The Walking Dead
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The Walking Dead
THE WALKING DEAD – IL 9 FEBBRAIO SI RICOMINCIA! <<They’re screwing with the wrong people!>>… hanno fatto “arrabbiare” le persone sbagliate! Come può una serie televisiva sugli zombie coinvolgere adolescenti, nerd di ogni età, nonche i loro genitori? Per saperlo dovremmo chiedere la “ricetta” alla AMC, casa di produzione americana, che dal 2010 porta sul piccolo schermo la storia dello sceriffo Rick Grimes, tratta, o meglio, liberamente ispirata, dall’omonimo fumetto The Walking Dead. Questa serie TV è riuscita a far vedere zombie in putrefazione dilaniare corpi e arrancare notte e giorno in cerca di carne fresca, anche a chi, di tutto questo, non ne ha mai voluto sapere nulla. locandina della Serie TV Una delle carte vincenti della sceneggiatura sono i tempi narrativi, i quali spaziano da momenti di assoluta calma a minuti di panico nei quali succede qualsiasi cosa. Allo stesso tempo questa tecnica può essere una lama a doppio taglio, poichè chi ama la continua souspance potrebbe rimanere deluso. Ma veniamo alla storia: la prima puntanta della prima serie è ambientata nel mondo così come lo conosciamo. Durante un inseguimento Rick e il suo amico e collega Shane, entrambi sceriffi della contea di King, Georgia, vengono conivolti in un conflitto a fuoco nel quale il protagonista viene ferito. Ci svegliamo con lui, da solo, in un ospedale deserto e devasto da quella che sembra una carneficina. Sangue ovunque, cadaveri e nessun segno di vita.. anzi.. ci sono dei rumori che provengono da una doppia porta ben incatenata! Ci accorgiamo di mani putrefatte che cercano di farsi strada per uscire e la celebre scritta “DON’T OPEN DEAD INSIDE“… non aprite.. morti all’interno! E’ cosi’ che, insieme a Rick, veniamo letteralemente catapultati in una realtà spaventosa, nella quale gli zombie sono ovunque e il mondo non è più sotto il controllo dell’uomo. Questo inizio, estremamente simile ai primi dieci minuti di 28 giorni dopo, capolavoro del genere di Danny Boyle del 2002, è intrigante a tal punto che non riusciamo a stalutare Rick finchè non scopriamo cosa sia successo e se c’è la benchè minima speranza, per lui, di ritrovare la moglie e il figlio. una scena della serie Ma questo era il 2010, ora, cinque anni dopo, siamo nella trepidante attesa della seconda parte della quinta stagione. Nel frattempo sono successe innumerevoli cose… La seconda carta vincente di questa serie è l’evoluzione dei personaggi che cambiano e rivoluzionano se stessi per poter sopravvivere in questa nuova realtà. La terza carta vincente è l’aver saputo cogliere e sviluppare la parte più intrigante delle storie ambientate durante un’ipotetica apocalisse zombie: cioè che dopo un pò, gli zombie, sono l’ultimo dei problemi! La trama, infatti, si dirama facendoci capire che l’ambientazione è quella di un mondo nel quale starsene da soli può essere molto pericoloso. Allo stesso tempo, fidarsi del primo gruppo di sopravvissuti, può equivalere a morte certa. dal 9 febbraio E’ un telefilm avvincente, che coinvolge e ti inchioda allo schermo, smaniando per sapere come andrà a finire. La pecca sta nell’esagerata fortuna che contraddistingue alcuni personaggi, i quali si salvano in modi davvero ingegnosi, per non dire forzati. Attendiamo con ansia il prossimo 9 febbraio per scoprire cosa succederà a Rick e ai suoi compagni, soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti: ci sono state importanti perdite, ma attendiamo altrettanto importanti ricongiungimenti. Come fan della serie, mi auguro che gli sceneggiatori e produttori non perdano la bussola e che riescano a trovare la meta alla fine di questo lungo viaggio. Buon finale di stagione! Renata Marcelli CIMITERO MONUMENTALE DEL VERANO: UNA PASSEGGIATA TRA I RICORDI Cosa facciamo questo week-end? Una bella passeggiata al Verano! Il Cimitero Monumentale del Verano non è soltanto un luogo nel quale i corpi dei defunti vengono sepolti ma è anche uno straordinario museo all’aperto. Le visite, per comodità, possono essere suddivise secondo i seguenti 8 itinerari culturali: 1. Storie al femminile tra ottocento e novecento Questo percorso è dedicato alle donne famose sepolte al Verano e si snoda attraverso un ampio arco cronologico che dal 1860 giunge fino ai primi decenni del Novecento. Durante questa visita possiamo: ammirare il sepolcro Lombardi che riflette l’ambiente