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Per una vita buona e bella
Lettera pastorale 2012/13
Chiesa memoria e profezia
Lo scorso anno la nostra diocesi ha celebrato i 500 anni della sua esistenza. Il Giubileo diocesano
è stata un’occasione propizia per renderci conto che la Chiesa non ha altro da dare che Cristo, la sua
Parola, il suo Vangelo, il suo Spirito. La Chiesa è memoria, sguardo rivolto al passato, ma è anche
profezia, sguardo rivolto in avanti, verso il futuro. L’anno scorso abbiamo posto l’accento sulla esigenza di ringraziare per quanto abbiamo ricevuto, quest’anno vorrei invitarvi a guardare in avanti.
La predicazione di Gesù, il suo messaggio è stato subito chiamato “Vangelo”, che in lingua greca
significa “bella notizia, annunzio di gioia”. Oggi la parola Vangelo evoca ancora l’insegnamento di
Gesù, ma spesso come una realtà lontana, che richiama forse il mondo dell’infanzia, ma che per
molti resta sullo sfondo, “troppo bello per essere vero”.
Educare alla vita buona del vangelo
Eppure il primo compito della Chiesa è proprio convincere che Gesù è venuto per rendere la nostra
vita più bella. Quando diciamo che è venuto a salvarci, a perdonarci, a donarci la sua Grazia, il suo
Spirito… intendiamo proprio questo: è venuto per rendere la nostra vita più bella. Uso questo aggettivo nel senso di una vita più armonica, più giusta, più vera, più serena, più buona. Due anni fa
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i vescovi italiani hanno impegnato la Chiesa del nostro Paese a dedicare il decennio che stiamo vivendo (2011 – 2020) a “Educare alla vita buona del vangelo”. Non si dice: educare al vangelo, ma
si vuol mettere in evidenza che il vangelo ci tocca solo se ha qualcosa da dirci sulla vita concreta,
sul bisogno che tutti noi abbiamo di vivere “bene”, che non significa tanto vivere comodamente, ma
di avere una vita piena, che realizzi le nostre aspirazioni, ci faccia sperimentare di essere utili a
qualcosa, di essere amati da qualcuno, di avere delle prospettive, di avere un po’ di pace dentro
di noi.
Vorrei che quest’anno la nostra Chiesa diocesana si rendesse conto che ha il compito di rendere la
vita più buona, bella, giusta, vera, piena, serena…
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La vita “buona”
Nel concreto colleghiamo il positivo della vita con alcune condizioni che riteniamo indispensabili:
c’è vita buona se c’è salute, lavoro, casa, cibo, un minimo di sicurezza sociale; c’è vita buona se ci
sono affetti condivisi, se si è in pace con se stessi; c’è vita buona se si percepisce di essere stimati,
apprezzati; c’è vita buona se si sperimenta almeno un minimo di libertà, di dignità.
Gesù nei racconti che ci hanno trasmesso i vangeli parte proprio da queste esperienze: il vino per
una festa di nozze che rischia di concludersi con una figuraccia; pane in abbondanza; ma soprattutto
sofferenze e umiliazioni alleviate: le pagine del vangelo fanno scorrere una folla di ciechi, paralitici, storpi, muti, lebbrosi, epilettici e dietro la parola “indemoniati” possiamo indovinare situazioni
di alienazione, incomunicabilità, rifiuto… Gesù si prende a cuore queste situazioni e le guarisce.
Certo Gesù dona anche una guarigione più radicale: “Ti sono perdonati i peccati!”; dona un pane
che sfama in modo radicale e ammonisce “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il
cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà “ (Giovanni 6,27). Ma questa
prospettiva “spirituale” non annulla quella “materiale”. Il cristiano è sempre cittadino dell’al-di-
qua e contemporaneamente dell’al-di-là. E’ un equilibrio difficile ed instabile, basta poco per cadere in una prospettiva solo materialista o perdersi in una spiritualità che dimentica che Cristo si è
fatto carne.
La Chiesa “esperta in umanità”?
Nel 1962, cinquanta anni fa, iniziava il Concilio Ecumenico Vaticano II, che aveva come scopo di
ripresentare il patrimonio della fede cristiana. Papa Giovanni XXIII lo aveva espresso con chiarezza
nel discorso di apertura del Concilio: “Il nostro dovere non è soltanto custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e
senza timore a quell’opera che il nostro tempo esige … un balzo innanzi verso una maggiore penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze” .
