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Organizzazione dei servizi
N. 204 - 2015
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La progettazione
organizzativa
in sanità
Gianluigi Trianni
Medico Sanità pubblica, Modena
già Direttore sanitario AO Careggi, Firenze
Abstract
Scopo dell’articolo è illustrare la rilevanza degli studi di H. Minzberg sulla progettazione organizzativa in sanità con particolare riferimento all’Italia.
L’autore delinea i principali elementi delle teorie organizzative di H Minzberg concentrandosi in particolare sulla burocrazia
professionale, sulla adhocrazia e sulla soluzione divisionale in relazione alla loro capacità di spiegare le caratteristiche della
attuale organizzazione sanitaria in Italia.
Infine, l’autore illustra la necessità di implementare in Italia nuove forme di organizzazione utili a supportare la realizzazione
dei percorsi assistenziali diagnostico terapeutici.
Quanto segue è una sorta di diario di lettura teso a condividere con il lettore eventuale, medico o professionista sanitario dedito all’organizzazione sanitaria o all’assistenza, lo stupore e l’entusiasmo di alcune scoperte sull’organizzazione sanitaria “reale” e sulla teoria dell’organizzazione in generale e quindi anche di quella sanitaria.
Si tratta di conferme tratte dall’elaborazione di un autorevolissimo autore e dalle realtà da lui indagate su alcune
intuizioni ed esigenze di organizzazione sanitaria innovativa che in questi anni ho condiviso con quanti amano
riflettere su ciò che fanno e sul cosa serve per consentire
alla medicina contemporanea di esprimere al massimo le
sue potenzialità in favore dei pazienti.
Il testo da cui sono tratte le nozioni e gli spunti di riflessione, La progettazione dell’organizzazione aziendale di
Henry Mintzberg appunto, edito in Italia nel 1996 dalla
Società editrice Il Mulino di Bologna, è stato pubblicato
con il titolo originale Structure in five. Designing effective organitzation nel 1983, ma in realtà è la versione
divulgativa di un precedente testo di H. Mintzberg The
Structuring of organization: A synthesis of the research
pubblicato nel 1979 e realizzato come report di una estesa ricerca sul campo.
Non a caso Franco Isotta, nella sua introduzione all’edizione italiana tra l’altro commenta: “Mintzberg si è proposto di ricostruire e di sviluppare i fondamenti teorici del
Management policy, in modo più specifico di elaborare
una teoria descrittiva fondata sulla ricerca empirica”.
È incredibile come si sia discusso in questi decenni di
organizzazione sanitaria senza aver tenuto conto, direi
assimilato le evidenze di studi come questo disponibili sin
dagli anni ’80!
Elementi concettuali di La progettazione
dell’organizzazione aziendale
Nel rinviare alla lettura di La progettazione dell’organizzazione aziendale di Henry Mintzberg per una compiuta
acquisizione di tesi che le seguenti considerazioni non
possono con tutta evidenza vicariare, è opportuno in primo luogo convenire con l’autore che con il termine “azienda” in ambito economico intendiamo “l’insieme di risorse
umane e materiali finalizzato alla produzione di beni o
servizi” e con il termine “organizzazione aziendale” intendiamo “il complesso delle modalità secondo le quali
viene effettuata la divisione del lavoro in compiti distinti e
quindi viene realizzato il coordinamento tra tali compiti”.
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Figura 1.
E ciò vale ovviamente anche per le aziende sanitarie.
Minzeberg individua cinque parti nell’organizzazione
aziendale che rappresenta con l’immagine che si è riportata nella figura seguente, adattandola per esemplificazione allo specifico sanitario italiano (Fig. n. 1).
Nell’interpretazione della figura e delle sue didascalie è
da tenere in considerazione che Minzberg definisce con
il termine “tecnostruttura” le strutture di staff dedite alla
“standardizzazione del lavoro” cioè, nel caso della sanità
italiana, le strutture a supporto delle attività di miglioramento della qualità e dell’efficienza erogativa delle prestazioni assistenziali, delle cui linee gerarchiche di controllo
organizzativo, linee intermedie, e delle cui articolazioni di
espletamento, nucleo/i operativo/i, operano al di fuori.
Con il termine “staff di supporto” invece Minzberg fa riferimento a quelle strutture che forniscono servizi indiretti
o di supporto necessari all’espletamento delle attività di
produzione del bene e servizio cui l’azienda è dedita,
nel nostro caso le attività di assistenza, e oggigiorno di
fatto in segmenti sempre più ampi delle aziende sanitarie,
anche delle connesse attività di didattica “frontale” o “ex
cathedra” e tutoriale e di ricerca clinica applicata.
