è quindi decisamente bassa rispetto alla capacità
di pagare dell’azienda, la sua posizione nel mercato e le prospettive future.
Ciononostante, l’azienda lamenta costantemente alla RSU un alto costo del lavoro.
Riconoscimento e rappresentanza della diversità
La Nuova Ompi è un’azienda con una fortissima componente femminile, stimata dalla
RSU attorno al 70%. Questo dipende dal fatto che il prodotto richiede, specie in alcune
fasi lavorative, attenzione alla qualità e ai dettagli, accuratezza e precisione, caratteristiche
che generalmente sono associate alle donne. Nelle “clean room” infatti ci sono solo loro.
Anche la presenza di lavoratori immigrati è decisamente rilevante, sempre secondo stime
dei delegati si aggira attorno al 30%. Anche in questo caso troviamo prevalentemente
donne, per lo più provenienti dall’est-europa, dalla Romania in particolare, ma anche
dall’Africa sub-sahariana.
Nonostante questa composizione sociale particolarmente ricca di potenziali richieste di
riconoscimento di situazioni particolari legate alla dimensione di genere o all’esperienza
migratoria, la RSU non ritiene vi siano problemi specifici da rappresentare. Se emergono
delle necessità individuali queste sono gestite informalmente dagli stessi lavoratori con il
capo reparto o l’ufficio del personale. Da sottolineare inoltre, come nel caso del passaggio
ai part-time al fine settimana, vi sia stato un approccio di tipo adattivo alla conciliazione dei
tempi di cura con quelli di lavoro.
Per quanto riguarda i lavoratori immigrati, emerge con chiarezza la presenza di tensioni tra
la componente autoctona -il gruppo dei lavoratori con una maggiore anzianità aziendale e quella dei “nuovi” lavoratori immigrati. I primi sollevano diverse critiche verso il
comportamento dei secondi sia nei termini di una minore precisione e dedizione
nell’attività lavorativa sia di correttezza e cooperazione verso i colleghi. Tali giudizi sono
stati espressi da alcuni delegati, quindi non si può valutare quanto queste affermazioni
siano radicate tra i lavoratori o quanto espressione di un esperienza e una definizione
soggettiva.
Innovazione
L’azienda ha investito molto nell’innovazione del processo produttivo -in termini di volumi,
tecnologia e organizzazione del lavoro- nel prodotto e nella strategia. Non vi è stata invece
innovazione nella gestione del lavoro e delle relazioni sindacali.
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Quale modello di relazioni industriali?
Il sistema di relazioni industriali della Nuova Ompi è un tipico modello a costi minimi. Il
lavoro è concepito come un costo da minimizzare e la rappresentanza sindacale una
istituzione da contenere. Alla RSU è chiesto sostanzialmente di assecondare e ratificare le
scelte aziendali. Nonostante la crescita dimensionale, relazione e qualitativa, nonostante
la produzione di beni che richiedono alti standard qualitativi e quindi di coinvolgimento dei
lavoratori, l’azienda continua a non investire nella gestione del personale e delle relazioni
sindacali. Credo che questo si possa spiegare solo in parte con la persistenza nella
proprietà una cultura politica nella quale il sindacato, e in particolare la Cgil, è visto come
portatrice di minaccia. L’azienda non ha in effetti alcun incentivo a modificare, seppur in
chiave meramente strategica, il suo approccio. La controparte è debole, non solo in termini
di iscritti ad un sindacato, ma soprattutto sul fronte più importante del riconoscimento
sostanziale da parte dei lavoratori. Le risorse di cui dispone, comprese quelle derivanti dal
sindacato esterno, non sembrano tali da poter far uscire la RSU dall’ambito in cui è stata
confinata. A questo si deve poi aggiungere un forte senso di sconforto dei delegati per
l’atteggiamento della dirigenza e l’abbandono da parte del sindacato.
Resta da vedere quanto questo tipo di gestione, che è tipica di una parte delle piccola
imprenditoria veneta, possa permettere di mantenere nel tempo alti standard di produttività
e qualità, in un’impresa multinazionale che continua a crescere. L’aumento
dell’assenteismo e delle non conformità dovrebbe far riflettere l’azienda.
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8. Sacchettificio Nazionale Corazza S.p.a.
Il Sacchettificio Nazionale Corazza S.p.a. nasce nel 1925. Opera fin da subito nel settore
degli imballaggi industriali. Nel 1988 per bisogni legati a problematiche produttive
connesse alla crescita degli impianti e logistiche legate alla movimentazione delle merci, il
sacchettificio trova la sua attuale locazione a Ponte San Nicolò - produzione, magazzini
materie prime, distribuzione -.
Lo spostamento dello stabilimento dalla vecchia alla nuova sede corrisponde
conseguentemente anche all’ampliamento della gamma dei prodotti che il sacchettificio
propone sul mercato e alla cristallizzazione delle due gamme principali:
• Sacchi carta
• Imballaggi flessibili
Dalla iniziale produzione di sacchi-cotone per prodotti alimentari si è negli anni orientato
alla produzione di packaging in carta e in plastica per diverse tipologie di mercato:
•
•
•
•
•
Alimentazione umana
Prodotti chimici
Materiali per le costruzioni
Mangimi animali
Sementi e fertilizzanti
L’impresa è una S.p.a. in cui la maggioranza del pacchetto azionario è in mano a
un’impresa che opera nel settore della materie plastiche e che è anche il maggior fornitore
delle materie prime per gli imballaggi flessibili. La seconda quota azionaria per peso e
importanza è in mano alla famiglia Selmin che con il Cav. Selmin si trova a guidare
l’impresa.
8.1 Mercati, strategie e prodotto
Bisogna considerare che il settore del packaging in cui opera la ditta padovana è un
modello tipicamente business to business in cui il proprio cliente non è mai l’utente finale.
Questa particolare relazione rappresenta per differenti aspetti un vincolo a cui l’impresa ha
dovuto rispondere in diverse maniere per adeguare e aumentare il proprio vantaggio
competitivo secondo tre direttive principali: prodotti, immagine, resistenza.
Il fatto di operare sia nel campo della carta che in quello della plastica è una scelta presa
nel 1995 che ha trovato una sua piena realizzazione nel 1997. Ciò ha permesso
all’impresa di Ponte san Nicolò, oltre che differenziare l’offerta in un settore che
tendenzialmente porta a una forte specializzazione in un solo settore, di mantenere una
posizione relativamente sicura anche nello scenario dell’attuale crisi. Infatti, anche a fronte
di una riduzione del 20% di lavoro rispetto al 2008, il settore delle plastiche per
l’alimentazione non ha subito una grande flessione.
La produzione di un packaging è anche fortemente legata all’immagine che un prodotto su
uno scaffale di un supermercato deve comunicare a un compratore finale e tenere fede e
mantenere l’aura che le campagne di marketing dei clienti del sacchettificio adottano per
far conoscere il proprio marchio. Questo fa si che il settore della stampa debba
necessariamente essere all’altezza di determinati standard grafici (colori, tempi,
preparazione delle lastre, etc.).
71
L’ambito legato alla stampa, in sede di produzione, diventa allora un settore fondamentale
che richiede al management, per mantenersi concorrenziali nel mercato e mantenere
standard qualitativamente alti, un’innovazione di processo - adeguamento di macchinari piuttosto costosa che incide fortemente sul costo finale del prodotto finito. Questa
attenzione all’aspetto grafico nella produzione ha fatto si che nel tempo l’impresa si
dotasse anche di uno studio grafico interno salvo poi abbandonare questo aspetto e
chiudere l’ufficio nel momento stesso che i clienti cercavano e acquistavano queste
professionalità all’esterno e la digitalizzazione dei processi di stampa permetteva di
aggirare passaggi di editing intermedi.
Ulteriore vincolo per il sacchettificio ma legato alle caratteristiche tecniche del prodotto, è
dato dal fatto che il sacchetto non si rompa e che contenga efficacemente il prodotto. In tal
senso la scelta delle materie prime e soprattutto per quanto riguarda la carta è
fondamentale. Le materie prime arrivano quasi esclusivamente dall’estero. La carta che
viene utilizzata è di cellulosa di abete, materiale che garantisce una resistenza superiore
ma con un costo sostenuto. I principali fornitori dell’impresa, soprattutto per i bianchi, sono
localizzati nei paesi scandinavi come Svezia e Danimarca. Per i prodotti grezzi si fa
riferimento principalmente all’Austria e ai paesi dell’Est Europa come Polonia Repubblica
Ceca e Russia.
È interessante notare come i maggiori competitor dell’impresa siano due grandi gruppi che
negli ultimi anni si sono mossi acquisendo e inglobando molti settori collegati al
packaging, dalle cartiere a impianti di produzione, definendosi nei fatti oltre che
concorrenti con consistenti fette di mercato anche come fornitori stessi del sacchettificio.
Rispetto alla fetta di mercato in cui si trova a operare con altri indipendenti del settore, il
40% del fatturato del sacchettificio proviene dal mercato Italiano. La rimanente e
maggioritaria porzione degli introiti proviene da un mercato estero marcatamente europeo,
con clienti che hanno stabilimenti in Danimarca, Ucraina, Ungheria, Bulgaria, Repubblica
Ceca, Polonia, Francia, Inghilterra, Germania. Negli Stati Uniti il sacchettificio è invece
presente con una commerciale.
A fronte di questa situazione, grandi gruppi che detengono importanti fette di mercati con
capacità produttive differenziate e una serie di concorrenti più piccoli sul territorio europeo,
l’impresa di Ponte San Nicolò, come si è visto, ha scelto di operare sia nella plastica che
nella carta, ma ha anche cercato di costruire un rapporto con il cliente fortemente orientato
alla “customizzazione” del proprio prodotto. Questo cercando di costruire una rete
commerciale (20 soggetti che operano all’estero e 5 in Italia) che mantenga rapporti con la
clientela con una forte attenzione a non creare un rapporto comunicativo chiuso ed
esclusivo tra venditore e cliente, ma piuttosto tra produttore e cliente. Definendo l’ambito
tecnico produttivo come l’interlocutore diretto e privilegiato del cliente; sforzo teso alla
possibilità di creare prodotti su misura per l’acquirente.
Una secondo percorso di sviluppo vede il sacchettificio corazza impegnato a cercare nuovi
mercati e in particolare, orientandosi al Medio Oriente, iniziando a lavorare con Tel Aviv.
Operazione che comunque è in una fase iniziale ed esplorativa. La difficoltà riscontrata in
questo frangente sembra essere quella di trovare e formare personale (italiano e
autoctono) che possa conoscere il prodotto da un punto di vista non esclusivamente
commerciale ma anche tecnico proprio per salvaguardare l’approccio personalizzato che
sembra essere l’asse portante delle politiche commerciali dell’impresa.
Il terzo asse portante della traiettoria di sviluppo del Sacchettificio Corazza è una
accentuata politica di innovazione di prodotto. Lo sviluppo di nuovi prodotti è un vincolo di
settore che chiede all’impresa una continua ricerca per stare sul mercato e proteggere il
lavoro acquisito.
Un percorso che si può definire classico in qualche modo è stato quello di attivare una
collaborazione con un impresa del territorio che opera nelle ricerca legata alle nano
tecnologie. Questo nella speranza di sostituire alcune tipologie di imballaggi che sono in
72
composti, ma non si è ancora riusciti a trovare un materiale che in assenza di
accoppiamento all’alluminio riesca a garantire protezione dalla luce e dall’umidità.
L’importanza di sviluppare e utilizzare materiali di questo genere è fortemente collegata
alla questione ambientale e del riciclo infatti i prodotti accoppiati - assemblati con più di
una tipologia di materiale - non possono essere smaltiti come altri rifiuti.