borghese dell’Ottocento; passare davanti alla tomba di Rosalia Montmasson, unica donna della Spedizione dei Mille e di Giuditta Tavani Arquati, vittima della tentata insurrezione romana del 1867; ammirare il sepolcro di Sara Nathan, mazziniana convinta e punto di riferimento per i patrioti del Risorgimento, nonchè madre di Ernesto Nathan, sindaco di Roma dal 1907 al 1913. La guida ci porterà poi davanti la tomba di educatrici e pedagoghe quali Erminia Fuà Fusinato, Maria Montessori, Grazia Deledda, unica donna italiana dell’epoca ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura, Sibilla Aleramo e Natalia Ginzburg, protagoniste di decenni decisivi per lo sviluppo della conoscienza civile e politica delle donne italiane, Adelaide Ristori, la più grande attrice dell’Ottocento e Claudia Muzio, la famosa diva della lirica alla quale lo scultore Pietro Canonica ha dedicato uno dei più bei monumenti del Cimititero Monumentale del Verano. 2. Volti e memorie di Roma Trilussa La storia del Cimitero Monumentale del Verano è intrecciata indissolubilmente con quella della città di Roma. Il percorso ci conduce dai protagonisti della Repubblica Romana del 1849, quali Mattia Montecchi, Alessandro Castellani, Ettore Nathan. Faremo visita a Antonio Nibby, Giovanni Battisti De Rossi e Pietro Rosa, archeologi tra i primi a ricostruire attraverso studi e campagne di scavo il volto della Roma antica, pagana e cristiana e a Antonio Koch e Giuseppe Sacconi, gli architetti che plasmarono l’aspetto di Roma capitale dopo l’Unità. La visita ci porterà inoltre davanti le tombe di grandi poeti e artisti del teatro e dello spettacolo quali Cesare Pascarella, Giuseppe Gioacchino Belli, Trilussa, Ettore Petrolini, Aldo Fabrizi e Alberto Sordi che, attraverso il loro dialetto romanesco, hanno reso indelebile il carattere unico della città. 3. La memoria di chi ha fatto l’Italia I momenti più importanti del Risorgimento italiano rivivono nelle vicende dei protagonisti sepolti nel cimitero del Verano. Il percorso va dal monumento funebre di Goffredo Mameli, patriota e poeta, al Monumento ai Caduti pontifici della battaglia di Mentana, costruito da Virginio Vespignani nel Pincetto Vecchio, che celebra al Verano la momentanea vittoria di Pio IX. Visiteremo le tombe di uomini politici, protagonisti dei primi faticosi anni dell’Unità d’Italia come Leonida Bissolati, che simboleggia quella parte dell’eredità risorgimentale repubblicana che venne a saldarsi con l’emergente idiologia socialista. Il percorso si chiude davanti alla tomba del coraggioso Enrico Toti, famoso per il suo sacrificio dedicato alla Patria. 4. Le storie del cinema e dello spettacolo Alberto Sordi Le spoglie di registi, sceneggiatori, montatori, attori e doppiatori riposano nel Cimitero Monumentale del Verano. L’eco di questi personaggi risuona nei viali, consentendoci di ripercorrere le tappe più significative del cinema e dello spettacolo. Faremo visita ai pionieri come al famoso trasformista Leopoldo Fregoli, i fratelli Anton Giulio e Carlo Ludovico Bragaglia. Passeremo davanti le tombe di divi e registi quali Amedeo Nazzari, Anna Magnani e Alida Valli, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Vittorio Gassmann, Nanni Loy, Roberto Rossellini, autore di Roma città aperta, e Vittorio De Sica, già attore giovane nei film dei cosiddetti “telefoni bianchi”. Andremo a trovare figure che da sempre restano dietro alle quinte quali Sergio Amidei, Ruggero Mastroianni, Ferruccio Amendola, voce italiana dei famosi attori americani De Niro, Pacino e Stallone. Durante la visita non verranno tralasciate nemmeno figure del teatro e della televisione italiana come Eduardo e Peppino De Filippo, Aldo Frabrizi, Gabriella Ferri, Rino Gaetano, Mario Riva e Raimondo Vianello. 5. Tre generazioni di architetti e urbanisti Il percorso è dedicato alla scoperta della struttura urbanistica ed architettonica del Cimitero Monumentale del Verano. Passeremo dai protagonisti delle prime fasi costruttive del cimitero, come Giuseppe Valandier, fino ai lavori intrapresi nel 1859 su progetto di Virginio Vespignani non tralasciando i famosi architetti degli anni dell’Unità d’Italia come Gaetano Kroch e Giuseppe Sacconi, gli ideatori di Piazza Vittorio, altare della Patria, Piazza Esedra e del Palazzo della Banca d’Italia. A questa generazione, che diete l’impronta più significativa per la realizzazione delle principali cappelle del Pincetto, appartiene anche Corrado Cianferoni, attivo negli interventi urbanistici di ampliamento del nucleo originario del cimitero e autore di numerose tombe con raffinate decorazioni in stile floreale. 