La nostra esperienza nel fare ricerca qualitativa in un contesto

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La nostra esperienza nel fare ricerca qualitativa in un contesto
La nostra esperienza nel fare ricerca
qualitativa in un contesto internazionale
A cura di Rita Bencivenga
Provincia di Genova
1
Il progetto CIAO!Women (225348-CP-1-2005-IT-GRUNDTVIG-G1) ha ricevuto il
supporto finanziario dalla Commissione delle Comunità Europee: Direzione
Generale dell'Istruzione e della cultura - Programma Socrates - Azione Grundtvig
1.
La presente pubblicazione rispecchia solamente il punto di vista dei Partners e la
Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsiasi utilizzo delle
informazioni ivi contenute.
Nota: il contenuto di questo documento può essere riprodotto liberamente, citando
la fonte. Riferimento da citare: Tratto da: “La nostra esperienza nel fare ricerca
qualitative in un contesto internazionale “ A cura di Rita Bencivenga. Progetto
CIAO!Women, cofinanziato dal Programma Socrates dell’Unione Europea,
Azione Grundtvig 1. Pubblicazione della Provincia di Genova, 2007. Edizione
Fuori Commercio.
Novembre 2007
Questo documento e gli altri prodotti del progetto CIAO!Women possono essere
liberamente e gratuitamente scaricati dal sito web: www.ciaowomen.org
Il logo di CIAO!Women è stato realizzato da Gabriella Ventaglio.
2
Note di metodologia della ricerca nel contesto di
progetti europei
Lara Corradi e Antonia De Vita
Il progetto Ciao!Women ha avuto un’origine lontana nel tempo in un Partenariato di
Apprendimento1 intitolato CIAO! - Communication via It for Adults Online.2
L’idea su cui questo primo progetto si basava era quella di indagare cosa effettivamente si
conosceva di quelle persone adulte che, pur non avendo una conoscenza dell’uso del
computer o di Internet, avevano deciso o erano state costrette ad utilizzare gli strumenti
tecnologici.
In particolare, interessava raggiungere coloro che non avevano dimestichezza con l’uso
delle tecnologie, con un’attenzione particolare alle donne, per poter scoprire che idea
questo target di utenti si era fatto della possibilità, ad esempio, di comunicare via Internet o
di utilizzare il pc nei luoghi di lavoro, tentando di scoprirne anche i timori, i dubbi, e le
aspettative.
Per poter parlare con queste persone, difficilmente raggiungibili altrimenti, abbiamo portato
delle postazioni multimediali in luoghi frequentati per le finalità più diverse (acquisti,
svago, spesa quotidiana) e collegato online i Paesi che partecipavano al progetto, in modo
da dare alle persone che frequentavano questi luoghi l’opportunità di interagire in tutta
libertà.
Infatti, in un primo momento abbiamo lasciare le persone libere di dialogare, e solo in un
secondo momento abbiamo chiesto loro di rispondere ad alcune domande volte ad esplorare
la loro percezione dell’uso di tecnologie.
L’analisi delle interviste, unita all’osservazione di quanto successo durante i collegamenti,
ci ha permesso di ottenere dati utili ad ipotizzare con quale terminologia, secondo quali
modalità, e con quali scopi prioritari offrire dei corsi sulle tecnologie e il loro uso. Ma il
numero esiguo delle interviste realizzate in questo primo progetto, circa 50, non ci ha
permesso di approfondire ed analizzare queste tematiche come avremmo voluto, e quindi
abbiamo deciso di ideare un progetto di più ampio respiro, che abbiamo deciso di intitolare
CIAO!Women, in quanto rivolto interamente alla percezione che le donne hanno delle
tecnologie informatiche. 3
Il progetto Ciao!Women nasce dall’interesse ad indagare i bisogni educativi specifici di
donne adulte in relazione alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC).
Siamo convinte che sia necessario ideare approcci innovativi capaci di rispondere al
bisogno crescente di donne adulte, che lavorano o che sono fuori dal mercato del lavoro
(per scelta personale o per motivi familiari), di accedere a percorsi educativi che, tenendo
1
Un Partenariato d’apprendimento Grundtvig prevede attività di cooperazione tra
organizzazioni impegnate nel campo dell’educazione degli adulti.
2
Il Partenariato ha avuto una durata di tre anni, dal 2001 al 2004, ed è stato
cofinanziato dal Programma Socrates, azione Gruntvig 2 (Partenariati di
apprendimento).
3
Il primo progetto Ciao! è stato coordinato da Rita Bencivenga che rappresenta
l’elemento di continuità con Ciao! Women.
3
conto dei loro desideri specifici, rispondano ai loro bisogni concreti e tengano conto dei
loro impegni e disponibilità.
Alcune domande ci hanno guidato nell’ideazione del progetto: cosa significa tenere conto
delle raccomandazioni dell’UE in relazione alle tematiche di genere e alla promozione delle
Pari Opportunità? Quali criteri seguire nell’organizzare attività di progettazione, ricerca,
valutazione, nello stilare questionari e nel realizzare analisi di bisogni per valorizzare gli
aspetti legati al genere? Come conciliare le esigenze e le peculiarità di tutti, donne e
uomini, nelle varie attività che fanno parte di progetti di ricerca nel vasto campo della
formazione e dell’educazione adulta?