E’ suggestivo e significativo l’inizio del documento “Gaudium et spes” (La Chiesa nel mondo contemporaneo) che affermava solennemente che “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli
uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze,
le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi
eco nel loro cuore” (GS, 1).
Il papa Paolo VI era convinto che si fosse fatto un grande passo nella direzione di dimostrare che la
fede cristiana sta davvero dalla parte dell’uomo, è portatrice di un messaggio di “umanesimo”.
Infatti concludendo la quarta e ultima sessione del Concilio, il 7 dicembre 1965, dichiarava: “La religione cattolica e la vita umana riaffermano così la loro alleanza, la loro convergenza in una sola
umana realtà: la religione cattolica è per l’umanità; in un certo senso essa è la vita dell’umanità.
E’la vita, per l’interpretazione, finalmente esatta e sublime, che la nostra religione dà all’uomo (non
è l’uomo, da solo, mistero a se stesso?); e la dà precisamente in virtù della sua scienza di Dio: per
conoscere l’uomo vero, l’uomo integrale, bisogna conoscere Dio”. E’ in questa prospettiva che
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pochi mesi prima (4 ottobre 1965) presentandosi all’assemblea dell’ONU il papa rivendicava alla
Chiesa il titolo di “esperta in umanità”.
A distanza di 50 anni rimaniamo convinti che nel Dio di Gesù Cristo si può cogliere il senso profondo della vita umana, che davvero la fede cristiana offre una luce potente per capire l’enigma
della vita e della morte. Ma siamo anche convinti che gli uomini d’oggi spesso guardano alla chiesa
con diffidenza, talvolta rimproverandole di essere non a favore, ma contro l’uomo.
Questo è dovuto al fatto che la chiesa non ha saputo dire con sufficiente chiarezza il Vangelo di
Gesù. E’ vero che la chiesa è depositaria di un tesoro splendido di verità e di bellezza, ma lo conserva in vasi di argilla, fragili (così si esprime S. Paolo nella seconda lettera ai Corinzi 4,7). In altre
parole la chiesa ha un patrimonio ricchissimo ma spesso non riesce a trasmetterlo in modo adeguato.
• Come mai il messaggio cristiano, che è subito stato definito “bello”, “buono” (è
questo il significato della parola vangelo) oggi viene spesso visto come una
gabbia, una serie di precetti che incatenano invece di liberare?
• Personalmente riesco a testimoniare che per me la proposta cristiana è attraente
e convincente?
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L’anno della fede
Il non riuscire a convincere gli uomini d’oggi della bellezza e bontà del proprio insegnamento non
è un motivo per tacere o rinunciare a proporre la propria fede. Anzi è un motivo “per intensificare
la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole e a rinvigorire la loro adesione al Vangelo”: sono parole del papa
Benedetto XVI che proprio in occasione dei 50 anni dall’inizio del Concilio
Vaticano II e dei 20 anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa
Cattolica ha indetto un “anno della fede”, che inizierà il prossimo 11 ottobre
(giorno d’inizio del Concilio) per concludersi il 24 novembre 2013 (festa di
Cristo Re dell’universo, ultima domenica dell’anno liturgico). Nel documento
con cui ha indetto l’anno della fede il Papa ribadisce che “La Chiesa nel suo
insieme, e i pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori del deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia
col Figlio di Dio, verso colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” (La porta
della fede, 2).
L’anno della fede ha quindi come obiettivo di approfondire la nostra fede perché questa illumini meglio la vita. Come già ho più volte ripetuto la fede in Gesù e nel suo Vangelo è per una vita più piena
e intensa, più buona e più bella: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in pienezza” (Gv
10,10), aveva detto Gesù.
La fede illumina la vita
Già più di venti anni fa uno studioso dei comportamenti umani sosteneva che in Italia la religione
è presente nella mentalità della gente, ma sullo sfondo, come lo scenario di un teatro, che rimane
sempre lo stesso anche quando cambiano le vicende della vita (Franco Garelli, La religione dello scenario, Il Mulino, 1986). E’ quanto oggi sostiene papa Benedetto XVI : “…si continua a pensare la
fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti questo presupposto non solo non è più
tale, ma spesso viene persino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto cul-
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turale unitario, largamente accolto nel suo
richiamo ai contenuti della fede e ai valori
da essa ispirati, oggi non sembra più essere
così in grandi settori della società, a motivo
di una profonda crisi di fede che ha toccato
molte persone” (La porta della fede, 2).
