341 Il museo di Stefano Bardini:Layout 1
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n° 341 - luglio 2009 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Il museo di Stefano Bardini Pittore, antiquario e restauratore, l’eclettico personaggio che diffuse tra i grandi collezionisti di tutto il mondo la passione per l’arte del Rinascimento fiorentino Dopo dieci anni di chiusura è stato riaperto al pubblico il Museo Bardini di Firenze, sottoposto a un lungo e accurato lavoro di restauro che ha riportato il palazzo all’allestimento datogli dal suo creatore, l’antiquario Stefano Bardini (1854-1922). Arrivato a Firenze dalla natia Pieve Santo Stefano all’età di diciotto anni, Bardini aveva iniziato i suoi studi di pittura all’Accademia di Belle Arti come allievo di Giuseppe Bezzuoli. In questo periodo di formazione giovanile frequentava il Caffè Michelangiolo, entrando a far parte del gruppo dei macchiaioli, apparentemente senza subirne l’influenza: della sua produzione pittorica resta solo un affresco nella Villa di Triboli all’Impruneta, realizzato in uno stile di pretto stampo accademico. Bardini entrò ben presto nel mercato dell’antiquariato, che all’epoca viveva un periodo di grande successo a Firenze - soprattutto grazie al ricco ambiente cosmopolita presente in città - divenendo la figura di maggiore spicco e autorità in questo settore. Poteva vantare fra i suoi clienti musei famosi, tra i quali i Musei Statali di Berlino e il Louvre, e collezioni- Salone del primo piano sti di tutto il mondo come Isabella Gardner Stewart, Pierpont Morgan, John J. Johnson, i coniugi Jacquemart-André. Dotato di talento, gusto e una certa dose di spregiudicatezza, Bardini acquisì notevole fama anche come restauratore, spesso “ricreando” decorazioni architettoniche e camini con elementi di diversa provenienza. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento Firenze viveva un momento straordinario e irripetibile sulla scena del collezionismo d’arte a livello internazionale, che in alcuni casi diveniva un vero e proprio stile di vita. Già negli anni Sessanta, John Temple Leader aveva ri- creato il medioevo di maniera dei romanzi di Walter Scott nel castello di Vincigliata sui colli fiorentini (praticamente ricostruito ex-novo da pochi ruderi); nel castello era stata collocata l’intera decorazione di affreschi distaccati da una cappella fiorentina del Trecento. Nel maniero Temple Leader accoglieva artisti, ospiti illustri e teste coronate, compresa la regina Vittoria. Si andavano costituendo, per opera di cittadini britannici residenti in città, grandi collezioni destinate a divenire in seguito musei aperti al pubblico. A pochi passi dalla sede di Bardini, appena attraversato l’Arno, Herbert Percy pag. 2 Horne acquistava e faceva restaurare un palazzetto quattrocentesco nei pressi della basilica di Santa Croce per ospitarvi una raccolta di capolavori, tra cui una tavola di Giotto, opere dei Lorenzetti, Filippino Lippi e altri maestri dal Trecento agli inizi del Cinquecento. Lo studioso e critico d’arte inglese arredò le stanze dell’edificio con un’importante raccolta di mobili e oggetti d’arte; oltre ai dipinti la collezione comprendeva sculture di Ghiberti, Desiderio da Settignano, Sansovino, fino al Bernini, nell’intento di ricreare l’atmosfera di una dimora d’epoca. Alla morte di Horne, avvenuta nel 1916, il palazzo e la raccolta passarono allo stato italiano. Analogo il percorso di Frederick Stibbert, cittadino britannico nato a Firenze, che alla fine del XIX secolo faceva ristrutturare una villa alla periferia della città per accogliervi la sua collezione di armi, costumi e oggetti di arte applicata, ambientandola in sale a tema allestite appositamente da famosi architetti e decoratori. Allo stesso modo, e negli stessi anni, Bardini raccolse un notevole corpus di opere d’arte, messo insieme con amore e passione per il Rinascimento; l’antiquario contribuì a diffondere in tutto il mondo il mito del Rinascimento italiano e mostrò un attento interesse non solo per i grandi capolavori ma anche per tutte le forme di arte applicata, che ancora oggi costi- tuiscono uno dei motivi di maggior fascino del museo. In particolare, Bardini riscoprì e diffuse il gusto per le decorazioni architettoniche rinascimentali, per la scultura in stucco e quella in terracotta. Gli ambienti dell’attuale museo, che Bardini utilizzava come showroom per la sua attività di antiquario, sono stati riportati alle decorazioni originarie, ripristinando il colore blu delle pareti, così come le aveva volute Bardini: è una tonalità di colore che nella sua particolarità fu apprezzata e imitata da grandi collezionisti stranieri, JacquemartAndré a Parigi e Isabella Stewart a Boston, per le sale in cui erano esposte le loro raccolte d’arte, e che permetteva di dare il massimo risalto alle opere di scultura collocate lungo le pareti. Bardini fece costruire il palazzo che ospita il museo nel 1880, acquistando dalla famiglia Mozzi alcuni edifici