Al fine di farsi carico di questi quesiti e nel tentativo di individuare un percorso in grado di
tenere aperta la questione senza schiacciarla in soluzioni veloci e semplicistiche che
risulterebbero necessariamente riduttive e inefficaci, abbiamo ritenuto importante trovare il
modo di incrociare il sapere guadagnato dalla riflessione delle donne in questi ultimi due
secoli in termini di uso del linguaggio, pratiche, e modelli di educazione adulta e di
formazione, e le direttive europee. Questo ci ha permesso di individuare nuovi criteri per la
realizzazione di percorsi formativi per rispondere ai bisogni e agli interessi di quelle donne
adulte ancora lontane dal mondo della tecnologia informatica, non facendoci influenzare
dagli stereotipi sulle relazione fra donne e tecnologie e usando una terminologia specifica
che abbia un senso alle orecchie delle destinatarie dal momento che i corsi e le attività
formative tradizionali rischiano di risultare appropriati solo per coloro che hanno
confidenza con il mondo dell’informatica, ma risultano escludenti per coloro che non hanno
questa familiarità e che non hanno neanche quelle conoscenze generiche comuni a tutti
coloro che sono nati in un’epoca in cui i computer erano già parte della quotidianità.
Ognuno dei paesi partner del progetto - Italia, Portogallo, Lettonia, Bulgaria, Danimarca - è
stato presente nel progetto nelle differenti fasi di svolgimento della ricerca attraverso un
proprio team di ricercatotrici/ricercatori.
La prima fase della ricerca ha previsto la realizzazione di circa 50 interviste in ogni Paese
partner del progetto4, per un totale di 253 interviste, a donne di età compresa tra i 35 e i 55
anni.
In Lettonia, tra le 50 donne intervistate 24 vivono in area urbana e 26 in area rurale. Una di
esse ha un basso livello di istruzione (6 anni), 17 livello medio (7-12 anni) e 23 alto (più di
12 anni). 4 sono disoccupate (tutte donne con disabilità); 42 sono occupate, 4 fanno un
lavoro indipendente. Sono state contattate grazie alla collaborazione con istituzioni locali e
tramite contatti informali.
In Italia sono state realizzate 53 interviste narrative. Tra le intervistate, 22 hanno un’età
compresa fra 35 e 40 anni, 20 fra 41 e 50 e 11 sopra i 50. 30 hanno un livello di istruzione
medio/basso (8 anni), 21 medio/alto (8+5 anni) e 2 alto (8 + 5 + 4/5/6 anni). 28 sono
disoccupate e 25 occupate: lavorano come segretarie, cameriere, operatrici di call center.
Molte donne aiutano i mariti nel loro lavoro. Le intervistate sono state scelte attingendo
dalle liste delle iscritte ai Centri per L’impiego della Provincia di Genova, avvalendosi
della collaborazione degli Sportelli Informalavoro che sono dislocati su tutto il territorio
provinciale, tramite canali informali (conoscenti) o tramite associazioni che si occupano di
persone diversamente abili.
In Portogallo, tra le 50 intervistate c’erano 3 donne con disabilità. 11 delle donne
intervistate vivono in aree rurali e 39 in area urbana. Sono state contattate grazie alla
collaborazione con enti regionali o tramite contatti informali. 24 hanno un basso livello di
4
I dati sulle donne con disabilità e l’analisi dettagliata delle loro interviste sono
riportati nel capitolo a cura di Piera Nobili.
4
istruzione (fino a 6 anni), 24 livello medio (7-12 anni) e 24 un livello alto (più di 12 anni).
7 sono disoccupate, 38 lavorano nel settore terziario (lavorando nell’istruzione formale e
non formale), 1 nel settore secondario, 2 sono casalinghe e 2 pensionate.
In Danimarca, le 50 persone intervistate comprendono un gruppo dai 35-55 anni. Ci sono
rappresentanti di tanti tipi di professioni, sia lavoratori autonomi, che dipendenti; statali e
privati. Ci sono persone senza istruzione, con medie e lunghe istruzioni, e persone fuori dal
mercato del lavoro, qui compreso anche disabili. Le persone abitano sia in città che in
campagna.
In Bulgaria delle 50 donne intervistate, 4 sono donne con disabilità. In generale le donne
sono state individuate in aree urbane e rurali, e hanno un livello educativo basso, medio o
alto.
La seconda fase del progetto prevedeva una seconda fase di ricerca nella quale, attraverso
lo spoglio di riviste in ciascun paese partner, si potesse indagare quali rappresentazioni e
contenuti emergevano da articoli e testi sulla relazione tra le donne e le TIC, in particolar
modo pc e internet. L’ipotesi di base che giustificava la scelta di questa indagine è che
grazie alla dimensione mass mediale si potesse avere una visione di due differenti livelli: da
un lato approfondire le varie rappresentazioni attorno al rapporto tra donne e TIC e
dall’altra monitorare quali iniziative coinvolgono le donne nei loro rapporti con le
tecnologie (segnalate dalle riviste e pertanto rilevanti).