È da tenere inoltre in considerazione che tutte le strutture
organizzative della “linea intermedia”, del/i “nucleo/i
operativo/i “e di “staff” concorrono per le rispettive competenze anche alle attività di standardizzazione cui in
esclusiva sono dedite le articolazioni indicate nell’ambito
della “tecnostruttura”, e che nel caso dei dipartimenti ad
attività integrata la loro collocazione nella “linea intermedia” è da riferirsi esclusivamente alle posizioni individuali
ed agli organismi con incarico di direzione, essendo per
ogni altro aspetto i dipartimenti struttura organizzativa
del nucleo operativo, degli organi di “staff” e della stessa
“tecnostruttura”.
In relazione alla maggiore o minore “dominanza” di un
meccanismo di coordinamento, di una delle cinque par-
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Figura 2. Raggruppamenti in base alle conoscenze e alle capacità: reparti medici in una Clinica Universitaria.
ti dell’organizzazione e di uno dei diversi tipi di decentramento della facoltà di decisione autonoma, Minzberg
individua le seguenti cinque forme di organizzazione
aziendale:
1. La struttura semplice.
2. La burocrazia meccanica.
3. La burocrazia professionale.
4. La soluzione divisionale.
5. L’adhocrazia.
Giunge a ciò avendo precedentemente discusso i temi di
cui ai capitoli su riportati ed in particolare di progettazione della macrostruttura, cioè della modalità di raggruppamento dei singoli addetti in unità organizzative, nel nostro
caso delle varie tipologie di professionisti della salute e
delle relative attività di supporto, di standardizzazione e
di raggruppamento delle unità organizzative in aggregati
sempre più includenti, nel nostro caso i dipartimenti, sino
ad arrivare all’azienda nel suo complesso.
Minzberg dopo aver riportato che tale raggruppamento
viene normalmente operato in base a:
• Conoscenze e capacità.
• Processi di lavoro e funzioni.
• Tempo (momento nel quale l’attività lavorativa viene
espletata).
• Output o tipologia di prodotti e servizi che vengono
forniti.
• Clientela.
• Località geografica.
annota: ”In effetti la distinzione fondamentale va operata
fra raggruppare le attività in base ai fini, alle caratteristiche dei mercati ultimi serviti dall’azienda (i prodotti e
i servizi che immette sul mercato, i clienti cui li fornisce,
le località dove li fornisce); oppure in base ai mezzi, alle
funzioni (compresi i processi di lavoro, le capacità e le
conoscenze) che l’azienda utilizza per ottenere i suoi prodotti e servizi”.
In proposito merita di essere segnalato che:
• “Il termine mercato riguarda sia gli istituti con finalità
di profitto che gli istituti non profit. Ogni istituto, infatti, esiste per servire un qualche mercato, si tratti dei
cittadini per la Polizia, degli studenti per un sistema
scolastico, dei consumatori per un’impresa industriale” o dei cittadini malati o non per una AUSL, ospedale, distretto…
• Come supporto di conoscenze e capacità Minzberg
riporta, vedi la figura seguente, l’organizzazione dipartimentale di un ospedale universitario statunitense.
Corre l’anno 1979, anno di edizione di “The Structuring
of organization: A synthesis of the research”.
La burocrazia professionale
È certamente difficile per chiunque essere tacciato di burocrate, e lo è ancor di più per un medico e per ogni
un’altra tipologia di operatore sanitario. Eppure come
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Figura 3. Le gerarchie parallele nella burocrazia professionale.
tali siamo “tacciati” da Minzberg. Rifacendosi al grande
sociologo tedesco M. Weber che coniò il termine burocrazia dal francese boureau - ufficio ad indicare una forma
di organizzazione pura basata sul il principio della competenza e sulla trasmissione degli ordini stabile e formalizzata, Minzberg afferma: “Possiamo definire una organizzazione burocratica nella misura in cui al suo interno
il comportamento è predeterminato o prevedibile, in altri
termini standardizzato”.
Nel capitolo n. 10 Minzbeg è esplicito: ”Le organizzazioni possono essere burocratiche senza essere accentrate:
la loro attività operativa è stabile, portando ad un comportamento “predeterminato o predicibile, in effetti standardizzato”, ma è anche complessa e deve quindi essere
controllata direttamente dagli operatori che la svolgono.
