il giorno del ricordo
Transcript
il giorno del ricordo
Bibliografia Girardo M., “Sopravvissuti e dimenticati. Il dramma delle foibe e l’esodo dei giuliano-dalmati”; Edizioni Paoline, Milano, 2006. Mori Anna Maria , “Nata in Istria”; Rizzoli, Milano, 2006. Oliva G., “Profughi. Dalle foibe all’esodo: la tragedia degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia”; Mondatori Oscar Storia, Milano, 2005. Petacco A., “l’Esodo. La tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia”; Mondatori Oscar Storia, Milano, 1999. Raoul P. , “Il lungo Esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio”; Rizzoli storia, Milano, 2005. Ricodi di Fertilia, Fertilia 1947-1997, Comitato Provinciale di Sassari dell’A.N.V.G.D. www.it.wikipedia.org www.anvgd.it www.unioneistriani.it A coloro che mi hanno insegnato il valore della Famiglia il significato della dignità morale e l’orgoglio per le proprie radici. A coloro che mi hanno insegnato a scegliere, a credere nella forza dei miei sogni ad affrontare la vita, e ritrovare sempre il sorriso. A mio papà e a tutta la famiglia Velli Ringraziamenti Un personale ringraziamento a Simone e al suo staff per essersi offerto di incontrare i “miei” ragazzi. Al Comune di Scandicci A Stefano De Martin e a Valentina Berti e a tutto lo staff di Scandicci Cultura per avermi sostenuto nell’organizzazione dell’evento. Alla Fondazione Toscana Spettacolo A Marco Cerchierini e a tutto lo staff del Teatro Studio Krypton Scandicci Alle sorelle Rea Silvia a Nucci Bressan per la loro testimonianza Al Dirigente, a Colleghi e Studenti dell’Istituto Professionale “Sassetti-Peruzzi” per aver incoraggiato, sostenuto e promosso l’evento. A Dirigenti, Colleghi e Studenti dell’IIS “Russell-Newton”e del Liceo Artistico “Leon Battista Alberti” per aver accettato con entusiasmo l’invito. “IL GIORNO DEL RICORDO” Le foibe e l’esodo giuliano-dalmata del secondo dopoguerra sono ferite dell’anima collettiva e storie di una terra ferita alle quali la memoria, a volte distratta, altre volte rapace, non ha saputo riservare quell’attenzione misurata e partecipe capace di curare i segni del tempo. Fra il 1943 e il 1945, migliaia di persone – non solo italiane – sono sprofondate nel ventre duro del Carso; le foibe, fino ad allora solo aspre doline con un inghiottitoio sul fondo, sono diventate cimiteri senza cielo. Tra l’inverno 1943-44 e la fine degli anni Cinquanta, la comunità italiana dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia si spopola, centinaia di migliaia di cittadini italiani abbandonano case e terre, passate sotto la sovranità jugoslava, e raggiungono la madre Patria: l’Italia. Per anni disconosciuto, come il dolore e l’oltraggio vissuto da chi una volta giunto in Italia venne accolto da traditore o da fascista, per anni fu oscurata l’assurda condizione in cui si trovavano coloro che dopo aver lasciato la loro casa e i loro averi, furono costretti ad affrontare in silenzio la tragedia. Perché nel nostro Paese non si è mai scritto né parlato di questa vicenda? Perché il dramma di centinaia di migliaia di persone è diventato una memoria negata esclusa dai libri di storia e confinata nella sola coscienza locale o in quella privata dei profughi?...” “I fatti non cessano di esistere solo perché vengono ignorati”. I conti con il passato si possono rinviare, ma non annullare: è una regola che vale per ogni singola persona e che vale ancor di più per la biografia di una nazione, cioè per la storia. A loro è dedicato il ricordo; al loro sacrificio, e ad una Nazione che non deve dimenticare, è rivolta la legge 30 marzo 2004, n. 92 che istituisce nel 10 febbraio “il Giorno del Ricordo” in memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati. A tutti coloro che hanno