L`Osservatore Romano, 4 febbraio 2017

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L`Osservatore Romano, 4 febbraio 2017
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 28 (47.462)
Città del Vaticano
sabato 4 febbraio 2017
.
Il Papa chiede ai religiosi e alle religiose di mettere Cristo in mezzo al popolo
L’immigrazione al centro del vertice dell’Unione a Malta
Padri di speranza
non professionisti del sacro
Europa unita
nella lotta ai trafficanti
Vincere «la tentazione della sopravvivenza» che inaridisce i cuori e li
priva della capacità di sognare: è
l’impegno che il Papa ha chiesto ai
consacrati e alle consacrate durante
la messa celebrata nella basilica di
San Pietro giovedì pomeriggio, 2
febbraio.
Nel giorno in cui la Chiesa fa memoria della festa della presentazione
di Gesù al tempio — alla quale ormai da ventuno anni è legata la
giornata mondiale della vita consacrata — il Pontefice ha invitato i religiosi e le religiose a fare «memoria
di come sognarono i nostri anziani, i
nostri padri e madri», e a riscoprire
il «coraggio per portare avanti, profeticamente, questo sogno». Un atteggiamento, questo, che consente di
mantenere «feconda» la scelta della
consacrazione e di non mortificare
«la creatività profetica» del carisma
originario.
Il rischio, per il Papa, è quello di
«diventare
reazionari,
paurosi»,
chiusi «nelle nostre case e nei nostri
schemi», in cerca di «scorciatoie per
sfuggire alle sfide che oggi bussano
alle nostre porte». La «psicologia
della sopravvivenza — ha ammonito
— toglie forza ai nostri carismi perché ci porta ad addomesticarli, a
renderli “a portata di mano” ma privandoli di quella forza creativa che
essi inaugurarono; fa sì che vogliamo
proteggere spazi, edifici o strutture
più che rendere possibili nuovi processi». Così i consacrati sono destinati a diventare semplici «professionisti del sacro, ma non padri, madri
o fratelli della speranza che siamo
stati chiamati a profetizzare».
Questo atteggiamento, ha proseguito il Pontefice, non solo «inaridisce il cuore dei nostri anziani, privandoli della capacità di sognare»,
ma al tempo stesso «sterilizza la
profezia che i più giovani sono chiamati ad annunciare e realizzare». In
poche parole, «la tentazione della
sopravvivenza trasforma in pericolo,
in minaccia, in tragedia ciò che il Signore ci presenta come un’opportunità per la missione». Per evitarlo
Francesco ha indicato ai consacrati
la missione di «mettere Gesù in
mezzo al suo popolo», facendosi carico ogni giorno della «croce dei nostri fratelli». Una missione da realizzare «non come attivisti della fede»
— ha spiegato — ma «come uomini e
donne che sono continuamente per-
donati, uomini e donne uniti nel
battesimo per condividere questa unzione e la consolazione di Dio con
gli altri». Perché, ha concluso citando l’Evangelii gaudium, «uscire da se
stessi per unirsi agli altri non solo fa
bene, ma trasforma la nostra vita e
la nostra speranza in un canto di
lode».
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Verso i colloqui di Astana dove si tornerà a parlare della tregua e del futuro politico del paese
Confronto diplomatico sulla Siria
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DAMASCO, 3. Torna ad aprirsi il confronto diplomatico sulla Siria. Lunedì 6 febbraio si terrà ad Astana la
prima riunione della task-force che
coinvolgerà le delegazioni di Russia,
Turchia, Iran e l’inviato delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura. Ad annunciarlo è stato ieri il portavoce del
ministero degli esteri kazako, Anuar
Zhainakov,
all’agenzia
Interfax.
«Esperti provenienti da Russia, Turchia, Iran e Nazioni Unite prenderanno parte ai lavori della task-force
congiunta. Lo scopo del meeting è
quello di discutere la realizzazione
della cessazione delle ostilità» ha
spiegato il ministero della difesa russo. L’incontro, tuttavia, sarà anche
l’occasione per tornare sulle principali questioni politiche al centro del
negoziato.
Come spiegano numerose fonti,
uno dei punti cruciali su cui si discuterà ad Astana è la bozza di costituzione presentata da Mosca alle
delegazioni di ribelli e al governo di
Damasco. Nello specifico, la questione più complessa riguarda il sistema politico del futuro nuovo stato siriano. Quest’ultimo — come si
evince dalla bozza presentata da
Mosca e anticipata da alcuni media
internazionali — «si basa sul principio di pluralismo politico e sulla
possibilità di esercitare il potere democraticamente a scrutinio segreto».
Inoltre «deve essere riconosciuta la
diversità ideologica, nessuna ideologia deve essere proclamata ideologia
di stato od obbligatoria» si legge
nelle anticipazioni della bozza. Il
progetto di costituzione dice che «il
territorio della Siria è indivisibile, inviolabile e integrale», mentre «i confini dello stato possono essere modi-
Bergomi, Poretti, Van De Sfroos
Cresciuti
in oratorio
SERGIO MASSIRONI
A PAGINA
4
ficati solo a seguito di un referendum indetto tra tutti i cittadini siriani». Il presidente è eletto con un
mandato della durata di sette anni,
dai cittadini siriani «a suffragio universale, uguale e diretto, a scrutinio
segreto».
Sempre sul piano diplomatico, si
segnala nelle ultime ore la dura presa di posizione da parte dell’opposizione siriana contro Staffan de Mistura, dopo che l’inviato speciale
delle Nazioni Unite aveva ventilato
l’ipotesi di sceglierne lui stesso i delegati ai prossimi colloqui di pace
sotto l’egida Onu, in programma a
Ginevra (ma il 20 febbraio anziché
mercoledì prossimo, come previsto).
Le parole del diplomatico italo-svedese sono state definite «inaccettabili» su Twitter da Riad Hijab, capo
dell’alto comitato negoziale, cartello
che rappresenta la maggior parte
delle fazioni ostili al governo di Assad. «Non è affare di de Mistura selezionare la delegazione dell’opposizione siriana» ha tagliato corto
Hijab.
Un portavoce del gruppo, Salem
Muslet, a sua volta ha sottolineato
come de Mistura abbia dato prova
di «disprezzo per le capacità dei
rappresentanti del popolo della Siria». Muslat ha respinto l’idea secondo cui l’aver posticipato i colloqui ginevrini sarebbe stato dovuto
all’incapacità degli oppositori di accordarsi sugli emissari da inviare in
Svizzera. «Il rinvio non risponde
agli interessi del nostro popolo», ha
denunciato il numero uno dell’alto
comitato, ma «costituisce una risposta alle richieste degli alleati del regime».
Nelle zone di Aleppo, intanto, si
continua a combattere. Le forze
governative siriane annunciano di
voler allargare il raggio dell’offensiva
in corso a est di Aleppo contro
formazioni jihadiste. In un comunicato pubblicato dall’agenzia governativa Sana, lo stato maggiore delle
forze armate siriane annuncia l’avvio
di operazioni militari su larga scala
nel distretto di Al Bab, in mano
all’Is ma già sotto attacco da setti-
mane da parte di forze turche e milizie anti-governative locali loro alleate. Nell’operazione sono stati distrutti tre centri di comando dell’Is e
alcune «posizioni fortificate dei terroristi».
Sempre più fragile, nel frattempo,
la tregua nelle zone comprese nel
cessate il fuoco. La Russia ha registrato tre violazioni del cessate il
fuoco in Siria nelle ultime 24 ore,
tutte nella provincia di Latakia. La
Turchia invece ha denunciato sette
violazioni della tregua: cinque nella
provincia di Damasco e due in quella di Hama.
Sul piano umanitario, il rappresentante dell’Onu, Stephen O’Brien,
ha accusato ieri il governo siriano di
bloccare la consegna degli aiuti a
centinaia di migliaia di persone bisognose, nonostante il cessate il fuoco
sia «un barlume di speranza per la
fine del conflitto».
BRUXELLES, 3. «Fermare l’immigrazione è impossibile, si devono fare
scelte corrette per gestire al meglio
i flussi». È quanto ha affermato ieri Federica Mogherini, l’alto rappresentante dell’Unione europea
per gli affari esteri e la politica di
sicurezza, in un’intervista alla vigilia del vertice europeo a Malta.
Mentre si contano 450 persone
soccorse nel Canale di Sicilia nelle
ultime ore, nell’isola nel cuore del
Mediterraneo i leader europei si
riuniscono oggi per discutere non
solo di immigrazione, ma anche
della lotta ai trafficanti di esseri
umani. Si tratta di un vertice informale che ha, come obiettivo principale, predisporre «misure operative» per il blocco dei flussi che dalla Libia, attraversando il Mediterraneo, arrivano nel cuore dell’Europa. Flussi «non più sostenibili», come ha sottolineato il presidente del consiglio europeo, Donald Tusk, assicurando l’impegno
dell’Unione.
Fin dai primissimi giorni della
sua presidenza di turno, iniziata
con il nuovo anno, il primo ministro maltese, Joseph Muscat, ha
auspicato un accordo con la Libia
sul modello di quello già raggiunto
con la Turchia.
Intanto, ieri sera il presidente
del Consiglio dei ministri italiano,
Paolo Gentiloni, ha firmato un
protocollo d’intesa con il capo del
governo di unità nazionale libico,
Fayez Al Serraj, che prevede, innanzitutto, risorse dall’Italia per
sostenere il lavoro della guardia costiera di Tripoli per fermare e far
rientrare sulle coste libiche i barconi intercettati in mare. Ma vengono
anche assicurati finanziamenti per i
centri di accoglienza presenti sulle
coste libiche, dove i profughi saranno riportati. Al momento, infatti, le condizioni di vita in questi
centri sono pessime.
Come detto, dopo l’accordo tra
Ue e Turchia, che ha sostanzialmente fermato il flusso sulla rotta
balcanica (anche se non sono mai
mancate alcune perplessità sulle
modalità di attuazione), Bruxelles
vuole un accordo simile con la Libia, base principale di partenza dei
migranti.
Le situazioni dei due paesi, tuttavia, sono molto diverse. La Libia
è ancora segnata da un violento
conflitto e manca di una stabilità
politica adeguata.
Uomo armato aggredisce un gruppo di militari nei pressi del Louvre
Torna a Parigi l’incubo terrorismo
L’Italia non solo ha stipulato ora
il suo accordo con la Libia, che si
aspetta diventi un accordo europeo, ma già dall’anno scorso ha
promosso i migration compact,
cioè pacchetti di accordi per aiutare i profughi nei paesi di origine
scongiurando le disperate partenze
in mare. A livello bilaterale, l’allora
presidente del consiglio Matteo
Renzi aveva firmato progetti con
Ghana e Senegal, recandosi negli
stati interessati. Una linea seguita
anche dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, che l’anno scorso aveva fatto un tour africano, avviando
Federica Mogherini (Ap)
il dialogo in questo senso con il
Mali e l’Eritrea.
A livello europeo, la linea di migliorare le condizioni in Africa
scongiurando le partenze viene fortemente appoggiata dalla commissione europea che, nei giorni scorsi, proprio in vista di questo vertice
ha presentato il suo piano che infatti va nella stessa direzione.
Un altro tentativo di assunzione
di responsabilità da parte dell’Europa di fronte ai flussi — che hanno
toccato direttamente Grecia e Italia
e che continuano anche in pieno
inverno a interessare le coste italiane — è stato il progetto di redistribuzione dei richiedenti asilo. Resta
fermo, però, per la mancata collaborazione di Polonia, Ungheria,
Repubblica Ceca e Slovacchia.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza:
l’Eminentissimo
Cardinale
Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la
Dottrina della Fede;
le Loro Eccellenze i Monsignori:
— Giambattista Diquattro, Arcivescovo titolare di Giromonte,
Nunzio Apostolico in India;
— Carlos José Tissera, Vescovo di Quilmes (Argentina);
l’Eminentissimo
Cardinale
Peter Kodwo Appiah Turkson,
Prefetto del Dicastero per il
Servizio dello Sviluppo Umano
Integrale.
Militari francesi sulla spianata del museo del Louvre (Reuters)
PARIGI, 3. Attacco al cuore della Francia. Questa mattina un uomo, munito di due machete, ha aggredito
alcuni militari all’ingresso del Carrousel du Louvre, il
centro commerciale sotterraneo tra il museo del Louvre e place du Carrousel, nel pieno centro di Parigi.
Due militari sono stati feriti; uno di essi versa in gravi
condizioni. L’aggressore è stato colpito con cinque
colpi di pistola dal terzo militare presente. Il prefetto
di Parigi, Michel Cadot, ha riferito che l’uomo aveva
con sé due zaini ma al loro interno «dopo una verifica
non si è trovato alcun esplosivo». L’aggressore non
avrebbe agito da solo. Secondo quanto riferisce Le Parisien, un uomo di circa 35 anni è stato placcato a terra da tre poliziotti in abito civile, all’uscita della metro
Louvre-Rivoli di Parigi. Il premier francese, Bernard
Cazeneuve, ha parlato senza esitazioni di «attacco di
carattere terroristico». Tutta l’area è stata subito blindata. Circa mille visitatori presenti nel museo, secondo
Pierre-Henri Brandet, portavoce del ministero degli
interni, sono stati fatti evacuare in tutta sicurezza.
Nomina
di Vescovo Coadiutore
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo Coadiutore della Diocesi di Morón (Argentina) Sua
Eccellenza Monsignor Jorge
Vázquez, trasferendolo dall’incarico di Vescovo titolare di Castra nova e Ausiliare di Lomas
de Zamora.
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sabato 4 febbraio 2017
Militari ucraini dislocati
nella regione di Mariupol (Epa)
Il premier britannico Theresa May presenta gli obiettivi dei negoziati per l’uscita dall’Unione europea
Brexit senza sconti
LONDRA, 3. Una schematica illustrazione di obiettivi: è quanto contiene
il Libro bianco sulla Brexit presentato ieri dal premier britannico Theresa May. Mercoledì la camera dei comuni aveva dato il suo primo voto
alla legge per l’avvio della procedura
di uscita dall’Unione.
Non è una road map, ma piuttosto una precisa dichiarazione di intenti a proposito della strategia negoziale. Sono 12 i punti e 77 le pagine. Si comincia con il ribadire la necessità di «garantire certezza e chiarezza ovunque possibile nell’approccio ai negoziati». Si chiarisce di dover riprendere il controllo a livello
nazionale delle leggi, «mettendo fine
alla giurisdizione della Corte di giustizia dell’Unione europea sul Regno Unito». L’intenzione del governo è di «definire un accordo che
funzioni per l’intero Regno — Scozia, Galles, Irlanda del Nord e Inghilterra in ogni sua parte — e nel
pieno rispetto dell’Accordo di Belfast, per la pace in Irlanda». E qui c’è
una precisazione: «tutelare i forti e
storici legami con l’Irlanda conservando l’area di common travel attraverso soluzioni pratiche che garantiscano al contempo l’integrità del sistema migratorio».
