Indicazioni per lo sviluppo dell`economia sociale nelle Marche

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Indicazioni per lo sviluppo dell`economia sociale nelle Marche
Project co-financed by ERDF
Indicazioni per lo sviluppo
dell’ECONOMIA SOCIALE
nella REGIONE MARCHE
I N D I C A Z I O N I P E R LO S V I LU P P O D E L L’ E C O N O M I A S O C I A L E N E L L A R E G I O N E M A R C H E
SOMMARIO
PREMESSA - PERCHÉ PASE
3
INTRODUZIONE
5
1.
L’ECONOMIA SOCIALE IN ITALIA
6
1.1. Definizione
6
1.2. Il contesto normativo e le tipologie
7
2.
2
3.
1.3. L’economia sociale nella rete delle politiche di welfare e dei servizi sociali
11
1.4. Risorse economiche e le relazioni tra enti locali e terzo settore
12
1.5. L’affidamento fra autonomia regionale e vincoli europei e nazionali
14
L’ECONOMIA SOCIALE NELLE MARCHE
18
2.1 La rilevanza delle cooperative nelle Marche
18
2.2 Soggetti titolari e gestori nei servizi sociali
19
2.3 L’economia sociale e gli attori pubblici: una relazione in divenire
21
2.4. Situazione attuale e prospettive future
24
RACCOMANDAZIONI
28
3.1. Raccomandazioni per la Pubblica Amministrazione
28
3.2. Raccomandazioni per l’impresa sociale
35
3.3 Conclusioni
37
ALLEGATI
A.
B.
C.
D.
E.
39
Verso la legge regionale sul sistema dei servizi sociali nel quadro della
legge n. 328/2000. Linee guida regionali sui rapporti fra pubblica
amministrazione e soggetti non profit nel sistema locale integrato dei
servizi e degli interventi sociali
La finanza e la cooperazione sociale: autofinanziamento, raccolta
fondi, accesso al credito e sostegno agli investimenti
Il contesto normativo e lo stato dell’arte a livello regionale
circa possibili innovazioni della normativa regionale
Stralci della deliberazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici sugli affidamenti di servizi da parte delle ASL
Stralci della deliberazione relativa alla posizione dell’Autorità di
Vigilanza sui Contratti Pubblici sulle procedure negoziate in tre
affidamenti dell’ASUR Marche
40
46
50
52
53
MATERIALI DISPONIBILI ON-LINE
55
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
56
PREMESSA
Project co-financed by ERDF
Premessa
PERCHÉ PASE
La Regione Marche è Ente promotore nonché Responsabile della realizzazione del progetto PASE “Politiche pubbliche e imprese sociali” finanziato nell’ambito del Programma di Cooperazione Interregionale INTERREG IVC
(Priorità “Innovazione ed economia della conoscenza”).
La finalità dell’iniziativa è di rafforzare l’efficacia delle politiche pubbliche, regionali e locali, a favore dell’imprenditoria sociale, nonché di favorire il trasferimento delle buone pratiche sviluppate sul territorio regionale ed in
diversi contesti europei nella promozione e supporto all’imprenditorialità sociale e nello sviluppo e qualificazione
del comparto sociale nell’ambito di partenariati attivi con gli enti pubblici.
La partecipazione attiva della Regione Marche nell’iniziativa, con la direzione della P.F. Politiche Comunitarie ed il
coinvolgimento dei Servizi Sociali, Salute e Cooperazione regionale, ha permesso il raggiungimento di importanti risultati sia a livello transnazionale sia a livello locale.
Attraverso la cooperazione interregionale con altre realtà europee Partners del progetto, pur partendo da livelli di
competenza e di esperienza diversi, la Regione Marche ha condiviso metodi e strumenti che hanno dimostrato la
loro efficacia nel rafforzare la sostenibilità economica e lo spirito imprenditoriale delle imprese sociali, nonché nell’attivazione di partnership pubblico-private nei diversi contesti territoriali, favorendo lo scambio e il trasferimento di tali pratiche in contesti territoriali diversi.
A livello locale, attraverso il coinvolgimento degli stakeholders e degli operatori dell’economia sociale regionale, in
particolare nella riflessione sui modelli di successo nella cooperazione pubblico-privato, è stato approfondito il
dibattito sulla definizione di metodologie e strumenti che possano migliorare la risposta ai fabbisogni della comunità, garantendo un positivo e duraturo impatto dell’iniziativa PASE.
A questo proposito nel mese di maggio c.a., è stato organizzato un ciclo di incontri seminariali focalizzati sullo
sviluppo congiunto di nuove metodologie e strumenti di collaborazione tra ente pubblico e imprenditoria sociale,
con particolare riferimento alle procedure di affidamento dei servizi, a cui hanno attivamente partecipato sia referenti delle Istituzioni regionali sia rappresentanti del mondo della cooperazione sociale attiva sul territorio regionale.
Si è pertanto realizzata un’esperienza di costruttiva collaborazione e scambio su tematiche di interesse reciproco,
sia per la parte pubblica sia per il privato sociale, i cui risultati, di seguito esposti, sono indirizzati alla definizione
di indicazioni per lo sviluppo dell’economia sociale nella Regione Marche attraverso raccomandazioni condivise
sulle sfide che sia le Amministrazione pubbliche sia la cooperazione sociale sono chiamate ad affrontare in uno
scenario economico-sociale in continua evoluzione.
I risultati della sperimentazione PASE si sono pertanto arricchiti di un valore aggiunto dato dalla presente sintesi
ragionata, che ripercorre le principali risultanze dei seminari focalizzati su quattro tematiche connesse alla sussidiarietà orizzontale:
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■
Norme sui servizi sociali e legislazione a supporto dello sviluppo delle imprese sociali;
■ Analisi del mercato dei servizi per le imprese sociali;
■ Rapporti tra pubblica amministrazione e soggetti non profit nel sistema locale integrato dei servizi e degli
interventi sociali;
■ Impatto degli investimenti sociali sulla comunità locale (Social return on investment).
Grazie al contributo PASE, la Regione potrà ottimizzare gli spunti ricevuti per la produzione di atti regionali contenenti indicazioni operative riguardanti il rapporto tra modalità di affidamento dei servizi e prassi della co-progettazione partecipata con le realtà della cooperazione sociale attive sul territorio regionale.
Riconoscendo nell’impresa sociale un’importante protagonista dello sviluppo socio-economico regionale, la
Regione rinnova il suo impegno nella promozione di interventi volti a qualificare le imprese sociali, proponendosi obiettivi ambiziosi e di medio-lungo periodo, grazie al network consolidato sia a livello locale sia a livello europeo, funzionale anche allo sviluppo di future iniziative di respiro comunitario.
4
Mauro Terzoni
Dirigente PF. Politiche Comunitarie e Autorità di Gestione FESR e FSE
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
Il presente documento “Indicazioni per lo sviluppo dell’economia sociale nella Regione Marche” nasce come
report di sintesi frutto delle proposte operative discusse e delle principali risultanze emerse durante i seminari formativi/laboratori progettuali tenutisi nel mese di maggio 2011 nella Regione Marche.
I seminari formativi si sono configurati come dei laboratori progettuali (progettazione partecipata) volti all’approfondimento delle tematiche connesse alla sussidiarietà orizzontale con riferimento all’affidamento dei servizi alle
cooperative sociali nonché alla definizione di una o più proposte operative per la Regione Marche sui vari aspetti
connessi all’economia sociale. I laboratori progettuali avevano il duplice obiettivo di diffondere i risultati del progetto PASE “Politiche pubbliche e imprese sociali” (finanziato dal Programma Interreg IV C e promosso dalla
Regione Marche - Settore Politiche Comunitarie) e di promuovere, nel territorio regionale, percorsi di partecipazione partecipata tra pubblico e privato volti ad identificare proposte operative per la Regione Marche sullo sviluppo dell’economia sociale.
I seguenti temi sono stati oggetto di dibattito durante il ciclo seminariale:
1. Norme sui servizi sociali e legislazione a supporto dello sviluppo delle imprese sociali. Esperti: Antonella
Panetta (S. Elpidio a Mare) – Angela Genova (Ancona)
2. Analisi del mercato dei servizi per le imprese sociali. Esperto: Emmanuele Pavolini
3. Rapporti tra Pubblica Amministrazione e soggetti non profit nel sistema locale integrato dei servizi e degli
interventi sociali. Esperto: Ugo Ascoli
4. Impatto degli investimenti sociali sulla comunità locale (Social return on investment). Esperto: Emmanuele
Pavolini.
Ai laboratori progettuali hanno partecipato dirigenti, coordinatori, referenti delle seguenti categorie: Asur,
Cooperative Sociali, ATS, Regione Marche, Dipartimento per la Salute e per i Servizi Sociali P.F. Programmazione
Sociale e Servizio Industria, Artigianato, Istruzione Formazione, P.F. Cooperazione Settori Produttivi.
Dal confronto tra i rappresentanti della cooperazione con gli interlocutori istituzionali di pari livello, sono nate le
“indicazioni per lo sviluppo dell’economia sociale nella Regione Marche” il cui obiettivo generale è quello di fornire indicazioni e delineare una proposta condivisa sulle principali questioni aperte in merito alle politiche di sviluppo per l’impresa sociale. A tal scopo, il documento è stato integrato con alcuni dati di contesto sull’economia
sociale a livello nazionale e regionale.
Il documento vuole essere un prodotto che fornisce indicazioni per lo sviluppo dell’economia sociale intervenendo sia nei confronti della Pubblica Amministrazione per migliorare la “sensibilità sociale” nella gestione delle procedure, ma anche nei confronti delle Cooperative Sociali, per migliorare le loro competenze nella definizione delle
offerte di servizi, coerentemente con gli obiettivi del progetto PASE di cui la Regione Marche è ente promotore.
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CAPITOLO 1
L’ECONOMIA SOCIALE IN ITALIA
1.1. DEFINIZIONE
Il termine economia sociale definisce l’area dell’economia compresa fra quella privata, orientata alla crescita del
profitto, e quella pubblica di produzione di beni e servizi per la collettività.
L’economia sociale è definita1 come l’insieme di imprese private formalmente organizzate, dotate di autonomia di
decisione e libertà di adesione, create allo scopo di soddisfare le esigenze dei loro aderenti attraverso il mercato,
mediante la produzione di beni o la fornitura di servizi assicurativi, finanziari o di altro tipo, in cui il processo decisionale e l’eventuale distribuzione dei profitti e delle eccedenze tra i soci non sono legati direttamente al capitale
o alle quote versate da ciascun socio, ognuno dei quali ha diritto ad un voto2. L’economia sociale include anche
organizzazioni private, formalmente organizzate con autonomia decisionale e libertà di adesione che producono
servizi ‘non-market’3 per le famiglie e il cui utile non può essere ripreso dall’agente economico che ha creato, controllato o finanziato i servizi. L’economia sociale include, quindi, le esperienze di organizzazioni come le cooperative, le organizzazioni non governative e le fondazioni.
6
La definizione di impresa sociale elaborata alla fine degli anni Novanta dal network EMES4 (Borzaga, Defourny,
2001; Defourny, Nyssens, 2008) aiuta a fare chiarezza sul fenomeno identificando due criteri uno economico
imprenditoriale e l’altro sociale. Rispetto al primo l’impresa sociale deve soddisfare quattro requisiti:
• una produzione di beni e/o servizi in forma continuativa e professionale;
• un elevato grado di autonomia sia nella costituzione che nella gestione;
• l’assunzione da parte dei fondatori e dei proprietari di un livello significativo di rischio economico;
• la presenza, accanto a volontari o utenti, di un certo numero di lavoratori retribuiti.
La dimensione sociale identifica le seguenti caratteristiche:
• avere come esplicito obiettivo quello di produrre benefici a favore della comunità nel suo insieme o di gruppi svantaggiati;
1
2
3
4
CIRIEC Centre international de recherches et d’information sur l’économie publique, sociale et cooperative THE
SOCIAL ECONOMY IN THE EUROPEAN UNION, 2007
http://www.ciriec.ulg.ac.be/fr/telechargements/RESEARCH_REPORTS/EESC2007_%20EnglishReport.pdf
Questa definizione è ispirata ai criteri per la delimitazione del concetto di economia sociale stabiliti da Barea (1990 e
1991), Barea e Monzón (1995) e Chaves e Monzón (2000). Essa concorda pertanto sia con i criteri di delimitazione stabiliti dalle organizzazioni dell’economia sociale stesse (Carta del CNLAMCA, 1980; Conseil Wallon de l’Economie
Sociale, 1990; CCCMAF e CEPCMAF, 2000) che con le definizioni formulate nella letteratura in materia di economia,
compresi Desroche (1983), Defourny e Monzón (1992), Defourny (1999), Vienney (1999) e Demoustier (2003 e 2006).
Non-market services cover those services provided to the community as a whole free of charge, or to individual consumers either free of charge or at a fee which is well below 50 per cent of production costs. http://stats.oecd.org/glossary/detail.asp?ID=1812
Source: First EMES research project, as introduced by Defourny, J. (2001) “Introduction: from third sector to social
enterprise”, in Borzaga, C. & Defourny, J. (eds) The Emergence of Social Enterprise, London and New York: Routledge
(pp. 16-18).
C A P. 1 - L’ E C O N O M I A S O C I A L E I N I T A L I A
• essere un’iniziativa collettiva, cioè promossa non da un singolo imprenditore, ma da un gruppo di cittadini;
• avere un governo affidato esclusivamente o prevalentemente a portatori di interesse diversi dai proprietari
del capitale;
• garantire una partecipazione ai processi decisionali allargata, in grado di coinvolgere tutti o quasi i gruppi
interessati all’attività;
• prevedere la non distribuibilità degli utili, o al più una distribuibilità limitata, e quindi la loro assegnazione a
un fondo non divisibile tra i proprietari, sia durante la vita dell’impresa che in caso di suo scioglimento.
Per lo scopo di questo lavoro, la definizione originaria di EMES è stata riformulata in una definizione teorica semplificata che permette di meglio afferrare le dinamiche interne delle organizzazioni del terzo settore nei paesi e
analizzare una diversità di organizzazioni imprenditoriali che perseguono uno scopo sociale, comprese le iniziative dalle quali ci si aspetta che evolvano in imprese sociali. La definizione proposta intende includere un numero
di entità istituzionali che forniscono non solo servizi di welfare, ma anche servizi che soddisfano l’interesse generale, includendo fra gli altri la fornitura di acqua, il trasporto pubblico e l’elettricità. Infatti, i servizi di welfare e di
sviluppo locali sono particolarmente sviluppati nei paesi CEE e CIS, data la debolezza del ruolo del pubblico. Le
persone generalmente creano imprese sociali e le governano nel quadro di un progetto autonomo. Di conseguenza possono dipendere dal supporto pubblico, quando i servizi prodotti sono nell’interesse dell’autorità pubblica,
ma sono normalmente non gestiti, direttamente o indirettamente, da quelle autorità pubbliche o altre organizzazioni (federazioni, privati…). I proprietari hanno i diritti di ‘voce’, ma anche di ‘uscire’ (il diritto di prendere la loro
posizione e di terminare la loro attività).
Nel decennio 1990-2000 il concetto di impresa sociale è stato utilizzato in molti paesi europei per identificare
anche forme giuridiche diverse (es: associazioni senza scopo di lucro) impegnate soprattutto nell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e nella produzione di servizi alla persona per la comunità. Si è quindi avvertita l’esigenza di contemplare nella definizione di impresa sociale una tipologia di impresa più generale che prescindesse
da specificità culturali e normative nazionali. La definizione e la prospettiva culturale di impresa sociale che utilizzeremo non si limita quindi alla forma giuridica più nota in Italia, quella cioè della cooperativa sociale.
Utilizzeremo invece la definizione, elaborata alla fine degli anni ’90 dal network Emes, da Borzaga e Defourny,
maggiormente condivisa dagli studiosi e a cui si è ispirata la legislazione europea riguardante questa nuova forma
imprenditoriale.
1.2. IL CONTESTO NORMATIVO E LE TIPOLOGIE
1.2.1 Le leggi italiane: la difficoltà di definire i confini
L’area dell’economia sociale è stata regolata da provvedimenti normativi settoriali che ne hanno delimitato i campi
di azione e di riconoscimento5. L’Italia è stato il primo paese in Europa a sviluppare una specifica normativa sulla
cooperazione sociale nel 1991, la Legge 8 novembre 1991, n. 381, “Disciplina delle cooperative sociali”, che è stata
successivamente mutuata da altri paesi europei.
Nel 1991 è stata approvata la legge – quadro sul volontariato, legge 11 agosto 1991, n.266. Mentre nel 1997 è
entrata in vigore una specifica normativa sulle onlus, Decreto Legislativo 4 dicembre 1997, n. 460 “Riordino della
disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”.
Nel 2000 è stata approvata la legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema inte-
5
Borzaga, C-Fazzi, L (2011) “Le imprese sociali”, Roma, Carocci.
7
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grato di interventi e servizi sociali” e nello stesso anno sono state disciplinate le associazioni di promozione sociale con la legge 7 dicembre 2000, n. 383, “Disciplina delle associazioni di promozione sociale”.
Una radicale novità è rappresentata dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 “Disciplina dell’impresa sociale,
a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118”. L’impresa sociale viene distinta dalle forme di impresa tradizionale
per gli obiettivi, le forme di proprietà, i vincoli e le modalità di governance e di gestione che devono esulare la
massimizzazione dei vantaggi monetari e non, dei proprietari. Il decreto legislativo del 2005 sull’impresa sociale ha
avuto il merito di superare l’approccio settoriale che aveva caratterizzato la normativa italiana nel campo dell’economia sociale, ma lascia ancora non del tutto definiti i confini del fenomeno.
Possono conseguire il titolo di impresa sociale “le organizzazioni private, ivi comprese gli enti di cui al libro V del
codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione e
dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale”
(art.1,d.lgs.155/06). Possono quindi acquisire la qualifica:
• associazioni riconosciute e non, fondazioni, comitati.
• società (di persone e di capitali), le cooperative, i consorzi.
A definire un’impresa come sociale sono così sempre più spesso non i beni e i servizi prodotti, ma gli obiettivi e
le modalità con cui la produzione è realizzata. Sono quindi sempre più spesso considerate imprese sociali6 anche
le iniziative di finanza etica, di microcredito, di commercio equo e solidale e, più in generale, le iniziative produttive di beni e servizi, anche privati, che si propongono obiettivi diversi dal profitto dei proprietari, come la lotta
alla povertà e alla denutrizione7.
8
1.2.1. Le imprese sociali
Una delle fonti informative utilizzate per l’analisi del sistema delle imprese sociali in Italia e nelle Marche è stata
quella del Sistema Informativo Excelsior8 – realizzato da Unioncamere e dal Ministero del Lavoro – che rappresenta dal 1997 tra le maggiori fonti disponibili in Italia sui temi del mercato del lavoro e della formazione
(Unioncamere, Excelsior 2010). Delle circa 11.000 imprese sociali con personale alle dipendenze presenti in Italia
nel 2006, oltre il 90% di esse opera nei servizi, e in particolare nella sanità e assistenza sociale, dove si concentra
circa la metà di questa tipologia di imprese. Dal punto di vista dimensionale, le imprese sociali sono costituite in
maggioranza da piccole e medie realtà imprenditoriali (fino a 49 dipendenti), ma comprendono al loro interno
oltre 1.100 imprese che hanno da 50 a 249 dipendenti e 150 grandi aziende che superano tale soglia. Queste ultime due classi detengono, come si vedrà anche più avanti, due terzi del totale dei dipendenti. Tra il 2003 e il 2006,
le imprese sociali si sono accresciute del 30%.
6
7
8
Campedelli M., Fiorentini G. (2010) Impresa sociale. Idee e percorsi per uscrire dalla crisi. Edizioni Diabasis, Savigliano.
M. Yunus, Un mondo senza povertà, Feltrinelli, Milano 2008 (edizione originale: Vers un nouveau capitalisme, J.C. Lattès,
Paris 2008).
Attraverso l’indagine annuale Excelsior, inserita tra quelle ufficiali con obbligo di risposta previste dal Programma
Statistico Nazionale, vengono intervistate circa 100.000 imprese con almeno un dipendente per conoscerne in modo
analitico il fabbisogno di occupazione per l’anno in corso. I dati in tal modo raccolti forniscono una conoscenza aggiornata, della consistenza e della distribuzione territoriale, dimensionale e per attività economica della domanda di lavoro
espressa dalle imprese, nonché delle principali caratteristiche delle figure professionali richieste. Excelsior intende essere un utile strumento di supporto a coloro che devono facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Le principali tavole in formato html e l’intera base dati dell’indagine sono consultabili dal sito (v Bibliografia).