Per procedere in questo senso ciascun paese, dopo una prima ricognizione del materiale
disponibile sul proprio territorio nazionale -sia dal punto di vista delle caratteristiche
editoriali come la periodicità e il target, che della possibilità di reperire con facilità le
pubblicazioni degli ultimi due anni- e un primo momento di discussione durante il meeting
di Riga avvenuto a giugno 2006, ha individuato cinque riviste molto diffuse nel proprio
paese che corrispondessero il più possibile ai caratteri comuni sopra definiti, facendo in
modo che vi fosse omogeneità nella scelta di tali riviste che ad un primo sguardo possono
apparire molto diverse tra loro, per le differenze nella periodicità e nei tipi di target dovuti a
scelte editoriali proprie di ciascun Paese e che non trovavano corrispondenze negli altri
Paesi oggetti d’indagine.
L’approccio qualitativo della ricerca e la centralità dell’impiego dell’intervista narrativa,
benché sufficientemente conosciuti e diffusi nei paesi europei, hanno richiesto un profilo
abbastanza definito dei ricercatori e delle ricercatrici che avrebbero materialmente svolto le
interviste e le avrebbero trattate. In fase di progettazione, la formazione richiesta per entrare
a far parte dei team di ricerca è una formazione di tipo umanistico, preferibilmente da
facoltà di Scienze dell’educazione o di Sociologia o Psicologia, con una conoscenza di
metodologie della ricerca qualitativa e in particolare di approcci biografici sufficientemente
consolidata.
I team così selezionati e formati hanno avuto occasione di incontrarsi per la prima volta nel
workshop tenutosi a Verona nel dicembre 2005 per condividere l’impiego dell’intervista
narrativa come approccio e strumento, e per affrontare assieme tutte le questioni connesse
alle difficoltà riscontrabili nel corso della preparazione dell’intervista, della realizzazione
dell’intervista vera e propria, e dell’analisi finale della stessa (sbobinatura e trattamento).
Inoltre, durante questo primo incontro ampio spazio è stato dato al tema della differenza di
genere, in quanto le diverse equipe non avevano una competenza specifica su questo
approccio. In particolare, molto tempo è stato dedicato alla condivisione della necessità di
individuare un modo per incrociare il sapere guadagnato dalla riflessione delle donne in
questi ultimi due secoli in termini di impiego del linguaggio, pratiche e modelli di
educazione adulta e di formazione, e le direttive europee che, come è noto, hanno ribadito
5
più volte la necessità e l’opportunità di affrontare il tema delle pari opportunità e,
aggiungiamo noi, della differenza di genere.
Inoltre, molto tempo è stato dedicato alla condivisione del taglio epistemologico con cui
abbiamo affrontato questo progetto; taglio che ha posto al centro, come base e punto di
partenza, la categoria della differenza sessuale come paradigma non neutro nella creazione
del pensiero, del discorso, dell’agire in educazione e nella formazione.
Sulla base dell’esperienza di conduzione e coordinamento dei team nelle cinque nazioni,
nel contesto di un progetto europeo di Educazione degli Adulti che coinvolge partner di
differenti nazioni, le note e le osservazioni di metodologia della ricerca possono essere così
riassunte:
Delineare chiaramente le pre-condizioni per la formazione del team di ricerca,
privilegiando ricercatotrici e/o ricercatori con consolidata conoscenza di metodologie della
ricerca sociale
Disporre di maggiori occasioni di incontri in presenza per workshop dedicati alla
costruzione e condivisione delle metodologie che si intendono impiegare nel corso del
progetto
Prevedere ampio spazio per la discussione comune in maniera tale che le differenze
culturali trovino espressione e possano diventare una ricchezza per tutti e non solo un
ostacolo al lavoro comune
Prevedere momenti di condivisione e discussione approfondita dell’approccio
epistemologico che muove la ricerca, cercando di rendere espliciti ed evidenti per tutti le
scelte messe in campo
Co-costruire un linguaggio e un terreno valoriale in comune che renda possibile uno
scambio meno formale di contenuti e risultati e che permetta di far emergere gli elementi di
originalità connessi alle differenti culture di riferimento
Rispetto alla differenza sessuale e all’approccio di genere: preferire, quando possibile,
ricercatrici donne che faciliteranno lo svolgersi delle interviste secondo la metodologie del
peer to peer. Prevedere ampio spazio per la discussione e condivisione del tema che troppo
spesso viene dato per scontato e quindi non viene affrontato in tutti i suoi risvolti e in tutte
le sue conseguenze
Utilizzare un diario di lavoro e prevedere numerosi momenti di confronto attraverso un
ambiente adatto (web conference etc.) che permettano di confrontarsi e scambiare
sull’avvio del lavoro e sulle difficoltà incontrate
Avere presente che l’inglese, sebbene parlato da tutti i partner, non è la lingua madre di
nessuno e quindi è necessario per ciascuno un tempo e uno spazio per ritradurre i diversi
concetti e valori nella propria lingua di appartenenza, riportandoli così entro la cultura
propria
Tenere nel giusto conto che l’incontro tra differenti partner implica l’incontro di differenti
culture del lavoro: conciliare diversi tempi e modi di stare nei luoghi di lavoro può in alcuni
casi diventare anch’esso un lavoro senza il quale l’intero progetto verrebbe meno
6
Ascoltare non è mai neutro
Rita Bencivenga
Una visione ispirata alla filosofia della
differenza sessuale richiede di ribaltare
una visione della società che diamo
spesso per scontata, quella di una
società “neutra” e quindi disponibile ad
integrare le donne in tutti i suoi aspetti,
semplicemente ritagliando uno spazio
per fare loro posto ma senza necessità
di modificarsi.