Ma in tema di migrazioni c’è un
altro punto essenziale nel documento: «Controllare l’immigrazione, incluso il numero dei cittadini di paesi
dell’Unione che entrano nel Regno
Unito». Si parla dunque di diritti
per ribadire la necessità di «assicurare i diritti dei cittadini Ue residenti
nel Regno Unito e dei cittadini britannici residenti nei paesi Ue», specificando di doverlo fare «prima
possibile». In generale, si ribadisce
di voler «proteggere e accrescere i
diritti vigenti dei lavoratori».
In tema di scambi commerciali, si
legge di voler «garantire il libero
commercio sui mercati europei», ma
ovviamente si parla di «nuova
partnership strategica» con l’Ue, attraverso quello che viene invocato
come «un coraggioso e ambizioso
accordo». Da accompagnare a «intese doganali reciprocamente vantaggiose». Si guarda poi a paesi terzi e,
con una definizione molto generale,
si ribadisce di voler raggiungere
«nuovi accordi commerciali con altri
Il segretario
generale
della Nato
a Sarajevo
SARAJEVO, 3. Da Sarajevo, dove si
trova in visita ufficiale, il segretario
generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto che «il miglior modo
per ridurre le interferenze negli affari interni dei paesi balcanici è quello
di rafforzare le istituzioni democratiche nella regione». Stoltenberg ha
ringraziato Sarajevo per la partecipazione di contingenti bosniaci alle
missioni in Afghanistan, per la donazione di munizioni all’Iraq e per il
contributo alla lotta contro il cosiddetto stato islamico (Is), e ha precisato che la Nato è pronta ad attivare
il piano d’azione per l’adesione della
Bosnia ed Erzegovina alla Nato appena verrà eseguita l’intestazione degli immobili militari allo stato.
Tale condizione è stata posta dalla
Nato sette anni fa, ma all’intestazione allo stato di 63 tra caserme, poligoni e depositi militari sono contrari
i serbo-bosniaci, secondo i quali tutti gli immobili dovrebbero appartenere alle entità in cui si trovano. Entità in cui è diviso il paese dall’accordo di pace di Dayton (1995), la
Federazione Bh, a maggioranza
croato musulmana, e la Republika
Srpska, a maggioranza serba.
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paesi, secondo una strategia ambiziosa di libero scambio» nel mondo.
In tema di scienza e innovazione,
May vuole assicurare che il Regno
Unito resti «il luogo migliore e
all’avanguardia, cercando di mantenere una stretta collaborazione con i
partner europei».
In considerazione delle sfide globali, emerge l’importanza di «cooperare nella lotta contro la criminalità
e il terrorismo» per «preservare la sicurezza europea e per sostenere la
giustizia nel mondo» si legge ancora
nel documento. L’ultimo punto sembra auspicare un’uscita ordinata
dall’Europa attraverso quello che definisce «un processo cadenzato di attuazione del passaggio verso i nuovi
accordi che esisteranno tra la Gran
Bretagna, le istituzioni europee e gli
stati destinati a restare membri
dell’Unione». La presentazione, come detto, è avvenuta il giorno dopo
il primo voto sul testo di legge presentato dal governo per avviare le
procedure previste dall’articolo 50
del trattato di Lisbona. Larghissima
la maggioranza: 498 sì e solo 114 no.
Theresa May (Afp)
Consultazioni
nella ex Repubblica
jugoslava
di Macedonia
SKOPJE, 3. Sono iniziate nella ex
repubblica jugoslava di Macedonia le consultazioni politiche del
presidente, Gjorge Ivanov, per
formare il nuovo governo. Ivanov
ha già avviato una lunga serie di
colloqui ad ampio raggio con tutte le forze politiche rappresentate
in parlamento a Skopje, per decidere a chi conferire il nuovo mandato, dopo il fallimento del tentativo di Nikola Gruevski, l’ex primo ministro e leader del partito
conservatore Vmro-Dpmne, che
non è riuscito a raggiungere un
accordo di coalizione con l’Unione democratica per l’integrazione,
il maggiore dei partiti della minoranza albanese del paese balcanico (circa il 25 per cento del totale
dei due milioni di abitanti).
Il Vmro-Dpmne ha vinto di
stretta misura le elezioni legislative anticipate dell’11 dicembre
scorso, aggiudicandosi 51 dei 120
seggi del parlamento di Skopje,
rispetto ai 49 ottenuti dal Partito
socialdemocratico (Sdsm), del
leader dell’opposizione, Zoran
Zaev. Da Bruxelles, l’Unione europea ha lanciato a più riprese
appelli alla dirigenza macedone a
fare presto per dare al paese balcanico un nuovo governo, premessa necessaria per riprendere la
strada delle riforme e il cammino
verso l’integrazione europea.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Gaetano Vallini
KIEV, 3. Non si fermano le violenze
nell’est ucraino, tra reciproci scambi di accuse delle parti in causa.
Fonti del ministero della difesa
dell’autoproclamata repubblica popolare di Donetsk hanno fatto sapere che almeno sei persone sono
morte tra ieri e oggi in diversi
scontri nella regione del Donbass.
Un altro bilancio diffuso da alcuni
Romania in rivolta
BUCAREST, 3. Migliaia di persone
sono scese nuovamente in piazza a
Bucarest, e in altre città della Romania, per protestare contro la corruzione e chiedere le dimissioni del
governo, che tre giorni fa ha emanato un decreto d’urgenza sulla depenalizzazione dell’abuso di ufficio
e altri reati di corruzione.
Il premier socialdemocratico, Sorin Grindeanu, ha detto che non
intende revocare il decreto contestato, mentre il presidente della repubblica, Klaus Iohannis — schierato dalla parte dei manifestanti —
ha annunciato che chiederà alla
corte costituzionale di dichiarare illegittimo il provvedimento del governo. Ieri, il ministro del commercio, Florin Jianu, ha rassegnato le
dimissioni, motivando la decisione
con «ragioni morali».
I manifestanti e il presidente accusano il governo — che intende
nei prossimi giorni varare un’amnistia per alleggerire il sovraffollamento delle carceri — di volere vanificare la lotta alla corruzione dilagante nel paese balcanico, favorendo con la depenalizzazione dei
reati tutta una serie di politici e
funzionari pubblici sotto inchiesta
per corruzione.
media parla invece di 34 morti da
domenica scorsa.
Lo stato maggiore ucraino — secondo quanto si legge in un comunicato — ha categoricamente smentito che i propri soldati abbiano
aperto il fuoco su Donetsk, denunciando a sua volta l’uccisione di
quattro militari e il ferimento di altri diciassette nella sola giornata di
ieri. I militari ucraini hanno accusato i ribelli separatisti di avere
bombardato usando pezzi di artiglieria, missili Grad, mortai e carri
armati. Secondo Kiev dal 31 gennaio a oggi, solo nella zona di Avdiivka, sono stati uccisi 10 soldati,
66 i feriti.
Intanto, resta alta la tensione tra
Stati Uniti e Russia proprio sulla
crisi ucraina. L’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Nikki
Haley, ha detto ieri davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu che le
sanzioni contro la Russia resteranno «fino a che il controllo della
Crimea
non
verrà
restituito
all’Ucraina».
Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha intanto dichiarato di volere indire un referendum per
l’adesione dell’Ucraina alla Nato.
In un’intervista al quotidiano «Berliner Morgenpost», il capo dello
stato ha affermato che, nei sondaggi, la maggioranza degli ucraini voterebbe per l’ingresso di Kiev
nell’Alleanza atlantica.
«Quattro anni fa, solo il 16 per
cento degli ucraini erano favorevoli
all’adesione alla Nato» ha detto
Poroshenko. «Adesso sono il 54
per cento e, come presidente, sono
guidato dalla volontà del mio popolo e terrò un referendum sulla
questione» ha aggiunto.
Il sindaco Raggi
interrogata
dai magistrati
Dimostranti riuniti nel centro di Bucarest per protestare contro il governo (Ap)
Ancora scosse di terremoto
nell’Italia centrale
ha aggiunto durante una conferenza stampa congiunta con Orbán.
La Russia si è detta pronta a finanziare, anche al 100 per cento,
la costruzione di due nuovi reattori dell’unica centrale nucleare ungherese, quella di Paks, prospettiva seguita con attenzione, però,
dall’Unione europea per possibili
violazioni della concorrenza.
Riguardo alle sanzioni europee
contro Mosca per le vicende
dell’Ucraina orientale, Budapest
ha detto che all’Ungheria sono costate 6,5 miliardi di dollari.
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caporedattore
segretario di redazione
Le violenze non lasciano
l’est ucraino
Dilaga la protesta contro la corruzione
Cooperazione economica
tra Russia e Ungheria
BUDAPEST, 3. Il presidente ungherese, Viktor Orbán, e l’omologo
russo, Vladimir Putin, in visita a
Budapest, hanno rilanciato ieri la
cooperazione economica bilaterale.
Per Putin l’Ungheria è un «partner importante e affidabile» e la
Russia farà «tutto il possibile» per
garantire le necessarie forniture di
gas a Budapest. Il leader del
Cremlino ha detto che il gas naturale russo potrà raggiungere l’Ungheria sia attraverso il Nord
Stream che il Turkish Stream.
«Ma sono possibili altre opzioni»,
Almeno sei morti
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ROMA, 3. La terra ha ripreso a tremare in Italia centrale con scosse
di una certa entità nelle primissime
ore del giorno. Proprio ieri è stato
approvato il terzo decreto legge
sull’emergenza terremoto.
Ancora molta paura, ma nessun
danno, nell’area del maceratese in
cui si sono avvertite maggiormente
le scosse: di magnitudo 4, alle 4.47,
di magnitudo 4.2 alle 5.10.
Intanto, il governo ha votato il
pacchetto di norme teso innanzitutto a tagliare i tempi della burocrazia che sarebbero stati lunghi,
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
«in favore delle popolazioni di
Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo», colpite a partire dal 24 agosto
da varie scosse forti e da uno sciame sismico mai interrotto. Oltre
100 i comuni colpiti e centinaia di
migliaia i cittadini interessati. È il
terzo provvedimento del governo
in quattro mesi.
È fondamentale non perdere
tempo: vanno rimosse le macerie,
vanno concluse in fretta le verifiche
di agibilità, vanno ricostruite scuole e infrastrutture strategiche, va rilanciato il lavoro.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
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Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
ROMA, 3. Il sindaco di Roma Virginia Raggi è stata ascoltata ieri per
quasi otto ore dai magistrati della
procura di Roma nell’ambito
dell’inchiesta nella quale è accusata
di falso e abuso di ufficio. I reati
contestati sono relativi alla nomina
alla direzione turismo del Comune
di Renato Marra, fratello di Raffaele, all’epoca capo del personale
del Campidoglio. Raffaele Marra è
stato poi arrestato il 16 dicembre
scorso con l’accusa di corruzione
per atti risalenti al periodo della
giunta di Gianni Alemanno.
Secondo alcune indiscrezioni, i
magistrati hanno chiesto a Raggi
anche alcuni chiarimenti in merito
a due polizze assicurative di cui risulta beneficiaria e che sono state
stipulate e pagate da Salvatore Romeo, ex capo della segreteria dello
stesso sindaco, dimessosi dall’incarico dopo l’arresto di Raffaele
Marra. Da quanto è emerso, il fatto comunque non configurerebbe
al momento alcun reato a carico
del primo cittadino.
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pagina 3
Civili iracheni a Mosul in fila
per ricevere aiuti umanitari (Ap)
Dopo il via libera israeliano alle nuove abitazioni
Trump critica
gli insediamenti
BAGHDAD, 3. Sono circa 50.000 gli
sfollati rientrati nelle proprie case
nella zona orientale di Mosul e nel
distretto meridionale di Qayyarah,
liberati dall’esercito iracheno dalla
presenza del cosiddetto stato islamico (Is). Lo rende noto il ministero
delle migrazioni di Baghdad.
«Il ministero sta cercando di convincere gli sfollati a lasciare i campi
e a tornare nelle zone liberate in
modo che i campi possano servire a
ospitare chi potrebbe essere sfollato
nelle prossime operazioni per liberare la zona occidentale di Mosul» ha
detto il portavoce, Sattar Nowruz,
all’agenzia di stampa Anadolu. «Sta
continuando l’impegno per fornire
gli aiuti umanitari necessari agli sfollati», ha aggiunto.
D all’inizio dell’offensiva militare
per liberare Mosul dall’Is il 17 ottobre, oltre 187.000 persone sono state
costrette a lasciare i quartieri orientali della città. La scorsa settimana
l’esercito di Baghdad ha annunciato
la «liberazione totale» di Mosul est
dopo tre mesi di combattimenti con
l’Is. I miliziani avevano preso il controllo della città nel giugno del 2014.
Nelle zone liberate dalle forze irachene
Sfollati tornano a Mosul
Intanto, le forze governative irachene sono pronte a lanciare l’offensiva su Mosul ovest. Lo riferisce stamani il quotidiano «Sabah», vicino
al governo, citando due comandanti
delle forze impegnate nella città.
«Aspettiamo gli ordini dal comandante supremo delle forze armate, il
premier Haidar Al Abadi» hanno
detto le fonti, precisando che l’attac-
Conquistate tre località nel sud
Al Qaeda sempre più forte
nello Yemen
SANA’A, 3. Miliziani di Al Qaeda
hanno ripreso oggi il controllo di
tre località nel sud dello Yemen. Lo
hanno confermato fonti tribali. Si
tratta di Loder e Chaqra, nella provincia di Abyane. La conquista da
parte dei jihadisti è stata facilitata
dal ritiro dei militari governativi,
che protestavano non solo per il ritardo dei salari, ma anche per la
mancanza di equipaggiamento. In
precedenza i miliziani di Al Qaeda
avevano conquistato anche il villaggio Ahwar, sempre nella provincia
di Abyane.
La coalizione internazionale a guida saudita che sostiene il presidente
yemenita Hadi ha lanciato nelle ultime ore diversi raid per colpire le postazioni dei miliziani. Ieri, giovedì,
sei poliziotti che facevano parte di
Combattimenti
tra militari afghani
e talebani
KABUL, 3. Per il quarto giorno
consecutivo violenti scontri sono
avvenuti in Afghanistan fra forze
di sicurezza e talebani nel distretto di Sangin della provincia meridionale di Helmand, con almeno
altri 18 insorti uccisi in attacchi
aerei e terrestri, secondo un comunicato del governo provinciale.