Un secondo percorso vede invece una partecipazione più stretta tra diverse competenze
tutte interne al sacchettificio. La tecnologia che viene impiegata nel processo produttivo,
quelle che trasformano la carta in contenitore o il confezionamento (macchinari che sono
prodotte solo da due ditte tedesche nel mercato), definisce e vincola le diverse tipologie di
modelli di sacchetti che possono essere prodotti. Cambiare un macchinario significa
cambiare o innovare le proprie tipologie di prodotto e all’innovazione processo corrisponde
l’innovazione di prodotto. La macchina adottata, quindi, vincola l’impresa a determinate
procedure e passaggi con un forte costo, il come “metterle insieme”, però, diventa la leva
su cui agire per creare prodotti differenti.
In un percorso solido e consolidato membri dell’officina, i capi fabbrica, il capo reparto
partecipano a un tavolo per contribuire alla definizione di un prodotto innovativo ottenuto
attraverso la modifica dei macchinari o intervenendo su alcuni passaggi sia sul semi
lavorato che sul prodotto finito. Se la macchina può dare solo determinate tipologie di un
prodotto ciò che si fa è intervenire sul processo sfruttando le competenze legate al
personale legato alla produzione diretta innovando nei fatti il design del prodotto spostamento di cuciture, posizionamenti di maniglie, variazioni sul taglio - attraverso
operazioni sul flusso produttivo e le sue fasi in macchinari a ciclo chiuso.
I prodotti così concepiti vengono poi messi sotto brevetto per proteggere il vantaggio
competitivo ottenuto.
8.1.2 Produzione, tecnologie e saperi
Il flusso produttivo si snoda partire dall’ufficio commerciale. L’ordine raccolto arriva poi in
archivio - la prestampa in cui predispongono i vari clichet per la stampa e si preparano gli
ordini - per poi spostarsi in produzione.
In base ai materiale e alle caratteristiche del sacco - accoppiamento di più materiali,
modelli particolari, destinazioni d’uso - l’ordine seguirà itinerari differenti e quindi
macchinari differenti.
Le materie prime, carta o plastica, vengono caricate in tubiere che, in un ciclo chiuso,
chiudono il sacco con il foglio di impermeabilizzazione e se il caso possono impostare
piccole stampe, lo tagliano e lo incollano. Sulle tubiere della carta lavorano mediamente
due operatori, mentre per quelle della plastica è sufficiente anche un solo addetto.
Il lavoro richiesto agli operai in questa fase del processo è quello di caricare le bobine di
carta o materiale plastico e sorvegliare il processo in cui la macchina arriva a tagliare,
chiudere e prepara le mazze per la partenza. Accanto alle tubiere ci sono altri macchinari
che possono intervenire per differenti lavorazioni - in linea o fuori linea - in base al
sacchetto da produrre, fino alla finitura.
Alla fine del processo può darsi il caso che il carico delle mazze sul bancale sia manuale.
Questa operazione è eseguita generalmente da 5 delle 6 donne presenti in produzione. Il
lavoro alla tubiera, soprattutto per quelle del plastico, è considerato dall’impresa un lavoro
piuttosto semplice in cui anche una scarsa conoscenza dell’italiano, per quanto riguarda i
lavoratori immigrati, non è un problema. In produzione, in tutte le sue fasi, sono impegnati
una 30 di lavoratori immigrati alcuni dei quali soggiornano in appartamenti di proprietà
dell’impresa nei pressi dello stabilimento.
73
Un sacchetto generalmente necessita anche di una stampa. Questo è un reparto cruciale
per la gestione degli ordini infatti le non conformità che si possono registrare in questo
passaggio - al contrario di altre lavorazioni del prodotto - non sono mai recuperabili.
Al momento ci sono 4 macchine da stampa nel reperto carta di cui una prossima ad
essere sostituita in vista dell’arrivo di una nuova macchina da stampa a 11 colori. Hanno
un solo operatore per turno in quanto non presentano né velocità elevate né grosse
produzioni che provvedei anche ai ricambi e “servizi vari”. Nel reparto carta c’è un
caporeparto nei turni diurni per dare una mano a fare i cambi macchina, ma in caso di
bisogno si chiama un aiuto da altri reparti a seconda della disponibilità.
Nel reparto flessibili (R.I.F.) è presente una macchina che stampa sia carta sia nylon (in
genere tubolare) con un equipaggio fisso di due persone, conduttore e aiuto. Ha un
equipaggio di due persone se stampa su carta, tre se su film plastico perché si aggiunge
l’accoppiatore. Se inizialmente si era pensato di aggiungere un soggetto, il terzo di
macchina adetto ala manutenzione e al supporto degli altri due, poi l’impresa ha valutato
che ne bastessero due. All’insorgere di piccole manutenzioni gli operatori si fermano per
fare qualche ora di straordinario o in caso di necessità di interventi anche minimi si
chiama l’officina, oppure gli si porta personalmente il materiale da riparare.
Il carico delle bobine e la pulizia sta agli operatori salvo il sabato mattina in cui sono aiutati
da personale della cooperativa incaricata delle pulizi. Il lavoro, in questa fase quindi, è
organizzato a squadre che variano a seconda del reparto della lavorazione e del
macchinario.
Lavorare alla stampa “ti permette di muoverti di più” e in più “hai più tipi di problematiche”
da affrontare. Il fatto di lavorare in team fa si che si sviluppino una serie di routine
lavorative che contraddistinguono le varie squadre e che generalmente dipendono dal
conduttore che nei fatti imprime uno “stile”. Generalmente l’aiuto conduttore assume quel
ruolo anche in vista di prendere un domani il posto del conduttore. In questo rapporto di
apprendistato sul campo si definisce una relazione lavorativa che nei fatti,
nell’avvicendarsi degli operatori, struttura un determinato modo di lavorare e definisce un
sapere professionale strettamente legato alla macchina e alla mansione.
Nello stabilimento opera anche una squadra di manutentori dell’officina che sono chiamati
a intervenire in casi di guasti e per la manutenzione.
Di fronte alla macchina gli operatori sono chiamati a intervenire e a interagire nel processo
più volte perché “i materiali sono vivi”. Le macchine possono poi “non rispondere
correttamente al settaggio iniziale”. Avvolte è necessario “inventarsi un passaggio”. Le
“bobine cambiano comportamento” rispetto alla norma, possono variare in spessore
causando non conformità e le macchine non hanno uno spessimetro quindi sta
all’operatore “sentire” che il sacchetto abbia la giusta conformazione. Questo controllo
squisitamente umano è particolarmente importante proprio rispetto a quelle lavorazioni
che l’impresa da a terzisti che sono chiamati a completare il lavoro (generalmente legato a
macchinari non presenti nel sacchettificio).
Il centro su cui ruotano queste pratiche lavorative sono quelle capacità relazionali che
permettono di “avere un buon rapporto di collaborazione con chi opera in macchina”. Gli
interventi sono quindi generalmente finalizzati a razionalizzare i tempi in ragione delle
funzioni da svolgere e a volte queste sperimentazioni riescono a emergere e cristallizzarsi
e a diventare pratiche condivise strutturando nei fatti l’ambiente lavorativo.
I più grossi cambiamenti organizzativi avvenuti in produzione sono l’introduzione del TQM,
con la conseguente introduzione di rigide procedure burocratiche di controllo- tramite
check list -, che deve eseguire l’operatore, e di conferma, da parte delle diverse figure
gerarchicamente in comando in quel momento e in quella fase della produzione, e
l’organizzazione delle linee. Le linee, infatti, sono state istituite da pochi anni ma sembra
essere stato più un riordino semantico della produzione in quanto, per il tipo di produzione
e di macchinari impiegati, già c’erano informalmente (raggruppamento di processi) e a
74
queste ne sono state aggiunte e formalizzate di nuove. Quindi i vice capo reparto sono
diventati capi linea e ritmi della produzione non sembrano aver risentito del cambiamento.
Piuttosto sono i sistemi di controllo che sembrano cozzare con il bisogno di “far correre le
macchine” in produzione.
La produzione è poi supportata da due magazzini, uno per le sostanze plastiche e uno per
la carta. I materiali di consumo come bancali, reggia, colle, vernici, inchiostri e basi per gli
inchiostri hanno un loro reparto in magazzino, mentre i semilavorati sono depositati
direttamente in produzione.
La produzione è organizzata su tre cicli continui - notte, pomeriggio, mattina - mentre
l’archivio, l’officina e i flessibili lavorano su due turni. Lo spazio produttivo è invece diviso
in due macro aree che corrispondono ai reparti della carta e degli imballaggi flessibili, ma
a questa separazione di massima non corrisponde una rigida separazione disciplinare
infatti la finitura degli imballaggi flessibili condivide lo stesso spazio con quello del reparto
carta e così altre lavorazioni.
La formalizzazione delle linee e l’aver adottato la metodologia del TQM sembrano indicare
come il Sacchettificio Corazza stia andando efficacemente verso un paradigma produttivo
orientato all’efficienza statica con una forte attenzione alla standardizzazione di processo
e di prodotto con una certa attenzione da parte del management al disciplinamento della
forza lavoro rispetto a pratiche di controllo sul processo e sul prodotto.
Vantaggi competitivi del Sacchettificio Nazionale Corazza:
•
•
•
•
Forte attenzione all’innovazione di prodotto
Innovazione di processo
Gamma di prodotti
Soluzioni ad hoc per il cliente
8.2 RSU del Sacchettificio Nazionale Corazza
8.2.1 La rappresentatività
La rappresentanza sindacale dei lavoratori è presente all’interno dell’azienda dagli anni
’60, all’inizio attraverso un’unica sigla, quella della Cgil. A partire dagli anni ’70 vi fu un
progressivo spostamento dei lavoratori verso la Cisl, ma se negli anni ’80 le due sigle si
spartivano piuttosto equamente i lavoratori sindacalizzati, oggi il sindacato di categoria
aderente alla Cgil è diventato minoranza. Inoltre, solo un 1\3 dei lavoratori ha in tasca una
tessera, in prevalenza lavoratori con le maggiori professionalità operaie (anche i due capi
reparto sono iscritti).
La RSU è composta da 3 delegati, tutti maschi e autoctoni, nonostante vi sia un’ampia
presenza di lavoratori immigrati (circa il 30% su 120 dipendenti). Le donne occupate
invece sono poche e impiegate prevalentemente negli uffici, sebbene in produzione vi
siano alcune lavoratrici con una discreta anzianità di servizio. Gli impiegati non
partecipano alla vita sindacale interna: non sono iscritti ad un’organizzazione, non votano
alle elezioni della rappresentanza, non prendono parte alle assemblee e non si rivolgono
ai delegati nemmeno per la tutela degli interessi individuali.
Alle elezioni e alle assemblee partecipa il 50% dei lavoratori; la rappresentatività della
RSU è distribuita su tutta l’area della produzione, ma è particolarmente forte nel reparto
stampa, dal quale storicamente emergono i delegati. Da diversi anni due delegati sono
espressione della Cisl e uno della Cgil. La legittimazione sostanziale è tuttavia debole;
75
molti preferiscono tutelare individualmente i loro interessi e in questo sono incentivati da
una politica paternalistica del titolare.
La disponibilità a svolgere il ruolo è scarsa e questo fa sì che non vi sia un grande
ricambio di delegati e che i rinnovi della RSU non avvengano nei termini previsti dagli
accordi sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro.