scelto di partecipare per non ignorare. Giorno del ricordo 10 febbraio 2014 Prof.ssa Daniela Velli Esule di II generazione Le principali tappe storiche Scheda dell’Artista I Guerra Mondiale 1914-1918 – Come conseguenza della prima guerra mondiale l’Italia ricevette il Trentino Alto Adige, la Venezia Giulia e l’Istria, mentre la Dalmazia pur promessa dagli Stati della Triplice Alleanza per attirare l’Italia alla loro coalizione, venne inserita nel neocostituito Regno di Jugoslavia, così come voleva la Francia, tranne la città di Zara e quattro isole adriatiche che vennero annesse all’Italia: decisione che provocò un primo esodo d’italiani dalla Dalmazia. Questo mancato riconoscimento della regione balcanica appartenuta per un lungo periodo storico all’Italia, rappresentò quella che D’Annunzio chiamò «vittoria mutilata», mantenendo agguerrito quel movimento irredentista che, in parte si sarebbe poi unito al fascismo. Periodo tra le due guerre – I rapporti diplomatici fra Italia e Jugoslavia, sono caratterizzati da una continua e vivace conflittualità che alterna periodi di bonaccia a momenti di autentica guerra fredda. II guerra mondiale 1939-1945 – Quando, ebbe inizio la seconda guerra mondiale la penisola balcanica – tranne la neutrale Jugoslavia e la Grecia, legata all’Inghilterra – orbitava nella sfera di influenza italo-germanica. Le relazioni fra italiani e slavi peggiorarono ulteriormente. L’8 settembre 1943, quando il Maresciallo Badoglio firma dell’armistizio, mentre gli italiani della penisola si domandavano e ora cosa faranno i tedeschi?, nella Venezia Giulia, gli italiani si domandarono E adesso cosa faranno gli slavi? Il secondo dopoguerra – Con il trattato di Parigi (1947), l'Istria venne assegnata alla Jugoslavia, con l'eccezione della parte nord occidentale, che formava la Zona B del Territorio libero di Trieste. La zona B rimase sotto amministrazione Jugoslava e dopo la dissoluzione del Territorio Libero di Trieste nel 1954 (memorandum di Londra), fu di fatto incorporata alla Jugoslavia. Tale annessione fu ufficializzata col trattato di Osimo (1975). Solo la piccola città di Muggia, facente parte della Zone A, rimase all’Italia. Ancora una volta, come era avvenuto dopo il 1918 il coronamento delle aspirazioni nazionali di un popolo si risolse di fatto nella penalizzazione di quelle dell’altro. Un gran numero di italiani fu ucciso nel massacro delle foibe, sia in Istria che nel Carso triestino. Il terrore provocato dal massacro, seguito da una dura repressione delle autorità Jugoslave, provoco l’esodo di quasi tutti gli italiani. Al Porto Vecchio di Trieste c’è un “luogo della memoria” particolarmente toccante. Racconta di una pagina dolorosissima della storia d’italia, di una vicenda complessa e mai abbastanza conosciuta del nostro Novecento. Ed è ancor più straziante perché affida questa “memoria” non a un imponente monumento o a una documentazione impressionante, ma a tante piccole, umili testimonianze che appartengono alla quotidianità. Una sedia, accatastata assieme a molte altre, porta un nome, una sigla, un numero e la scritta “Servizio Esodo”. Simile la catalogazione per un armadio, e poi materassi, letti, stoviglie, fotografie, poveri giocattoli, altri oggetti, altri numeri, altri nomi…Oggetti comuni che accompagnano lo scorrere di tante vite: uno scorrere improvvisamente interrotto dalla Storia, dall’esodo. Con il trattato di pace del 1947 l’Italia perdette vasti territori dell’Istria e della fascia costiera, e più di 300 mila persone scelsero – davanti a una situazione intricata e irta di lacerazioni – di lasciare le loro terre natali destinate ad essere jugoslave e proseguire la loro esistenza in Italia. Non è facile riuscire davvero a immaginare quale fosse il