Di conseguenza l’organizzazione deve ricorrere a quel
meccanismo di coordinamento che permette nello stesso
tempo la standardizzazione e il decentramento, cioè alla
standardizazazione delle capacità. Ne deriva una configurazione organizzativa talvolta denominata burocrazia
professionale, che è riscontrabile nelle università, negli
ospedali, nei sistemi scolastici, nelle società di revisione
contabile, negli enti di assistenza sociale e nelle imprese
artigiane di produzione: tutti questi istituti si fondano, per
il loro funzionamento, sulle capacità e sulle conoscenza
dei professionisti del nucleo operativo e tutti producono
beni o servizi standard”.
Se il nucleo operativo nella forma organizzativa della burocrazia professionale è la parte più importante dell’organizzazione, essa sarà anche la più estesa per articolazione e dotazioni materiali e umane e la forma aziendale
che ne risulterà sarà deformata come quella riportata nella figura seguente ed anche di più:
In tale raffigurazione si noti come non solo il “nucleo operativo” ma anche lo “staff di supporto” venga descritto
come allargato: ciò è frutto dello studio sul campo e della
sensibilità di Minzberg che ha saputo cogliere nelle organizzazioni del tipo delle burocrazie professionali anche
l’aspetto dell’estensione delle attività e delle risorse umane e materiali dedicate/necessarie al supporto delle attività del “nucleo operativo”, nel nostro caso delle attività
di supporto a quelle specifiche e connotanti l’azienda di
assistenza, didattica e ricerca.
Nel prezioso, soprattutto per gli interessati alla progettazione di aziende sanitarie ed universitarie, capitolo decimo c’è una prima risposta al quesito posto dal titolo di
questa comunicazione: “Poiché i clienti vengono classificati, o si classificano da soli, in termini degli specialisti
funzionali di cui hanno bisogno, la struttura della burocrazia professionale diviene a un tempo sia funzionale
sia fondata sul mercato”.
A sostegno di tale tesi si porta ad esempio il caso di un
dipartimento di ginecologia di un ospedale che può essere considerato funzionale poiché raggruppa gli specialisti
in base alle conoscenze, alle capacità ed ai processi di
lavoro, ma anche fondato sul mercato poiché si occupa
di un tipo specifico di clienti, le donne. È da osservare in
proposito però che tale conclusione appare ben fondata
in ordine allo sviluppo delle conoscenze scientifiche e delle competenze tecniche del sesto,settimo,ottavo decennio
del secolo scorso quando furono espletate le indagini sul
campo su cui si basa il lavoro di Minzberg; meno fondato
appare oggi.
Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie
assistenziali nei decenni finali dello scorso millennio e negli
anni iniziali di quello appena cominciato ha portato alla
fine dell’autosufficienza del singolo specialista nella capacità di erogare servizi assistenziali di diagnosi e cura ai
clienti/pazienti o di formazione agli studenti/ clienti o di
ricerca applicata ai committenti pubblici o privati/clienti.
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I singoli atti o fasi o segmenti, infatti, dei processi necessari ad erogare i servizi finali, gli outcome, richiesti,
nel caso dell’esempio di cui sopra, per diagnosticare e
curare un affezione dell’apparato genitale femminile o
condurre a termine in sicurezza una gravidanza e un parto, o per farne oggetto di docenza o di ricerca clinica,
comportano ciascuno a loro volta una tale mole di competenze, di capacità e di processi di lavoro specifici che
in realtà in maniera più o meno evidente costituiscono
ciascuno una competenza professionale o addirittura un
area funzionale a sè stante, specifica e capace sostanzialmente di fornire solo prodotti/servizi intermedi nel
più ampio processo assistenziale necessario a soddisfare
completamente la domanda del, “cliente” sempre per stare nell’esempio,donna /studente/committente la ricerca.
Nell’esempio di che trattasi si misuri la distanza tra il
parto solitario o assistito da familiari dei scorsi secoli,
il parto assistito a domicilio dalle ostetriche condotte dei
primi decenni del ’900, il parto in ospedale con medico e ostetrica dei decenni centrali del ‘900, ed il parto
con assistenza di ginecologi, spesso distinti in quelli con
attitudini specifiche nella assistenza ai parti spontanei o
strumentali, quelli con competenze prevalenti in diagnostica e terapia perinatologica e quelli con competenze
specifiche per l’assistenza a gravidanze a rischio, ostetriche, anestesisti/antalgologi, neonatologi, infermieri
di sala parto e puericultrici, psicologhe che assicurano
assistenza e formazione durante la gravidanza e successivamente al parto non solo nel caso di eventi patologici
ma anche nel caso di eventi assolutamente tutti fisiologici.