6. Novecento. La passione di donne e uomini del “secolo breve” Il Cimitero Monumentale del Verano conserva la memoria delle grandi passioni del Novecento. Il percorso si delinea sullo sfondo dei conflitti sociali e politici che precedono e accompagnano le vicende del Ventennio fascista e che culminano nella drammatica esperienza della Seconda Guerra Mondiale. I sepolcri ed i monumenti visitati rappresentano alcuni nodi nella grande rete della memoria collettiva e coincidono con il ricordo di personaggi noti come Errico Malatesta, Giovanni Amendola, Giuseppe Bottai, Camilla Ravera, Massimo Bontempelli e Bruno Buozzi. Oltre a questi personaggi illustri la visita ci porterà davanti al Mausoleo dei Martiri Fascisti – Ines Donati (Ricordo), al Monumento agli Ebrei deportati e al Monumento alle vittime dei bombardamenti aerei di Roma. 7. Monumenti al Verano. Un museo all’aperto Angelo della notte (1885) di Giulio Monteverde, tomba di Primo Zonca Il percorso di visita prende l’avvio dalla struttura architettonica del nucleo storico del Cimitero Monumentale: l’Atrio imponente che accoglie il sarcofago di Virginio Vespignani, architetto del progetto originario; il Quadriportico, il cui colonnato inquadra le monumentali tombe a parete delle sepolture più antiche e culmina nella piccola chiesa di Santa Maria della Misericordia; il Pincetto Vecchio, la terrazza-giardino sulle alte mura di contenimento edificate per isolare la Basilica di San Lorenzo. Nel Quadriportico si concentra una rassegna organica di sculture, prospetti architettonici e dipinti murali (nelle lunette delle campate), che rappresenta un vero museo all’aperto dell’arte dell’Ottocento. Un affascinante accento simbolista emerge invece nella statua dell’Angelo della Notte (Tomba Zonca) di Giulio Monteverde. 8. La cultura dei letterati al Verano. Poesia, narrativa e critica L’itinerario si svolge attraverso grandi protagonisti e personalità a partire dagli anni del Risorgimento quali Goffredo Mameli, Giuseppe Gioacchino Belli, Cesare Pascarella, Trilussa, Grazia Deledda (Ricordo), Eduardo De Filippo, Alberto Moravia, Alberto Savinio, Giuseppe Ungaretti e Gianni Rodari. BIRDMAN MA QUESTO BIRDMAN, SAPRÀ VOLARE?!? Questo non è un film, almeno non per come normalmente si puo’ intendere un film. È girato come se fosse una rappresentazione teatrale, in cui girano un film che parla di una rappresentazione teatrale… L’impressione è quella di assistere ad un solo piano sequenza, come se quacuno stesse riprendedo con uno smartphone ciò che sta vivendo il protagonista. Siamo a New York e uno spettacolare Michael Keaton interpreta un attore holliwoodiano di nome Riggan Thomson, il quale negli anni novanti interpretava, sul grande schermo, un supereroe di nome Birdman. Lo conosciamo mentre, a venti anni dalla sua celebrità, decide di dirigere ed interpretare una commedia a Broadway. I personaggi che lo accompagnano in questa nuova avventura sono Emma Stone, quasi irriconoscibile ripensando a The Help, che interpreta la figlia scapestrata di Riggan. Naomi Watts, attrice emozionata e in ansia per la sua prima volta in un teatro di Broadway, fidanzata con un folle, conturbante e sempre esaltante Edward Norton, anche lui attore della compagnia. Norton in questa pellicola gioca con il suo grande carisma interpretativo, cosa che si nota ancora di più vedendolo in lingua originale. Ci trascina in un personaggio egocentrico e assolutamente non etichettabile tra “buoni” o “cattivi”, in bilico tra il mondo reale e un proprio universo e pensiero in cui solo lui conta davvero. Nei panni dell’avvocato, produttore, amico tutto fare e risolvi problemi, quello che tarantino avrebbe chiamato “Wolf“, qui si chiama Jake, ed un pò più imbranatello ed emotivo rispetto al meraviglioso personaggio del ’94 di Harvey Keitel, ed è interpretato da Zach Galifianaski. Per ultimo, ma assolutamente non meno importante, troviamo quello che forse è il vero protagonista di questo film, Birdman. O meglio la voce che continua a parlare nella testa di Riggan. Assistiamo infatti a questa inaspettata e potente dualità del personaggio principale, l’attore e il supereroe che lo ha reso famoso. E spesso durante la visione ci troviamo a non capire se stiamo vedendo un film