C A P. 1 - L’ E C O N O M I A S O C I A L E I N I T A L I A
QUOTA % DI DIPENDENTI NELLE IMPRESE SOCIALI SUL TOTALE DEI DIPENDENTI AL 31.12.2008, PER PROVINCIA (ESCLUSE AGRICOLTURA E PA)
9
Sotto l’aspetto occupazionale si stima che nelle imprese sociali siano impiegati a fine 2008 circa 325.000 dipendenti, di cui una quota preponderante (il 97% del totale) in imprese operanti nel campo dei servizi. Tra questi emergono i servizi sanitari e di assistenza sociale,in cui si concentra il 70% dell’occupazione (228mila dipendenti). Altre
attività di rilievo sono l’istruzione (30mila dipendenti, 9% del totale), i servizi operativi alle imprese e alle persone
(19mila, che comprendono soprattutto servizi di pulizia) e gli “altri servizi alle persone” (circa 16mila, operanti in
attività sportive, ricreative e culturali).
I dati mostrano due importanti caratteristiche delle imprese sociali: la maggiore concentrazione dell’occupazione
nel Nord Italia (oltre 60% del totale); il contributo occupazionale delle imprese di maggiori dimensioni (con almeno 50 dipendenti), nelle quali si concentrano circa due terzi di tutti gli occupati del settore.
Il 2,8% del totale dell’occupazione dipendente a livello nazionale, escludendo l’agricoltura e il settore pubblico,
opera nelle imprese sociali. La rilevanza delle imprese sociali risulta particolarmente evidente nelle attività sanitarie, socio assistenziali e dell’istruzione, nelle quali questo segmento detiene una quota pari rispettivamente al 56%
e al 29% sul complesso dei dipendenti dell’area privata di questi due settori, dove affianca e integra l’iniziativa spesso non sufficiente dell’operatore pubblico9.
9
Tratto da: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, 2009.
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La dinamica dell’occupazione dipendente nelle imprese sociali tra il 2003 e il 2008 mostra un incremento del 47%
circa nel numero di dipendenti delle imprese sociali, largamente superiore a quello di tutte le imprese italiane (+9%
circa). Tuttavia una parte presumibilmente rilevante di questo incremento è dovuta alla progressiva iscrizione nel
Registro Imprese di imprese sociali – anche grandi– già esistenti prima del 2003 e non ancora iscritte. Le assunzioni non stagionali previste dalle imprese sociali delle Marche nel 2009 erano pari a 640 unità di cui 250 ad
Ancona.
1.2.2. Le cooperative sociali
L’analisi delle esperienze di economia sociale in Europa e in Italia è resa particolarmente complessa per la difficoltà a definire in maniera chiara i suoi confini e per la mancanza di un sistema di raccolta dati sistematico e strutturato. In Italia le esperienze più significative di economia sociale possono essere considerate quelle delle cooperative sociali. I censimenti ISTAT presentano alcuni dati anche se in parte incompleti e non aggiornati.
10
La centralità delle cooperative sociali ha origine nella legge 381/1991 che istituiva le stesse cooperative sociali e
che ha avuto il pregio di introdurre un modello di partecipazione pubblico-privato con lo scopo fondamentale di
realizzare obiettivi sociali “tangibili” e di creare opportunità lavorative per le fasce deboli ed escluse dal mercato
del lavoro a causa di svantaggi “sociali”. Si è trattato di un’esperienza unica in Italia e in Europa di partenariato
pubblico-privato con ricadute importanti sulle politiche del lavoro e di emancipazione sociale. La legge delle cooperative sociali, infatti, sostiene che queste cooperative devono “perseguire il benessere sociale della popolazione”
e prevede due categorie. Le cooperative sociali di ‘Tipo A’, si occupano dei servizi socio-assistenziali-educativi, e
sono state negli ultimi due decenni lo strumento principe dell’esternalizzazione di tali servizi da parte della
Pubblica Amministrazione utilizzato a fini di contenimento dei costi. L’altra tipologia di cooperative, quelle di
‘Tipo B’, si occupa dell’inserimento lavorativo di categorie svantaggiate dal punto di vista socio lavorativo, fasce
deboli e di disabili e che rappresenta il settore a tasso di innovazione maggiore dell’economia sociale.
La crescita della cooperazione è stata molto lenta nel periodo dal 1951 al 1971, per poi essere invece più sostenuta con una particolare impennata negli anni Novanta. L’incremento accertato dell’occupazione nelle cooperative
nel decennio 1990 è stato del 60% circa, quadruplicando gli addetti alle cooperative sociali, da 27.510 a 149.147
nel 2001.
TABELLA 1 - COOPERATIVE SOCIALI PER PERIODO DI COSTITUZIONE, TIPOLOGIA E RIPARTIZIONE TERRITORIALE - ANNO 2005 (VALORI ASSOLUTI)
PRIMA DEL 1986
1986-1990
1991-1995
1996-2000
2001-2005
TOTALE
Tipo A
737
706
679
1.267
956
4.345
Tipo B
270
259
443
826
621
2.419
34
48
56
116
61
315
8
28
64
107
77
284
1.049
1.041
1.242
2.316
1.715
7.363
Nord-ovest
287
300
415
522
455
1.979
Nord-est
264
230
269
365
338
1.466
Centro
196
161
223
481
370
1.431
Mezzogiorno
302
350
335
948
552
2.487
1.049
1.041
1.242
2.316
1.715
7.363
Oggetto misto
Consorzio
Totale
RIPARTIZIONE TERRITORIALE
Italia
Fonte: Istat Le cooperative sociali in Italia, anno 2005
C A P. 1 - L’ E C O N O M I A S O C I A L E I N I T A L I A
TABELLA 2 - UTENTI, COOPERATIVE DI TIPO A E RISORSE UMANE PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE - ANNI
2005 (VALORI ASSOLUTI)
RIPARTIZIONI TERRITORIALI
Nord-ovest
UTENTI
COOPERATIVE
RISORSE UMANE
1.096.080
1.171
74.790
Nord-est
988.482
844
49.693
Centro
576.330
644
35.297
Mezzogiorno
Italia
641.659
1.686
40.722
3.302.551
4.345
200.502
Fonte: Istat Le cooperative sociali in Italia, anno 2005
TABELLA 3 - COOPERATIVE SOCIALI DI TIPO A PER SETTORE DI ATTIVITÀ PREVALENTE E REGIONE - ANNO
2005 (COMPOSIZIONI PERCENTUALI E VALORI ASSOLUTI)
RIPARTIZIONI
TERRITORIALI
CULTURA SPORT
E RICREAZIONE %
ISTRUZIONE
E RICERCA %
SANITÀ
%
ASSISTENZA
SOCIALE %
TOTALE
VALORE ASSOLUTO
MARCHE
9,4
27,4
10,4
52,8
106
Nord-ovest
11,8
19,6
11,4
57
1.171
Nord –est
10,9
31,5
8,5
48,4
844
Centro
11,2
22,3
10,1
56,4
644
Mezzogiorno
9,6
16,2
7,2
67
1.686
Italia
10,7
21
9
59,1
4.345
Fonte: Istat Le cooperative sociali in Italia, anno 2005
11
1.3. L’ECONOMIA SOCIALE NELLA RETE DELLE POLITICHE DI WELFARE
E DEI SERVIZI SOCIALI
La nascita e sviluppo dell’economia sociale è strettamente legata allo sviluppo delle politiche sociali. Le cooperative sociali rappresentano una delle prime forme strutturate di economia sociale in Italia. La loro genesi è da ricercarsi in azioni promosse da cittadini che non trovavano nello stato e nel mercato la risposta ai loro bisogni. La
maggior parte delle prime cooperative sociali è nata, infatti, per dare risposte a bisogni sociali non soddisfatti: servizi per rispondere ai processi di de-istituzionalizzazione e per favorire l’inserimento sociale di persone portatrici
di particolari fragilità.
La crisi di insostenibilità finanziaria del sistema di welfare ha promosso lo sviluppo dell’impresa sociale con una
sua piena legittimazione nella legge quadro 328/2000 per la costruzione del sistema integrato dei servizi sociali10.
In questo atto normativo fondamentale nella storia delle politiche sociali in Italia gli enti locali, le regioni e lo stato
sono chiamati a riconoscere e agevolare il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, la cooperazione, le
associazioni e gli enti di promozione sociale, le fondazioni, gli enti di patronato, le organizzazioni di volontariato,
gli enti riconosciuti delle confessioni religiose. Queste organizzazioni, infatti, vengono riconosciute come soggetti attivi del welfare che provvedono insieme ai soggetti pubblici alla progettazione, gestione e offerta dei servizi
sociali. Nell’articolo 5 della legge viene inoltre specificato che gli enti pubblici promuovono azioni per favorire la
trasparenza e la semplificazione amministrativa nonché il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che con-
10
Ascoli, U.-Ranci, C. ( a cura di) (2003), “Il Welfare Mix in Europa”, Roma, Carocci.
I N D I C A Z I O N I P E R LO S V I LU P P O D E L L’ E C O N O M I A S O C I A L E N E L L A R E G I O N E M A R C H E
sentono ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale. La legge attribuisce alle regioni la definizione di specifici indirizzi per regolamentare i rapporti
tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.
I soggetti dell’economia sociale ricoprono un ruolo fondamentale nel sistema dell’offerta dei servizi sociali in
Italia. la principale fonte di finanziamento delle attività delle cooperative sociali è rappresentata dal pubblico. Il
sistema delle relazioni fra pubblico e attori dell’economia sociale rappresenta un’area di studio ancora non adeguatamente esplorata. La mancanza di uno studio sistematico comparato delle relazioni fra attori pubblici e dell’economia sociale rende molto difficile ripercorrere i principali elementi che caratterizzano le diversità regionali. Le
diverse modalità di regolazione dell’economia sociale nei diversi contesti regionali rispecchiano, infatti, il ruolo
diverso che i singoli sistemi di welfare regionali attribuiscono all’economia sociale.
1.4. RISORSE ECONOMICHE E LE RELAZIONI
TRA ENTI LOCALI E TERZO SETTORE
Le imprese sociali esistono grazie alla loro capacità di reperire risorse da fonti differenti in relazione alle specifiche finalità e al contesto in cui agiscono. La sostenibilità finanziarie delle imprese sociali può infatti essere garantita da fonti di finanziamento diverse: il mercato, la domanda privata, la pubblica amministrazione, le donazioni di
denaro, il lavoro. La capacità di coordinare le diverse fonti di finanziamento per il perseguimento di obiettivi di
interesse sociale rappresenta una caratteristica delle organizzazioni impegnate nell’economia sociale.
12
TABELLA 4 - COOPERATIVE SOCIALI PER FONTE PREVALENTE DI FINANZIAMENTO E PROVINCIA - ANNO
2005
FONTE PREVALENTEMENTE PUBBLICA
FONTE PREVALENTEMENTE PRIVATA
TOTALE
Nord-ovest
61,3
38,7
1.979
Nord-est
56,3
43,7
1.466
Centro
62,8
37,2
1.431
Mezzogiorno
77,0
23,0
2.487
ITALIA
65,9
34,1
7.363
Fonte: Istat Le cooperative sociali in Italia, anno 2005
Il rapporto tra Enti locali e Terzo settore presenta oggi diversi aspetti problematici che necessitano di essere conosciuti e affrontati per garantire un adeguato sviluppo dell’economia sociale nei territori.
Una ricerca meritevole di attenzione è stata svolta dalla Auser nazionale IV Rapporto su enti locali e terzo settore che presenta dati aggiornati sulla distribuzione degli impegni di spesa11 nei comuni capoluogo di provincia con
popolazione superiore a 50 mila abitanti per gli anni 2004 e 2009 e analizza le caratteristiche principali di un cam-
11
La funzione “Servizi sociali” si compone di sotto-funzioni e in una pluralità di servizi articolati in: strutture residenziali e ricoveri per anziani; Asilo nido, servizi per l’infanzia e per i minori; Assistenza, beneficenza pubblica e servizi diversi alla persona. Una serie di problemi sono riscontrati nel sistema di contabilizzazione rappresentando un limite nell’analisi, ma nello stesso tempo è valutato in termini complessivi il contributo delle imprese sociali e delle associazioni del
terzo settore alla gestione degli interventi e servizi erogati dai comuni (Ricerca Auser 2011).
C A P. 1 - L’ E C O N O M I A S O C I A L E I N I T A L I A
pione di bandi di gara per l’affidamento e l’aggiudicazione dei servizi sociali, approvati e pubblicati sui siti web, dai
Comuni interessati all’indagine.
Alcuni dati nazionali: la ricerca Auser 201112
La ricerca dell’Auser sui comuni selezionati mette in evidenza una progressiva riduzione delle risorse dedicate al
sociale con un progressivo impoverimento dei servizi pubblici e l’innalzamento delle tariffe dei servizi.
La riduzione complessiva delle risorse incide in maniera molto forte sul rapporto fra attore pubblico e terzo settore, delineando una prospettiva di revisione dei rapporti fra i due soggetti.
In base ai dati rilevati presso i consuntivi 2009 dei comuni oggetto di indagine, attraverso il ricorso ad un indicatore grezzo (l’incidenza della spesa sociale destinata all’acquisto di prestazioni di servizi sul totale della spesa sociale corrente, rilevata attraverso i certificati di conto consuntivo) si evince come mediamente il 48,5% della spesa
comunale per i servizi sociali sia impiegata dai Comuni per affidare all’esterno, in particolare a favore delle imprese sociali e delle associazioni del territorio, la gestione di interventi e servizi sociali.
Questo fenomeno, cresciuto in modo considerevole negli ultimi due anni (dal 44,5% al 48,5% nel 2007/2009), a
seguito dell’inasprimento dei vincoli del Patto di stabilità nazionale, nonché in conseguenza dell’innalzamento dei
livelli della domanda sociale, presenta caratteristiche più marcate nei Comuni del Centro e del Sud (con punte del
75,5% in Basilicata).
Considerando la classificazione funzionale della spesa sociale, si nota come i settori d’intervento che assorbono le
quote maggiori di risorse destinate all’acquisto di prestazioni sociali, riguardino gli interventi per l’”assistenza e
beneficenza”, le strutture residenziali e dei ricoveri per anziani e i servizi per l’infanzia e gli asili nido.
La ricerca Auser valuta alcuni elementi fondamentali nella definizione del rapporto fra pubblico e terzo settore
attraverso l’analisi di 112 bandi di gara pubblicati nel periodo settembre 2010 - marzo 2011 e 96 determinazione
dirigenziali pubblicate dai Comuni appartenenti al medesimo campione di riferimento, per l’affidamento all’esterno di servizi sociali. In particolare gli aspetti presi in esame sono:
• la durata dell’appalto,
• l’importo a base d’asta,
• il criterio di aggiudicazione,
• i criteri di selezione dei partecipanti alla gara,
• i criteri di valutazione dell’offerta,
• le caratteristiche del rapporto fra ente committente e soggetto aggiudicatario per quanto riguarda la programmazione dei servizi, le attività di controllo dell’ente locale sulle attività svolte e la materia della tutela e della
sicurezza del lavoro.
I principali risultati rilevano che si tratta di selezioni pubbliche e “ristrette” (cioè con procedure negoziate e a licitazione privata) e di “affidamenti diretti”, in base alle quali i Comuni hanno poi trasferito alle imprese sociali e alle
associazioni di volontariato la gestione dei servizi alla persona (quali, ad esempio, l’assistenza domiciliare e l’educativa territoriale, l’asilo nido e la mensa, ecc.) e di altri servizi sociali, per una spesa totale prevista di 6,5 milioni
di euro.
Gli stanziamenti di spesa risultano assai frammentati: la spesa media per bando (per un totale di 5,8 milioni relativamente alle 112 procedure di gara attivate) è pari a 51.800 euro circa, al netto dei ribassi ottenuti dai Comuni
12
http://images.auser.it/f/entilocali/iv/ivrapportoentilocali.pdf.
13
I N D I C A Z I O N I P E R LO S V I LU P P O D E L L’ E C O N O M I A S O C I A L E N E L L A R E G I O N E M A R C H E
nella fase di aggiudicazione), con una forte variabilità territoriale. Particolarmente significativo è il numero degli
affidamenti diretti, pari a 88 (per un importo medio di circa 8.100 euro ciascuno), di cui ben 64 sono rivolti alle
associazioni di volontariato per la gestione di servizi sociali cosiddetti integrativi.
Pur non potendo operare un confronto diretto e omogeneo tra le rilevazioni effettuate negli ultimi tre anni, si ha
l’impressione come negli ultimi mesi sia cresciuto in modo considerevole il ricorso alle organizzazioni di volontariato da parte delle amministrazioni pubbliche locali. Ciò probabilmente allo scopo di contenere la spesa sociale a
fronte della progressiva riduzione delle risorse pubbliche, tenuto conto che le associazioni si avvalgono di norma
di prestazioni volontarie e gratuite dei propri soci; mentre, come è noto, le cooperative sociali e le imprese profit
utilizzano manodopera retribuita.
Osservando la composizione percentuale delle procedure di affidamento dei servizi sociali, si ha che l’affidamento diretto viene scelto soprattutto al Sud e nelle Isole (con percentuali che superano il 30%), meno nelle aree del
Nord – Ovest (18%). Si stima che, su un totale di 93 euro pro capite impegnati nel 2009 dai Comuni capoluogo
di provincia e con più di 50mila abitanti per l’acquisto di prestazioni sociali, circa il 25% delle risorse vengano
impiegate attraverso affidamenti diretti a cooperative sociali e ad associazioni, in assenza di gare ad evidenza pubblica e di selezioni o procedure negoziate.
Sulla base dell’analisi dei bandi, dei capitolati di appalto e di ulteriori dati rilevati presso i Comuni, la gestione della
spesa sociale comunale affidata all’esterno risulta principalmente a favore delle cooperative sociali, soprattutto nel
Nord-Ovest Italiano (79%). Le Associazioni di Volontariato risultano affidatarie dei servizi sociali principalmente
al Sud (28%) e nelle Isole (26%).
1.5. L’AFFIDAMENTO FRA AUTONOMIA REGIONALE
E VINCOLI EUROPEI E NAZIONALI
14
La riforma del titolo V della Costituzione, con la relativa autonomia legislativa alle regioni nel campo delle politiche sociali, ha legittimato il moltiplicarsi di politiche sociali e di esperienze diverse di economia sociale. L’analisi
delle esperienze di regolazione dell’economia sociale a livello regionale è, inoltre, resa più complessa dalla frammentazione dei relativi atti normativi. L’economia sociale, infatti, in molte regioni è oggetto di specifici atti normativi di promozione, sostegno e sviluppo, ma nello stesso tempo la sua complementarietà con le politiche sociali ha determinato il proliferare di atti regolativi sia all’interno delle leggi regionali specifiche sul sistema sociale che
in documenti ad esse complementari, come i regolamenti attuativi. Il panorama regionale della regolazione dell’economia sociale è molto diversificate e meriterebbe uno specifico studio dedicato. A scopo esemplificativo analizziamo alcune esperienze regionali particolarmente significative e mettiamo in evidenza alcune criticità riscontrate nel sistema di governance multilivello italiano.
Uno degli aspetti più dibattuti dell’economia sociale è rappresentato dal sistema di relazioni fra attori pubblici e
dell’economia sociale. Su questo tema confluiscono i vincoli normativi europei in tema di appalti, le potenzialità
e i limiti delle leggi italiane di settore e l’originalità e autonomia delle regioni alle prese con sperimentazioni di sussidiarietà verticale ed orizzontale.
La normativa europea sembra muoversi su due linee diverse. Da una parte, sostiene l’applicazione dei principi generali comunitari a tutela della concorrenza del mercato e per il mercato anche nel settore dei servizi sociali e sociosanitari tutte le volte che il soggetto pubblico si avvale nell’erogazione del servizio di soggetti privati che operano
in un potenziale mercato. Dall’altra, riconoscendo il valore e le potenzialità dell’economia sociale, sostiene una sua
crescita e sviluppo attraverso la valutazione degli aspetti sociali nelle procedure di affidamento ai servizi13 ().
13
Si veda a questo proposito il documento “Linee Guida sui criteri di valutazione degli aspetti sociali nelle procedure di
affidamento dei servizi” a cura di Liliana Leone. Le Linee Guida sono state realizzate nell’ambito del Progetto PASE
C A P. 1 - L’ E C O N O M I A S O C I A L E I N I T A L I A
L’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture ha realizzato un’indagine sugli affidamenti di servizi socio-sanitari ed educativi da parte delle Aziende sanitarie locali. Su 42 Asl al vaglio dell’Autorità
sono state trovate irregolarità negli affidamenti per 35 di esse. Sono stati esaminati in totale 291 contratti per un
importo complessivo di 311.455.845,76 euro.