Si misuri anche quanto occorre apprendere e quanto vaste siano le aree di ricerca.
Oggigiorno nelle aziende sanitarie ciò porta a” relegare”
il criterio funzionale a criterio di raggruppamento utile
per i prodotti servizi intermedi lasciando la prevalenza
in maniera sempre più estesa come fondamento dell’organizzazione aziendale al criterio di raggruppamento in
base al mercato, nella sue varie fattispecie, in particolare
quella orientata alla tipologia di cliente.
In verità Minzberg nelle sue osservazione sul campo rileva
l’esistenza di un’altra forma di organizzazione aziendale
nella quale i professionisti non sono più autosufficienti a
fornire la prestazione finale richiesta: l’adhocrazia.
L’adhocrazia
Il termine adhocrazia,coniato da W. Bennis nel 1966,
deriva dall’espressione latina “ad hoc” “per questo – per
un determinato scopo”cui è aggiunto il suffisso “crazìa”
dal greco antico “κρατία” – “potere” (Wikizionario) e fu
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utilizzato da A. Toffler il quale negli anni ’80 osservava:
“Nella società super-industriale si costituiranno come possibili sostituti della burocrazia delle strutture create “ad
hoc”, che coordineranno il lavoro di numerose unità temporanee, ciascuna delle quali si costituirà o si scioglierà
in concordanza con il tasso di cambiamento dell’ambiente nel quale opera l’azienda” (Toffler A., La terza ondata.
Il tramonto dell’era industriale e la nascita di una nuova
civiltà Milano: Sperling & Kupfer 1987).
Minzberg osserva che “Mentre nella burocrazia professionale ogni professionista può operare in modo autonomo,
nell’adhocrazia i professionisti debbono combinare i loro
sforzi” ed ancora: “Nell’adhocrazia i diversi specialisti
debbono combinarsi in gruppi multidisciplinari costituiti
intorno a specifici progetti di innovazione”.
Ed affronta anche un altro nodo centrale: “Com’è possibile affrontare il problema di ridurre l’orientamento strettamente specialistico consentendo nel contempo al professionista di mantenere i legami con il suo campo di specializzazione?” la soluzione è ovvia: l’adhoccrazia tende
ad utilizzare contemporaneamente in una organizzazione a matrice le basi di raggruppamento funzionale e di
mercato. Gli esperti sono raggruppati in unità funzionali
per motivi di aggregazione professionale (assunzione,
comunicazioni professionali e simili) ma sono utilizzati in
gruppi di progetto per svolgere l’attività fondamentale di
innovazione”.
E inoltre “Anche gli ospedali e le università, che nel capitolo decimo sono stati descritti come burocrazie professionali per i loro comportamenti clinici e di insegnamento di
routine, sono spinti verso l’adhocrazia quando svolgono
una ricerca veramente innovativa. L’orientamento verso il
pensiero deduttivo e convergente proprio dell’attività di
routine preclude la vera innovazione. Di conseguenza se
i professionisti possono lavorare da soli quando applicano le loro conoscenze e capacità standard, essi debbono
invece riunirsi e formare gruppi organici multidisciplinari
per creare nuove conoscenze e capacità”.
Nel 1979 vengono di fatto tratteggiati i “gruppi organici
multidisciplinari”. Su ciò ritorneremo tra breve, ma prima
vorrei segnalare un altro contributo assolutamente attuale
desumibile dalla lettura di Minzberg: le considerazioni
circa la forma organizzativa definita come “soluzione divisionale”.
La soluzione divisionale
Tale forma organizzativa Minzberg rileva nelle sue ricerche essere adottata dalla maggior parte delle più grandi
aziende statunitensi, e la descrive così nell’introduzione
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Figura 4. Forma aziendale della soluzione divisionale.
all’undicesimo capitolo: “Analogamente alla burocrazia
professionale, la soluzione divisionale rappresenta non
tanto un’organizzazione integrata quanto piuttosto un
complesso di entità quasi autonome riunite da una struttura direzionale centrale. Tuttavia, mentre nella burocrazia
professionale tali entità quasi autonome sono costituite da
persone – i professionisti del nucleo operativo – nella soluzione divisionale sono formate da unità organizzative
della linea intermedia, generalmente chiamate divisioni
e da una amministrazione centrale, la direzione; il flusso
del potere, inoltre, non è bottom-up ma top-down”.