ambientato nella realtà di una mente disturbata o l’ennesimo, ma un po’ piu’ di nicchia, film su di un supereroe. Non è scontato nè che il protagonista sia schizofrenico, nè che sia davvero Birdman, e forse è proprio qui la carta vincente di questa pellicola. Che non ha assolutamente importanza. In molti hanno sottolineato la grande critica che, presumibilmente, l’abile Inarritu, ha voluto fare nei confronti dei nuovi media e non dobbiamo infatti sottovalutare una morale nemmeno troppo celata: che oggi giorno la realtà ha valore solo se, e nel modo in cui, gli viene dato valore sul web. Ci sono scene disarmanti in cui ci ritrovamo a giudicare comportamenti come forzati, quando in realtà scopriamo che sono stati girati improvvisando, con una videocamera, nel pieno centro di Time Square e che le reazioni delle persone sono reali. Ciò che mi ha colpita di più è la presa di coscienza del protagonista rispetto alla sua vita, ai suoi errori e alle sue vittorie. La scena che più mi ha gonfiato il cuore di emozione è stata quella nella quale Riggan si rende conto di non essere mai stato presente a se stesso in tutta la sua vita.. ma chi di noi lo è realmente? E non ci troviamo, dunque, a compatire questo personaggio, bensì a ringraziarlo per averci fatto da sveglia e per averci dato la possibilità di scandagliare dentro di noi universi fatti di voci di io nascosti e profondamente influenzati da tutto ciò che ci circonda e che abbiamo vissuto. Ci fa fare i conti con l’aspettativa, quella che noi abbiamo verso noi stessi e quella che gli altri hanno verso di noi.. “Che cosa saresti potuto diventare… invece..” Quello che ai miei occhi è sembrato un meraviglioso dialogo interiore è un film che spiazza e non ti fa stare comodo sulla sedia, perche proteso in avanti a seguire gli eventi come se tu stesso fossi il cameramen! Girando l’angolo, tra un camerino e l’altro potresti trovare un batterista che prova la sua musica oppure un ragazza che disegna sulla carta igenica. Inarritu, in queste due ore circa di film, ci fa fare un viaggio. Un viaggio in un teatro di Broadway dove condividiamo passioni, attese e disperazioni degli attori in attesa di andare in scena. E’ riscito, nel suo piccolo, a portare l’emozione del dietro le quinte di un teatro, al cinema.. a parer mio, assolutamente magnifico! LA TEORIA DEL TUTTO MAI ARRENDERSI AL DESTINO “Finchè c’è vita, c’è speranza“. Questa frase risuona nella mente e nel cuore per molto tempo, dopo aver visto il film La teoria del tutto. James Marsh ci racconta la straordinaria storia della vita e delle “passioni” del dottor Stephen Hawking e della signora Hawking (la prima). La storia è narrata attraverso gli occhi di questa donna apparentemente debole, ma in grado di compiere delle scelte potenti che richiederanno una grande forza d’animo. Il film è, infatti, tratto dal libro Travelling to infinity: my life with Stephen scritto da Jane Wilde Hawking nel 2008. Il tempo è l’argomento che Stephen sceglie per la sua tesi di dottorato a Cambridge, e proprio lo scorrere del tempo è la chiave del film: i tempi dell’università e delle birre con gli amici, il primo incontro con Jane, la diagnosi di una malattia che colpisce i motoneuroni, la scelta di non arrendersi, il matrimonio, i figli, la scienza… il tutto scandito dal lento ed inesorabile peggioramento della malattia. Grazie alla fotografia di Benoit Delhomme e ai costumi di Steven Noble, il trascorrere dei decenni è chiaramente percepibile. Nonostante la malattia, ciò che contraddistingue Stephen è un grande senso dell’umorismo e una buona dose di autoironia. E nel film questo suo lato è reso bene dai dialoghi. Da non dimenticare che il professor Hawking si è spesso prestato ad interpretare se stesso in serie tv come Big Bang Theory, Star Trek o i Simpson e che nel 1993 registrò “Keep Talking” con i Pink Floyd. Un intenso Eddie Redmayne incarna quest’uomo dalle mille sfaccettature e ci emoziona ad ogni difficoltà e ad ogni successo. Accanto a lui una Felicity Jones drammatica, pronta e viscerale nel riportare gli stati d’animo, i dubbi e le gioie derivanti dalle scelte compiute dalla sua Jane. Emily Watson, che interpreta la madre di quest’ultima, ha una breve parte, ma cruciale. Con maestria riempie questo poco tempo, portando lo spettatore a domandarsi se sta davvero offrendo soluzioni così “sciocche” alla figlia in difficoltà o se ha un piano, al di là della comprensione di chi