L`Osservatore Romano, 4 febbraio 2017
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L`Osservatore Romano, 4 febbraio 2017
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVII n. 28 (47.462) Città del Vaticano sabato 4 febbraio 2017 . Il Papa chiede ai religiosi e alle religiose di mettere Cristo in mezzo al popolo L’immigrazione al centro del vertice dell’Unione a Malta Padri di speranza non professionisti del sacro Europa unita nella lotta ai trafficanti Vincere «la tentazione della sopravvivenza» che inaridisce i cuori e li priva della capacità di sognare: è l’impegno che il Papa ha chiesto ai consacrati e alle consacrate durante la messa celebrata nella basilica di San Pietro giovedì pomeriggio, 2 febbraio. Nel giorno in cui la Chiesa fa memoria della festa della presentazione di Gesù al tempio — alla quale ormai da ventuno anni è legata la giornata mondiale della vita consacrata — il Pontefice ha invitato i religiosi e le religiose a fare «memoria di come sognarono i nostri anziani, i nostri padri e madri», e a riscoprire il «coraggio per portare avanti, profeticamente, questo sogno». Un atteggiamento, questo, che consente di mantenere «feconda» la scelta della consacrazione e di non mortificare «la creatività profetica» del carisma originario. Il rischio, per il Papa, è quello di «diventare reazionari, paurosi», chiusi «nelle nostre case e nei nostri schemi», in cerca di «scorciatoie per sfuggire alle sfide che oggi bussano alle nostre porte». La «psicologia della sopravvivenza — ha ammonito — toglie forza ai nostri carismi perché ci porta ad addomesticarli, a renderli “a portata di mano” ma privandoli di quella forza creativa che essi inaugurarono; fa sì che vogliamo proteggere spazi, edifici o strutture più che rendere possibili nuovi processi». Così i consacrati sono destinati a diventare semplici «professionisti del sacro, ma non padri, madri o fratelli della speranza che siamo stati chiamati a profetizzare». Questo atteggiamento, ha proseguito il Pontefice, non solo «inaridisce il cuore dei nostri anziani, privandoli della capacità di sognare», ma al tempo stesso «sterilizza la profezia che i più giovani sono chiamati ad annunciare e realizzare». In poche parole, «la tentazione della sopravvivenza trasforma in pericolo, in minaccia, in tragedia ciò che il Signore ci presenta come un’opportunità per la missione». Per evitarlo Francesco ha indicato ai consacrati la missione di «mettere Gesù in mezzo al suo popolo», facendosi carico ogni giorno della «croce dei nostri fratelli». Una missione da realizzare «non come attivisti della fede» — ha spiegato — ma «come uomini e donne che sono continuamente per- donati, uomini e donne uniti nel battesimo per condividere questa unzione e la consolazione di Dio con gli altri». Perché, ha concluso citando l’Evangelii gaudium, «uscire da se stessi per unirsi agli altri non solo fa bene, ma trasforma la nostra vita e la nostra speranza in un canto di lode». PAGINA 8 Verso i colloqui di Astana dove si tornerà a parlare della tregua e del futuro politico del paese Confronto diplomatico sulla Siria y(7HA3J1*QSSKKM( +/!"!?!"![! DAMASCO, 3. Torna ad aprirsi il confronto diplomatico sulla Siria. Lunedì 6 febbraio si terrà ad Astana la prima riunione della task-force che coinvolgerà le delegazioni di Russia, Turchia, Iran e l’inviato delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura. Ad annunciarlo è stato ieri il portavoce del ministero degli esteri kazako, Anuar Zhainakov, all’agenzia Interfax. «Esperti provenienti da Russia, Turchia, Iran e Nazioni Unite prenderanno parte ai lavori della task-force congiunta. Lo scopo del meeting è quello di discutere la realizzazione della cessazione delle ostilità» ha spiegato il ministero della difesa russo. L’incontro, tuttavia, sarà anche l’occasione per tornare sulle principali questioni politiche al centro del negoziato. Come spiegano numerose fonti, uno dei punti cruciali su cui si discuterà ad Astana è la bozza di costituzione presentata da Mosca alle delegazioni di ribelli e al governo di Damasco. Nello specifico, la questione più complessa riguarda il sistema politico del futuro nuovo stato siriano. Quest’ultimo — come si evince dalla bozza presentata da Mosca e anticipata da alcuni media internazionali — «si basa sul principio di pluralismo politico e sulla possibilità di esercitare il potere democraticamente a scrutinio segreto». Inoltre «deve essere riconosciuta la diversità ideologica, nessuna ideologia deve essere proclamata ideologia di stato od obbligatoria» si legge nelle anticipazioni della bozza. Il progetto di costituzione dice che «il territorio della Siria è indivisibile, inviolabile e integrale», mentre «i confini dello stato possono essere modi- Bergomi, Poretti, Van De Sfroos Cresciuti in oratorio SERGIO MASSIRONI A PAGINA 4 ficati solo a seguito di un referendum indetto tra tutti i cittadini siriani». Il presidente è eletto con un mandato della durata di sette anni, dai cittadini siriani «a suffragio universale, uguale e diretto, a scrutinio segreto». Sempre sul piano diplomatico, si segnala nelle ultime ore la dura presa di posizione da parte dell’opposizione siriana contro Staffan de Mistura, dopo che l’inviato speciale delle Nazioni Unite aveva ventilato l’ipotesi di sceglierne lui stesso i delegati ai prossimi colloqui di pace sotto l’egida Onu, in programma a Ginevra (ma il 20 febbraio anziché mercoledì prossimo, come previsto). Le parole del diplomatico italo-svedese sono state definite «inaccettabili» su Twitter da Riad Hijab, capo dell’alto comitato negoziale, cartello che rappresenta la maggior parte delle fazioni ostili al governo di Assad. «Non è affare di de Mistura selezionare la delegazione dell’opposizione siriana» ha tagliato corto Hijab. Un portavoce del gruppo, Salem Muslet, a sua volta ha sottolineato come de Mistura abbia dato prova di «disprezzo per le capacità dei rappresentanti del popolo della Siria». Muslat ha respinto l’idea secondo cui l’aver posticipato i colloqui ginevrini sarebbe stato dovuto all’incapacità degli oppositori di accordarsi sugli emissari da inviare in Svizzera. «Il rinvio non risponde agli interessi del nostro popolo», ha denunciato il numero uno dell’alto comitato, ma «costituisce una risposta alle richieste degli alleati del regime». Nelle zone di Aleppo, intanto, si continua a combattere. Le forze governative siriane annunciano di voler allargare il raggio dell’offensiva in corso a est di Aleppo contro formazioni jihadiste. In un comunicato pubblicato dall’agenzia governativa Sana, lo stato maggiore delle forze armate siriane annuncia l’avvio di operazioni militari su larga scala nel distretto di Al Bab, in mano all’Is ma già sotto attacco da setti- mane da parte di forze turche e milizie anti-governative locali loro alleate. Nell’operazione sono stati distrutti tre centri di comando dell’Is e alcune «posizioni fortificate dei terroristi». Sempre più fragile, nel frattempo, la tregua nelle zone comprese nel cessate il fuoco. La Russia ha registrato tre violazioni del cessate il fuoco in Siria nelle ultime 24 ore, tutte nella provincia di Latakia. La Turchia invece ha denunciato sette violazioni della tregua: cinque nella provincia di Damasco e due in quella di Hama. Sul piano umanitario, il rappresentante dell’Onu, Stephen O’Brien, ha accusato ieri il governo siriano di bloccare la consegna degli aiuti a centinaia di migliaia di persone bisognose, nonostante il cessate il fuoco sia «un barlume di speranza per la fine del conflitto». BRUXELLES, 3. «Fermare l’immigrazione è impossibile, si devono fare scelte corrette per gestire al meglio i flussi». È quanto ha affermato ieri Federica Mogherini, l’alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in un’intervista alla vigilia del vertice europeo a Malta. Mentre si contano 450 persone soccorse nel Canale di Sicilia nelle ultime ore, nell’isola nel cuore del Mediterraneo i leader europei si riuniscono oggi per discutere non solo di immigrazione, ma anche della lotta ai trafficanti di esseri umani. Si tratta di un vertice informale che ha, come obiettivo principale, predisporre «misure operative» per il blocco dei flussi che dalla Libia, attraversando il Mediterraneo, arrivano nel cuore dell’Europa. Flussi «non più sostenibili», come ha sottolineato il presidente del consiglio europeo, Donald Tusk, assicurando l’impegno dell’Unione. Fin dai primissimi giorni della sua presidenza di turno, iniziata con il nuovo anno, il primo ministro maltese, Joseph Muscat, ha auspicato un accordo con la Libia sul modello di quello già raggiunto con la Turchia. Intanto, ieri sera il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Paolo Gentiloni, ha firmato un protocollo d’intesa con il capo del governo di unità nazionale libico, Fayez Al Serraj, che prevede, innanzitutto, risorse dall’Italia per sostenere il lavoro della guardia costiera di Tripoli per fermare e far rientrare sulle coste libiche i barconi intercettati in mare. Ma vengono anche assicurati finanziamenti per i centri di accoglienza presenti sulle coste libiche, dove i profughi saranno riportati. Al momento, infatti, le condizioni di vita in questi centri sono pessime. Come detto, dopo l’accordo tra Ue e Turchia, che ha sostanzialmente fermato il flusso sulla rotta balcanica (anche se non sono mai mancate alcune perplessità sulle modalità di attuazione), Bruxelles vuole un accordo simile con la Libia, base principale di partenza dei migranti. Le situazioni dei due paesi, tuttavia, sono molto diverse. La Libia è ancora segnata da un violento conflitto e manca di una stabilità politica adeguata. Uomo armato aggredisce un gruppo di militari nei pressi del Louvre Torna a Parigi l’incubo terrorismo L’Italia non solo ha stipulato ora il suo accordo con la Libia, che si aspetta diventi un accordo europeo, ma già dall’anno scorso ha promosso i migration compact, cioè pacchetti di accordi per aiutare i profughi nei paesi di origine scongiurando le disperate partenze in mare. A livello bilaterale, l’allora presidente del consiglio Matteo Renzi aveva firmato progetti con Ghana e Senegal, recandosi negli stati interessati. Una linea seguita anche dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, che l’anno scorso aveva fatto un tour africano, avviando Federica Mogherini (Ap) il dialogo in questo senso con il Mali e l’Eritrea. A livello europeo, la linea di migliorare le condizioni in Africa scongiurando le partenze viene fortemente appoggiata dalla commissione europea che, nei giorni scorsi, proprio in vista di questo vertice ha presentato il suo piano che infatti va nella stessa direzione. Un altro tentativo di assunzione di responsabilità da parte dell’Europa di fronte ai flussi — che hanno toccato direttamente Grecia e Italia e che continuano anche in pieno inverno a interessare le coste italiane — è stato il progetto di redistribuzione dei richiedenti asilo. Resta fermo, però, per la mancata collaborazione di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: l’Eminentissimo Cardinale Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; le Loro Eccellenze i Monsignori: — Giambattista Diquattro, Arcivescovo titolare di Giromonte, Nunzio Apostolico in India; — Carlos José Tissera, Vescovo di Quilmes (Argentina); l’Eminentissimo Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Militari francesi sulla spianata del museo del Louvre (Reuters) PARIGI, 3. Attacco al cuore della Francia. Questa mattina un uomo, munito di due machete, ha aggredito alcuni militari all’ingresso del Carrousel du Louvre, il centro commerciale sotterraneo tra il museo del Louvre e place du Carrousel, nel pieno centro di Parigi. Due militari sono stati feriti; uno di essi versa in gravi condizioni. L’aggressore è stato colpito con cinque colpi di pistola dal terzo militare presente. Il prefetto di Parigi, Michel Cadot, ha riferito che l’uomo aveva con sé due zaini ma al loro interno «dopo una verifica non si è trovato alcun esplosivo». L’aggressore non avrebbe agito da solo. Secondo quanto riferisce Le Parisien, un uomo di circa 35 anni è stato placcato a terra da tre poliziotti in abito civile, all’uscita della metro Louvre-Rivoli di Parigi. Il premier francese, Bernard Cazeneuve, ha parlato senza esitazioni di «attacco di carattere terroristico». Tutta l’area è stata subito blindata. Circa mille visitatori presenti nel museo, secondo Pierre-Henri Brandet, portavoce del ministero degli interni, sono stati fatti evacuare in tutta sicurezza. Nomina di Vescovo Coadiutore Il Santo Padre ha nominato Vescovo Coadiutore della Diocesi di Morón (Argentina) Sua Eccellenza Monsignor Jorge Vázquez, trasferendolo dall’incarico di Vescovo titolare di Castra nova e Ausiliare di Lomas de Zamora. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 sabato 4 febbraio 2017 Militari ucraini dislocati nella regione di Mariupol (Epa) Il premier britannico Theresa May presenta gli obiettivi dei negoziati per l’uscita dall’Unione europea Brexit senza sconti LONDRA, 3. Una schematica illustrazione di obiettivi: è quanto contiene il Libro bianco sulla Brexit presentato ieri dal premier britannico Theresa May. Mercoledì la camera dei comuni aveva dato il suo primo voto alla legge per l’avvio della procedura di uscita dall’Unione. Non è una road map, ma piuttosto una precisa dichiarazione di intenti a proposito della strategia negoziale. Sono 12 i punti e 77 le pagine. Si comincia con il ribadire la necessità di «garantire certezza e chiarezza ovunque possibile nell’approccio ai negoziati». Si chiarisce di dover riprendere il controllo a livello nazionale delle leggi, «mettendo fine alla giurisdizione della Corte di giustizia dell’Unione europea sul Regno Unito». L’intenzione del governo è di «definire un accordo che funzioni per l’intero Regno — Scozia, Galles, Irlanda del Nord e Inghilterra in ogni sua parte — e nel pieno rispetto dell’Accordo di Belfast, per la pace in Irlanda». E qui c’è una precisazione: «tutelare i forti e storici legami con l’Irlanda conservando l’area di common travel attraverso soluzioni pratiche che garantiscano al contempo l’integrità del sistema migratorio». Ma in tema di migrazioni c’è un altro punto essenziale nel documento: «Controllare l’immigrazione, incluso il numero dei cittadini di paesi dell’Unione che entrano nel Regno Unito». Si parla dunque di diritti per ribadire la necessità di «assicurare i diritti dei cittadini Ue residenti nel Regno Unito e dei cittadini britannici residenti nei paesi Ue», specificando di doverlo fare «prima possibile». In generale, si ribadisce di voler «proteggere e accrescere i diritti vigenti dei lavoratori». In tema di scambi commerciali, si legge di voler «garantire il libero commercio sui mercati europei», ma ovviamente si parla di «nuova partnership strategica» con l’Ue, attraverso quello che viene invocato come «un coraggioso e ambizioso accordo». Da accompagnare a «intese doganali reciprocamente vantaggiose». Si guarda poi a paesi terzi e, con una definizione molto generale, si ribadisce di voler raggiungere «nuovi accordi commerciali con altri Il segretario generale della Nato a Sarajevo SARAJEVO, 3. Da Sarajevo, dove si trova in visita ufficiale, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto che «il miglior modo per ridurre le interferenze negli affari interni dei paesi balcanici è quello di rafforzare le istituzioni democratiche nella regione». Stoltenberg ha ringraziato Sarajevo per la partecipazione di contingenti bosniaci alle missioni in Afghanistan, per la donazione di munizioni all’Iraq e per il contributo alla lotta contro il cosiddetto stato islamico (Is), e ha precisato che la Nato è pronta ad attivare il piano d’azione per l’adesione della Bosnia ed Erzegovina alla Nato appena verrà eseguita l’intestazione degli immobili militari allo stato. Tale condizione è stata posta dalla Nato sette anni fa, ma all’intestazione allo stato di 63 tra caserme, poligoni e depositi militari sono contrari i serbo-bosniaci, secondo i quali tutti gli immobili dovrebbero appartenere alle entità in cui si trovano. Entità in cui è diviso il paese dall’accordo di pace di Dayton (1995), la Federazione Bh, a maggioranza croato musulmana, e la Republika Srpska, a maggioranza serba. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va paesi, secondo una strategia ambiziosa di libero scambio» nel mondo. In tema di scienza e innovazione, May vuole assicurare che il Regno Unito resti «il luogo migliore e all’avanguardia, cercando di mantenere una stretta collaborazione con i partner europei». In considerazione delle sfide globali, emerge l’importanza di «cooperare nella lotta contro la criminalità e il terrorismo» per «preservare la sicurezza europea e per sostenere la giustizia nel mondo» si legge ancora nel documento. L’ultimo punto sembra auspicare un’uscita ordinata dall’Europa attraverso quello che definisce «un processo cadenzato di attuazione del passaggio verso i nuovi accordi che esisteranno tra la Gran Bretagna, le istituzioni europee e gli stati destinati a restare membri dell’Unione». La presentazione, come detto, è avvenuta il giorno dopo il primo voto sul testo di legge presentato dal governo per avviare le procedure previste dall’articolo 50 del trattato di Lisbona. Larghissima la maggioranza: 498 sì e solo 114 no. Theresa May (Afp) Consultazioni nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia SKOPJE, 3. Sono iniziate nella ex repubblica jugoslava di Macedonia le consultazioni politiche del presidente, Gjorge Ivanov, per formare il nuovo governo. Ivanov ha già avviato una lunga serie di colloqui ad ampio raggio con tutte le forze politiche rappresentate in parlamento a Skopje, per decidere a chi conferire il nuovo mandato, dopo il fallimento del tentativo di Nikola Gruevski, l’ex primo ministro e leader del partito conservatore Vmro-Dpmne, che non è riuscito a raggiungere un accordo di coalizione con l’Unione democratica per l’integrazione, il maggiore dei partiti della minoranza albanese del paese balcanico (circa il 25 per cento del totale dei due milioni di abitanti). Il Vmro-Dpmne ha vinto di stretta misura le elezioni legislative anticipate dell’11 dicembre scorso, aggiudicandosi 51 dei 120 seggi del parlamento di Skopje, rispetto ai 49 ottenuti dal Partito socialdemocratico (Sdsm), del leader dell’opposizione, Zoran Zaev. Da Bruxelles, l’Unione europea ha lanciato a più riprese appelli alla dirigenza macedone a fare presto per dare al paese balcanico un nuovo governo, premessa necessaria per riprendere la strada delle riforme e il cammino verso l’integrazione europea. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Gaetano Vallini KIEV, 3. Non si fermano le violenze nell’est ucraino, tra reciproci scambi di accuse delle parti in causa. Fonti del ministero della difesa dell’autoproclamata repubblica popolare di Donetsk hanno fatto sapere che almeno sei persone sono morte tra ieri e oggi in diversi scontri nella regione del Donbass. Un altro bilancio diffuso da alcuni Romania in rivolta BUCAREST, 3. Migliaia di persone sono scese nuovamente in piazza a Bucarest, e in altre città della Romania, per protestare contro la corruzione e chiedere le dimissioni del governo, che tre giorni fa ha emanato un decreto d’urgenza sulla depenalizzazione dell’abuso di ufficio e altri reati di corruzione. Il premier socialdemocratico, Sorin Grindeanu, ha detto che non intende revocare il decreto contestato, mentre il presidente della repubblica, Klaus Iohannis — schierato dalla parte dei manifestanti — ha annunciato che chiederà alla corte costituzionale di dichiarare illegittimo il provvedimento del governo. Ieri, il ministro del commercio, Florin Jianu, ha rassegnato le dimissioni, motivando la decisione con «ragioni morali». I manifestanti e il presidente accusano il governo — che intende nei prossimi giorni varare un’amnistia per alleggerire il sovraffollamento delle carceri — di volere vanificare la lotta alla corruzione dilagante nel paese balcanico, favorendo con la depenalizzazione dei reati tutta una serie di politici e funzionari pubblici sotto inchiesta per corruzione. media parla invece di 34 morti da domenica scorsa. Lo stato maggiore ucraino — secondo quanto si legge in un comunicato — ha categoricamente smentito che i propri soldati abbiano aperto il fuoco su Donetsk, denunciando a sua volta l’uccisione di quattro militari e il ferimento di altri diciassette nella sola giornata di ieri. I militari ucraini hanno accusato i ribelli separatisti di avere bombardato usando pezzi di artiglieria, missili Grad, mortai e carri armati. Secondo Kiev dal 31 gennaio a oggi, solo nella zona di Avdiivka, sono stati uccisi 10 soldati, 66 i feriti. Intanto, resta alta la tensione tra Stati Uniti e Russia proprio sulla crisi ucraina. L’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Nikki Haley, ha detto ieri davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu che le sanzioni contro la Russia resteranno «fino a che il controllo della Crimea non verrà restituito all’Ucraina». Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha intanto dichiarato di volere indire un referendum per l’adesione dell’Ucraina alla Nato. In un’intervista al quotidiano «Berliner Morgenpost», il capo dello stato ha affermato che, nei sondaggi, la maggioranza degli ucraini voterebbe per l’ingresso di Kiev nell’Alleanza atlantica. «Quattro anni fa, solo il 16 per cento degli ucraini erano favorevoli all’adesione alla Nato» ha detto Poroshenko. «Adesso sono il 54 per cento e, come presidente, sono guidato dalla volontà del mio popolo e terrò un referendum sulla questione» ha aggiunto. Il sindaco Raggi interrogata dai magistrati Dimostranti riuniti nel centro di Bucarest per protestare contro il governo (Ap) Ancora scosse di terremoto nell’Italia centrale ha aggiunto durante una conferenza stampa congiunta con Orbán. La Russia si è detta pronta a finanziare, anche al 100 per cento, la costruzione di due nuovi reattori dell’unica centrale nucleare ungherese, quella di Paks, prospettiva seguita con attenzione, però, dall’Unione europea per possibili violazioni della concorrenza. Riguardo alle sanzioni europee contro Mosca per le vicende dell’Ucraina orientale, Budapest ha detto che all’Ungheria sono costate 6,5 miliardi di dollari. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore segretario di redazione Le violenze non lasciano l’est ucraino Dilaga la protesta contro la corruzione Cooperazione economica tra Russia e Ungheria BUDAPEST, 3. Il presidente ungherese, Viktor Orbán, e l’omologo russo, Vladimir Putin, in visita a Budapest, hanno rilanciato ieri la cooperazione economica bilaterale. Per Putin l’Ungheria è un «partner importante e affidabile» e la Russia farà «tutto il possibile» per garantire le necessarie forniture di gas a Budapest. Il leader del Cremlino ha detto che il gas naturale russo potrà raggiungere l’Ungheria sia attraverso il Nord Stream che il Turkish Stream. «Ma sono possibili altre opzioni», Almeno sei morti Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va ROMA, 3. La terra ha ripreso a tremare in Italia centrale con scosse di una certa entità nelle primissime ore del giorno. Proprio ieri è stato approvato il terzo decreto legge sull’emergenza terremoto. Ancora molta paura, ma nessun danno, nell’area del maceratese in cui si sono avvertite maggiormente le scosse: di magnitudo 4, alle 4.47, di magnitudo 4.2 alle 5.10. Intanto, il governo ha votato il pacchetto di norme teso innanzitutto a tagliare i tempi della burocrazia che sarebbero stati lunghi, Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale «in favore delle popolazioni di Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo», colpite a partire dal 24 agosto da varie scosse forti e da uno sciame sismico mai interrotto. Oltre 100 i comuni colpiti e centinaia di migliaia i cittadini interessati. È il terzo provvedimento del governo in quattro mesi. È fondamentale non perdere tempo: vanno rimosse le macerie, vanno concluse in fretta le verifiche di agibilità, vanno ricostruite scuole e infrastrutture strategiche, va rilanciato il lavoro. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 ROMA, 3. Il sindaco di Roma Virginia Raggi è stata ascoltata ieri per quasi otto ore dai magistrati della procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta nella quale è accusata di falso e abuso di ufficio. I reati contestati sono relativi alla nomina alla direzione turismo del Comune di Renato Marra, fratello di Raffaele, all’epoca capo del personale del Campidoglio. Raffaele Marra è stato poi arrestato il 16 dicembre scorso con l’accusa di corruzione per atti risalenti al periodo della giunta di Gianni Alemanno. Secondo alcune indiscrezioni, i magistrati hanno chiesto a Raggi anche alcuni chiarimenti in merito a due polizze assicurative di cui risulta beneficiaria e che sono state stipulate e pagate da Salvatore Romeo, ex capo della segreteria dello stesso sindaco, dimessosi dall’incarico dopo l’arresto di Raffaele Marra. Da quanto è emerso, il fatto comunque non configurerebbe al momento alcun reato a carico del primo cittadino. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO sabato 4 febbraio 2017 pagina 3 Civili iracheni a Mosul in fila per ricevere aiuti umanitari (Ap) Dopo il via libera israeliano alle nuove abitazioni Trump critica gli insediamenti BAGHDAD, 3. Sono circa 50.000 gli sfollati rientrati nelle proprie case nella zona orientale di Mosul e nel distretto meridionale di Qayyarah, liberati dall’esercito iracheno dalla presenza del cosiddetto stato islamico (Is). Lo rende noto il ministero delle migrazioni di Baghdad. «Il ministero sta cercando di convincere gli sfollati a lasciare i campi e a tornare nelle zone liberate in modo che i campi possano servire a ospitare chi potrebbe essere sfollato nelle prossime operazioni per liberare la zona occidentale di Mosul» ha detto il portavoce, Sattar Nowruz, all’agenzia di stampa Anadolu. «Sta continuando l’impegno per fornire gli aiuti umanitari necessari agli sfollati», ha aggiunto. D all’inizio dell’offensiva militare per liberare Mosul dall’Is il 17 ottobre, oltre 187.000 persone sono state costrette a lasciare i quartieri orientali della città. La scorsa settimana l’esercito di Baghdad ha annunciato la «liberazione totale» di Mosul est dopo tre mesi di combattimenti con l’Is. I miliziani avevano preso il controllo della città nel giugno del 2014. Nelle zone liberate dalle forze irachene Sfollati tornano a Mosul Intanto, le forze governative irachene sono pronte a lanciare l’offensiva su Mosul ovest. Lo riferisce stamani il quotidiano «Sabah», vicino al governo, citando due comandanti delle forze impegnate nella città. «Aspettiamo gli ordini dal comandante supremo delle forze armate, il premier Haidar Al Abadi» hanno detto le fonti, precisando che l’attac- Conquistate tre località nel sud Al Qaeda sempre più forte nello Yemen SANA’A, 3. Miliziani di Al Qaeda hanno ripreso oggi il controllo di tre località nel sud dello Yemen. Lo hanno confermato fonti tribali. Si tratta di Loder e Chaqra, nella provincia di Abyane. La conquista da parte dei jihadisti è stata facilitata dal ritiro dei militari governativi, che protestavano non solo per il ritardo dei salari, ma anche per la mancanza di equipaggiamento. In precedenza i miliziani di Al Qaeda avevano conquistato anche il villaggio Ahwar, sempre nella provincia di Abyane. La coalizione internazionale a guida saudita che sostiene il presidente yemenita Hadi ha lanciato nelle ultime ore diversi raid per colpire le postazioni dei miliziani. Ieri, giovedì, sei poliziotti che facevano parte di Combattimenti tra militari afghani e talebani KABUL, 