«Come risultato degli attacchi
— precisa il comunicato — 18 militanti armati sono stati uccisi, fra
cui il figlio del comandante Furqani, e cinque dei loro nascondigli distrutti. Per fare fronte all’offensiva sferrata dai talebani, il governo centrale ha di recente inviato nel distretto di Sangin rinforzi
militari, compreso un reparto di
“teste di cuoio”. Un residente di
Laskargah, capoluogo di Helmand, ha detto all’agenzia Ansa
che se i talebani catturano Sangin
possono bloccare le strade che
portano ai quattro distretti settentrionali di Helmand.
Tre giorni fa il coordinatore del
governo Abdullah Abdullah è volato nella provincia per sincerarsi
della situazione e alla fine degli
incontri ha chiesto alle forze di sicurezza di risolvere il problema
posto dai talebani entro la primavera. Gli analisti locali concordano nel sostenere che almeno sei
dei 13 distretti di Helmand sono
controllati dagli insorti.
un convoglio delle forze di sicurezza
sono stati uccisi in un’imboscata organizzata da uomini di Al Qaeda,
secondo quanto riporta la France
Presse. Un recente rapporto dell’International Crisis Group ha reso noto che il braccio yemenita di Al
Qaeda è «più forte che mai» e che
può contare su un’organizzazione
molto ramificata.
D’altronde, la guerra contro il terrorismo di matrice islamica è solo
uno dei tanti aspetti del conflitto in
corso nello Yemen. Un conflitto che
vede opporsi due schieramenti: i ribelli huthi sostenuti dalle milizie fedeli all’ex presidente Saleh e, come
detto, la coalizione a guida saudita
alleata del presidente Hadi. Al Qaeda e il cosiddetto stato islamico (Is)
hanno approfittato del clima di caos
per estendere la propria influenza in
particolare nel sud e nel sud-est del
paese. E mancano, ovviamente, i
combattimenti tra le due organizzazioni e i locali gruppi tribali.
Il conflitto nello Yemen ha causato finora oltre seimila morti, 2,5 milioni di sfollati, abusi, crimini di
guerra. Ospedali, scuole, fabbriche e
campi profughi sono stati bombardati. Oltre mille bambini sono stati
uccisi nei raid e oltre 740 nei combattimenti. Tutto questo nel più
completo oblio da parte dei media
internazionali.
co avverrà su tre fronti: da est, dalla
campagna nella zona meridionale e
da quella occidentale.
Nel frattempo, il ministro della difesa italiano, Roberta Pinotti, è arrivata ieri in Iraq, dove incontrerà varie autorità locali, a partire proprio
dal primo ministro Haidar Al Abadi,
per parlare di «temi riguardanti la
lotta all’Is».
Washington
rassicura
l’alleato
sudcoreano
SEOUL, 3. Il nuovo segretario alla
difesa statunitense, James Mattis,
in Corea del Sud per la sua prima visita all’estero, rassicura l’alleato asiatico, affermando che l’alleanza tra Seoul e Washington «è
prioritaria». Poi, parlando dalla
base area di Osan, denuncia «l’atteggiamento provocatorio» del regime comunista di Pyongyang e
sostiene che il previsto dispiegamento di un sistema di difesa
missilistico (Thaad) nel sud è diretto solo contro la Corea del
Nord. «Non c’è nessun altro paese che dovrebbe essere preoccupato per il Thaad se non la Corea
del Nord se non sono impegnati
in azioni offensive», ha detto.
«Ho parlato con il presidente
Donald Trump — ha poi affermato Mattis — e vuole essere molto
chiaro sulla priorità che noi diamo all’alleanza tra le nostre due
nazioni. La nostra nuova amministrazione eredita una relazione
molto forte, di fiducia, e il nostro
impegno è di renderla ancora più
forte». Il segretario alla difesa
statunitense ha inoltre rivolto un
monito alla Corea del Nord:
«qualunque attacco agli Stati
Uniti o ai loro alleati verrebbe
sconfitto e qualunque uso di armi
nucleari incontrerebbe una risposta efficace e schiacciante».
Lo ha detto una fonte irachena.
Sono circa 1400 i militari italiani in
Iraq, una presenza seconda solo a
quella degli Stati Uniti, che hanno
nel paese oltre 5000 effettivi. L’impegno italiano riguarda soprattutto
l’addestramento delle forze dell’esercito federale iracheno, ma anche la
difesa di strutture fondamentali come la diga di Mosul.
WASHINGTON, 3. La nuova amministrazione statunitense critica gli
insediamenti ebraici in Cisgiordania. «Anche se non riteniamo che
l’esistenza di insediamenti sia un
impedimento alla pace, la costruzione di nuovi o l’ampliamento di
quelli già esistenti al di là dei confini potrebbe non aiutare a centrare
tale obiettivo» ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca, Sean
Spicer, in un comunicato. Ma prima di prendere ufficialmente posizione, è stato precisato, gli Stati
Uniti aspettano l’incontro di
Trump con il premier israeliano,
Benjamin Netanyahu alla Casa
Bianca, previsto per il prossimo 15
febbraio.
È la prima volta che la nuova
amministrazione prende una posizione forte sulla questione degli insediamenti, aspetto cruciale del
contenzioso israelopalestinese. Il
segretario di stato Rex Tillerson, la
cui nomina è stata confermata ieri,
ha avuto un colloquio con Netanyahu nel quale ha sottolineato,
nonostante le critiche sugli insediamenti, «il deciso impegno del-
Aperta la conferenza dei premi Nobel a Bogotá
Progressi
per la pace in Colombia
Il summit «Pace e democrazia» a Bogotá (Afp)
BO GOTÁ, 3. Si è aperto ieri a Bogotá, capitale della Colombia, il
summit dei premi Nobel per
la pace. L’incontro, intitolato “Pace e democrazia”, si concluderà
domenica 5 febbraio. L’obiettivo è
quello di esprimere un forte sostegno agli accordi di pace tra il governo colombiano e la guerriglia
delle Forze armate rivoluzionarie
della Colombia (Farc). In un messaggio a firma del cardinale Pietro
Parolin, segretario di Stato, inviato
ai partecipanti del summit, Papa
XVI
Francesco ha ricordato che «quando le vittime resistono alla vendetta promuovono il dialogo e la vera
riconciliazione». Il Papa esorta a
sostenere l’intesa e il dialogo tra i
popoli, e in particolare esprime fiducia negli sforzi della Colombia
a superare le divisioni.
Ieri intanto è avvenuta la liberazione dell’ex deputato Odín Sánchez, sequestrato dieci mesi fa
dall’Esercito di liberazione nazionale (Eln), l’altra guerriglia colombiana.
All’interno del reattore numero 2 in fase di smantellamento
Livelli record di radiazioni a Fukushima
TOKYO, 3. Un livello record di radiazioni è stato rilevato all’interno
del reattore numero 2 della centrale
nucleare giapponese di Fukushima,
attualmente in fase di smantellamento. Lo ha reso noto l’operatore
dell’impianto, la Tokyo Electric Power (Tepco), spiegando che le rilevazioni hanno raggiunto i 530 sievert all’ora, una misurazione talmente alta da essere letale agli esseri umani, anche dopo una breve
esposizione. Tepco ha spiegato che
una falla di circa un metro quadro
è stata rinvenuta lungo una grata
metallica sotto il contenitore a pressione del reattore, un danno probabilmente causato dal combustibile
esausto rilasciato dal contenitore.
La nuova misurazione è stata
giudicata «inimmaginabile» dagli
esperti e supera di gran lunga il
livello di 73 sievert all’ora raggiun-
Tecnici durante una supervisione a Fukushima
to precedentemente all’interno del
reattore. Secondo l’Istituto giapponese di scienze radiologiche
un’esposizione di 4 sievert ucciderebbe una persona su due. La scoperta della Tepco evidenzia le
enormi difficoltà in cui si muove
l’operatore nel rimuovere i detriti
del combustibile nucleare contenuto nelle vasche di contenimento
all’interno dei reattori. La Tepco
avrebbe dovuto iniziare nelle prossime settimane i test di rilevazione
con un robot comandato a distanza, ma l’attuale livello di radiazioni
non consentirebbe alla macchina di
operare per più di due ore, prima
di venire distrutta dalle emissioni.
La catastrofe di Fukushima, avvenuta l’11 marzo 2011, dopo un terremoto di magnitudo 9 e uno tsunami, ha provocato la fusione dei
noccioli dei reattori 1, 2 e 3.
l’America nei confronti dei suoi alleati e partner chiave».
Pochi giorni dopo l’ingresso di
Trump alla Casa Bianca il governo
Netanyahu ha approvato la costruzione di migliaia di nuove case negli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Alla Knesset è in discussione al momento una proposta di
legge per la regolarizzazione di circa 4000 abitazioni. Se venisse approvata, sarebbero regolarizzati tra
i 2500 e i 4000 alloggi tra i quali
figurano — secondo l’associazione
Peace Now — anche circa 797 strutture in 55 avamposti.
Intanto, cresce la tensione anche
con l’Iran. In seguito al test missilistico dei giorni scorsi, la nuova
amministrazione ha minacciato
nuove sanzioni nei confronti di
Teheran. Il governo iraniano ha
annunciato ieri, per voce di Ali
Akbar Velayati, consigliere per gli
affari internazionali della Guida
suprema Ali Khamenei, che «l’attività sui missili andrà avanti a piena
forza».
E oggi il ministero degli esteri
iraniano ha respinto la richiesta di
partecipazione della squadra di lotta degli Stati Uniti alle gare della
coppa del mondo in programma
nella città di Kermanshah i prossimi 16 e 17 febbraio. Interrogato, il
portavoce del ministero ha detto
esplicitamente che la motivazione
del rifiuto sono «le politiche del
nuovo presidente statunitense».
Rodrigo Maia
rieletto presidente
della camera
brasiliana
BRASILIA, 3. Il conservatore Rodrigo Maia è stato rieletto ieri presidente della camera dei deputati
brasiliana. L’esponente del partito
Democratici (Dem, di destra), 46
anni, è stato eletto al primo turno
con 293 voti e resterà in carica per
due anni. Nel luglio scorso scorso,
Maia venne eletto per un mandato
provvisorio per sostituire Eduardo
Cunha, decaduto per aver mentito
alla commissione d’inchiesta sui
fondi neri Petrobras, affermando di
non
possedere
conti
bancari
all’estero. La candidatura di Maia è
stata contestata dalle opposizioni,
che la ritenevano una violazione
della norma costituzionale che prevede l’ineleggibilità a un secondo
mandato nella stessa legislatura.
Maia, eletto nel collegio di Rio de
Janeiro e considerato un alleato del
presidente Michel Temer, è indagato per un presunto finanziamento
irregolare durante la campagna
elettorale del 2014 da parte di Leo
Pinheiro, l’ex presidente del colosso delle costruzioni Oas attualmente in carcere.
Duterte
schiera l’esercito
per la lotta
al traffico di droga
MANILA, 3. Il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha dichiarato che schiererà l’esercito nella lotta contro la droga. Duterte ha
spiegato alla stampa che non ha bisogno della legge marziale o di poteri speciali per questa iniziativa,
perché si tratta di una «minaccia
alla sicurezza nazionale». Le forze
armate si sono dette favorevoli a
unirsi al capo dello stato nella lotta
contro il narcotraffico, ampiamente
annunciata da Duterte in campagna elettorale, e alla base della sua
enorme popolarità nel paese. Una
guerra ai narcos che in sette mesi
ha causato oltre 7600 morti e che
le organizzazioni per i diritti umani
hanno condannato definendola un
crimine contro l’umanità.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
sabato 4 febbraio 2017
Giacomo Poretti interpreta un sacerdote
nel film «Il cosmo sul comò» (2008)
da Milano
SERGIO MASSIRONI
resciuto in oratorio» è il titolo della campagna che
Regione e Diocesi
di Lombardia hanno lanciato nei giorni scorsi, con l’obiettivo di risvegliare l’attenzione su un patrimonio educativo di grande incidenza
civile. Sono più di duemila, infatti, gli
oratori tra il Mincio e il Ticino, con
quasi mezzo milione di ragazzi che ogni
anno li frequentano e un esercito di
centottantamila volontari ad animarne
le attività. L’undici per cento dei bambini accolti è di origine straniera. Si sono dati appuntamento a Milano, la sera
di San Giovanni Bosco, il cardinale Angelo Scola e i testimonial di quella che
nasce come una vera e propria mobilitazione popolare. Ci sono centinaia di ragazzi, a vitalizzare i cortili di Sant’Andrea, le loro famiglie e gli educatori della parrocchia, ma anche volti noti dello
sport, dello spettacolo e delle istituzioni, venuti non per guadagnare, ma per
dare visibilità. Per metterci la faccia, insomma.
L’appartenenza, dunque, è il primo
ingrediente dell’impresa, con un logo
che impegna ogni nome alla testimonianza delle proprie radici. Non è ovvia
per dei professionisti e più in generale
per degli adulti: implica il riconoscere
gli anni in oratorio come determinanti
la propria identità, ma anche il confessare l’esperienza vissuta pertinente per
l’oggi.
Tale sbilanciamento positivo e pubblico costituisce un fattore di novità, rispetto sia a un passato remoto in cui
non si poteva non dirsi cristiani, sia a
quello prossimo, in cui uno strano ritegno ha celato l’incontro di molti con
«C
Beppe Bergomi, Giacomo Poretti, Davide Van De Sfroos
Cresciuti in oratorio
l’educazione parrocchiale. Un campione
come Beppe Bergomi riconosce: «Quarant’anni fa stavi per strada o in oratorio. È lì che ho imparato il calcio e i valori che sono serviti per la vita, la carriera, e che ora spero di aver trasmesso
ai miei figli». La cantante Bianca Atzei
ricorda quello della parrocchia come il
suo primo palcoscenico, spazio non di
mera esibizione, ma di comunicazione
con i più piccoli. Poretti — comico del
trio Aldo, Giovanni e Giacomo — dipin-
Il cantautore Davide Van De Sfroos
ge nel suo monologo un’infanzia tra
pallone, gazzosa e calcio balilla, sotto lo
sguardo burbero e affettuoso di don
Giancarlo.
Si impone, allora, un secondo elemento degno di nota: la sensibilizzazione, pur attivando processi di partecipazione innovativi — dalla produzione di
demo, all’apertura di pagine facebook —
si struttura essenzialmente sui ricordi ed
è così che mobilita emozioni e pensiero.
È un’arma a doppio taglio: chi conduce
oggi uno o più oratori, in situazioni di
notevole complessità, sa bene che nulla
è più insidioso della nostalgia rivestita
di amarcord.
