The Walking Dead

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The Walking Dead
THE WALKING DEAD
– IL 9 FEBBRAIO
SI RICOMINCIA!
<<They’re screwing with the wrong people!>>… hanno fatto “arrabbiare” le persone
sbagliate!
Come può una serie televisiva sugli zombie coinvolgere adolescenti, nerd di ogni
età, nonche i loro genitori? Per saperlo dovremmo chiedere la “ricetta” alla
AMC, casa di produzione americana, che dal 2010 porta sul piccolo schermo la
storia dello sceriffo Rick Grimes, tratta, o meglio, liberamente ispirata,
dall’omonimo fumetto The Walking Dead.
Questa serie TV è riuscita a far vedere zombie in putrefazione dilaniare corpi e
arrancare notte e giorno in cerca di carne fresca, anche a chi, di tutto questo,
non ne ha mai voluto sapere nulla.
locandina della Serie TV
Una delle carte vincenti della sceneggiatura sono i tempi narrativi, i quali
spaziano da momenti di assoluta calma a minuti di panico nei quali succede
qualsiasi cosa. Allo stesso tempo questa tecnica può essere una lama a doppio
taglio, poichè chi ama la continua souspance potrebbe rimanere deluso.
Ma veniamo alla storia: la prima puntanta della prima serie è ambientata nel
mondo così come lo conosciamo. Durante un inseguimento Rick e il suo amico e
collega Shane, entrambi sceriffi della contea di King, Georgia, vengono
conivolti in un conflitto a fuoco nel quale il protagonista viene ferito. Ci
svegliamo con lui, da solo, in un ospedale deserto e devasto da quella che
sembra una carneficina. Sangue ovunque, cadaveri e nessun segno di vita.. anzi..
ci sono dei rumori che provengono da una doppia porta ben incatenata! Ci
accorgiamo di mani putrefatte che cercano di farsi strada per uscire e la
celebre scritta “DON’T OPEN DEAD INSIDE“… non aprite.. morti all’interno! E’
cosi’ che, insieme a Rick, veniamo letteralemente catapultati in una realtà
spaventosa, nella quale gli zombie sono ovunque e il mondo non è più sotto il
controllo dell’uomo.
Questo inizio, estremamente simile ai primi dieci minuti di 28 giorni dopo,
capolavoro del genere di Danny Boyle del 2002, è intrigante a tal punto che non
riusciamo a stalutare Rick finchè non scopriamo cosa sia successo e se c’è la
benchè minima speranza, per lui, di ritrovare la moglie e il figlio.
una scena della serie
Ma questo era il 2010, ora, cinque anni dopo, siamo nella trepidante attesa
della seconda parte della quinta stagione. Nel frattempo sono successe
innumerevoli cose…
La seconda carta vincente di questa serie è l’evoluzione dei personaggi che
cambiano e rivoluzionano se stessi per poter sopravvivere in questa nuova
realtà.
La terza carta vincente è l’aver saputo cogliere e sviluppare la parte più
intrigante delle storie ambientate durante un’ipotetica apocalisse zombie: cioè
che dopo un pò, gli zombie, sono l’ultimo dei problemi! La trama, infatti, si
dirama facendoci capire che l’ambientazione è quella di un mondo nel quale
starsene da soli può essere molto pericoloso. Allo stesso tempo, fidarsi del
primo gruppo di sopravvissuti, può equivalere a morte certa.
dal 9 febbraio
E’ un telefilm avvincente, che coinvolge e ti inchioda allo schermo, smaniando
per sapere come andrà a finire.
La pecca sta nell’esagerata fortuna che contraddistingue alcuni personaggi, i
quali si salvano in modi davvero ingegnosi, per non dire forzati.
Attendiamo con ansia il prossimo 9 febbraio per scoprire cosa succederà a Rick e
ai suoi compagni, soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti: ci sono state
importanti perdite, ma attendiamo altrettanto importanti ricongiungimenti.
Come fan della serie, mi auguro che gli sceneggiatori e produttori non perdano
la bussola e che riescano a trovare la meta alla fine di questo lungo viaggio.
Buon finale di stagione!
Renata Marcelli
CIMITERO
MONUMENTALE DEL
VERANO: UNA
PASSEGGIATA TRA
I RICORDI
Cosa facciamo questo week-end? Una bella passeggiata al Verano!
Il Cimitero Monumentale del Verano non è soltanto un luogo nel quale
i corpi dei defunti vengono sepolti ma è anche uno straordinario museo
all’aperto.