3. Per il quarto giorno consecutivo violenti scontri sono avvenuti in Afghanistan fra forze di sicurezza e talebani nel distretto di Sangin della provincia meridionale di Helmand, con almeno altri 18 insorti uccisi in attacchi aerei e terrestri, secondo un comunicato del governo provinciale. «Come risultato degli attacchi — precisa il comunicato — 18 militanti armati sono stati uccisi, fra cui il figlio del comandante Furqani, e cinque dei loro nascondigli distrutti. Per fare fronte all’offensiva sferrata dai talebani, il governo centrale ha di recente inviato nel distretto di Sangin rinforzi militari, compreso un reparto di “teste di cuoio”. Un residente di Laskargah, capoluogo di Helmand, ha detto all’agenzia Ansa che se i talebani catturano Sangin possono bloccare le strade che portano ai quattro distretti settentrionali di Helmand. Tre giorni fa il coordinatore del governo Abdullah Abdullah è volato nella provincia per sincerarsi della situazione e alla fine degli incontri ha chiesto alle forze di sicurezza di risolvere il problema posto dai talebani entro la primavera. Gli analisti locali concordano nel sostenere che almeno sei dei 13 distretti di Helmand sono controllati dagli insorti. un convoglio delle forze di sicurezza sono stati uccisi in un’imboscata organizzata da uomini di Al Qaeda, secondo quanto riporta la France Presse. Un recente rapporto dell’International Crisis Group ha reso noto che il braccio yemenita di Al Qaeda è «più forte che mai» e che può contare su un’organizzazione molto ramificata. D’altronde, la guerra contro il terrorismo di matrice islamica è solo uno dei tanti aspetti del conflitto in corso nello Yemen. Un conflitto che vede opporsi due schieramenti: i ribelli huthi sostenuti dalle milizie fedeli all’ex presidente Saleh e, come detto, la coalizione a guida saudita alleata del presidente Hadi. Al Qaeda e il cosiddetto stato islamico (Is) hanno approfittato del clima di caos per estendere la propria influenza in particolare nel sud e nel sud-est del paese. E mancano, ovviamente, i combattimenti tra le due organizzazioni e i locali gruppi tribali. Il conflitto nello Yemen ha causato finora oltre seimila morti, 2,5 milioni di sfollati, abusi, crimini di guerra. Ospedali, scuole, fabbriche e campi profughi sono stati bombardati. Oltre mille bambini sono stati uccisi nei raid e oltre 740 nei combattimenti. Tutto questo nel più completo oblio da parte dei media internazionali. co avverrà su tre fronti: da est, dalla campagna nella zona meridionale e da quella occidentale. Nel frattempo, il ministro della difesa italiano, Roberta Pinotti, è arrivata ieri in Iraq, dove incontrerà varie autorità locali, a partire proprio dal primo ministro Haidar Al Abadi, per parlare di «temi riguardanti la lotta all’Is». Washington rassicura l’alleato sudcoreano SEOUL, 3. Il nuovo segretario alla difesa statunitense, James Mattis, in Corea del Sud per la sua prima visita all’estero, rassicura l’alleato asiatico, affermando che l’alleanza tra Seoul e Washington «è prioritaria». Poi, parlando dalla base area di Osan, denuncia «l’atteggiamento provocatorio» del regime comunista di Pyongyang e sostiene che il previsto dispiegamento di un sistema di difesa missilistico (Thaad) nel sud è diretto solo contro la Corea del Nord. «Non c’è nessun altro paese che dovrebbe essere preoccupato per il Thaad se non la Corea del Nord se non sono impegnati in azioni offensive», ha detto. «Ho parlato con il presidente Donald Trump — ha poi affermato Mattis — e vuole essere molto chiaro sulla priorità che noi diamo all’alleanza tra le nostre due nazioni. La nostra nuova amministrazione eredita una relazione molto forte, di fiducia, e il nostro impegno è di renderla ancora più forte». Il segretario alla difesa statunitense ha inoltre rivolto un monito alla Corea del Nord: «qualunque attacco agli Stati Uniti o ai loro alleati verrebbe sconfitto e qualunque uso di armi nucleari incontrerebbe una risposta efficace e schiacciante». Lo ha detto una fonte irachena. Sono circa 1400 i militari italiani in Iraq, una presenza seconda solo a quella degli Stati Uniti, che hanno nel paese oltre 5000 effettivi. L’impegno italiano riguarda soprattutto l’addestramento delle forze dell’esercito federale iracheno, ma anche la difesa di strutture fondamentali come la diga di Mosul. WASHINGTON, 3. La nuova amministrazione statunitense critica gli insediamenti ebraici in Cisgiordania. «Anche se non riteniamo che l’esistenza di insediamenti sia un impedimento alla pace, la costruzione di nuovi o l’ampliamento di quelli già esistenti al di là dei confini potrebbe non aiutare a centrare tale obiettivo» ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, in un comunicato. Ma prima di prendere ufficialmente posizione, è stato precisato, gli Stati Uniti aspettano l’incontro di Trump con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, previsto per il prossimo 15 febbraio. È la prima volta che la nuova amministrazione prende una posizione forte sulla questione degli insediamenti, aspetto cruciale del contenzioso israelopalestinese. Il segretario di stato Rex Tillerson, la cui nomina è stata confermata ieri, ha avuto un colloquio con Netanyahu nel quale ha sottolineato, nonostante le critiche sugli insediamenti, «il deciso impegno del- Aperta la conferenza dei premi Nobel a Bogotá Progressi per la pace in Colombia Il summit «Pace e democrazia» a Bogotá (Afp) BO GOTÁ, 3. Si è aperto ieri a Bogotá, capitale della Colombia, il summit dei premi Nobel per la pace. L’incontro, intitolato “Pace e democrazia”, si concluderà domenica 5 febbraio. L’obiettivo è quello di esprimere un forte sostegno agli accordi di pace tra il governo colombiano e la guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). In un messaggio a firma del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, inviato ai partecipanti del summit, Papa XVI Francesco ha ricordato che «quando le vittime resistono alla vendetta promuovono il dialogo e la vera riconciliazione». Il Papa esorta a sostenere l’intesa e il dialogo tra i popoli, e in particolare esprime fiducia negli sforzi della Colombia a superare le divisioni. Ieri intanto è avvenuta la liberazione dell’ex deputato Odín Sánchez, sequestrato dieci mesi fa dall’Esercito di liberazione nazionale (Eln), l’altra guerriglia colombiana. All’interno del reattore numero 2 in fase di smantellamento Livelli record di radiazioni a Fukushima TOKYO, 3. Un livello record di radiazioni è stato rilevato all’interno del reattore numero 2 della centrale nucleare giapponese di Fukushima, attualmente in fase di smantellamento. Lo ha reso noto l’operatore dell’impianto, la Tokyo Electric Power (Tepco), spiegando che le rilevazioni hanno raggiunto i 530 sievert all’ora, una misurazione talmente alta da essere letale agli esseri umani, anche dopo una breve esposizione. Tepco ha spiegato che una falla di circa un metro quadro è stata rinvenuta lungo una grata metallica sotto il contenitore a pressione del reattore, un danno probabilmente causato dal combustibile esausto rilasciato dal contenitore. La nuova misurazione è stata giudicata «inimmaginabile» dagli esperti e supera di gran lunga il livello di 73 sievert all’ora raggiun- Tecnici durante una supervisione a Fukushima to precedentemente all’interno del reattore. Secondo l’Istituto giapponese di scienze radiologiche un’esposizione di 4 sievert ucciderebbe una persona su due. La scoperta della Tepco evidenzia le enormi difficoltà in cui si muove l’operatore nel rimuovere i detriti del combustibile nucleare contenuto nelle vasche di contenimento all’interno dei reattori. La Tepco avrebbe dovuto iniziare nelle prossime settimane i test di rilevazione con un robot comandato a distanza, ma l’attuale livello di radiazioni non consentirebbe alla macchina di operare per più di due ore, prima di venire distrutta dalle emissioni. La catastrofe di Fukushima, avvenuta l’11 marzo 2011, dopo un terremoto di magnitudo 9 e uno tsunami, ha provocato la fusione dei noccioli dei reattori 1, 2 e 3. l’America nei confronti dei suoi alleati e partner chiave». Pochi giorni dopo l’ingresso di Trump alla Casa Bianca il governo Netanyahu ha approvato la costruzione di migliaia di nuove case negli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Alla Knesset è in discussione al momento una proposta di legge per la regolarizzazione di circa 4000 abitazioni. Se venisse approvata, sarebbero regolarizzati tra i 2500 e i 4000 alloggi tra i quali figurano — secondo l’associazione Peace Now — anche circa 797 strutture in 55 avamposti. Intanto, cresce la tensione anche con l’Iran. In seguito al test missilistico dei giorni scorsi, la nuova amministrazione ha minacciato nuove sanzioni nei confronti di Teheran. Il governo iraniano ha annunciato ieri, per voce di Ali Akbar Velayati, consigliere per gli affari internazionali della Guida suprema Ali Khamenei, che «l’attività sui missili andrà avanti a piena forza». E oggi il ministero degli esteri iraniano ha respinto la richiesta di partecipazione della squadra di lotta degli Stati Uniti alle gare della coppa del mondo in programma nella città di Kermanshah i prossimi 16 e 17 febbraio. Interrogato, il portavoce del ministero ha detto esplicitamente che la motivazione del rifiuto sono «le politiche del nuovo presidente statunitense». Rodrigo Maia rieletto presidente della camera brasiliana BRASILIA, 3. Il conservatore Rodrigo Maia è stato rieletto ieri presidente della camera dei deputati brasiliana. L’esponente del partito Democratici (Dem, di destra), 46 anni, è stato eletto al primo turno con 293 voti e resterà in carica per due anni. Nel luglio scorso scorso, Maia venne eletto per un mandato provvisorio per sostituire Eduardo Cunha, decaduto per aver mentito alla commissione d’inchiesta sui fondi neri Petrobras, affermando di non possedere conti bancari all’estero. La candidatura di Maia è stata contestata dalle opposizioni, che la ritenevano una violazione della norma costituzionale che prevede l’ineleggibilità a un secondo mandato nella stessa legislatura. Maia, eletto nel collegio di Rio de Janeiro e considerato un alleato del presidente Michel Temer, è indagato per un presunto finanziamento irregolare durante la campagna elettorale del 2014 da parte di Leo Pinheiro, l’ex presidente del colosso delle costruzioni Oas attualmente in carcere. Duterte schiera l’esercito per la lotta al traffico di droga MANILA, 3. Il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha dichiarato che schiererà l’esercito nella lotta contro la droga. Duterte ha spiegato alla stampa che non ha bisogno della legge marziale o di poteri speciali per questa iniziativa, perché si tratta di una «minaccia alla sicurezza nazionale». Le forze armate si sono dette favorevoli a unirsi al capo dello stato nella lotta contro il narcotraffico, ampiamente annunciata da Duterte in campagna elettorale, e alla base della sua enorme popolarità nel paese. Una guerra ai narcos che in sette mesi ha causato oltre 7600 morti e che le organizzazioni per i diritti umani hanno condannato definendola un crimine contro l’umanità. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 sabato 4 febbraio 2017 Giacomo Poretti interpreta un sacerdote nel film «Il cosmo sul comò» (2008) da Milano SERGIO MASSIRONI resciuto in oratorio» è il titolo della campagna che Regione e Diocesi di Lombardia hanno lanciato nei giorni scorsi, con l’obiettivo di risvegliare l’attenzione su un patrimonio educativo di grande incidenza civile. Sono più di duemila, infatti, gli oratori tra il Mincio e il Ticino, con quasi mezzo milione di ragazzi che ogni anno li frequentano e un esercito di centottantamila volontari ad animarne le attività. L’undici per cento dei bambini accolti è di origine straniera. Si sono dati appuntamento a Milano, la sera di San Giovanni Bosco, il cardinale Angelo Scola e i testimonial di quella che nasce come una vera e propria mobilitazione popolare. Ci sono centinaia di ragazzi, a vitalizzare i cortili di Sant’Andrea, le loro famiglie e gli educatori della parrocchia, ma anche volti noti dello sport, dello spettacolo e delle istituzioni, venuti non per guadagnare, ma per dare visibilità. Per metterci la faccia, insomma. L’appartenenza, dunque, è il primo ingrediente dell’impresa, con un logo che impegna ogni nome alla testimonianza delle proprie radici. Non è ovvia per dei professionisti e più in generale per degli adulti: implica il riconoscere gli anni in oratorio come determinanti la propria identità, ma anche il confessare l’esperienza vissuta pertinente per l’oggi. Tale sbilanciamento positivo e pubblico costituisce un fattore di novità, rispetto sia a un passato remoto in cui non si poteva non dirsi cristiani, sia a quello prossimo, in cui uno strano ritegno ha celato l’incontro di molti con «C Beppe Bergomi, Giacomo Poretti, Davide Van De Sfroos Cresciuti in oratorio l’educazione parrocchiale. Un campione come Beppe Bergomi riconosce: «Quarant’anni fa stavi per strada o in oratorio. È lì che ho imparato il calcio e i valori che sono serviti per la vita, la carriera, e che ora spero di aver trasmesso ai miei figli». La cantante Bianca Atzei ricorda quello della parrocchia come il suo primo palcoscenico, spazio non di mera esibizione, ma di comunicazione con i più piccoli. Poretti — comico del trio Aldo, Giovanni e Giacomo — dipin- Il cantautore Davide Van De Sfroos ge nel suo monologo un’infanzia tra pallone, gazzosa e calcio balilla, sotto lo sguardo burbero e affettuoso di don Giancarlo. Si impone, allora, un secondo elemento degno di nota: la sensibilizzazione, pur attivando processi di partecipazione innovativi — dalla produzione di demo, all’apertura di pagine facebook — si struttura essenzialmente sui ricordi ed è così che mobilita emozioni e pensiero. È un’arma a doppio taglio: chi conduce oggi uno o più