Gli anni del boom demografico ed
economico come età dell’oro: ogni comunità, in uno scenario culturalmente e
socialmente sconvolto, è tentata da distorsioni della memoria che alimentano
disaffezione e lamento. Il tipo di narrazione prevista dal progetto si configura,
però, come guarigione del ricordo: senza trionfalismi, ogni testimonianza è intrisa di gratitudine, agganciata al presente e proiettata sul futuro. Il cardinale
Scola, condividendo scene della sua infanzia a Malgrate, tratteggia, per primo,
gli snodi di un metodo educativo perfettamente attuale: «L’oratorio era sentito come il luogo della bellezza,
dell’amicizia, del godere quel poco di
cui si poteva godere. Nello stesso tempo percepivamo che c’era in gioco qualcosa di solido, che sarebbe durato tutta
la vita». Ricchissimi gli istanti a tu per
tu con l’educatore indimenticato: «Il
mio prete era un grande amante della
letteratura e quando sono diventato più
grande — facevo le medie — qualche
volta mi chiamava nel suo studio, doveva teneva dei romanzi, e me ne leggeva
qualche pezzo, venti o trenta righe. Diceva: “Non te lo posso dare tutto — erano ancora libri proibiti — ma così mi ha
iniziato a Dostoevskij, a Svevo, a molti
autori. Mi ha dato gusto per pensare».
Giacomo Poretti ricorda, però, seppur
con l’affetto di chi era al sicuro col suo
sacerdote, un numero di calci e scappellotti che oggi porterebbero dritti in tribunale: promemoria di ferite che la storia può aver lasciato in molti cuori e segnale del mutamento di sensibilità che
da quell’epoca è intercorso.
La velocità dei cambiamenti e le fatiche che gravano sulle persone — spiega
il vescovo Maurizio Gervasoni — motivano la Chiesa a investire ancora sugli
oratori.
Due le intuizioni fondamentali: «Il
privilegio dei piccoli, che legano con
tutti facilmente, come luogo per creare
comunità», quasi a dire che nessuno come i ragazzi ha energia per riconnettere
gli adulti; il compito educativo «nella
forma del vivere, lavorare, giocare insieme, rapportandosi coerentemente e correttamente: in una società molto frammentata e culturalmente disgregata sono
queste relazioni vitali e morali a legare
davvero una coscienza civica».
Discernere il compito contemporaneo
dell’oratorio, infatti, è il terzo e decisivo
elemento della campagna. Lo coglie
perfettamente il cantautore comasco
Davide Van De Sfroos, interpellato
dall’esperienza dei figli: «Ho visto nel
loro entusiasmo ciò che io non ho cono-
sciuto: il grest, la parrocchia, le gite, le
sperimentazioni con la catechesi e la
pizzata in compagnia. È sbagliato pensare l’oratorio come qualcosa di stantio:
oggi vediamo quanto i centri siano vivi,
possenti e di grande aiuto. Confessa:
«Vorrei che i miei ragazzi, in oratorio,
continuassero a imparare la forza
dell’appartenenza a quel gruppo che
non è propriamente la famiglia, né solo
la scuola, ma che, oltre alla parrocchia
stessa, può far trovare amici che rimarranno importanti per una vita. Con
l’adolescenza arriva un periodo in cui si
hanno delle domande da farsi, sia da un
punto di vista intimo, sia da quello spirituale. E allora la differenza la fanno
quei preti che hanno dimostrato di essere un po’ dei corpi speciali di Dio, dei
commandos disposti a scendere anche in
territori non poi così clericali, pur di
star vicino ai ragazzi e di non lasciarli
sulla strada».
Ne deriva il profilo che Scola rilancia: «Attraverso il catechismo, il teatro,
il gioco, il canto, l’amicizia, la gita,
l’oratorio ti insegna a riflettere sulla tua
vita. Non v’è niente di più importante:
lo si coglie quando si arriva alla mia
età. Una persona vive nella misura in
cui le esperienze che fa, i rapporti che
intrattiene, le circostanze che capitano
le insegnano qualcosa; ma, per imparare, bisogna avere nella mente, nel cuore
e nell’azione un elemento che unifica».
La differenza la fanno quei preti
che sanno mettersi in gioco
pur di star vicino ai ragazzi
e di non lasciarli sulla strada
E ricorda: «All’oratorio era a tutti molto
chiaro che si tratta della persona di Gesù: non che se ne parlasse tutti i giorni,
salvo nel momento della preghiera, però
risultava da un’evidenza, che era l’insieme, era il noi, la forza del noi. Io credo
che l’oratorio abbia ancora oggi, da
questo punto di vista, una funzione
straordinaria, perché senza un luogo così si è frammentati in cento cose diverse
da cui passare tutti i giorni. Così non si
cresce: è una somma di elementi, ma
non è il volto pieno di una persona».
La provocazione lombarda supera dunque i confini regionali e, in un mosaico
di voci e di volti, interpella il Paese sulla qualità buona della vita.
Charles de Foucauld e l’islam
Fratello universale
nei confronti dei colonizzati: «C’è
forse da stupirsi che i musulmani
si facciano false idee della nostra
religione quando se ne hanno di
così fantastiche delle loro credenze?» (Lettera a Henri de Castries,
14 agosto 1901). Foucauld parla
«di un fardello di storie che si
ascoltano ogni giorno lamentandosi» (ibidem). Solo personalità
come Louis Massignon, grande conoscitore della religione
e della cultura islamica, o François-Henry
Laperrine,
ufficiale
dell’esercito colto ed
aperto, fanno eccezioPubblichiamo ampi stralci di un articolo uscito
ne. L’ignoranza è resull’ultimo numero dei «Documents Épiscopat» della
ciproca. In una letteConferenza episcopale francese, interamente dedicato a
ra a Suzanne Perret,
Charles de Foucauld nel centenario della morte.
nel luglio 1907, si
rammarica che i musulmani nutrano per i
cristiani «un grandisha prodotto in me uno sconvolgi- simo disprezzo, una grande ostilimento profondo... la vista di tà, che li considerino come pagani
quella fede, di quelle anime che dai costumi infami», il che non
vivono nella continua presenza di esclude comportamenti esemplari,
Dio, mi ha fatto scorgere qualco- come quello di Hadj Bourhim che
sa di più grande e di più vero gli ha salvato la vita in Marocco
delle occupazioni mondane» (Let- proteggendolo dai pericoli. Fratel
Charles
è
stato
affascinato
tera a Henri de Castries).
In Francia, a quell’epoca, il dall’islam al punto che, per un
mondo musulmano non aveva il momento, forse ha pensato di
peso che ha oggi nello spazio so- convertirsi a quella religione. Per
cio-politico. Apparteneva al mon- Émile Félix Gauthier, che l’ha codo delle colonie, lo si conosceva nosciuto a Béni Abbés, «il giovain modo molto superficiale con i ne esploratore stava quasi per passoliti pregiudizi dei colonizzatori sare al turbante», e fratel Charles
di CHRISTINE LACROIX
avventura di Charles
de Foucauld, completamente immerso nel
mondo musulmano, è
appassionante. Il primo incontro,
molto forte, è stato quello che ha
vissuto durante il suo viaggio di
esplorazione in Marocco: «L’islam
L’
Nel centenario della morte
in una lettera del 14 agosto 1901
confidava a Henri de Castries:
«L’islamismo mi piaceva per la
sua semplicità di dogma, semplicità di gerarchia, semplicità
morale».
Dopo la sua conversione nella
chiesa di Sant’Agostino a Parigi,
sogna di ritornare in Marocco,
stavolta non con il cappello da
esploratore, ma con quello da
missionario che vuole guadagnare
alla causa di Gesù tutti gli uomini di buona volontà perché «anche loro hanno diritto a ricevere
la buona novella» (Lettera a Gabriel Tourdes, 1902).
Nel corso della sua vita in Africa del Nord, Charles de Foucauld
ha proceduto a tentoni circa il
metodo da utilizzare. È passato
da un approccio entusiastico —
«Tutti gli uomini sono chiamati
alla salvezza, i musulmani come
gli altri» (30 giugno 1903); «I risultati molto consolanti ottenuti
nella Cabilia dimostrano che i
musulmani si convertono non appena ci si occupa di loro» (Lettera
a Joseph Hours, 28 novembre
1911), convincendosi che occorre
solo molto amore —, a un atteggiamento di prudente attesa: «La
conversione
dei
musulmani:
un’opera non di anni ma di secoli» (Lettera a Suzanne Perret, 25
luglio 1907).
Curiosamente gli storici hanno
notato che il soggiorno di Charles
de Foucauld nell’Hoggar ha coin-
ciso con una fase d’intensa islamizzazione. Se si era dedicato soprattutto al mondo dei Tuareg
(identità particolare nel mondo
musulmano) era perché aveva notato che quel popolo era mal islamizzato e forse, a priori, poteva
essere più disponibile ad accogliere una nuova religione.
Ma non vuole comunque forzare la conversione. Non c’è proselitismo in lui. «Bisogna bandire lo
spirito militante» e costruire invece un rapporto di amicizia, praticare un apostolato della bontà:
«Non si tratta di convertirli in un
giorno e neppure con la forza, ma
teneramente, con discrezione, con
la persuasione, con il buon esempio» (Lettera a René Bazin, 29 luglio 1916). Che bel programma in
prospettiva!
È nota la sua celebre frase: «Io
voglio abituare tutti gli abitanti
cristiani, musulmani, ebrei e idolatri a considerarmi come loro fratello, il fratello universale» (Lettera a sua cugina, Béni Abbés, 7 luglio 1902).
Nonostante i pregiudizi che comunque nutre, a salvarlo è l’amore che mette nel suo approccio
con i musulmani. Le autorità musulmane lo riconoscono. Boubakeur, rettore della Grande Moschea di Parigi, fa sul suo conto
la seguente dichiarazione: «È venuto tra noi povero, è morto povero ma ha lasciato una grande
ricchezza, una ricchezza imperitu-
Charles de Foucauld davanti alla fraternità nel deserto dell’Hoggar
ra perché è stata segnata
dall’amore». Siamo ben lontani
dal soldato o dal missionario conquistatore, la sua umiltà gli ha
fatto guadagnare la stima di
quanti l’hanno conosciuto. Accetterà di non evangelizzare in modo più esplicito i Tuareg e si consolerà pensando che seguire la religione naturale può essere un
cammino di santificazione, quindi
di salvezza. Alla sua epoca era
un’opinione molto diffusa: «Sono
certo che il buon Dio accoglierà
in cielo quelli che furono buoni e
onesti senza bisogno che essi siano cattolici romani» (dichiarazione fatta al dottore Dautheville in
servizio a Tamanrasset). Cercherà
piuttosto di «portare i Tuareg a
servire Dio secondo la legge natu-
rale» (Lettera a Suzanne Perret, 25
luglio 1907). Ma le riserve sono
dure a morire.
Ciononostante fa piacere ricordare il bel testo (vero brano di
antologia) di Moussa, l’amenokal
dell’Hoggar, scritto alla sorella di
Charles pochi giorni dopo la sua
morte: «Non appena ho saputo
della morte del nostro amico, suo
fratello Charles, i miei occhi si
sono chiusi, tutto è buio per me;
ho pianto, ho versato molte lacrime e provo grande dolore. La sua
morte mi ha rattristato molto.
Charles il marabù non è morto
solo per voi, è morto anche per
noi. Che Dio gli conceda misericordia e che possiamo rincontrarci in Paradiso».
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 4 febbraio 2017
pagina 5
La missione gesuita:
«Un mondo non basta»
di FABRIZIO VALLETTI
i i propri `n gesuétta»...
Sento risuonare questa
battuta che mi ricorda
l’ironia dei bolognesi. È
vicino al giudizio che accomuna i gesuiti alla schiera degli ipocriti o
di quelli che una ironica battuta sottolinea:
«nemmeno il Padreterno sa cosa pensano i
gesuiti!».
Perché è presente il giudizio che i gesuiti
siano ipocriti? Ma forse è proprio un pregiudizio o ci sono seri motivi per affermarlo? Molte vicende e situazioni a cui si dà
ragione storica hanno portato a considerare
i gesuiti elementi intriganti, invadenti,
espressione di poteri spesso occulti.
La questione è aperta ed attuale nel momento che, immersi in contesti di potere e
di livello sociale elevato ancora oggi, i gesuiti smentirebbero con il loro operare quella che è l’iniziale ispirazione evangelica.
Riescono oggi con il loro originario carisma
a modificare le regole del gioco per fare
giustizia ed esprimere una concreta misericordia oppure sono asserviti alle logiche del
potere e quindi in situazione di falsità e
ambiguità?
«Essere nel mondo ma non del mondo»
fa parte della missione stessa della Compagnia di Gesù.
Sarà riuscita nella storia questa sfida molto chiara per Ignazio di Loyola e per i suoi
primi compagni, riconosciuti da Paolo III
nel 1540 come ordine mendicante, nella Roma del pieno Rinascimento?
Erano tempi pieni di contrasti e contraddizioni. La Riforma di Lutero era ormai diffusa in tante regioni dell’Europa e la critica
alla mondanità della Chiesa si concretizzava
anche a partire da Roma con l’avvento di figure significative anche per un rinnovamento
della vita spirituale oltre che per le opere di
carità. Filippo Neri, Giuseppe Calasanzio,
Camillo de Lellis, Giovanni della Croce, Teresa d’Avila... per citarne solo alcuni.
Quale fu l’azione dei gesuiti e prima ancora l’evoluzione del loro spirito in confronto
con quanto si sviluppava nel clima del mondo rinascimentale, inizio della modernità?
«T
Pregiudizio universale
Pubblichiamo un capitolo dal libro «Il
pregiudizio universale. Un catalogo d’autore
di pregiudizi e luoghi comuni» (Bari, Laterza,
2017, pagine 414, euro 18).
Possiamo dire che il cammino spirituale
di Ignazio, fatto proprio dai primi compagni e poi proposto a tutti quelli chiamati
nella Compagnia al servizio della Croce, ha
un carattere di umile servizio ma anche di
modernità che ben corrisponde al movimento del pensiero cartesiano.
Che relazione può avere questa visione
con il possibile difetto attribuito di ipocrisia
e di doppiezza?
La coscienza del gesuita, nella sua formazione e nell’esercizio del suo impegno apostolico, si potrebbe dire che si esprime in
una autonomia del pensiero che risponde
proprio allo spirito di libertà nel cercare,
nello sperimentare e nella realizzazione di
una pienezza di umanità. Si ribalta una visione religiosa che vedeva la coscienza tutta
dipendente dalla sola autorità divina, in
una mortificazione che voleva spesso annullare le capacità della persona. L’ascetica tradizionale privilegiava una coscienza più
orientata a sottomettersi nel «fare la volontà
del dio nascosto» che a prendersi la responsabilità di scelte anche coraggiose.
Nella spiritualità sperimentata dal gesuita
ci troviamo in una dimensione di umanesimo che corrisponde nel pensiero teologico
alla visione di un Dio che si incarna, che
Dieci milioni di copie per il manga sull’antica Roma
Una credenza molto radicata
Ma è vero che i gesuiti
sono ipocriti?
sceglie l’umanità come espressione del suo
stesso essere e del suo modo di procedere.