Nelle prime fasi degli scritti che davano voce alle donne o a particolari gruppi di donne,
non ci si ponevano problemi riguardo alla rappresentazione delle esperienze, pertanto le
ricercatrici ponevano domande alle donne su vari aspetti della loro vita e trascrivevano le
risposte delle intervistate. Ma presto ci si rese conto del fatto che l’esperienza è sempre
mediata, che quando si risponde a una domanda si sceglie sempre di dare una
rappresentazione, una interpretazione delle proprie esperienze, non solo, ma che ciò che le
ricercatrici scrivono conseguentemente è ulteriormente mediato dalla loro esperienza e
dalla loro visione del mondo, situata e, spesso, privilegiata. Si tratta quindi di
rappresentazioni o interpretazioni che sono il prodotto di processi sociali che dovrebbero
anche essi essere oggetto di analisi.
Non c’é una relazione diretta tra l’esperienza, la verità e la conoscenza e avere accesso
all’esperienza non significa che abbiamo accesso a (e riproduciamo) qualcosa di non
mediato. Si tratta di cercare di comprendere le interpretazioni all’opera (da parte sia del
ricercatore sia di chi é soggetto di ricerca). Dobbiamo quindi riflettere su come le nostre
soggettività sono costruite attraverso le esperienze del vivere le pratiche discorsive, come
siamo resi ‘genere`, ‘classe`, ecc. attraverso discorsi culturali.
È un approccio che mette in guardia dal considerare l’esperienza come verità, che evidenzia
l’enorme potere di cui é investito il ricercatore nella ricerca convenzionale in quanto ha la
possibilità di imporre la propria interpretazione, ma allo stesso tempo può sostenere di
essere un semplice tramite dell’espressione delle esperienze di altre donne.
Abbiamo intervistato anche donne con disabilità, pertanto è importante sottolineare che un
dibattito simile è nato in seno ai disability studies in relazione allo sfruttamento di persone
disabili da parte di ricercatori, e al bisogno di privilegiare una ricerca emancipatoria. Il
pericolo di una ricerca che sfrutta chi è oggetto di indagine ha portato a sottolineare
l’importanza del rendere espliciti il proprio posizionamento e come ci si situa, scrivere se
stessi nel lavoro, rendendo note le proprie biografie intellettuali e i paradigmi interpretativi
così che i lettori possano facilmente situare e contestualizzare le loro analisi.
7
Le teorie post strutturaliste e decostruzioniste criticano la visione del ricercatore come
esperto portatore di obiettività e neutralità, interprete di una realtà esente da
rappresentazioni e indagabile tramite strumenti appropriati. Il decostruzionismo infatti
considera oggetto di conoscenza anche colei o colui che conosce: il Soggetto. Ciò fa
mettere in discussione il ruolo del ricercatore e la sua prospettiva.
In quanto ricercatrice, devo quindi assumermi la responsabilità del mio giudizio, di ciò che
affermo, e per fare questo devo prendere coscienza della posizione che occupo fra gli altri
(in questo caso in particolare fra le donne, fra le persone con disabilità). Sono consapevole
che il mio sapere è condizionato da una molteplicità di fattori che disegnano una storia e un
sapere personali. In questa storia, diversa per ognuno di noi, si intersecano la ‘razza’5, la
nazionalità, l’età, la classe sociale, l'identità sessuale, il proprio percorso esistenziale, la
formazione culturale, il periodo storico in cui si vive, ecc. Tutto ciò ci permette di poter
pensare certe cose ma allo stesso tempo ce ne preclude altre. Possiamo vedere certi
fenomeni, ma altri ci restano nascosti.
Quanto sopra è anche alla base della scelta di parlare in prima persona e non in terza
persona, pratica usuale in documenti che si basano sulle prospettive da me adottate.
Pensiero femminile e disabilità
Una docente universitaria nel 1988 disse ad una delle autrici e curatrici del libro Women
with disabilities, che le chiedeva come mai fra i temi oggetti di analisi delle femministe non
vi fosse la disabilità: ‘Perchè studiare le donne disabili, visto che rinforzano gli stereotipi
tradizionali di donne dipendenti, passive e bisognose?’6
Per quanto la visione della docente non sia certamente condivisa né condivisibile da molte,
resta il fatto che ancora oggi, a distanza di quasi vent’anni e nonostante la grande quantità
di testi prodotti dalla ricerca condotta da donne sulla tecnologia, sui cyborg, sul rapporto
con le macchine, sull’utilizzo di tenologie sul corpo, sulla diversità ecc. in effetti la
riflessione sulla disabilità sia ancora molto scarsa.