loro stato d’animo, con quale sofferenza intere famiglie impacchettarono tutte le loro poche cose e si lasciarono alle spalle le loro città, le case, le radici. Davanti a loro difficoltà, povertà, insicurezza, e spesso sospetto. Simone Cristicchi è rimasto colpito da questa scarsamente frequentata pagina della nostra storia ed a deciso di ripercorrerla in un testo che prende il titolo proprio da quel luogo nel Porto Vecchio di Trieste, dove gli esuli – senza casa e spesso prossimi ad affrontare lunghi periodi in campo profughi o estenuanti viaggi verso lontane mete nel mondo – lasciavano le loro proprietà, in attesa di poterne in futuro rientrare in possesso: il Magazzino 18. Coadiuvato nella scrittura da Jan Bernas e diretto dalla mano esperta di Antonio Calenda, Cristicchi partirà proprio da quegli oggetti privati, ancora conservati al Porto di Trieste, per riportare alla luce gni vita che vi si nasconde. La narrerà schiettamente e passerà dall’una all’altra cambiando registri vocali, costumi, atmosfere musicali, in una koinéè di linguaggi che trasfigura il reportage storico in una forma nuova, che forse si può definire “Musical-Civile”. E sarà dell’operaio monfalconese che decide di andare in jugoslavia, o del prigioniero del lager comunista di Goli Otok… Giorno del ricordo 10 febbraio 2014 Lo spettacolo sarà punteggiato da canzoni e musiche inedite di Simone Cristicchi, eseguite dal vivo. Fonte: scheda a me pervenuta da Fondazione Toscana Spettacolo Prof.ssa Daniela Velli Esule di II generazione Le Foibe Anno 2014 L’obiettivo di questo “giorno del ricordo”è dar vita ad un evento, che dia concreta attuazione al 2° comma della legge 92 e rappresenti per i nostri alunni e non solo, un importante momento di riflessione e discussione su una pagina dolorosissima della storia d’Italia, di una vicenda complessa, mai abbastanza conosciuta del nostro Novecento. Quest’anno, per una coincidenza che reputo tutt’altro che semplice, ad aiutarmi in questo viaggio c’è uno degli artisti più geniali e impegnati degli ultimi anni, Simone Cristicchi che come me non vuole fare lo storico ma vuole essere uno spunto per incuriosire la gente ad approfondire questa storia. La visione dello spettacolo prima e l’incontro con l’artista dopo vuole rappresentare un modo diverso di raccontare “la storia” e uno strumento per ricordare quanto è costato costruire la democrazia in terre plurali dove a lungo le istituzioni sono state adoperate per negare, violare, cancellare identità e diritti (…) Le difficoltà, i disagi e le disavventure che questa gente seppe affrontare meritano un posto nella nostra memoria e se queste poche pagine riescono anche solo in parte a trasmetterne l’essenza, questo lavoro non è stato inutile. Il termine "foiba" è una corruzione dialettale del latino "fovea", che significa "fossa"; le foibe, infatti, sono voragini rocciose, a forma di imbuto rovesciato, create dall’erosione di corsi d’acqua; possono raggiungere i 200 metri di profondità. In Istria sono state registrate più di 1.700 foibe. (Nella foto a sinistra una foiba istriana). Le foibe furono utilizzate in diverse occasioni e, in particolare, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale per infoibare (“spingere nella foiba”) migliaia di italiani, antifascisti e fascisti, colpevoli di opporsi all’espansionismo comunista slavo propugnato da Josip Broz meglio conosciuto come “Maresciallo Tito”. Insomma, pulizia etnica ai danni degli italiani, tanto che Kardelj (vice di Tito) poté affermare orgogliosamente che "ci fu chiesto di far andar via gli Italiani con tutti i mezzi e così fu fatto". Nessuno sa quanti siano stati gli infoibati: stime attendibili parlano di 10-15.000 sfortunati. Le vittime dei titini venivano condotte, dopo