Le visite, per comodità, possono essere suddivise secondo i seguenti 8 itinerari
culturali:
1. Storie al femminile tra ottocento e novecento
Questo percorso è dedicato alle donne famose sepolte al Verano e si snoda
attraverso un ampio arco cronologico che dal 1860 giunge fino ai primi decenni
del Novecento. Durante questa visita possiamo: ammirare il sepolcro Lombardi che
riflette l’ambiente borghese dell’Ottocento; passare davanti alla tomba di
Rosalia Montmasson, unica donna della Spedizione dei Mille
e
di Giuditta
Tavani Arquati, vittima della tentata insurrezione romana del 1867; ammirare il
sepolcro di Sara Nathan, mazziniana convinta e punto di riferimento per i
patrioti del Risorgimento, nonchè madre di Ernesto Nathan, sindaco di Roma dal
1907 al 1913. La guida ci porterà poi davanti la tomba di educatrici e pedagoghe
quali Erminia Fuà Fusinato, Maria Montessori, Grazia Deledda, unica donna
italiana dell’epoca ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura, Sibilla
Aleramo e Natalia Ginzburg, protagoniste di decenni decisivi per lo sviluppo
della conoscienza civile e politica delle donne italiane, Adelaide Ristori, la
più grande attrice dell’Ottocento e Claudia Muzio, la famosa diva della lirica
alla quale lo scultore Pietro Canonica ha dedicato uno dei più bei monumenti del
Cimititero Monumentale del Verano.
2. Volti e memorie di Roma
Trilussa
La storia del Cimitero Monumentale del Verano è intrecciata indissolubilmente
con quella della città di Roma. Il percorso ci conduce dai protagonisti della
Repubblica Romana del 1849, quali Mattia Montecchi, Alessandro Castellani,
Ettore Nathan. Faremo visita a Antonio Nibby, Giovanni Battisti De Rossi e
Pietro Rosa, archeologi tra i primi a ricostruire attraverso studi e campagne di
scavo il volto della Roma antica, pagana e cristiana e a Antonio Koch e Giuseppe
Sacconi, gli architetti che plasmarono l’aspetto di Roma capitale dopo l’Unità.
La visita ci porterà inoltre davanti le tombe di grandi poeti e artisti del
teatro e dello spettacolo quali Cesare Pascarella, Giuseppe Gioacchino Belli,
Trilussa, Ettore Petrolini, Aldo Fabrizi e Alberto Sordi che, attraverso il loro
dialetto romanesco, hanno reso indelebile il carattere unico della città.
3. La memoria di chi ha fatto l’Italia
I momenti più importanti del Risorgimento italiano rivivono nelle vicende dei
protagonisti sepolti nel cimitero del Verano. Il percorso va dal monumento
funebre di Goffredo Mameli, patriota e poeta, al Monumento ai Caduti pontifici
della battaglia di Mentana, costruito da Virginio Vespignani nel Pincetto
Vecchio, che celebra al Verano la momentanea vittoria di Pio IX. Visiteremo le
tombe di uomini politici, protagonisti dei primi faticosi anni dell’Unità
d’Italia come Leonida Bissolati, che simboleggia quella parte dell’eredità
risorgimentale repubblicana che venne a saldarsi con l’emergente idiologia
socialista. Il percorso si chiude davanti alla tomba del coraggioso Enrico Toti,
famoso per il suo sacrificio dedicato alla Patria.
4. Le storie del cinema e dello spettacolo
Alberto Sordi
Le spoglie di registi, sceneggiatori, montatori, attori e doppiatori riposano
nel Cimitero Monumentale del Verano. L’eco di questi personaggi risuona nei
viali, consentendoci di ripercorrere le tappe più significative del cinema e
dello spettacolo. Faremo visita ai pionieri come al famoso trasformista Leopoldo
Fregoli, i fratelli Anton Giulio e Carlo Ludovico Bragaglia. Passeremo davanti
le tombe di divi e registi quali Amedeo Nazzari, Anna Magnani e Alida Valli,
Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Vittorio Gassmann, Nanni
Loy, Roberto Rossellini, autore di Roma città aperta, e Vittorio De Sica, già
attore giovane nei film dei cosiddetti “telefoni bianchi”. Andremo a trovare
figure che da sempre restano dietro alle quinte quali Sergio Amidei, Ruggero
Mastroianni, Ferruccio Amendola, voce italiana dei famosi attori americani De
Niro, Pacino e Stallone. Durante la visita non verranno tralasciate nemmeno
figure del teatro e della televisione italiana come Eduardo e Peppino De
Filippo, Aldo Frabrizi, Gabriella Ferri, Rino Gaetano, Mario Riva e Raimondo
Vianello.
5. Tre generazioni di architetti e urbanisti
Il
percorso
è
dedicato
alla
scoperta
della
struttura
urbanistica
ed
architettonica del Cimitero Monumentale del Verano. Passeremo dai protagonisti
delle prime fasi costruttive del cimitero, come Giuseppe Valandier, fino ai
lavori intrapresi nel 1859 su progetto di Virginio Vespignani non tralasciando i
famosi architetti degli anni dell’Unità d’Italia come Gaetano Kroch e Giuseppe
Sacconi, gli ideatori di Piazza Vittorio, altare della Patria, Piazza Esedra e
del Palazzo della Banca d’Italia. A questa generazione, che diete l’impronta più
significativa per la realizzazione delle principali cappelle del Pincetto,
appartiene anche Corrado Cianferoni, attivo negli interventi urbanistici di
ampliamento del nucleo originario del cimitero e autore di numerose tombe con
raffinate decorazioni in stile floreale.