Le regioni italiane sembrano rispondere in maniera molto eterogenea a queste sollecitazione europee: relegando il
tema dello sviluppo dell’economia sociale a un ruolo marginale nell’agenda politica o rivendicando uno spazio di
autonomia legittimata dalla piena realizzazione del principio di sussidiarietà. Il tema è estremamente controverso.
In questa parte del lavoro prendiamo in esame i provvedimenti normativi di due regioni selezionate perché i relativi sistemi di affidamento sono stati recentemente oggetto di specifiche osservazioni da parte dell’Autorità di
Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture14. Segnaliamo, in particolare, il quadro regolativo veneto e i relativi commenti fatti dall’Autorità di vigilanza per gli aspetti analizzati, che possono essere considerati particolarmente esemplificativi delle criticità rilevate nei sistemi regionali di regolazione.
VENETO
La legge regionale 3 novembre 2006, n. 23 “Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale”,
in modo non conforme alle indicazioni nazionali, consente espressamente l’affidamento diretto dei servizi alla persona a Cooperative sociali. Come previsto dalla delibera Giunta Regionale 18 dicembre 2007, n. 4189, per l’affidamento di servizi alla persona a favore di Cooperative sociali di tipo “A” si può ricorrere all’affidamento in convenzionamento diretto, sia per servizi sotto che sopra soglia di rilievo comunitario, mentre per le Cooperative
sociali di tipo “B” il convenzionamento è previsto per servizi sotto soglia. Il Settore Servizi Sociali dei singoli
comuni invitano quindi una o più cooperative, a seconda del tipo di attività svolta, per verificare la possibilità di
convenzionamento diretto per l’espletamento di un determinato servizio, tenendo presente l’ambito di attività
dichiarato da ciascuna cooperativa.
La legge dispone che per l’affidamento dei servizi, l’offerta presentata sia valutata in base ad elementi oggettivi
diversi dal solo criterio del massimo ribasso; in particolare, per i servizi alla persona e per la fornitura di beni e servizi socio-sanitari, assistenziali ed educativi, tra gli elementi oggettivi, particolare rilievo è attribuito al “radicamento costante nel territorio e al legame organico con la comunità locale di appartenenza finalizzato alla costruzione
di rapporti con i cittadini, con i gruppi sociali e con le istituzioni” (cfr. art. 12 lett. a).
Nell’atto normativo si riscontra, inoltre, l’intento di estendere l’utilizzo del convenzionamento diretto alla gestione dei servizi socio-sanitari, inclusi quelli di importo superiore alle soglie comunitarie. Questa modalità di affidamento, che non è prevista in questi casi dalla disciplina nazionale sulle cooperative sociali, risulta comunque legittima sulla base dell’art. 117 della Costituzione e la relativa competenza legislativa regionale esclusiva attribuita nella
materia dei servizi sociali e dell’art. 118 che “afferma il principio di sussidiarietà orizzontale che può consentire di
delineare un nuovo quadro di riferimento per la gestione dei servizi sociali, all’insegna della partecipazione delle
formazioni sociali alla funzione pubblica sociale e di definire nuovi e alternativi modelli di rapporto tra pubblico
e privato non profit”.
14
“Politiche pubbliche e imprese sociali” finanziato nell’ambito del Programma di Cooperazione Interregionale INTERREG IVC (Priorità “Innovazione ed economia della conoscenza”), di cui la Regione Marche è Ente promotore. Giugno
2011. http://www.istruzioneformazionelavoro.marche.it/ProgettiComunitari/pase.asp.
Si veda nell’allegato D la posizione dell’autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
15
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L’estensione è conforme anche al codice dei contratti (sempre in base alle considerazioni contenute nel provvedimento in esame), in quanto per i servizi di cui all’allegato II B, tra i quali sono inclusi anche quelli socio-sanitari, l’art. 20 codice dei contratti stabilisce che si applicano esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 68 (specifiche tecniche), 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati). Alla luce di queste considerazioni, secondo la delibera regionale, l’obbligo di invito ad almeno 5 concorrenti, di cui all’art. 27 del codice “Principi relativi ai contratti esclusi” costituirebbe una mera facoltà dell’affidante e
non un obbligo.
La sottoscrizione della convezione è il risultato di una procedura che prevede una breve indagine di mercato ed il
successivo invito al soggetto (o ai soggetti) individuato ed interessato a presentare un progetto. È opportuno evidenziare che nella delibera si sottolinea che – non esiste un numero minimo di potenziali affidatari da invitare e
che la scelta del contraente dovrà avvenire sulla base dei criteri indicati dalla legge n. 23, tra i quali quello del “radicamento costante nel territorio” (art. 12)
La valutazione dell’AVCP della normativa della Regione Veneto
16
a) L’evidenza pubblica per art. 5 381/1991
La disciplina contenuta nell’art. 5 della legge n. 381/1991 ha carattere assolutamente eccezionale e non può consentire una completa deroga al generale obbligo di evidenza pubblica, tutte le volte in cui si tratta di affidare un
servizio ad una cooperativa sociale, infatti, la disposizione individua chiaramente dei limiti relativi sia all’oggetto
che al valore dell’affidamento, oltre che ai requisiti dell’affidatario.
Non può, quindi, ritenersi legittima l’estensione operata in ambito regionale di un istituto introdotto a livello
nazionale in deroga alle regole sull’evidenza pubblica ed al quale deve riconoscersi carattere di regime speciale di
stretta interpretazione.
b) I laboratori protetti
Non può ritenersi consentito limitare alle sole cooperative sociali l’ammissione ad una gara che sia d’importo superiore alla soglia comunitaria, come invece sembra persino “prescritto” nella delibera per gli appalti di servizi che
possono essere eseguiti dalle cooperative di tipo B.
c) Gare per sole cooperative sociali
Il principio secondo il quale non può ritenersi consentito limitare alle sole cooperative sociali l’ammissione ad una
gara che sia d’importo superiore alla soglia comunitaria è chiaramente espresso anche nella “Guida per la qualità
e l’efficienza dei servizi di interesse generale” (SEC(2010) 1545 final) pubblicata il 28.01.2011, dove è trattato il
tema dell’applicazione delle regole del mercato interno e della direttiva “Servizi” ai servizi sociali. Il documeto
europeo, salvo particolari eccezioni, non ritiene ammissibili come criteri di selezione dei soggetti che operano nel
settore dei servizi sociali, il radicamento nel territorio e il legame con la comunità locale, definito familiarity with
the local context.
d) Le conclusioni dell’AVCP sulla normativa del Veneto
La disciplina in tema di affidamenti alle cooperative sociali come quella adottata dalla Regione Veneto (DGR 18
dicembre 2007, n. 4189) che incentiva l’utilizzo di strumenti alternativi all’appalto, quali il convenzionamento diretto, oltre i limiti di cui all’art. 5 della legge n. 381/1991, appare in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria in materia di contratti pubblici. Non può, inoltre, ritenersi legittima una disciplina regionale che sembra consentire alle amministrazioni procedenti di riservare la partecipazione alle gare alle sole cooperative sociali iscritte
nei relativi Albi.
C A P. 1 - L’ E C O N O M I A S O C I A L E I N I T A L I A
La regolazione dell’economia sociale nella Regione Puglia: alcune considerazioni
dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici
L’autorità per la vigilanza sui contratti pubblici sulla base delle considerazioni elaborate in merito al rapporto tra
legislazione nazionale e quella della regione Veneto, fornisce alcune brevi riflessioni anche sulla legge della regione Puglia in materia di cooperative sociali. L’art. 6 della legge regionale n. 21/93 prevede che “Gli Enti pubblici
possono, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della Pubblica Amministrazione, stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui al 2° comma del precedente art. 2, per la fornitura di beni
e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, purché finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate”. L’AVCP sostiene che si deve ritenere che la richiamata previsione possa essere applicata solo ad
affidamenti di importo inferiore alla soglia comunitaria, come previsto dalla legislazione nazionale, sebbene tale
precisazione non sia indicata nella stessa disposizione. Peraltro, se può proporsi un’interpretazione del comma 2
dell’art. 6 coerente con i limiti posti dalla legislazione nazionale, non può in alcun modo ritenersi in linea con la
legge 381/91 la disposizione di cui al comma 3 del citato art. 6, secondo il quale “L’Amministrazione regionale,
gli Enti pubblici territoriali e gli Enti pubblici sottoposti alla vigilanza dell’Amministrazione regionale possono
affidare in concessione alle cooperative iscritte all’Albo di cui al precedente art. 2 e ai consorzi di cui all’art. 8 della
legge 8 novembre 1991, n. 381 la realizzazione di opere pubbliche e la gestione di servizi pubblici diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, mediante convenzioni finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui al 2° comma dell’art. 2 della presente legge”. Infatti, come già chiarito innanzi, le convenzioni ex
art. 5 della legge n. 381/1991 possono avere ad oggetto la fornitura di beni e servizi - diversi da quelli socio-sanitari ed educativi di importo sottosoglia – in favore dell’amministrazione richiedente e non già la concessione di
servizi pubblici o comunque di servizi al pubblico riconducibili all’art. 30 del codice dei contratti, per i quali la controprestazione consista nel diritto di gestire il servizio.
La regolazione dell’economia sociale nella regione Lazio: alcune considerazioni
dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici
Analoghe considerazioni devono essere svolte in merito alla disposizione di cui all’art. 9, comma 6 della L.R. n.
24/96, che esplicita che “qualora sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale, previste nelle
convenzioni tipo, la gestione dei servizi e la fornitura di beni di cui al comma I può essere affidata in concessione”. Vero è che, a differenza della legge regionale della Puglia, in cui la scelta dell’affidamento in concessione pare
essere rimesso alla piena discrezionalità dell’Ente affidante, qui le ipotesi di affidamento in concessione sarebbero quantomeno subordinate ad una preliminare valutazione di carattere tecnico-economico e di opportunità sociale. Tuttavia neanche con tale delimitazione la concessione risulta compatibile con la ratio della legge n. 381/91,
che non contempla ipotesi di affidamento in gestione di servizi diversi da quelli strumentali all’attività dell’Ente
richiedente.
17
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CAPITOLO 2
L’ECONOMIA SOCIALE NELLE MARCHE
Il contesto regolativo, il sistema di welfare e le capacità innovative degli attori dell’economia sociale contribuiscono a delineare un quadro caratterizzato da dinamicità, criticità, potenzialità e sfide per lo sviluppo dell’economia sociale nella regione. Nella prima parte di questo capitolo analizziamo brevemente i dati relativi
alla cooperazione sociale così come raccolti dall’indagine Istat del 2005, e analizziamo i dati relativi al ruolo
che i diversi protagonisti dell’economia sociale hanno nella titolarità e gestione degli interventi e servizi sociali nella regione. Nella seconda parte del capitolo presentiamo i principali elementi che caratterizzano l’attuale contesto regolativo dell’economia sociale e le considerazioni emerse dai seminari PASE. Nell’ultima parte
deliniamo le principali sfide per lo sviluppo dell’economia sociale nelle Marche sulla base di quanto emerso
dai seminari.
2.1 LA RILEVANZA DELLE COOPERATIVE NELLE MARCHE
18
Nella regione Marche i dati sulle cooperative sociali presentano un quadro coerente con l’andamento delle altre
regioni del centro15. La provincia di Pesaro Urbino e quella di Ascoli Piceno sono quelle che si distinguono
per un maggiore numero di cooperative per abitanti. Complessivamente le cooperative di tipo A sono in numero superiore a quelle B e si rileva una crescita particolarmente significante nella seconda metà degli anni
Novanta.
TABELLA 5 - COOPERATIVE SOCIALI PER PROVINCIA - ANNO 2005
NUMERO
COOPERATIVE OGNI
100.000 ABITANTI
TIPO A
TIPO B
CONSORZIO
Pesaro Urbino
53
14,4
28
24
1
Ancona
60
12,9
29
27
4
Macerata
26
8,3
17
9
0
Ascoli Piceno
52
13,7
32
18
2
Marche
191
12,5
106
78
7
PROVINCE
Fonte: Istat Le cooperative sociali in Italia, anno 2005
TABELLA 6 - COOPERATIVE SOCIALI PER PERIODO DI COSTITUZIONE NELLE MARCHE - ANNO 2005
TEMPI
n. cooperative
PRIMA DEL 1986
1986-1990
1991-1995
1996-2000
2001-2005
TOTALE
22
16
34
65
54
191
Fonte: Istat Le cooperative sociali in Italia, anno 2005
15
Fonte: http://www.istat.it/dati/catalogo/20080807_03/inf_08_04le_cooperative_sociali_italia05.pdf.
C A P. 2 - L’ E C O N O M I A S O C I A L E N E L L E M A R C H E
TABELLA 7 - LE COOPERATIVE SOCIALI IN ITALIA NEL 2001 ERANO 5.515
REGIONI
Italia
MARCHE
2001
2005
COOP OGNI 100.000 ABITANTI
5.515
7.363
12,5
148
191
12,5
Fonte: Istat Le cooperative sociali in Italia, anno 2005
2.2 SOGGETTI TITOLARI E GESTORI NEI SERVIZI SOCIALI
Le relazioni fra soggetti pubblici e soggetti dell’economia sociale nel campo dei servizi sociali nelle Marche
permette di mettere in luce alcuni dati relativi al loro ruolo nel sistema delle politiche sociali regionali e il loro
rapporto16. L’analisi della natura giuridica dei titolari dei servizi nella regione Marche rileva una complessiva
dominanza di soggetti pubblici. Si tratta principalmente di singoli comuni che sono i titolari di 2209 fra interventi e strutture, mentre solo 235 sono quelli i cui titolari sono comuni associati. I comuni singoli o associati rappresentano complessivamente il 65% dei titolari di interventi e strutture. Considerando anche le IPAB
e le ASUR i soggetti titolari con natura giuridica pubblica raggiungono il 72% del totale degli interventi e
strutture.
Le aree vaste (AV)17 di Macerata (11%) e Ascoli Piceno (7,8%) presentano una percentuale di interventi e strutture, i cui titolari sono comuni associati, superiore a quella di Pesaro (4,2%) e Ancona (2,6). Nell’AV di Macerata
sono in particolare le Comunità Montane di Camerino e delle Alte Valli del Potenza che si distinguono per la
gestione associata. Nell’AV di Ascoli Piceno, invece, è l’esperienza di Porto Sant’Elpidio a presentare il numero
maggiore di servizi i cui titolari sono comuni associati.
19
TABELLA 8 - TITOLARE: NATURA GIURIDICA PUBBLICA PER AREE VASTE. TOTALE INTERVENTI E
STRUTTURE AL 31/12/2008
COMUNE
SINGOLO
AV
COMUNE
TOTALE
ASSOCIATO
IPAB
ASUR
ALTRO ENTE
TOTPUB
PUBBLICO
TOTALE
PU %
68,5
4,2
72,7
0,9
3,1
0,6
77,3
1042
AN %
53,3
2,6
55,9
4,6
2,8
2,1
65,5
993
MC %
53,0
11,1
64,0
2,7
4,9
0,8
72,4
931
AP %
59,5
7,8
67,3
3,4
2,5
0,9
74,1
795
Totale Regione %
58,8
6,2
65,0
72,3
3761
Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio Regionale Politiche Sociali Regione Marche
Gli interventi e le strutture il cui titolare ha natura giuridica privata rappresentano poco meno di un quarto del
totale degli interventi e strutture nella regione. I diversi protagonisti dell’economia sociale hanno complessivamente la stessa rilevanza intorno al 4% del totale degli interventi e servizi, ma si riscontra una differenza territoriale
significativa. Nell’AV di Macerata dominano le associazioni che sono più del doppio di quelle di Pesaro - Urbino
e Ascoli Piceno. Gli enti religiosi sono invece sovra-rappresentati nell’AV di Pesaro, Ancona e Ascoli Piceno, ma
sono sottodimensionati in quella di Macerata.
16
17
Quaderni della Ricerca Sociale 8. Analisi delle struttura e dell’occupazione del settore dei servizi sociali nella regione
Marche. Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pp. 24-30 http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/5036CA69184B-4821-B14F-6F65B69B6EE8/0/Quadernodiricercasociale8ProfessionisocialiRegioneMarche.pdf (22/07/2011).
Le Aree Vaste coincidono con le quattro provincie di Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno.
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TABELLA 9 - TITOLARE: NATURA GIURIDICA PRIVATA PER AREE VASTE. TOTALE INTERVENTI E STRUTTURE
AL 31/12/2008
AV
ASS
ORG
DI VOL
COOPERATIVE
ENTE
SOCIALI
RELIGIOSO
IMPRESA
PRIVATA
ALTRO ENTE
TOT
PRIVATO
PRIVATO
NAT GIUR
NON INDICATA
TOT
% PU
2,9
5,4
3,6
6,0
3,3
0,5
21,7
1,1
1042
% AN
4,7
7,7
5,8
5,9
4,0
2,9
31,1
3,4
993
% MC
8,7
3,4
3,0
3,3
4,0
i0,2
22,7
4,9
931
% AP
2,9
2,0
4,4
5,5
3,6
0,6
19,1
6,8
795
4,8
4,8
4,2
5,2
3,7
1,1
23,9
3,9
3761
TOTALE
REGIONE
Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio Regionale Politiche Sociali Regione Marche
L’analisi dei soggetti gestori dei servizi rileva un’inversione di tendenza rispetto ai soggetti titolari, essendo i soggetti pubblici inferiori rispetto a quelli privati, confermando una preferenza per l’esternalizzazione nella gestione
delle strutture e interventi regionali. Il 42% del totale di interventi e strutture è gestito da un soggetto pubblico,
mentre il 47% da uno privato. Particolarmente elevata (10,6%) è la percentuale di servizi e strutture il cui gestore
non è indicato. Questo dato necessiterebbe un ulteriore approfondimento.
Le Ipab rappresentano complessivamente il 3% dei soggetti gestori con una maggiore concentrazione nell’AV di
Ancona riconducibile alla loro elevata presenza nell’Ambito Territoriale Sociale (ATS) di Osimo (36 IPAB). Un
sottodimensionamento caratterizza, invece, l’AV di Pesaro. L’ASUR presenta valori percentuali pari a quelli delle
IPAB, e una maggiore omogeneità territoriale, con l’eccezione dell’AV di Macerata (4,5%) in cui i valori sono superiori alla media regionale (3%).
20
TABELLA 10 - GESTORE: NATURA GIURIDICA PUBBLICA PER AREA VASTA AL 31/12/2008
AREA VASTA
VASTA
COMUNE
SINGOLO O
ASSOCIATO
IPAB
ASUR
ALTRO
ENTE
PUBBLICO
MISTA
ENTI
PUBBLICI
TOTALE
NAT GIUR
PUBBLICA
TOT. PUB
+ PRIV.
+ N.I.
%PU
40,4
0,9
2,7
1,2
0,0
45,1
1.042
%AN
28,2
5,5
3,0
1,4
0,0
38,2
993
%MC
36,8
2,6
4,5
1,3
0,0
45,2
931
%AP
33,1
3,4
2,3
0,6
0,0
39,4
795
34,8
3,1
3,1
1,1
0,0
42,1
3761
TOTALE
REGIONE
Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio Regionale Politiche Sociali Regione Marche
Fra i soggetti gestori le cooperative sociali ricoprono un ruolo preponderante, rappresentando a livello regionale
il 21% dei soggetti gestori di interventi e strutture. Una concentrazione superiore alla media regionale di cooperative si riscontra nell’AV di Pesaro e di Ascoli Piceno con picchi particolarmente significativi, superiori al 35% di
interventi e strutture complessivi, negli ATS della Comunità Montana (CM) del Catria e Nerone, CM alta val
Marecchia, San Benedetto del Tronto, Camerino e Porto sant’Elpidio.
I dati delle associazioni presentano un andamento inverso rispetto a quello delle cooperative. Rappresentano a
livello regionale quasi l’8% dei soggetti gestori complessivi con un sovradimensionamento nell’AV di Macerata
attribuibile in maniera dominante all’ATS di Macerata e di Civitanova Marche. Sono invece sottodimensionate
nell’AV di Ascoli Piceno e di Pesaro.
C A P. 2 - L’ E C O N O M I A S O C I A L E N E L L E M A R C H E
Le organizzazioni di volontariato sono 7% dei soggetti gestori del totale degli interventi e strutture della regione.