atroci sevizie, nei pressi della foiba; qui gli aguzzini, non paghi dei maltrattamenti già inflitti, bloccavano i polsi e i piedi tramite filo di ferro ad ogni singola persona con l’ausilio di pinze e, successivamente, legavano gli uni agli altri sempre tramite il fil di ferro. I massacratori si divertivano, nella maggior parte dei casi, a sparare al primo malcapitato del gruppo che ruzzolava rovinosamente nella foiba spingendo con sé gli altri. Nel corso degli anni questi martiri sono stati vilipesi e dimenticati. Qui di seguito si presenta l’elenco delle foibe note: foiba di Bosovizza e Monrupino;foiba di Scadaicina; Foiba di Podubbo; Foiba di Drenchia; Abisso di Semich; Foiba di Opicina, di Campagna e di Coronale; Foibe di Sesana e Orle; Foibe di Casserova; abisso di Semez; Foiba di Gropada; Foiba di Vifia Orizi; Foiba di Cernovizza (Pisino); Foiba di Obrovo (Fiume), Foiba di Raspo; Foiba di Brestovizza; Foiba di Zavni; Foiba di Gargaro e Podgomilla (Gorizia);Foibe di Capodistria; Foiba di Visnes; Cava di Bauxite di Gallignama;Foiba di Terli; Foiba di Treghelizza; Foiba di Pucicchi; Foiba di Surani; Foiba di Creoli; Foiba di Cernizza; Foiba di Vescovado; Foiba di Cocevie; Foiba di San Salvaro; Foiba Bertarelli; Foiba di Gropada; Foiba di San Lorenzo di Basovizza; Foiba di Odolina; Foiba di Beca; Foiba di Castelnuovo d’istria; cava di bauxite di Lindaro; Foiba di Sepec…..ben 43 foibe alle quali si aggiungono quelle mai scoperte. Giorno del ricordo 10 febbraio 2014 Prof.ssa Daniela Velli Esule di II generazione “ L’Esodo e i Profughi” Amalia Velli ricorda… L’Esodo è la ribellione contro le foibe, i saccheggi, e l’imposizione di una lingua straniera. L’Esodo è stato il dramma di 350.000 persone che hanno abbandonato case ed averi pur di rimanere italiani e che in Italia hanno continuato e continuano a soffrire per l’indifferenza e l’ignoranza di una politica miope, pavida e vile. Sono venuta via dall’Istria nel 1949 con mio marito e un bambino di un mese. Siamo stati in campo profughi circa tre mesi, poi mio marito ha saputo che la mamma e due fratelli erano a Fertilia, così ha deciso di venire a vedere se ci si poteva trasferire tutti. L’Esodo giuliano non è la conseguenza di formali provvedimenti di espulsione, ma il frutto di una scelta. Con la firma del Trattato di Pace di Parigi, 10 febbraio 1947, che prevedeva la definitiva assegnazione dell’Istria alla Jugoslavia s’intensificò l’esodo da questa zona, anche perché il Trattato prevedeva per chi voleva mantenere la cittadinanza italiana l’abbandono della propria terra. Per questo motivo la Jugoslavia non riconosceva loro la cittadinanza e chi non rientrava in Italia, rischiava di rimanere apolide. Chi rimaneva doveva fare i conti con l’angoscia di restare in territori non più italiani, sotto un regime repressivo, o addirittura di rimanere apolide, inoltre, lo stato italiano non garantiva protezione contro l’intolleranza o la discriminazione etnica. Una delle tante pagine non scritte della nostra storia recente è l’Esodo di 350.000 fiumani, istriani e dalmati che, nel 1945, dovettero scappare ed abbandonare la loro terra, le case, il lavoro, gli amici e gli affetti incalzati dalle bande armate jugoslave. Essi si riversarono in Italia con tutti i mezzi possibili: vecchi piroscafi, macchine sgangherate, treni di fortuna, carri agricoli, barche, a nuoto e a piedi. Una fuga per restare italiani, un vero Esodo biblico, affrontato con determinazione, verso un’Italia sconfitta e semidistrutta, quale reazione al violento tentativo di naturalizzazione voluta nella primavera del 1945, dalla ferocia dei partigiani slavi. Improvvisamente l’Istria, Fiume e la Dalmazia furono oscurate dall’ombra livida di un destino incerto e rosso di sangue innocente. La