osserva. Ed è così che entra in scena un aitante Charlie Cox, direttore del coro della chiesa frequentata da Jane, nonchè insegnate di musica del figlio. Ma uno dei personaggi che più mi sta a cuore è il professor Sciame, interpretato da un sempre coinvolgente David Thewlis. Questo film va visto, criticato, amato o odiato. Di certo non può passare inosservato. Ed il fatto che prenda spunto dal libro della prima moglie di Hawking, ancora sua grande amica, lo salva con successo dalla banalità nella quale sarebbe potuto cadere. Renata Marcelli OSCAR 2015 – LA CORSA ALLA STATUETTA TRA GUERRA, SOGNI E ARTE Come al solito contenti e scontenti, la lista dei candidate agli Oscar suscita sempre discussioni, anche perché fregiarsi o meno di una nomination vale quasi un 20% in più al botteghino. Birdman di Alejandro Gonzalez Inarritu e The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson sono i film che ottengono il maggior numero di candidature. Entrambi totalizzano nove nomination, inclusa quella al miglior film. The Imitation Game, splendido racconto del mistero del Codice Enigma nazista ne ottiene otto, mentre American Sniper di Clint Eastwood e Boyhood sei. A cinque si fermano La teoria del tutto, Foxcatcher, Whiplash e Interstellar. Grande sconfitto Gone Girl di David Fincher: candidatura di Rosemund Pike a parte, manca le nomination principali, film e regia. Aldilà del tema di assoluta attualità si è colto forse tra i giurati qualcosa di già visto che non ha fatto bene al film, giustamente escluso l’insicuro Ben Affleck tra i candidati come miglior attore. Tra i titoli che si contendono l’Oscar ci sono American Sniper, Birdman, Boyhood, The Grand Budapest Hotel, The Imitation Game, Selma, The Theory of Everything e Whiplash. Eastwood (American Sniper) e Ava DuVernay (Selma), tuttavia, vengono esclusi dalla corsa alla miglior regia, scelta che lascia un po’ perplessi, per cui si sfideranno Iñárritu (Birdman), Linklater (Boyhood), Wes Anderson (The Grand Budapest Hotel), Morten Tyldum (The Imitation Game) e Bennet Miller, regista di Foxcatcher. Tra le candidate alla statuetta di miglior attrice, Julianne Moore crediamo non possa evitare di vincerla, insidiata questo si solo dall’outsider (si fa per dire) Marion Cotillard che tanto ha commosso per la sua interpretazione di Due giorni e una notte. Cerimonia di premiazione il prossimo 22 febbraio. Ecco tutti i candidati: Miglior film American Sniper Birdman Boyhood Grand Budapest Hotel The Imitation Game Selma La teoria del tutto Whiplash Miglior regia Alejandro G. Inarritu per Birdman Richard Linklater per Boyhood Bennett Miller per Foxcatcher Wes Anderson per Grand Budapest Hotel Morten Tydlum per The Imitation Game Miglior attore protagonista Steve Carell per Foxcatcher Bradley Cooper per American Sniper Benedict Cumberbatch per The Imitation Game Michael Keaton per Birdman Eddie Redmayne per La teoria del tutto Migliori attrice protagonista Marion Cotillard per Due giorni, una notte Felicity Jones per La teoria del tutto Julianne Moore per Still Alice Rosamund Pike per L’amore bugiardo Reese Witherspoon per Wild Miglior attore non protagonista Robert Duvall per The Judge Ethan Hawke per Boyhood Edward Norton per Birdman Mark Ruffalo per Foxcatcher J.K Simmons per Whiplash Miglior attrice non protagonista Patricia Arquette per Boyhood Laura Dern per Wild Keira Knightler per The Imitation Game Emma Stone per Birdman Meryl Streep per Into the Woods Miglior sceneggiatura originale Birdman Boyhood Foxcatcher Grand Budapest Hotel Lo sciacallo Miglior sceneggiatura non originale American Sniper The Imitation Game Vizio di forma La teoria del tutto Whiplash Miglior film straniero Ida (Polonia) Leviathan (Russia) Tangerines (Estonia) Timbuktu (Mauritania) Storie Pazzesche (Argentina) Miglior film d’animazione Big Hero 6 The Boxtrolls Dragontrainer 2 Song of the Sea The Tale of the Princess Kaguya Miglior fotografia Birdman Grand Budapest Hotel Ida Mr. Turner Unbroken Miglior montaggio American Sniper Boyhood Grand Budapest Hotel The Imitation Game Whiplash Miglior scenografia Grand Budapest Hotel The Imitation Game Into the Woods Mr. Turner Migliori costumi Grand Budapest Hotel Vizio di forma Into the Woods Maleficent Mr. Turner Miglior trucco e acconciature Foxcatcher Grand Budapest Hotel Guardiani della Galassia Migliori effetti speciali Captain America: The Winter Soldier Apes Revolution Guardians of the Galaxy