6. Novecento. La passione di donne e uomini del “secolo breve”
Il Cimitero Monumentale del Verano conserva la memoria delle grandi passioni del
Novecento. Il percorso si delinea sullo sfondo dei conflitti sociali e politici
che precedono e accompagnano le vicende del Ventennio fascista e che culminano
nella drammatica esperienza della Seconda Guerra Mondiale. I sepolcri ed i
monumenti visitati rappresentano alcuni nodi nella grande rete della memoria
collettiva e coincidono con il ricordo di personaggi noti come Errico Malatesta,
Giovanni Amendola, Giuseppe Bottai, Camilla Ravera, Massimo Bontempelli e Bruno
Buozzi. Oltre a questi personaggi illustri la visita ci porterà davanti al
Mausoleo dei Martiri Fascisti – Ines Donati (Ricordo), al Monumento agli Ebrei
deportati e al Monumento alle vittime dei bombardamenti aerei di Roma.
7. Monumenti al Verano. Un museo all’aperto
Angelo della notte (1885)
di Giulio Monteverde, tomba
di Primo Zonca
Il percorso di visita prende l’avvio dalla struttura architettonica del
nucleo storico del Cimitero Monumentale: l’Atrio imponente che accoglie
il sarcofago di Virginio Vespignani, architetto del progetto originario;
il Quadriportico, il cui colonnato inquadra le monumentali tombe a parete delle
sepolture più antiche e culmina nella piccola chiesa di Santa Maria della
Misericordia; il Pincetto Vecchio, la terrazza-giardino sulle alte mura di
contenimento edificate per isolare la Basilica di San Lorenzo. Nel Quadriportico
si concentra una rassegna organica di sculture, prospetti architettonici e
dipinti murali (nelle lunette delle campate), che rappresenta un vero museo
all’aperto dell’arte dell’Ottocento. Un affascinante accento simbolista emerge
invece nella statua dell’Angelo della Notte (Tomba Zonca) di Giulio Monteverde.
8. La cultura dei letterati al Verano. Poesia, narrativa e critica
L’itinerario si svolge attraverso grandi protagonisti e personalità a partire
dagli anni del Risorgimento quali Goffredo Mameli, Giuseppe Gioacchino
Belli, Cesare Pascarella, Trilussa, Grazia Deledda (Ricordo), Eduardo De
Filippo, Alberto Moravia, Alberto Savinio, Giuseppe Ungaretti e Gianni Rodari.
BIRDMAN
MA QUESTO BIRDMAN, SAPRÀ VOLARE?!?
Questo non è un film, almeno non per come normalmente si puo’ intendere un film.
È girato come se fosse una rappresentazione teatrale, in cui girano un film che
parla di una rappresentazione teatrale… L’impressione è quella di assistere ad
un solo piano sequenza, come se quacuno stesse riprendedo con uno smartphone ciò
che sta vivendo il protagonista.
Siamo a New York e uno spettacolare Michael Keaton interpreta un attore
holliwoodiano di nome Riggan Thomson, il quale negli anni novanti interpretava,
sul grande schermo, un supereroe di nome Birdman. Lo conosciamo mentre, a venti
anni dalla sua celebrità, decide di dirigere ed interpretare una commedia a
Broadway. I personaggi che lo accompagnano in questa nuova avventura sono Emma
Stone, quasi irriconoscibile ripensando a The Help, che interpreta la figlia
scapestrata di Riggan. Naomi Watts, attrice emozionata e in ansia per la sua
prima volta in un teatro di Broadway, fidanzata con un folle, conturbante e
sempre esaltante Edward Norton, anche lui attore della compagnia.
Norton in questa pellicola gioca con il suo grande carisma interpretativo, cosa
che si nota ancora di più vedendolo in lingua originale. Ci trascina in un
personaggio egocentrico e assolutamente non etichettabile tra “buoni” o
“cattivi”, in bilico tra il mondo reale e un proprio universo e pensiero in cui
solo lui conta davvero.
Nei panni dell’avvocato, produttore, amico tutto fare e risolvi problemi, quello
che tarantino avrebbe chiamato “Wolf“, qui si chiama Jake, ed un pò più
imbranatello ed emotivo rispetto al meraviglioso personaggio del ’94 di Harvey
Keitel, ed è interpretato da Zach Galifianaski.
Per ultimo, ma assolutamente non meno importante, troviamo quello che forse è il
vero protagonista di questo film, Birdman. O meglio la voce che continua a
parlare nella testa di Riggan. Assistiamo infatti a questa inaspettata e potente
dualità del personaggio principale, l’attore e il supereroe che lo ha reso
famoso. E spesso durante la visione ci troviamo a non capire se stiamo vedendo
un film ambientato nella realtà di una mente disturbata o l’ennesimo, ma un po’
piu’ di nicchia, film su di un supereroe. Non è scontato nè che il protagonista
sia schizofrenico, nè che sia davvero Birdman, e forse è proprio qui la carta
vincente di questa pellicola.