8.2.2 L’esercizio della funzione di rappresentanza
Le dimensioni ridotte dell’organismo di rappresentanza non necessitano una
proceduralizzazione delle attività, non esiste nessuna divisione interna del lavoro e il
rapporto tra i delegati avviene principalmente all’interno del reparto durante l’orario di
lavoro. Le decisioni sono prese con il metodo del consenso, ma le posizioni del delegato
più anziano (svolge questo ruolo da più di 20 anni) sono molto influenti.
La RSU non si pone obiettivi specifici e confina la sua attività principalmente alla
negoziazione degli elementi economici (PdR e una sorta di 14° mensilità). I delegati
affermano che i lavoratori non esplicitano domande relative ad interessi collettivi né
individuali e che tuttavia la loro esperienza lavorativa e di rappresentanza gli permette di
individuare eventuali bisogni e priorità.
La comunicazione con i lavoratori è per lo più informale e basata sul confronto durante il
lavoro. Quella formale passa attraverso le assemblee che si svolgono ogni due o tre mesi.
Le assemblee sono gestite dai funzionari i quali complessivamente svolgono in azienda un
ruolo di supplenza della RSU. Questo non sembra essere determinato tanto dalle scarse
competenze dei delegati, bensì da una assenza di legittimazione sostanziale della
rappresentanza da parte del titolare dell’azienda. Il rapporto con il sindacato è diverso a
seconda della sigla: i delegati della Cisl affermano di avere un rapporto buono e frequente
con la loro organizzazione e di essere inseriti in una rete di formazione e consulenza. Il
delegato della Cgil giudica non molto soddisfacente il rapporto con la sua categoria e si
sente piuttosto abbandonato.
La RSU è piuttosto debole non solo e non tanto per il tasso di sindacalizzazione o di
partecipazione elettorale, ma soprattutto per la scarsa rappresentatività sostanziale che
comporta una incapacità di mobilitare i lavoratori anche su importanti questioni aziendali.
La RSU dispone complessivamente di una buona conoscenza del processo produttivo e di
una conoscenza sufficiente del mercato dei prodotti e le strategie aziendali. In quest’ultimo
caso la fonte delle informazioni è il titolare che è attento ad comunicare, anche in maniera
dettagliata, ai delegati i dati sulla forte competitività del mercato in cui opera l’azienda.
Sufficiente è invece la conoscenza della condizione economico-finanziaria; in questo caso
le informazioni di cui dispongono non arrivano dalla proprietà, ma dal sindacato esterno e
precisamente dalla Cisl che regolarmente acquisisce i bilanci e richiede delle consulenze.
Le competenze tecniche sono sufficienti, ma come per le conoscenze sono principalmente
concentrate nel coordinatore di fatto della RSU.
8.2.3 Il sistema di relazioni sindacali presente in azienda
Lo stile di gestione delle relazioni sindacali e del personale è basato su una visione
unitaria dell’azienda, in base alla quale tutti gli attori individuali e collettivi devono
contribuire nel rispetto dei ruoli e della gerarchia al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Nelle relazioni dirette con i lavoratori la visione del titolare si caratterizza per un aperto
paternalismo, questo si manifesta nell’assunzione a vita e l’esclusione a prescindere del
licenziamento, nella concessione di servizi collettivi e individuali ai lavoratori e nella
tolleranza di bassi livelli individuali di produttività e un forte assenteismo se compensati
con la deferenza. Il titolare affianca alle ampie concessioni unilaterali, uno scarso
riconoscimento della dimensione formale del rapporto lavoro e della rappresentanza
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sindacale. Il titolare tende a legittimare il sindacato esterno quale rappresentante dei
lavoratori, ovviamente come seconda scelta per questioni che non può gestire
unilateralmente. Parimenti lo sciopero è tollerato solo se riguarda questioni che non
mettono in discussione le prerogative aziendali. Negli ultimi anni non vi sono state azioni
industriali e i delegati non sembrano sfiorati dall’idea di un possibile utilizzo del conflitto
come strumento di relazioni industriali, persuasi dal fatto che non sarebbero in grado di
mobilitare i lavoratori, ciononostante nel corso degli anno ’80 e dei ’90 vi sono state
fermate della produzione per questioni aziendali. Lo stile paternalistico di gestione del
personale è proprio dell’anziano titolare, mentre il figlio dimostra di avere un approccio
comunque unilaterale, ma determinato al contenimento del costo del lavoro.
Ai delegati sembra essere riconosciuto un ruolo di rappresentanza solo per quanto
riguarda la condivisione di alcune informazioni; l’azienda è piuttosto prodiga nel dar conto
alla RSU dell’andamento della produttività e della qualità della produzione. Non si tratta in
questo caso di trasparenza, tant’è che poche altre informazioni vengono date ai delegati,
ma di una prassi che il titolare adotta per legittimare richieste di aumento della produttività
e limitare le richieste economiche o come è successo recentemente per sterilizzare un
elemento retributivo inserito negli anni ’80 dalla contrattazione integrativa. Ad ogni modo,
l’azienda non rinuncia alla comunicazione diretta con i lavoratori scavalcando volentieri la
RSU.
La proprietà riconosce alla rappresentanza sindacale un’autorità negoziale ristretta alla
sua rappresentatività formale e l’orientamento contrattuale è sostanzialmente limitato ai
temi tradizionali: PdR e orari di lavoro. In particolare gli ultimi accordi prendono in
considerazione solo questioni economiche e non sempre hanno avuto un carattere
acquisitivo. La modalità negoziale è proceduralizzata e da alcuni anni si è trasferita presso
la sede di Confindustria, evidenziando un atteggiamento volto a controllare le dinamiche
negoziali. Infatti, l’obiettivo unico della contrattazione sembra essere il contenimento della
rappresentanza. Per quanto riguarda la frequenza degli incontri formali questi avvengono
di norma 3-4 volte all’anno.
Analisi degli esiti negoziali:
Flessibilità
Il sacchettificio Corazza gestisce la flessibilità per lo più unilateralmente attraverso la
consuetudine dello straordinario al sabato mattino – retribuito con le maggiorazioni minime
previste dal Ccnl – e un discreto utilizzo del lavoro somministrato e di cooperative. Il
ricorso alle agenzie risponde ad una logica di prolungamento del periodo di prova più che
di costruzione di una gruppo di lavoratori periferici, in quanto quasi tutti i lavoratori
somministrati che intendono rimanere in azienda dopo un periodo di tempo vengono
assunti. Per quanto riguarda la flessibilità oraria, le parti hanno firmato un accordo che
prevede la possibilità per i lavoratori di ridurre la pausa del turno da mezz’ora a 15 minuti e
di godere per questo di un incremento sulla maggiorazione di 1 punto percentuale e pari al
9% della paga base. In tema di possibilità per l’azienda di variare l’orario per rispondere
alle esigenze dalla produzione, bisogna evidenziare che il titolare non ha mai fatto ricorso
alla Cig nemmeno in presenza di cali significativi della domanda o di ristrutturazioni,
preferendo assorbire i costi della temporanea eccedenza di manodopera.
Elementi retributivi
Prima di introdurre il PdR è opportuno prendere in considerazioni altre voci contrattuali ed
elementi retributivi unilaterali. Per quanto riguarda le prime troviamo una maggiore del
50% per il turno notturno; gli altri turni e lo straordinario sono compensati con gli importi
previsti dal Ccnl. Inoltre fino ad un anno fa era in vigore una forma consolidata di
77
incremento retributivo, con un importo uguale per tutte le categorie e che approssimava la
mensilità di un dipende inquadrato con un livello C1. Essa è stata introdotta alla fine degli
anni ‘80 ed è sempre stata mal digerita dal titolare, finchè si è giunti alla disdetta
unilaterale dell’accordo. Le parti ora si stanno confrontando attorno ad una nuova voce in
grado di incorporare anche un premio fisso.
La retribuzione contrattuale è comunque da sempre abbondantemente arricchita dalla
presenza di superminimi individuali che sembrano variare a seconda del tipo di
professionalità e in base alla disponibilità. Non c’è mai stata e non c’è tuttora l’interesse da
parte dei delegati di chiedere l’assorbimento di questi emolumenti.
Gli ultimi contratti integrativi hanno previsto degli importi potenziali massimi attorno ai
1000€, ciononostante i premi concretamente ottenuti in questi anni dai dipendenti si sono
aggirati attorno ai 500€.
Il meccanismo premiante è a gradini e ogni indicatore partecipa autonomamente alla
formazione del premio che è parametrato in base alla categoria. Dal punto di vista
distributivo non sono previste discriminazioni tra lavoratori dipendenti e somministrati.
Riconoscimento e rappresentanza della diversità
Gli accordi non prendono in considerazioni temi che hanno a che fare con l’appartenenza
di genere o alla condizione di migrante o a specifiche identità culturali e religiose. Le
lavoratrici e i migranti tendono a negoziare autonomamente alcuni aspetti della
prestazione lavorativa: le donne impiegate nella produzione ad esempio cercano di
conciliare i tempi di vita e di lavoro attraverso un uso ampio e disinvolto della malattia, che
sembra essere tollerato dall’azienda. I lavoratori immigrati invece cercano un accordo
direttamente con il titolare per lo più per ottenere ferie più lunghe, permessi e alloggio
negli appartamenti costruiti dal titolare per i lavoratori.
Quale modello di relazioni industriali?
Nel Sacchettificio Nazionale Corazza ormai da molti anni le relazioni industriali
approssimano un modello di tipo partecipativo, ma nella variante subalterna. Emergono
quindi i tratti di una legittimazione comunitaria, criteri di gestione informali e adattivi in un
quadro di flessibilità alle logiche aziendali. Una interpretazione della partecipazione da
parte dell’azienda non tanto come scambio strutturato per conciliare gli interessi delle
parti, anche ripartendo costi e benefici, ma semmai come richiesta diretta ai lavoratori di
una generica disponibilità alla collaborazione. Le relazioni sindacali sia nella forma sia nel
contenuto sono quindi molto povere: da molti anni ormai gli accordi si limitano a definire il
PdR e molto più saltuariamente la flessibilità oraria. La proprietà preferisce una
regolamentazione unilaterale accompagnata da un robusto paternalismo e non sembra
interessata all’innovazione delle relazioni industriali e dello stile di gestione delle relazioni
di impiego. Dall’RSU d’altra parte non emerge la necessità di mettere in discussione il
rapporto esistente, soprattutto perché non ritiene di avere una rappresentatività
sostanziale sufficiente per poter sfidare il titolare. Semmai è probabile che nei prossimi
anni, con il passaggio della guida dell’azienda dall’attuale titolare al figlio, vi sia un
abbandono dello stile paternalistico e l’adozione di un modello di relazioni a costi minimi.
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9. Simeonato Serramenti S.p.a.
La Simeonato Serramenti S.p.a., che opera nel mercato degli infissi interni ed esterni in
legno dal 1962, ha sede, produzione e magazzino a Camposanpiero (PD). Il percorso che
compie dalla sua origine a oggi è comune a molte imprese del Nord Est: nasce come
laboratorio artigianale di falegnameria a conduzione familiare per poi strutturarsi ed
arrivata all’attuale dimensione industriale con uno stabilimento di 25.000 mq. La
Simeonato Serramenti S.p.a. comunque non perde la sua “vocazione familiare” e i ruoli di
vertice dell’impresa (Presidente, Direttore Generale, Vice Direttore Generale della Linea
Porte e della Linea Finestre) sono tuttora ricoperti da membri dalla famiglia Simeonato.