Interstellar X-Men: Days of Future Past Miglior sonoro American Sniper Birdman Interstellar Unbroken Whiplash Miglior montaggio sonoro American Sniper Birdman Lo Hobbit Interstellar Unbroken Miglior colonna sonora originale Grand Budapest Hotel The Imitation Game Interstellar Mr. Turner La teoria del tutto Miglior canzone The Lego Movie Selma Beyond the Lights Begin Again Glen Campbell… I’ll be me Miglior documentario Citizenfour Finding Vivian Maier Last Days in Vietnam The Salt of the Earth Virunga Mauro Valentini THE IMITATION GAME – IL CODICE ENIGMA E LA MACCHINA DI TURING «Se stai attraversando l’Inferno, fallo a testa alta» (Winston Churchill). Gli alleati avevano un segreto. In quei terribili anni della Seconda Guerra Mondiale i nazisti sconvolgevano il mondo con attacchi sincronizzati via terra e via mare, affondando mercantili e navi strategiche e bombardando le città inglesi. Comunicavano, gli uomini di Hitler, le loro posizioni e gli ordini da eseguire attraverso un sistema criptato detto “Codice Enigma”, sofisticato per tutti, o meglio… quasi per tutti. “The Imitation Game” racconta la storia vera di un segreto di stato, la decodifica del codice tedesco da parte di un manipolo di cervellotici cervelloni, con a capo un certo Alan Turing. Ma non si pensi ad un film di guerra… le milioni di milioni di combinazioni possibili per decrittare quel codice fanno da sfondo quasi ad una bellissima storia umana, vera e sconosciuta ai più, di questo ragazzo saccente e geniale con un cuore solitario e disperato, investito nel compito niente meno che da Churchill in persona. Il genio della matematica Alan chiede ed ottiene finanziamenti ed anche del tempo, preziosissimo considerando l’urgenza bellica, per elaborare la sua “Macchina di Turing”, antesignana, preistorica ma efficace antenata di quegli aggeggi che tutti ormai chiamiamo Computer. Quasi un gruppo di Via Panisperna dunque, ragazzi giovani e spensierati che la guerra inchiodò al servizio di Sua Maestà e della libertà cercando di trovare il bandolo della matassa di un codice che stava bruciando il mondo. Una storia commovente ed avvincente che Morten Tyldum, regista norvegese di successo, ha diretto con sapienza in bilico tra thriller e racconto epico senza mai cadere nella retorica. Una storia che restituisce dignità postuma ad un uomo che rimase segnato da quell’esperienza e dai pochi anni che visse successivamente, un film bellissimo e commovente, interpretato da un gruppo di attori britannici affiatatissimi, tra cui spicca il protagonista, un intenso Benedict Cumberbatch, insieme a Keira Knightley, a suo agio nel ruolo dell’eroina che ormai le si addice e a Mark Strong, forse la rivelazione più grande di questo grande film. Gli alleati mantennero il segreto; per 50 anni non fecero trapelare il fatto che avessero decifrato il Codice Enigma, costrinsero questo gruppo di ragazzi eroici a non dire niente a nessuno, nessuno avrebbe saputo fino ai giorni nostri che grazie a loro si rese possibile lo sbarco in Normandia, la fine con due anni di anticipo della guerra e che, in base a recenti studi si risparmiarono 14 milioni di vite nel conflitto. Tutto grazie ad Alan Turing e alla sua infernale macchina benedetta. Mauro Valentini . BIG EYES – TIM BURTON RACCONTA L’ILLUSIONE DI KEANE Tim Burton torna nel mondo degli umani, anzi, racconta dopo venti anni dal meraviglioso Ed Wood un’altra storia vera eppur incredibile, l’epopea familiare, artistica e legale dei coniugi Keane e dei loro meravigliosi “Big Eyes”. La pittrice Margaret Ulbrich (raccontata nel film dalla voce narrante dal cronista Dick Nolan) nella puritana California degli anni ’50 fugge dal marito con la figlia piccola, per approdare a San Francisco, città viva e vivace già allora. Margaret si mantiene facendo ritratti per la strada, tutti con una caratteristica: quella di aver occhi enormi, espressivi e spudoratamente invasivi. Ha talento Margaret, se ne accorgono tutti, anche quel filibustiere di nome Walter Keane, di professione agente immobiliare ma che arrotonda cercando qualcuno che si compri le sue vedute di Parigi, che dipinge senza passione e con tecnica scolastica. Amy Adams Walter si innamora di Margaret ( o del suo talento?) e la sposa immediatamente, cercando di aiutarla nel far conoscere i suoi quadri. Sarà poi l’astuzia di Keane ed il caso a far precipitare i loro rapporti mentre i quadri con la firma “Keane” dipinti da Margaret ma