Che non ha assolutamente importanza. In molti hanno sottolineato la grande
critica che, presumibilmente, l’abile Inarritu, ha voluto fare nei confronti dei
nuovi media e non dobbiamo infatti sottovalutare una morale nemmeno troppo
celata: che oggi giorno la realtà ha valore solo se, e nel modo in cui, gli
viene dato valore sul web.
Ci sono scene disarmanti in cui ci ritrovamo a giudicare comportamenti come
forzati, quando in realtà scopriamo che sono stati girati improvvisando, con una
videocamera, nel pieno centro di Time Square e che le reazioni delle persone
sono reali.
Ciò che mi ha colpita di più è la presa di coscienza del protagonista rispetto
alla sua vita, ai suoi errori e alle sue vittorie. La scena che più mi ha
gonfiato il cuore di emozione è stata quella nella quale Riggan si rende conto
di non essere mai stato presente a se stesso in tutta la sua vita.. ma chi di
noi lo è realmente? E non ci troviamo, dunque, a compatire questo personaggio,
bensì a ringraziarlo per averci fatto da sveglia e per averci dato la
possibilità di scandagliare dentro di noi universi fatti di voci di io nascosti
e profondamente influenzati da tutto ciò che ci circonda e che abbiamo vissuto.
Ci fa fare i conti con l’aspettativa, quella che noi abbiamo verso noi stessi e
quella che gli altri hanno verso di noi.. “Che cosa saresti potuto diventare…
invece..”
Quello che ai miei occhi è sembrato un meraviglioso dialogo interiore è un film
che spiazza e non ti fa stare comodo sulla sedia, perche proteso in avanti a
seguire gli eventi come se tu stesso fossi il cameramen! Girando l’angolo, tra
un camerino e l’altro potresti trovare un batterista che prova la sua musica
oppure un ragazza che disegna sulla carta igenica.
Inarritu, in queste due ore circa di film, ci fa fare un viaggio. Un viaggio in
un teatro di Broadway dove condividiamo passioni, attese e disperazioni degli
attori in attesa di andare in scena. E’ riscito, nel suo piccolo, a portare
l’emozione del dietro le quinte di un teatro, al cinema.. a parer mio,
assolutamente magnifico!
LA TEORIA DEL
TUTTO
MAI ARRENDERSI AL DESTINO
“Finchè c’è vita, c’è speranza“. Questa frase risuona nella mente e nel cuore
per molto tempo, dopo aver visto il film La teoria del tutto.
James Marsh ci racconta la straordinaria storia della vita e delle “passioni”
del dottor Stephen Hawking e della signora Hawking (la prima). La storia è
narrata attraverso gli occhi di questa donna apparentemente debole, ma in grado
di compiere delle scelte potenti che richiederanno una grande forza d’animo. Il
film è, infatti, tratto dal libro Travelling to infinity: my life with Stephen
scritto da Jane Wilde Hawking nel 2008.
Il tempo è l’argomento che Stephen sceglie per la sua tesi di dottorato a
Cambridge, e proprio lo scorrere del tempo è la chiave del film: i tempi
dell’università e delle birre con gli amici, il primo incontro con Jane, la
diagnosi
di
una
malattia
che
colpisce
i
motoneuroni,
la
scelta
di
non arrendersi, il matrimonio, i figli, la scienza… il tutto scandito dal lento
ed inesorabile peggioramento della malattia. Grazie alla fotografia di Benoit
Delhomme e ai costumi di Steven Noble, il trascorrere dei decenni è chiaramente
percepibile.
Nonostante la malattia, ciò che contraddistingue Stephen è un grande senso
dell’umorismo e una buona dose di autoironia. E nel film questo suo lato è reso
bene dai dialoghi. Da non dimenticare che il professor Hawking si è spesso
prestato ad interpretare se stesso in serie tv come Big Bang Theory, Star Trek o
i Simpson e che nel 1993 registrò “Keep Talking” con i Pink Floyd.
Un intenso Eddie Redmayne incarna quest’uomo dalle mille sfaccettature e ci
emoziona ad ogni difficoltà e ad ogni successo. Accanto a lui una Felicity Jones
drammatica, pronta e viscerale nel riportare gli stati d’animo, i dubbi e le
gioie derivanti dalle scelte compiute dalla sua Jane.
Emily Watson, che interpreta la madre di quest’ultima, ha una breve parte, ma
cruciale. Con maestria riempie questo poco tempo, portando lo spettatore a
domandarsi se sta davvero offrendo soluzioni così “sciocche” alla figlia in
difficoltà o se ha un piano, al di là della comprensione di chi osserva. Ed è
così che entra in scena un aitante Charlie Cox, direttore del coro della
chiesa frequentata da Jane, nonchè insegnate di musica del figlio.