Personalmente vedo in questa situazione l’occasione per una fede più pensata, meglio interiorizzata, più adulta e matura. Oggi una
fede che rimanga ai margini della vita non è
significativa, non dice nulla e quindi non
viene presa in considerazione.
La maggioranza di coloro che hanno abbandonato la pratica religiosa non l’hanno fatto
perché convinti da qualche argomento razionale contro la fede, ma perché la loro esperienza di vita non è stata toccata dal messaggio cristiano,
le loro speranze non sono state risvegliate, la loro immaginazione non è stata sollecitata.
Qualche anno fa avevo scritto che il cristiano deve essere un ascoltatore attento della Parola di Dio,
deve cioè alimentare la propria fede, per poi viverla nel concreto dell’esistenza quotidiana. Facendo riferimento alla nostra Cattedrale che il sabato mattina è circondata dal mercato, dicevo che
il cristiano deve essere in grado di passare dalla cattedrale al mercato. Nel duomo si ascolta la Parola di Dio, si celebra l’Eucaristia.
Ci si incontra col Signore. La Chiesa si costituisce proprio attorno alla Parola e all’Eucaristia. Ad
un certo punto bisogna però uscire dal duomo. Perché la vita è fuori, perchè la comunità cristiana è
missionaria e testimone; deve cioè esprimere nella vita quotidiana la bellezza, la consistenza, l’affidabilità, la saggezza della esperienza cristiana. Non dobbiamo aver paura del mercato. E’ questa
la realtà per cui Cristo è venuto al mondo.
I luoghi della vita
Se andiamo al mercato e ascoltiamo i discorsi della gente di che cosa si parla? Al di là dei convenevoli, mi pare che gli argomenti che ritornano di più siano questi:
1. Anzitutto la famiglia, i figli e i nonni, la loro salute e i loro guai. La famiglia rappresenta come
lo sfondo dei nostri interessi, della nostra vita quotidiana; i legami familiari sono i più forti, il
cuore ritorna sempre lì, agli affetti più coinvolgenti. E gli affetti non sono forse al centro della
vita dei giovani?
2. Poi si parla di lavoro, di crisi economica. E si tratta di realtà molto complesse: dal prezzo della
frutta alla cassa integrazione, dalla riduzione dei posti di lavoro alla speranza di andare in pensione. Il lavoro è una problema grande, in particolare per i giovani. Certo si parla anche del
tempo lasciato libero dal lavoro, di ferie, di vacanze, di viaggi, di feste.
3. Si parla di salute. In genere con una certa preoccupazione. Della salute propria e di quella dei
propri cari. Di visite mediche, di esami e di ricoveri. Di come assistere il papà che non è più
autosufficiente.
4. Si parla dei giovani e dei ragazzi, dei problemi della scuola e di cosa faranno in futuro. Parlando
dei ragazzi e dei giovani si parla necessariamente di dove sta andando il mondo.
5. Infine si parla della società di cui facciamo parte, del sindaco e del piano regolatore, del governo e delle tasse, della Banca europea e dell’euro.
Ebbene, espressi con parole diverse, sono proprio gli argomenti che nel 2006 il Convegno Ecclesiale
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della Chiesa italiana, tenuto a Verona, definiva “luoghi di vita”, “ambiti della testimonianza” e che
così elencava:
1. Vita affettiva, la dimensione affettiva delle relazioni sociali, in particolare la famiglia.
2. Lavoro e festa.
3. Fragilità umana, accoglienza, assistenza e cura.
4. Tradizione, trasmissione del patrimonio vitale e culturale della società.
5. Cittadinanza, appartenenza civile e sociale.
E’ in questi “luoghi di vita” che agisce la fede cristiana, diventando “luce” e “sale” che dà orientamento e consistenza a pensieri, sentimenti, decisioni. Noi cristiani dovremmo tenere sempre presenti
questi aspetti del vivere, che formano come l’alfabeto della vita cristiana.