L’immagine che Minzberg propone è la seguente (Fig. n. 4).
Minzberg osserva anche che tale forma organizzativa
non è esclusiva del settore privato ma si rileva anche, siamo negli anni ’80, in alcune università statunitensi multi
campus, nel caso di un sistema ospedaliero formato da
ospedali specializzati e nelle economie socialiste dove le
imprese di Stato corrispondono alle divisioni e gli enti di
governo centrale alla direzione centrale.
Dopo pagine di grande efficacia descrittiva circa le caratteristiche della soluzione divisionale in relazione al
raggruppamento delle unità organizzative in base al
mercato, alle modalità di controllo della direzione centrale basate sulla standardizzazione degli output, cioè dei
prodotti finali, ma anche sul controllo delle performance
Minzberg giunge a sostenere che occorre “considerare
la pubblica amministrazione come una gigantesca soluzione divisionale”, e che peraltro essa si sovrapponga
e quindi possa contenere contemporaneamente le altre
quatto forme organizzative e cioè la struttura semplice e
la burocrazia meccanica, delle quali non abbiamo parlato, così come la burocrazia professionale e l’adhocrazia.
Di qui a riflettere per il lettore accorto sulla dimensione
“soluzione divisionale” e quindi sulla caratteristica di holding dei nostri servizi sanitari regionali e sulle implicazio-
ni di tale caratteristica in termini di responsabilità/potere
delle decisioni dei governi regionali il passo è brevissimo,
ma ci porterebbe fuori strada rispetto al tema che stiamo
svolgendo e quindi lo rinviamo ad altra occasione, ma
non rinunciamo comunque a darne una rappresentazione
visiva nella fig. n. 5.
Specificità delle tecnologie assistenziali e nuovi modelli
organizzativi
Abbiamo fatto cenno più sopra ai processi necessari aderogare i servizi “finali” ai clienti e alla considerazione
che tali servizi finali, nel nostro caso l’assistenza, la didattica e la ricerca per specifiche problematiche di salute
siano erogabili non più da un unico specialista ma da
gruppi multidisciplinari. Vediamo ora la definizione di
processo dell’ ISO, Organizzazione internazionale per
le standardizzazioni, cui aderisce l’UNI, Ente nazionale
italiano di unificazione, entrambi organismi indipendenti privati senza scopo di lucro che svolgono attività di
standardizzazione per la qualità nei settori industriali, del
commercio e terziario: “Un’organizzazione per funzionare efficacemente deve individuare e gestire numerose
attività collegate tra loro. Un attività che utilizza risorse e
che è gestita per consentire la trasformazione di elementi
in ingresso in elementi in uscita, può essere considerata
come un processo. Spesso l’elemento in uscita costituisce
direttamente l’elemento in ingresso per un processo successivo. L’applicazione di un sistema di processi all’interno di un organizzazione, unitamente all’identificazione
ed all’interazione di questi processi nonché alla loro gestione viene denominata “gestione per processi”. (Norme
UNI EN ISO 9001 – “Sistemi di gestione per la qualità
- Introduzione - 0.2 Approccio per processo -”).
Tale definizione si attaglia perfettamente alle caratteristiche del lavoro clinico che, se queste premesse sono vere,
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Fig. 5. La soluzione divisionale ed il Servizio sanitario regionale in Italia.
e lo sono, richiede una gestione per processo, una gestione quindi finalizzata ad erogare il prodotto dello specifico processo. Da qui una organizzazione costituita sulla
base di un raggruppamento per cliente/prodotto, quindi
per mercato, non certo di una organizzazione costituita
e gestita sulla base di un raggruppamento per funzione,
per disciplina specialistica o per ambito professionale la
quale è semmai funzionale alla produzione di singoli atti
o servizi del più ampio processo assistenziale, didattico
e di ricerca, ed in questo senso utile ma insufficiente al
migliore perseguimento della mission di una azienda sanitaria o nelle sue articolazione di servizi assistenziali,
didattici e di ricerca.
Purtroppo in Italia la forma prevalente di organizzazione
sanitaria e di sua progettazione organizzativa nonché
quella sulla quale si sono concentrate più attenzioni ed
energie di gestione è stata, ed è spesso tuttora, quella
per funzioni!