In effetti è la migliore espressione di quanto
può significare al meglio l’esperienza della
libertà.
Si prospetta un nuovo umanesimo anche
nella visione culturale di un mondo che con
i viaggi al di là degli oceani, con le conquiste di nuove terre, nell’incontro drammatico
con nuovi popoli, con la ricerca scientifica e
con lo sviluppo del commercio, significava
la rivoluzione copernicana del rapporto uomo-mondo. Il più evidente effetto di un tale orientamento intellettuale e spirituale è
stato attribuire alla cultura e alla formazione un’importanza fondamentale. In quel
tempo l’istruzione era per pochi e spesso affidata a precettori al seguito delle famiglie
nobili. Si deve a Ignazio di Loyola l’avvio
di una pedagogia diffusa, con l’istituzione
del sistema scolastico aperto a tutti.
Viene fondato il Collegio Romano, primo
modello per la stessa formazione dei gesuiti
e poi in generale del clero. Ben presto la
nobiltà romana ritiene utile applicare lo
stesso metodo per la formazione dei propri
figli. La Ratio studiorum diviene sul finire
del 1500 fondamento teorico e pratico nelle
scuole dei gesuiti che si diffondono in poco
tempo in molte città italiane e del mondo.
I gesuiti lasciano tracce di scienziati,
astronomi, rivoluzionari del pensiero e nel
rapporto con altre civiltà, come è stato per
Matteo Ricci in Cina, per giungere a Voltaire, a Fidel Castro! Ma l’accusa di essere
precettori dei nobili, educatori della classe
dirigente, confessori di regnanti, ne ha disegnato anche un profilo di poca coerenza, di
lassismo e di opportunismo. Il conflitto con
Port-Royal e con il giansenismo rimane segno eloquente, di cui lo stesso Pascal fu
interprete. E non è l’unico esempio di conflittualità che attraversa la storia della Compagnia.
La questione galileiana, l’essere sostenitori della Controriforma, la manifestazione
trionfalistica nell’architettura barocca e l’essere chiamati come educatori, confidenti e
confessori da potenti e regnanti, sono tutti
motivi di una valutazione anche critica nei
confronti della Compagnia.
Eppure fra i gesuiti si contano architetti,
scienziati, letterati, artisti, che fanno parte
del patrimonio culturale dell’Europa e dei
paesi in cui sono fiorite le missioni. Le riduzioni del Paraguay rimangono esemplari
del tentativo di garantire lo sviluppo delle
popolazioni indigene e della lotta alla
schiavitù. Appare sempre più evidente quella che potremmo definire una doppia anima
dei gesuiti.
La mia esperienza di tanti anni di insegnamento e di presenza in diversi ambienti
sociali conferma la possibile ambiguità nello scegliere i mezzi con cui conseguire gli
È morto Predrag Matvejević
Era una figura importante della letteratura
europea e mediterranea del Novecento.
Predrag Matvejević, scrittore e accademico
croato, è morto a Zagabria all’età di 84
anni. Umanista e poliglotta, è stato un
promotore instancabile delle libertà
individuali e dei diritti umani. Nato a
Mostar nel 1932, aveva da tempo gravi
problemi di salute. Di madre croata e di
padre russo, ha insegnato per diversi anni il
francese all’università di Zagabria, prima di
fuggire a Parigi quando scoppiò la guerra
di Jugoslavia nel 1991, data che segnò
l’inizio del suo impegno politico contro i
nazionalismi. Gli anni successivi divise la
propria vita tra Parigi e Roma, dove, fino
ad anni recenti, ha insegnato slavistica.
Cittadino italiano ad honorem, ha ricevuto
numerosi riconoscimenti, tra cui il premio
Strega europeo nel 2003. Lo scorso anno è
stato tra i sessanta scrittori proposti per il
Nobel, su richiesta di un comitato di
intellettuali e giornalisti. Tra le sue
numerose opere, tradotte in tutto il mondo,
spicca il suo Breviario del Mediterraneo
(1988), che lo scrittore triestino Claudio
Magris definì «un saggio geopoetico».
Predrag Matvejević offrì grande sostegno
agli intellettuali perseguitati dai regimi
comunisti del blocco dell’Est con il libro
Epistolario dell’altra Europa (1992). Impegno
politico che troverà ulteriori sviluppi in
opere quali Sarajevo (1995), Tra asilo ed
esilio (1998) o Un’Europa maledetta (2005).
obiettivi sia spirituali sia culturali e sociali.
Quello più generale è il sottile principio
ispirato a Ignazio di Loyola che potrebbe
essere preso come simbolo del gesuita intrigante. «Entrare dalla loro per portarli alla
nostra»!
L’ho sperimentato nel vivere a contatto
con amici laici, marxisti, dichiaratamente
non credenti. La scelta di un atteggiamento
di dialogo e di ascolto può essere interpretata come strumentale per accattivarsi il
consenso o come sincero atteggiamento di
ricerca per un incontro di valori condivisi.
L’intenzione di non convincere nessuno ma
di accompagnare il cammino di ciascuno rilevando quanto c’è di positivo, di utile al
bene comune. Dai più zelanti è spesso considerato come rinuncia a proporre una propria idealità o l’esplicito richiamo all’appartenenza cristiana, addirittura come rinuncia
all’affermazione della verità della dottrina
fino ad essere segno di doppiezza.
Mi sono trovato anche nella difficile condizione di valutare l’importanza delle risorse finanziarie per realizzare progetti culturali e sociali.
Se da una parte si riafferma che la povertà e il distacco dal potere sono basilari per
una evangelica azione apostolica, l’esperienza dei gesuiti si avvale di necessari strumenti e mezzi con cui adempiere l’impegno nello sviluppo, primo fra tutti quello culturale.
Non si può fare ricerca scientifica senza
adeguati mezzi, non si può dare espressione
al teatro, alla musica, all’arte senza avvalersi
di strumenti anche molto costosi.
Le molteplici università rette dai gesuiti
sono istituzioni che richiedono ingenti
investimenti economici, spesso frutto di alleanze con fondazioni e con amministratori
pubblici.
Nell’uso del denaro e delle risorse finanziarie di fatto è messo alla prova quale debba essere il giusto rapporto fra i mezzi e il
fine. Si può arrivare all’affermazione spesso
contestata che il fine giustifica i mezzi... noi
gesuiti in questo siamo facile bersaglio...
La ricerca dei finanziamenti inoltre non è
l’unico impatto con la sfera del potere. A
me è capitato di ricevere dagli amministratori di due città l’incarico di fondare istituzioni che avessero carattere di servizio pubblico, una scuola sperimentale e una università del tempo libero... È stato facile per diverse persone, anche per ragioni ideologiche, scambiarmi per uomo di potere...
Non è possibile tirare una conclusione,
ma resta comunque il fatto che la ricerca di
ciò che sia più innovativo, di frontiera e
spesso di spregiudicato nell’operare di molti
gesuiti possa dare adito a giudizi e pregiudizi di ogni tipo.
Cosa in definitiva caratterizza la cultura
dei gesuiti e la loro azione pastorale?
Sono esperienze di un nuovo umanesimo
che attinge ad una spiritualità che si fonda
sul discernimento, sulla ricerca del valore
del relativo che in ogni coscienza può rivelare il bello e il buono. Molto diverso
dall’immagine di conservazione e di oscurantismo.
Potremmo accomunare i due termini
«giudizio e pregiudizio» con le dovute ragioni, nell’antinomia fra conservazione e innovazione, fra legame all’istituzione e fedeltà all’ispirazione.
È sintomatico che nella stessa Compagnia
convivano, non senza sofferenza le due anime. Le vittime della violenza in America latina, i martiri del Salvador, la illuminata visione del padre Arrupe durante e dopo il
Concilio Vaticano II trovano sintesi nel gesuita vescovo di Roma Francesco, esemplare
spirito riformatore.
D’altra parte ancora sussistono esperienze
che risentono di contaminazione e spesso di
dipendenza dalle istituzioni e dalle condizioni imposte da chi ha potere finanziario,
culturale e sociale, con la possibile caduta
nel compromesso, meritevole a ragione del
titolo di ipocrisia.
Plinio
il giapponese
di SILVIA GUIDI
ll’inizio il mio
editore
mi
disse: “Speriamo che ci siano cinquecento persone interessate al tuo fumetto in tutto
il Giappone”» ammette candidamente Mari Yamazaki, parlando del suo Thermae Romae,
un fumetto ambientato nella
città caput mundi all’epoca
dell’imperatore Adriano, che
in Giappone ha venduto oltre
dieci milioni di copie.
Evidentemente, molto più
di cinquecento lettori, anche
se, continua l’autrice, trattava
un argomento estremamente
di nicchia per il Paese del sol
levante: «L’antica Roma e le
terme non sono argomenti
che interessano i bambini piccoli che leggono One Piece o
manga simili. Ma non volevo
fare un fumetto di successo,
volevo fare un fumetto che
piacesse a me. Il successo di
Thermae Romae mi ha molto
sorpreso» ha confessato Yamazaki, rispondendo alle domande del pubblico del Kappa Festival di Ferrara, due anni fa.
Le avventure dell’architetto
Lucio Modesto sono poi approdate in televisione e al cinema, con una serie per il
piccolo schermo e il primo peplum giapponese firmato dal
regista
Takeuchi
Hideki.
Adesso è la volta di Plinie.
L’appel de Néron appena tradotto in francese (Paris, Éditions Casterman, 2017, pagine
192, euro 8,45) ancora più saldamente radicato nella Roma
antica della serie precedente,
e con un fine didascalico più
esplicito. L’album si apre con
una scena apocalittica, l’eruzione del Vesuvio del 79
dell’era cristiana, dove troverà
la morte il protagonista, ispirato al grande naturalista
dell’antichità.
La sua vita sarà raccontata
attraverso gli occhi del fedele
scriba Eucles, grazie a una serie di flashback e ad altri raffinati espedienti narrativi.
La matita si sofferma a lungo sulle osservazioni e le scoperte di Plinio, curioso di tutto ciò che lo circonda,
dall’astronomia alla geografia,
«A
La copertina del fumetto dedicato a Plinio
dalla zoologia alla botanica
come nella realtà storica,
mentre le tavole ambientate
nei bassifondi di Roma offrono al lettore un inedito ritratto di Nerone.
«Raccontando la vita di
Plinio — spiega l’autrice —
non intendo fare un fumetto
di successo, ma voglio far conoscere ai miei connazionali
questo aspetto dell'antica Roma e questo personaggio poco noto da noi. È un periodo
storico che offre degli spunti
molto interessanti e che ha
molto in comune col Giappone: i bagni termali, la mentali-
La tavola dell’eruzione del Vesuvio
tà delle persone. Thermae Romae era più comico, mentre
quest’ultimo libro è più serio».
Il primo tomo della serie è
stato disegnato a quattro mani con Miki Tori, esperto
“scenografo” di tavole a colori, ed è stato pubblicato per la
prima volta dalla rivista giapponese «Shincho 45».
L’amore per le bandes dessinées non è stato immediato
per Mari Yamazaki. «All'inizio — racconta l’autrice — non
avevo intenzione di diventare
una mangaka. Studiavo all’accademia di belle arti per diventare pittrice in stile classico, ma, dato che era un po’
difficile vivere e sostenersi con
la pittura, i miei compagni di
studi mi hanno consigliato di
lavorare in questo campo».
Il colpo di fulmine non è
arrivato durante l’infanzia, ma
dopo i venticinque anni.
«Ho studiato a Firenze per
dieci anni — continua Mari
Yamazaki — poi sono tornata
in Giappone, ho vissuto in
Europa, in Siria, in Portogallo, negli Stati Uniti e sono
nuovamente tornata in Italia.
Credo che tutto questo abbia
contribuito a creare il mio stile, che è un po’ particolare rispetto ad altri colleghi. La
maggior parte dei miei fumetti è di genere storico e riguarda l’antica Roma, quindi stare
in Italia mi ispira molto, dato
che si possono ottenere ispirazioni e suggestioni anche solo
camminando per strada».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
sabato 4 febbraio 2017
La Settimana di preghiera a Gerusalemme
Bellezza
nella diversità
Dichiarazione del patriarca copto ortodosso Teodoro
II
Il terrorismo non ha religione
IL CAIRO, 3. «Invitiamo la comunità internazionale e i governi dell’est e dell’ovest a lottare con fermezza contro la violenza, il terrorismo, l’assassinio, la distruzione e contro ogni
forma di discriminazione, per porre le basi
della pace e dello sviluppo». È l’appello del
patriarca della Chiesa copto ortodossa, Teodoro II, che torna a condannare ogni forma di
terrorismo, soprattutto quello che prende a
pretesto l’ispirazione religiosa. «Il terrorismo
non ha alcuna patria né alcuna religione» dice facendo in particolare riferimento all’attentato che l’11 dicembre scorso ha colpito la
chiesa copta di San Marco in Abassiya, al
Cairo. «Non posso nascondervi — dice in una
intervista all’agenzia Sir — che noi tutti in
Egitto siamo stati assaliti dalla paura e dal
terrore perché questo attentato non era rivolto
solo a una chiesa copta ma a tutta la patria».
E poi aggiunge: «È strano che questo attentato sia accaduto in Egitto, perché tutti gli egiziani rispettano i luoghi di culto, siano essi
chiese o moschee, e non dimenticate che questo attentato è coinciso con una grande festa
islamica quindi è stato uno choc per tutti gli
egiziani, cristiani e musulmani».
Ecco dunque il senso dell’appello lanciato
alla comunità internazionale: «Il mondo ora
ha sete d’amore. L’amore è l’unica soluzione
che possa conservare i cuori in purezza e assicurare una coesistenza e convivenza in pace e
tranquillità». E indica come meta di ogni
azione umana l’impegno a «garantire la pace
sulla terra. Questo è l’arduo compito per otte-
nere ciò di cui l’umanità ha fortemente bisogno in questo tempo. Una volta che questo
obiettivo sia raggiunto, ciascuno può possedere la felicità e la gioia e una migliore qualità
della vita, che è l’obbiettivo di tutti i Paesi».
Quanto al rapporto con le altre confessioni
cristiane, fa riferimento anche alla strada indicata da Papa Francesco. «Il sangue dei martiri — afferma — è il carburante per la vita della
Chiesa. L’ecumenismo del sangue e l’esistenza
dei martiri della fede cristiana vengono considerati una solida base nell’ambito di dialogo
teologico tra le nostre Chiese alla ricerca
dell’unità dei cristiani». Il suo augurio è che
la Chiesa «possa servire tutti, soprattutto i
poveri, i bisognosi, i bambini emarginati e
tutti coloro che sono dimenticati».