Una maggiore concentrazione si riscontra nell’AV di Ancona riconducibile al significativo ruolo ricoperto dalle
associazioni nella gestione dei servizi nell’ATS capoluogo di regione (20,6%). Un valore inferiore alla media regionale contraddistingue l’AV di Ascoli Piceno (4,5%), mentre le restanti sono nella media. Si distingue l’ATS di Fano
dove il 10% del totale dei servizi è gestito da organizzazioni di volontariato.
Gli enti religiosi complessivamente rappresentano il 5,2% dei soggetti gestori di servizi. Leggermente superiore
alla media si presenta l’AV di Pesaro (6,4%) grazie al ruolo sovradimensionato dell’ATS di Fano (13,5%). Si distingue inoltre l’ATS di Ascoli Piceno (16 %) e quello di Fabriano (10%).
Le imprese private hanno un ruolo marginale nella gestione degli interventi e strutture rappresentando il 4,2% del
totale dei gestori. Le AV presentano valori piuttosto simili, mentre alcune differenze significative si riscontrano a
livello di ATS. In particolare nell’ATS V della CM del Montefeltro raggiungono il 13% del totale dei soggetti gestori, e il 9% in quello di Ancona e di Civitanova Marche.
TABELLA 11 - GESTORE: NATURA GIURIDICA PRIVATA PER AREA VASTA AL 31/12/2008
AREA
VASTA
ASS
ORG
DI VOL
COOP
SOC
ENTE
RELIG
IMP
PRIV
%PU
6,9
7,2
25,4
6,4
3,9
ALTRO
MISTA
TOT NAT NAT GIUR
TOT PUB
ENTE PRIV ENTI PRIV GIUR PRIV NON NOTA +PRIV+ N.I.
0,8
1,0
51,6
3,3
1.042
%AN
7,7
9,9
17,7
5,5
3,9
3,2
0,3
48,2
13,6
993
%MC
11,2
7,2
17,5
3,1
5,2
0,4
0,4
45,0
9,8
931
%AP
4,5
4,5
24,3
5,4
3,8
0,6
0,0
43,1
17,5
795
TOTALE
REGIONE %
7,7
7,3
21,2
5,2
4,2
1,3
0,5
47,3
10,6
3.761
Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio Regionale Politiche Sociali Regione Marche
2.3 L’ECONOMIA SOCIALE E GLI ATTORI PUBBLICI:
UNA RELAZIONE IN DIVENIRE
L’economia sociale gioca un ruolo fondamentale nella rete delle politiche e dei servizi sociali del territorio, e rappresenta anche un sistema di occupazione e di sviluppo territoriale. L’assetto regolativo dell’economia sociale incide significativamente sulle sue possibilità di sviluppo e per la promozione di un rapporto maturo e dinamico fra
attore pubblico e dell’economia sociale, così come emerso in diversi momenti di discussione organizzati dalla
Regione Marche. In particolare riprendiamo sinteticamente alcuni dei principali elementi che emergono da tre
occasioni di confronto strutturato nella regione sul tema:
1. Le linee guida regionali, del 2006, sui rapporti fra pubblica amministrazione e soggetti non profit nel sistema locale integrato dei servizi e degli interventi sociali, che rappresenta un documento complementare al percorso di definizione della legge regionale sul sistema dei servizi sociali nel quadro delle L.328/2000, ma mai
trasformato in atto amministrativo18;
2. I documenti elaborati e discussi nel seminario di Osimo, realizzato a febbraio 201019;
18
19
Si veda l’allegato A “Verso la legge regionale sul sistema dei servizi sociali nel quadro della legge n. 328/2000. Linee
guida regionali sui rapporti fra pubblica amministrazione e soggetti non profit nel sistema locale integrato dei servizi e
degli interventi sociali”. Il documento non è mai stato trasformato in atto amministrativo). Si precisa che i riferimenti
normativi non sono aggiornati.
Si veda l’allegato C. “Il contesto normativo e lo stato dell’arte a livello regionale circa possibili innovazioni della normativa regionale”.
21
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3. Le riflessioni emerse nell’ambito dei seminari PASE, realizzati a maggio 2011, che saranno discusse nel paragrafo 3.
2.3.1. Linee guida regionali sui rapporti fra pubblica amministrazione
e soggetti non profit
Queste linee guida forniscono, con molta chiarezza, alcune indicazioni tecnico giuridiche sulle modalità con le
quali strutturare il rapporto fra pubblica amministrazione e soggetti non profit. In particolare, presentano una sintesi ragionata sui principali strumenti regolativi mettendone in evidenza le relative potenzialità e limiti in una prospettiva che tiene conto del contesto normativo europeo, italiano e dell’autonomia regionale.
Il documento si articola:
• in una prima parte dedicata ad una riflessione sull’affidamento e l’acquisto di servizi sociali non solo attraverso lo strumento tradizionale dell’appalto, ma introducendo la modalità, in genere scarsamente utilizzate
dalle amministrazioni, dell’istituto della concessione;
• la seconda parte dedicata invece alla sussidiarietà ed ai suoi strumenti illustrando nel dettaglio la natura giuridica dei rapporti di sostegno e di collaborazione, i loro profili procedurali e le regole.
Il documento contiene, inoltre, un importante allegato che riporta un esempio di capitolo normativo da inserire
nei piani di ambito sociale dove viene illustrato nel dettaglio il percorso da seguire per rendere i tavoli di concertazione veri luoghi di co-progettazione.
22
In questo paragrafo ripercorriamo molto sinticamente le principali modalità di regolazione dei rapporti fra pubblica amministrazione e soggetti dell’economia sociale così come presentati nel documento del 2006.
L’Amministrazione ha a disposizione due opportunità: quella di applicare la normativa nazionale o comunitaria
relativa alle procedure per l’aggiudicazione di appalti, ovvero di individuare di volta in volta (o in un proprio atto
regolamentare) procedure alternative, le concessioni. Queste ultime devono comunque essere rispettose dei
principi comunitari e delle procedure concorrenziali: le proposte degli aspiranti concessionari dovranno, quindi,
essere poste in competizione fra loro.
Vengono inoltre evidenziati i seguenti aspetti:
1. La concessione instaura tra Amministrazione e concessionario un rapporto di diritto pubblico che permette
alla prima di mantenere, una posizione di supremazia nei confronti del concessionario, a differenza di quanto avviene nell’appalto.
2. In attesa dell’intervento legislativo della Regione, gli Enti locali, potranno, comunque, sperimentare anche nei
servizi sociali l’“accreditamento”che, come previsto dal D. Lgs. n. 502/1992 ha natura concessoria.
3. Nel caso degli appalti la normativa nazionale e regionale mette in luce il ricorso preferenziale a procedure
ristrette e, ove possibile, negoziate per l’aggiudicazione di appalti a cooperative sociali. Il sistema dell’asta pubblica (procedimento aperto) è dunque visto con disfavore dal legislatore, data l’importanza rivestita, nel settore dei servizi sociali, dalle caratteristiche soggettive dei produttori dei servizi.
4. La modalità del concorso di progettazione rende possibile valorizzare al massimo l’elemento qualitativo e la
capacità progettuale dei concorrenti al fine dell’aggiudicazione di un appalto di servizi.
5. Per contratti di acquisto di beni e servizi da cooperative di tipo “b” per importi “sotto soglia” il ricorso
ad accordi programmatici partecipati potrebbe rappresentare il modo per superare positivamente il rispetto
del principio di competitività.
C A P. 2 - L’ E C O N O M I A S O C I A L E N E L L E M A R C H E
6. Ulteriori modalità di configurazione dei rapporti fra la PA e i soggetti dell’economia sociale possono essere
rappresentati da:
a. accordi di sostegno, attraverso i quali l’Amministrazione si impegni a fornire un supporto finanziario o,
comunque, economicamente rilevante all’impegno del privato a realizzare un progetto di servizio o di
intervento da esso stesso proposto o co- progettato con l’Amministrazione;
b. accordi di collaborazione, attraverso cui l’Amministrazione non si limiti ad un ”dare” risorse finanziarie
od economiche ma si impegni ad integrare sotto il profilo organizzativi risorse proprie con quelle che il
privato metta a disposizione, attraverso un corrispondente impegno, al fine di realizzare un progetto di
servizio o di intervento sociale.
2.3.2. Il seminario di Osimo
Il lavoro più compiuto e aggiornato in merito alle necessarie modifiche dell’assetto normativo marchigiano in
materia di appalti alla cooperazione sociale è stato sviluppato nell’ambito dei seminari del corso residenziale di
Osimo ‘Gli affidamenti dei servizi alle cooperative sociali’, in cui sono state riprese e discusse le proposte contenute nelle linee guida del 2006. I seminari sono stati realizzati nel febbraio 2010 dal “Consorzio per l’alta formazione
e lo sviluppo della ricerca scientifica in diritto amministrativo” e promossi dalla Regione Marche - Servizio politiche sociali P.F. Programmazione sociale ed integrazione socio-sanitaria. Tutti i materiali prodotti nel corso dei seminari sono
disponibili in versione integrale al sitodel Consorzio per l’Alta Formazione di Osimo20.
Il seminario ha rappresentato un momento di confronto strutturato con i diversi portatori di interesse fra i quali
anche i rappresentanti dei servizio legislativo della Giunta regionale delle Marche, attori dell’economia sociale,
esperti del contesto giuridico europeo, nazionale e regionale. La relazione introduttiva di Giovanni Santarelli, dirigente P.F. ”Programmazione Sociale” della Regione Marche, ha posto le basi per l’avvio di un confronto strutturato tra Regione e cooperazione sociale finalizzato a:
• rafforzare il doveroso esercizio della funzione sociale pubblica insita nella natura giuridica delle cooperative
sociali;
• promuovere un sistema partecipato alla programmazione dei servizi da parte della Regione nell’ambito delle
competenze attribuitele dalla legge 328/00 in stretto collegamento con le realtà istituzionali territoriali (ambiti sociali in particolare) sulla base di una trasparente sussidiarietà verticale e orizzontale.
L’obiettivo era quello di declinare regole chiare in ordine al rapporto tra ente pubblico e mondo del privato-sociale attraverso l’allargamento del dibattito a forme giuridiche di affidamento aggiuntive rispetto a quelle fino ad oggi
utilizzate. Dalla Mura, Avv. esperto amministrativista, in un suo lavoro dedicato a questi argomenti, intitolato
“oltre l’appalto” ha riproposto la possibilità di utilizzare nuovi modelli di rapporto tra pubbliche amministrazioni
e cooperative sociali previsti nella normativa esistente così come ampiamente delineati nelle linee guida preparate
nel 2006.
Nell’ambito del seminario è stata proposta un’analisi comparata del sistema dell’accreditamento utilizzato
dall’Emilia Romagna ed è stata confermata la necessità di aggiornare il quadro normativo della regione Marche con
particolare riferimento alla Delibera di Giunta Regionale 1133/2003 che regolamenta, a tutt’oggi, le esternalizzazioni dei servizi alle cooperative sociali introducendo parametri aggiuntivi rispetto a quello del massimo ribasso.
Nel seminario è stata inoltre esplicitata la necessità di un aggiornamento normativo anche nel campo delle politiche sociali con la definizione di una nuova legge regionale sul sistema dei servizi sociali nel quadro della legge
328/00, per dare stabilità ad un sistema che in questi anni si è sostenuto su atti deliberativi di consiglio e di Giunta.
20
Sito http://www.consorzioaltaformazione.it/corsi-residenziali.php.
23
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2.4. SITUAZIONE ATTUALE E PROSPETTIVE FUTURE
La metodologia di conduzione scelta per lo svolgimento dei seminari PASE ha permesso un confronto diretto fra
i partecipanti. Il tema dell’economia sociale è stato affrontato da diversi punti di vista contestualizzando l’esperienza marchigiana all’interno dei processi di cambiamento istituzionale del sistema di welfare nazionale e regionale.
La presenza dei principali attori interessati al tema ha permesso l’emergere e la valorizzazione di punti di vista differenti. Gli elementi salienti che sono emersi dalle giornate di lavoro sono presentati in relazione alle tre aree di
sviluppo del tema: potenzialità, criticità e sfide.
2.4.1 Le potenzialità
24
Nel corso dei seminari, in piena sintonia con i processi di trasformazione nazionali, i partecipanti hanno messo in
luce una serie di aspetti dell’economia sociale che rappresentano i presupposti per una piena consapevolezza per
la promozione delle sue aree di sviluppo nel territorio.
L’innovazione rappresenta la chiave di volta nell’articolazione di risposte a bisogni sociali in trasformazione in un
contesto di riduzione delle risorse disponibili. L’economia sociale gioca un ruolo fondamentale nei processi di trasformazioni in corso sia sul versante della domanda dei servizi sociali che su quello dell’offerta. Le singole esperienze di economia sociale che perseguono un’evoluzione autoreferenziale e autonoma scelgono una strategia a
breve termine lontana da processi di innovazione capaci di incidere in maniera sostanziale sulla risposta dei bisogni del territorio: sia sul versante dello sviluppo locale (di crescita dell’occupazione del territorio) che della risposta ai bisogni sociali. La mole di trasformazioni in atto richiede una capacità di comprensione, di lettura e di risposta che necessita una messa in rete di tutti gli attori del territorio: l’economia sociale diventa quindi il motore per
riprodurre legami fra soggetti pubblici, privati e del privato sociale. La riduzione delle risorse economiche pubbliche destinate alla risposta dei bisogno sociali e sanitari impone una revisione nei rapporti fra attori pubblici e dell’economia sociale che possa essere capace di valorizzare le diverse intelligenze diffuse di un territorio, che rappresentano la forza di quel territorio. In alternativa lo scenario sembra delineare una contrazione dell’offerta dei servizi sociali tradizionali in un contesto di aumento e trasformazione dei bisogni.
A fronte della capacità dell’economia sociale di essere portatrice di innovazione, la pubblica amministrazione si
trova nella potenzialità di riconoscere e valorizzare l’economia sociale tramite l’impiego di strumenti e metodologia innovative come lo SROI.
Lo SROI è un sistema di misurazione che applica lo strumento dell’economia aziendale ROI per la misurazione
dell’impatto delle politiche sociali. Il ROI, infatti, è un indicatore che si ricava dai bilanci delle aziende e misura
l’utile netto rispetto all’investimento fatto. Con lo SROI si intende misurare la redditività sociale, e può quindi essere uno strumento con cui la pubblica amministrazione può valutare i risultati degli investimenti fatti nelle politiche di welfare rispetto ai risultati raggiunti per la comunità locale. L’idea è quella di offrire una valutazione ed una
misurazione puntuale del valore economico della dimensione sociale dell’intervento (costi evitati, attivazione di
risorse volontarie, etc.).
Lo strumento può potenzialmente essere applicato a livello micro per la valutazione di singoli interventi o servizi, ma anche a livello meso dei piani di zona o macro a livello di programmazione e azioni regionali.
La piena funzionalità dello SROI deriva dalla chiarezza degli obiettivi da raggiungere, in funzione dei bisogni sociali del territorio, e dei costi e relativi ricavi delle azioni intraprese.
Lo SROI non va visto solo come un “risultato” (un valore che misura la capacità di un investimento di offrire un
ritorno economico-sociale) ma, soprattutto, come “processo” e cioè come insieme di momenti tramite i quali i
principali “stakeholders” di un intervento / politica sociale si ritrovano assieme per definire con esattezza quali
dimensioni dell’intervento vanno considerate importanti e come si può provare (con cautela) a misurarne un valore economico.
Nel caso delle imprese sociali la valutazione del ritorno degli investimenti risulta particolarmente complessa.
L’identità delle imprese sociali è legata a un valore sociale che necessita di strumenti per essere riconosciuto e valorizzato, ma che, nello stesso tempo, è difficilmente misurabile in termini economici.”
C A P. 2 - L’ E C O N O M I A S O C I A L E N E L L E M A R C H E
2.4.2 Le criticità
Le cooperative sociali giocano oggi un ruolo centrale nella rete dei servizi sociali della regione. Lo sviluppo della
rete dei servizi si è realizzato negli ultimi dieci anni all’interno degli Ambiti Territoriali Sociali (ATS). I rapporti fra
ATS e cooperative così come discusso nei seminari, ma anche rilevato in una recente ricerca21, rilevano una contraddizione strutturale che necessita di essere discussa a livello regionale. Da una parte, le cooperative sono state
chiamate a partecipare alla costruzione del sistema delle politiche sociali: le cooperative sono state invitate a partecipare alla fase di consultazione e in, alcuni casi, a quella di concertazione e co-progettazione. Dall’altra, però,
permane una difficoltà strutturale nel conciliare la partecipazione autentica ai tavoli di concertazione e co-progettazione con le procedure più diffuse e consolidate relative all’affidamento dei servizi.
Questo limite sembra anche dovuto alla modesta o scarsa capacità dell’economia sociale di valorizzare il suo valore aggiunto in termini di occupazione e di capacità di rispondere ai bisogni sociali del territorio.
Si riscontra, quindi, un’inadeguatezza della normativa regionale, ma anche una resistenza da parte della PA di intraprendere strade più innovative nella regolazione dei rapporti con le cooperative. Il contesto è reso ulteriormente
più complesso da un panorama legislativo nazionale ed europeo in continua evoluzione che presenta numerosi vincoli ma anche alcune opportunità poco utilizzate.
Nel rapporto fra le cooperative e gli ATS si rileva, quindi, una debolezza che vede contrapporre le modalità di concertazione e co-progettazione, improntate alla cooperazione, a quelle dell’appalto e quindi della competizione.
Rispetto a questo limite alcuni territori, in modo contingente e solo per alcune situazioni particolari, come per
esempio Pesaro, hanno trovato soluzioni che, nel rispetto dei criteri normativi, permettono, comunque, una preferenza nell’assegnazione del servizio. Il contesto regionale si caratterizza per una elevata differenza nei criteri utilizzati e nelle relative procedure che necessita di una regolazione chiara a livello regionale.
La richiesta espressa dalle cooperative di un maggiore coinvolgimento non solo nella fase di erogazione dei servizi, ma anche di co-progettazione e decisione si scontra con un sistema di regolazione regionale ancora in evoluzione, per cui le Pubbliche Amministrazioni nelle Marche agiscono con ampi margini di discrezione. Complice di
questa scelta è l’assenza di specifiche norme regionali ma anche la complessità dell’intreccio fra normativa europea e nazionale.
Nell’ambito dei seminari PASE si è a lungo discusso delle procedure e dei criteri.22
2.4.3. Le sfide
Dal confronto fra i partecipanti ai seminari sono emersi tre nodi per lo sviluppo dell’economia sociale nelle
Marche: la crisi economica scoppiata nel 2007, l’aggiornamento di un sistema di politiche di welfare capace di
rispondere ai nuovi bisogni in un contesto di riduzione delle risorse e la complessità regolativa rappresentata dalle
normative europee, italiane e regionali. Le risposte a queste tre questioni rappresentano delle vere e proprie sfide
per la Regione e gli stakeholders dell’economia sociale regionale.
Il contesto delle politiche sociali in Italia impone, infatti, un ripensamento del sistema di welfare. Con la riforma
del Titolo V della costituzione e il progressivo abbandono delle politiche sociali da parte dello Stato è indispensabile la costruzione di un sistema di welfare alternativo all’esistente. Questo dovrà muoversi all’interno di un contesto in cui siano stati definiti i livelli essenziali di assitenza che devono essere garantiti in tutta la regione. Il sistema delle politiche e dei servizi sociali dovrà inoltre agire con strumenti gestionali nuovi, all’insegna della gestione
associata dei servizi.
21
22
Quaderni della Ricerca Sociale 8. Analisi delle struttura e dell’occupazione del settore dei servizi sociali nella regione
Marche. Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pp.82-105.
http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/5036CA69-184B-4821-B14F-6F65B69B6EE8/0/Quadernodiricercasociale8
ProfessionisocialiRegioneMarche.pdf (22/07/2011).
Rispetto a questo controverso tema si vedano gli allegati D e E.
25
I N D I C A Z I O N I P E R LO S V I LU P P O D E L L’ E C O N O M I A S O C I A L E N E L L A R E G I O N E M A R C H E
TABELLA 12 - FONDI NAZIONALI PER IL SOCIALE DESTINATI ALLA REGIONE MARCHE - IN EURO
ANNUALITÀ
FONDO NAZIONALE PER
LE POLITICHE SOCIALI
(LEGGE 328/2000)
Quota parte Regione
Marche (2,68%)
PIANO STRAORDINARIO
PER LO SVILUPPO DEI
SERVIZI SOCIO-EDUCATIVI
PER LA PRIMA INFANZIA
(FONDI BINDI)
FONDO NONAUTOSUFFICIENZA
(FONDI FERRERO)
TOTALE FONDI
NAZIONALI
Quota riservata
alla Regione Marche
2004
26.754.181,00
2005
13.864.726,99
2006
20.734.490,83
2007
19.931.865,38
2.892.316,00
2.933.259,89
25.757.441,27
2008
17.562.813,32
4.265.382,00
9.480.101,09
31.308.296,41
2009
13.864.726,99
2.065.940,00
11.758.151,62
27.688.818,61
2010
10.070.000,00
2.654.418,00
10.000.000,00
22.724.418,00
2011
2.000.000,00
1.400.000,00
0,00
3.400.000,00
Fonte: Regione Marche Servizio Politiche Sociali, 2010
Le sfide per lo sviluppo dell’economia sociale nella regione riguardano, quindi, la costruzione di un sistema in cui
da una parte la PA possa essere capace di valorizzare e sostenere l’economia sociale e dall’altra l’economia sociale possa esprimere tutte le sue potenzialità di innovazione progettuale, ma anche gestionale e professionale.