Ma uno dei personaggi che più mi sta a cuore è il professor Sciame, interpretato
da un sempre coinvolgente David Thewlis.
Questo film va visto, criticato, amato o odiato. Di certo non può passare
inosservato. Ed il fatto che prenda spunto dal libro della prima moglie di
Hawking, ancora sua grande amica, lo salva con successo dalla banalità nella
quale sarebbe potuto cadere.
Renata Marcelli
OSCAR 2015 – LA
CORSA ALLA
STATUETTA TRA
GUERRA, SOGNI E
ARTE
Come al solito contenti e scontenti, la lista dei candidate agli Oscar suscita
sempre discussioni, anche perché fregiarsi o meno di una nomination vale quasi
un 20% in più al botteghino.
Birdman di Alejandro Gonzalez Inarritu e The Grand Budapest Hotel di Wes
Anderson sono i film che ottengono il maggior numero di candidature. Entrambi
totalizzano nove nomination, inclusa quella al miglior film.
The Imitation Game, splendido racconto del mistero del Codice Enigma nazista ne
ottiene otto, mentre American Sniper di Clint Eastwood e Boyhood sei. A cinque
si fermano La teoria del tutto, Foxcatcher, Whiplash e Interstellar.
Grande sconfitto Gone Girl di David Fincher: candidatura di Rosemund Pike a
parte, manca le nomination principali, film e regia. Aldilà del tema di assoluta
attualità si è colto forse tra i giurati qualcosa di già visto che non ha fatto
bene al film, giustamente escluso l’insicuro Ben Affleck tra i candidati come
miglior attore.
Tra i titoli che si contendono l’Oscar ci sono American Sniper, Birdman,
Boyhood, The Grand Budapest Hotel, The Imitation Game, Selma, The Theory of
Everything e Whiplash.
Eastwood (American Sniper) e Ava DuVernay (Selma), tuttavia, vengono esclusi
dalla corsa alla miglior regia, scelta che lascia un po’ perplessi, per cui si
sfideranno Iñárritu (Birdman), Linklater (Boyhood), Wes Anderson (The Grand
Budapest Hotel), Morten Tyldum (The Imitation Game) e Bennet Miller, regista di
Foxcatcher.
Tra le candidate alla statuetta di miglior attrice, Julianne Moore crediamo non
possa evitare di vincerla, insidiata questo si solo dall’outsider (si fa per
dire) Marion Cotillard che tanto ha commosso per la sua interpretazione di Due
giorni e una notte.
Cerimonia di premiazione il prossimo 22 febbraio. Ecco tutti i candidati:
Miglior film
American Sniper
Birdman
Boyhood
Grand Budapest Hotel
The Imitation Game
Selma
La teoria del tutto
Whiplash
Miglior regia
Alejandro G. Inarritu per Birdman
Richard Linklater per Boyhood
Bennett Miller per Foxcatcher
Wes Anderson per Grand Budapest Hotel
Morten Tydlum per The Imitation Game
Miglior attore protagonista
Steve Carell per Foxcatcher
Bradley Cooper per American Sniper
Benedict Cumberbatch per The Imitation Game
Michael Keaton per Birdman
Eddie Redmayne per La teoria del tutto
Migliori attrice protagonista
Marion Cotillard per Due giorni, una notte
Felicity Jones per La teoria del tutto
Julianne Moore per Still Alice
Rosamund Pike per L’amore bugiardo
Reese Witherspoon per Wild
Miglior attore non protagonista
Robert Duvall per The Judge
Ethan Hawke per Boyhood
Edward Norton per Birdman
Mark Ruffalo per Foxcatcher
J.K Simmons per Whiplash
Miglior attrice non protagonista
Patricia Arquette per Boyhood
Laura Dern per Wild
Keira Knightler per The Imitation Game
Emma Stone per Birdman
Meryl Streep per Into the Woods
Miglior sceneggiatura originale
Birdman
Boyhood
Foxcatcher
Grand Budapest Hotel
Lo sciacallo
Miglior sceneggiatura non originale
American Sniper
The Imitation Game
Vizio di forma
La teoria del tutto
Whiplash
Miglior film straniero
Ida (Polonia)
Leviathan (Russia)
Tangerines (Estonia)
Timbuktu (Mauritania)
Storie Pazzesche (Argentina)
Miglior film d’animazione
Big Hero 6
The Boxtrolls
Dragontrainer 2
Song of the Sea
The Tale of the Princess Kaguya
Miglior fotografia
Birdman
Grand Budapest Hotel
Ida
Mr. Turner
Unbroken
Miglior montaggio
American Sniper
Boyhood
Grand Budapest Hotel
The Imitation Game
Whiplash
Miglior scenografia
Grand Budapest Hotel
The Imitation Game
Into the Woods
Mr. Turner
Migliori costumi
Grand Budapest Hotel
Vizio di forma
Into the Woods
Maleficent
Mr. Turner
Miglior trucco e acconciature
Foxcatcher
Grand Budapest Hotel
Guardiani della Galassia
Migliori effetti speciali
Captain America: The Winter Soldier
Apes Revolution
Guardians of the Galaxy
Interstellar
X-Men: Days of Future Past
Miglior sonoro
American Sniper
Birdman
Interstellar
Unbroken
Whiplash
Miglior montaggio sonoro
American Sniper
Birdman
Lo Hobbit
Interstellar
Unbroken
Miglior colonna sonora originale
Grand Budapest Hotel
The Imitation Game
Interstellar
Mr. Turner
La teoria del tutto
Miglior canzone
The Lego Movie
Selma
Beyond the Lights
Begin Again
Glen Campbell… I’ll be me
Miglior documentario
Citizenfour
Finding Vivian Maier
Last Days in Vietnam
The Salt of the Earth
Virunga
Mauro Valentini
THE IMITATION
GAME – IL CODICE
ENIGMA E LA
MACCHINA DI
TURING
«Se stai attraversando l’Inferno, fallo a testa alta» (Winston Churchill).