Il quinto World Scout Interreligious Symposium
Contro violenza e discriminazione
Costruire il dialogo tra le religioni e
tra le culture contro ogni forma di
intolleranza e di fondamentalismo:
questo è il messaggio che emerge
dal quinto World Scout Interreligious Symposium (Wsis) che si è
svolto dal 27 al 29 gennaio presso il
Seminary of the Immaculate Conception in Huntington, a New York.
Questo incontro, coordinato dal
Boy Scouts of America’s Religious
Relationships Committee e dall’Interreligious Forum of World Scouting, ha avuto come titolo: «Duty to
God… Duty to Scouting» e segue
quelli del 2003 (Spagna), del 2006
(Taiwan), 2009 (Uganda) e del 2012
(Corea del Sud), con i quali il mondo degli scout si è interrogato su come promuovere una cultura del dialogo tra le religioni all’interno del
percorso di educazione e di formazione in modo da testimoniare la
propria vocazione religiosa nella società contemporanea. Si tratta così
di rafforzare l’impegno degli scout
per riaffermare quanto sia centrale la
promozione della libertà religiosa,
della solidarietà e della pace per aiutare a comprendere le ricchezze del
pluralismo religioso e culturale.
A New York, dove si sono dati
appuntamento esponenti dei gruppi
scout di numerosi paesi, designati
dalle organizzazioni nazionali, si è
discusso proprio su come la cono-
scenza e la prassi del dialogo tra le
religioni deve diventare una parte
fondamentale nel programma degli
scout, tanto più alla luce dei tanti
conflitti che attraversano molti paesi
dove gli scout sono presenti. In questi paesi, così come è emerso dalla
condivisione di esperienze personali
nel corso dell’incontro, gli scout
A Taizé un weekend di amicizia
fra cristiani e musulmani
TAIZÉ, 3. Dal 5 all’8 maggio la
comunità ecumenica di Taizé
ospiterà un Weekend di amicizia che coinvolgerà giovani cristiani e musulmani. L’iniziativa
è promossa dal gruppo di amicizia islamo-cristiana e dai fratelli della comunità. «Le persone che abitualmente vengono a
Taizé sono esortate a trasmettere questo invito ai loro amici
musulmani», si legge in un comunicato, precisando che l’incontro è rivolto in particolare ai
giovani fra i 18 e i 35 anni di
età.
Il tema del fine settimana è
«Risveglio della presenza di
Dio in noi». Il programma, oltre alle attività quotidianamente
vissute nel centro, prevede lo
svolgimento di seminari sulla
conoscenza reciproca fra cristiani e musulmani. Per le preghiere dei musulmani, resterà aperta
in permanenza una sala messa a
disposizione nell’edificio dedi-
cato all’accoglienza. Per i cristiani i momenti comuni di raccoglimento avranno invece luogo nella chiesa della Riconciliazione.
Interverranno fra gli altri il
poeta e saggista Khaled Roumo, fortemente impegnato nel
dialogo culturale e religioso,
Ralph Stehly, docente di teologia protestante all’università di
Strasburgo, Khaled Ben Tounès, guida spirituale della confraternita sufi Alawiyya, nonché
fratel Alois, priore di Taizé.
Kahina Bahloul, presidente
dell’associazione
Parle-moi
d’islam, e Mirelle Akouala, pastora della Chiesa protestante
unita di Francia, approfondiranno i temi della preghiera e
dell’Annunciazione, con una rilettura a due voci, una musulmana, l’altra cristiana, dei passi
sull’Annunciazione
presentati
dal Corano e dal Vangelo.
Fra gli argomenti che saranno oggetto di dibattito figura
«Libertà di espressione, laicità,
rispetto del sacro: quale equilibrio va trovato nella coabitazione fra le differenti religioni e i
non credenti in seno alla stessa
società?». Vi parteciperanno
rappresentanti di Parle-moi
d’islam, associazione che ha
l’obiettivo di far riscoprire un
islam rispettoso dei valori di
pace e fraternità. Una religiosa
impegnata con persone affette
dal morbo di Parkinson parlerà
di come affrontare la malattia
con la spiritualità di san Francesco, mentre una coppia mista
condividerà la sua esperienza
del vivere insieme tra cristiani e
musulmani. Non mancheranno
le riflessioni dei fratelli di Taizé
(sulla misericordia, sul rapporto
fra scienza e fede). Ci sarà anche l’artista siriano Abdulsattar
Al Mansour, rifugiato, che vive
a Taizé con la famiglia.
operano già a favore della cultura
del dialogo che è considerata un
passaggio irrinunciabile per la sconfitta della violenza e nella costruzione della pace.
Si tratta di moltiplicare le occasioni per consentire a uomini e donne
di diverse tradizioni religiose di avere dei luoghi dove ascoltarsi per scoprire quanto hanno in comune una
volta accolta l’idea che Dio è amore
e vita. Gli scout devono favorire la
crescita dell’idea che le religioni sono una fonte preziosa per la definizione di una società dove far convivere in armonia religioni e culture
diverse, così come avviene nel mondo scout, come è stato ricordato in
diversi interventi.
Nella ricerca di nuove strade per
la costruzione di questa armonia si è
indicato il rapporto tra religione e
spiritualità come un passaggio particolarmente importante nella prospettiva di favorire una cultura
dell’accoglienza; questo rapporto va
declinato nel modo più inclusivo
possibile per coinvolgere il maggior
numero di credenti, soprattutto tra i
giovani, così da superare quei pregiudizi che alimentano la cultura
dell’odio.
Durante l’incontro, si è parlato
anche della necessità di condannare
qualunque tentativo di giustificare la
violenza con la religione, mettendo
in evidenza quanto pericolosi siano
il radicalismo e il fanatismo che presentano la fede in modo distorto.
Al tempo stesso, si è raccomandata una maggiore attenzione, soprattutto alla luce degli avvenimenti degli ultimi mesi, nei confronti delle
istituzioni politiche, con la speranza
di trovare ascolto alle richieste di
evitare provvedimenti che creino
ostacoli e muri al dialogo.
Il convegno è stato preceduto da
un seminario di formazione, promosso dal King Abdullah Bin Abdulaziz International Centre for Intercultural and Interreligious Dialogue (Kaiciid) e dal World Organization of the Scout Movement (Wosm), sul rapporto tra dialogo e costruzione della pace: la decisione di
premettere questo corso al Wsis nasceva dalla volontà di sottolineare
l’importanza di conoscere strumenti
ed esperienze dell’universo interreligioso per riaffermare quanto primario deve essere l’impegno degli scout
nella promozione del dialogo per
sconfiggere violenza e discriminazione. (riccardo burigana)
GERUSALEMME, 3. Basilica del Santo Sepolcro, cattedrale anglicana di
San Giorgio, cattedrale armena di
San Giacomo, chiesa luterana del
Redentore, chiesa parrocchiale latina di San Salvatore, chiesa copto
ortodossa di Sant’Antonio, chiesa
greco cattolica dell’Annunciazione:
sono i principali luoghi che hanno
ospitato, dal 21 al 29 gennaio, la
settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani a Gerusalemme. Ogni
giorno, a turno, una chiesa della
città santa ha accolto i fedeli e i
rappresentanti di ogni confessione e
rito, anche quest’anno numerosi, da
tutta la Terra santa, per rispondere
positivamente all’invito per l’unità.
Com’è noto, a Gerusalemme la settimana di preghiera inizia tradizionalmente in ritardo di qualche giorno rispetto alla data ufficiale per
consentire ai cristiani armeni di celebrare l’Epifania.
Il Padre nostro è stato recitato in
molte lingue, in modi diversi: con
le palme delle mani verso il cielo, a
mani giunte, a braccia aperte. È
stato questo uno dei momenti più
significativi
delle
celebrazioni.
«L’amore di Cristo ci spinge verso
la riconciliazione» (cfr. 2 Corinzi, 5,
14-20) il tema dell’anno. Tanti luoghi, uomini di diversa provenienza
e una sola preghiera a Dio. Sapendo che il primo passo per unire è
condividere, le chiese di Gerusalemme hanno condiviso per nove giorni gli spazi per il dialogo con Dio,
la lettura della Bibbia, la recita del
Padre nostro e lo scambio della pace. La settimana — si legge sul sito
in rete della Custodia di Terra santa — è iniziata il 21 gennaio al santo
Sepolcro con i greco ortodossi, alla
presenza dell’arcivescovo Theophanes che ha spiegato la liturgia e i riti che lì si svolgono. Il giorno seguente hanno guidato la preghiera
gli anglicani e ha pronunciato
l’omelia il reverendo Suheil Dawani
in una chiesa di San Giorgio affollatissima. Illuminati solo dalle candele, gli armeni hanno intonato i
loro canti il 23 gennaio nella cattedrale di San Giacomo. «Unità cristiana non significa condividere la
stessa lingua, la stessa liturgia, perché c’è bellezza nella diversità», ha
detto padre Martiros Cevian.
Nella chiesa luterana del Redentore ci si è ritrovati il giorno successivo per un altro momento di preghiera. Sono entrati in processione
tutti i rappresentanti delle comunità
cristiane insieme con i pastori protestanti, sia uomini che donne. Il
vescovo Munib Younan ha ricordato la partecipazione del Papa alle
celebrazioni per i cinquecento anni
della Riforma: «Chi avrebbe mai
potuto immaginare questo? Dato
che vediamo che lo Spirito santo è
illogico e imprevedibile, chi può dire cosa accadrà in futuro? Solo perché non possiamo immaginare la
comunione insieme in questo momento non significa che non accadrà», ha osservato il presidente della Federazione luterana mondiale.
Con lui il nuovo vescovo luterano
di Gerusalemme, Ibrahim Azar. Il
25 gennaio la preghiera per l’unità
dei cristiani si è svolta nella chiesa
di San Salvatore della Custodia di
Terra santa, dove il parroco, fra
Nerwan Al-Banna, ha pronunciato
l’omelia. Al santo Cenacolo, il 26,
hanno animato l’assemblea ecumenica i monaci benedettini della
Dormizione, insieme con gli studenti di teologia, e fra Elias Pfiffi
ha parlato delle Chiese cristiane e
dell’unità. Ancora preghiere il giorno successivo nella chiesa copto ortodossa di Sant’Antonio, dove si
sono succeduti canti copti e siriaci e
hanno risuonato le parole del reve-
rendo fra Antonios. La gioia dei
cristiani etiopi il 28 gennaio è
esplosa in canti e balli scanditi dai
tamburi. Nella chiesa etiope di Gerusalemme, dalla forma circolare, a
ricordare la forma del santo Sepolcro, la preghiera per l’unità dei cristiani si è svolta in amarico e arabo,
guidata dall’arcivescovo Abune Enbakom. A conclusione della settimana, nella chiesa greco cattolica
dell’Annunciazione, l’arcivescovovescovo ausiliare del patriarcato di
Antiochia dei Greco-Melkiti per
Gerusalemme, Joseph Jules Zerey, il
quale ha esortato i fedeli a continuare senza stancarsi a operare per
l’unità: «Che la riconciliazione e
l’unità tra di noi siano una sorgente
di acqua vivificante, che si trasformi
in fiume d’acqua dolce per dissetare
il mondo assetato di fede nel Dio
vivente».
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 4 febbraio 2017
pagina 7
Contro il torpore e la rassegnazione nelle comunità cristiane
La cura
della testimonianza
di FRANCO GIULIO BRAMBILLA
Perché un Liber pastoralis? Che
cos’è e per chi è pensato tale percorso? Ho custodito l’intuizione di
questo libro per molti anni. Il de-
Liber pastoralis
È appena uscito Liber pastoralis (Brescia,
Queriniana, 2017, «Giornale di teologia»
395, pagine 246, euro 14,50). A presentarlo
in questo articolo scritto per
«L’Osservatore Romano» è lo stesso
autore, già preside della Facoltà teologica
dell’Italia settentrionale (20o6-2012) e
vescovo ausiliare di Milano (2007-2012),
dal 2012 vescovo di Novara e dal 2015
vicepresidente della Conferenza episcopale
italiana. Oltre gli scritti teologici, tra le sue
pubblicazioni ricordiamo La Parrocchia
oggi e domani (terza edizione, 2004) e
Tempo della festa e giorno del Signore (2012).
siderio di por mano all’opera è rinato alla fine del sinodo sulla famiglia e dopo il convegno di Firenze. In quell’occasione Papa
Francesco diceva: «Permettetemi
solo di lasciarvi un’indicazione per
i prossimi anni: in ogni comunità,
in ogni parrocchia e istituzione, in
ogni diocesi e circoscrizione, in
ogni regione, cercate di avviare, in
modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per
trarre da essa criteri pratici e per
attuare le sue disposizioni».
Questo appello ha risvegliato un
ricordo della mia giovinezza,
quando mi capitò tra le mani un
testo di grande intensità spirituale,
dal titolo Seelsorge (“Cura d’anime”) di Dietrich Bonhoeffer. Si
trova nel quattordicesimo volume
delle sue opere (Dietrich Bonhoeffer
Werke, 1996), e appartiene al periodo eroico della formazione dei pastori nel seminario di Finkenwalde,
tradotto col titolo Una pastorale
evangelica
(seconda
edizione,
2005). Mi ha sempre suscitato il
desiderio di poter dire da cattolico
le cose che condivido con Bonhoeffer, di integrare quanto mi
sembra parziale, di eguagliare lo
stile e la sua scrittura inarrivabili.
L’ultimo stimolo mi è venuto
pochi giorni prima dell’ingresso
nella diocesi di Novara. Andai a
trovare il cardinale Martini per salutarlo e per ricevere la sua benedizione. Egli mi domandò con un
filo impercettibile di voce: che
programma hai per Novara? Allargai le braccia, quasi per scusarmi,
ma egli non mi lasciò finire. Mi regalò la primizia del suo Il vescovo
(2011), l’unico libro scritto dopo
aver terminato il ministero a Milano. Era l’ultimo anno di sua vita
tra noi. Lo lessi d’un fiato in una
notte. E mi tornò alla mente il mio
progetto. Sono passati cinque anni. È giunta l’ora di mettere in pagina i “temi pastorali maggiori”,
quasi un’agenda per il domani.
Perché, allora, scrivere un Liber
pastoralis? Un libro può essere
scritto per evitare un pericolo e suscitare una passione. Il pericolo è
quello dell’“accidia pastorale”. Essa fa capolino nel vissuto di tanti
pastori, vescovi e preti, ma anche
di molti collaboratori laici. È una
sorta di torpore, di rassegnazione
che attraversa stancamente le parole e i gesti, che si trascinano senza
smalto, rassegnandosi alla perdita
d’incidenza della fede sul tessuto
umano. I padri del deserto hanno
descritto l’accidia come il pensiero
cattivo che paralizza la vita del
monaco, ma forse potremmo dire
del credente. E quindi anche del
pastore.
Una citazione di Walter Kasper
illustra bene il pericolo: «La Chiesa soffre di una stanchezza interna.