9.1 Mercati, strategie e prodotto
La Simeonato opera prevalentemente nell’area del Triveneto e più sporadicamente in
Lombardia e Piemonte. Se il Nord Italia è quindi l’area geografica in cui il serramentifico si
trova ad operare con più frequenza è soprattutto con il mercato dell’edelizia e
specificatamente nell’ambito della cantieristica edile e con le operazioni relative alla posa
in opera, che l’impresa ha costruito una solida relazione che ha determinato e strutturato,
fino ad oggi, le strategie imprenditoriali.
Nel Triveneto c’è una grossa concentrazione di imprese che operando nel settore dei
serramenti che possono essere considerate dei concorrenti. La ditta di Padova ha cercato
di conseguenza di “scontrarsi con concorrenti della loro portata”. Questo atteggiamento
previdente è da tradursi, in termini di azione, con una serie di politiche tese
all’innalzamento dei termini del confronto piuttosto che a un abbassamento e alla ricerca
di aree privilegiate.
Prima di tutto viene fatta una precisa scelta a livello commerciale che la porta a non
lavorano con i rivenditori, abbracciando invece l’ambito cantieristico (che ha un ricarico
doppio del prodotto). Una delle immediate conseguenza è stata anche quella di poter
evitare di confrontarsi con marchi piuttosto noti del territorio (nonché leader nel settore)
che al contrario lavorano esclusivamente con i rivenditori. Definito l’ambito d’azione la
Simeonato vede come, una sostanziosa fetta dei possibili concorrenti rimasti, avessero
edhanno tuttora un target prodotto-clientela più basso. La Simeonato inizia quindi una
politica tesa a produrre un prodotto di fascia medio-alta che negli anni ‘90 la porterà a
dotarsi di un Sistema Qualità certificato. Posizionandosi in ambiti in cui il livello di prezzo
non determina la propria posizione di mercato a favore di un prodotto che punta sulla
qualità, le ha permesso poi di non doversi scontrare con le grosse cooperative emiliane
che al contrario, potendo lavorare su volumi importanti, hanno strutturato il proprio
vantaggio competitivo proprio su un discorso di prezzo.
Questo percorso ha negli anni definito un modello business to business in cui i maggiori
clienti della Simeonato sono imprese edili, piccole e medio, del Triveneto che vanno dalla
posa in opera del serramento nel cantiere, all’edificazione dell’immobile che conterrà i
serramenti. Il soggetto privato, l’utente finale, incontra la Simeonato solo nel momento in
cui, comprato un immobile sulla carta, può recarsi in ditta per personalizzare il proprio
acquisto definendo le finiture dei serramenti. Usufruendo quindi di un servizio al cliente
finale che passa attraverso il cliente impresa ma che è l’impresa di Camposanpiero ad
erogare compiutamente.
79
Ciò che si è definita negli anni è una vera e propria rete che ha delineato una serie di
strategie.
• Posa in opera. Per quanto praticamente tutte le imprese che operano nel
medesimo settore della Simeonato in generale la offrano, anche in questo caso si
demarca una interessante discontinuità. Le imprese artigiane che collaborano con
loro non sono solamente cresciuti imprenditorialmente attraverso questa relazione,
ma in alcuni casi sono ex dipendenti della Simeonato.
• Assistenza ai clienti finali che permette al cliente impresa di creare un rapporto più
stretto e un rapporto di fiducia con la propria clientela.
• Fidelizzazione delle imprese edili.
Considerando il loro prodotto, in cui gli esterni rappresentano il prodotto di eccellenza e gli
interni gli standard, l’impresa ha anche cercato di differenziare la propria offerta attraverso
prodotti che potesse distinguersi nel mercato: prodotti antieffrazione, migliorie tecniche,
elevando gli standard relativi alla trasmittanza termica, alla resistenza al fuoco, di
risparmio energetico, isolamento acustico. Come si è visto la Simeonato S.p.a. è legata al
mercato immobiliare. Questa relazione funziona sia da vincolo che da opportunità per
l’azienda e la scelta di certificarsi per inserirsi nell’ambito della bioedilizia è da leggersi in
questa ottica. L’impresa è presente nel mercato del Trentino Alto Adige, ma soprattutto
nella provincia di Bolzano, da 25 anni. Il mercato alto atesino ha una “cultura del
serramento” che porta la clientela ad essere molto più attenta a un discorso incentrato
sulla qualità. Questo fa si che se un impresa vuole lavorare in quel tipo di mercato deve
avere una qualità che risponda a determinate esigenze. Un esempio di tale vincolo è dato
dagli appalti per l’istituto di agenzia abitativa che valutano l’offerta un offerta sul prezzo
(50%) e da una serie di requisiti tecnico qualitativi (50%). L’impresa padovana trova
nell’edilizia popolare altoatesina un cliente che compra i prodotti di gamma più alta della
loro offerta.
La Simeonato, comunque a fronte di una continua ricerca di nuove soluzioni non ha un
dipartimento di R&S, ma piuttosto demanda tale ruolo all’ufficio tecnico.
La Simeonato quindi si è trovata a operare in una dimensione proporzionata alla sua
dimensione d’impresa, muovendosi in un territorio delimitato dai confini nazionali e
conosciuto e sfruttando una rete di clienti fidelizzati attraverso anni di relazioni.
Per quanto riguarda le materie prime il legno, sia come materia prima che come semi
lavorato, viene acquistato da una serie di intermediari italiani. L’acquisizione dei materiali
rappresenta uno dei più grossi vincoli per imprese del genere soprattutto per la fluttuazioni
dei mercati. Inizialmente l’impresa utilizzava in maggioranza, come grezzo, per la
produzione un legname proveniente dal Nord America. Un prodotto molto caro e la
fornitura era in mano a un piccolo gruppo di fornitori. Col tempo è stato sostituito con un
legname del Nord Europa e questo per due motivi. Il primo era la possibilità di interagire,
anche finanziariamente, con un mercato europeo. Il secondo è dato dalle politiche
ecologiche degli stati nazionali che producono la materia prima che imponendo che ad
ogni albero tagliato debba essere sostituito un altro albero, in sostanza definiscono un
regime di non scarsità della materia prima. In termini di relazione con il cliente e di rete
locale, in questo passaggio tra l’adozione del legname scandinavo al posto di quello
americano, ha giocato un ruolo strategico la relazione di fiducia costruita con la propria
rete di clienti, che ha facilitato l’adozione dei nuovi standard di prodotto.
La recente crisi del mercato immobiliare con un brusco arresto delle vendite di immobili,
ha costretto la Simeonato S.p.a. a ripensare le proprie strategie di mercato. Per quanto la
politica del prodotto a fascia medio-alta sembra aver pagato sul breve periodo della crisi,
l’impresa cerca un cambio di direzione che punti a cercare come partner commerciali i
rivenditori. Questo percorso, che non era stato seguito prima perché nei fatti sarebbe
80
andato a variare le routine organizzative della produzione, viene intrapreso oggi cercando
di mettere a valore quella rete di clienti-posatori costruita negli anni. Intercettare il mercato
che opera nel dettaglio non affiliando soggetti già presenti ma cercando di creare dei
distributori in quei partner che facevano la messa in opera. Così l’impresa che faceva la
messa in opera avrebbe due clienti: uno, come prima, nella Simeonato, il secondo
nell’utente finale. Mentre la Simeonato ha e avrebbe obiettive difficoltà a gestire il cliente
finale con le sue esigenze, il distributore invece farebbe da vera e propria interfaccia tra il
cliente finale e il serramentificio. Un esempio è dato dall’impossibilità da parte di un
impresa come la Simeonato di offrire un servizio adeguato a quei clienti privati che
avvalendosi delle detrazioni fiscali del 55% sulle riqualificazioni energetiche chiederebbero
la sostituzione delle singole finestre. A quel punto l’impresa fidelizzata gestirebbe sia
l’aspetto logistico che commerciale lasciando al serramentificio solo la produzione.
Questa operazione comporta delle difficoltà oggettive:
• Rivedere la logistica;
• Il flusso di lavoro si frazionerebbe contestualmente al volume dei lotti che
diventerebbero più piccoli;
• Un investimento in termini di macchinari;
• Un cambia generalizzato della struttura organizzativa della produzione;
• Formazione del dipendente:
• Il time to client si comprime.
9.1.2 Produzione, tecnologie e saperi
La Simeonato ha un totale 75 dipendenti di cui 62 in produzione (e di questi 6 in
magazzino) e i restanti 13 lavorano negli uffici (Commerciale, Ufficio tecnico). È
un’impresa che vede in produzione un mondo totalmente maschile e con una certa
presenza di lavoratori immigrati che, pur essendo solamente una decina, per un’impresa di
queste dimensioni sono comunque una presenza visibile rapprsentando 15% dei lavoratori
in produzione. Nell’ambito impiegatizio è invece il lavoro femminile a rappresentare quasi
la metà degli impiegati. A livello di sistemi informativi aldilà delle applicazioni standard
negli uffici, l’impresa sta adottando un sistema ERP per la gestione del rapporto tra cliente
e fornitore, e per quanto abbia valutato anche l’adozione del SAP questa opzioni è stata
scartata perché avrebbe richiesto un adeguamento organizzativo molto importante.
Lo spazio della produzione, all’interno di un unico capannone, è suddiviso in reparti che
seguono le due differenti linee prodotto della Simeonato:
•
•
•
•
•
Lavorazione Infissi Esterni
Lavorazione Infissi Interni.
Finitura Infissi
Reparto Segheria
Magazzino
La produzione è normalmente scandita sul giornaliero, per quanto nei periodi di picchi
della produzione si fa ricorso allo straordinario e in caso ai turni, con commesse che
hanno generalmente tempi medio lunghi di consegna.
Il grezzo, inteso come legno da lavorare, è depositato in un area esterna alla produzione,
mentre i semilavorati sono stoccati nei magazzini. Il grezzo prima di entrare in lavorazione
(Lavorazione Infissi) necessita un passaggio nel reparto segheria.
I reparti addetti alla lavorazione degli infissi sono uno spazio in cui al lavoratore è ancora
richiesta una certa manualità di tipo artigianale legata a una serie di lavori di banco per
81
completare e rifinire a mano il pezzo. Alle persone in produzione è anche demandata la
gestione degli utensili individuali evitando quindi una dotazione di reparto, ed aumentando
l’autonomia dei singoli anche nei piccoli aspetti logistici.
Accanto alle classiche troncatrici, sezionatrici, spessori, seghe a nastro, si trovano anche
banchi CNC. In base, quindi, alla precisione dell’operazione, alla perizia richiesta, e alla
sua serializzazione, i lotti possono essere anche di centinaia di pezzi, corrispondono
diversi passaggi, competenze e soggetti. La rotazione delle mansioni è comunque legato
al proprio reparto, lasciando intendere una ben delineata divisione disciplinare tra le varie
aree della produzione. L’assemblaggio, la parte finale della lavorazione, rimane
un’operazione totalmente manuale.
In questo ambiente, in cui convive un approccio artigiano e umano con macchine a
controllo numerico, il capo reparto, figura anziana e di esperienza che conosce l’ambiente
e le macchine, giornalmente indica che lotti mettere in produzione e individua gli
spostamenti da fare nel processo produttivo definendo nei fatti una figura di coordinatore
della produzione. Figura che, nella mancanza di una linea, nei fatti standardizza e in caso
fluidifica il processo.