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• Normalmente quando pensiamo alla nostra fede il riferimento va alla preghiera,
alla Messa, alla parrocchia. Perché c’è difficoltà a riferirla anche al lavoro, alla
vita di famiglia, al divertimento, alla scuola…?
• Un grande teologo del secolo scorso sosteneva che il cristiano deve avere in una
mano la Bibbia e nell’altra il giornale. Riusciamo a leggere il giornale alla luce
della Bibbia e la Bibbia tenendo conto della vita di ogni giorno, di cui parla il
giornale?
• Hai anche tu l’impressione che alcuni degli ambiti sopra ricordati siano abbastanza presenti nella vita della Chiesa e dei cristiani, mentre altri sono praticamente trascurati?
“Chiunque segue Cristo, uomo perfetto, diventa lui pure più uomo” (GS 41)
Il Vangelo non è qualcosa di “altro” rispetto alla vita. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha dedicato un’ampia riflessione, La Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et spes, dalle prime parole del testo latino), per cogliere l’intima struttura della vita concreta del cristiano. Sono affascinato
dalla frase che ho posto come titolo di questo paragrafo. E’ come dire che in Gesù posso trovare la
risposta alla mia sete di verità, di gioia, di amore, di bellezza. Certamente il “mondo contemporaneo” oggi è già diverso, anche profondamente, rispetto al 1965 quando il testo fu pubblicato.
Allora non esistevano né internet né i cellulari, quindi era molto diverso il modo di comunicare.
Non esisteva neppure la parola “bioetica”, con tutti i problemi connessi all’inizio e alla fine della
vita. Non si conosceva l’estremismo islamico, né faceva paura l’economia cinese. La scuola era di-
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versa da oggi, solo una minoranza continuava gli studi superiori e universitari. Era quindi diverso
il modo di essere giovani. Era diverso il modo di concepire e vivere la sessualità.
Voglio dire che documenti come la Gaudium et spes dovrebbero essere continuamente riscritti. Più
in concreto il modo di vivere da cristiani, da seguaci di Gesù, va continuamente ripensato. Gesù rimane il modello perfetto, il punto di riferimento, ma noi ne cogliamo solo qualche aspetto, qualche
particolare, per cui il nostro modo di imitarlo è sempre condizionato dall’epoca in cui viviamo e dai
problemi che la vita ci pone.
Papa Gregorio Magno, vissuto nel VI secolo scriveva che “la Sacra Scrittura cresce con chi la
legge”. La Parola di Dio è una realtà viva, dinamica. Tutta la storia della Chiesa, in particolare la
storia della santità nella Chiesa è scoprire sempre aspetti nuovi nel seguire e imitare Gesù. Io interpreto così quella frase un po’ strana del Vangelo, che paragona l’ascoltatore appassionato della Parola di Dio ad un tale che dal baule conservato con cura in solaio tira fuori cose nuove e cose antiche
(v. Matteo 13,52).
Penso per esempio a S. Francesco. A forza di guardare al Crocefisso vi ha scoperto degli aspetti che
prima non erano così evidenti: il modo di vivere poveramente, di vivere la fraternità, di dialogare
con la religione islamica e con lo stesso Saladino. Ogni santo porta un po’ di originalità nella Chiesa
ma anche nella società.
Vorrei insistere su questo aspetto: il Vangelo non dà solo risposte, ma suscita anche domande. Il
Vangelo è fermento, è lievito, non può essere imprigionato dai nostri schemi personali o sociali o
culturali.
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Avere un metodo
Dobbiamo dunque confrontare di continuo la nostra vita con la Parola di Dio, proprio perché diventi
vita “buona”. Per fare questo abbiamo bisogno di un metodo, cioè di un procedimento abituale, con-
solidato, semplice che ci aiuti a far entrare Dio nella nostra vita concreta, in quelli che prima ho definito i “luoghi della vita”. I grandi maestri della vita spirituale hanno elaborato decine o centinaia
di metodi diversi; si può dire che ogni tradizione spirituale (benedettina, francescana, domenicana,
ignaziana, carmelitana …) abbia un suo modo per coniugare la fede e la vita.
Faccio riferimento, in modo estremamente schematico a due metodi: uno che parte dalla vita concreta per giungere alla Parola che illumina la vita (“La revisione di vita”) e l’altro che parte dalla
Parola, letta attentamente, per giungere alla concretezza della vita (“Lectio divina”).