oratori, in situazioni di notevole complessità, sa bene che nulla è più insidioso della nostalgia rivestita di amarcord. Gli anni del boom demografico ed economico come età dell’oro: ogni comunità, in uno scenario culturalmente e socialmente sconvolto, è tentata da distorsioni della memoria che alimentano disaffezione e lamento. Il tipo di narrazione prevista dal progetto si configura, però, come guarigione del ricordo: senza trionfalismi, ogni testimonianza è intrisa di gratitudine, agganciata al presente e proiettata sul futuro. Il cardinale Scola, condividendo scene della sua infanzia a Malgrate, tratteggia, per primo, gli snodi di un metodo educativo perfettamente attuale: «L’oratorio era sentito come il luogo della bellezza, dell’amicizia, del godere quel poco di cui si poteva godere. Nello stesso tempo percepivamo che c’era in gioco qualcosa di solido, che sarebbe durato tutta la vita». Ricchissimi gli istanti a tu per tu con l’educatore indimenticato: «Il mio prete era un grande amante della letteratura e quando sono diventato più grande — facevo le medie — qualche volta mi chiamava nel suo studio, doveva teneva dei romanzi, e me ne leggeva qualche pezzo, venti o trenta righe. Diceva: “Non te lo posso dare tutto — erano ancora libri proibiti — ma così mi ha iniziato a Dostoevskij, a Svevo, a molti autori. Mi ha dato gusto per pensare». Giacomo Poretti ricorda, però, seppur con l’affetto di chi era al sicuro col suo sacerdote, un numero di calci e scappellotti che oggi porterebbero dritti in tribunale: promemoria di ferite che la storia può aver lasciato in molti cuori e segnale del mutamento di sensibilità che da quell’epoca è intercorso. La velocità dei cambiamenti e le fatiche che gravano sulle persone — spiega il vescovo Maurizio Gervasoni — motivano la Chiesa a investire ancora sugli oratori. Due le intuizioni fondamentali: «Il privilegio dei piccoli, che legano con tutti facilmente, come luogo per creare comunità», quasi a dire che nessuno come i ragazzi ha energia per riconnettere gli adulti; il compito educativo «nella forma del vivere, lavorare, giocare insieme, rapportandosi coerentemente e correttamente: in una società molto frammentata e culturalmente disgregata sono queste relazioni vitali e morali a legare davvero una coscienza civica». Discernere il compito contemporaneo dell’oratorio, infatti, è il terzo e decisivo elemento della campagna. Lo coglie perfettamente il cantautore comasco Davide Van De Sfroos, interpellato dall’esperienza dei figli: «Ho visto nel loro entusiasmo ciò che io non ho cono- sciuto: il grest, la parrocchia, le gite, le sperimentazioni con la catechesi e la pizzata in compagnia. È sbagliato pensare l’oratorio come qualcosa di stantio: oggi vediamo quanto i centri siano vivi, possenti e di grande aiuto. Confessa: «Vorrei che i miei ragazzi, in oratorio, continuassero a imparare la forza dell’appartenenza a quel gruppo che non è propriamente la famiglia, né solo la scuola, ma che, oltre alla parrocchia stessa, può far trovare amici che rimarranno importanti per una vita. Con l’adolescenza arriva un periodo in cui si hanno delle domande da farsi, sia da un punto di vista intimo, sia da quello spirituale. E allora la differenza la fanno quei preti che hanno dimostrato di essere un po’ dei corpi speciali di Dio, dei commandos disposti a scendere anche in territori non poi così clericali, pur di star vicino ai ragazzi e di non lasciarli sulla strada». Ne deriva il profilo che Scola rilancia: «Attraverso il catechismo, il teatro, il gioco, il canto, l’amicizia, la gita, l’oratorio ti insegna a riflettere sulla tua vita. Non v’è niente di più importante: lo si coglie quando si arriva alla mia età. Una persona vive nella misura in cui le esperienze che fa, i rapporti che intrattiene, le circostanze che capitano le insegnano qualcosa; ma, per imparare, bisogna avere nella mente, nel cuore e nell’azione un elemento che unifica». La differenza la fanno quei preti che sanno mettersi in gioco pur di star vicino ai ragazzi e di non lasciarli sulla strada E ricorda: «All’oratorio era a tutti molto chiaro che si tratta della persona di Gesù: non che se ne parlasse tutti i giorni, salvo nel momento della preghiera, però risultava da un’evidenza, che era l’insieme, era il noi, la forza del noi. Io credo che l’oratorio abbia ancora oggi, da questo punto di vista, una funzione straordinaria, perché senza un luogo così si è frammentati in cento cose diverse da cui passare tutti i giorni. Così non si cresce: è una somma di elementi, ma non è il volto pieno di una persona». La provocazione lombarda supera dunque i confini regionali e, in un mosaico di voci e di volti, interpella il Paese sulla qualità buona della vita. Charles de Foucauld e l’islam Fratello universale nei confronti dei colonizzati: «C’è forse da stupirsi che i musulmani si facciano false idee della nostra religione quando se ne hanno di così fantastiche delle loro credenze?» (Lettera a Henri de Castries, 14 agosto 1901). Foucauld parla «di un fardello di storie che si ascoltano ogni giorno lamentandosi» (ibidem). Solo personalità come Louis Massignon, grande conoscitore della religione e della cultura islamica, o François-Henry Laperrine, ufficiale dell’esercito colto ed aperto, fanno eccezioPubblichiamo ampi stralci di un articolo uscito ne. L’ignoranza è resull’ultimo numero dei «Documents Épiscopat» della ciproca. In una letteConferenza episcopale francese, interamente dedicato a ra a Suzanne Perret, Charles de Foucauld nel centenario della morte. nel luglio 1907, si rammarica che i musulmani nutrano per i cristiani «un grandisha prodotto in me uno sconvolgi- simo disprezzo, una grande ostilimento profondo... la vista di tà, che li considerino come pagani quella fede, di quelle anime che dai costumi infami», il che non vivono nella continua presenza di esclude comportamenti esemplari, Dio, mi ha fatto scorgere qualco- come quello di Hadj Bourhim che sa di più grande e di più vero gli ha salvato la vita in Marocco delle occupazioni mondane» (Let- proteggendolo dai pericoli. Fratel Charles è stato affascinato tera a Henri de Castries). In Francia, a quell’epoca, il dall’islam al punto che, per un mondo musulmano non aveva il momento, forse ha pensato di peso che ha oggi nello spazio so- convertirsi a quella religione. Per cio-politico. Apparteneva al mon- Émile Félix Gauthier, che l’ha codo delle colonie, lo si conosceva nosciuto a Béni Abbés, «il giovain modo molto superficiale con i ne esploratore stava quasi per passoliti pregiudizi dei colonizzatori sare al turbante», e fratel Charles di CHRISTINE LACROIX avventura di Charles de Foucauld, completamente immerso nel mondo musulmano, è appassionante. Il primo incontro, molto forte, è stato quello che ha vissuto durante il suo viaggio di esplorazione in Marocco: «L’islam L’ Nel centenario della morte in una lettera del 14 agosto 1901 confidava a Henri de Castries: «L’islamismo mi piaceva per la sua semplicità di dogma, semplicità di gerarchia, semplicità morale». Dopo la sua conversione nella chiesa di Sant’Agostino a Parigi, sogna di ritornare in Marocco, stavolta non con il cappello da esploratore, ma con quello da missionario che vuole guadagnare alla causa di Gesù tutti gli uomini di buona volontà perché «anche loro hanno diritto a ricevere la buona novella» (Lettera a Gabriel Tourdes, 1902). Nel corso della sua vita in Africa del Nord, Charles de Foucauld ha proceduto a tentoni circa il metodo da utilizzare. È passato da un approccio entusiastico — «Tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza, i musulmani come gli altri» (30 giugno 1903); «I risultati molto consolanti ottenuti nella Cabilia dimostrano che i musulmani si convertono non appena ci si occupa di loro» (Lettera a Joseph Hours, 28 novembre 1911), convincendosi che occorre solo molto amore —, a un atteggiamento di prudente attesa: «La conversione dei musulmani: un’opera non di anni ma di secoli» (Lettera a Suzanne Perret, 25 luglio 1907). Curiosamente gli storici hanno notato che il soggiorno di Charles de Foucauld nell’Hoggar ha coin- ciso con una fase d’intensa islamizzazione. Se si era dedicato soprattutto al mondo dei Tuareg (identità particolare nel mondo musulmano) era perché aveva notato che quel popolo era mal islamizzato e forse, a priori, poteva essere più disponibile ad accogliere una nuova religione. Ma non vuole comunque forzare la conversione. Non c’è proselitismo in lui. «Bisogna bandire lo spirito militante» e costruire invece un rapporto di amicizia, praticare un apostolato della bontà: «Non si tratta di convertirli in un giorno e neppure con la forza, ma teneramente, con discrezione, con la persuasione, con il buon esempio» (Lettera a René Bazin, 29 luglio 1916). Che bel programma in prospettiva! È nota la sua celebre frase: «Io voglio abituare tutti gli abitanti cristiani, musulmani, ebrei e idolatri a considerarmi come loro fratello, il fratello universale» (Lettera a sua cugina, Béni Abbés, 7 luglio 1902). Nonostante i pregiudizi che comunque nutre, a salvarlo è l’amore che mette nel suo approccio con i musulmani. Le autorità musulmane lo riconoscono. Boubakeur, rettore della Grande Moschea di Parigi, fa sul suo conto la seguente dichiarazione: «È venuto tra noi povero, è morto povero ma ha lasciato una grande ricchezza, una ricchezza imperitu- Charles de Foucauld davanti alla fraternità nel deserto dell’Hoggar ra perché è stata segnata dall’amore». Siamo ben lontani dal soldato o dal missionario conquistatore, la sua umiltà gli ha fatto guadagnare la stima di quanti l’hanno conosciuto. Accetterà di non evangelizzare in modo più esplicito i Tuareg e si consolerà pensando che seguire la religione naturale può essere un cammino di santificazione, quindi di salvezza. Alla sua epoca era un’opinione molto diffusa: «Sono certo che il buon Dio accoglierà in cielo quelli che furono buoni e onesti senza bisogno che essi siano cattolici romani» (dichiarazione fatta al dottore Dautheville in servizio a Tamanrasset). Cercherà piuttosto di «portare i Tuareg a servire Dio secondo la legge natu- rale» (Lettera a Suzanne Perret, 25 luglio 1907). Ma le riserve sono dure a morire. Ciononostante fa piacere ricordare il bel testo (vero brano di antologia) di Moussa, l’amenokal dell’Hoggar, scritto alla sorella di Charles pochi giorni dopo la sua morte: «Non appena ho saputo della morte del nostro amico, suo fratello Charles, i miei occhi si sono chiusi, tutto è buio per me; ho pianto, ho versato molte lacrime e provo grande dolore. La sua morte mi ha rattristato molto. Charles il marabù non è morto solo per voi, è morto anche per noi. Che Dio gli conceda misericordia e che possiamo rincontrarci in Paradiso». L’OSSERVATORE ROMANO sabato 4 febbraio 2017 pagina 5 La missione gesuita: «Un mondo non basta» di FABRIZIO VALLETTI i i propri `n gesuétta»... Sento risuonare questa battuta che mi ricorda l’ironia dei bolognesi. È vicino al giudizio che accomuna i gesuiti alla schiera degli ipocriti o di quelli che una ironica battuta sottolinea: «nemmeno il Padreterno sa cosa pensano i gesuiti!». Perché è presente il giudizio che i gesuiti siano ipocriti? Ma forse è proprio un pregiudizio o ci sono seri motivi per affermarlo? Molte vicende e situazioni a cui si dà ragione storica hanno portato a considerare i gesuiti elementi intriganti, invadenti, espressione di poteri spesso occulti. La questione è aperta ed attuale nel momento che, immersi in contesti di potere e di livello sociale elevato ancora oggi, i gesuiti smentirebbero con il loro operare quella che è l’iniziale ispirazione evangelica. Riescono oggi con il loro originario carisma a modificare le regole del gioco per fare giustizia ed esprimere una concreta misericordia oppure sono asserviti alle logiche del potere e quindi in situazione di falsità e ambiguità? «Essere nel mondo ma non del mondo» fa parte della missione stessa della Compagnia di Gesù. Sarà riuscita nella storia questa sfida molto chiara per Ignazio di Loyola e per i suoi primi compagni, riconosciuti da Paolo III nel 1540 come ordine mendicante, nella Roma del pieno Rinascimento? Erano tempi pieni di contrasti e contraddizioni. La Riforma di Lutero era ormai diffusa in tante regioni dell’Europa e la critica alla mondanità della Chiesa si concretizzava anche a partire da Roma con l’avvento di figure significative anche per un rinnovamento della vita spirituale oltre che per le opere di carità. Filippo Neri, Giuseppe Calasanzio, Camillo de Lellis, Giovanni della Croce, Teresa d’Avila... per citarne solo alcuni. Quale fu l’azione dei gesuiti e prima ancora l’evoluzione del loro spirito in confronto con quanto si sviluppava nel clima del mondo rinascimentale, inizio della modernità? «T Pregiudizio universale Pubblichiamo un capitolo dal libro «Il pregiudizio universale. Un catalogo d’autore di pregiudizi e luoghi comuni» (Bari, Laterza, 2017, pagine 414, euro 18). Possiamo dire che il cammino spirituale di Ignazio, fatto proprio dai primi compagni e poi proposto a tutti quelli chiamati nella Compagnia al servizio della Croce, ha un carattere di umile servizio ma anche di modernità che ben corrisponde al movimento del pensiero cartesiano. Che relazione può avere questa visione con il possibile difetto attribuito di ipocrisia e di doppiezza? La coscienza del gesuita, nella sua formazione e nell’esercizio del suo impegno apostolico, si potrebbe dire che si esprime in una autonomia del pensiero che risponde proprio allo spirito di libertà nel cercare, nello sperimentare e nella realizzazione di una pienezza di umanità. Si ribalta una visione religiosa che vedeva la coscienza tutta dipendente dalla sola autorità divina, in una mortificazione che voleva spesso annullare le capacità della persona. L’ascetica tradizionale privilegiava una coscienza più orientata a sottomettersi nel «fare la