Il reparto finitura è quello in cui i prodotti vengono stuccati e verniciati prima
dell’imballaggio e lo stoccaggio nel magazzino. È interessante come quest’ambiente non
abbia un capo reparto, ma risponda direttamente al direttore di produzione. Sancendo nei
fatti un’area in cui gli operai gestiscono autonomamente il flusso produttivo. È necessario
però notare che quest’area della produzione segna una certa discontinuità con i tre reparti
precedenti. L’elemento di discontinuità è dato dal fatto che i prodotti passano attraverso
una linea di produzione dove vengono perfezionati e finiti per poi, in base alla loro
destinazione per esterno o interno, essere completati da robot industriali o proseguiranno
sulla linea. Il prodotto entra su un calibro, è rimessato, levigato e passa sotto i rulli della
tinta. Quindi asciugato e stuccato. Entra nella finitura a velo e poi in un forno. L’intera linea
è seguita da tre persone e il lavoro non chiede una presenza costante su una macchina, in
tal modo gli operatori possono controllarne più di una. Il controllo degli operatori è teso ad
intervenire per eventuali difetti sul legno che poi verniciato potrebbe evidenziarsi, nel
monitorare la finitura a velo o nel visionare l’intero processo. Il lavoratore può quindi
intervenire sulla dosatura della vernice ed è una competenza che viene acquisita sul posto
ed insegnata dai colleghi senza riferimenti precisi da parte dell’organizzazione della
produzione.
In fase finale gli operai possono in base al lotto apportare piccoli lavori di precisione
utilizzano pistole verniciatrici. Ogni lavorazione è costantemente soggetto a revisioni da
parte dell’ufficio tecnico e specialmente nell’ambito della verniciatura c’è una forte
sperimentazione per la resa delle vernici tesa a migliorare il processo. L’autonomia del
reparto quindi emerge nella gestione del lotto.
La logistica legata alla spedizione dei materiali ai clienti è sempre una funzione interna alla
Simeonato e gestita dal magazzino e svolta con mezzi propri. L’elemento esterno alla
produzione è rappresentato dalle squadre esterne di lavoratori autonomi che fanno la
posa in opera garantendo la sinergia tra cantiere e produzione che è alla base
dell’architettura organizzativa della produzione nella Simeonato.
Vantaggi competitivi della Simeonato Serramenti S.p.a.:
• Rete di clienti fidelizzati;
• Servizi al cliente;
82
9.2 RSU della Simeonato Serramenti
9.2.1 La rappresentatività
La RSU all’interno dell’azienda si costituisce nel 1998, a seguito dell’ingresso del
sindacato. Per l’azienda non era il primo confronto con le organizzazioni dei lavoratori; a
metà degli anni ’70, quando era ancora una piccola azienda, si formò una presenza
sindacale. Il sistema di relazioni sindacali conflittuali che si determinò portò tuttavia verso
alla fine del decennio alla “estromissione” delle organizzazioni. Il rientro avvenne verso la
fine degli anni ’90 sull’onda della richiesta della contrattazione integrativa. L’ingresso non
fu facile, in quanto all’inizio la proprietà cercò di ostacolare questo processo: dopo una
serie di pressioni da parte delle strutture esterne e di mobilitazione interna fu possibile
l’ingresso fisico dei funzionari di categoria di Cgil e Cisl.
Questo comportò un aumento degli iscritti che ad oggi sono circa 40: ossia più del 50%
dei dipendenti e quasi il 65% se non si considerano gli uffici, dove le due sigle non sono
presenti e dove si ferma la rappresentatività sostanziale dei delegati.
La RSU è stata eletta nel 1998 e da quel momento la sua composizione non è mutata.
Emerge infatti una bassa disponibilità ad assumersi il ruolo di delegato. Ciononostante alle
elezioni hanno partecipato 60 dipendenti e il numero dei partecipanti alle assemblee è lo
stesso ed è per lo più costante. La legittimazione, da parte di una buona fetta del corpo
operaio è sostanziale, nel senso che si rivolgono ai rappresentanti per la tutela di interessi
collettivi ed individuali. Sembra emergere quindi una dinamica tipica di una cultura
deferente in cui i lavoratori avvertono la convenienza ad avere un rappresentante, ma non
sono disponibili a candidarsi. Infatti, per più dieci anni delegati sono stati gli stessi e le
elezioni avvenute a mandato ampiamente scaduto.
La RSU è composta da 3 delegati operai, maschi, italiani. La componente femminile non è
rappresentata, ma le donne in azienda sono solo 5 e tutte impiegate. Diverso è il caso
degli immigrati, una decina, che invece sono tutti i produzione. Per quanto riguarda l’età,
l’organo rispecchia quella dei lavoratori. Dal punto di vista dell’appartenenza sindacale 1 è
legato alla Cgil e 2 alla Cisl. Tuttavia per molto tempo l’RSU ha funzionato con solo due
membri per via delle dimissioni di un delegato della Cisl, La nuova elezione, avvenuta
qualche mese fa, ha rinnovato l’organismo facendo entrare un nuovo lavoratore.
9.2.2 L’esercizio della funzione di rappresentanza
La RSU è strutturalmente piccola e quindi l’organismo funziona in modo decisamente
informale, gli incontri tra delegati non sono frequenti e le decisioni sono prese
consensualmente. I rapporti tra le due anime sono a volte difficoltose e questo è percepito
anche dalla proprietà; tuttavia questo non ha mai avuto ricadute sulla contrattazione e in
generale sulle relazioni industriali. La RSU non si pone degli obiettivi espliciti, sebbene
sembra concepire come prioritario l’aspetto economico.
Anche il confronto con i lavoratori è decisamente informale e centrato sulla comunicazione
diretta. Attraverso questo canale normalmente i lavoratori portano le loro richieste ai
delegati prima di ogni incontro con l’azienda. Oltre all’assemblea, indetta ogni due o tre
mesi e fortemente partecipata dagli operai, non vi sono altri canali formali di
comunicazione. Gli impiegati non si fanno rappresentare dalla RSU, tuttavia i delegati
hanno cercato di ottenere il loro riconoscimento.
Il rapporto con il sindacato esterno è saltuario, ma positivo. Inoltre è fondamentale, perché
i funzionari esterni svolgono una funzione di supplenza: i delegati hanno infatti una scarsa
83
autonomia che si riduce per lo più alla richiesta di dispositivi antinfortunistici e alla gestione
del piano ferie.
I delegati partecipano raramente a dei corsi di formazione, e perciò non c’è stato un
impatto significativo sulle loro competenze, al punto che si sentono deboli anche
nell’erogazione di alcuni servizi di base come la lettura delle buste paga.
Nell’esercizio della sua funzione la RSU dispone di una discreta forza potenziale sia come
numero di iscritti sia come seguito, ma per ora non è mai stata espressa né minacciata.
Non dispone di una grande agibilità interna in quanto l’azienda non ha concesso nessuno
strumento per lo svolgimento del ruolo; se ne hanno bisogno i delegati posso tuttavia fare
delle fotocopie. La RSU non sembra comunque particolarmente interessata ad aumentare
la propria agibilità.
I delegati dispongono di buone conoscenze sul processo produttivo e l’ambiente di lavoro.
Sufficienti sono invece quelle relative alle strategie aziendali e ai diritti contrattuali e
legislativi dei lavoratori, mentre scarse sono quelle relative al mercato dei prodotti e al
bilancio aziendale. Le conoscenze di cui dispongono sono frutto degli anni di lavoro in
un’organizzazione produttiva piccola e semplice. l’andamento dell’azienda è monitorato
facilmente attraverso il numero di ordini che arrivano in produzione.
L’atteggiamento verso la controparte è di tipo partecipativo e il conflitto è considerato non
necessario, in un quadro in cui la RSU sembra ricavarsi un ruolo di semplice
testimonianza.
9.2.3 Il sistema di relazioni sindacali
Lo stile di gestione delle relazioni sindacali e del personale è basato su una visione
unitaria, organicistica dell’azienda, per cui tutte gli attori collettivi e individuali devono
contribuire positivamente al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Nelle relazioni di
lavoro questa visione si trasforma in un atteggiamento aperto verso le esigenze dei
lavoratori e informale, con una forte attenzione all’ambiente di lavoro e alla sicurezza. Il
riconoscimento della rappresentanza collettiva è ormai accettato, nonostante l’opposizione
iniziale, ma limitato alla componente operaia. Inoltre, sembrano esistere visioni differenti
all’interno della famiglia proprietaria dell’azienda circa il tipo di riconoscimento e lo stile di
relazioni sindacali, con una parte più propensa ad un confronto aperto e dialogante.
L’investimento i termini di risorse dedicate alle relazioni industriali e alla gestione del
personale è minimo, anche perché si tratta di una piccola media-impresa che non ha
avuto una forte specializzazione funzionale al vertice. Esiste una gestione unicamente
amministrativa del personale: la selezione è fatta da uno dei soci che è anche la
controparte negoziale. I criteri di assunzione sono quelli tradizionali, in particolare
l’ingresso passa attraverso la segnalazione di amici o parenti da parte dei dipendenti.
L’azienda è abbastanza aperta a condividere le informazioni circa l’andamento
dell’azienda, le prospettive e la strategia dell’azienda, ciononostante non concede la
visione dei dati di bilancio. L’azienda non sembra particolarmente interessata ad allargare
lo spettro delle materie oggetto di negoziane e si limita agli istituti tradizionali, salvo fare
accordi su questioni specifiche, come la flessibilità, qualora ne senta la necessità. In
materia di inquadramento, nonostante un impegno formale alla verifica e alla condivisione
dei passaggi di categoria, l’impresa tende ad avere un atteggiamento elusivo.
In sintesi la negoziazione sembra avere per l’azienda un obiettivo di adattamento alle
condizioni operative che di volta in volta si presentano, in una situazione nella quale la
gestione unilaterale di alcune questioni non è più così semplice e comunque resa
impraticabile dalla presenza del sindacato.
84
Il confronto avviene ogni due o tre mesi; non esistono procedure codificate nè
commissioni. Le relazioni sono ancora molto informali e questo favorisce gli
accomodamenti verbali. Gli accordi scritti sono solo quelli integrativi e quelli che
riguardano questioni che incidono fortemente sulla prestazione lavorativa (Cig,
introduzione temporanea dei turni). Come si è gia detto la portata degli accordi è piuttosto
ridotta: i temi trattati dalla contrattazione integrativa sono sostanzialmente quelli
economici, ossia il PdR e l’inserimento di scatti di anzianità. Esiste anche una clausola
relativa ai diritti di informazione, ma non introduce procedure formali. Il tema
dell’inquadramento è frequentemente eluso e la clausola sull’orario si limita a prevedere
l’esigenza di calendarizzare il programma di ferie.
Analisi degli esiti negoziali:
Flessibilità
La Simeonato gestisce la flessibilità per lo più unilateralmente attraverso lo straordinario e
il lavoro somministrato. Nel 2004, in presenza di un mercato immobiliare in forte
espansione, la domanda di serramenti è stata tale da decidere di ampliare l’utilizzo degli
impianti distendendo la produzione su due turni. In questo caso la flessibilità dei lavoratori
è stata scambiata dalla RSU con delle maggiorazioni ulteriori a quelle contrattuali e con
una banca ore facoltativa.
La crisi attuale del mercato delle costruzioni ha invece determinato il ricorso alla Cig.
Non esistono forme di flessibilità funzionale, se non una generica polivalenza all’interno di
ciascun reparto, frutto della gerarchia morbida e della semplicità dell’organizzazione e non
di scelte precise di arricchimento e all’allargamento della professionalità dei lavoratori.
Elementi retributivi
La voce centrale del contratto integrativo è il PdR, costruito per raggiungere due obiettivi,
uno di qualità e uno di produttività. Il primo si basa su due parametri: la riduzione delle non
conformità riscontrate durante la produzione e la diminuzione delle non conformità
esterne. L’indicatore di produttività è dato dal numero di pezzi per ora. Il premio è dato
dalla somma dei risultati dei due parametri: quello legato alla qualità prevede degli importi
fissi all’interno di alcune fasce di variazione delle non conformità. E all’interno di queste
degli importi aggiuntivi per ogni diminuzione. Il secondo prevede una serie livelli di
incremento della produttività: nel passaggio da uno a quello superiore sono previsti
crescenti per ogni punto di aumento.