Rita Barbuto, direttrice di DPI Italia7 ha recentemente dichiarato che nell’ambito del
movimento delle persone con disabilità, il genere è irrilevante e che la disabilità viene
considerata come un concetto unitario che eclissa tutte le altre dimensioni. Ma c’è di più:
“Allo stesso modo, il pensiero femminista continua ad ignorare e ad escludere le donne con
disabilità. Le donne si sono unite agli uomini, senza o con disabilità, relegando le donne
disabili ad un livello inferiore della loro riflessione intellettuale e politica. Con tutta
probabilità una delle ragioni principali per cui le donne con disabilità sono sostanzialmente
escluse dal movimento femminista è l’impegno a veicolare un’immagine di donna forte,
potente, competente e attraente; infatti, queste donne "indifese", "eterne fanciulle",
5
Seguendo le convenzioni sociologiche, scriverò il termine razza con virgolette, ‘razza’,
per indicare che sebbene resti un termine usato allo scopo di distinguere fra gruppi che si
differenziano dal punto di vista culturale, delle caratteristiche fisiche, e in relazione al
potere e ai privilegi, non ci sono, di fatto, razze distinte da un punto di vista biologico fra
gli esseri umani. Come é noto, gli studi di paleoantropologia combinati con gli studi
genetici hanno dimostrato che noi tutti deriviamo da un’unica popolazione di homo sapiens
sapiens.
6 Fine, Michelle Adrienne, Asch ed. Women with disabilities : essays in psychology,
culture, and politics. Temple University Press, 1988. xv, 347 p.Temple University Press
1988. p.4
7 Il testo, del 2006, si puo’ leggere per intero alla pagina web:
http://www.superando.it/content/view/1218/120/
8
"dipendenti", "bisognose" e "passive", non possono che rafforzare lo stereotipo tradizionale
della donna. E quindi la donna con disabilità - considerata da sempre inadatta a ricoprire i
tradizionali ruoli di madre, moglie, casalinga e innamorata - altrettanto viene considerata
inadatta a ricoprire i nuovi ruoli di una società in cui domina il mito della produttività e
dell’apparenza.”
La visione puramente sociale della disabilità, o la disabilità vista solo come relaziona
sociale oppressiva è stata criticata negli ultimi anni da chi ritiene che la realtà e l’esperienza
fisica della menomazione non abbiano posto in questa visione. Il determinismo sociale non
tiene conto delle differenze individuali, che sono suscettibili di arricchire la comprensione
della disabilità e le modalità politiche per l’inclusione delle persone con disabilità nello
spazio democratico comune.
La disabilità va compresa non solo a livello collettivo, ma anche individuale, e questa
considerazione è alla base delle critiche poste al modello sociale. Un buon numero di tali
critiche sono state formulate da studiose donne, spesso femministe, che deplorano, inoltre,
la doppia esclusione delle donne con disabilità, trascurata sia dal modello sociale della
disabilità sia dall’approccio femminista8.
Altre critiche sono state indirizzate alla mancanza di riferimenti all’origine etnica e
all’orientamento sessuale delle donne e a seguito di ciò si sono sviluppate riflessioni sulla
possibilità di mediare l’esperienza della disabilità da parte di appartenenti a minoranze
culturali o in una prospettiva di genere.
In conclusione
Il fatto che la rivoluzione femminile sia molto più una rivoluzione simbolica che
una rivoluzione fattuale, certamente, non è meno considerevole. Fornire agli
individui gli strumenti per riflettere sulla propria storia identitaria e per scegliere
con consapevolezza il percorso da intraprendere e leggere le relazioni tra il soggetto
e il contesto di riferimento si configurano come pratiche volte a promuovere azioni
in grado di liberare le risorse individuali e la capacità di gestire il cambiamento9.
Narrare di sé non ha solo il significato di far sentire le voci di donne che raramente
abbiamo sentito, ma si inserisce in un percorso che ci dice che possiamo cosi creare nuovi
modi di comprendere cosa sia la conoscenza e come la si produca. Ciò ha ripercussioni
sulla nostra ricerca perché ci ricorda che ogni conoscenza è situata, che la conoscenza è un
prodotto sociale legato ad un tempo, ad un luogo, ad un posizionamento sociale.
I racconti delle donne intervistate, così come ogni altro racconto personale di esperienze
vissute personalmente, non ci danno accesso ad esperienze di vita dirette o non mediate. Il
8 Liz Crow. 1996. «Including all of our lives: Renewing the social model of disability†», in
Colin BARNES e Geof Mercer, éd. Exploring theDivide. Illness and Disability. Leeds, The
Disability Press†: 55-73; Jenny MORRIS. 1992. «Personal and political: A feminist
perspective on researching physical disability», Disability,Handicap and Society, 7, 2: 157166; Carol,THOMAS. 1999. Female Forms. Experiencing and Understanding Disability.
Milton Keynes, Open University Press.
9 Francesca Marone, op cit pag. 274
9
narrare è una rappresentazione, e comporta interpretazione e selezione nel momento di
narrare, negli stimoli forniti dalle intervistatrici, nella lettura che ne ho fatto io, ed infine
nelle future interpretazioni di chi legge il rapporto.