gente era bloccata dalla paura dei rastrellamenti improvvisi, delle vendette e delle notizie di infoibamenti, di affogamenti e di fucilazioni che la giustizia sommaria di sedicenti tribunali del popolo irrogava a chi era colpevole di essere italiano. Le città cominciarono a svuotarsi: da Fiume fuggirono 54 mila su 60 mila abitanti, da Pola 32 mila su 34 mila, da Zara 20 mila si 21 mila, da Capodistria 14 mila su 15 mila. Giorno del ricordo 10 febbraio 2014 Vedendo questo bel mare, lui che era pescatore, ne è rimasto affascinato e pensando di poter lavorare bene, è venuto a prendere me e il bambino. Così siamo arrivati a Fertilia in novembre. Ricordo che ero disperata e piangevo continuamente. La vista del mare mi ricordava la mia terra, ma tutto intorno mi ricordava che non l’avrei mai più rivista! I tempi erano duri, non c’erano ancora le case e noi fummo ospitati in un’aula della scuola insieme ad altre quattro famiglie divise da una tenda. Dopo poco, ci trasferirono a casa Doria. In questo palazzo abitavano circa 100 persone, in ogni camera c’era una famiglia di 3-4 persone e le cucine erano nei corridoi. Mio marito non è riuscito a realizzare completamente il suo sogno, ma questo bel mare ha saputo alleviare la nostalgia della nostra terra e in barca, di notte, cantando “una fresca bavisella” per lui era facile illudersi che dietro quelle luci là in fondo c’era Orsera. Quando furono ultimate le case di via Pola, ci siamo trasferiti nella casa nuova dove abito ancora oggi. Tratto da Ricordi di Fertlia 1947-1997 Comitato Provinciale di Sassari dell’A.N.V.G.D. Amalia Racovaz Velli è morta nel luglio del 2013 all’età di 90 anni e ancora “la parlava in dialetto istrian”. Prof.ssa Daniela Velli Esule di II generazione In questa pagina era presente il testo della canzone1 “Magazzino 18” Di Simone Cristicchi Ascoltatela e guardate il video su YouTube 1 Testo presente nella versione cartacea come da accordi e liberatoria ottenuta dalla produzione Dueffel Music Srl. Giorno del ricordo 10 febbraio 2014 Soltanto l’Esodo degli abitanti di Pola si svolse sotto la protezione inglese con navi italiane. Tutti gli altri istriani, fiumani e dalmati dovettero abbandonare le loro case e i loro averi sotto il controllo poliziesco dei partigiani slavi. Coloro che ottenevano il visto per la partenza potevano portare in Italia 5 kg di indumenti e 5 mila lire. Dopo lunghe settimane di attesa e di controlli, si poteva salire su un convoglio diretto al confine, cioè verso la libertà. Il viaggio era breve, ma diventava lungo per le continue verifiche della famigerata polizia segreta che aveva occhi e orecchi, fino a Trieste. In quelle terre strappate all’Italia rimanevano soltanto le tombe senza croci di migliaia di italiani sprofondati nelle foibe da un programma di «pulizia etnica» che, per 50 anni, storici e politici si sono ostinati a negare. L’esule prima saluta i suoi morti nel cimitero, poi raccoglie povere cose in una grossa valigia. Con le “lagrime” scruta le cose più care, i ricordi di ieri...poi l’addio alla casa, alla terra, al mare e in silenzio va verso l’ignoto. In Italia i profughi vengono ospitati in 109 centri di raccolta sparpagliati in tutte le regioni:si tratta di caserme dimesse con le camerate tramezzate da legno e cartoni per ricavarne stanze, di scuole e seminterrati dove pesanti coperte di lana separavano lo spazio di una famiglia da quello di un’altra, di baraccopoli costruite in campi sportivi. Qui, nella provvisorietà e nella promiscuità, i profughi non vivono per l’emergenza di qualche mese, ma per periodi assai più lunghi: prima di ritrovare la normalità in una casa e la prospettiva di un futuro, essi aspettano 5, 6 e in molti casi persino 10 anni. Storia di miserie e di