Gli importi massimi potenzialmente erogabili dall’azienda sono piuttosto alti, 600€ per il
parametro di qualità e 1500€ per quello di produttività (fino al 2008 erano 387€ e 1300€),
però non è previsto alcun zoccolo minimo garantito.
Relativamente ai meccanismi distributivi, l’erogazione avviene in due tranche e riguarda
tutti i lavoratori, anche quelli con contratti atipici.
Nonostante i valori massimi raggiungibili, e il loro incremento contrattuale, l’importo
effettivo negli anni della forte crescita economica si è aggirato attorno ai 1000€ per poi
ridursi drasticamente con la crisi (circa 300€). Questo è dipeso dalla sensibilità alla
produzione del meccanismo premiante e da un obiettivo di riduzione delle conformità
molto alto. La base di partenza infatti è già il frutto di un importante aumento di qualità (si
è passati da 70 a 30 non conformità nel periodo che va dal 1996 al 1999) e ulteriori
riduzioni significative sono molto difficili.
Questi bassi importi hanno creato malumori tra i lavoratori e la RSU ha richiesto
all’azienda una revisione degli indicatori.
L’altra voce retributiva riguarda l’anzianità: la professionalità dei lavoratori più anziani è
stata riconosciuta contrattualmente attraverso l’attribuzioni di scatti di anzianità a tutti i
lavoratori che hanno superato il 20° e il 12° anno di servizio in azienda.
85
Entrambe le parti confermano che i superminimi individuali sono presenti in misura molto
limitata:
l’azienda sostiene che la struttura produttiva odierna e il numero delle persone non
permettono più una gestione individualizzata dei rapporti di lavori.
Riconoscimento e rappresentanza della diversità
Non c’è traccia negli accordi di un riconoscimento delle diversità connesse al genere, alla
condizione di migrante o all’appartenenza culturale-religiosa. Per quanto riguarda le donne
questo può essere comprensibile alla luce di una presenza esigua e confinata in un area
in cui non si estende la rappresentanza collettiva. Diversa è la situazione nel caso dei
lavoratori immigrati, che sono più numerosi e concentrati nell’area produttiva.
Da questo punto di vista, eventuali necessità o problemi particolari sono negoziati
informalmente e individualmente dai lavoratori con la proprietà.
Quale modello di relazioni industriali?
In Simeonato esiste un modello di relazioni industriali di tipo partecipativo, ma nella
variante tipica delle piccole imprese. Emergono quindi i tratti di una legittimazione
comunitaria, criteri di gestione informali e adattivi in un quadro di flessibilità alle logiche
aziendali. Una interpretazione della partecipazione da parte dell’azienda non tanto come
scambio strutturato per conciliare gli interessi delle parti, anche ripartendo costi e benefici,
ma semmai come richiesta di una generica disponibilità alla collaborazione.
Le relazioni sindacali sia nella forma sia nel contenuto sono quindi povere. All’interno di
questo quadro l’azienda non sembra interessata all’innovazione in quanto sembra
soddisfatta del loro livello di efficienza. Nemmeno l’RSU esprime la necessità di mettere in
discussione il rapporto esistente, anche se è sempre più presente la richiesta di rivedere lo
scambio retributivo (PdR troppo basso, coinvolgimento nel passaggio di categoria).
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10. Zf
Quella che attualmente è la Zf di Padova nasce nel 1912 come la tipica azienda locale e
padronale con il nome di Monteverdi. Azienda metalmeccanica che si occupava di
lavorazioni meccaniche orientate alla produzione di ingranaggi legati al mondo dei sistemi
di trasporto.
Viene quindi acquistata dal Gruppo Zf con sede in Germania. Un Gruppo che conta un
totale di 50.000 dipendenti, con sedi in 70 paesi e con un fatturato che supera i
10.000.000.000 di euro. Il Gruppo, fondato nel 1929, è oggi una fondazione cosa che ha
marcato profondamente la cultura aziendale dell’impresa, affiancando a una visione
naturalmente incentrata sul business anche una forte sensibilità al ruolo che le parti sociali
presenti nelle varie imprese del Gruppo possono avere nella definizione degli obiettivi e
nella governance dei luoghi di lavoro.
Il Gruppo ha sviluppato il suo business all’interno del mondo dell’automotiv sviluppando
diverse divisioni e business unit:
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•
Car Driveline Technology;
Car Chassis Technology;
Commercial Vehicle and Special Driveline Technology;
Off-Road Driveline Technology and Axle Systems;
Powertrain and Suspension Components;
Rubber-Metal Technology;
Marine Propulsion Systems;
Aviation Technology;
Electronic Components;
Services;
ZF Lenksysteme GmbH;
Il Gruppo si è mosso inizialmente producendo componentistica per Gruppi e imprese che
costruiscono e commercializzano auto, camion, macchine di movimentazione terra, trattori
e poi si è inserito in altre aree come quella della divisione della Zf Padova: la divisione
marina.
Se il gruppo conta nel suo complesso 50.000 dipendenti, la divisione marina è quella più
piccola con 1500 dipendenti. Il rapporto tra Gruppo e divisione è fortemente orientato
all’autonomia. Il Gruppo detta le linee guida per scelte strategiche come acquisizioni e
ridimensionamenti e scelte di modelli produttivi, ma delega alla singola divisioni come
sviluppare il proprio business e come raggiungere risultati stabiliti, demandando nei fatti
l’intero comparto operativo alla singola impresa. La Zf Padova si occupa di ingranaggeria
legata all’automotiv nel senso più generico e di trasmissioni marine, quindi di lavorazioni
meccaniche e completamento finale di un prodotto inteso come assemblaggio delle
lavorazioni a prodotto finito.
10.1 Mercati, strategie e prodotto
La Zf Padova produce sistemi e componentistica - invertitori meccanici e componentistica
elettronica - per tutto ciò che riguarda il mondo della nautica escluso l’ambito croceristico.
L’ingranaggeria, il settore che storicamente caratterizza il sito produttivo padovana da
prima che fosse acquisito dal gruppo, è da considerare un’area della produzione sotto
certi punti di vista secondaria. Innanzitutto, non considerando il lavoro per ciò che viene
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fatto per i prodotti sviluppati all’interno dell’impresa e che fanno riferimento al marino, i
clienti dell’ingranaggeria sono diversi - gruppi e imprese - ed operano in differenti ed
eterogenei settori. Questo settore produttivo ha perso nel tempo di importanza per la Zf
Padova. Questo perché l’ingranaggio in sé è un prodotto che pur mantenedo un livello
qualitativo molto alto rimane un elemento sotto certi punti di vista abbastanza semplice da
riprodurre, quindi non concorrenziale rispetto a medesimi prodotti che provengono da
economie emergenti come quella cinese in cui la variabile del prezzo assume un peso
notevole. Al venir meno di una giustificazione in termini di costi e di profitti gli sviluppi in
tale settore sono stati rallentati. Per quanto negli scorsi anni si sia pensato a un progetto
che lo potesse rilanciare orientandosi al mondo delle energie rinnovabili e quindi a una
tipologia di ingranaggeria finalizzata al funzionamento di sistemi eolici, una decisa
contrazione del mercato ha poi costretto l’impresa a ripensare a questa decisione.
La concentrazione degli sforzi produttivi della Zf - il suo core business - si è incentrato
sulla porzione di mercato detta di pleasure craft . Il mercato delle imbarcazioni -di lusso
destinate ad essere vendute ad un pubblico di privati. In questo settore la Zf è un’impresa
leader assicurandosene quasi il 70%. Un mercato saturo in cui la Zf ha già raggiunto il suo
massimo in termini di espansione e pervasività. Fatto che ha spinto il Gruppo a individuare
nuove possibilità di espansione nel commercial.
La Zf occupa attualmente il 40% del mercato del commercial craft e la Zf Padova produce
gli invertitori marini da montare su barche da lavoro (petroliere, trasporto merci, etc.).
L’impresa è impegnata in uno sviluppo deciso in questo settore a fronte del fatto che il
mercato del commercial craft ha avuto negli anni un grande sviluppo. Non tanto nell’area
europea dove la produzione nei cantieri di queste barche si è notevolmente ridotta, quanto
nell’area asiatica.
Il mercato del commercial è caratterizzato da pochi player e molto grandi. È un settore
piuttosto sicuro in cui è difficile che entrino nuovi produttori o che emergano all’oggi aree
geografiche in cui questa tipologia di business possa ripartire definendolo nei fatti un
mercato maturo.
L’accesso per l’impresa padovana è stato possibile tramite la messa in valore
dell’esperienza e competenza - produttiva e manageriale - già maturata nel settore navale
del pleasure. In più un secondo fattore che ha fatto da facilitatore è stata l’alta qualità degli
standard produttivi dell’impresa. Infatti il mercato marittimo commerciale chiede un
prodotto altamente affidabile. Ciò è legato all’ambito di utilizzo: petroliere e cargo
impegnate in navigazioni in alto mare e su tutto il globo.
Il trasporto marittimo imponendo forti penali agli armatori per eventuali ritardi definisce uno
standard qualitativo anche per i produttori. L’armatore necessita di prodotti pronti sul posto
e con una performance, anche in termini di durata nel tempo, moto alta. A questo deve,
necessariamente, collegarsi un sistema di assistenza immediato ed efficiente. La capacità
produttiva diventa allora solo uno degli aspetti che permette di entrare in questo mercato.
I competitor della Zf sono in prima battuta i leader del settore che necessariamente sono
presi a modello e con cui si ha cercato di costruire anche delle collaborazioni e partnership
assumendo il ruolo di terzista. Poi ci sono una serie di produttori più piccoli, in posizione
subordinata, che non permettendosi un servizio o una competenza come quella della
divisione padovano operano strategie di mercato giocate sul prezzo, ma che a medio
termine, secondo la dirigenza padovana, è una strategia che non gli permette un
sorpasso.
Un business, quello del commercial, che negli anni è cresciuto molto ma che
paradossalmente non ha visto seguire una crescita di mano d’opera nello stabilimento
padovano che è rimasta stabile. In quanto il Gruppo ha distinto due diverse priorità:
• la necessità di stare vicino ai mercati di sbocco, quindi alla Cina aprendo impianti
produttivi in loco;
88
• potenziare tutte quelle attività strategicamente centrali e non direttamente
produttive come la vendita, l’assistenza clienti, la progettazione e il servizio tecnico.
Di questo secondo aspetto la divisione di Padova ne ha fortemente beneficiato
assumendosi tutte queste funzioni.
Sia per l’area pleasure craft che per quella commercial craft sono attivi dei service col
compito di seguire i clienti a livello mondiale. È importante notare come l’assistenza
tecnica sia chiamata a intervenire “dove la nave è ferma” per intervenire con riparazioni o,
da Padova, gestire la spedizione e quindi l’aspetto logistico delle parti di ricambio. Questo
fattore di intervento e gestione dell’imprevisto è l’argine su cui si costruisce una relazione
con il cliente solida. Farla mancare significa rompere o incrinare un rapporto commerciale.
La centralità di questa funzione è riscontrabile dal fatto che anche con l’inizio della cassa
integrazione i dipendenti impegnati nel service non sono stati coinvolti.