26
Le principali sfide per la Pubblica Amministrazione sono:
• progettare un sistema delle politiche e dei servizi sociosanitari nel quale l’economia sociale, in particolare le cooperative possano essere attori al pari degli altri portatori di interesse nella progettazione, implementazione e gestione delle risposte ai bisogno di sociali, in sintonia con le esperienze di governance partecipativa che ha caratterizzato le politiche sociali della regione Marche negli ultimi 10 anni.
• Sostenere e curare la regia dei processi di innovazione progettuale e gestionale promossi dall’economia
sociale. La capacità innovativa dell’economia sociale risiede nel mettere in rete le diverse intelligenze e sensibilità del territorio. Alla Pubblica Amministrazione spetta il compito di garantire le finalità dei processi di
innovazione e la coerenza dei risultati con gli obiettivi posti. Promuovere lo sviluppo dell’economia sociale
delle Marche significa, infatti, definire una strategia di sviluppo capace di allineare la crescita economica con
la solidità delle reti del tessuto sociale.
• Aggiornare il quadro legislativo in modo da valorizzare il contributo dell’economia sociale nella sua capacità di innovazione nella progettazione e gestione definendo nuove modalità di affidamento nel rispetto delle
normativa nazionale ed europea, anche attraverso una maggiore consapevolezza e utilizzo delle clausole
sociali nelle procedure di affidamento, garantendo quindi la necessità di un’apertura al mercato nel rispetto
e nella valorizzazione dei contributi del territorio locale.
• Mettere a sistema strumenti per far trasparire il valore aggiunto dell’economia sociale tramite la sperimentazione di metodologie di valutazione dello SROI o, almeno, la messa a regime di un sistema regionale
di bilancio23 nelle esperienze di economia sociale. Il bilancio sociale rappresenta, infatti, una grande potenzialità nella capacità dell’economia sociale di mettere in evidenza le sue specificità che spesso rimangono
scontate e come tali non esplicitate adeguatamente.
23
Angela Genova, Alessandra Vincenti Bilancio sociale e bilancio di genere. Strumenti di promozione e di partecipazione,
Carocci, 2011.
C A P. 2 - L’ E C O N O M I A S O C I A L E N E L L E M A R C H E
Le principali sfide per l’economia sociale sono:
• Adottare strumenti capaci di mettere in trasparenza il loro valore aggiunto; ad esempio, attraverso la realizzazione di bilanci sociali annuali seguiti dallo sviluppo, in accordo con la Pubblica Amministrazione, di
sistemi di valutazione del SROI.
• Coltivare e sviluppare le capacità innovative nella dimensione della progettazione e gestione di risposte
nuove a bisogni sociali in trasformazione.
Per concludere, lo sviluppo dell’economia sociale nelle Marche sembra essere legato alla definizione di un contesto regolativo regionale che, nel rispetto della normativa europea e nazionale, sia capace di superare l’elevata
discrezionalità territoriale e di:
• sostenere procedure innovative di affidamento per il consolidamento del sistema a rete delle politiche e interventi sociali;
• definire un sistema di messa in trasparenza e di rendicontazione del valore aggiunto rappresentato dall’economia sociale (bilancio sociale e successivamente SROI)
27
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CAPITOLO 3
RACCOMANDAZIONI
Di seguito si sintetizzano le raccomandazioni per lo sviluppo dell’economia sociale. Esse sono redatte sulla scorta
delle segnalazioni e dei contributi dei partecipanti ai seminari PASE, e mediante analisi della letteratura esistente.
Le raccomandazioni sono indirizzate ai due attori protagonisti dello sviluppo dell’economia sociale nelle
Marche24:
• Le pubbliche amministrazioni perché possano introdurre modelli regolativi più flessibili capaci di rispondere in maniera più efficace ed efficiente agli attuali bisogni sociali.
• Gli attori dell’economia sociale perché possano valorizzare le loro potenzialità di innovazione nella risposta
ai bisogni sociali.
3.1. RACCOMANDAZIONI PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
➨ PRODURRE ATTI REGIONALI A SUPPORTO DELLA PROGRAMMAZIONE CONCERTATA e di moda28
lità coerenti di affidamento dei servizi. Sarebbe opportuno produrre atti regionali contenenti indicazioni operative riguardanti il rapporto tra le modalità di affidamento dei servizi e la prassi della co-progettazione a livello di
ambito sociale integrato con il distretto sanitario. Sarebbe necessario che la strategia proposta dalla Regione
Marche dia priorità, in tale prospettiva, alla prassi della partnership rispetto alle procedure di affidamento e all’acquisto di servizi perché tale percorso è sicuramente più aderente alla logica della programmazione partecipata
adottata a livello di ambito territoriale sociale.
Nello stesso tempo occorrerebbe valorizzazione le capacità imprenditoriali e progettuali delle imprese sociali,
anche al fine di evitare forme mascherate di meri appalti di manodopera, dando un seguito all’operato della
Regione che, in questi anni, ha adottato una serie di atti quali il “tariffario regionale” ed i “criteri per l’affidamento dei servizi alle cooperative sociali”, con i quali ha voluto fortemente valorizzare il ruolo dell’impresa sociale nel
sistema dei servizi, preservando i rapporti fra gli enti e le cooperative sociali da “inquinamenti” che potessero snaturarli (es. il criterio del massimo ribasso). È necessario fornire indicazioni di norma che siano veri e propri atti di
indirizzo per la regolamentazione complessiva dei rapporti tra soggetti pubblici e cooperative sociali introducendo elementi di chiarezza relativi a:
• gli strumenti di diritto privato quali il convenzionamento diretto, le clausole sociali, le gare d’appalto e le gare
riservate;
• gli strumenti di diritto pubblico quali la concessione, gli accordi procedimentali, l’accreditamento istituzionale.
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Le raccomandazioni sono distinte in due tipologie: (1) raccomandazioni concernenti misure e pratiche che possono essere adottate dalla pubblica amministrazione per l’innovazione dei modelli di regolamentazione (es: appalti, concessioni,
affidamenti, procedure negoziate, etc.); (2) raccomandazioni che concernono pratiche e strategie perseguite dalle imprese sociali per l’innovazione del sistema di offerta di servizi anche a prescindere da appalti pubblici.
C A P. 3 - R A C C O M A N D A Z I O N I
Gli obiettivi dovrebbero essere quelli di:
1. valorizzare la partecipazione dei soggetti non profit all’intero processo del piano di zona, e cioè ai momenti
della programmazione, della progettazione di massima, della progettazione esecutiva, dell’attuazione dei progetti e della valutazione;
2. creare una continuità procedurale fra le varie fasi di costruzione ed attuazione del piano;
3. attribuire un ruolo privilegiato alle forme di rapporto di natura pubblicistica, che valorizzino la condivisione
dell’esercizio della funzione sociale da parte dei soggetti non profit;
4. rispettare la profonda diversità di ruolo dei diversi soggetti del terzo settore, indicati quali partner “naturali”
della Pubblica Amministrazione nel sistema locale dei servizi e degli interventi sociali; ciò, in particolare, al
fine di scongiurare le confusioni di ruolo fra volontariato e cooperazione sociale;
5. promuovere l’impresa sociale quale soggetto attivo nel sistema locale;
6. individuare nella collegialità e nella consensualità le modalità privilegiate nella definizione dei rapporti e nella
stipula dei relativi accordi;
7. attribuire al confronto competitivo un ruolo secondario e sussidiario rispetto al raggiungimento del consenso;
8. individuare, nel caso in cui il confronto competitivo sia imprescindibile, forme che non prevedano l’elemento economico quale criterio per la scelta.
Considerato lo stretto collegamento tra procedure e attività di programmazione è opportuno prevedere indicazioni dettagliate all’interno delle linee guida dei piani di ambito sociale, integrati con i Piani attuativi di Distretto, nelle
quali definire le tappe di co-progettazione da applicare poi alla stesura dei piani triennali e dei piani attuativi annuali di ambito/distretto.
Sarebbe auspicabile che i tavoli previsti per la costruzione di questi importanti atti di programmazione diventino
il luogo privilegiato di evidenza pubblica e, allo stesso tempo, il Coordinatore di ambito ricopra il ruolo di garante della trasparenza.
➨ RAFFORZARE GLI APPALTI PUBBLICI SOCIALMENTE RESPONSABILI E FAVORIRE L’UTILIZZO
DI CLAUSOLE SOCIALI. Gli appalti pubblici socialmente responsabili (APSR) rappresentano uno strumento sia
per la promozione dello sviluppo sostenibile sia per il raggiungimento di obiettivi di coesione e inclusione sociale. Il “social public procurement” è un mezzo per sperimentare nuovi approcci, per aumentare il numero e la tipologia degli strumenti disponibili in ogni territorio per promuovere modelli di impresa sociale rispondenti ai bisogni delle comunità. Un’ampia gamma di aspetti sociali possono essere presi in considerazione dalle amministrazioni aggiudicatrici nelle diverse fasi della procedura di appalto. Gli aspetti sociali possono proficuamente essere combinati con gli aspetti ambientali in un approccio integrato verso la sostenibilità negli appalti pubblici. Nelle “Linee
guida sui criteri di valutazione degli aspetti sociali nelle procedure di affidamento dei servizi” di Giugno 201125,
commissionate dalla Regione Marche nel contesto del progetto PASE, vengono illustrate pratiche e suggeriti alcuni approcci e diverse raccomandazioni per lo sviluppo di appalti pubblici socialmente responsabili. Gli approcci
suggeriti sono quattro:
I) Inserimento da parte dell’acquirente di criteri sociali nell’oggetto dell’appalto stesso e/o nelle specifiche tecniche cui i vincitori della gara devono rispondere tenendo conto di tali criteri.
II) Regolazione dell’accesso dei fornitori. In determinate condizioni agli offerenti è fatto divieto di ottenere
appalti pubblici se in precedenza hanno subito condanne per atti illeciti.
25
Si rimanda il lettore ai par. 2 e Par.3 delle “Linee Guida sui criteri di valutazione degli aspetti sociali nelle procedure di
affidamento dei servizi” a cura di Liliana Leone, Giugno 2011.
http://www.istruzioneformazionelavoro.marche.it/ProgettiComunitari/pase.asp.
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III) ‘Moral suasion’ mirata a persuadere gli offerenti ad assumere un impegno verso determinati standard sociali. In sede di decisione relativa all’aggiudicazione dell’appalto si terrà conto dei risultati da questi raggiunti in
tale direzione.
IV) Il quarto approccio riguarda l’esecuzione ed è incentrato sulla fase successiva all’aggiudicazione dell’appalto.
Come indicato nelle Linee Guida, le clausole sociali possono essere previste nelle diverse fasi dell’appalto. Nella
fase dell’esecuzione dell’appalto, ad esempio, l’amministrazione può inserire nel bando di gara la previsione dell’obbligo riferito all’esecuzione del contratto di assumere disoccupati, introdurre azioni di formazione, promuovere le pari opportunità o assumere un certo numero persone svantaggiate o una quota di persone disabili superiore rispetto alla quota obbligatoria già prevista dalla legislazione nazionale. Obiettivi di tipo sociali possono essere
inclusi nella formulazione delle specifiche tecniche dell’appalto di un bene-servizio in ogni sfera e settore (es: servizi alberghieri, pulizie e manutenzione, edilizia...).
Occorre ripensare il gioco tra gli attori sul campo e aprire un dibattito per ripensare i sistemi di welfare: gli strumenti dell’APSR e delle clausole sociali possono rappresentare delle leve importanti per modificare il sistema degli
incentivi dei diversi attori e indirizzare le pratiche di public procurement verso obiettivi di sviluppo sostenibile e
coesione sociale. Le imprese sociale potrebbero in tal modo sviluppare rapporti collaborativi con le imprese vincolate dalla PA al rispetto di clausole sociali e al tempo stesso ridurre l’eccessiva dipendenza economica dai finanziamenti pubblici.
➨ INTRODURRE CLAUSOLE SOCIALI IN UNA PERCENTUALE RILEVANTE DEGLI APPALTI PUBBLICI DELLE ASL-ASUR. Le clausole sociali, così come indicato dalle raccomandazioni dell’Unione Europea (2010,
30
2011), riguardano tutti gli appalti delle Pubbliche Amministrazioni e non solo quelli riguardanti l’acquisto dei servizi sociali o l’affidamento di servizi alla cooperazione sociale di tipo B (si veda la riserva per gli appalti sotto soglia
comunitaria). La ASL-ASUR rappresenta, in un territorio, una delle maggiori stazioni appaltanti pubbliche se si
pensa che quasi l’80% delle risorse di un’amministrazione Regionale è in Italia devoluto al sistema sanitario. Anche
per tale ragione occorrerebbe avviare uno specifico tavolo di lavoro per monitorare l’uso delle clausole sociali negli
appalti del settore sanitario. Tale raccomandazione è ancora più urgente in considerazione del fatto che l’inserimento socio lavorativo rappresenta uno dei principali fattori potenzialmente in grado di incidere sulla salute della
popolazione, per via indiretta e per via diretta tramite la modificazione di determinanti di salute (es: reddito) e, di
conseguenza, sui costi a carattere sanitario e assistenziale. Per tali ragioni, sarebbe possibile, eticamente auspicabile ed economicamente sostenibile non delegare completamente le problematiche dell’inserimento socio lavorativo
delle fasce deboli (es: disabili, persone con problemi di salute mentale o con problemi di tossicodipendenza) alle
sole politiche sociali. La Commissione Europea nel 2009 ha emanato una serie di raccomandazioni sul tema della
‘Riduzione delle diseguaglianze di salute a livello UE26 ponendo un’esplicita attenzione alla questione del reddito
e dell’occupazione quali determinanti della salute di interesse sanitario. A seguito di una serie di lavori e rapporti
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è diventato sempre più evidente che le disuguaglianze in materia di salute trovano origine nelle differenze sociali collegate a un’ampia gamma di fattori27. Tra questi, la
Commissione Europea nella precedente Comunicazione individua i seguenti: “condizioni di vita, modelli comportamentali, livello d’istruzione, professione e reddito, servizi di assistenza sanitaria, prevenzione delle malattie e promozione della salute, nonché politiche pubbliche che influiscono sulla quantità, sulla qualità e sulla distribuzione
di questi fattori”. La combinazione tra povertà e altri fattori di vulnerabilità aggrava ulteriormente i rischi per la
salute (es: sesso o razza), quindi il contributo delle politiche dell’UE e degli stati membri a favore della riduzione
delle disuguaglianze sanitarie può essere rafforzato anche grazie a una maggiore integrazione delle varie politiche:
26
27
COM CE 2009-567 final. http://eur-lex.europa.eu/Notice.do?mode=dbl&lang=fr&ihmlang=fr&lng1=fr,it&lng2=
bg,cs,da,de,el,en,es,et,fi,fr,hu,it,lt,lv,mt,nl,pl,pt,ro,sk,sl,sv,&val=555722:cs&page=.
Per un apporfondimento sulle diseguaglianze di salute e sulla valutazione delle politiche volte a ridurle si veda una sezione specifica curata da Leone Liliana (2010) sul sito http://www.cevas.it/category/promozione-salute.
C A P. 3 - R A C C O M A N D A Z I O N I
istruzione, condizioni di lavoro, sviluppo territoriale, politica ambientale, politica dei trasporti, ecc.
Di contro il settore della sanità sembra stia conoscendo nelle Marche delle difficoltà in relazione alle pratiche di
appalto sotto soglia. “I provveditori della sanità si sentono sfiduciati perché il centro non dà discrezionalità, isolati nelle interpretazioni, con timori circa conseguenze di possibili innovazioni. Il sociale a sua volta soffre di un’altra sindrome: se provano a fare un
po’ di innovazione dove domina la sanità trovano ostacoli” (Testimonianza funzionario ASUR partecipante ai seminari
PASE).
➨
UTILIZZARE MAGGIORMENTE GLI STRUMENTI DELLE ‘CONCESSIONE’ NELL’AFFIDAMENTO
DELLA GESTIONE DEI SERVIZI SOCIALI E SOCIO EDUCATIVI. La concessione di un servizio presenta
numerose ed importanti differenze rispetto all’appalto; essa, a differenza dell’appalto, è, almeno potenzialmente,
un contratto “attivo”, nel senso che a tale contratto non necessariamente consegue, un’uscita di risorse finanziarie dalla pubblica amministrazione concedente, bensì, eventualmente, un’entrata (canone di concessione). La concessione si presta egregiamente anche per la gestione di servizi sociali (normalmente erogati a condizioni “sociali” e non a prezzi di mercato), stante il potere dell’Amministrazione concedente di stabilire tariffe inferiori al costo
ristorando il concessionario per la differenza. Anche nel settore sociale e nei servizi educativi sarebbe opportuno
riproporre quanto già avviene in sanità nei servizi sanitari accreditati, normalmente erogati del tutto gratuitamente con la corresponsione di quote di partecipazione alla spesa (c.d. ticket) da parte degli utenti che non ne siano
esentati.
Attraverso la concessione la pubblica amministrazione può individuare nel soggetto privato concessionario una
sorta di proprio alter ego; un soggetto, quindi, che l’Amministrazione sostituisce a se stessa nella titolarità del servizio pubblico, ma certo non nella titolarità della funzione cui il servizio stesso risponde. Nel caso di concessione
l’impresa sociale concessionaria diverrebbe titolare del servizio e avrebbe due rapporti giuridici: il rapporto (pubblicistico) di concessione con l’Amministrazione e quello di servizio direttamente con gli utenti; nel caso dell’appalto il “cliente” dell’appaltatore è la stazione appaltante, nel caso della concessione il cliente del concessionario è
l’utente; ciò potrebbe portare con sé conseguenze numerose ed importanti anche sotto il profilo della qualità del
servizio.
➨ INTRODURRE L’UTILIZZO DEGLI ‘ACCORDI DI SOSTEGNO’ LADDOVE PREVALGONO NETWORK
PORTATORI DI INTERESSI PUBBLICI. Il principio fondamentale che caratterizza le gare d’appalto, è quello
della competizione, della concorrenzialità tra diversi attori che aspirano a ‘vincere’ e sottoscrivere quel contratto
con la Pubblica Amministrazione. Le gare finalizzate ad un contratto d’appalto rafforzano per loro natura logiche
competitive e non collaborative e consensuali e spesso risultano non coerenti, nelle modalità di attuazione, con il
dettato normativo (v. Legge n. 328/00) e le finalità di mobilitazione delle risorse territoriali secondo logiche cooperative e di partenariati pubblici-privati (PPP). La cooperazione sociale condivide con la Pubblica
Amministrazione l’esercizio di una funzione pubblica e il principio fondamentale che dovrebbe riguardare i rapporti tra le pubbliche amministrazioni, principio oramai diventato costituzionale, è quello della leale collaborazione. La legge sul procedimento amministrativo stabilisce che la regola generale dei procedimenti amministrativi è
la consensualità, salvi i casi in cui norme specifiche di settore prevedano il contrario. Per tale ragione sarebbe
opportuno per appalti sottosoglia comunitaria, nel rispetto dei principi di economicità, trasparenza, buona amministrazione e non discriminazione, attivare procedure di tipo sinergico e collaborativo (es: Il Piano di zona, patti
di solidarietà per inserimenti lavorativi) ai sensi dell’articolo 11 della Legge n. 241/90 (v. Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento28) e basate su un sistema di responsabilità condivise. Per quanto riguarda gli appalti
soprasoglia comunitaria in base all’Art.2 del nuovo codice degli appalti si può attribuire un punteggio alla propo-
28
Legge 7 agosto 1990, n. 241 Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. come modificata ed integrata dalla Legge 11 febbraio 2005 n. 15 (G.U. n. 42 del 21/2/05) e dal
D.L. 14 marzo 2005, n. 35 convertito con modificazioni dalla Legge del 14 Maggio 2005, n. 80 (G.U. n. 111 del 14/5/05,
S.O.).