La revisione di vita
E’ un metodo nato tra i giovani operai del Belgio e della Francia ed è conosciuto con i tre verbi che
scandiscono un cammino: vedere, giudicare, agire.
VEDERE: si parte dal concreto di un fatto, un episodio della vita, nostra o di altri. Si tratta di rendersi conto di quello che è capitato, di cosa c’è in gioco, di quali possono essere i motivi che hanno
portato a quel comportamento. E’ uno sguardo attento per impedire che la vita ci scivoli accanto,
per evitare di dare giudizi gratuiti e superficiali.
GIUDICARE: cercare di valutare quel fatto, quell’episodio alla luce della Parola di Dio. Non è facile sia perché conosciamo poco la parola di Dio, sia perché abitualmente la leggiamo in un contesto “asettico”, al di fuori della vita quotidiana. Cosa avrebbe detto Gesù? Come avrebbe agito?
AGIRE: alla luce del Vangelo diventa più facile scegliere, incamminarsi, progettare, proporre…Lo
sguardo di fede diventa azione concreta, decisione.
La lectio divina
Mentre la Revisione di vita parte da un fatto concreto della vita, la “lectio divina” parte dalla Parola
di Dio per giungere agli atteggiamenti e scelte della vita concreta. Anche in questo caso vi sono al-
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cuni passaggi, teorizzati per la prima volta da un monaco
certosino del XII secolo.
Il primo passo è la LETTURA di un brano della S. Scrittura, lettura fatta con calma e attenzione, in modo da cogliere bene il messaggio contenuto.
Segue la MEDITAZIONE, cioè chiedersi quale è il significato di quel brano per la mia vita, cosa mi dice in concreto.
E’ lo sforzo di uscire dalla cattedrale, pensando bene a
quanto vi ho ricevuto, per andare nel mercato. E’ un passaggio non semplice, perché mi richiede di confrontare Parola di Dio e vita. L’evangelista Luca ne parla a proposito di
Maria, la madre del Signore e usa proprio il verbo “confrontare”, “mettere insieme”: “Maria conservava tutte queste cose (riguardanti la sua maternità)
meditandole (letteralmente “mettendole insieme”) nel suo cuore” (Luca 2, 19).
E’ importante allora l’invocazione nella PREGHIERA, per potere capire e agire di conseguenza.
Ultimo momento è l’AZIONE, cioè prendere la decisione di comportarmi alla luce di quanto la Parola di Dio mi ha suggerito.
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• Hai provato qualche volta a leggere la Bibbia partendo da un fatto di vita concreta?
• Quando leggi la Parola di Dio riesci a dare un po’ di tempo alla riflessione, cioè
a chiederti cosa quella Parola può dire alla tua vita concreta?
• Hai provato qualche volta a leggere la Parola di Dio con altri (in famiglia o in
gruppo con altre persone)? Ne hai trovato aiuto oppure pensi che la Parola di Dio
sia troppo personale per essere condivisa?
Educarci alla vita bella e buona
L’essenziale è che mettiamo insieme fede e vita. I metodi possono aiutare ma debbono fare i conti
con una fede spesso fragile, talvolta ancora un po’ infantile e con una vita spesso caotica, che ci si
presenta come una matassa ingarbugliata. Tutti desideriamo una vita bella e buona, tutti siamo alla
ricerca della armonia e della serenità. La Chiesa da duemila anni continua a ribadire che nel Signore
Gesù possiamo trovare la risposta: “non vi è altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che
noi siamo salvati” (Atti 4,12). Le parole di Pietro agli abitanti di Gerusalemme sono le parole di Benedetto XVI agli uomini e donne del XXI secolo. Siamo consapevoli che come cristiani non sempre abbiamo dato una testimonianza credibile e durante il giubileo del 2000 papa Giovanni Paolo II
ci ha insegnato ripetutamente a chiedere perdono.