Essa non viene sfidata. O meglio,
sembra non venire sfidata. Non è
messa esteriormente in discussione
e all’apparenza la situazione non
sembra drammatica, ma parallelamente la Chiesa è per molti una
realtà non interessante, quasi noiosa, che lascia fredde le persone e le
rende indifferenti. La perdita
dell’orizzonte della speranza ci
rende culturalmente e spiritualmente stanchi, pesanti, spenti. I
padri della Chiesa e i grandi teologi del medioevo hanno definito
questa posizione la tentazione originaria dell’accidia». Non potremmo forse dire che tale deperimento
mina al cuore la coscienza di molti
pastori di oggi?
Il libro intende rimediare alla
grave tentazione dell’accidia pastorale e risvegliare la passione della
carità pastorale, cuore della spiritualità del presbitero diocesano e
della dedizione alla Chiesa locale.
La passione è prima di tutto una
cosa che si patisce. Essa porta nella vita del pastore le ferite delle
persone e soprattutto delle famiglie. Poi però il pastore secondo il
cuore di Dio si lascia contagiare
dalla storia della gente che gli è
affidata, si appassiona per la loro
vicenda, cammina con loro e si
consola quando riesce a far brillare
la luce del vangelo nel cammino
della comunità. In questo continuo scambio tra patire e appassionarsi, egli trova la bellezza del ministero pastorale e la sua intima
gioia.
Per chi è un Liber pastoralis? La
risposta a questa domanda sembrerebbe facile: per i pastori, i vescovi, i preti e i diaconi. Certamente.
Oggi però l’interesse all’azione pastorale della Chiesa si rivolge a
una platea più ampia di persone.
Non solo per la drammatica diminuzione del clero e l’aumento della
sua età media, ma per il ricupero
della figura di Chiesa degli apostoli. È la Chiesa di popolo, che è
il soggetto vero e proprio dell’agire
pastorale.
La Chiesa di domani sopravvivrà solo se sarà la Chiesa di tutti.
Oggi si parla molto di carismi, ma
la loro comprensione è prevalentemente spontaneista e movimentista. L’originalità dei carismi
del nuovo testamento non sta
tanto nei doni straordinari, ma
nello straordinario dei doni dello
Spirito dati a ciascuno. Il dinamismo spirituale e l’azione pastorale sono un’unica realtà. L’uno è
il dono di Dio, l’altra è la responsabilità dei credenti, l’uno è il mistero nel tempo, l’altra è la storia
che rende presente il corpo di Cristo.
Che cosa è, infine, un Liber pastoralis? Un percorso per l’agire
pastorale della Chiesa deve essere
anzitutto un grande racconto. Il
racconto è il linguaggio della memoria. Non si tratta di un trattato
di teologia pastorale, ma una meditazione sapienziale sui capitoli
essenziali della cura d’anime. È la
cura della vita delle persone per
far crescere una comunità credente, perché sia luogo del vangelo
accolto e trasmesso al mondo.
Il focus della proposta è molto
semplice: a partire dalla visione di
Chiesa conciliare come popolo di
Dio, occorre passare dalla cura
animarum alla cura della testimonianza dei cristiani e della Chiesa
come testimonianza. Questo è il
leitmotiv del percorso, che si articola in tre momenti: il primo aiuta
a riflettere sul passaggio alla cura
della testimonianza dei cristiani
(capitoli 1-5); il secondo introduce
le tre armoniche della missione —
annuncio, celebrazione e carità —
con le forme pratiche che le mediano (capitoli 6-11); il terzo mette
l’attenzione all’umano (capitolo 12)
alla prova dei «temi pastorali maggiori» (iniziazione e pastorale giovanile, confessione, matrimonio e
pastorale familiare, benedizione
delle famiglie, visita ai malati e fu-
Dietrich Bonhoeffer
nerale: capitoli 13-20). Un ventaglio di temi che lascia aperte altre
piste per continuare il racconto.
Messa del cardinale Ryłko
La luce
di Santa Maria
Cristo «luce del mondo» e Maria
«madre della luce»: in un tempo
«di crisi che ci minacciano, di
guerre che ci assediano, di terrorismo che miete tante vittime innocenti», sono questi i «punti di
riferimento» per «comprendere
chi siamo veramente come persone umane e qual è il nostro destino ultimo». Lo ha ricordato il
cardinale Stanisław Ryłko celebrando a Santa Maria Maggiore
— nel tardo pomeriggio di giovedì 2 febbraio — la messa in occasione dell’inaugurazione del suo
ministero di arciprete della basilica liberiana. «Quanto bisogno di
luce c’è nei nostri tempi! Viviamo, infatti, in un’epoca di tene-
Iniziative di organismi vaticani
Per le popolazioni terremotate
I settemila euro che i bambini di
Bangui hanno scelto di condividere con i loro coeteanei di Norcia,
colpiti dal terremoto, sono stati
consegnati venerdì mattina, 3 febbraio, nell’eloquente cornice di
una scuola prefabbricata in legno,
aperta subito prima di Natale nel
paese umbro. A portare il dono,
con un caloroso abbraccio, è stato
il cantautore Claudio Baglioni,
protagonista in Vaticano, il 17 di-
cembre, del concerto Avrai con
cui, spiega, «abbiamo raccolto un
milione e mezzo di euro per
l’ospedale pediatrico a Bangui».
Una parte di questi fondi, settecentomila euro, saranno destinati
proprio a Norcia e specificatamente «per l’oratorio Madonna delle
Grazie, un centro di aggregazione
sociale per aiutare i più giovani a
non perdere la speranza». Il gesto
dei bambini di Bangui, fa notare il
cantautore, «è di grandissima
umanità e fratellanza, oltre che
una grande lezione per tutti noi,
perché i piccoli della Repubblica
Centrafricana, tra i paesi più poveri del mondo, non ci hanno
pensato due volte a tendere la mano ai loro amici di Norcia».
Con Baglioni erano il vescovo
Fernando Vérgez Alzaga, segretario generale del Governatorato
dello Stato della Città del Vaticano, il vescovo Nunzio Galantino,
segretario generale della Conferenza episcopale italiana, e Domenico
Giani, comandante della Gendarmeria, che ha promosso il concerto nell’aula Paolo VI. Ad accoglierli — con i bambini delle scuole
materne ed elementari e la dirigente scolastica Rosella Tonti —
l’arcivescovo di Spoleto-Norcia,
monsignor
Renato
Boccardo.
«Questo contributo per l’oratorio
è un ulteriore anello della catena
di solidarietà avviata personalmente da Papa Francesco all’indomani
del terremoto del 24 agosto» spiega il presule. Il Pontefice, infatti,
«ha subito fatto sentire la sua vicinanza con la preghiera, con gli
appelli pubblici e anche con una
serie di telefonate per testimoniare
il suo affetto, fino alla visita del 4
Incontro e ritiro spirituale
per i vescovi di recente nomina
Vigili del fuoco vaticani
davanti alle macerie della basilica di San Benedetto a Norcia
Rispondendo a un desiderio di Papa Francesco, la Congregazione
per i vescovi ha organizzato, dal 21 agosto al 4 settembre, un incontro per i presuli che compiono cinque e sei anni di consacrazione. Si svolgerà fino al 26 agosto a Montefiolo di Casperia (Rieti), dove i vescovi, coordinati dal cardinale Renato Corti e dall’arcivescovo Filippo Iannone, avranno occasione di condividere le loro esperienze pastorali. I giorni successivi ci saranno invece, a Camaldoli (Arezzo), gli esercizi spirituali ignaziani guidati da
un’équipe di gesuiti coordinata da padre Michele Lavra.
Ogni tempo è chiamato a riscrivere l’azione dello Spirito negli Atti
degli apostoli.
ottobre nelle zone più colpite dal
sisma».
Tutte le componenti della Santa
Sede hanno, a loro volta, risposto
prontamente all’impulso del Papa,
rimboccandosi le maniche. «La
nostra gente ha imparato subito a
riconoscere l’umanità e la sensibilità dei vigili del fuoco della Città
del Vaticano — confida monsignor
Boccardo — tanto che ancora oggi
molte persone chiedono espressamente di essere assistiti dai “vigili
del Papa”». Proprio a questo servizio è dedicato in gran parte il
calendario 2017 dei vigili del fuoco
vaticani, che ricordano il loro impegno con una serie di significative fotografie nei luoghi del sisma.
E non è finita qui. Proprio giovedì 2 febbraio «i tecnici dei Musei vaticani — racconta il vescovo
Boccardo — sono venuti qui a
Norcia per prendere alcune opere
d’arte particolarmente pregiate,
danneggiate dalle scosse sismiche,
in modo da potercele poi restituire
restaurate».
E sempre alle popolazioni
dell’Italia centrale vittime del terremoto sono destinati anche i proventi della tradizionale «lotteria di
beneficenza per le opere di carità
del Santo Padre» promossa dal
Governatorato. L’estrazione dei
biglietti vincenti è stata effettuata
nel pomeriggio di giovedì 2 e, si
legge in una nota, «la somma raccolta sarà consegnata nei prossimi
giorni direttamente nelle mani del
Papa che la destinerà proprio alle
popolazioni colpite dal terremoto
del 24 agosto e ai senzatetto».
bre particolarmente fitte, di oscurità che destano non poche paure
e preoccupazioni circa il futuro
dell’umanità», ha detto all’omelia, invitando ogni battezzato a
lasciarsi «illuminare da Cristo» e
a portare questa luce agli altri
«mediante la testimonianza credibile della propria vita».
Numerose le presenze in basilica. Tra i concelebranti, i cardinali
Santos Abril y Castelló, arciprete
emerito, e Stanisław Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia, e
— con altri presuli e sacerdoti legati al cardinale Ryłko da rapporti di amicizia e di ministero —
l’arcivescovo Kowalczyk, e i vescovi Clemens e Giuliodori. Fra
gli altri, hanno partecipato al rito
l’ambasciatore di Polonia presso
la Santa Sede e i rappresentanti
di vari movimenti ecclesiali e di
nuove comunità.
Spiegando la scelta della festa
della presentazione del Signore
per dare inizio al suo ministero
nel «più antico santuario mariano dell’Occidente», il porporato
ha sottolineato «il ruolo di Maria
nella storia della salvezza»: la Salus populi Romani, pronta «a
consolarci in ogni nostra afflizione». E ha detto: «Stasera ho varcato la soglia di questo tempio
con una forte trepidazione nel
cuore, perché mi rendo conto
dell’enorme responsabilità che
questa
missione
comporta».
L’eredità di Santa Maria Maggiore, infatti, è una realtà spirituale fondata su oltre «quindici
secoli di storia, che interpella tutti noi e con la quale anche la nostra generazione è chiamata a misurarsi con grande senso di responsabilità».
†
La Segreteria di Stato comunica che è
deceduto il
Signor
ALD O GIUSEPPE
DELLAGIOVANNA
Padre di Monsignor Giancarlo Dellagiovanna, Officiale della Segreteria di
Stato.
I Superiori e i Colleghi della Segreteria di Stato e del Servizio Diplomatico della Santa Sede partecipano al dolore di Monsignor Dellagiovanna e dei
suoi Familiari, assicurando la vicinanza
nell’amicizia e nella preghiera per il
caro defunto, che affidano al Signore
risorto.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
sabato 4 febbraio 2017
Il Papa chiede ai religiosi e alle religiose di mettere Cristo in mezzo al popolo
Padri di speranza
non professionisti del sacro
Vincere «la tentazione della sopravvivenza»
che inaridisce i cuori e e li priva della
capacità di sognare: è l’impegno che il Papa
ha chiesto ai consacrati e alle consacrate
durante la messa celebrata nella basilica
vaticana venerdì pomeriggio, 2 febbraio, festa
della presentazione di Gesù al tempio.
Quando i genitori di Gesù portarono il
Bambino per adempiere le prescrizioni
della legge, Simeone, «mosso dallo Spirito» (Lc 2, 27), prende in braccio il Bambino e comincia un canto di benedizione e
di lode: «Perché i miei occhi hanno visto
la tua salvezza, preparata da te davanti a
tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e
gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2, 3032). Simeone non solo ha potuto vedere,
Chiamata universale
La luce — che dissipa l’oscurità, riscalda, dà
un senso di vita e di sicurezza — è il segno
più evidente della liturgia nella festa della
presentazione del Signore al tempio.
Simboleggia Cristo, luce delle genti, che
illumina la vita di ogni uomo e della Chiesa.
L’immagine dei lumini accesi che rischiarano
le navate della basilica di San Pietro nella
penombra offrono ogni volta uno spettacolo
suggestivo. A questa celebrazione ormai da
ventuno anni è legata la giornata mondiale
della vita consacrata. E anche quest’anno,
giovedì pomeriggio, 2 febbraio, il rito è stato
presieduto da Papa Francesco. Ogni forma
di vita consacrata era rappresentata anche
nella processione iniziale, composta da
uomini e donne, per esprimere la
molteplicità e l’universalità della chiamata.
Prima dei riti introduttivi, il Pontefice ha
benedetto le candele nell’atrio della basilica
e, dopo aver ricevuto dal diacono un lumino
acceso, ha dato inizio alla processione che si
è avviata verso l’altare della Confessione.
Hanno animato la liturgia i canti della
Cappella Sistina, del coro guida Mater
Ecclesiae e del coro cattolico coreano Fiat
Domini. Al termine della messa, il cardinale
João Braz de Aviz, prefetto della
Congregazione per gli istituti di vita
consacrata e le società di vita apostolica, nel
salutare il Pontefice a nome di tutti i
presenti, ha detto che l’anno santo ha
risvegliato anche nei consacrati la decisione
di corrispondere all’amore del Signore e ha
riacceso la speranza. Insieme con il Papa
hanno concelebrato sette cardinali e otto
presuli, tra i quali, l’arcivescovo José
Rodríguez Carballo, segretario del dicastero
per i consacrati, con alcuni officiali e
membri. Tra i presenti, suor Nicla Spezzati,
sotto-segretario della Congregazione. Per
l’occasione, i novizi cappuccini di Morano
Calabro hanno offerto un cordone liturgico
che il Papa ha indossato per la celebrazione.
ma ha avuto anche il privilegio di abbracciare la speranza sospirata, e questo lo fa
esultare di gioia. Il suo cuore gioisce perché Dio abita in mezzo al suo popolo; lo
sente carne della sua carne.
La liturgia di oggi ci dice che con quel
rito, quaranta giorni dopo la nascita, «il
Signore si assoggettava alle prescrizioni
della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo che l’attendeva nella
fede» (Messale Romano, 2 febbraio, Monizione alla processione di ingresso). L’incontro di Dio col suo popolo suscita la
gioia e rinnova la speranza.