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sta riguardante la clausola sociale anche più elevato di quello attribuito all’offerta economica. In tal modo possono essere garantire finalità strettamente sociale in sinergia con il perseguimento di altri obiettivi. Quando invece
l’approdo è un appalto per la realizzazione di beni o servizi, si utilizzano preferibilmente gli strumenti della concessione e dell’appalto di servizi e non è applicabile la formula del sostegno istituzionale perché si configurerebbe come reato di turbativa d’asta ed è quindi necessario che la PA faccia una gara; ma se le parti pervengono a
risultati diversi, non è detto che si debba fare una gara.
Se un network misto di attori locali decidesse di attivarsi autonomamente per realizzare un progetto e farsi carico di alcuni problemi della comunità e chiedesse il supporto del Comune o dell’ASL, l’EELL recepita l’idea,
potrebbe avviare un procedimento di evidenza pubblica, sapendo che ci sono altre organizzazioni interessate e
tramite un Avviso pubblico invitare altri soggetti a manifestare interesse presentandosi al tavolo di progettazione. In seguito verificata l’adeguatezza della proposta, L’EELL, potrebbe decidere o meno di farsi carico di un
sostegno istituzionale nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria attraverso una forma di compensazione economica stipulando un accordo. Si tratta di un contratto di diritto pubblico a tutti gli effetti realizzato
senza la procedura del bando di gara per la sua natura di carattere competitivo. La compensazione è un sistema
per far sì che l’impegno dei privati sia attuabile anche in quei casi in cui non lo sarebbe senza un’adeguata compensazione, oppure nei casi di poca rispondenza a funzioni sociali con conseguente nascita di condizioni di iniquità tra diverse categorie di utenza dovute a diseguaglianze di tipo socio-economico (Es: un centro estivo per
minori, l’accesso a un nido..).
➨
RAFFORZARE LA GESTIONE ASSOCIATA DEI SERVIZI SEMPLIFICANDO I LIVELLI DI GOVERNO
TERRITORIALE in ottemperanza alla normativa nazionale. Entro il 2013 sarà resa obbligatoria per i piccoli
32
Comuni (sotto i 5000 abitanti con alcune eccezioni minori), che nel caso della Regione Marche sono n. 49, la
gestione associata, attraverso convenzione o unione dei comuni, di tutti i servizi e funzioni. Tra gli obiettivi vi è il
controllo della spesa pubblica, la semplificazione dei livelli di governo territoriale e l’individuazione di ambiti ottimali della gestione dei servizi, con relative auspicate economie di scala e omogeneità nell’assicurazione dei LEP
Livelli Essenziali di Prestazione (DL 78/2010.)
Non è più consentito l’esercizio associato delle funzioni tramite la formula dei consorzi costituiti ai sensi dell’art. 31 del D. Lgs. 267/2000. La Regione29, nelle materie di cui all’articolo 117, commi terzo e quarto, della
Costituzione, è tenuta ad individuare con propria legge “la dimensione territoriale ottimale e omogenea per
area geografica” per lo svolgimento, in forma associata da parte dei comuni, delle funzioni fondamentali entro
il 2011-2013. I comuni capoluogo di provincia e i comuni con un numero di abitanti superiore a 100.000, nel
caso della Regione Marche solo il Comune di Ancona, non sono obbligati all’esercizio delle funzioni in forma
associata.
Nella manovra economica del luglio 2011 (L.111/2011 art.20)30 si sono stabiliti i tempi entro cui i piccoli Comuni
saranno tenuti ad esercitare le funzioni fondamentali in forma associata: entro il 31 dicembre 2011 tale gestione
dovrà riguardare almeno due delle sei funzioni fondamentali loro spettanti, da essi individuate tra quelle di cui
all’articolo 21, comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42. Entro fine dicembre 2013 tutte le sei funzioni fondamentali loro spettanti saranno gestite in forma associata. Per i comuni, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare sono provvisoriamente le seguenti31:
a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle
spese come certificate dall’ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;
b) funzioni di polizia locale; c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica; d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti; e) fun-
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30
31
Ai sensi del comma 30 dell’art.14, legge 122/2010.
Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 164 del 16-7-2011 testo della Legge n. 111 del 15 luglio 2011.
Legge 42/2009, Art.21, comma 3.
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zioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato; f) funzioni del settore sociale.
➨ RAFFORZARE LA TRASPARENZA DEI CRITERI DI AFFIDAMENTO DEI SERVIZI SOCIALI. I criteri di
affidamento dei servizi sociali comunali, secondo recenti indagini a livello nazionale, non risultano ancora pienamente trasparenti ed efficienti. Infatti, su un totale di 1 miliardo 667 mila euro impegnati nel 2008 dai Comuni
capoluogo per l’acquisto di prestazioni sociali, si stima che il 14%32 di tali risorse prenda la strada degli affidamenti diretti a cooperative sociali e ad associazioni, in assenza della realizzazione di gare ad evidenza pubblica e di selezioni o procedure negoziate, con la conseguente mancata applicazione dei principi di concorrenza ed equità introdotti dalla riforma dell’assistenza (legge 328/2000). Inoltre la Regione, i Comuni e i Sindacati dovrebbero, di concerto, disincentivare l’utilizzo della pratica dei ribassi anomali al fine della mera aggiudicazione dell’appalto. Se non
vengono monitorati tali ribassi, la diretta conseguenza rischia di essere la riduzione del 10%-30% della busta paga
dei lavoratori, visto che le ricadute si hanno sul costo del lavoro. Per questo è stata sollecitata l’apertura del tavolo permanente di concertazione per mettere mano alla normativa sugli appalti dei servizi socio sanitari33, e sollecitare l’emanazione annuale del tariffario regionale, strumento essenziale per il riconoscimento del CCNL della
Cooperazione Sociale ai lavoratori impiegati nei servizi. Infine, si ritiene non più rimandabile la definizione dei
costi standard dei servizi sociali, strumento essenziale per la programmazione delle risorse necessarie all’esistenza
dei servizi.
I protocolli di intesa tra Amministrazioni pubbliche e Cooperative sociali di tipo B e i relativi Consorzi dovrebbero prevedere che per ogni lavoratore venga predisposto un progetto individuale di inserimento e che venga assicurato un costante monitoraggio sull’andamento dell’inserimento al lavoro.
➨
RILANCIARE IL CONTRIBUTO DELLE COOPERATIVE SOCIALI DI TIPO B. Occorrerebbe riprendere
l’indicazione riportata nella legge della Regione Marche n. 34/200134 riguardante l’obbligo di acquisto di beni e
servizi da parte delle strutture pubbliche – per una quota percentuale non definita dalla legge - tramite le cooperative sociali di tipo B. Ciò consentirebbe di dare delle risposte alla crisi occupazionale, che penalizza maggiormente proprio i soggetti delle fasce deboli, e di rilanciare il settore dell’economia sociale sviluppando anche un’importante esperienza di civiltà. In effetti, la legge regionale n. 34/2001 prevedeva, all’articolo 5 comma 5, che la Giunta
regionale definisse annualmente l’importo delle risorse da destinare all’acquisto di beni e servizi dalle cooperative
sociali di tipo “B” iscritte all’albo, secondo le modalità previste dalla legge 381/1991.
Sarebbe auspicabile, che fosse disponibile una graduatoria pubblica delle amministrazioni ‘virtuose’ che potrebbe
fungere da stimolo per il rispetto di quanto previsto dalla legislazione regionale.
In attesa del recepimento di quanto previsto dalla direttiva comunitaria n. 18/200435, anche la previgente normativa può comunque prestarsi ad un’applicazione migliorativa delle disposizioni attuali negli appalti “sopra soglia”.
Sarebbe auspicabile che gli enti pubblici delle Marche si impegnassero ad inserire nei capitolati relativi alla fornitura di servizi di importo unitario pari o superiore alla soglia comunitaria, l’obbligo di eseguire il contratto con
l’impiego delle persone svantaggiate di cui all’articolo 4, comma 1 della legge n. 381/1991.
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35
Rapporto AUSER 2010.
Regione Marche, DGR 1133/2003.
Legge Regione Marche 18 dicembre 2001, n. 34 Promozione e sviluppo della cooperazione sociale. (B.u.r. 20 dicembre
2001, n. 146).
La Direttiva Comunitaria n. 18/2004 prevede la possibilità per le Amministrazioni di riservare la partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici a “laboratori protetti” che, attraverso “programmi di lavoro protetti” contribuiscano a
“promuovere l’integrazione o la reintegrazione di disabili nel mercato del lavoro” e di prevedere altresì che a tali “laboratori” possa
essere riservata “l’esecuzione degli appalti nel contesto di programmi di lavoro protetti”.
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➨
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INTRODURRE STRUMENTI FLESSIBILI NELLE CONVENZIONI TRA ASL E IMPRESE SOCIALI.
Andrebbe sostenuta l’innovazione, anche ispirandosi a sperimentazioni già avvenute altrove in Italia. Qui si portano ad esempio i budget di salute (precisamente i Progetti Terapeutico Riabilitativi Individuali sostenuti da Budget
di Salute). Essi sono una metodologia fortemente innovativa di integrazione sociosanitaria finalizzata al Welfare
comunitario. Per lo sviluppo di progetti individualizzati di presa in carico e inserimento sociale e lavorativo in
diverse aree d’Italia36 sono stati sperimentati, inizialmente nel settore della salute mentale, quelli che vengono definiti budget di salute o budget di capacitazione. Questo strumento potrebbe essere adottato in via sperimentale in
uno o più singoli ambiti e in seguito introdotto tramite legge regionale prevedendo specifiche risorse finanziarie.
Alternativamente potrebbe essere utilizzato da singoli Distretti sociosanitari dell’ASUR o da singoli Dipartimenti
di Salute Mentale. Nel caso del DSM di Trieste è stata adottata una procedura negoziata (Delibera 11/01/06 n 16)
per la cogestione dei budget di salute - Progetti - terapeutico riabilitativi personalizzati finalizzati alla promozione
della salute mentale per un investimento medio annuo di e 2.300.000,00 realizzato in collaborazione con l’U.O.
Approvvigionamenti. I Progetti Personalizzati, che si articolano attraverso il Budget Individuale di Salute, intervengono contemporaneamente su tre assi che costituiscono le basi del funzionamento sociale delle persone, ovverosia i supporti sociali indispensabili per essere a pieno titolo persone dotate di potere contrattuale: la casa, il lavoro, la socialità. La realizzazione del progetto si avvale di interventi (servizi di salute mentale, distretti, servizi sociali) e delle risorse della comunità (volontariato, cooperazione sociale, associazionismo, famiglie) collegandoli quanto più possibile al naturale contesto familiare, ambientale e sociale della persona. L’ASL deve garantire il controllo della qualità del progetto personalizzato (Ridente 2007 DSM Trieste).
La Regione Campania, che aveva effettuato anni addietro alcune sperimentazioni nella ASL CE2, ha recentemente introdotto tale modello di affidamento alle imprese sociali e di gestione dei progetti individualizzati nella recente legge finanziaria regionale37. Questo strumento ha il merito di superare le rigidità e alcuni vincoli dei sistemi di
accreditamento che nelle forme più estreme hanno parcellizzato i meccanismi di presa in carico in nome di
approcci prestazionali. Tale parcellizzazione ha spesso comportato un’inefficienza del sistema con aumento dei
costi per la Pubblica Amministrazione e al contempo una carente garanzia dei diritti delle singole persone a causa
della scarsa flessibilità e personalizzazione delle risposte.
La Regione Campania con la Legge finanziaria Regionale 4/2011, art 1 Comma 241, promuove questa metodologia di integrazione sociosanitaria (PTRI/BdS), riferita anche al riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata, al fine di dare concreta attuazione alle indicazioni della Commissione dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità sui Determinanti sociali della Salute (n. WHA62.14 del 22 maggio 2009). Si tratta di una metodologia di
gestione delle risorse pubbliche finalizzata a non riprodurre forme di istituzionalizzazione e meccanismi assistenziali e dare flessibilità, anche nell’uso delle risorse economiche, ai progetti individuali non più ancorati a rigide precodificazioni standard degli interventi. Sono percorsi integrati atti a soddisfare i bisogni di persone che, per malattie psico-organiche o marginalità socio-ambientale, richiedono prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale.
Quattro sono le aree di intervento, corrispondenti ai principali determinanti di salute: formazione e lavoro, casa e
habitat sociale, affettività e socialità. Essi sono co-gestiti dal servizio pubblico (ASL/Comuni) e dal privato sociale e prevedono diversi livelli di intensità. I Budget di Salute Personalizzati riguardano le persone con bisogni complessi che necessitano di programmi abilitativi individualizzati per consentire la possibilità-capacità di fruire del
pieno dei diritti di cittadinanza (…). La realizzazione del progetto personalizzato si realizza grazie a interventi integrati con le risorse della comunità e i soggetti dell’economia sociale”.38
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38
Esempi di questo tipo riguardano i dipartimenti di Salute mentale di Trieste, Caserta 2 e Messina.
Legge Regione Campania n.4 del 15/03/2011 art.1 comma 241 “Dispozizioni per la formazione del bilancio annuale
2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2011).
Una sezione dedicata alla illustrazione dei Budget di salute è stata realizzata da Liliana Leone (2011) su
http://www.cevas.it/innovazioni-del-welfare-mix-i-budget-di-salute.html.
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➨
AMPLIARE IL MERCATO DEGLI AFFIDAMENTI DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI ALLA COOPERAZIONE. Un’altra raccomandazione connessa ad uno dei referendum sull’”acqua bene comune” del 12-13 giugno
2011 riguarda la riforma dell’art. 23 bis del decreto-legge 112/2008 sugli affidamenti dei servizi pubblici locali.
L’abrogazione della normativa sugli affidamenti dei servizi pubblici locali potrebbe modificare il processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali offrendo la possibilità di ampliare gli spazi di inserimento nel settore della
gestione dei servizi pubblici (acqua, energia...) da parte di diversi attori economici tra cui anche le cooperative di
utenti. Le cooperative potrebbero essere candidate come formula di partecipazione democratica in grado di garantire la funzione pubblica nella gestione dei beni comuni e dei servizi pubblici locali. L’impresa sociale potrebbe
essere coinvolta nella gestione dei servizi, infrastrutture, reti di distribuzione superando la visione dicotomica che
oppone nella gestione dei beni comuni soluzioni pubbliche v/s soluzioni private. Si veda a tal proposito le “Linee
Guida sui criteri di valutazione degli aspetti sociali nelle procedure di affidamento dei servizi” del progetto
PASE39, il riferimento alle forme di regolamentazione di beni comuni studiate e teorizzate da Elinor Ostrom,
Nobel per l’economica nel 2009. La stessa Costituzione all’art. 43 recita testualmente: a fini di utilità generale la legge
può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di
lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a
situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
Il dibattito è completamente aperto ma secondo alcuni sarebbe possibile prevedere partnership privato-pubblicoprivato sociale (PPPPs) con il coinvolgimento di cooperative di utenti nella gestione di servizi pubblici essenziali,
come è il caso del servizio idrico, e costituire, in ambiti territoriali definiti, cooperative di utenti che opportunamente supportate sarebbero in grado di gestire il ciclo dell’acqua assicurando efficienza, sviluppo, equilibrio economico e assenza di profitto.
3.2. RACCOMANDAZIONI PER L’IMPRESA SOCIALE
➨ SVILUPPARE LA CAPACITÀ DI INNOVAZIONE. È necessario porre al centro l’integrazione tra ambiti e
settori di intervento per trovare “soluzioni” nuove, ri-articolando in modo originale, il campo dell’azione pubblica, tradizionalmente organizzato rigidamente per settori e materie. L’organizzazione per materie e settori distinti
impedisce oggi di sfruttare potenzialità per l’innovazione del sistema di Welfare e pone grandi difficoltà ad intervenire su questioni che si svolgono in contesti sempre più complessi ed articolati e che coinvolgono una pluralità
d’attori. Un esempio di strategia intersettoriale ci viene offerto da uno dei casi di innovazione segnalati dai partecipanti ai laboratori progettuali organizzati nella cornice del progetto PASE. Il caso denominato CIVES offre soluzioni di housing sociale con componenti di innovazione tecnologica nel settore delle energie sostenibili fortemente integrate con politiche per l’inclusione sociale e a carattere sociosanitario. In questo caso vengono segnalate
innovazioni di diverso genere quali: processi di gestione dei servizi e produzione dei beni, soluzioni finanziarie e
meccanismi di convenienza reciproca. È un network avviato nel 2007 a Pesaro che nasce dalla volontà di una rete
di imprese provenienti dal settore dell’edilizia, della cooperazione di abitazione e della cooperazione sociale, di sviluppare un programma di edilizia privata sociale per rispondere alla domanda abitativa di Marche e Umbria.
CIVES partecipa attraverso un Fondo Immobiliare Chiuso ad una rete di iniziative immobiliari nel campo del social
housing e delle residenze per anziani nelle Marche e presenta interessanti soluzioni a carattere finanziario. Il sottoprogetto denominato ASMU (Abitare Sostenibile Marche Umbria), gestito in collaborazione con Focus Gestioni,
è attualmente impegnato nella fase istitutiva del primo fondo regionale di Social Housing denominato “Fondo
39
Si veda a questo proposito il documento “Linee Guida sui criteri di valutazione degli aspetti sociali nelle procedure di affidamento dei servizi” a cura di Liliana Leone. Le Linee Guida sono state realizzate nell’ambito del Progetto PASE “Politiche
pubbliche e imprese sociali” finanziato nell’ambito del Programma di Cooperazione Interregionale INTERREG IVC
(Priorità “Innovazione ed economia della conoscenza”), di cui la Regione Marche è Ente promotore. Giugno 2011.
http://www.istruzioneformazionelavoro.marche.it/ProgettiComunitari/pase.asp.
35
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Abitare Sostenibile Marche Umbria”. Il progetto prevede il lancio di un fondo immobiliare chiuso per un ammontare di 130 milioni di euro in una prima fase e di altri 150 milioni in una seconda fase. Questi capitali saranno destinati alla realizzazione di immobili di edilizia sociale nelle Marche e in Umbria. Al progetto partecipano la Cassa
Depositi e Prestiti, la Regione Marche e la Regione Umbria, gli enti locali, le imprese, le cooperative e le fondazioni bancarie.
➨ AMPLIARE IL MERCATO DEI SERVIZI OFFERTI DIRETTAMENTE AI CITTADINI. Una delle opportunità che potrebbe essere maggiormente colte dalle imprese sociali marchigiane è quella dell’offerta diretta dei servizi alla persona sul mercato anche attraverso partenariati con le imprese. Si veda in tal senso l’interessante esperienza del caso del nido interaziendale di Biriccole a Jesi. L’Amministrazione comunale ha accreditato una struttura
privata interaziendale ha sostenuto l’intero percorso di progettazione ed attivazione del servizio riservandosi la
copertura di n. 4 posti per la propria utenza.
Nel quadro di sviluppo e di crescita della Regione Marche i servizi alle imprese rappresentano uno dei fattori di
miglioramento della qualità reale e percepita per le aziende e per i lavoratori. Contemporaneamente, le sempre crescenti esigenze di organizzazione familiare e gestione dei tempi rendono necessaria un’attenta valutazione sulle
effettive necessità dei singoli nuclei familiari e dei lavoratori.
Nello sperimentare tale opportunità si deve considerare che il mercato dei servizi sociali marchigiano, e in particolare dei servizi di cura 0-3 anni, è già fortemente caratterizzato da una compartecipazione ai costi molto elevata (n.b. in rapporto alle altre Regioni d’Italia rappresenta la percentuale in assoluto più elevata) da parte delle famiglie che coprono nel 2009 il 26,4% della spesa complessiva40. Per tale ragione la formula dei nidi interaziendali
potrebbe essere particolarmente vantaggiosa per i diversi attori: le famiglie, le imprese e il sistema dei servizi pubblici e del privato sociale.
36
➨ INTEGRARE POLITICHE DI WELFARE, POLITICHE DI SVILUPPO LOCALE E SOSTENIBILITÀ
AMBIENTALE. Sarebbe opportuno indirizzare ulteriori sforzi verso l’innovazione di modelli di economia sociale sviluppati tramite esperienze di integrazione tra politiche per l’inserimento lavorativo di fasce deboli (tramite
imprese sociali e non), cooperazione agricola (le cosiddette ‘fattorie sociali’), sviluppo di iniziative e di imprenditorialità sociale a favore della sostenibilità ambientale e della produzione di energia rinnovabile (Gruppi di
Acquisto solidale - GAS, sviluppo di imprese sociali nel settore del riciclaggio e della green economy). Le reti di
solidarietà alla base dei principi della costituzione dei GAS, in tale ottica, potrebbero rappresentare un capitale
sociale rilevante per la realizzazione di interventi di sviluppo di comunità curati dalla stessa cooperazione sociale
di tipo A.