venduti come fossero di Walter cominceranno a riempire le riviste e le pareti di mezzo mondo. Un film si è detto Hollywoodiano, un cocktail di colori, grande musica, scenografia e costumi splendidi, Tim Burton conosce il mezzo, ha l’arte del racconto e nessuno dei 114 minuti del film ha il marchio della banalità. Locandina del film Eppure qualcosa in quest’opera segna il passo; salta all’occhio proprio questa estrema cura che snatura il cinema di Burton, ne frena l’ardore e lo rende omologato lui che è il genio e la sregolatezza in persona. La delusione più grande però ce la riserva il protagonista Christoph Waltz, finora osannato dalla critica per le sue meravigliose performance Tarantiniane, ma che lontano dallo sguardo folle e geniale di Quentin mostra tutti i suoi limiti, che sono davvero tanti. Waltz restituisce un Keane troppo ammiccante, teatrale e grottesco che alla terza battuta e al secondo sguardo fintamente sorpreso stanca ed indispettisce. Anche qui come nel sopravvalutato “Carnage” di Roman Polanski, l’attore viennese appare non all’altezza del compito, mentre è bravissima Amy Adams che come in Her e The Master si cala con i suoi occhioni (tanto per rimanere in tema con il film) nel poliedrico personaggio di Margaret con picchi di intensità emotiva che lasciano il segno. Nota finale per la musica fluida e placida di Danny Elfman, che accompagna da sempre il genio di Burton mentre incanta l’elettro-pop di Lana Del Rey, che con la canzone tema del film si avvia a vincere il Golden Globe e forse l’Oscar. Keane GONE GIRL – L’AMORE BUGIARDO E DIABOLICO DI DAVID FINCHER Amy, bella e scorbutica moglie di uno scrittore di successo scompare misteriosamente. Parte cosi la macchina dei media, che accende i riflettori impietosi sulle dinamiche familiari scandagliando la vita del marito Nick, che da vittima di un possibile ricatto diventerà presto il primo sospettato… Ma siamo certi che sia lui il solo a nascondere qualcosa? Apprezzatissimo al Festival del Film di Roma due mesi fa, è uscito nelle sale italiane (forse intempestivamente visto il clima natalizio) Gone Girl, tradotto con un esplicito “L’amore bugiardo” che sa già di spoiler maldestro. Un film diciamolo subito, appassionante, ricco di passione e suspance, con infinite sfumature di giallo che arriva dritto al cuore. Locandina del film Analitico e suggestivo come sempre, il regista David Fincher pare interrogarsi sulla potenza e la suggestione a mezzo media e TV. Una coltre di cameramen, anchorman e collegamenti televisivi occuperanno di fatto la scena, costringendo il marito della scomparsa a difendersi dai sospetti che sibillini i programmi televisivi instilleranno pian piano nell’opinione pubblica, raccontando quanto falsa, direi meglio televisiva può esser la vita di tutti i giorni. Ma il film è soprattutto un thriller mozzafiato, pieno di sorprese e di colpi di scena che si susseguono in un crescendo di morte e di terrore, quasi un film in equilibrio tra Brian De Palma e Paul Schrader, senza scomodare come pomposamente qualcuno ha provato a fare a Roma in conferenza stampa il maestro Hitchcock. Seppur molto ben diretto quindi, non entusiasmano a sorpresa i due protagonisti, un ingrassato Ben Affleck, in genere a suo agio dentro a personaggi misteriosi ma che qui sembra quasi imbambolato dalla storia e dal copione, mentre la rigida Rosamunde Pike non è affatto credibile come “femme fatale”. Scena del film Eppure il film sa strutturarsi e crescere di tensione anche, anzi, nonostante loro due. Vincerà molto “Gone Girl” ai prossimi Golden Globe e all’Oscar, ci si può scommettere fin da ora su questa che appare una storia americana terribile eppure attualissima, pochi difetti (uno tra tutti l’eccessiva lunghezza che si sarebbe potuta sforbiciare con facilità a favore del ritmo narrativo) e una sezione tecnica perfetta, dove spicca la fotografia leggera e colorata di John Bailey a far da contraltare alla violenza e al rosso sangue di cui il film si ammanta. Mauro Valentini QUANDO IL RED CARPET DIVENTA “SOCIAL” FESTIVAL DEL FILM DI ROMA – QUANDO IL RED CARPET DIVENTA “SOCIAL” – #SCRIVIMIANCORA Si erano date appuntamento tramite Facebook, Istagram e Twitter, l’evento era di quelli da non perdere. Lily Collins e Sam Claflin sarebbero sfilati all’Auditorium di Roma per il Festival del Film e non si poteva perdere l’occasione. Si perché i due giovanissimi (e bellissimi) attori hanno accompagnato il film