Gli alleati avevano un segreto.
In quei terribili anni della Seconda Guerra Mondiale i nazisti sconvolgevano il
mondo con attacchi sincronizzati via terra e via mare, affondando mercantili e
navi strategiche e bombardando le città inglesi.
Comunicavano, gli uomini di Hitler, le loro posizioni e gli ordini da eseguire
attraverso un sistema criptato detto “Codice Enigma”, sofisticato per tutti, o
meglio… quasi per tutti.
“The Imitation Game” racconta la storia vera di un segreto di stato, la
decodifica del codice tedesco da parte di un manipolo di cervellotici
cervelloni, con a capo un certo Alan Turing.
Ma non si pensi ad un film di guerra… le milioni di milioni di combinazioni
possibili per decrittare quel codice fanno da sfondo quasi ad una bellissima
storia umana, vera e sconosciuta ai più, di questo ragazzo saccente e geniale
con un cuore solitario e disperato, investito nel compito niente meno che da
Churchill in persona.
Il genio della matematica Alan chiede ed ottiene finanziamenti ed anche del
tempo, preziosissimo considerando l’urgenza bellica, per elaborare la sua
“Macchina di Turing”, antesignana, preistorica ma efficace antenata di quegli
aggeggi che tutti ormai chiamiamo Computer.
Quasi un gruppo di Via Panisperna dunque, ragazzi giovani e spensierati che la
guerra inchiodò al servizio di Sua Maestà e della libertà cercando di trovare il
bandolo della matassa di un codice che stava bruciando il mondo. Una storia
commovente ed avvincente che Morten Tyldum, regista norvegese di successo, ha
diretto con sapienza in bilico tra thriller e racconto epico senza mai cadere
nella retorica.
Una storia che restituisce dignità postuma ad un uomo che rimase segnato da
quell’esperienza e dai pochi anni che visse successivamente, un film bellissimo
e commovente, interpretato da un gruppo di attori britannici affiatatissimi, tra
cui spicca il protagonista, un intenso Benedict Cumberbatch, insieme a Keira
Knightley, a suo agio nel ruolo dell’eroina che ormai le si addice e a Mark
Strong, forse la rivelazione più grande di questo grande film.
Gli alleati mantennero il segreto; per 50 anni non fecero trapelare il fatto che
avessero decifrato il Codice Enigma, costrinsero questo gruppo di ragazzi eroici
a non dire niente a nessuno, nessuno avrebbe saputo fino ai giorni nostri che
grazie a loro si rese possibile lo sbarco in Normandia, la fine con due anni di
anticipo della guerra e che, in base a recenti studi si risparmiarono 14 milioni
di vite nel conflitto.
Tutto grazie ad Alan Turing e alla sua infernale macchina benedetta.
Mauro Valentini
.
BIG EYES – TIM
BURTON RACCONTA
L’ILLUSIONE DI
KEANE
Tim Burton torna nel mondo degli umani, anzi, racconta dopo venti anni dal
meraviglioso Ed Wood un’altra storia vera eppur incredibile, l’epopea familiare,
artistica e legale dei coniugi Keane e dei loro meravigliosi “Big Eyes”.
La pittrice Margaret Ulbrich (raccontata nel film dalla voce narrante dal
cronista Dick Nolan) nella puritana California degli anni ’50 fugge dal marito
con la figlia piccola, per approdare a San Francisco, città viva e vivace già
allora. Margaret si mantiene facendo ritratti per la strada, tutti con una
caratteristica: quella di aver occhi enormi, espressivi e spudoratamente
invasivi. Ha talento Margaret, se ne accorgono tutti, anche quel filibustiere di
nome Walter Keane, di professione agente immobiliare ma che arrotonda cercando
qualcuno che si compri le sue vedute di Parigi, che dipinge senza passione e con
tecnica scolastica.