Il canto di Simeone è il canto dell’uomo credente che, alla fine dei suoi giorni,
può affermare: è vero, la speranza in Dio
non delude mai (cfr. Rm 5, 5), Egli non
inganna. Simeone e Anna, nella vecchiaia,
sono capaci di una nuova fecondità, e lo
testimoniano cantando: la vita merita di
essere vissuta con speranza perché il Signore mantiene la sua promessa; e in seguito sarà lo stesso Gesù a spiegare questa
promessa nella sinagoga di Nazaret: i malati, i carcerati, quelli che sono soli, i poveri, gli anziani, i peccatori sono anch’essi
invitati a intonare lo stesso canto di speranza. Gesù è con loro, è con noi (cfr. Lc
4, 18-19).
Questo canto di speranza lo abbiamo
ricevuto in eredità dai nostri padri. Essi ci
hanno introdotto in questa “dinamica”.
Nei loro volti, nelle loro vite, nella loro
dedizione quotidiana e costante abbiamo
potuto vedere come questa lode si è fatta
carne. Siamo eredi dei sogni dei nostri padri, eredi della speranza che non ha delu-
so le nostre madri e i nostri
padri fondatori, i nostri fratelli maggiori. Siamo eredi
dei nostri anziani che hanno
avuto il coraggio di sognare;
e, come loro, oggi vogliamo
anche noi cantare: Dio non
inganna, la speranza in Lui
non delude. Dio viene incontro al suo popolo. E vogliamo cantare addentrandoci
nella profezia di Gioele: «Effonderò il mio spirito sopra
ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno
sogni, i vostri giovani avranno visioni» (3, 1).
Ci fa bene accogliere il sogno dei nostri padri per poter profetizzare oggi e ritrovare nuovamente ciò che un
giorno ha infiammato il nostro cuore. Sogno e profezia
insieme. Memoria di come
sognarono i nostri anziani, i
nostri padri e madri e coraggio per portare avanti, profeticamente, questo sogno.
Questo atteggiamento renderà fecondi
noi consacrati, ma soprattutto ci preserverà da una tentazione che può rendere sterile la nostra vita consacrata: la tentazione
della sopravvivenza. Un male che può installarsi a poco a poco dentro di noi, in
seno alle nostre comunità. L’atteggiamento di sopravvivenza ci fa diventare reazionari, paurosi, ci fa rinchiudere lentamente
e silenziosamente nelle nostre case e nei
nostri schemi. Ci proietta all’indietro, verso le gesta gloriose — ma passate — che,
invece di suscitare la creatività profetica
nata dai sogni dei nostri fondatori, cerca
scorciatoie per sfuggire alle sfide che oggi
bussano alle nostre porte. La psicologia
della sopravvivenza toglie forza ai nostri
carismi perché ci porta ad addomesticarli,
a renderli “a portata di mano” ma privandoli di quella forza creativa che essi inaugurarono; fa sì che vogliamo proteggere
spazi, edifici o strutture più che rendere
possibili nuovi processi. La tentazione della sopravvivenza ci fa dimenticare la grazia, ci rende professionisti del sacro ma
non padri, madri o fratelli della speranza
che siamo stati chiamati a profetizzare.
Questo clima di sopravvivenza inaridisce
il cuore dei nostri anziani privandoli della
capacità di sognare e, in tal modo, sterilizza la profezia che i più giovani sono chiamati ad annunciare e realizzare. In poche
parole, la tentazione della sopravvivenza
trasforma in pericolo, in minaccia, in tragedia ciò che il Signore ci presenta come
un’opportunità per la missione. Questo atteggiamento non è proprio soltanto della
vita consacrata, ma in modo particolare
siamo invitati a guardarci dal cadere in essa.
Torniamo al brano evangelico e contempliamo nuovamente la scena. Ciò che ha
suscitato il canto di lode in Simeone e
Anna non è stato di certo il guardare a sé
stessi, l’analizzare e rivedere la propria situazione personale. Non è stato il rimanere chiusi per paura che potesse capitare
loro qualcosa di male. A suscitare il canto
è stata la speranza, quella speranza che li
sosteneva nell’anzianità. Quella speranza
si è vista realizzata nell’incontro con Gesù.
Quando Maria mette in braccio a Simeone il Figlio della Promessa, l’anziano incomincia a cantare, fa una propria “liturgia”,
canta i suoi sogni. Quando mette Gesù in
mezzo al suo popolo, questo trova la
gioia. Sì, solo questo potrà restituirci la
gioia e la speranza, solo questo ci salverà
dal vivere in un atteggiamento di sopravvivenza. Solo questo renderà feconda la
nostra vita e manterrà vivo il nostro cuore.
Mettere Gesù là dove deve stare: in mezzo
al suo popolo.
Tutti siamo consapevoli della trasformazione multiculturale che stiamo attraversando, nessuno lo mette in dubbio. Da
qui l’importanza che il consacrato e la
consacrata siano inseriti con Gesù nella vita, nel cuore di queste grandi trasformazioni. La missione — in conformità ad
ogni carisma particolare — è quella che ci
ricorda che siamo stati invitati ad essere
lievito di questa massa concreta. Certamente potranno esserci “farine” migliori,
ma il Signore ci ha invitato a lievitare qui
e ora, con le sfide che ci si presentano.
Non con atteggiamento difensivo, non
mossi dalle nostre paure, ma con le mani
all’aratro cercando di far crescere il grano
tante volte seminato in mezzo alla zizzania. Mettere Gesù in mezzo al suo popolo
significa avere un cuore contemplativo, capace di riconoscere come Dio cammina
per le strade delle nostre città, dei nostri
paesi, dei nostri quartieri. Mettere Gesù in
mezzo al suo popolo significa farsi carico
e voler aiutare a portare la croce dei nostri
fratelli. È voler toccare le piaghe di Gesù
nelle piaghe del mondo, che è ferito e brama e supplica di risuscitare.
Metterci con Gesù in mezzo al suo popolo! Non come attivisti della fede, ma
come uomini e donne che sono continuamente perdonati, uomini e donne uniti nel
battesimo per condividere questa unzione
Nomina episcopale
in Argentina
La nomina di oggi riguarda la
Chiesa in Argentina.
e la consolazione di Dio con
gli altri.
Metterci con Gesù in mezzo al suo popolo, perché
«sentiamo la sfida di scoprire
e trasmettere la “mistica” di
vivere insieme, di mescolarci,
di incontrarci, di prenderci
in braccio, di appoggiarci, di
partecipare a questa marea
un po’ caotica che [con il Signore] può trasformarsi in
una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. [...] Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una
cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza!
Uscire da se stessi per unirsi
agli altri» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 87) non solo fa
bene, ma trasforma la nostra
vita e la nostra speranza in
un canto di lode. Ma questo
possiamo farlo solamente se
facciamo nostri i sogni dei
nostri anziani e li trasformiamo in profezia.
Accompagniamo Gesù ad incontrarsi
con il suo popolo, ad essere in mezzo al
suo popolo, non nel lamento o nell’ansietà di chi si è dimenticato di profetizzare
perché non si fa carico dei sogni dei suoi
padri, ma nella lode e nella serenità; non
nell’agitazione ma nella pazienza di chi
confida nello Spirito, Signore dei sogni e
della profezia. E così condividiamo ciò
che ci appartiene: il canto che nasce dalla
speranza.
Jorge Vázquez
coadiutore di Morón
Nato a Lomas de Zamora, in
provincia di Buenos Aires, il 13
marzo 1950, ha seguito gli studi
secondari nel seminario maggiore
di La Plata. Dopo aver lavorato
alcuni anni, è entrato nel seminario Santa Cruz, di Lomas de Zamora. Ha conseguito il titolo di
professore di filosofia nell’istituto
Presbítero Antonio Sáenz e il baccalaureato in teologia presso la
Pontificia università cattolica argentina, dove ha ottenuto la licenza in teologia dogmatica con indirizzo in spiritualità. È stato ordinato sacerdote il 31 marzo 1983
per la diocesi di Lomas de Zamora, dove ha svolto gli incarichi di
parroco di Cristo Redentor di Villa Jardín (1985-1994), dell’Inmaculada Concepción di Monte Grande (1994-2003) e della cattedrale
Nuestra Señora de la Paz (20032009); rettore del seminario diocesano Santa Cruz (2009-2010); vicario di zona, membro del consiglio presbiterale e del collegio dei
consultori, cancelliere, incaricato
diocesano di Caritas e pastorale
sociale, assessore del circolo cattolico di operai. Dal 2009 è stato vicario generale di Lomas de Zamora. Nominato il 13 dicembre 2013
vescovo titolare di Castra nova e
ausiliare di Lomas de Zamora, ha
ricevuto l’ordinazione episcopale il
29 dicembre successivo.
Il segretario di Stato nella Repubblica del Congo
Al servizio del bene comune
La firma dell’accordo quadro
della Santa Sede con la Repubblica del Congo e il quarantesimo anniversario delle
loro relazioni diplomatiche
sono al centro della seconda
tappa del viaggio in Africa
del cardinale Pietro Parolin.
Una sosta che ha inoltre
consentito al segretario di
Stato di incontrare i vescovi
del Paese e discutere con
loro dei principali problemi
pastorali e dell’impegno della Chiesa per il bene comune.
signor Daniel Mizonzo, vescovo di Nkayi. All’esterno
dell’aeroporto un gruppo di
religiose e di fedeli ha intonato canti tradizionali di
benvenuto.
Proprio con i nove vescovi
locali il cardinale Parolin ha
trascorso buona parte della
giornata. In un incontro informale in nunziatura, nel
quale ognuno dei presuli ha
potuto presentare la situazione della propria diocesi, sono state affrontate le principali questioni pastorali e po-
Dopo la visita in Madagascar e una breve sosta
nell’aeroporto di Nairobi —
dove ha incontrato il nunzio
apostolico in Kenya e in
Sud-Sudan,
l’arcivescovo
Charles Daniel Balvo, per
discutere della situazione socio-politica in quest’ultimo
paese — il porporato ha raggiunto Brazzaville mercoledì
1° febbraio. Ad accoglierlo
all’aeroporto di Maya-Maya
c’erano il primo ministro
Clemente Mouamba e una
delegazione di politici e diplomatici. Da parte ecclesiastica erano presenti il nunzio
apostolico,
l’arcivescovo
Francisco Escalante Molina,
il nunzio nella Repubblica
Democratica del Congo, l’arcivescovo
Luis
Mariano
Montemayor, il segretario di
nunziatura, don Patrick Saw
Zay Han, e l’intera Conferenza episcopale del Congo
guidata dal presidente, mon-
litiche riguardanti il paese.
In particolare è emersa l’importanza di seguire l’esecuzione dell’accordo quadro
dopo la ratifica: i contatti
con le autorità statali devono
essere frequenti e non saltuari, al fine di instaurare un
dialogo proficuo che richiami al servizio al bene comune e solleciti l’attenzione verso gli ultimi e i poveri. Tra
gli obiettivi è stato sottolineato quello della formazione dei laici per sviluppare il
senso di responsabilità e un
impegno in politica che si
conformi alla dottrina sociale
della Chiesa.
Durante l’incontro si è
inoltre parlato della situazione di violenza e instabilità
che sta vivendo la regione di
Pool. I vescovi hanno auspicato un buon esito per la
causa di beatificazione del
cardinale Emile Biayenda,
servo di Dio ucciso quaranta
anni fa. Tra le note di preoccupazione dei presuli africani è emersa la difficile situazione del bisettimanale cattolico, edito dalla Conferenza episcopale, che versa in
una situazione di grave disagio economico, e la necessità
di un centro ospedaliero che
si occupi dell’assistenza ai
sacerdoti malati e al personale religioso.
Nella mattinata del 2 febbraio, il cardinale Parolin,
accompagnato dal nunzio,
dal presidente della Conferenza episcopale e dall’arcivescovo di Brazzaville, Anatole Milandou, si è recato a
fare visita a Jean Claude Gakosso, ministro degli Affari
esteri, della cooperazione e
dei congolesi all’estero. Durante il colloquio il ministro
ha fatto riferimento alla firma dell’accordo quadro, che
manifesta
l’apprezzamento
dello Stato verso la Chiesa
cattolica per tutto ciò che
svolge in ambito educativo,
sanitario e sociale. In modo
particolare, Gakosso ha sottolineato la dedizione con
cui le istituzioni della Chiesa
cattolica hanno edificato
scuole, anche nei villaggi più
sperduti, per dare a tutti la
possibilità di formarsi come
cittadini e come persone. Ha
pure accennato al ruolo che
la Chiesa sta svolgendo per
la risoluzione dei conflitti in
varie regioni del mondo. Ha,
poi, ufficializzato la notizia
riguardante l’apertura di una
ambasciata residente del
Congo presso la Santa Sede.
Il segretario di Stato, a
sua volta, ha sottolineato
l’importanza
dell’accordo
che non solo regolerà a livello giuridico il rapporto tra
Chiesa e Stato, ma servirà a
tutti i congolesi senza alcuna
discriminazione. Dopo aver
trattato di questioni politiche
e regionali, l’incontro è terminato con lo scambio dei
doni.
Il porporato e la delegazione si sono quindi recati
presso la Presidenza del
Consiglio, per l’udienza con
il capo del governo congolese, Clément Mouamba. Durante i colloqui sono stati
toccati vari temi: la firma
dell’accordo quadro, la situazione economica del Paese, il
fenomeno dell’immigrazione
che sta investendo l’Africa
occidentale. Sollecitato dal
cardinale Parolin in merito
alla situazione di instabilità
nella
regione
di
Pool,
Moumba ha assicurato che il
governo si sta adoperando
affinché si metta fine a questa guerriglia, che sta provocando
destabilizzazione,
morti e sfollati tra la popolazione inerme. La soluzione
più adeguata che si vuole
adottare è quella del dialogo
politico evitando azioni militari inappropriate. Tra gli altri argomenti toccati nel colloquio, la richiesta di una visita del Papa e la situazione
dei rifugiati della Repubblica Centrafricana che stanno
progressivamente rientrando
in patria.
Nel pomeriggio il segretario di Stato ha fatto visita a
due centri caritativi. Il primo, dedicato al cardinale
Biayenda, accoglie persone
con disabilità fisica e psichica, insieme ad alcuni adolescenti fuggiti dalla regione
del Pool. Il porporato ha salutato tutti i malati, mentre
un coro formato da disabili
eseguiva canti di benvenuto.
L’altra struttura, il Centre
d’Accueil Béthanie, ospita
neonati, bambini e adolescenti abbandonati. Anche
qui il cardinale si è fermato
per salutare i piccoli.
La giornata si è conclusa
con la visita al memoriale
che la Repubblica del Congo ha innalzato all’esploratore italiano Pietro Savorgnan
de Brazza (che ha dato il
nome alla capitale), e con la
cena offerta dai vescovi congolesi presso il centro della
Conferenza episcopale, alla
quale hanno partecipato sacerdoti e laici che a diverso
titolo collaborano con i presuli.