volontà del dio nascosto» che a prendersi la responsabilità di scelte anche coraggiose. Nella spiritualità sperimentata dal gesuita ci troviamo in una dimensione di umanesimo che corrisponde nel pensiero teologico alla visione di un Dio che si incarna, che Dieci milioni di copie per il manga sull’antica Roma Una credenza molto radicata Ma è vero che i gesuiti sono ipocriti? sceglie l’umanità come espressione del suo stesso essere e del suo modo di procedere. In effetti è la migliore espressione di quanto può significare al meglio l’esperienza della libertà. Si prospetta un nuovo umanesimo anche nella visione culturale di un mondo che con i viaggi al di là degli oceani, con le conquiste di nuove terre, nell’incontro drammatico con nuovi popoli, con la ricerca scientifica e con lo sviluppo del commercio, significava la rivoluzione copernicana del rapporto uomo-mondo. Il più evidente effetto di un tale orientamento intellettuale e spirituale è stato attribuire alla cultura e alla formazione un’importanza fondamentale. In quel tempo l’istruzione era per pochi e spesso affidata a precettori al seguito delle famiglie nobili. Si deve a Ignazio di Loyola l’avvio di una pedagogia diffusa, con l’istituzione del sistema scolastico aperto a tutti. Viene fondato il Collegio Romano, primo modello per la stessa formazione dei gesuiti e poi in generale del clero. Ben presto la nobiltà romana ritiene utile applicare lo stesso metodo per la formazione dei propri figli. La Ratio studiorum diviene sul finire del 1500 fondamento teorico e pratico nelle scuole dei gesuiti che si diffondono in poco tempo in molte città italiane e del mondo. I gesuiti lasciano tracce di scienziati, astronomi, rivoluzionari del pensiero e nel rapporto con altre civiltà, come è stato per Matteo Ricci in Cina, per giungere a Voltaire, a Fidel Castro! Ma l’accusa di essere precettori dei nobili, educatori della classe dirigente, confessori di regnanti, ne ha disegnato anche un profilo di poca coerenza, di lassismo e di opportunismo. Il conflitto con Port-Royal e con il giansenismo rimane segno eloquente, di cui lo stesso Pascal fu interprete. E non è l’unico esempio di conflittualità che attraversa la storia della Compagnia. La questione galileiana, l’essere sostenitori della Controriforma, la manifestazione trionfalistica nell’architettura barocca e l’essere chiamati come educatori, confidenti e confessori da potenti e regnanti, sono tutti motivi di una valutazione anche critica nei confronti della Compagnia. Eppure fra i gesuiti si contano architetti, scienziati, letterati, artisti, che fanno parte del patrimonio culturale dell’Europa e dei paesi in cui sono fiorite le missioni. Le riduzioni del Paraguay rimangono esemplari del tentativo di garantire lo sviluppo delle popolazioni indigene e della lotta alla schiavitù. Appare sempre più evidente quella che potremmo definire una doppia anima dei gesuiti. La mia esperienza di tanti anni di insegnamento e di presenza in diversi ambienti sociali conferma la possibile ambiguità nello scegliere i mezzi con cui conseguire gli È morto Predrag Matvejević Era una figura importante della letteratura europea e mediterranea del Novecento. Predrag Matvejević, scrittore e accademico croato, è morto a Zagabria all’età di 84 anni. Umanista e poliglotta, è stato un promotore instancabile delle libertà individuali e dei diritti umani. Nato a Mostar nel 1932, aveva da tempo gravi problemi di salute. Di madre croata e di padre russo, ha insegnato per diversi anni il francese all’università di Zagabria, prima di fuggire a Parigi quando scoppiò la guerra di Jugoslavia nel 1991, data che segnò l’inizio del suo impegno politico contro i nazionalismi. Gli anni successivi divise la propria vita tra Parigi e Roma, dove, fino ad anni recenti, ha insegnato slavistica. Cittadino italiano ad honorem, ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il premio Strega europeo nel 2003. Lo scorso anno è stato tra i sessanta scrittori proposti per il Nobel, su richiesta di un comitato di intellettuali e giornalisti. Tra le sue numerose opere, tradotte in tutto il mondo, spicca il suo Breviario del Mediterraneo (1988), che lo scrittore triestino Claudio Magris definì «un saggio geopoetico». Predrag Matvejević offrì grande sostegno agli intellettuali perseguitati dai regimi comunisti del blocco dell’Est con il libro Epistolario dell’altra Europa (1992). Impegno politico che troverà ulteriori sviluppi in opere quali Sarajevo (1995), Tra asilo ed esilio (1998) o Un’Europa maledetta (2005). obiettivi sia spirituali sia culturali e sociali. Quello più generale è il sottile principio ispirato a Ignazio di Loyola che potrebbe essere preso come simbolo del gesuita intrigante. «Entrare dalla loro per portarli alla nostra»! L’ho sperimentato nel vivere a contatto con amici laici, marxisti, dichiaratamente non credenti. La scelta di un atteggiamento di dialogo e di ascolto può essere interpretata come strumentale per accattivarsi il consenso o come sincero atteggiamento di ricerca per un incontro di valori condivisi. L’intenzione di non convincere nessuno ma di accompagnare il cammino di ciascuno rilevando quanto c’è di positivo, di utile al bene comune. Dai più zelanti è spesso considerato come rinuncia a proporre una propria idealità o l’esplicito richiamo all’appartenenza cristiana, addirittura come rinuncia all’affermazione della verità della dottrina fino ad essere segno di doppiezza. Mi sono trovato anche nella difficile condizione di valutare l’importanza delle risorse finanziarie per realizzare progetti culturali e sociali. Se da una parte si riafferma che la povertà e il distacco dal potere sono basilari per una evangelica azione apostolica, l’esperienza dei gesuiti si avvale di necessari strumenti e mezzi con cui adempiere l’impegno nello sviluppo, primo fra tutti quello culturale. Non si può fare ricerca scientifica senza adeguati mezzi, non si può dare espressione al teatro, alla musica, all’arte senza avvalersi di strumenti anche molto costosi. Le molteplici università rette dai gesuiti sono istituzioni che richiedono ingenti investimenti economici, spesso frutto di alleanze con fondazioni e con amministratori pubblici. Nell’uso del denaro e delle risorse finanziarie di fatto è messo alla prova quale debba essere il giusto rapporto fra i mezzi e il fine. Si può arrivare all’affermazione spesso contestata che il fine giustifica i mezzi... noi gesuiti in questo siamo facile bersaglio... La ricerca dei finanziamenti inoltre non è l’unico impatto con la sfera del potere. A me è capitato di ricevere dagli amministratori di due città l’incarico di fondare istituzioni che avessero carattere di servizio pubblico, una scuola sperimentale e una università del tempo libero... È stato facile per diverse persone, anche per ragioni ideologiche, scambiarmi per uomo di potere... Non è possibile tirare una conclusione, ma resta comunque il fatto che la ricerca di ciò che sia più innovativo, di frontiera e spesso di spregiudicato nell’operare di molti gesuiti possa dare adito a giudizi e pregiudizi di ogni tipo. Cosa in definitiva caratterizza la cultura dei gesuiti e la loro azione pastorale? Sono esperienze di un nuovo umanesimo che attinge ad una spiritualità che si fonda sul discernimento, sulla ricerca del valore del relativo che in ogni coscienza può rivelare il bello e il buono. Molto diverso dall’immagine di conservazione e di oscurantismo. Potremmo accomunare i due termini «giudizio e pregiudizio» con le dovute ragioni, nell’antinomia fra conservazione e innovazione, fra legame all’istituzione e fedeltà all’ispirazione. È sintomatico che nella stessa Compagnia convivano, non senza sofferenza le due anime. Le vittime della violenza in America latina, i martiri del Salvador, la illuminata visione del padre Arrupe durante e dopo il Concilio Vaticano II trovano sintesi nel gesuita vescovo di Roma Francesco, esemplare spirito riformatore. D’altra parte ancora sussistono esperienze che risentono di contaminazione e spesso di dipendenza dalle istituzioni e dalle condizioni imposte da chi ha potere finanziario, culturale e sociale, con la possibile caduta nel compromesso, meritevole a ragione del titolo di ipocrisia. Plinio il giapponese di SILVIA GUIDI ll’inizio il mio editore mi disse: “Speriamo che ci siano cinquecento persone interessate al tuo fumetto in tutto il Giappone”» ammette candidamente Mari Yamazaki, parlando del suo Thermae Romae, un fumetto ambientato nella città caput mundi all’epoca dell’imperatore Adriano, che in Giappone ha venduto oltre dieci milioni di copie. Evidentemente, molto più di cinquecento lettori, anche se, continua l’autrice, trattava un argomento estremamente di nicchia per il Paese del sol levante: «L’antica Roma e le terme non sono argomenti che interessano i bambini piccoli che leggono One Piece o manga simili. Ma non volevo fare un fumetto di successo, volevo fare un fumetto che piacesse a me. Il successo di Thermae Romae mi ha molto sorpreso» ha confessato Yamazaki, rispondendo alle domande del pubblico del Kappa Festival di Ferrara, due anni fa. Le avventure dell’architetto Lucio Modesto sono poi approdate in televisione e al cinema, con una serie per il piccolo schermo e il primo peplum giapponese firmato dal regista Takeuchi Hideki. Adesso è la volta di Plinie. L’appel de Néron appena tradotto in francese (Paris, Éditions Casterman, 2017, pagine 192, euro 8,45) ancora più saldamente radicato nella Roma antica della serie precedente, e con un fine didascalico più esplicito. L’album si apre con una scena apocalittica, l’eruzione del Vesuvio del 79 dell’era cristiana, dove troverà la morte il protagonista, ispirato al grande naturalista dell’antichità. La sua vita sarà raccontata attraverso gli occhi del fedele scriba Eucles, grazie a una serie di flashback e ad altri raffinati espedienti narrativi. La matita si sofferma a lungo sulle osservazioni e le scoperte di Plinio, curioso di tutto ciò che lo circonda, dall’astronomia alla geografia, «A La copertina del fumetto dedicato a Plinio dalla zoologia alla botanica come nella realtà storica, mentre le tavole ambientate nei bassifondi di Roma offrono al lettore un inedito ritratto di Nerone. «Raccontando la vita di Plinio — spiega l’autrice — non intendo fare un fumetto di successo, ma voglio far conoscere ai miei connazionali questo aspetto dell'antica Roma e questo personaggio poco noto da noi. È un periodo storico che offre degli spunti molto interessanti e che ha molto in comune col Giappone: i bagni termali, la mentali- La tavola dell’eruzione del Vesuvio tà delle persone. Thermae Romae era più comico, mentre quest’ultimo libro è più serio». Il primo tomo della serie è stato disegnato a quattro mani con Miki Tori, esperto “scenografo” di tavole a colori, ed è stato pubblicato per la prima volta dalla rivista giapponese «Shincho 45». L’amore per le bandes dessinées non è stato immediato per Mari Yamazaki. «All'inizio — racconta l’autrice — non avevo intenzione di diventare una mangaka. Studiavo all’accademia di belle arti per diventare pittrice in stile classico, ma, dato che era un po’ difficile vivere e sostenersi con la pittura, i miei compagni di studi mi hanno consigliato di lavorare in questo campo». Il colpo di fulmine non è arrivato durante l’infanzia, ma dopo i venticinque anni. «Ho studiato a Firenze per dieci anni — continua Mari Yamazaki — poi sono tornata in Giappone, ho vissuto in Europa, in Siria, in Portogallo, negli Stati Uniti e sono nuovamente tornata in Italia. Credo che tutto questo abbia contribuito a creare il mio stile, che è un po’ particolare rispetto ad altri colleghi. La maggior parte dei miei fumetti è di genere storico e riguarda l’antica Roma, quindi stare in Italia mi ispira molto, dato che si possono ottenere ispirazioni e suggestioni anche solo camminando per strada». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 sabato 4 febbraio 2017 La Settimana di preghiera a Gerusalemme Bellezza nella diversità Dichiarazione del patriarca copto ortodosso Teodoro II Il terrorismo non ha religione IL CAIRO, 3. «Invitiamo la comunità internazionale e i governi dell’est e dell’ovest a lottare con fermezza contro la violenza, il terrorismo, l’assassinio, la distruzione e contro ogni forma di discriminazione, per porre le basi della pace e dello sviluppo». È l’appello del patriarca della Chiesa copto ortodossa, Teodoro II, che torna a condannare ogni forma di terrorismo, soprattutto quello che prende a pretesto l’ispirazione religiosa. «Il terrorismo non ha alcuna patria né alcuna religione» dice facendo in particolare riferimento all’attentato che l’11 dicembre scorso ha colpito la chiesa copta di San Marco in Abassiya, al Cairo. «Non posso nascondervi — dice in una intervista all’agenzia Sir — che noi tutti in Egitto siamo stati assaliti dalla paura e dal terrore perché questo attentato non era rivolto solo a una chiesa copta ma a tutta la patria». E poi aggiunge: «È strano che questo attentato sia accaduto in Egitto, perché tutti gli egiziani rispettano i luoghi di culto, siano essi chiese o moschee, e non dimenticate che questo attentato è coinciso con una grande festa islamica quindi è stato uno choc per tutti gli egiziani, cristiani e musulmani». Ecco dunque il senso dell’appello lanciato alla comunità internazionale: «Il mondo ora ha sete d’amore. L’amore è l’unica soluzione che possa conservare i cuori in purezza e assicurare una coesistenza e convivenza in pace e tranquillità». E indica come meta di ogni azione umana l’impegno a «garantire la pace sulla terra. Questo è l’arduo compito per otte- nere ciò di cui l’umanità ha fortemente bisogno in questo tempo. Una volta che questo obiettivo sia raggiunto, ciascuno può possedere la felicità e la gioia e una migliore qualità della vita, che è l’obbiettivo di tutti i Paesi». Quanto al rapporto con le altre confessioni cristiane, fa riferimento anche alla strada indicata da Papa Francesco. «Il sangue dei martiri — afferma — è il carburante per la vita della Chiesa. L’ecumenismo del sangue e l’esistenza dei martiri della fede cristiana vengono considerati una solida base nell’ambito di dialogo teologico tra le nostre Chiese alla ricerca dell’unità dei cristiani». Il suo augurio è che la Chiesa «possa servire tutti, soprattutto i poveri, i bisognosi, i bambini emarginati e tutti coloro che sono dimenticati». Il quinto World Scout Interreligious Symposium Contro violenza e discriminazione Costruire il dialogo tra le religioni e tra le culture contro ogni forma di intolleranza e di fondamentalismo: questo è il messaggio che emerge dal quinto World Scout Interreligious Symposium (Wsis) che si è svolto dal 27 al 29 gennaio presso il Seminary of the Immaculate Conception in Huntington, a New York. Questo incontro, coordinato dal Boy Scouts of America’s Religious Relationships Committee e dall’Interreligious Forum of World Scouting, ha avuto come titolo: «Duty to God… Duty to Scouting» e segue quelli del 2003 (Spagna), del 2006 (Taiwan), 2009 (Uganda) e del 2012 (Corea del Sud), con i quali il mondo degli scout si è interrogato su come promuovere una cultura del dialogo tra le religioni all’interno del percorso di educazione e di formazione in modo da testimoniare la propria vocazione religiosa nella società contemporanea. Si tratta così di rafforzare l’impegno degli scout per riaffermare quanto sia centrale la promozione della libertà religiosa, della solidarietà e della pace per aiutare a comprendere le ricchezze del pluralismo religioso e culturale. A New York, dove si sono dati appuntamento esponenti dei gruppi scout di numerosi paesi, designati dalle organizzazioni nazionali, si è discusso proprio su come la cono- scenza e la prassi del dialogo tra le religioni deve diventare una parte fondamentale nel programma degli scout, tanto più alla luce dei tanti conflitti che attraversano molti paesi dove gli scout sono presenti. In questi paesi, così come è emerso dalla condivisione di esperienze personali nel corso dell’incontro, gli scout A Taizé un weekend di amicizia fra cristiani e musulmani TAIZÉ, 3. Dal 5 all’8 maggio la comunità ecumenica di Taizé ospiterà un Weekend di amicizia che coinvolgerà giovani cristiani e musulmani. L’iniziativa è promossa dal gruppo di amicizia islamo-cristiana e dai fratelli della comunità. «Le persone che abitualmente vengono a Taizé sono esortate a trasmettere questo invito ai loro amici musulmani», si legge in un comunicato, precisando che l’incontro è rivolto in particolare ai giovani fra i 18 e i 35 anni di età. Il tema del fine settimana è «Risveglio della presenza di Dio in noi». Il programma, oltre alle attività quotidianamente vissute nel centro, prevede lo svolgimento di seminari sulla conoscenza reciproca fra cristiani e musulmani. Per le preghiere dei musulmani, resterà aperta in permanenza una sala messa a disposizione nell’edificio dedi- cato all’accoglienza. Per i cristiani i momenti comuni di raccoglimento avranno invece luogo nella chiesa della Riconciliazione. Interverranno fra gli altri il poeta e saggista Khaled Roumo, fortemente impegnato nel dialogo culturale e religioso, Ralph Stehly, docente di teologia protestante all’università di Strasburgo, Khaled Ben Tounès, guida spirituale della confraternita sufi Alawiyya, nonché fratel Alois, priore di Taizé. Kahina Bahloul, presidente dell’associazione Parle-moi d’islam, e Mirelle Akouala, pastora della Chiesa protestante unita di Francia, approfondiranno i temi della preghiera e dell’Annunciazione, con una rilettura a due voci, una musulmana, l’altra cristiana, dei passi sull’Annunciazione presentati dal Corano e dal Vangelo. Fra gli argomenti che saranno oggetto di dibattito figura «Libertà di espressione, laicità, rispetto del sacro: quale equilibrio va trovato nella coabitazione fra le differenti religioni e i non credenti in seno alla stessa società?». Vi parteciperanno rappresentanti di Parle-moi d’islam, associazione che ha l’obiettivo di far riscoprire un islam rispettoso dei valori di pace e fraternità. Una religiosa impegnata con persone affette dal morbo di Parkinson parlerà di come affrontare la malattia con la spiritualità di san Francesco, mentre una coppia mista condividerà la sua esperienza del vivere insieme tra cristiani e musulmani. Non mancheranno le riflessioni dei fratelli di Taizé (sulla misericordia, sul rapporto fra scienza e fede). Ci sarà anche l’artista siriano Abdulsattar Al Mansour, rifugiato, che vive a Taizé con la famiglia. operano già a favore della cultura del dialogo che è considerata un passaggio irrinunciabile per la sconfitta della violenza e nella costruzione della pace. Si tratta di moltiplicare le occasioni per consentire a uomini e donne di diverse tradizioni religiose di avere dei luoghi dove ascoltarsi per scoprire quanto hanno in comune una volta accolta l’idea che Dio è amore e vita. Gli scout devono favorire la crescita dell’idea che le religioni sono una fonte preziosa per la definizione di una società dove far convivere in armonia religioni e culture diverse, così come avviene nel mondo scout, come è stato ricordato in diversi interventi. Nella ricerca di nuove strade per la costruzione di questa armonia si è indicato il rapporto tra religione e spiritualità come un passaggio particolarmente importante nella prospettiva di favorire una cultura dell’accoglienza; questo rapporto va declinato nel modo più inclusivo possibile per coinvolgere il maggior numero di credenti, soprattutto tra i giovani, così da superare quei pregiudizi che alimentano la cultura dell’odio. Durante l’incontro, si è parlato anche della necessità di condannare qualunque tentativo di giustificare la violenza con la religione, mettendo in evidenza quanto pericolosi siano il radicalismo e il fanatismo che presentano la fede in modo distorto. Al tempo stesso, si è raccomandata una maggiore attenzione, soprattutto alla luce degli avvenimenti degli ultimi mesi, nei confronti delle istituzioni politiche, con la speranza di trovare ascolto alle richieste di evitare provvedimenti che creino ostacoli e muri al dialogo. Il convegno è stato preceduto da un seminario di formazione, promosso dal King Abdullah Bin Abdulaziz International Centre for Intercultural and Interreligious Dialogue (Kaiciid) e dal World Organization of the Scout Movement (Wosm), sul rapporto tra dialogo e costruzione della pace: la decisione di premettere questo corso al Wsis nasceva dalla volontà di sottolineare l’importanza di conoscere strumenti ed esperienze dell’universo interreligioso per riaffermare quanto primario deve essere l’impegno degli scout nella promozione del dialogo per sconfiggere violenza e discriminazione. (riccardo burigana) GERUSALEMME, 3. Basilica del Santo Sepolcro, cattedrale anglicana di San Giorgio, cattedrale armena di San Giacomo, chiesa luterana del Redentore, chiesa parrocchiale latina di San Salvatore, chiesa copto ortodossa di Sant’Antonio, chiesa greco cattolica dell’Annunciazione: sono i principali luoghi che hanno ospitato, dal 21 al 29 gennaio, la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani a Gerusalemme. Ogni giorno, a turno, una chiesa della città santa ha accolto i fedeli e i rappresentanti di ogni confessione e rito, anche quest’anno numerosi, da tutta la Terra santa, per rispondere positivamente all’invito per l’unità. Com’è noto, a Gerusalemme la settimana di preghiera inizia tradizionalmente in ritardo di qualche giorno rispetto alla data ufficiale per consentire ai cristiani armeni di celebrare l’Epifania. Il Padre nostro è stato recitato in molte lingue, in modi diversi: con le palme delle mani verso il cielo, a mani giunte, a braccia aperte. È stato questo uno dei momenti più significativi delle celebrazioni. «L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione» (cfr. 2 Corinzi, 5, 14-20) il tema dell’anno. Tanti luoghi, uomini di diversa provenienza e una sola preghiera a Dio. Sapendo che il primo passo per unire è condividere, le chiese di Gerusalemme hanno condiviso per nove giorni gli spazi per il dialogo con Dio, la lettura della Bibbia, la recita del Padre nostro e lo scambio della pace. La settimana — si legge sul sito in rete della Custodia di Terra santa — è iniziata il 21 gennaio al santo Sepolcro con i greco ortodossi, alla presenza dell’arcivescovo Theophanes che ha spiegato la liturgia e i riti che lì si svolgono. Il giorno seguente hanno guidato la preghiera gli anglicani e ha pronunciato l’omelia il reverendo Suheil Dawani in una chiesa di San Giorgio affollatissima. Illuminati solo dalle candele, gli armeni hanno intonato i loro canti il 23 gennaio nella cattedrale di San Giacomo. «Unità cristiana non significa condividere la stessa lingua, la stessa liturgia, perché c’è bellezza nella diversità», ha detto padre Martiros Cevian. Nella chiesa luterana del Redentore ci si è ritrovati il giorno successivo per un altro momento di preghiera. Sono entrati in processione tutti i rappresentanti delle comunità cristiane insieme con i pastori protestanti, sia uomini che donne. Il vescovo Munib Younan ha ricordato la partecipazione del Papa alle celebrazioni per i cinquecento anni della Riforma: «Chi avrebbe mai potuto immaginare questo? Dato che vediamo che lo Spirito santo è illogico e imprevedibile, chi può dire cosa accadrà in futuro? Solo perché non possiamo immaginare la comunione insieme in questo momento non significa che non accadrà», ha osservato il presidente della Federazione luterana mondiale. Con lui il nuovo vescovo luterano di Gerusalemme, Ibrahim Azar. Il 25 gennaio la preghiera per l’unità dei cristiani si è svolta nella chiesa di San Salvatore della Custodia di Terra santa, dove il parroco, fra Nerwan Al-Banna, ha pronunciato l’omelia. Al santo Cenacolo, il 26, hanno animato l’assemblea ecumenica i monaci benedettini della Dormizione, insieme con gli studenti di teologia, e fra Elias Pfiffi ha parlato delle Chiese cristiane e dell’unità. Ancora preghiere il giorno successivo nella chiesa copto ortodossa di Sant’Antonio, dove si sono succeduti canti copti e siriaci e hanno risuonato le parole del reve- rendo fra Antonios. La gioia dei cristiani etiopi il 28 gennaio è esplosa in canti e balli scanditi dai tamburi. Nella chiesa etiope di Gerusalemme, dalla forma circolare, a ricordare la forma del santo Sepolcro, la preghiera per l’unità dei cristiani si è svolta in amarico e arabo, guidata dall’arcivescovo Abune Enbakom. A conclusione della settimana, nella chiesa greco cattolica dell’Annunciazione, l’arcivescovovescovo ausiliare del patriarcato di Antiochia dei Greco-Melkiti per Gerusalemme, Joseph Jules Zerey, il quale ha esortato i fedeli a continuare senza stancarsi a operare per l’unità: «Che la riconciliazione e l’unità tra di noi siano una sorgente di acqua vivificante, che si trasformi in fiume d’acqua dolce per dissetare il mondo assetato di fede nel Dio vivente». L’OSSERVATORE ROMANO sabato 4 febbraio 2017 pagina 7 Contro il torpore e la rassegnazione nelle comunità cristiane La cura della testimonianza di FRANCO GIULIO BRAMBILLA Perché un Liber pastoralis? Che cos’è e per chi è pensato tale percorso? Ho custodito l’intuizione di questo libro per molti anni. Il de- Liber pastoralis È appena uscito Liber pastoralis (Brescia, Queriniana, 2017, «Giornale di teologia» 395, pagine 246, euro 14,50). A presentarlo in questo articolo scritto per «L’Osservatore Romano» è lo stesso autore, già preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale (20o6-2012) e vescovo ausiliare di Milano (2007-2012), dal 2012 vescovo di Novara e dal 2015 vicepresidente della Conferenza episcopale italiana. Oltre gli scritti teologici, tra le sue pubblicazioni ricordiamo La Parrocchia oggi e domani (terza edizione, 2004) e Tempo della festa e giorno del Signore (2012). siderio di por mano all’opera è rinato alla fine del sinodo sulla famiglia e dopo il convegno di Firenze. In quell’occasione Papa Francesco diceva: «Permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni». Questo appello ha risvegliato un ricordo della mia giovinezza, quando mi capitò tra le mani un testo di grande intensità spirituale, dal titolo Seelsorge (“Cura d’anime”) di Dietrich Bonhoeffer. Si trova nel quattordicesimo volume delle sue opere (Dietrich Bonhoeffer Werke, 1996), e appartiene al periodo eroico della formazione dei pastori nel seminario di Finkenwalde, tradotto col titolo Una pastorale evangelica (seconda edizione, 2005). Mi ha sempre suscitato il desiderio di poter dire da cattolico le cose che condivido con Bonhoeffer, di integrare quanto mi sembra parziale, di eguagliare lo stile e la sua scrittura inarrivabili. L’ultimo stimolo mi è venuto pochi giorni prima dell’ingresso nella diocesi di Novara. Andai a trovare il cardinale Martini per salutarlo e per ricevere la sua benedizione. Egli mi domandò con un filo impercettibile di voce: che programma hai per Novara? Allargai le braccia, quasi per scusarmi, ma egli non mi lasciò finire. Mi regalò la primizia del suo Il vescovo (2011), l’unico libro scritto dopo aver terminato il ministero a Milano. Era l’ultimo anno di sua vita tra noi. Lo lessi d’un fiato in una notte. E mi tornò alla mente il mio progetto. Sono passati cinque anni. È giunta l’ora di mettere in pagina i “temi pastorali maggiori”, quasi un’agenda per il domani. Perché, allora, scrivere un Liber pastoralis? Un libro può essere scritto per evitare un pericolo e suscitare una passione. Il pericolo è quello dell’“accidia pastorale”. Essa fa capolino nel vissuto di tanti pastori, vescovi e preti, ma anche di molti collaboratori laici. È una sorta di torpore, di rassegnazione che attraversa stancamente le parole e i gesti, che si trascinano senza