A dire il vero tracce di superamento dell’esclusiva organizzazione per funzioni nella storia delle idee sull’organizzazione sanitaria in Italia si ritrovano nei primi anni
’90. Le seguenti sono acute e preveggenti considerazioni
dell’ex Ministro della Sanità Guzzanti e dei suoi collaboratori: “Così come il coordinamento e collegamento delle
unità operative afferenti alla funzione DEA si deve considerare sostanzialmente permanente, analoghe esigenze
si possono porre in altri casi specifici, in particolare negli
ospedali altamente specializzati dove una serie di problematiche è auspicabile siano trattate in modo congiunto e
coordinato tra unità operative appartenenti a dipartimenti differenti. In tal caso si procede alla costituzione dei
GOIP, Gruppi operativi interdipartimentali permanenti,
che assumeranno la dizione propria del problema che
si intende trattare, ad esempio: GOIP trapianti d’organo,
oncologico e/o ematologico, gastroenterologico, per il
controllo delle infezioni ospedaliere, ecc.
Per trattare invece specifici problemi da affrontare in tempi
relativamente brevi, con l’obiettivo di arrivare a soluzioni
clinico-amministrative utili per l’istituzione, possono essere
costituiti i GOIT, Gruppi operativi interdipartimentali temporanei, di fatto dei “comitati ad hoc” che comprendono, per la trattazione dell’argomento loro affidato, unità
operative o parti di esse temporaneamente assegnate per
il conseguimento di specifici obbiettivi ”Aree funzionali
omogenee e dipartimenti” (Guzzanti E. et al. 1994).
In queste parole si tratteggia un criterio, l’organizzazione
interdipartimentale per processi, che oggigiorno appare
come forma non solo congrua ma addirittura indispensabile per assicurare quelli che nel dibattito internazionale vengono definiti “clinical pathway”, “percorsi assistenziali”.
È evidente che siamo di fronte a definizioni riferite a
quella serie di atti assistenziali che viste dall’angolo visuale dei pazienti sono “percorsi” purtroppo non sempre
agevoli, tra le varie tipologie di prestazioni assistenziali
costitutive dell’iter di diagnosi cura e riabilitazione e visti
dall’angolo dell’organizzazione aziendale processi primari e secondari di produzione di servizi!
È inoltre opportuno rilevare come obiettivo esplicito dei
clinical pathways e dei “processi” sia la qualità del prodotto, la modalità di produzione dei servizi assistenziali
didattici e di ricerca per processi essendo sostanzialmente l’unica modalità o, “ipso facto”, la modalità inevitabile
per produrli.
Ma in ambito assistenziale, e nelle correlate ed “integrande” attività di didattica e ricerca, la precitata evoluzione
della tecnologia assistenziale ha portato alla possibilità/
opportunità di erogare prestazioni non più in un solo setting assistenziale, la degenza ordinaria per citarne uno
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a caso , ma a rendere possibile, e spesso auspicabile,
per ragioni di sicurezza clinica e di vantaggio sociale
in termini di minore sottrazione di tempo agli altri tempi
della vita sociale, l’erogazione di prestazioni in setting
meno onerosi, quale quello ambulatoriale, sempre per citare un esempio a caso ,od anche normalmente in più di
un setting, quali quelli in degenza ordinaria, in degenza
elusivamente diurna (o esclusivamente notturna come nel
caso della diagnostica delle malattie del sonno), in ambulatorio specialistico meglio se in un contesto poliambulatoriale nel quale siano possibili forme di erogazione di
sequenze di prestazioni polispecialistiche definite di day
service, a domicilio del paziente nella duplice forma del
domicilio privato o di quello ad alta intensità di assistenza infermieristica o socioinfermieristica.
Ulteriore peculiarità è che nel contesto sociosanitario pubblico italiano tale insieme di setting assistenziali è normalmente gestito da aziende diverse, quelle ospedalierouniversitarie od ospedaliere delle altre tipologie, quelle
USL, articolate sia in presidi ospedalieri che in distretti
finalizzati all’erogazione di servizi specialistici ambulatoriali, delle cure primarie, di prevenzione e quelle sociali,
di norma di proprietà e gestione di Comuni singoli o associati o a gestione USL o a proprietà e gestione privata
ma convenzionati con il “pubblico”.
Da ciò l’esigenza di pensare un’organizzazione ed una
direzione e gestione “per processi” o per “percorsi assistenziali” non solo interdipartimentale ed interprofessionale nel contesto ospedaliero, ma anche e di fatto
sempre, plurisetting (ospedale-territorio) e pluriaziendale
(regionale, di area vasta).
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