abbandoni, di violenza, di malinconie e di amarezze. Ma anche storia di dignità morale: le comunità istriane e dalmate hanno saputo ancorarsi alla cultura d’origine, custodita come gelosa difesa della propria identità, e hanno così evitato la deriva, riuscendo a traghettare se stesse verso un nuovo destino. Gli esuli hanno vissuto per anni, con la fierezza di coloro che hanno fatto una scelta irreversibile, quella di vivere da italiani in Italia. Di essere liberi in Patria. “Il mio cuore di esule è una bianca conchiglia per ascoltare il mare che più non mi appartiene” Annalisa Vukusa, Esule Prof.ssa Daniela Velli Esule di II generazione L'ADIO parole di Arturo Daici I disi che bisogna far valise che in primavera dovarò pompar con quatro fazoleti e do camise e con do brazi che sa lavorar. Se devo andar te voio dir adio, come sa dir adio un polesan, a saludarte come un vero fio che parti, per andar assai lontano. Solo do lagrime, una per ocio, e pò in zenocio questa tera baserò. Solo due lagrime, el cor in gola, mia cara Pola mi te saluderò. Adio voio dirghe a la caseta dove che go passà la gioventù, adio a questa tera benedeta perchè se vado no te vedo più. Con la coscienza più che mai serena do robe voio cior per ricordar: in 'un scartoso un tochetin de' Rena, in 'na fiascheta un fià del tuo bel mar. Solo do lagrime … Giorno del ricordo 10 febbraio 2014 Racconti di un Grande Nonno…il mio!!! Alcune volte mi domando come sia possibile che io, nata a Torino 40 anni fa, possa avere così radicato in me l’attaccamento ad una terra e ad un mare conosciuta durante le vacanze della mia infanzia e poi da adulta durante i miei frequenti viaggi di piacere. Tutte le volte che torno ad Orsera (che oggi si chiama Vrsar) imboccando la strada che mi porta alla marina e intravedendo il mare, lo stomaco si chiude e gli occhi si gonfiano di lacrime, poi la risposta...per quanto abbia viaggiato e vissuto in città diverse durante gli anni della mia vita, Orsera rappresenta le mie radici, la mia storia e la storia della mia famiglia. Persi mio nonno all’età di 10 anni ma ancora oggi a distanza di 30 anni il suo ricordo vive in me limpido, proprio come i suoi racconti…. “Per sfuggire ai bombardamenti, noi pescatori ci si nascondeva in mare,sotto la barca rimanendo in apnea anche per molto tempo…” “Al mattino si usciva per pescare, per procurarci il cibo, nel terrore di non riuscire più a tornare indietro….lo stesso terrore che ci faceva chiudere gli occhi alla sera quando si constatava che il tuo vicino di casa era stato portato via dagli slavi e mai sarebbe tornato”. “Noi decidemmo di partire per rimanere italiani, ma passammo per fascisti….noi non eravamo né fascisti, né comunisti…ma solo italiani senza patria”. “In preparazione all’esodo, gli istriani facevano la coda per avere chiodi per chiudere le casse dove avrebbero riposto i propri averi destinati ai magazzini di Trieste, se già si aveva poco, con sé si doveva portare ancora meno”. “Si partì nel gennaio del 1947 a bordo della nave Toscana, ci imbarcammo di sera, pioggia, gelo, silenzio, scialli, ombrelli…stivati come delle sardine in scatola in tre file di cuccette l’una sopra l’altra, centinaia di uomini, di donne e di bambini fingevano di dormire e fingevano di non piangere, tutti resi uguali dallo stesso dolore e dalla stessa paura…tuo papà aveva poco più di tre anni e tua zia neanche 1 anno”. Da mio nonno a mio padre, da mio padre a me, questi e tanti altri aneddoti si sono tramandati di generazione in generazione, raccontati con il cuore in gola e gli occhi lucidi e hanno radicato in me il profondo orgoglio di essere un’esule di II generazione che non vuole dimenticare ma ricordare ed abbattere il silenzio. Prof.ssa Daniela Velli Esule di II generazione