smalto, rassegnandosi alla perdita d’incidenza della fede sul tessuto umano. I padri del deserto hanno descritto l’accidia come il pensiero cattivo che paralizza la vita del monaco, ma forse potremmo dire del credente. E quindi anche del pastore. Una citazione di Walter Kasper illustra bene il pericolo: «La Chiesa soffre di una stanchezza interna. Essa non viene sfidata. O meglio, sembra non venire sfidata. Non è messa esteriormente in discussione e all’apparenza la situazione non sembra drammatica, ma parallelamente la Chiesa è per molti una realtà non interessante, quasi noiosa, che lascia fredde le persone e le rende indifferenti. La perdita dell’orizzonte della speranza ci rende culturalmente e spiritualmente stanchi, pesanti, spenti. I padri della Chiesa e i grandi teologi del medioevo hanno definito questa posizione la tentazione originaria dell’accidia». Non potremmo forse dire che tale deperimento mina al cuore la coscienza di molti pastori di oggi? Il libro intende rimediare alla grave tentazione dell’accidia pastorale e risvegliare la passione della carità pastorale, cuore della spiritualità del presbitero diocesano e della dedizione alla Chiesa locale. La passione è prima di tutto una cosa che si patisce. Essa porta nella vita del pastore le ferite delle persone e soprattutto delle famiglie. Poi però il pastore secondo il cuore di Dio si lascia contagiare dalla storia della gente che gli è affidata, si appassiona per la loro vicenda, cammina con loro e si consola quando riesce a far brillare la luce del vangelo nel cammino della comunità. In questo continuo scambio tra patire e appassionarsi, egli trova la bellezza del ministero pastorale e la sua intima gioia. Per chi è un Liber pastoralis? La risposta a questa domanda sembrerebbe facile: per i pastori, i vescovi, i preti e i diaconi. Certamente. Oggi però l’interesse all’azione pastorale della Chiesa si rivolge a una platea più ampia di persone. Non solo per la drammatica diminuzione del clero e l’aumento della sua età media, ma per il ricupero della figura di Chiesa degli apostoli. È la Chiesa di popolo, che è il soggetto vero e proprio dell’agire pastorale. La Chiesa di domani sopravvivrà solo se sarà la Chiesa di tutti. Oggi si parla molto di carismi, ma la loro comprensione è prevalentemente spontaneista e movimentista. L’originalità dei carismi del nuovo testamento non sta tanto nei doni straordinari, ma nello straordinario dei doni dello Spirito dati a ciascuno. Il dinamismo spirituale e l’azione pastorale sono un’unica realtà. L’uno è il dono di Dio, l’altra è la responsabilità dei credenti, l’uno è il mistero nel tempo, l’altra è la storia che rende presente il corpo di Cristo. Che cosa è, infine, un Liber pastoralis? Un percorso per l’agire pastorale della Chiesa deve essere anzitutto un grande racconto. Il racconto è il linguaggio della memoria. Non si tratta di un trattato di teologia pastorale, ma una meditazione sapienziale sui capitoli essenziali della cura d’anime. È la cura della vita delle persone per far crescere una comunità credente, perché sia luogo del vangelo accolto e trasmesso al mondo. Il focus della proposta è molto semplice: a partire dalla visione di Chiesa conciliare come popolo di Dio, occorre passare dalla cura animarum alla cura della testimonianza dei cristiani e della Chiesa come testimonianza. Questo è il leitmotiv del percorso, che si articola in tre momenti: il primo aiuta a riflettere sul passaggio alla cura della testimonianza dei cristiani (capitoli 1-5); il secondo introduce le tre armoniche della missione — annuncio, celebrazione e carità — con le forme pratiche che le mediano (capitoli 6-11); il terzo mette l’attenzione all’umano (capitolo 12) alla prova dei «temi pastorali maggiori» (iniziazione e pastorale giovanile, confessione, matrimonio e pastorale familiare, benedizione delle famiglie, visita ai malati e fu- Dietrich Bonhoeffer nerale: capitoli 13-20). Un ventaglio di temi che lascia aperte altre piste per continuare il racconto. Messa del cardinale Ryłko La luce di Santa Maria Cristo «luce del mondo» e Maria «madre della luce»: in un tempo «di crisi che ci minacciano, di guerre che ci assediano, di terrorismo che miete tante vittime innocenti», sono questi i «punti di riferimento» per «comprendere chi siamo veramente come persone umane e qual è il nostro destino ultimo». Lo ha ricordato il cardinale Stanisław Ryłko celebrando a Santa Maria Maggiore — nel tardo pomeriggio di giovedì 2 febbraio — la messa in occasione dell’inaugurazione del suo ministero di arciprete della basilica liberiana. «Quanto bisogno di luce c’è nei nostri tempi! Viviamo, infatti, in un’epoca di tene- Iniziative di organismi vaticani Per le popolazioni terremotate I settemila euro che i bambini di Bangui hanno scelto di condividere con i loro coeteanei di Norcia, colpiti dal terremoto, sono stati consegnati venerdì mattina, 3 febbraio, nell’eloquente cornice di una scuola prefabbricata in legno, aperta subito prima di Natale nel paese umbro. A portare il dono, con un caloroso abbraccio, è stato il cantautore Claudio Baglioni, protagonista in Vaticano, il 17 di- cembre, del concerto Avrai con cui, spiega, «abbiamo raccolto un milione e mezzo di euro per l’ospedale pediatrico a Bangui». Una parte di questi fondi, settecentomila euro, saranno destinati proprio a Norcia e specificatamente «per l’oratorio Madonna delle Grazie, un centro di aggregazione sociale per aiutare i più giovani a non perdere la speranza». Il gesto dei bambini di Bangui, fa notare il cantautore, «è di grandissima umanità e fratellanza, oltre che una grande lezione per tutti noi, perché i piccoli della Repubblica Centrafricana, tra i paesi più poveri del mondo, non ci hanno pensato due volte a tendere la mano ai loro amici di Norcia». Con Baglioni erano il vescovo Fernando Vérgez Alzaga, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, e Domenico Giani, comandante della Gendarmeria, che ha promosso il concerto nell’aula Paolo VI. Ad accoglierli — con i bambini delle scuole materne ed elementari e la dirigente scolastica Rosella Tonti — l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, monsignor Renato Boccardo. «Questo contributo per l’oratorio è un ulteriore anello della catena di solidarietà avviata personalmente da Papa Francesco all’indomani del terremoto del 24 agosto» spiega il presule. Il Pontefice, infatti, «ha subito fatto sentire la sua vicinanza con la preghiera, con gli appelli pubblici e anche con una serie di telefonate per testimoniare il suo affetto, fino alla visita del 4 Incontro e ritiro spirituale per i vescovi di recente nomina Vigili del fuoco vaticani davanti alle macerie della basilica di San Benedetto a Norcia Rispondendo a un desiderio di Papa Francesco, la Congregazione per i vescovi ha organizzato, dal 21 agosto al 4 settembre, un incontro per i presuli che compiono cinque e sei anni di consacrazione. Si svolgerà fino al 26 agosto a Montefiolo di Casperia (Rieti), dove i vescovi, coordinati dal cardinale Renato Corti e dall’arcivescovo Filippo Iannone, avranno occasione di condividere le loro esperienze pastorali. I giorni successivi ci saranno invece, a Camaldoli (Arezzo), gli esercizi spirituali ignaziani guidati da un’équipe di gesuiti coordinata da padre Michele Lavra. Ogni tempo è chiamato a riscrivere l’azione dello Spirito negli Atti degli apostoli. ottobre nelle zone più colpite dal sisma». Tutte le componenti della Santa Sede hanno, a loro volta, risposto prontamente all’impulso del Papa, rimboccandosi le maniche. «La nostra gente ha imparato subito a riconoscere l’umanità e la sensibilità dei vigili del fuoco della Città del Vaticano — confida monsignor Boccardo — tanto che ancora oggi molte persone chiedono espressamente di essere assistiti dai “vigili del Papa”». Proprio a questo servizio è dedicato in gran parte il calendario 2017 dei vigili del fuoco vaticani, che ricordano il loro impegno con una serie di significative fotografie nei luoghi del sisma. E non è finita qui. Proprio giovedì 2 febbraio «i tecnici dei Musei vaticani — racconta il vescovo Boccardo — sono venuti qui a Norcia per prendere alcune opere d’arte particolarmente pregiate, danneggiate dalle scosse sismiche, in modo da potercele poi restituire restaurate». E sempre alle popolazioni dell’Italia centrale vittime del terremoto sono destinati anche i proventi della tradizionale «lotteria di beneficenza per le opere di carità del Santo Padre» promossa dal Governatorato. L’estrazione dei biglietti vincenti è stata effettuata nel pomeriggio di giovedì 2 e, si legge in una nota, «la somma raccolta sarà consegnata nei prossimi giorni direttamente nelle mani del Papa che la destinerà proprio alle popolazioni colpite dal terremoto del 24 agosto e ai senzatetto». bre particolarmente fitte, di oscurità che destano non poche paure e preoccupazioni circa il futuro dell’umanità», ha detto all’omelia, invitando ogni battezzato a lasciarsi «illuminare da Cristo» e a portare questa luce agli altri «mediante la testimonianza credibile della propria vita». Numerose le presenze in basilica. Tra i concelebranti, i cardinali Santos Abril y Castelló, arciprete emerito, e Stanisław Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia, e — con altri presuli e sacerdoti legati al cardinale Ryłko da rapporti di amicizia e di ministero — l’arcivescovo Kowalczyk, e i vescovi Clemens e Giuliodori. Fra gli altri, hanno partecipato al rito l’ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede e i rappresentanti di vari movimenti ecclesiali e di nuove comunità. Spiegando la scelta della festa della presentazione del Signore per dare inizio al suo ministero nel «più antico santuario mariano dell’Occidente», il porporato ha sottolineato «il ruolo di Maria nella storia della salvezza»: la Salus populi Romani, pronta «a consolarci in ogni nostra afflizione». E ha detto: «Stasera ho varcato la soglia di questo tempio con una forte trepidazione nel cuore, perché mi rendo conto dell’enorme responsabilità che questa missione comporta». L’eredità di Santa Maria Maggiore, infatti, è una realtà spirituale fondata su oltre «quindici secoli di storia, che interpella tutti noi e con la quale anche la nostra generazione è chiamata a misurarsi con grande senso di responsabilità». † La Segreteria di Stato comunica che è deceduto il Signor ALD O GIUSEPPE DELLAGIOVANNA Padre di Monsignor Giancarlo Dellagiovanna, Officiale della Segreteria di Stato. I Superiori e i Colleghi della Segreteria di Stato e del Servizio Diplomatico della Santa Sede partecipano al dolore di Monsignor Dellagiovanna e dei suoi Familiari, assicurando la vicinanza nell’amicizia e nella preghiera per il caro defunto, che affidano al Signore risorto. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 sabato 4 febbraio 2017 Il Papa chiede ai religiosi e alle religiose di mettere Cristo in mezzo al popolo Padri di speranza non professionisti del sacro Vincere «la tentazione della sopravvivenza» che inaridisce i cuori e e li priva della capacità di sognare: è l’impegno che il Papa ha chiesto ai consacrati e alle consacrate durante la messa celebrata nella basilica vaticana venerdì pomeriggio, 2 febbraio, festa della presentazione di Gesù al tempio. Quando i genitori di Gesù portarono il Bambino per adempiere le prescrizioni della legge, Simeone, «mosso dallo Spirito» (Lc 2, 27), prende in braccio il Bambino e comincia un canto di benedizione e di lode: «Perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2, 3032). Simeone non solo ha potuto vedere, Chiamata universale La luce — che dissipa l’oscurità, riscalda, dà un senso di vita e di sicurezza — è il segno più evidente della liturgia nella festa della presentazione del Signore al tempio. Simboleggia Cristo, luce delle genti, che illumina la vita di ogni uomo e della Chiesa. L’immagine dei lumini accesi che rischiarano le navate della basilica di San Pietro nella penombra offrono ogni volta uno spettacolo suggestivo. A questa celebrazione ormai da ventuno anni è legata la giornata mondiale della vita consacrata. E anche quest’anno, giovedì pomeriggio, 2 febbraio, il rito è stato presieduto da Papa Francesco. Ogni forma di vita consacrata era rappresentata anche nella processione iniziale, composta da uomini e donne, per esprimere la molteplicità e l’universalità della chiamata. Prima dei riti introduttivi, il Pontefice ha benedetto le candele nell’atrio della basilica e, dopo aver ricevuto dal diacono un lumino acceso, ha dato inizio alla processione che si è avviata verso l’altare della Confessione. Hanno animato la liturgia i canti della Cappella Sistina, del coro guida Mater Ecclesiae e del coro cattolico coreano Fiat Domini. Al termine della messa, il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, nel salutare il Pontefice a nome di tutti i presenti, ha detto che l’anno santo ha risvegliato anche nei consacrati la decisione di corrispondere all’amore del Signore e ha riacceso la speranza. Insieme con il Papa hanno concelebrato sette cardinali e otto presuli, tra i quali, l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario del dicastero per i consacrati, con alcuni officiali e membri. Tra i presenti, suor Nicla Spezzati, sotto-segretario della Congregazione. Per l’occasione, i novizi cappuccini di Morano Calabro hanno offerto un cordone liturgico che il Papa ha indossato per la celebrazione. ma ha avuto anche il privilegio di abbracciare la speranza sospirata, e questo lo fa esultare di gioia. Il suo cuore gioisce perché Dio abita in mezzo al suo popolo; lo sente carne della sua carne. La liturgia di oggi ci dice che con quel rito, quaranta giorni dopo la nascita, «il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo che l’attendeva nella fede» (Messale Romano, 2 febbraio, Monizione alla processione di ingresso). L’incontro di Dio col suo popolo