Un discorso analogo, anche rispetto alla cassa integrazione, è possibile per l’area di
ricerca e sviluppo che è formata da circa 20 persone. Il rapporto col cliente è giostrato
intorno alla possibilità di interventi mirati e customizzati in funzione delle tipologie e modelli
che devono produrre. Quindi i tecnici lavorano spesso in sinergia e all’interno dei cantieri
oppure si utilizza un’area della produzione definita sala prove per testare nuove soluzioni.
Sempre rispetto al rapporto con il cliente per la Zf Padova un ruolo molto importante è
giocato dal marchio e la sua reputazione, che funziona anche da facilitatore per entrare in
nuovi mercati.
10.1.2 Produzione, tecnologie e saperi
La Zf ha un totale di 347 dipendenti. Di questi 120 sono operai. La componente femminile,
con 40 dipendenti, è minoritaria e concentrata nell’area impiegatizia. Un discorso simile
vale anche per i lavoratori immigrati che sono concentrati in produzione e sono solo una
ventina.
La ZF Padova ha registrato alcuni anni fa un avvicendamento nella dirigenza che si
rispecchia nella scelta di spingere il riordino della produzione in termini di lean
manufactoring in vista di un miglioramento globale in termini di tempi e un abbassamento
degli sprechi.
L’implementazione della lean è avvenuta attraverso il diretto coinvolgimento degli
operatori questo ha fatto si che il processo si declinasse in modo differente a seconda
delle aree e dei macchinari impiegati. È da considerare che la dirigenza precedente aveva
scartato il sistema lean, dopo un’analisi sul campo, perché, visto il numero di lotti da
produrre, non sembrava che una metodologia che punta fortemente ad aumentare il
volume produttivo potesse essere adatta alla domanda a cui la Zf doveva rispondere.
L’area produttiva della Zf può essere divisa tra officina e montaggio. Nell’officina oltre a
costruire gli ingranaggi e i semi lavorati per i prodotti nautici della Zf e gli ingranaggi
destinati a clienti esterni si procede alla rettifica dei pezzi e alla lavorazione nei forni.
L’officina è organizzata secondo isole (isole alberi, isole campane o ingranaggi, isole
rettifica) che sviluppano un prodotto dall’inizio alla fine. Gli operatori lavorano soprattutto
con macchine a controllo numerico a cui sono affiancati torni manuali utilizzati per
lavorazioni più particolari. Per quanto un banco CNC definisca un rapporto tra operatore e
macchina definibile in termini di imperativo tecnologico, ossia alla macchina è demandata
la lavorazione e l’operatore in qualche modo ne dipende e la supporta attrezzandola, si
poteva comunque, fino a qualche tempo fa, riscontare una certa autonomia. Questa era
riconducibile alla possibilità per il singolo operatore di programmare autonomamente la
propria macchina allargando così il suo bagaglio professionale. L’impresa ha preferito
impostare un sistema centralizzato dal quale, tramite terminali, gli operatori richiamino al
89
momento dell’inizio della lavorazione il programma. Questo scelta chiaramente porta ad
una razionalizzazione dei tempi e una maggiore standardizzazione delle procedure, però
ha comportato anche una quantità di “errori” in fase di lavorazione più alta in quanto
l’operatore non può intervenire e interagire con la macchine senza un intervento
specialistico dei programmatori e dell’ufficio tecnico e soprattutto la perdita da parte degli
operatori di “una conoscenza più completa”.
In officina si è scelto di non leanizzare completamente il processo soprattutto in relazione
alle problematiche legate ai lotti in termini di quantità di prodotti, di tipologia di prodotto e
mix di questi e per la gestione degli stock. L’officina lavora su lotti piuttosto consistenti di
100-200 pezzi per clienti esterni che chiedono ingranaggeria sciolta oppure per prodotti
finiti interni. L’adozione di un sistema lean orientato al just in time richiede infatti una
revisione dei lotti riducendoli - si lavora infatti senza magazzino e per ciò che deve essere
prodotto- in più un lotto può comprende differenti tipologie di prodotto. A questo si
sommano le difficoltà legate al set up delle macchine. Queste variabili hanno definito un
regime misto che con accorgimenti tecnici legati a un sistema di attrezzature rapide delle
macchine permetteva, con il cambio di alcuni particolari del set up della macchina, di fare
pezzi differenti ma sempre della stessa famiglia e con materiali omogenei.
Un secondo cambiamento organizzativo legato all’officina che l’impresa sta valutando
sarebbe un abbandono delle isole a favore del flusso - che in pratica sarebbe un ritorno
alla metodologia applicata precedente a quella delle isole - che premetterebbe una
lavorazione di prodotti eterogenei.
Il cambiamento organizzativo si è quindi focalizzato sull’assemblaggio e il montaggio. Pur
mantenendo un organizzazione per isole queste sono state riviste in un ottica che
abbraccia pienamente il just in time e la metodologia del kaizen e del just in time.
Il montaggio compone dei prodotti finiti. Prima dell’introduzione della lean la realizzazione
di un prodotto veniva gestito in tutte le sue parti autonomamente dalle isole organizzate in
team con un team leader per ogni gruppo. Il prodotto usciva dalla Zf dopo un percorso
tradizionale di magazzino, isola, collaudi e imballaggi.
Lavorare con il just in time e con il kaizen significa far rimanere l’isola ma adattarla alla
fungibilità di ogni prodotto in termini di approvvigionamento, flussi e gestione magazzino.
Cambiando un piccolo componente dell’isola la si potenzia e la si rende adattabile ai
bisogni della produzione - sistema modulare - equilibrando la produzione e riempiendo
eventuali vuoti arrivando all’idea di un collaudo e imballaggio in linea.
Il cambiamento più deciso che ha portato un certo disorientamento riguarda il magazzino
e la sua gestione. Se per l’officina la gestione degli stockè rimasta pressoché invariata, per
quanto riguarda il montaggio questo viene sostituito con un “super mercato” retto da un
principio per cui è il bisogno diretto e visivo che gli operatori hanno rispetto alla produzione
da svolgere nell’isola a definire l’approviggionamento.
Le scelte di design organizzativo della Zf sembrano quindi improntate sull’idea che la
variabile del confronto competitivo dell’impresa si giochi all’interno della capacità di
rispondere in modo flessibile e rapido al mercato per quanto questa “velocità” con l’attuale
crisi non sia ancora entrata a regime.
Vantaggi competitivi della Zf Padova:
• Qualità del prodotto
• Servizio al cliente
• Fare parte di un grande gruppo con un marchio riconosciuto
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10.2 RSU della Zf
10.2.1 La rappresentatività
In Zf il sindacato è insediato da decine di anni. Alle elezioni della RSU partecipa
stabilmente circa il 90% dei dipendenti, ossia tutti i lavoratori della produzione e gran parte
degli impiegati o dei tecnici degli uffici. La RSU è formalmente composta da 12 membri,
ma ad oggi, a seguito di una procedura di mobilità, hanno perso alcuni delegati.
Dal punto di vista della composizione sociale l’organo di rappresentanza ha un profilo
“tradizionale”: i membri sono tutti uomini, italiani e con un’anzianità piuttosto significativa.
Infatti, 8 delegati hanno un’età compresa tra i 40 e 50 anni e 4 hanno più di 50 anni.
Maggiore è il rispecchiamento delle diverse professionalità e la capacità di presidiare le
diverse aree aziendali. Vi sono 3 impiegati e i 9 delegati della produzione sono ben
distribuiti tra i diversi reparti.
La rappresentatività della RSU è sostanziale e uniforme: quasi tutti i lavoratori, compresi i
tecnici e alcune alte professionalità, partecipano alle assemblee, partecipano agli scioperi
aziendali e fanno riferimento sempre ai delegati per la tutela dei loro interessi.
Dal punto di vista della appartenenza associativa 5 sono legati alla Fiom, 5 alla Fim, 1 alla
Uilm e uno all’Ugl
Come emerge anche dall’età dei delegati anche in questa azienda, dove la partecipazione
dei lavoratori alla vita aziendale è molto alta e più del 70% dei dipendenti è iscritto ad un
sindacato, la disponibilità ad impegnarsi nella rappresentanza è piuttosto limitata e questo
fa sì che diversi delegati abbiano più di tre mandati.
10.2.2 L’esercizio della funzione di rappresentanza
La rappresentanza sindacale ha sviluppato nel tempo una serie di convenzioni relative al
suo funzionamento: esiste una divisione non formalizzata e flessibile dei compiti, alcuni
delegati seguono alcune materie o partecipano ai gruppi ad hoc creati per il confronto su
alcuni temi, tuttavia vi è sempre una condivisione delle questioni che vengono discusse
collegialmente. Nelle riunioni formali che avvengono molto frequentemente, almeno una
volta alla settimana, si discute un ordine del giorno predefinito e in caso si debbano
prendere delle decisioni l’obiettivo e il consenso di tutti i membri, in quanto le decisioni a
maggioranza vengono percepite come instabili. I rapporti tra le diverse anime sindacali
sono buone, o meglio le relazioni tra Fiom e Fim, visto i delegati della Uil e dell’Ugl non
esercitano il loro ruolo. L’approccio è unitario per quanto riguarda le relazioni industriali in
azienda e la competizione intersindacale è inesistente.
Il confronto con i lavoratori è frequente e molto intenso. L’assemblea è indetta una volta al
mese, e a questa si affiancano gli altri strumenti “tradizionali”, come il volantinaggio e la
produzione e diffusione di documenti. L’assemblea è il luogo dove la RSU riporta le
questioni oggetto di confronto con la direzione, presenta le proprie posizioni e chiede
l’approvazione dei lavoratori. Nonostante la forte legittimazione della RSU, il carisma e la
preparazione dei suoi membri, essa ha in alcuni casi dovuto rivedere le proprie posizioni in
seguito alla disapprovazione dell’assemblea. Anche il referendum è uno strumento molto
utilizzato. Esiste poi la comunicazione informale, che in produzione è quotidiana: ogni
giorno avvengono miniassemblee nei reparti, dalle quali possono emergere delle questioni
che dopo un processo di astrazione e generalizzazione vengono trasformate in oggetti di
discussione con la controparte.
Il rapporto con il sindacato esterno è buono, anche se non frequente. La RSU ha un
amplissima autonomia gestionale, quindi i funzionari non intervengono nel sistema interno
di relazioni sindacali. La loro presenza in azienda si ha qualora si debba discutere di
91
questioni politiche di un certo rilievo. Il rapporto con le altre rappresentanze del gruppo
avviene principalmente attraverso il Cae, al quale partecipa anche un delegato di Padova.
La rappresentanza della Zf dispone di molte risorse per svolgere in maniera efficace il suo
ruolo. Innanzitutto, dispone di una forza consistente e non solo in termini di iscritti, ma
anche e soprattutto quanto a capacità di mobilitare i lavoratori nei momenti in cui si
misurano i rapporti di forza. Ciononostante, i lavoratori sembrano seguire l’RSU quasi
esclusivamente negli scioperi aziendali e unitari, molto meno in quelli di categoria e
separati.
L’RSU dispone inoltre di ottime conoscenze sul processo e sui prodotti e molto buone per
quanto riguarda la struttura dei mercati di riferimento, le strategie aziendali e lo stato
economico e finanziario. Inoltre, è in grado di valutare per sommi capi l’incidenza
economica delle proprie rivendicazioni e azioni nonché delle scelte organizzative
dell’azienda. I delegati complessivamente dispongono inoltre di ottime competenze
tecniche per svolgere il loro ruolo.
La formazione dei delegati è passata solo in parte attraverso i canali sindacali, anche se
alcuni delegati sembrano aver usufruito di tutte le opportunità chi sono state loro offerte.
Fondamentali sono state invece l’autoformazione individuale e la trasmissione, in
particolare di competenze tecniche, da parte dei delegati più anziani.