Nel leggere le interviste dobbiamo tenere presente che nel narrare possiamo trovarci (di
fatto ci troviamo spesso) in condizioni irrimediabili di autoestraneazione, cioè
nell’impossibilità di identificarci e di narrarci, se non attraverso identità assegnate e simboli
che magari non ci appartengono. Per trovare nuove identità e nuovi simboli dobbiamo
scavare dentro le parole, i comportamenti, i luoghi comuni, le ideologie, i concetti, i saperi,
in un percorso lungo e difficile.
Rimisi profondamente in discussione il concetto di cura della persona con afasia,
per sostituirlo con il termine più consono di “supporto alla ri-negoziazione
identitaria”10
Possiamo ipotizzare percorsi di rinegoziazione identitaria?
Sia il femminismo postmoderno sia quello della differenza hanno mostrato i limiti
dell’approccio egualitario, senza negare l’importanza della lotta per l’emancipazione e
l’uguaglianza, ma soprattutto hanno lavorato per far passare la normalità, la razionalità,
l’eterosessualità, dalla posizione di soggetto universale del discorso a una posizione di
oggetto d’interrogazione e critica.
La lettura delle interviste ci aiuta a riflettere su come è rappresentato oggi il rapporto fra le
donne intervistate e la tecnologia, e che tipo di rappresentazione vorremmo per il futuro.
Teresa De Lauretis11 ha parlato di due spinte opposte che lavorano alla produzione della
autorappresentazione del femminismo: una spinta erotica e narcisistica che accresce
l'immagine del femminismo come differenza, ribellione, intervento, self-empowerment
(autopotenziamento), sfida, eccesso, sovversione, slealtà, piacere e pericolo, e che rigetta
ogni immagine di impotenza, di vittimizzazione, sottomissione, acquiescenza, passività,
conformismo, sesso debole ed una spinta etica che lavora a favore della comunità, della
responsabilità, del potere collettivo, della sorellanza, dei legami femminili,
dell'appartenenza ad un mondo comune di donne che condividono ciò che Adrienne Rich
ha chiamato "il sogno di un linguaggio comune".
Audre Lorde12 concluse così un seminario di poesia tenutosi nel 1989 a Stanford:
10
Alessandra Tinti, Una storia da riscrivere. In “Educazione, teatro e persone con afasia,
un’esperienza alla riconquista del sé”. L.APH. Learning and Aphasia, 2007. Disponibile
anche online alla pagina www.aphasiaforum.com/sitolaph/tools.htm
11
Teresa De Lauretis, Il femminismo e le sue differenze. In Mediterranean, rivista
semestrale ed. da
MEDiterranea MEDIA . n. 2 (disponibile ondine all’indirizzo
http://www.medmedia.org/review/index.htm)
12 poetessa e scrittrice statunitense che con il suo impegno sociale ha sfidato razzismo,
omofobia, sessismo e classismo. Testo citato in De Lauretis, op cit
10
«Stare insieme alle donne non era abbastanza, eravamo diverse. Stare insieme
alle donne gay non era abbastanza, eravamo diverse. Stare insieme alle donne nere
non era abbastanza, eravamo diverse. Stare insieme alle donne lesbiche nere non
era abbastanza, eravamo diverse. Ognuna di noi aveva i suoi propri bisogni ed i
suoi obiettivi e tante e diverse alleanze. La sopravvivenza avvertiva qualcuna di
noi che non potevamo permetterci di definire noi stesse facilmente, né di chiuderci
in una definizione angusta ... C'è voluto un bel po' di tempo prima che ci
rendessimo conto che il nostro posto era proprio la casa della differenza piuttosto
che la sicurezza di una qualunque particolare differenza»
Possiamo tentare di uscire dall'insieme dei processi attraverso cui attribuiamo e costruiamo
i significati e i valori, dalle modalità valutative con cui percepiamo le cose del mondo e gli
altri, in altre parole dal nostro ordine simbolico e di significazione, per guardarlo da lontano
e osservarne la struttura?
11
La ricerca dal vivo: l’esperienza raccontata in un diario
Lia Orzati
La scelta di tenere un diario per la parte relativa alle interviste è nata su costruttiva
sollecitazione della Cooperativa Guglielma, in maniera tale che, fissando i propri dubbi e le
proprie perplessità su carta o file, le ricercatrici avessero modo di interrogare loro stesse sul
tema delle inteviste cercando anche di capire come migliorare l’empatia con le intervistate.
Allo stesso tempo avere un documento di questo tipo ha consentito di abbattere la distanza
geografica tra partners condividendo eventuali problematiche o spunti di riflessione che
hanno portato a riflessioni su aspetti non prevedibili in fase di disegno della ricerca.
Il documento che segue ha quindi mantenuto la sua forma e la sua originaria genuinità.
Ritengo che proprio tali caratteristiche consentano di comunicare in maniera più
emotivamente intensa l’esperienza delle interviste che ha coinvolto profondamente tutte le
ricercatrici, anche chi, come la sottoscritta, sebbene avesse partecipato a numerose ricerche
di stampo sociologico, non aveva mai avuto modo di affrontare il rapporto donne
tecnologia in un’ottica di genere.
Sicuramente da un certo punto di vista il diario, riletto ex post, nelle sue considerazioni può
apparire ridondante rispetto al report sulle interviste, dall’altro però si sottolinea come
davvero le considerazioni fatte siano maturate nel corso del tempo ma come, tutto
sommato, si siano già delineate in maniera abbastanza chiara o comunque non ambigua, fin
dalle prime interviste.