di Christian Ditter “#Scrivimiancora“ che uscirà il 30 Ottobre in Italia, un film attesissimo da un esercito di under 20 che ha sognato d’amore e di passione leggendo il Best Seller da cui il film è tratto. Lei e Lui, sorridenti e disponibili non si sono fatti pregare e anzi hanno dispensato sorrisi, autografi, selfie e abbracci a chi era dietro le transenne, alcune in fila da 12 ore solo per una foto e un sorriso. Solo per esserci, perché il Cinema ha questa straordinaria magia che si rinnova, quella di far sognare tutti, giovani e non. Le foto sono per gentile concessione di Valentina Battois di Pomezia. Per la cronaca… il film è divertentissimo, ma l’urlo di gioia che ha accolto i due attori è stata la nota più commovente del Festival. Ne racconteremo a parte, nei cinema italiani dal 30 Ottobre. I NOSTRI RAGAZZI L’ARIDA “SMARTPHONE-GENERATION” E I LORO GENITORI EQUILIBRISTI Tintinnio di posate, mirabilie di classe e di cultura radical-chic, locale da tre zeri a coperto e grande sfoggio di citazioni cinefile in stile “Nouvelle Vague”. Massimo e Paolo sono due fratelli molto affermati e arrivati in alto nella scala sociale, uno avvocato l’altro pediatra sono di quelli che non conoscono la parola crisi, con le loro mogli bellissime si godono la vita e le cose belle con amore immersi nella felicità familiare, un figlio uno, una figlia l’altro a cui riversano la loro delicata protezione che a loro sembra sufficiente a conoscerli e riconoscerli incastonandoli nella gategoria dei bravi ragazzi. Poi un filmato di una telecamera di sicurezza mostra quello che questi genitori mai potevano immaginare dei loro due rampolli, una bravata finita male e tutto va in pezzi, iniziando un calvario di bugie, meschine manipolazioni della verità appena coperta sotto l’ipocrisia tipica della borghesia intellettuale di questo paese. https://www.youtube.com/watch?v=uVtnxqN3d2E Ivano De Matteo reduce dal successo ottenuto con “Gli equilibristi” ritorna sul luogo del delitto per raccontare ancora una volta la fragilità del sistemafamiglia, spiegando anche in conferenza stampa che “ questo film è l’ultimo capitolo di una trilogia in cui il filo rosso è appunto la famiglia e la sua esplosione. Se in La bella gente c’era una persona che scardinava il meccanismo famigliare solido, la prostituta eiIn Gli equilibristi era l’uomo che usciva dalla famiglia e andava in frantumi, in questo c’è un evento forte che destabilizza le due famiglie“. De Matteo però è anche e soprattutto un bravissimo regista, lo spunto del meraviglioso best-seller di Erman Koch “La cena” da cui il film è liberamente tratto è solo un pretesto per raccontare uscendo dalla claustrofobica ambientazione del libro le dinamiche relazionali che sotto la coltre patinata dei sorrisi nascondono il nulla. Chi sono veramente questi figli cosi rassicuranti in apparenza dietro il sorrisino illuminato dallo schermo dell’ultimo smartphone? Come uscirne eticamente e moralmente da un evento che apre scenari e situazioni più grandi di loro, sia dei ragazzi che degli adulti? Un film toccante, riuscitissimo ed efficace che arriva li dove ogni genitore non vorrebbe mai scavare troppo, che svela paure e insicurezze di un rapporto genitori-figli mai così difficile e da riscrivere come in questi ultimi anni, un film recitato benissimo dal quartetto di attori che formano le due coppie; Alessandro Gassman è una spanna sopra tutti, la metamorfosi da ragazzo-immagine ad artista qui si completa in un ruolo che si vede pensato addosso a lui e al suo sorriso asimmetrico ed amaro, Luigi Lo Cascio fatica a tenere il suo ritmo anche per la differenza di presenza scenica che lo penalizza, mentre Giovanna Mezzogiorno e soprattutto Barbora Bobulova (ancora scelta da De Matteo) sono efficaci e seducenti seppur nel contesto drammatico verso cui il film inevitabilmente scivola piano piano. Bene anche l’introspettivo Jacopo Olmo Antinori, così giovane ma già un habitué del cinema d’autore mentre una piccola nota a parte la merita Rosabell Laurenti Sellers, giovanissima protagonista che lo stesso De Matteo ammette di trattare come sua musa ( era presente in Gli equilibristi) addirittura confessando di aver cambiato il plot narrativo iniziale per inserire una figlia femmina rispetto all’originale di Koch, che prevedeva due maschi e di averlo fatto apposta per averla sul set, fiducia che Rosabell ripaga sfoderando sguardi e sorrisi di una agghiacciante tenerezza.