➨ RAFFORZARE LE SINERGIE TRA COOPERATIVE SOCIALI DI TIPO A E DI TIPO B. Storicamente si è
determinata una certa separatezza tra le due tipologie di cooperative che non hanno sviluppato, escludendo l’esperienza di alcuni consorzi misti, una forte sinergia di tipo strategico e tecnico in aggiunta a quella esistente sul piano
politico ed economico e realizzata per lo più tramite la messa in comune di alcuni servizi di secondo livello. Sul
piano tecnico potrebbero essere rafforzate ulteriormente scambi reciproci di servizi e beni rafforzando gli scambi a livello di network dell’economia sociale. I distretti dell’economia sociale hanno sviluppato formule di questo
genere (es: acquisto di servizi o beni prodotto dalla cooperazione b da parte di cooperative di tipo A). Sarebbe
inoltre possibile introdurre innovazione nel modello di gestione dell’assistenza domiciliare e dell’ADI, Assistenza
Domiciliare Integrata, delegando alla cooperazione di tipo B funzioni delegabili con debole componente ‘professionale’ psico-sociale come ad esempio le attività di pulizia della casa, trasporto dell’utente non autosufficiente,
acquisto di alimenti e preparazione dei pasti.
40
Fonte: ISTAT, L’offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia Anno scolastico
2009/2010 18 luglio 2011.
C A P. 3 - R A C C O M A N D A Z I O N I
3.3 CONCLUSIONI
Nell’attuale contesto socio - economico, l’economia sociale gioca un ruolo fondamentale. La riforma del Titolo V
della costituzione e le scelte politiche nazionali degli ultimi anni hanno attribuito un ruolo marginale allo Stato nel
campo delle politiche sociali41. La radicale riduzione delle risorse finanziarie a disposizione impone un ripensamento dei sistemi di welfare regionali. Il sistema delle politiche e dei servizi sociali della regione Marche sta attraversando una fase di riorganizzazione che riguarda le dimensioni territoriali delle politiche sociali e socio – sanitarie e il ruolo attribuito ai diversi attori coinvolti nella rete dei servizi territoriali42. Le due dimensioni sono strettamente legate fra loro e incidono fortemente sulle possibilità e modalità di sviluppo dell’economia sociale nelle
Marche.
La Regione Marche è da anni impegnata in un processo di crescita della consapevolezza e di promozione del ruolo
dell’economia sociale ma anche della conoscenza degli strumenti innovativi che possano regolare le relazioni fra
pubblica amministrazione e attori dell’economia sociale.
Le linee guida elaborate nel 2006, il seminario di Osimo del 2010 e i seminari PASE del 2011 rappresentano delle
tappe importanti nel bisogno di fare chiarezza e delineare un quadro normativo regionale che possa sostenere e
promuovere uno sviluppo dell’economia sociale nel sistema di welfare regionale.
I processi di riduzione delle risorse finanziarie dai trasferimenti statali impongono una radicale revisione delle
politiche sociali e delle relative pratiche di governance nelle Marche. È necessario un ripensamento delle relazioni fra gli attori del welfare marchigiano. Le esperienze di governance maturate nella regione negli ultimi dieci
anni sono state improntate alla partecipazione e al coinvolgimento strutturato dei diversi attori coinvolti43.
Nell’attuale contesto diventa indispensabile un ulteriore sforzo per un maggiore coinvolgimento strutturato di
tutti gli attori dell’economia sociale, comprese le Fondazioni Bancarie, ma anche delle imprese profit e delle
associazioni di categoria per la progettazione di nuovi interventi, servizi e politiche sociali. È, quindi, indispensabile un aggiornamento del quadro normativo regionale che possa dare piena valorizzazione al percorso svolto e ai risultati raggiunti, e delineare nuove modalità di relazione fra pubblica amministrazione e attori dell’economia sociale.
Le principali sfide per la Pubblica Amministrazione nella promozione dello sviluppo dell’economia sociale nella
regione Marche riguardano l’aggiornamento del sistema di regolazione nelle diverse aree tematiche interessate:
1. La definizione di un quadro normativo nell’area delle politiche sociali in cui siano espliciti:
a. gli obiettivi da raggiungere nei termini di livelli essenziali da garantire in tutta la regione.
b. le modalità organizzativo gestionali più efficaci improntate alla gestione associata dei servizi.
c. il ruolo degli attori dell’economia sociale nel sistema delle politiche sociali nella progettazione, implementazione e gestione delle politiche, dei servizi e degli interventi.
2. La definizione di un quadro normativo che possa regolare i rapporti fra pubblica amministrazione e attori
dell’economia sociale perché la pubblica amministrazione possa sostenere e curare la regia dei processi di
innovazione progettuale e gestionale promossi dall’economia sociale, condividendo le finalità, gli obiettivi e
garantendo le stategie operative e la continuità e stabilità di azioni, attraverso l’utilizzo di:
a. modalità di affidamento diverse dall’appalto, come la concessione, e, al suo interno, il sistema di accreditamento
41
42
43
Costa, G. (a cura di Giacomo Costa), “La sussidiarietà frammentata. Le leggi regionali sul welfare”, Milano, Mondadori.
2009.
Angela Genova, “La crisi economica come fattore di riassetto del welfare locale: il caso delle Marche”. La Rivista delle
Politiche Sociali. N.4/2010. p 403- 423.
European Regional development Fund..
37
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b. accordi di sostegno e di collaborazione fra pubblica amministrazione e attori dell’economia sociale
c. clausole sociali nelle procedure di affidamento
3. La definizione di un quadro normativo che metta a sistema le modalità di riconoscimento e valorizzazione
dell’economia sociale con particolare attenzione alle esperienze caratterizzate da piccole dimensioni promuovendo l’utilizzo di:
a. bilancio sociale come strumento di rendicontazione e di messa in trasparenza delle azioni svolte dai soggetti dell’economia sociale e del loro valore aggiunto.
b. sistemi di sperimentazione dello SROI quale metodologia innovativa capace di misurare il valore aggiunto realizzato dell’economia sociale e il suo impatto sul benessere della comunità.
c. pratiche di valorizzazione dei contributi anche dei soggetti dell’economia sociale di piccoli dimensioni
aziendali definendo pratiche e indirizzi di policy regionali specifici
Le principali sfide per l’economia sociale riguardano la sua capacità di riposizionarsi all’interno del nuovo sistema
di welfare attraverso:
1. lo sviluppo delle capacità innovative nella dimensione della progettazione e gestione per l’offerta di risposte
nuove a bisogni sociali in trasformazione.
2. La messa a regime di strumenti capaci di mettere in trasparenza il valore aggiunto. In termini prioritari la realizzazione di bilanci sociali annuali per poi, in un secondo, momento sviluppare in accordo con la Pubblica
Amministrazione sistemi di SROI.
38
Per concludere, l’adeguamento del contesto regolativo regionale rappresenta un indispensabile aspetto nel processo di sviluppo dell’economia sociale nella regione Marche che non può, comunque, prescindere da un confronto
strutturato e costante con tutti i principali attori dell’economia sociale della regione.
co-financed by ERDF
Indicazioni per lo sviluppo
dell’ECONOMIA SOCIALE
nella REGIONE MARCHE
ALLEGATI
39
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Allegato A
LINEE GUIDA REGIONALI SUI RAPPORTI
FRA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SOGGETTI NON PROFIT 44
Le linee guida45 forniscono, con molta chiarezza, alcune indicazioni tecnico giuridiche sulle modalità con le quali strutturare il rapporto fra pubblica amministrazione e soggetti non profit. In particolare presentano una sintesi ragionata sui
principali strumenti regolativi mettendone in evidenza le relative potenzialità e limiti in una prospettiva che tiene conto
del contesto normativo europeo, italiano e dell’autonomia regionale. In questo paragrafo ripercorriamo molto sirticamente le principali modalità di affidamento dei servizi a soggetti dell’economia sociale così come presentati in questo
documento del 2006.
40
CONCESSIONE: AFFIDAMENTO DELLA GESTIONE DEI SERVIZI
Nella Concessione la PA individua nel soggetto privato concessionario una sorta di proprio alter ego; un soggetto, quindi, che l’Amministrazione sostituisce a se stessa nella titolarità del servizio pubblico ma certo, va subito precisato, non
nella titolarità della funzione cui il servizio stesso risponde. Nel caso della concessione, che instaura tra
Amministrazione e concessionario un rapporto di diritto pubblico, la pubblica amministrazione, a differenza di quanto
avviene nell’appalto, conserva una posizione di supremazia nei confronti del concessionario. In tal modo
l’Amministrazione è nelle condizioni di svolgere un pregnante ruolo nel corso del rapporto (ruolo sconosciuto nell’appalto) e di intervenire, se necessario, anche in modo unilaterale (ma preferibilmente, com’è ovvio data la natura non profit del concessionario, attraverso una sorta di coprogettazione permanente) arrivando anche a poter disporre l’anticipata cessazione della concessione ove ciò risponda a ragioni pubblico interesse.
Può essere superfluo precisare che alla procedura relativa all’individuazione del concessionario non si applicano direttamente e necessariamente le norme relative agli appalti; ciò, anche nella prospettiva dell’imminente recepimento della
direttiva comunitaria n. 18/2004/CE che riconosce la distinzione fra concessione ed appalto (la direttiva si applica agli
appalti e non alle concessioni) e, comunque, mantiene l’attuale collocazione dei servizi sociali e sanitari nel novero dei
servizi cui la direttiva in ogni caso si applicherebbe solo in minima parte.
È forse superfluo precisare che ciò non può, però, significare che la pubblica amministrazione non sia tenuta, comunque, a rispettare il Trattato CE (particolarmente sotto il profilo del divieto di discriminazione e del rispetto dei principi
di par condicio ed evidenza pubblica) ed i principi generali che reggono l’azione amministrativa e, in particolare, dunque, quelli di par condicio, legalità, trasparenza, buona amministrazione; non va inoltre dimenticato che l’articolo 113
del T.U.n. 267/2000 stabilisce che il conferimento a privati della titolarità del servizio debba avvenire nel rispetto dei
principi dell’evidenza pubblica.
La disciplina della concessione di servizi è contenuta nell’articolo 3, comma 8, della legge n. 415/1998 (c.d. “Merloni
ter”) che stabilisce che “alle concessioni di servizi pubblici [c.d. “concessioni di sola gestione”] si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 19, comma 2-bis, della legge n. 109”. Nel caso della gestione di servizi pubblici locali attraverso l’affidamento a terzi della relativa titolarità (art. 113 T.U. n. 267/2000) trova, dunque, applicazione
l’istituto giuridico della concessione del servizio previsto dalla legge n. 109/1994.
44
45
Documento elaborato nel 2006 da un gruppo di lavoro supportato da Dalla Mura, Avv. esperto amministrativista. Il
documento non è mai stato trasformato in atto amministrativo). Si precisa che i riferimenti normativi del documento
non sono aggiornati.
“Verso la legge regionale sul sistema dei servizi sociali nel quadro della legge n. 328/2000. Linee guida regionali sui rapporti fra pubblica amministrazione e soggetti non profit nel sistema locale integrato dei servizi e degli interventi sociali” (documento elaborato nel 2006 da un gruppo di lavoro supportato da Dalla Mura, Avv. esperto amministrativista. Il
documento non è mai stato trasformato in atto amministrativo).
A L L E G AT I
Un contratto di concessione (“contratto di servizio”) studiato con particolare, specifica attenzione relativamente all’oggetto (servizi sociali) consentirà l’effettivo esercizio della titolarità pubblica della funzione, è si risolverà in un pregnante potere di controllo ed indirizzo, ben più consistente e durevole nel tempo di quello che caratterizzerebbe un contratto di appalto; ciò, auspicabilmente, assicurando, nel contempo, al privato concessionario un ruolo realmente attivo nel servizio.
Nel caso di concessione di servizio se, da un lato, l’Amministrazione concedente non ha il dovere di applicare le norme
relative alle gare d’appalto (per la semplice ragione che non si tratta di individuare un appaltatore, bensì un concessionario), dall’altro non può certo sottrarsi alla necessità di porre in essere, per l’individuazione del concessionario, procedure ad evidenza pubblica rispettose dei fondamentali principi (nazionali e comunitari) di non discriminazione, pubblicità (dando una pubblicità consona all’oggetto ed all’importanza economica della concessione), trasparenza, par condicio ed economicità.
A tal fine, dunque, l’Amministrazione ha a disposizione due opportunità: quella di dare volontaria applicazione alla normativa nazionale o comunitaria relativa alle procedure per l’aggiudicazione di appalti, ovvero di individuare di volta in
volta (o in un proprio atto regolamentare) procedure alternative ma comunque rispettose dei principi sopra richiamati. In ogni caso dovrà trattarsi di procedure concorrenziali in cui le proposte degli aspiranti concessionari dovranno essere poste in competizione fra loro, trattandosi evidentemente di servizi con rilevanza economica e derivandone la necessità di dare applicazione alla norma di cui all’articolo 113 del T.U. n. 267/2000 che stabilisce che il soggetto cui
l’Amministrazione affida la titolarità della gestione del servizio (cioè la concessione) debba essere individuato “attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica” e, dunque, tenuto conto della rilevanza economica dell’oggetto, attraverso procedure aventi carattere competitivo.
Anche se la definizione di procedure atipiche costituisce, come già visto, una facoltà per l’Amministrazione, l’uso delle
procedure tipiche previste dalla normativa comunitaria può essere considerato non solo rassicurante ma anche funzionale al raggiungimento del migliore risultato.
In particolare, la normativa di origine comunitaria vigente (D. Lgs. n. 157/1995 sull’appalto di servizi) e quella di recepimento (Direttiva CE n. 18/2004) offrono due modelli procedurali di sicuro interesse sia per l’aggiudicazione di appalti, sia per l’individuazione del soggetto concessionario.
La prima va presa in considerazione nel combinato disposto degli articoli 26 (sul concorso di progettazione) e 7 (sulla
trattativa privata e, in particolare, sui casi in cui è ammessa una trattativa privata senza previa pubblicazione di un bando
di gara).
Dall’esame del combinato disposto dei due articoli emerge come sia possibile per l’Amministrazione procedere ad
aggiudicazioni della gestione di servizi ponendo in essere una procedura complessa articolata in due fasi: un concorso
di progettazione al fine di “acquisire un progetto” seguito dalla trattativa privata, diretta, con il vincitore del concorso
di progettazione al fine di affidare allo stesso la gestione del servizio progettato.
Ciò potrà avvenire attraverso una procedura di cui si propone, e mero titolo esemplificativo, il modello di seguito
descritto:
• dopo aver prescelto la modalità di gestione del servizio (con deliberazione dell’organo competente, e, quindi del
Consiglio Comunale se si tratta di un comune), verrà approvato con determinazione dirigenziale un avviso pubblico attraverso cui i soggetti interessati vengono invitati a partecipare al concorso di progettazione; si avrà, ovviamente, cura di esplicitare da subito che l’Amministrazione si riserva la facoltà di procedere a trattativa privata con il vincitore del concorso per l’affidamento del servizio oggetto della progettazione e di procedere a trattativa privata con
i soggetti collocati a seguire nella graduatoria nel caso in cui la trattativa col primo non abbia esito positivo;
• all’avviso dovrà essere allegato un progetto di massima del servizio che contenga l’indicazione delle caratteristiche
ritenute irrinunciabili dall’Amministrazione e delle linee guida per la progettazione esecutiva, allo scopo di indirizzare i concorrenti in modo tale da rendere ben confrontabili fra loro i progetti esecutivi che verranno presentati;
le linee guida non dovranno offrire soluzioni progettuali predefinite bensì suggerire ai concorrenti gli ambiti tematici su cui sviluppare le proprie originali proposte; dovrà anche essere indicata la tariffa di riferimento, cioè la tariffa teorica sulla quale i concorrenti potranno “tarare” in modo omogeneo le proprie proposte progettuali che, in
assenza dell’elemento economico di riferimento finirebbero col non essere fra loro confrontabili;
• la commissione giudicatrice provvederà a stilare una graduatoria di merito in base alla quale il responsabile del procedimento o il dirigente del servizio procederanno alla trattativa privata per il miglioramento dell’offerta e per la
definitiva definizione degli aspetti economici;
41
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• verrà infine sottoscritto con il soggetto definitivamente aggiudicatario della concessione un accordo sostitutivo del
provvedimento concessorio;
• la convenzione per la concessione dovrà, ovviamente, tener conto del disposto dell’articolo 3, ottavo comma della
legge 415/1998, sopra citata, e contenere, in particolare, l’analitica descrizione degli elementi economici e la dimostrazione dell’equilibrio economico finanziario della gestione.
Per quanto concerne il secondo riferimento normativo è opportuno ricordare che la direttiva comunitaria definisce il
procedimento di “dialogo competitivo” all’articolo 1 e lo disciplina al successivo articolo 29. Attraverso tale procedimento, sarà possibile porre in essere una procedura caratterizzata da coprogettazione; ma, si badi bene, non attraverso
una “istruttoria pubblica di coprogettazione, come prefigurato dalla legge n. 328/2000 (caratterizzata dalla partecipazione collegiale e non competitiva di più soggetti e dalla ricerca di reciproche sinergie quanto meno limitatamente alla
fase di progettazione di massima, ma, auspicabilmente anche alla progettazione esecutiva ed alla realizzazione al di fuori
di rapporti di appalto o concessione), bensì attraverso una procedura di coprogettazione che è la stessa norma a definire competitiva.
42
L’AFFIDAMENTO DELLA GESTIONE IN REGIME DI ACCREDITAMENTO
In attesa dell’intervento legislativo della Regione, gli Enti locali, potranno, comunque, sperimentare anche nei servizi
sociali l’“accreditamento”, tenendo conto che, come ripetutamente affermato dalla Corte di Cassazione a sezioni unite,
l’accreditamento previsto dal D. Lgs. n. 502/1992 ha natura concessoria e che, dunque, è all’istituto della concessione
che sarà opportuno fare riferimento.
Tenuto conto della natura concessoria dell’accreditamento, dovranno, in particolare essere precisati i livelli di qualità dei
servizi accreditabili, gli impegni e modalità relativi al monitoraggio della qualità dei servizi erogati, l’ammontare delle
tariffe, l’erogazione delle eventuali quote assunte a proprio carico dal sistema sociale pubblico, il rispetto dei regolamenti relativi ai servizi accreditati, le modalità di integrazione nella rete, le modalità di interfacciamento con il sistema informativo sociale pubblico, ecc.
In particolare, sarà opportuno tener conto delle indicazioni previste dall’articolo 8 quater del D.Lgs. n. 502/1992 per
l’accreditamento dei servizi sanitari e socio-sanitari, soprattutto con riferimento allo sviluppo della qualità dei servizi
che, nello specifico del sociale, tradurrà operativamente l’auspicio di forme di “coprogettazione permanente” contenuto nella normativa nazionale e regionale.
Solo nel caso in cui le Amministrazioni optino per un accreditamento a numero chiuso (in cui i soggetti aspiranti all’accreditamento siano in numero superiore a quelli accreditabili) si dovrà ricorrere a procedimenti di selezione ad evidenza pubblica al fine di individuare, con garanzia di trasparenza e parità di trattamento, fra i diversi aspiranti quelli da accreditare, come descritto al successivo punto n. 5.
APPALTO: ACQUISTO DI SERVIZI
A quasi quindici anni dall’entrata in vigore della legge n. 381/1991, dopo un lustro dalla legge regionale n. 34/2001 ed
a quasi tre anni dalla DGR n. 1133/2003, potrebbe apparire superfluo ritornare sulla necessità di evitare in ogni modo
che i rapporti con le cooperative sociali diano vita ad appalti di mere prestazioni d’opera.
Anche le novità introdotte nell’ordinamento giuridico dalle recenti riforme in tema di lavoro e, in particolare, la nuova
disciplina della somministrazione di manodopera portano a ritenere che le questioni ora accennate dovrebbero ormai
essere in via di superamento.
Ciò premesso, un ulteriore richiamo all’illegittimità, oltre che all’inopportunità, di forme dissimulate di appalto di manodopera può non essere inutile se si consideri che nella prassi operativa di alcune Amministrazioni locali il ricorso a tale
rapporto è ancora abbastanza diffuso.