Verona 15/12/2005
Questa prima giornata di lavoro è stata più che positiva. Innanzitutto perché mi sembra che
tra i membri del gruppo ci sia una buona intesa, nonostante le differenze linguistiche, e poi
perché questo progetto è per me molto stimolante.
Da un lato mi consente di fare interviste con taglio qualitativo, esperienza che adoro perchè
purtroppo le ricerche molto spesso hanno un taglio squisitamente quantitativo e, seppur
esiste una parte qualitativa questa è molto ristretta e sempre a corollario dei dati.
Indubbiamente le ricerche con questionario e risposte fortemente strutturate che consentono
successive elaborazioni statistiche sono molto più “veloci” ed economiche, però si perde
tutto il rapporto di forte interazione con l’intervistato.
Oltre al metodo questa ricerca mi permette di utilizzare un approccio del tutto nuovo,
quello della differenza femminile. Nei questionari infatti uomo e donna sono diversi stati
della variabile “sesso” –intesa in senso biologico- che assumono rilevanza solo ex-post, in
fase di interpretazione dei dati elaborati, quando magari si nota che ad una stessa domanda
uomini e donne rispondono in maniera differente. Adesso invece si tratta di ragionare exante, progettando la ricerca tenendo conto di questa differenziazione e così mi trovo a
ragionare in termini nuovi e a rimettere in discussione anche la maniera di percepire la
realtà che mi circonda e a dare più peso alla costruzione e desiderabilità sociale con cui
questa viene letta e interpretata.
Genova 20/1/2006
12
Nelle interviste fatte fino a questo momento (5) noto che le donne tendono ad avere un
atteggiamento di inferiorità rispetto agli uomini, infatti a parte l’intervistata più giovane (35
anni), sembra che tutte diano per scontato che gli uomini sono più bravi con il pc. La cosa
più fastidiosa è che questo atteggiamento è del tutto irrazionale, nel senso che per le
intervistate è come se i maschi fossero “naturalmente” più bravi nell’uso di apparecchiature
tecnologiche, quasi fosse scritto nel loro DNA, mentre andando più a fondo con ulteriori
domande, si scopre che sono più pratici nell’utilizzo del pc solo perchè lo usano già da
diversi anni. Emerge anche un altro elemento: gli uomini non hanno pazienza ad insegnare
alle loro compagne l’utilizzo del pc, anzi, molto spesso sono le donne che insegnano ai
mariti quanto appreso.
Le intervistate sembra inoltre che abbiano un approccio più sistematico. A loro non piace
muoversi a caso tra i vari programmi ma preferiscono un insegnamento più strutturato, ed è
per questo che scelgono di frequentare anche dei corsi.
Ovviamente queste sono impressioni non generalizzabili dato l’esiguo numero di interviste.
Vedremo se saranno smentite o confermate più avanti.
Genova 30/1/2006
Dopo 6 interviste svolte sono contenta ma anche un po’ preoccupata, perché, siccome mi
sembra di rispontrare delle tendenze di fondo nell’approccio all’utilizzo del pc, ho paura
che questo possa inficiare la qualità delle mie interviste, nel senso che la paura è quella di
diventare un’ascoltatrice poco attenta e sensibile. Bisogna che cerchi di non pensare troppo
alle interviste già fatte, in modo da non dare nulla per scontato o, peggio ancora, distorcere
le informazioni che emergono dalle intervistate durante la chiacchierata.
Genova, 15/2/2006
Abbiamo deciso di cominciare ad intervistare anche donne che non hanno mai utilizzato il
computer. Da un certo punto di visto si tratta di percorrere una strada leggermente diversa
rispetto alla traccia di intervista iniziale che presupponeva una conoscenza, seppur minima
del pc, ma d’altro canto solo in questo modo è possibile avvicinarsi alla “vera natura” del
progetto. Il rischio sicuramente è quello che il mancato utilizzo del pc possa incrociarsi con
altri elementi molto forti che potrebbero portare l’indagine in altre direzioni –es. la
casalinga che si lamenta dice di non usare ilo pc perché non ha tempo-, ma vale la pena di
provare. Effettivamente è anche vero che anche chi non ha mai utilizzato il pc ha sentito
tuttavia parlare dello strumento e quindi sicuramente la parola pc nel suo immaginario
viene associata a delle sensazioni o visioni del mondo.
Genova 23/2/2006
Devo dire che l’idea di intervistare anche persone che non hanno quasi mai utilizzato il pc
per ora sta dando esiti positivi. Sicuramente bisogna avere una maggiore sensibilità perché
rispetto alla traccia inizialmente concordata si tratta di fare molte “deviazioni”,
sbilanciando maggiormente l’aspetto relativo alla percezione di cosa è la tecnologia
nell’immaginario dell’intervistata, tralasciando tutta la parte riferita all’utilizzo del pc.
Un altro problema che ho riscontrato è quello di reperire donne con una bassa scolarità,
visto che ben il 38% delle donne iscritte presso i Centri per L’impiego di Genova sono
diplomate. Sto quindi cercando di ovviare all’inconveniente intervistando magari anche
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diplomate che però non siano esperte nell’utilizzo del pc. Mi sembra che anche questo
possa essere interessante.
