Analisi dell`invecchiamento in Italia negli anni della crisi

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Analisi dell`invecchiamento in Italia negli anni della crisi
Analisi dell’invecchiamento in Italia negli anni della crisi
Cecilia Reynaud1, Sara Miccoli2
1
Università degli studi Roma Tre
[email protected]
2
Università degli studi La Sapienza
[email protected]
Introduzione e obiettivi
La popolazione italiana, ormai da anni, sta subendo un intenso processo di invecchiamento: la componente
anziana è infatti aumentata e continua ad aumentare sia in numero assoluto sia relativamente al resto della
popolazione, soprattutto a quella giovanile. Questo importante fenomeno demografico è stato determinato
dalla capacità acquisita dall’uomo di poter controllare due importanti eventi della vita umana: la morte
precoce e la nascita indesiderata (Golini, Basso, Reynaud, 2003). Il controllo sulla morte precoce ha portato
ad un aumento della longevità dell’uomo sino ad età in passato lontanamente immaginabili, mentre il
controllo sulla nascita indesiderata ha consentito alle donne di controllare la propria fecondità contribuendo,
assieme a fattori sociali ed economici sopraggiunti successivamente, alla drastica diminuzione del numero
medio di figli per donna.
Tale importante cambiamento nella struttura per età della popolazione italiana non è stato accompagnato da
variazioni di tipo sociale ed economico in grado di supportare e gestire i mutamenti demografici e le
conseguenti trasformazioni verificatesi all’interno della società e della popolazione. Inoltre, i costi
dell’invecchiamento potrebbero essere notevoli, dal momento che già nel 2010 “una fetta ragguardevole
della spesa sociale europea (circa un quarto del PIL) era indirizzata per quasi la metà verso le classi di età
anziane” con la previsione che i cambiamenti demografici avrebbero spinto verso un aumento di questa spesa
(De Santis, 2010).
Se fino a qualche tempo fa l’attenzione e l’impegno di opinione pubblica e classe politica sono state rivolte
al tema dell’invecchiamento e alle possibili soluzioni dei problemi derivanti da esso, il sopraggiungere della
crisi economica e la conseguente gestione delle sue conseguenze, ha posto in ombra tale tematica, ormai
scomparsa dal dibattito pubblico e dall’agenda politica di qualsiasi governo.
Le misure realizzate e volte a far fronte alla crisi economica non sembrano essere le stesse che sembravano
in grado di permettere una gestione delle conseguenze dell’invecchiamento e una limitazione dei suoi costi.
La crisi economica ha poi impedito o rallentato importanti mutamenti in settori quali lavoro e welfare,
essenziali per una buona gestione delle difficoltà legate alla crescita della popolazione anziana e per una
eventuale ripresa della fecondità delle donne italiane.
Risulta quindi essenziale comprendere l’evoluzione della popolazione negli ultimissimi anni, in cui il
persistere di difficoltà economiche ha continuato a frapporsi all’attuazione di importanti misure di tipo
sociale ed economico ponendo famiglie ed individui in situazioni negative dagli importanti effetti sulle
dinamiche naturali e migratorie che determinano grandezza e struttura della popolazione.
Gli obiettivi di questo lavoro sono quindi quello di esaminare l’evoluzione dell’invecchiamento in Italia
negli ultimi anni, quelli della crisi, attraverso un’analisi territoriale a livello provinciale, e di verificare le
diverse connessioni con le dinamiche demografiche ed economiche che hanno determinato l’attuale quadro
demografico.