La RSU ha uno stile di relazioni industriali di tipo competitivo orientato alla
codeterminazione. L’atteggiamento verso il management si basa sulla distinzione di ruolo
e responsabilità tra le parti, in un quadro di condivisione degli obiettivi di efficienza e di
qualità dell’azienda, ma anche di consapevolezza del ruolo del lavoro e della sua
professionalità sia nel processo di valorizzazione sia in quello di innovazione e
miglioramento continuo, nonché delle finalità sociali del gruppo. La RSU pretende quindi di
discutere e negoziare tutti gli aspetti del processo produttivo e del governo della forza
lavoro e di essere consultata sulle scelte strategiche dell’azienda. L’orientamento
contrattuale è di tipo acquisitivo, con una forte propensione all’innovazione dei contenuti,
ma aperto allo scambio a somma positiva. Lo sciopero è concepito come uno strumento
indispensabile per dimostrare il controllo sull’erogazione della forza lavoro e quindi per
cercare di sbloccare una vertenza che la negoziazione non è stata in grado di gestire.
Tuttavia, il conflitto è esercitato responsabilmente e con la consapevolezza del danno che
si andrà a produrre. Infine, dai comportamenti dei delegati emerge la cura di una certa
ritualità nel esercizio della rappresentanza e nelle procedure di confronto con la
controparte.
10.2.3 Il sistema di relazioni sindacali presente in azienda
Non si può comprendere il sistema di relazioni industriali se non si parte dalla proprietà del
gruppo e dai suoi obiettivi. La Fondazione Zf oltre al lucro, ricerca infatti l’incremento
dell’occupazione nei luoghi dove si insedia, la valorizzazione dei lavoratori, l’attenzione al
loro benessere e la costruzione di rapporti con le rappresentanze dei dipendenti centrati
sulla democrazia industriale. A livello centrale, tale politica si sostanzia non solo nel
trasferimento di informazioni al Cae, ma anche nella sua consultazione quando si tratta di
decisioni strategiche. Inoltre, il gruppo spinge affinché tutte le divisioni e singole aziende si
orientino verso questo tipo di politica.
Il vertice detta le linee generali, ma lascia ampia autonomia nello sviluppo dei propri affari
e nell’operatività interna.
La conoscenza della proprietà e della sua politica permette di comprendere meglio il
sistema di relazioni industriali presente nella divisione Marine di Padova.
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Un sistema che sta subendo una serie di riaggiustamenti, per ora al margine, ma che
potrebbero portare nei prossimi anni ad una sua più profonda trasformazione.
Fino al 2007 infatti la dirigenza aveva impostato con la RSU un rapporto di
codeterminazione di fatto su ogni aspetto dell’organizzazione e della prestazione
lavorativa: dalla formazione all’inserimento di nuove logiche di produzione, passando per
la costruzione di un sistema preciso di valutazione della professionalità dei lavoratori
sostanzialmente controllato dalla RSU, che permette di passare di categoria o avere
aumenti retributivi. Il confronto inoltre era proceduralizzato e le informazioni, anche quelle
più strategiche erano trasferite con solerzia.
Il nuovo management, in parte proveniente da esperienze dirigenziali in importanti aziende
multinazionali americane, ha invece da subito cercato di istaurare un nuovo rapporto,
esplicitamente basato su un riequilibrio dei rapporti, considerato troppo sbilanciati, il
ripristino di alcune prerogative aziendali e quindi il ridimensionamento del ruolo della RSU.
La concretizzazione di questa politica ha comportato ad esempio l’allentamento di alcune
procedure consolidate, come l’audit settimanale - nel quale un delegato incaricato
richiedeva informazioni circa l’organizzazione del lavoro, l’andamento delle commesse ed
eventuali problemi - e una più generale selezione delle informazioni trasmesse alla RSU.
Vi è stato poi un ridimensionamento del concetto di formazione (e dei piani formativi) che
da una visione ampia in grado di comprendere la crescita culturale dei dipendenti, è
diventato qualifica o riqualifica professionale. La modalità negoziale della dirigenza è
diventata più elusiva e dilatatoria, anche in presenza di accordo sostanziale tra le parti e
ha sfidato ad alcuni simboli del potere aziendale della RSU, come la negoziazione nella
stanza della RSU. Soprattutto questo nuovo corso ha portato all’introduzione unilaterale di
alcuni elementi della lean manufactoring e al ripristino in alcuni reparti della produzione a
flusso. Anche se poi l’azienda ha deciso di condividere l’implementazione di queste scelte
con la RSU, con la vecchia dirigenza questo non sarebbe potuto accadere. All’epoca
infatti l’introduzione della lean era stata valutata da una gruppo di lavoro congiunto dal
quale era emerso un parere negativo. Infine, l’accordo sulla professionalità è
esplicitamente considerato dalla nuova dirigenza un’ingerenza indebita delle prerogative
aziendali.
Ad ogni modo, le risorse destinate al confronto con la rappresentanza dei lavoratori sono
sempre rilevanti, il riconoscimento della RSU continua ad essere sostanziale e non vi è
stato alcun tentativo di delegittimazione, vi è comunque una ampia condivisione in termini
quantitativi e qualitative delle informazioni e l’orientamento contrattuale è aperto,
soprattutto se confrontato con altre medie imprese metalmeccaniche.
Gli accordi sono sempre scritti e dato l’approccio della RSU, molto frequenti. La portata
consistente delle questioni regolamentate dovrebbe portare alla stesura di un “testo
unico”.
Analisi degli esiti negoziali:
Flessibilità
La flessibilità in tutte le sue varie forme è stata fortemente regolamentata. Per quanto
riguarda la flessibilità oraria la RSU ha concesso all’azienda di disporre per ogni lavoratore
di 60 ore di straordinario. Quando l’azienda intende farne uso deve presentare un piano
nel quale vengono indicati i lavoratori “comandati”. Il lavoratore coinvolto può decidere se
prestare queste ore il sabato o durante la settimana, in quest’ultimo caso il limite
giornaliero è di un’ora. La flessibilità viene compensata con dei riposi retribuiti (rapporto
1.1:1) e una maggiorazione pari al 50% di quella dovuta in caso di lavoro straordinario.
Inoltre, solo per la disponibilità vengono concesse ai lavoratori 516€ a prescindere dal
utilizzo della flessibilità e qualora vengano sforate le 60 l’azienda può attingere ad altre 10
ore pagate con una maggiorazione del 350%.
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Sempre per quanto riguarda la flessibilità oraria, ma questa volta a favore dei lavoratori, è
prevista la possibilità per i lavoratori giornalieri di decidere l’orario d’ingresso per un
periodo minimo di tre mesi, entro la fascia che va dalle 6 alle 9.
La flessibilità funzionale e molto utilizzata in produzione, c’è molta polivalenza e
polifunzionalità: da questo punto di vista c’è molta disponibilità da parte dei lavoratori,
tuttavia la RSU ha negoziato l’introduzione di un modulo nel quale vengono segnati gli
spostamenti significati (non quelli di un giorno), i nuovi orari e il tempo di permanenza.
La Zf non è molto interessata alla flessibilità numerica e il ricorso alle agenzie di
somministrazione serve per avere un periodo di prova più lungo. La professionalità e il
livello di qualità richiesti dalla produzione necesitano formazione e addestramento, quindi
l’azienda non è incentivata a farvi ricorso. La RSU comunque è attenta alla stabilizzazione
dei lavoratori temporanei.
Se consideriamo la flessibilità numerica come il grado di libertà con cui un’impresa può
adeguare il volume e le caratteristiche dell’occupazione possiamo prendere anche in
considerazione il modo in cui sono state gestite nell’ultimo anno la Cig e una mobilità di 60
persone. In entrambi i casi c’è stato un approccio dialogante da parte della RSU: nel primo
caso è stata gestita attraverso un’attenzione alla rotazione e soprattutto attraverso
l’anticipo dell’indennità e una sua integrazione da parte dell’azienda secondo una logica di
solidarietà, per cui i redditi più bassi hanno diritto ad un’integrazione maggiore. La mobilità
invece ha coinvolto solo lavoratori che nell’arco del periodo avrebbero maturato l’anzianità
pensionistica; anche in questo caso l’azienda è intervenuta anticipando e integrando
l’indennità.
Gli elementi retributivi
Numerose sono le voci retributive o che incidono sulla retribuzione. Una delle più
interessanti è il salario di professionalità. Si tratta di un meccanismo complesso, studiato
per diversi anni dalla RSU con la veccia dirigenza per eliminare i superminimi.
Sostanzialmente il lavoratore ha una pagella, gestita dalla RSU, nella quale vengono
indicate le competenze sviluppate nell’utilizzo delle macchine e che permette
l’avanzamento di categoria.
Il contratto prevede poi la c.d. superprofessionalità: oltre all’inserimento della categoria
5°s, paragonata alla 6° in termini economici, sono stati creati quattro livelli (s1,s2,s3,s4)
per premiare quei lavoratori che hanno molti anni di anzianità. Ogni livello vale 516€
all’anno.
Sono previsti poi degli scatti di anzianità ogni 18 e 25 anni.
Infine il PdR, questo è calcolato su tre indicatori: fatturato, lead time e qualità. Il 50% del
premio è fisso, mentre la quota restante è legata al raggiungimento degli obiettivi. Ad ogni
modo, la RSU intende il premio come elemento redistributivo, quindi qualora non venga
raggiunto un obiettivo e in presenza di un fatturato in crescita, vi è sempre un tentativo di
transazione dell’importo. Il valore massimo del premio è di 2100€, ma normalmente
raggiunge importi compresi tra 1300 e 1900€.
Riconoscimento e rappresentanza della diversità
La RSU sembra utilizzare come modello di riferimento per la contrattazione il lavoratore
maschio italiano. Questioni che possono interessare alle donne, come le necessità di
conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro non trovano spazio, tuttavia quando
emergono richieste individuali sono i delegati a farsene carico.
Quale modello di relazioni industriali?
Prima del cambio ai vertici aziendali alla Zf vigeva un sistema di partecipazione dei
rappresentanti dei lavoratori di tale intensità e portata che potremmo definire di
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codeterminazione di fatto. Di fatto perché il coinvolgimento della RSU nella gestione
dell’impresa non era sostenuto da un’infrastruttura formale che regolava le procedure e le
forme del confronto, le materie e gli eventuali strumenti di risoluzione delle controversie. Il
sistema, reso possibile dalla natura particolare dell’impresa, dal suo collocamento in un
sistema nazionale, quello tedesco, caratterizzato da determinati assetti partecipativi, e
dalla forza e competenza della RSU, si basava invece sul volontarismo e la fiducia
reciproca tra management e RSU.
Tale soluzione probabilmente era frutto della volontà di entrambe le parti di conservare
un’autonomia dei ruoli, sia per una questione simbolica sia di minore responsabilità
qualora alcune scelte fossero state troppo costose.
La mancata istituzionalizzazione però ha permesso alla nuova direzione di avere
maggiore libertà di impostare un diverso modello di relazioni industriali, sebbene la forza
delle RSU e una regolamentazione consolidata abbiano lasciato per ora all’azienda spazi
di intervento marginali. Il mutamento di approccio è visibile non tanto nelle condizioni
d’impiego, ma nello stile di gestione del rapporto con la RSU e nella nuova definizione
delle prerogative manageriali.
Le relazioni industriali in Zf sembrano oggi avvicinarsi ad un modello competitivo, basato
su una distinzione chiara degli interessi e dei ruoli e una reciproca libertà di azione delle
parti, nel quale trova spazio un coinvolgimento variabile e una convergenza su singole
questioni.
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