suscita la gioia e rinnova la speranza. Il canto di Simeone è il canto dell’uomo credente che, alla fine dei suoi giorni, può affermare: è vero, la speranza in Dio non delude mai (cfr. Rm 5, 5), Egli non inganna. Simeone e Anna, nella vecchiaia, sono capaci di una nuova fecondità, e lo testimoniano cantando: la vita merita di essere vissuta con speranza perché il Signore mantiene la sua promessa; e in seguito sarà lo stesso Gesù a spiegare questa promessa nella sinagoga di Nazaret: i malati, i carcerati, quelli che sono soli, i poveri, gli anziani, i peccatori sono anch’essi invitati a intonare lo stesso canto di speranza. Gesù è con loro, è con noi (cfr. Lc 4, 18-19). Questo canto di speranza lo abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri. Essi ci hanno introdotto in questa “dinamica”. Nei loro volti, nelle loro vite, nella loro dedizione quotidiana e costante abbiamo potuto vedere come questa lode si è fatta carne. Siamo eredi dei sogni dei nostri padri, eredi della speranza che non ha delu- so le nostre madri e i nostri padri fondatori, i nostri fratelli maggiori. Siamo eredi dei nostri anziani che hanno avuto il coraggio di sognare; e, come loro, oggi vogliamo anche noi cantare: Dio non inganna, la speranza in Lui non delude. Dio viene incontro al suo popolo. E vogliamo cantare addentrandoci nella profezia di Gioele: «Effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (3, 1). Ci fa bene accogliere il sogno dei nostri padri per poter profetizzare oggi e ritrovare nuovamente ciò che un giorno ha infiammato il nostro cuore. Sogno e profezia insieme. Memoria di come sognarono i nostri anziani, i nostri padri e madri e coraggio per portare avanti, profeticamente, questo sogno. Questo atteggiamento renderà fecondi noi consacrati, ma soprattutto ci preserverà da una tentazione che può rendere sterile la nostra vita consacrata: la tentazione della sopravvivenza. Un male che può installarsi a poco a poco dentro di noi, in seno alle nostre comunità. L’atteggiamento di sopravvivenza ci fa diventare reazionari, paurosi, ci fa rinchiudere lentamente e silenziosamente nelle nostre case e nei nostri schemi. Ci proietta all’indietro, verso le gesta gloriose — ma passate — che, invece di suscitare la creatività profetica nata dai sogni dei nostri fondatori, cerca scorciatoie per sfuggire alle sfide che oggi bussano alle nostre porte. La psicologia della sopravvivenza toglie forza ai nostri carismi perché ci porta ad addomesticarli, a renderli “a portata di mano” ma privandoli di quella forza creativa che essi inaugurarono; fa sì che vogliamo proteggere spazi, edifici o strutture più che rendere possibili nuovi processi. La tentazione della sopravvivenza ci fa dimenticare la grazia, ci rende professionisti del sacro ma non padri, madri o fratelli della speranza che siamo stati chiamati a profetizzare. Questo clima di sopravvivenza inaridisce il cuore dei nostri anziani privandoli della capacità di sognare e, in tal modo, sterilizza la profezia che i più giovani sono chiamati ad annunciare e realizzare. In poche parole, la tentazione della sopravvivenza trasforma in pericolo, in minaccia, in tragedia ciò che il Signore ci presenta come un’opportunità per la missione. Questo atteggiamento non è proprio soltanto della vita consacrata, ma in modo particolare siamo invitati a guardarci dal cadere in essa. Torniamo al brano evangelico e contempliamo nuovamente la scena. Ciò che ha suscitato il canto di lode in Simeone e Anna non è stato di certo il guardare a sé stessi, l’analizzare e rivedere la propria situazione personale. Non è stato il rimanere chiusi per paura che potesse capitare loro qualcosa di male. A suscitare il canto è stata la speranza, quella speranza che li sosteneva nell’anzianità. Quella speranza si è vista realizzata nell’incontro con Gesù. Quando Maria mette in braccio a Simeone il Figlio della Promessa, l’anziano incomincia a cantare, fa una propria “liturgia”, canta i suoi sogni. Quando mette Gesù in mezzo al suo popolo, questo trova la gioia. Sì, solo questo potrà restituirci la gioia e la speranza, solo questo ci salverà dal vivere in un atteggiamento di sopravvivenza. Solo questo renderà feconda la nostra vita e manterrà vivo il nostro cuore. Mettere Gesù là dove deve stare: in mezzo al suo popolo. Tutti siamo consapevoli della trasformazione multiculturale che stiamo attraversando, nessuno lo mette in dubbio. Da qui l’importanza che il consacrato e la consacrata siano inseriti con Gesù nella vita, nel cuore di queste grandi trasformazioni. La missione — in conformità ad ogni carisma particolare — è quella che ci ricorda che siamo stati invitati ad essere lievito di questa massa concreta. Certamente potranno esserci “farine” migliori, ma il Signore ci ha invitato a lievitare qui e ora, con le sfide che ci si presentano. Non con atteggiamento difensivo, non mossi dalle nostre paure, ma con le mani all’aratro cercando di far crescere il grano tante volte seminato in mezzo alla zizzania. Mettere Gesù in mezzo al suo popolo significa avere un cuore contemplativo, capace di riconoscere come Dio cammina per le strade delle nostre città, dei nostri paesi, dei nostri quartieri. Mettere Gesù in mezzo al suo popolo significa farsi carico e voler aiutare a portare la croce dei nostri fratelli. È voler toccare le piaghe di Gesù nelle piaghe del mondo, che è ferito e brama e supplica di risuscitare. Metterci con Gesù in mezzo al suo popolo! Non come attivisti della fede, ma come uomini e donne che sono continuamente perdonati, uomini e donne uniti nel battesimo per condividere questa unzione Nomina episcopale in Argentina La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Argentina. e la consolazione di Dio con gli altri. Metterci con Gesù in mezzo al suo popolo, perché «sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che [con il Signore] può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. [...] Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza! Uscire da se stessi per unirsi agli altri» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 87) non solo fa bene, ma trasforma la nostra vita e la nostra speranza in un canto di lode. Ma questo possiamo farlo solamente se facciamo nostri i sogni dei nostri anziani e li trasformiamo in profezia. Accompagniamo Gesù ad incontrarsi con il suo popolo, ad essere in mezzo al suo popolo, non nel lamento o nell’ansietà di chi si è dimenticato di profetizzare perché non si fa carico dei sogni dei suoi padri, ma nella lode e nella serenità; non nell’agitazione ma nella pazienza di chi confida nello Spirito, Signore dei sogni e della profezia. E così condividiamo ciò che ci appartiene: il canto che nasce dalla speranza. Jorge Vázquez coadiutore di Morón Nato a Lomas de Zamora, in provincia di Buenos Aires, il 13 marzo 1950, ha seguito gli studi secondari nel seminario maggiore di La Plata. Dopo aver lavorato alcuni anni, è entrato nel seminario Santa Cruz, di Lomas de Zamora. Ha conseguito il titolo di professore di filosofia nell’istituto Presbítero Antonio Sáenz e il baccalaureato in teologia presso la Pontificia università cattolica argentina, dove ha ottenuto la licenza in teologia dogmatica con indirizzo in spiritualità. È stato ordinato sacerdote il 31 marzo 1983 per la diocesi di Lomas de Zamora, dove ha svolto gli incarichi di parroco di Cristo Redentor di Villa Jardín (1985-1994), dell’Inmaculada Concepción di Monte Grande (1994-2003) e della cattedrale Nuestra Señora de la Paz (20032009); rettore del seminario diocesano Santa Cruz (2009-2010); vicario di zona, membro del consiglio presbiterale e del collegio dei consultori, cancelliere, incaricato diocesano di Caritas e pastorale sociale, assessore del circolo cattolico di operai. Dal 2009 è stato vicario generale di Lomas de Zamora. Nominato il 13 dicembre 2013 vescovo titolare di Castra nova e ausiliare di Lomas de Zamora, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 29 dicembre successivo. Il segretario di Stato nella Repubblica del Congo Al servizio del bene comune La firma dell’accordo quadro della Santa Sede con la Repubblica del Congo e il quarantesimo anniversario delle loro relazioni diplomatiche sono al centro della seconda tappa del viaggio in Africa del cardinale Pietro Parolin. Una sosta che ha inoltre consentito al segretario di Stato di incontrare i vescovi del Paese e discutere con loro dei principali problemi pastorali e dell’impegno della Chiesa per il bene comune. signor Daniel Mizonzo, vescovo di Nkayi. All’esterno dell’aeroporto un gruppo di religiose e di fedeli ha intonato canti tradizionali di benvenuto. Proprio con i nove vescovi locali il cardinale Parolin ha trascorso buona parte della giornata. In un incontro informale in nunziatura, nel quale ognuno dei presuli ha potuto presentare la situazione della propria diocesi, sono state affrontate le principali questioni pastorali e po- Dopo la visita in Madagascar e una breve sosta nell’aeroporto di Nairobi — dove ha incontrato il nunzio apostolico in Kenya e in Sud-Sudan, l’arcivescovo Charles Daniel Balvo, per discutere della situazione socio-politica in quest’ultimo paese — il porporato ha raggiunto Brazzaville mercoledì 1° febbraio. Ad accoglierlo all’aeroporto di Maya-Maya c’erano il primo ministro Clemente Mouamba e una delegazione di politici e diplomatici. Da parte ecclesiastica erano presenti il nunzio apostolico, l’arcivescovo Francisco Escalante Molina, il nunzio nella Repubblica Democratica del Congo, l’arcivescovo Luis Mariano Montemayor, il segretario di nunziatura, don Patrick Saw Zay Han, e l’intera Conferenza episcopale del Congo guidata dal presidente, mon- litiche riguardanti il paese. In particolare è emersa l’importanza di seguire l’esecuzione dell’accordo quadro dopo la ratifica: i contatti con le autorità statali devono essere frequenti e non saltuari, al fine di instaurare un dialogo proficuo che richiami al servizio al bene comune e solleciti l’attenzione verso gli ultimi e i poveri. Tra gli obiettivi è stato sottolineato quello della formazione dei laici per sviluppare il senso di responsabilità e un impegno in politica che si conformi alla dottrina sociale della Chiesa. Durante l’incontro si è inoltre parlato della situazione di violenza e instabilità che sta vivendo la regione di Pool. I vescovi hanno auspicato un buon esito per la causa di beatificazione del cardinale Emile Biayenda, servo di Dio ucciso quaranta anni fa. Tra le note di preoccupazione dei presuli africani è emersa la difficile situazione del bisettimanale cattolico, edito dalla Conferenza episcopale, che versa in una situazione di grave disagio economico, e la necessità di un centro ospedaliero che si occupi dell’assistenza ai sacerdoti malati e al personale religioso. Nella mattinata del 2 febbraio, il cardinale Parolin, accompagnato dal nunzio, dal presidente della Conferenza episcopale e dall’arcivescovo di Brazzaville, Anatole Milandou, si è recato a fare visita a Jean Claude Gakosso, ministro degli Affari esteri, della cooperazione e dei congolesi all’estero. Durante il colloquio il ministro ha fatto riferimento alla firma dell’accordo quadro, che manifesta l’apprezzamento dello Stato verso la Chiesa cattolica per tutto ciò che svolge in ambito educativo, sanitario e sociale. In modo particolare, Gakosso ha sottolineato la dedizione con cui le istituzioni della Chiesa cattolica hanno edificato scuole, anche nei villaggi più sperduti, per dare a tutti la possibilità di formarsi come cittadini e come persone. Ha pure accennato al ruolo che la Chiesa sta svolgendo per la risoluzione dei conflitti in varie regioni del mondo. Ha, poi, ufficializzato la notizia riguardante l’apertura di una ambasciata residente del Congo presso la Santa Sede. Il segretario di Stato, a sua volta, ha sottolineato l’importanza dell’accordo che non solo regolerà a livello giuridico il rapporto tra Chiesa e Stato, ma servirà a tutti i congolesi senza alcuna discriminazione. Dopo aver trattato di questioni politiche e regionali, l’incontro è terminato con lo scambio dei doni. Il porporato e la delegazione si sono quindi recati presso la Presidenza del Consiglio, per l’udienza con il capo del governo congolese, Clément Mouamba. Durante i colloqui sono stati toccati vari temi: la firma dell’accordo quadro, la situazione economica del Paese, il fenomeno dell’immigrazione che sta investendo l’Africa occidentale. Sollecitato dal cardinale Parolin in merito alla situazione di instabilità nella regione di Pool, Moumba ha assicurato che il governo si sta adoperando affinché si metta fine a questa guerriglia, che sta provocando destabilizzazione, morti e sfollati tra la popolazione inerme. La soluzione più adeguata che si vuole adottare è quella del dialogo politico evitando azioni militari inappropriate. Tra gli altri argomenti toccati nel colloquio, la richiesta di una visita del Papa e la situazione dei rifugiati della Repubblica Centrafricana che stanno progressivamente rientrando in patria. Nel pomeriggio il segretario di Stato ha fatto visita a due centri caritativi. Il primo, dedicato al cardinale Biayenda, accoglie persone con disabilità fisica e psichica, insieme ad alcuni adolescenti fuggiti dalla regione del Pool. Il porporato ha salutato tutti i malati, mentre un coro formato da disabili eseguiva canti di benvenuto. L’altra struttura, il Centre d’Accueil Béthanie, ospita neonati, bambini e adolescenti abbandonati. Anche qui il cardinale si è fermato per salutare i piccoli. La giornata si è conclusa con la visita al memoriale che la Repubblica del Congo ha innalzato all’esploratore italiano Pietro Savorgnan de Brazza (che ha dato il nome alla capitale), e con la cena offerta dai vescovi congolesi presso il centro della Conferenza episcopale, alla quale hanno partecipato sacerdoti e laici che a diverso titolo collaborano con i presuli.