Amy Adams
Walter si innamora di Margaret ( o del suo talento?) e la sposa immediatamente,
cercando di aiutarla nel far conoscere i suoi quadri. Sarà poi l’astuzia di
Keane ed il caso a far precipitare i loro rapporti mentre i quadri con la firma
“Keane” dipinti da Margaret ma venduti come fossero di Walter cominceranno a
riempire le riviste e le pareti di mezzo mondo.
Un film si è detto Hollywoodiano, un cocktail di colori, grande musica,
scenografia e costumi splendidi, Tim Burton conosce il mezzo, ha l’arte del
racconto e nessuno dei 114 minuti del film ha il marchio della banalità.
Locandina del film
Eppure qualcosa in quest’opera segna il passo; salta all’occhio proprio questa
estrema cura che snatura il cinema di Burton, ne frena l’ardore e lo rende
omologato lui che è il genio e la sregolatezza in persona.
La delusione più grande però ce la riserva il protagonista Christoph Waltz,
finora osannato dalla critica per le sue meravigliose performance Tarantiniane,
ma che lontano dallo sguardo folle e geniale di Quentin mostra tutti i suoi
limiti, che sono davvero tanti. Waltz restituisce un Keane troppo ammiccante,
teatrale e grottesco che alla terza battuta e al secondo sguardo fintamente
sorpreso stanca ed indispettisce.
Anche qui come nel sopravvalutato “Carnage” di Roman Polanski, l’attore viennese
appare non all’altezza del compito, mentre è bravissima Amy Adams che come in
Her e The Master si cala con i suoi occhioni (tanto per rimanere in tema con il
film) nel poliedrico personaggio di Margaret con picchi di intensità emotiva che
lasciano il segno.
Nota finale per la musica fluida e placida di Danny Elfman, che accompagna da
sempre il genio di Burton mentre incanta l’elettro-pop di Lana Del Rey, che con
la canzone tema del film si avvia a vincere il Golden Globe e forse l’Oscar.
Keane
GONE GIRL –
L’AMORE BUGIARDO
E DIABOLICO DI
DAVID FINCHER
Amy, bella e scorbutica moglie di uno scrittore di successo scompare
misteriosamente. Parte cosi la macchina dei media, che accende i riflettori
impietosi sulle dinamiche familiari scandagliando la vita del marito Nick, che
da vittima di un possibile ricatto diventerà presto il primo sospettato… Ma
siamo certi che sia lui il solo a nascondere qualcosa?
Apprezzatissimo al Festival del Film di Roma due mesi fa, è uscito nelle sale
italiane (forse intempestivamente visto il clima natalizio) Gone Girl, tradotto
con un esplicito “L’amore bugiardo” che sa già di spoiler maldestro.
Un film diciamolo subito, appassionante, ricco di passione e suspance, con
infinite sfumature di giallo che arriva dritto al cuore.
Locandina del film
Analitico e suggestivo come sempre, il regista David Fincher pare interrogarsi
sulla potenza e la suggestione a mezzo media e TV.
Una coltre di cameramen, anchorman e collegamenti televisivi occuperanno di
fatto la scena, costringendo il marito della scomparsa a difendersi dai sospetti
che sibillini i programmi televisivi instilleranno pian piano nell’opinione
pubblica, raccontando quanto falsa, direi meglio televisiva può esser la vita di
tutti i giorni.
Ma il film è soprattutto un thriller mozzafiato, pieno di sorprese e di colpi di
scena che si susseguono in un crescendo di morte e di terrore, quasi un film in
equilibrio tra Brian De Palma e Paul Schrader, senza scomodare come pomposamente
qualcuno ha provato a fare a Roma in conferenza stampa il maestro Hitchcock.
Seppur molto ben diretto quindi, non entusiasmano a sorpresa i due protagonisti,
un ingrassato Ben Affleck, in genere a suo agio dentro a personaggi misteriosi
ma che qui sembra quasi imbambolato dalla storia e dal copione, mentre la rigida
Rosamunde Pike non è affatto credibile come “femme fatale”.
Scena del film
Eppure il film sa strutturarsi e crescere di tensione anche, anzi, nonostante
loro due.
Vincerà molto “Gone Girl” ai prossimi Golden Globe e all’Oscar, ci si può
scommettere fin da ora su questa che appare una storia americana terribile
eppure attualissima, pochi difetti (uno tra tutti l’eccessiva lunghezza che si
sarebbe potuta sforbiciare con facilità a favore del ritmo narrativo) e una
sezione tecnica perfetta, dove spicca la fotografia leggera e colorata di John
Bailey a far da contraltare alla violenza e al rosso sangue di cui il film si
ammanta.
Mauro Valentini
QUANDO IL RED
CARPET DIVENTA
“SOCIAL”
FESTIVAL DEL FILM DI ROMA – QUANDO IL
RED CARPET DIVENTA “SOCIAL” –
#SCRIVIMIANCORA
Si erano date appuntamento tramite Facebook, Istagram e Twitter, l’evento era di
quelli da non perdere. Lily Collins e Sam Claflin sarebbero sfilati
all’Auditorium di Roma per il Festival del Film e non si poteva perdere
l’occasione. Si perché i due giovanissimi (e bellissimi) attori hanno
accompagnato il film di Christian Ditter “#Scrivimiancora“ che uscirà il 30
Ottobre in Italia, un film attesissimo da un esercito di under 20 che ha sognato
d’amore e di passione leggendo il Best Seller da cui il film è tratto.