In umiltà e fiducia
Spesso ritorno su questi atteggiamenti. Nel proporre un itinerario di vita buona non possiamo essere
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presuntuosi né tantomeno arroganti, proprio perché, mentre cerchiamo una vita buona, non siamo
buoni, almeno non lo siamo sempre. Ma questo non è un motivo per tacere. Il vaso è di argilla, ma
il contenuto è un tesoro che ci è stato affidato e che non possiamo tenere per noi stessi. Ritorneremo
l’anno prossimo su questa dimensione che chiamiamo missionaria e che S. Paolo esprimeva con un
grido eloquente: “Guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1 Corinzi 9,16). Nel luglio del 2013 si
terrà a Rio de Janeiro la Giornata Mondiale dei Giovani che avrà come tema: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Torneremo quindi su questo tema.
Oggi a noi viene chiesta la fiducia di chi sa che la nostra speranza ha un fondamento. Sono considerazioni che dobbiamo ripetere spesso a noi stessi, perché la vita ci logora e la tentazione è la rassegnazione e l’arrenderci. “So in chi ho posto la mia fede”: le parole di S. Paolo (2 Timoteo 1,12)
siano anche le nostre.
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Il libro di Tobia
Per aiutarci in questo cammino dalla vita alla fede e dalla fede alla vita, quest’anno proponiamo la
lettura del libro di Tobia. Un libro dell’Antico Testamento poco conosciuto e anche poco utilizzato
dalla liturgia. Però in questi ultimi anni è stato come riscoperto e ci offre molti spunti interessanti
di riflessione sullo sfondo di una grande fede nella provvidenza di Dio. E’ una specie di breve romanzo edificante, scritto nel III secolo a. C., in lingua aramaica, che descrive un viaggio. Ma all’interno del viaggio sono presenti alcuni temi che da sempre fanno parte della storia umana: l’uomo
retto e irreprensibile colpito da disgrazie, la malattia, l’incomprensione in famiglia, situazioni che
sembrano senza via di uscita, una storia di amore che parte da una situazione drammatica e sboccia
in un lieto fine, la fede vissuta in un paese straniero, la preghiera, la festa. Se prestiamo attenzione
ritroviamo quell’alfabeto di base della vita umana a cui facevo riferimento parlando degli “ambiti
di vita” del convegno di Verona.
Ho trovato particolarmente significativo il titolo che un monaco camaldolese ha dato ad un commento a questo libro biblico, pubblicato pochi mesi fa: “Tobia, il mestiere di vivere”. Mestiere di vivere è il titolo con cui sono stati pubblicati i diari di Cesare Pavese. In Pavese come in Tobia
protagonista è la vita quotidiana ma l’atteggiamento di fondo è ben diverso. Mentre in Pavese sembra avere il sopravvento la vita come maledizione, in Tobia è la benedizione che prevale: “perché
Dio è pietoso, si è occupato di noi, ha guidato il nostro viaggio e continua ad aprire la nostra strada.
Dio continua a incamminarsi e a farci incamminare verso Gerusalemme, anche se siamo qualche
volta randagi… perché Dio è buono!”.
Proprio perché crediamo in un Dio che si è fatto nostro compagno di viaggio conserveremo anche
per quest’anno l’icona di Gesù che mette la mano sulla spalla dell’amico per rassicurarlo, icona
proveniente dall’Etiopia, che ho trovato presente in tutte le nostre chiese.
Il contributo di tutti (i laici nella Chiesa)
Vorrei fare ancora una sottolineatura importante. La prospettiva del Vangelo come scuola di vita
buona riguarda tutti, ma in modo particolare i laici.
Chi vive a contatto quotidiano con quelli che ho chiamato i “luoghi della vita” ha il compito, la vocazione di incarnare il messaggio di Cristo nella vita concreta. Il Concilio ci ha insegnato che la
Chiesa è il popolo santo di Dio e che la gerarchia è a servizio della comunità. Nella costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen gentium” il Concilio ha dedicato un capitolo, il quarto, a riflettere sulla
missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. Riporto un passaggio significativo: “E’ vocazione tipica dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali (di questo mondo) e ordinandole
secondo Dio. Vivono nel mondo, cioè implicati in tutti e singoli i doveri e affari del mondo e nelle
ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Lì sono
da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno, a modo di fermento, alla santificazione del mondo
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mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito del Vangelo e in questo modo
a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita, intessuta
di fede, speranza e carità” (LG 31).
Il Concilio ha parlato di corresponsabilità dei laici ma ho l’impressione che spesso è rimasto un augurio più che una realtà. E’ un argomento molto complesso, che richiede quindi di essere ripreso con
calma e anche con maggiore coraggio.