di epoche diverse, fra i quali la chiesa sconsacrata di San Gregorio della Pace, edificata verso la fine del XIII secolo. L’antiquario trasformò questi edifici in un imponente palazzo di gusto eclettico, utilizzando per la costruzione materiali di spoglio: pietre medievali e rinascimentali, architravi scolpite, camini e scalinate, nonché soffitti a cassettoni dipinti; le finestre al primo piano della facciata, per esempio, provengono dagli altari della chiesa di San Lorenzo a Pistoia; altri pezzi furono recuperati con cura e lungimiranza durante le demolizioni nell’area del Mercato Vecchio a Firenze, l’antico centro cittadino drasticamente “risanato”, anzi come recita la lapide collocata nell’attuale piazza della Repubblica «da secolare squallore a vita nuova restituito». A fine Ottocento, il complesso della proprietà Bardini era molto più vasto dell’attuale: vi appartenevano tra l’altro il duecentesco Palazzo Mozzi, anch’esso affacciato sulla piazza, e il grande parco che si estende per quattro ettari sulle pendici del colle di Belvedere (il Giardino Bardini, re- Donatello : Madonna con Bambino Donatello: Madonna della mela pag. 3 centemente restaurato e aperto al pubblico), con una magnifica vista; ai margini del giardino sorge la villa che costituiva l’abitazione di Bardini (attualmente ospita collezioni d’arte e mostre temporanee) con una loggia panoramica, rimesse, laboratori, alloggi di servizio, sale di esposizione e depositi. Il patrimonio del museo è costituito da un eclettico insieme di oltre 2.000 pezzi, tra pitture, sculture, armature, strumenti musicali, ceramiche, monete, medaglie e mobili antichi: 36 cassoni rinascimentali, 190 cornici d’epoca, 10 camini, 400 fra dipinti e sculture, tutti pezzi scelti con cura e competenza dall’antiquario durante i suoi viaggi in Italia e all’estero. Oggi il museo è tornato a risplendere, e alla collezione riunita da Bardini sono stati aggiunti alcuni pezzi di particolare significato per la città: il restaurato “Marzocco” (il leone che tiene lo scudo con il giglio, simbolo di Firenze), posto in origine all’ingresso di Palazzo Vecchio, e il Cinghiale in bronzo eseguito da Pietro Tacca per Ferdinando II de’ Medici, che per secoli aveva ornato la fontana posta accanto alle logge del Mercato Nuovo (e che i fiorentini avevano familiarmente ribattezzato “il Porcellino”). Alla sua morte Bardini lasciò la collezione e l’edificio in cui era custodita al Comune di Firenze. Il museo ha subito negli anni alcuni adattamenti e riallesti- menti che non rispettavano l’aspetto originario, come la tinteggiatura delle pareti in una tonalità neutra. Il restauro appena terminato ha mirato soprattutto a ricostruire il museo così come Bardini lo aveva concepito. I lavori di ristrutturazione hanno riguardato la sicurezza, l’agibilità e gli impianti. È stato restaurato lo scalone monumentale, oltre che il piano nobile, il terrazzo, le sale dei bronzi e delle cornici. Infine, sono stati recuperati i pavimenti in cotto e tutti i motivi ornamentali sulle pareti. Le nove sale del pianterreno sono dedicate alla scultura e contengono reperti etruschi, romani e medievali collocati in ordine cronologico. Si tratta di frammenti, capitelli, colonne e sculture, tra le quali spicca la trecentesca Carità del maestro senese Tino di Camaino: la monumentalità della figura femminile, quasi a grandezza naturale, è accentuata dalla compattezza delle masse plastiche che richiamano le opere di Arnolfo di Cambio. La sala principale del piano ammezzato è dominata da un grande Crocifisso ligneo d’epoca medievale, e contiene la collezione di cassoni nuziali e una serie di terrecotte invetriate della bottega dei della Robbia. Nelle dieci sale del primo piano si trovano sculture, tra le quali la Madonna dei Cordai e la Madonna della Mela di Donatello, e pitture: no- Sala delle cornici Atrio d’ingresso tevoli trenta disegni del Tiepolo e l’Atlante del Guercino. Il San Michele Arcangelo di Antonio del Pollaiolo rappresenta l’opera pittorica di maggiore rilievo nel museo: dipinto su tela, è identificabile con lo stendardo che Vasari cita come opera commissionata da una confraternita di Arezzo, ed è contemporaneo delle tavolette con le Fatiche di Ercole della Galleria de- pag. 4 Antonio del Pollaiolo: San Michele Arcangelo gli Uffizi. In questo piano del museo sono esposti anche pregevoli pezzi di arti minori, ceramiche, medaglie, bronzetti, tappeti orientali, strumenti musicali, cassoni rari del Quattrocento. Lungo lo scalone sono stati appesi i tappeti antichi, tra i quali quello lungo oltre 7 metri, che venne usato in occasione della visita di Hitler a Firenze nel 1938 (è ancora visibile lo strappo che gli speroni degli stivali di Hitler tracciarono sul prezioso tap- Tino di Camaino: Carità peto). Al primo e secondo piano si trovano i dipinti e i bronzi e si può seguire il restauro “in diretta” del Crocifisso dipinto su una croce lignea sagomata di scuola giottesca. federico poletti Pietro Tacca: Cinghiale