Lei e Lui, sorridenti e disponibili non si sono fatti pregare e anzi hanno
dispensato sorrisi, autografi, selfie e abbracci a chi era dietro le transenne,
alcune in fila da 12 ore solo per una foto e un sorriso. Solo per esserci,
perché il Cinema ha questa straordinaria magia che si rinnova, quella di far
sognare tutti, giovani e non. Le foto sono per gentile concessione di Valentina
Battois di Pomezia.
Per la cronaca… il film è divertentissimo, ma l’urlo di gioia che ha accolto i
due attori è stata la nota più commovente del Festival.
Ne racconteremo a parte, nei cinema italiani dal 30 Ottobre.
I NOSTRI RAGAZZI
L’ARIDA “SMARTPHONE-GENERATION” E I
LORO GENITORI EQUILIBRISTI
Tintinnio di posate, mirabilie di classe e di cultura radical-chic, locale da
tre zeri a coperto e grande sfoggio di citazioni cinefile in stile “Nouvelle
Vague”.
Massimo e Paolo sono due fratelli molto affermati e arrivati in alto nella scala
sociale, uno avvocato l’altro pediatra sono di quelli che non conoscono la
parola crisi, con le loro mogli bellissime si godono la vita e le cose belle con
amore immersi nella felicità familiare, un figlio uno, una figlia l’altro a cui
riversano la loro delicata protezione che a loro sembra sufficiente a conoscerli
e riconoscerli incastonandoli nella gategoria dei bravi ragazzi.
Poi un filmato di una telecamera di sicurezza mostra quello che questi genitori
mai potevano immaginare dei loro due rampolli, una bravata finita male e tutto
va in pezzi, iniziando un calvario di bugie, meschine manipolazioni della verità
appena coperta sotto l’ipocrisia tipica della borghesia intellettuale di questo
paese.
https://www.youtube.com/watch?v=uVtnxqN3d2E
Ivano De Matteo reduce dal successo ottenuto con “Gli equilibristi” ritorna sul
luogo del delitto per raccontare ancora una volta la fragilità del sistemafamiglia, spiegando anche in conferenza stampa che “ questo film è l’ultimo
capitolo di una trilogia in cui il filo rosso è appunto la famiglia e la sua
esplosione. Se in La bella gente c’era una persona che scardinava il meccanismo
famigliare solido, la prostituta eiIn Gli equilibristi era l’uomo che usciva
dalla famiglia e andava in frantumi, in questo c’è un evento forte che
destabilizza le due famiglie“.
De Matteo però è anche e soprattutto un bravissimo regista, lo spunto del
meraviglioso best-seller di Erman Koch “La cena” da cui il film è liberamente
tratto è solo un pretesto per raccontare uscendo dalla claustrofobica
ambientazione del libro le dinamiche relazionali che sotto la coltre patinata
dei sorrisi nascondono il nulla.
Chi sono veramente questi figli cosi rassicuranti in apparenza dietro il
sorrisino illuminato dallo schermo dell’ultimo smartphone? Come uscirne
eticamente e moralmente da un evento che apre scenari e situazioni più grandi di
loro, sia dei ragazzi che degli adulti?
Un film toccante, riuscitissimo ed efficace che arriva li dove ogni genitore non
vorrebbe mai scavare troppo, che svela paure e insicurezze di un rapporto
genitori-figli mai così difficile e da riscrivere come in questi ultimi anni, un
film recitato benissimo dal quartetto di attori che formano le due coppie;
Alessandro Gassman è una spanna sopra tutti, la metamorfosi da ragazzo-immagine
ad artista qui si completa in un ruolo che si vede pensato addosso a lui e al
suo sorriso asimmetrico ed amaro, Luigi Lo Cascio fatica a tenere il suo ritmo
anche per la differenza di presenza scenica che lo penalizza, mentre Giovanna
Mezzogiorno e soprattutto Barbora Bobulova (ancora scelta da De Matteo) sono
efficaci e seducenti seppur nel contesto drammatico verso cui il film
inevitabilmente scivola piano piano.
Bene anche l’introspettivo Jacopo Olmo Antinori, così giovane ma già un habitué
del cinema d’autore mentre una piccola nota a parte la merita Rosabell Laurenti
Sellers, giovanissima protagonista che lo stesso De Matteo ammette di trattare
come sua musa ( era presente in Gli equilibristi) addirittura confessando di
aver cambiato il plot narrativo iniziale per inserire una figlia femmina
rispetto all’originale di Koch, che prevedeva due maschi e di averlo fatto
apposta per averla sul set, fiducia che Rosabell ripaga sfoderando sguardi e
sorrisi di una agghiacciante tenerezza.