• Hai l’impressione che i laici contino poco nella Chiesa? Questo può essere dovuto al
fatto che non sono preparati? Oppure che non hanno possibilità di farsi sentire? Oppure che i preti, grazie alla loro professionalità, decidono tutto?
• Il laico cristiano è tale non solo quando dà il suo contributo diretto alla vita parrocchiale (come massaro, catechista, membro del coro parrocchiale…) ma anche quando
lavora, in famiglia educa i propri figli, si impegna nella pro-loco e nella protezione
civile, fa volontariato nella casa di riposo… Come mai ci sentiamo cristiani in parrocchia ma dimentichiamo di esserlo nella vita di ogni giorno?
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Alcune priorità
Durante questo anno ancora dedicato a riflettere sulla realtà della Chiesa memoria e profezia vorrei
che si tenessero in particolare considerazione tre aspetti, che ogni comunità parrocchiale e vicariale
cercherà di vivere con riconoscenza e gioia.
1. Curare il rapporto tra la fede e la vita. E’ il tema di fondo di questa lettera ed è un impegno che
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deve accompagnare tutta la nostra vita cristiana. La Chiesa si sente
impegnata in questo Anno della Fede non solo a ringraziare per il
dono della fede, ma a fare in modo che questo dono dia luce e speranza ai diversi ambiti di vita. Dobbiamo convincerci che davvero la
fede rende “buona” la vita. In concreto potrebbe essere un obiettivo
raggiungibile in questo anno rendere più familiare l’alfabeto con cui
scriviamo la nostra vita cristiana, cioè fare più frequentemente riferimento ai cinque “ambiti di vita”: affettività e famiglia, lavoro e
festa, fragilità, tradizione (trasmissione, educazione) e cittadinanza.
Continuare a prestare particolare attenzione ai primi passi dell’Iniziazione cristiana. Ne parliamo già da diversi anni. E’ importante quindi l’impegno che vedo presente in quasi tutte le
parrocchie per preparare bene i genitori che chiedono il battesimo per i loro figli. Dobbiamo
in particolare curare che anche i bambini piccoli (da zero ai sei anni) possano incontrare il
volto buono di Dio, attraverso qualche esperienza adatta alla loro età. Invito poi a curare la trasmissione della fede negli anni della scuola primaria e della media: il metodo dei “quattro
tempi” sta coinvolgendo molte parrocchie e mi pare si intravedano frutti positivi, soprattutto
nel coinvolgimento delle famiglie.
Chiedo un rinnovato impegno dei laici. Il rischio è che sia motivato soprattutto dalla scarsità
del numero dei preti. Il laico non deve coprire le emergenze: come ho già ricordato, facendo
riferimento al Concilio, ha anzitutto il compito di rendere presente la luce della fede nella concretezza della vita familiare e sociale. C’è bisogno di laici che sappiano dare ragione della loro
fede e delle loro scelte e quindi siano in grado di essere evangelizzatori e catechisti di altri
adulti. E’ un tema su cui dovremo ritornare spesso, ma su cui dobbiamo sensibilizzarci da
subito.
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Nei prossimi mesi continuerò la visita pastorale nelle vicarie di Busca, di Verzuolo e Valle Varaita
e di Dronero e Valle Maira. Non vado nelle comunità per controllare, ma per incoraggiare e per cercare di capire insieme come testimoniare una fede che rende bella e buona la vita. Vi chiedo di accompagnarmi e chiedo a tutti di invocare lo Spirito Santo, luce, saggezza, conforto e speranza perché
la nostra Chiesa saluzzese sia segno di speranza.
“Ai fratelli pace e carità con fede da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. La grazia sia
con tutti quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo con amore incorruttibile” (Efesini 6,23-24).
Saluzzo, 2 settembre 2012, solennità di S. Chiaffredo
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Chiesa memoria e profezia
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Educare alla vita buona del vangelo
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La vita “buona”
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La Chiesa “esperta in umanità”?
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L’anno della fede
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La fede illumina la vita
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I luoghi della vita
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Avere un metodo
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La revisione di vita
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La lectio divina
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Educarci alla vita bella e buona
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In umiltà e fiducia
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Il libro di Tobia
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Il contributo di tutti (i laici nella Chiesa)
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Alcune priorità
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