Genova, 3/3/2006
Ho effettuato delle interviste a Campomorone, un comune che fa parte della provincia di
Genova. Le mie intervistate erano davvero impenetrabili. Ho avuto la forte percezione che
il fatto di abitare fuori città influisca molto sulla visione che le donne hanno della
tecnologia, più di quanto immaginassi. Mi sono anche resa conto che sono poche le persone
che hanno avuto veramente modo di pensare al loro rapporto con lo sviluppo tecnologico.
Nel caso di intervistate che non sanno quasi usareil pc, spesso cominciano a fare queste
riflessioni con me e allora mi sembra che vadano un po’ in crisi, che non sappiano cosa
rispondere, che l’intervista risulti per loro poco piacevole o quantomeno bizzarra.
Genova, 15/3/2006
Ho effettuato altre interviste a Campomorone e devo dire che sono stata un po’ troppo
frettolosa nei miei giudizi, forse l’impenetrabilità delle mie intervistate non dipendeva dal
fatto di vivere in un comune fuori Genova ma era proprio una questione caratteriale.
Sicuramente abitare fuori città influisce sullo stile di vita, anche se mi sembra di scorgere
una linea comune che lega molte intervistate: il pc come strumento da usare per necessità,
principalmente per motivi lavorativi. Forse le intervistate oltre i 50 riescono ad avere un
approccio più “sereno”, meno condizionato dall’urgenza di trovare lavoro e più libero dai
sensi di colpa dovuti al timore di trascurare la famiglia. Per tutte infatti è importante
aggiornarsi, fare corsi tenendo sempre ben presente che c’è una famiglia da accudire, delle
faccende domestiche da sbrigare, come se questi compiti non potessero essere in alcun
modo demandati ad altri senza non poter fare a meno di provare un forte senso di colpa.
Genova 20/3/2006
Nel corso delle interviste mi sono resa conto come i figli possano essere fonte di stimolo
per molte donne ad avvicinarsi al computer. Alcune intervistate infatti mi hanno proprio
detto esplicitamente di aver comprato il computer pensando al futuro dei propri figli e di
come la curiosità nei riguardi di questo strumento sia stata stimolata da essi. Questo che
potrebbe essere un aspetto positivo purtroppo viene controbilanciato dal fatto che le
intervistate si sentono in dovere di saper utilizzare il pc o quantomeno “capirci un po’ di
più” per poter aiutare i figli stessi nello svolgimento di compiti/ricerche scolastiche!
Genova 31/3/2006
Dopo 40 interviste mi rendo conto che tutto quello che mi dicono le intervistate mi sta
servendo per riflettere su me stessa, sul mio rapporto con la tecnologia e il computer. La
cosa buffa è che io dovrei già aver avuto modo di confrontarmi su questi temi visto che ho
un diploma da perito elettronico e che ho fatto quindi una scuola superiore ad alto
contenuto tecnologico, invece mi rendo conto che non sono mai andata a fondo
sull’argomento, nonostante nelle varie fasi della mia vita il rapporto con il computer sia
cambiato molto. All’inizio infatti avevo scelto l’indirizzo elettronico proprio perché amavo
maggiormente studiare il funzionamento delle cose, il loro interno, mentre odiavo
abbastanza l’idea di mettermi davanti ad una scatola. Invece poi con il tempo mi sono
appassionata più alla scatola e alle sue potenzialità per poter ricavare quello che mi
interessava –grafici, costruzione di modelli matematici, elaborazione dati-.
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Genova 15/4/2006
Mi sembra che ci sia un filo logico che accomuna tutte le mie intervistate: il computer viene
percepito come strumento di inclusione sociale. Questo emerge in maniera chiara anche
nelle parole di chi non sa usare il computer, infatti anche chi lo rifiuta si rende conto di
porsi “fuori dal mondo”. Ormai infatti il computer ha modificato così tanto la nostra vita,
basti pensare anche all’automatizzazione degli uffici postali e bancari, da essere entrato
anche nel linguaggio comune con la sua terminologia, per cui, o lo si conosce o ci si sente
preistorici –a prescindere dall’età anagrafica-.
Altro elemento interessante è che quando si parla di tecnologia che ha modificato
profondamente il vivere quotidiano, la maggior parte delle intervistato pensano al cellulare,
lo strumento che ha avuto un impatto dirompente su tutti gli strati della popolazione, anche
quelli generalmente più digiuni di tecnologia –gli anziani-. Le intervistate infatti spesso
riportano come ormai anche sull’autobus tutte le persone anziane usino il cellulare. Da
questo punto di vista sembra quindi che la vera molla che spinge ad un approccio con nuovi
strumenti tecnologici sia l’utilità intesa come applicazione nella vita di tutti i giorni.
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Pensiero femminile e disabilità .........................................................................................8
In conclusione ...................................................................................................................9
La ricerca dal vivo: l’esperienza raccontata in un diario............................................... 12
Sommario
Note di metodologia della ricerca nel contesto di progetti europei.................................. 3
Ascoltare non è mai neutro ................................................................................................. 7
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