Dati e metodi
La disponibilità dei dati Istat della distribuzione per età della popolazione per provincia già a partire dal
1982, della ricostruzione intercensuaria della popolazione, consente un’analisi di quella che è stata
l’evoluzione dell’invecchiamento sia da un punto di vista temporale che territoriale. Le analisi descrittive
hanno già consentito di evidenziare le relazioni esistenti tra le diverse componenti demografiche e
l’evoluzione del processo di invecchiamento e di mettere in luce come le zone più in ritardo da un punto di
vista economico siano poi quelle che abbiano sperimentato negli ultimi anni una velocità
dell’invecchiamento maggiore di quella registrata nelle zone più sviluppate del paese. Analizzando a livello
provinciale indicatori economici e demografici congiuntamente, si vuole proporre una cluster territoriale
dinamica al fine di mettere in luce non solo la diversa situazione demografica di oggi, ma anche la differente
evoluzione che hanno sperimentato le molteplici aree territoriali del paese (aggregazioni di province). La
comprensione della diversa evoluzione consente inoltre di verificare quale sia e soprattutto quale potrebbe
essere l’impatto della crisi economica nell’evoluzione demografica futura. Il confronto, infatti, tra i valori dei
primi anni delle previsioni dell’Istat effettuate con base 2011, disponibili fino a livello regionale, e quello
che si è verificato nella realtà fino al 1.1.2014 consentono di mostrare e riflettere su quello che è stato il
cambiamento repentino dovuto alla crisi economica degli ultimi anni, nonostante la lentezza dei processi
demografici.
Primi risultati
In Italia, sul fronte del rinnovamento demografico, aumento di natalità e fecondità, la situazione appare
decisamente negativa. Il tasso di fecondità totale, dopo una ripresa lenta ma costante, era pari a 1,46 nel
2010, mentre quello del 2012 era stato pari a 1,42 e quello stimato del 2013 pari ad 1,39, tornando al valore
del 2007, precedente l’inizio della crisi. Il tasso di natalità è passato dal valore di 9,8 nel 2008, anno di inizio
della crisi, al valore di 8,5 nel 2013. Il tasso di crescita naturale risulta ovviamente negativo e diminuito
rispetto agli anni precedenti: se nel 2008 e nel 2010 risultava essere pari a -0,1 e -0,4, nel 2013 è pari a -1,4.
Difficile però appare l’analisi del saldo migratorio: questo, nel 2013 risulta essere pari a 19,7,
incredibilmente superiore rispetto ai valori degli anni precedenti. L’aumento, in realtà, sembra essere
imputato alla componente relativa al saldo migratorio per altri motivi, pari al 16,8 nel 2013 e all’1,9
nell’anno prima.
Nonostante i cambiamenti demografici siano lenti e godano di un processo di inerzia, l’indice di vecchiaia,
dal 2007, anno precedente alla crisi, al 2014 è aumentato di più di 10 punti percentuali passando dal valore di
142,3 a quello di 154,1. In soli tre anni, dal 2011 al 2014, l’aumento è stato pari all’ 8%. L’aumento
dell’indice di vecchiaia è stato molto forte soprattutto nelle regioni e nelle province del Mezzogiorno, anche
se queste non hanno ancora raggiunto i livelli elevati delle ripartizione del Centro-Nord: negli stessi anni
l’indice nelle regioni del Sud è passato da 109,9 a 131,1 e nelle Isole da 120,1 a 142,8 con un incremento in
queste due zone pari a circa il 20%. Ovviamente questo è determinato in gran parte dalla diminuzione della
fecondità: il TFT di queste due ripartizioni è diminuito fino a 1,31 figli per donna con una variazione
percentuale di più del 4% a fronte invece di un valore al 2013 di poco superiore a quello del 2007 nelle
ripartizioni del Nord e del Centro.
La descrizione del fenomeno a livello ripartizionale nasconde ovviamente un quadro fortemente eterogeneo:
se da un lato nelle province con un più basso livello di invecchiamento si trovano prevalentemente quelle
della Calabria e della Puglia in realtà al 4° posto si trova Bolzano e al 9° Brescia; così come tra le province in
cui si è registrata una diminuzione dell’indice di vecchiaia tra il 2007 e il 2013 si trovano province del
Centro-Nord come Parma, Ravenna, Siena e Ferrara nelle quali più che una diminuzione della fecondità si è
registrato un forte aumento del saldo migratorio.
L’attuale situazione demografica italiana risulta essere frutto di svariate cause. Il forte declino della fecondità
ed il conseguente invecchiamento della popolazione sono fenomeni che hanno cominciato a verificarsi alcuni
decenni fa a seguito di generali cambiamenti economici e valoriali che hanno coinvolto, in varia misura, la
maggior parte dei paesi occidentali. Nel corso degli anni, però, il quadro demografico italiano ha mostrato di
essere maggiormente legato a delle caratteristiche specifiche della società italiana; il persistere di alcuni
comportamenti tradizionali in ambito familiare, disparità di genere in diversi ambiti della società, difficoltà
economiche di vario genere, il disinteresse da parte della politica e delle istituzioni sono tutti fattori che
hanno contribuito e contribuiscono fortemente a disegnare le caratteristiche demografiche dell’Italia.
La crisi economica sembra aver accentuato le problematiche che già esistevano all’interno della società
italiana agendo così anche sui comportamenti demografici. Diversi studi hanno illustrato l’influenza della
crisi economica sulla fecondità in diversi paesi europei, soprattutto in quelli del Sud-Europa, come l’Italia,
dove la situazione occupazionale dei giovani risulta essere piuttosto difficile e fonte di grande incertezza
(Goldstein, Kreyenfeld, Jasilioniene, Karaman Örsal, 2013).
In Italia, il tasso di disoccupazione per i giovani di età compresa tra i 18 ed i 29 anni risulta essere pari al
29,3%; dal 2010 al 2013 l’aumento è stato pari al 47%. Se nelle regioni del Centro-Nord il dato è
leggermente inferiore rispetto a quello nazionale, nel Mezzogiorno risulta invece pari al 42,6%. Tra le
assunzioni poi, sono diminuite quelle a tempo indeterminato; i giovani risultano essere tra i principali fruitori
di contratti di lavoro a tempo determinato e risultano meno protetti in caso di licenziamento (Pastore, 2012).
In questa situazione di grave incertezza, sia per chi un lavoro ce l’ha, sia per chi non ce l’ha, sono di difficile
attuazione, non solo tutti quei passi che scandiscono il passaggio all’età adulta, ma la costruzione di una
propria famiglia e la realizzazione dei desideri connessi alla maternità e alla paternità.
Tutto questo ha portato a delle differenze importanti tra quello che l’Istat aveva previsto al 2011 e quello che
si verifica oggi al 1.1.2014 tanto che regioni come Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Marche fanno
registrare un indice di vecchiaia maggiore di più di 4 punti percentuali di quello previsto nel 2011 e una
percentuale di ultrasessantacinquenni maggiore di 0,5. Se si considerano i bilanci osservati nel 2013 e quelli
previsti per quell’anno si possono considerare le differenze tra le nascite osservate e quelle previste come
una perdita che nel complesso delle regioni ammonta a più 30.000 nascite, di cui circa 8.000 in Lombardia e
quasi 3.500 in Emilia Romagna. Queste “mancate” nascite, plausibilmente da attribuire alla crisi economica
in atto, avranno una ripercussione anche nel futuro poiché, come sappiamo, è proprio il numero assoluto di
nascite ad influire maggiormente sull’invecchiamento futuro (Golini et al., 2003). Il persistere della crisi non
potrà quindi che rendere ancora più preoccupante la situazione demografica italiana e la sua sostenibilità.
Breve bibliografia
De Santis G., 2010, “Europa: un invecchiamento sotto controllo?” in Europa, 2020. Politica
dell’immigrazione e della cittadinanza, Neodemos
Goldstein J. R., Kreyenfeld M., Jasilioniene A., Karaman Örsal D., 2013, “Fertility reactions to the
“Great Recession” in Europe: recent evidence from order-specific data”, Demographic Research, Vol. 29,
Art. 4, 85-104
Golini A., 2000, “Possible policy responses to population ageing and population decline. The case of
Italy”, Population Bullettin of the United Naions Special Issue 44-45, 150-170
Golini A., Basso S., Reynaud C., 2003, “L’invecchiamento della popolazione in Italia: una sfida per il
paese e un laboratorio per il mondo”, in Giornale di Gerontologia, n. 6/2003
Pastore F., 2012, “La disoccupazione giovanile in tempo di grande crisi”, www.lavoce.info
Prettner K., 2013, “Population ageing and endogenous economic growth”, Journal Population
Economics 26, 811-834