Ma più che un generico richiamo al rispetto sostanziale delle norme, meglio potrà valere il sostegno e l’indirizzo verso
l’utilizzazione di contratti d’appalto che valorizzino le capacità imprenditoriali delle imprese sociali; ciò potrà, in particolare, avvenire attraverso la descrizione dell’oggetto dell’obbligazione contrattuale con riferimento al risultato anziché
ad operazioni e processi, concentrando l’attenzione (anche attraverso le opportune clausole contrattuali) sulla valutazione di efficacia e - per quanto possibile ed opportuno - commisurando in tutto o in parte il prezzo alla qualità oltre che
alla quantità dei “prodotti” erogati, ovvero all’esito rispetto ai bisogni reali degli utenti, senza trascurare, per quanto pru-
A L L E G AT I
dentemente possibile (tenuto conto della peculiarità dei servizi sociali), la qualità percepita dagli utenti.
Per quanto concerne le problematiche procedurali, il ricorso preferenziale a procedure ristrette e, ove possibile, negoziate per l’aggiudicazione di appalti a cooperative sociali è messo in luce oltre che dalla normativa nazionale anche da
quella regionale. Il sistema dell’asta pubblica (procedimento aperto) è dunque visto con disfavore dal legislatore, data
l’importanza rivestita, nel settore dei servizi sociali, dalle caratteristiche soggettive dei produttori dei servizi: caratteristiche che è opportuno valutare in una specifica fase di qualificazione, prodromica a quella di aggiudicazione.
Ma più che con riferimento alla fase della qualificazione è con riferimento a quella della scelta del contraente che è
opportuno identificare alcune linee guida che dovrebbero presidiare le procedure di aggiudicazione poste in essere dagli
Enti. È opportuno innanzitutto ricordare come, alla luce della giurisprudenza comunitaria e nazionale, è n e l l a f a s e d e l l a
p r e s e l e z i o n e ( e n o n i n q u e l l a d e l l ’ a g g i u d i c a z i o n e ) c h e l e c a r a t t e r i s t i c h e s o g g e t t i v e dovrebbero essere prioritaria mente valutate; ciò non significa, ovviamente, che di esse non possa tenersi conto anche nella fase di aggiudicazione,
ma solo che in tale fase sarà soprattutto sulla qualità del servizio proposto (e del relativo progetto) che le
Amministrazioni dovranno concentrare la propria valutazione.
In particolare, può essere evidenziato che le caratteristiche soggettive possono essere oggetto di valutazione anche con
concreto riferimento alle loro positive ricadute sull’oggetto del contratto; ad esempio, la valutazione (al fine dell’aggiudicazione) della professionalità e della formazione degli operatori potranno avvenire non in astratto, con riferimento
agli operatori “genericamente” presenti (nel presente o in passato) nell’organizzazione dell’appaltatore (valutazione che
non attiene alla qualità del servizio, a meno che i lavoratori in questione non siano ancora presenti nella cooperativa e
non vengano trasferiti dai servizi in cui sono impiegati in quelli oggetto dell’appalto) bensì in concreto, con riferimento agli operatori che saranno in futuro impiegati proprio nel servizio oggetto del contratto.
A proposito della vexata quaestio della “territorialità”, cioè del “legame” dell’appaltatore con il territorio, va ricordato
il recente insegnamento del Consiglio di Stato (C. di S., sezione V, 11 gennaio 2006 n. 28) per cui la c.d. “territorialità”
non dovrebbe essere ricondotta alla mera valutazione della durata temporale di servizi precedentemente prestati sul territorio di riferimento e, comunque, assurgere ad elemento di valutazione preponderante rispetto agli altri criteri di selezione, soprattutto se funzionale all’esigenza di migliorare l’erogazione dei servizi affidati.
Come esplicitato dal Giudice di Palazzo Spada nella citata sentenza, la qualità del soggetto e del progetto gestionale in
relazione alle specificità del territorio devono essere valutate nel rispetto dei “limiti interni della discrezionalità amministrativa”, evitando regole di gara illogiche, arbitrarie o che si presentino incoerenti con l’interesse pubblico da perseguire; vanno, dunque, valutati solo quegli aspetti che costituiscano di per sé elemento idoneo a garantire sia una migliore qualificazione tecnica degli operatori, sia una più approfondita consapevolezza delle reali esigenze della comunità.
Dunque, gli elementi soggettivi che non si traducano direttamente nella qualità oggettiva del servizio (ad esempio: ore
di formazione genericamente svolte negli ultimi tre anni a favore del proprio personale; titoli di studio del personale
non impiegato nel servizio superiori a quelli minimi, ecc.) dovrebbero essere preferibilmente presi in considerazione per
la valutazione dell’idoneità del partecipante alla gara (preselezione) e non per l’aggiudicazione; oltretutto, non va dimenticato che la preselezione può essere condotta anche in modo selettivo, ove la lex specialis del procedimento preveda
un numero massimo di partecipanti inferiore a quello dei soggetti che chiedano di partecipare alla gara.
Le modalità di scelta del contraente basate sul rapporto prezzo/qualità in cui il punteggio relativo al prezzo rappresenti
meno del 50% del punteggio per l’aggiudicazione (DGR n. 1133/2003) può essere adeguatamente valorizzata attraverso
la scelta di criteri di aggiudicazione che premino il valore progettuale dei servizi offerti, con riferimento non solo al livello qualitativo del servizio in sé, ma anche al livello qualitativo di prestazioni “supplementari”, quali la proposta di un efficiente sistema di comunicazioni tra appaltatore ed appaltante, di un valido sistema di monitoraggio e valutazione, ecc.
Infine, anche se si tratta di un metodo in grado di esprimere al meglio le proprie potenzialità nel caso dell’affidamento
della titolarità dei servizi sociali, non va dimenticato che il secondo comma dell’articolo 7 del D. Lgs. n. 157/1995 prevede tra le circostanze che giustificano il ricorso alla trattativa privata senza previa pubblicazione di un bando quello in
cui “l’appalto fa seguito ad un concorso di progettazione e deve, in base alle norme applicabili, essere aggiudicato al
vincitore o ad uno dei vincitori del concorso”.
43
I N D I C A Z I O N I P E R LO S V I LU P P O D E L L’ E C O N O M I A S O C I A L E N E L L A R E G I O N E M A R C H E
Attraverso, come meglio si è visto nella parte della presente direttiva dedicata alle procedure per l’affidamento in concessione dei servizi sociali, con l’esperimento di un concorso di progettazione, sarà possibile valorizzare al massimo
l’elemento qualitativo e la capacità progettuale dei concorrenti al fine dell’aggiudicazione di un appalto di servizi.
I CONTRATTI DI ACQUISTO DI BENI E SERVIZI DA COOPERATIVE DI TIPO “B”
PER IMPORTI “SOTTO SOGLIA”
La deroga, espressamente prevista dalla legge n. 381/1991, alla normativa posta a disciplina dell’attività contrattuale della
P.A., concerne solo i contratti per la fornitura di beni o servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo
stimato al netto dell’IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici.
La migliore valorizzazione di tale possibilità di deroga impone una riflessione. Lo sfruttamento delle opportunità offerte dalla norma è stato spesso limitato; spesso la possibilità di deroga è stata solo modestamente sfruttata al fine di addivenire ad affidamenti “diretti” esclusivamente nell’intento di evitare procedure di confronto concorrenziale (necessità,
peraltro, nella logica che caratterizza la DGR n. 1133/2003, comunque inevitabile nel caso di più cooperative di tipo
“B” interessate all’aggiudicazione); è mancata una visione più ampia delle opportunità che si sarebbero potute realizzare se si fosse compreso che la competitività avrebbe potuto essere radicalmente e positivamente superata se l’affidamento delle forniture di beni e servizi alle cooperative di tipo “B” fosse stato oggetto di accordi programmatici partecipati attraverso i quali determinare preventivamente quantità e tipologie di forniture da affidare alle cooperative di tipo
“B”, oltre che modalità, possibilmente concertate, per l’individuazione delle specifiche cooperative di volta in volta contraenti; sarebbe stato anche utile e possibile concordare in tale sede le caratteristiche dei progetti di inserimento, integrandoli nella “presa in carico” complessiva degli interessati e, in definitiva, nella rete locale dei servizi.
44
A proposito degli strumenti giuridici di programmazione concertata può essere utile ricordare che l’articolo 2 “misure
in materia di servizi di pubblica utilità e per il sostegno dell’occupazione e dello sviluppo”, comma 203 della legge n.
662/1996 (espressamente richiamato dall’articolo 3 della legge n. 328/2000) stabilisce che gli interventi che coinvolgono
una molteplicità di soggetti pubblici e privati ed implicano decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico delle amministrazioni statali, regionali e delle province autonome nonché degli enti locali possono essere regolati - tra l’altro - attraverso accordi definiti di «Programmazione negoziata», come tale intendendosi la regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e la parte o le parti pubbliche o private per l’attuazione di interventi diversi, riferiti ad un’unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività di competenza.
Attraverso gli strumenti di programmazione concertata, i soggetti pubblici e le Cooperative sociali operanti sul territorio possono impegnarsi reciprocamente a perseguire l’obiettivo dell’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate
residenti nel territorio di riferimento e, in tale modo, condividere le responsabilità inerenti tale pubblica funzione.
È ipotizzabile, ed anzi auspicabile (anche nell’ambito delle procedure relative al Piano di Zona) un patto che sancisca
l’impegno degli enti a riservare alle Cooperative Sociali di tipo “B” aderenti ai Consorzi che vi aderiscano una quota
percentuale dei propri appalti per la fornitura di servizi di importo unitario inferiore alla soglia comunitaria, a fronte –
ovviamente – di specifici e qualificati impegni di inserimento lavorativo delle cooperative.
Infatti, per raggiungere veramente gli obiettivi di inserimento, l’accordo non può limitarsi a determinare le quote di affidamento di forniture, ma deve inserire tale scelta in un più generale progetto di collaborazione nella rete locale dei servizi e degli interventi.
Tale progetto potrebbe consistere nell’istituzione di un tavolo permanente di coprogettazione e valutazione con scopi
di monitoraggio, valutazione degli inserimenti, perfezionamento delle modalità di affidamento alle cooperative aderenti, collegamento con la più ampia progettualità contenuta nel Piano, ecc.
I CONTRATTI DI ACQUISTO DI BENI E SERVIZI DA COOPERATIVE DI TIPO “B”
PER IMPORTI “SOPRA SOGLIA”
In attesa del recepimento, ovvero di una norma di legge regionale che direttamente applichi quanto previsto dalla direttiva comunitari n. 18/2004 a proposito della possibilità per le Amministrazioni di riservare la partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici a “laboratori protetti” che, attraverso “programmi di lavoro protetti” contribuiscano a “promuovere l’integrazione o la reintegrazione di disabili nel mercato del lavoro” (18° “considerando”) e di
A L L E G AT I
prevedere altresì che a tali “laboratori” possa essere riservata “l’esecuzione degli appalti nel contesto di programmi di
lavoro protetti”, anche la previgente normativa può prestarsi ad una applicazione migliorativa delle vigenti disposizioni
negli appalti “sopra soglia”.
In tale prospettiva, ad esempio, anche attraverso gli accordi già descritti da stipularsi ai sensi dell’articolo 2, comma 203,
della legge n. 662/1996, gli enti pubblici possono impegnarsi ad inserire nei capitolati relativi alla fornitura di servizi di
importo unitario pari o superiore alla soglia comunitaria, per un valore complessivo pari ad una percentuale predefinita del valore totale dei contratti “sopra soglia” da stipularsi da parte loro, la condizione di cui all’articolo 5, ultimo
comma, della legge n. 381/1991 (e cioè, l’obbligo di eseguire il contratto con l’impiego delle persone svantaggiate di cui
all’articolo 4, comma 1, e con l’adozione di specifici programmi di recupero e inserimento lavorativo).
Anche il divieto posto dall’articolo 5 della legge n. 381/1991 alla verifica della capacità di adempiere agli obblighi di
inserimento lavorativo nel corso delle procedure di gara e comunque prima dell’aggiudicazione dell’appalto, può essere
“compensato” attraverso la definizione di criteri di aggiudicazione che valorizzino la qualità dei progetti di inserimento
lavorativo, con l’attribuzione agli stessi di un punteggio pari ad una percentuale significativa del punteggio totale (ad
esempio, almeno il 30%) relativo alla qualità (punteggio, quest’ultimo, che non potrà essere inferiore al 50% del punteggio complessivo).
I RAPPORTI FRA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E NON PROFIT
Le maggiori potenzialità di sviluppo per la qualità dei servizi e dell’economia sociale nelle Marche sembrano poter scaturire anche da rapporti che potremmo definire come “strutturati”: rapporti, quindi, caratterizzati da una consistente
struttura contrattuale, fonte di obblighi reciproci. Si pensi, a titolo di esempio, ad una convenzione con una cooperativa sociale che abbia proposto ad un ente pubblico un progetto di intervento sociale, accompagnando tale proposta con
una richiesta di finanziamento; proposta che venga accolta dall’ente attraverso l’approvazione del progetto e la concessione del finanziamento; si pensi, sempre a titolo di esempio, all’accordo fra l’Ambito ed un gruppo di soggetti non profit che si impegnino a partecipare alla definizione dei progetti di servizio o di intervento, nei tavoli tecnici del piano di
zona, non attraverso semplici forme di consultazione o di proposta, bensì attraverso un vero e proprio lavoro di coprogettazione; in tal caso l’accordo riguarderà le modalità ed i tempi dell’apporto alla coprogettazione e le risorse (anche
finanziarie) che l’Amministrazione si impegnerà a mettere a disposizione al fine di favorire (articolo 1 della legge n.
328/2000 ed articolo 118 della Costituzione) tale impegno.
È il secondo tipo di rapporti nella sussidiarietà che necessita di alcuni chiarimenti.
Tali rapporti avranno, in genere, quale contenuto obblighi reciproci, anche se non va esclusa la possibilità che gli obblighi riguardino unilateralmente la parte privata. Ciò avverrà sia nei casi di totale gratuità dell’impegno del privato, nonostante la sua volontà di operare nell’ambito di un accordo con la P.A. (si pensi, a titolo di esempio, ad un’organizzazione di volontariato che stipuli una convenzione con la P.A. rifiutando l’attribuzione di qualsiasi tipo di utilità economica, anche se di mera copertura delle spese vive); sia nel caso in cui, il privato nulla chieda alla P.A. convenzionate in
quanto la copertura dei costi del servizio fosse assicurata da entrate derivanti dalla gestione o da contribuzioni di enti
diversi da quello convenzionato.
In genere, i rapporti in questione daranno vita ad impegni reciproci; impegni a propria volta classificabili in due categorie di accordi:
a. accordi di sostegno, attraverso i quali l’Amministrazione si impegni a fornire un supporto finanziario o, comunque, economicamente rilevante all’impegno del privato a realizzare un progetto di servizio o di intervento da esso
stesso proposto o co-progettato con l’Amministrazione;
b. accordi di collaborazione, attraverso cui l’Amministrazione non si limiti ad un ”dare” risorse finanziarie od economiche ma si impegni ad integrare sotto il profilo organizzativi risorse proprie con quelle che il privato metta a
disposizione, attraverso un corrispondente impegno, al fine di realizzare un progetto di servizio o di intervento
sociale.
45
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Allegato B
LA FINANZA E LA COOPERAZIONE SOCIALE:
AUTOFINANZIAMENTO, RACCOLTA FONDI,
ACCESSO AL CREDITO E SOSTEGNO AGLI INVESTIMENTI46
Le cooperative sociali, come e più delle altre imprese cooperative, nonostante il grosso potenziale di crescita economica sono di norma sottocapitalizzate. Per le cooperative in generale, e per quelle sociali ciò è dovuto a tre ordini di fattori:
1. alle difficoltà tipiche di tutte le altre PMI nell’accedere ai capitali di rischio per sostenere programmi di investimento.
2. alle caratteristiche socioeconomiche tipiche di questa tipologia d’impresa, che di norma aggrega “soggetti deboli
sul mercato” che dispongono di capitali limitati;
3. alle limitazioni poste dalla normativa in materia cooperativa alla remunerazione dei capitali investiti, oltre che dalle
caratteristiche distintive che differenziano la cooperativa dalle altre forme societarie.
Ne consegue un limitato o assente accesso al capitale esterno e lo svilupparsi di una dipendenza dal capitale a prestito dato che le risorse dei soci generalmente sono insufficienti e le attività svolte consentono attivi ridotti e modesti
aumenti delle riserve patrimoniali. Tuttavia risultano scarsi nelle Marche anche i finanziamenti erogati dagli Enti
Creditizi a favore delle imprese cooperative in generale (dati di alcuni anni fa stimavano 174 milioni di euro di impieghi
contro 18.503 milioni per il complesso delle imprese non finanziarie).
46
Un dato che, se rapportato non tanto al numero di imprese ma al fatto che le cooperative rappresentano per classi
di addetti circa il 4,4% delle piccole (sopra i 9 addetti), il 10,4 % delle medie e l’11,8% delle grandi imprese
delle Marche, ci evidenzia anche difficoltà sul versante dell’accesso al credito.47 Circa una cooperativa su tre è una cooperativa sociale.
In questo panorama che riguarda tutta la cooperazione le cooperative sociali si presentano particolarmente fragili a
causa di:
• condizioni contrattuali scarsamente remunerative;
• forti problemi di liquidità (e pesanti oneri) causati dai ritardi nei pagamenti da parte della P.A. che costringono le
cooperative ad anticipare mesi e mesi di stipendi;
• patrimonio ridotto e capitalizzazione a livelli minimi;
• limitata capacità di investire in strumenti e strutture proprie;
L’assente o ridotta capacita di prestito sociale, la difficoltà di raccolta fondi o di avvalersi del sostegno finanziario di cittadini, imprese o istituzioni, il non sempre facile e oneroso accesso al credito, non sembrano in grado di ridurre al
momento in maniera rilevante a queste carenze.
46
47
Di Danilo Marchionni, Dirigente P.F. Cooperazione nei settori produttivi della Regione Marche.
Dati Istat (20069 ci dicono che le cooperative in Italia hanno una dimensione media di 20,7 addetti, quasi tre volte quella delle società (7,79) ed oltre cinque volte quelle della totalità delle imprese (3,9 addetti).
A L L E G AT I
Agire anche sulle problematiche finanziarie diventa oggi uno degli interventi indispensabili per garantire lo
sviluppo della cooperazione sociale. Ciò anche alla luce di quanto dovrebbe accadere in conseguenza degli
accordi di Basilea 2.
L’azione regionale dovrebbe essere parte di una azione più complessiva a sostegno della cooperazione
sociale con una nuova e particolare attenzione/iniziative da parte di Banche, Fondazioni Bancarie, Confidi
ed istituzioni locali.
L’INIZIATIVA DELLA REGIONE PER IL RAFFORZAMENTO DELLA COOPERAZIONE SOCIALE
La Regione Marche crede nel valore della cooperazione ed ha sostenuto lo sviluppo dell’economia sociale con particolare riguardo al comparto della cooperazione sociale.
Una azione svolta da molti anni dall’assessorato alle politiche sociali, competente in materia, con la L.R. n. 34/2001,
ma che ha coinvolto spesso in maniera interassessorile l’insieme della Giunta come per le agevolazioni IRAP48.
Regolamentazione degli appalti, tariffari regionali, riserva di commesse alle cooperative sociali di tipo b, contributi per
gli inserimenti lavorativi, sono alcune delle iniziative fatte in questi anni. A volte questo operare ha avuto esiti meno
positivi del previsto ma sicuramente è stato fatto tanto, con convinzione e continuità.
Iniziative e priorità in favore delle cooperative sociali operanti in agricoltura sono state assunte anche dall’assessorato all’agricoltura a partire dagli interventi previsti dalla L.R. n. 7/2005.
GLI INTERVENTI DELL’ASSESSORATO ALLA PROMOZIONE DELLA COOPERAZIONE
E LE COOPERATIVE SOCIALI
Per quanto riguarda l’assessorato alla promozione della cooperazione, tramite la P.F. Cooperazione nei settori produttivi, operiamo da anni azioni funzionali al rafforzamento strutturale delle società cooperative. In questa azione abbiamo sempre valorizzato e dato nei bandi priorità alla cooperazione sociale (con riserve di risorse ad hoc o con priorità
come quelle per la validità sociale o per le cooperative di inserimento lavorativo).
L’azione svolta è stata giocata principalmente sull’aspetto di diretta competenza, quello della finanza per le cooperative.
Nei 7 anni di attuazione della Legge regionale 5/2003 sono state finanziate n. 123 cooperative sociali, di cui
58 di tipo b. Metà di esse, 61 cooperative, sono state finanziate come imprese di nuova costituzione sin dalla
fase di start up.
Il finanziamento concesso ammonta complessivamente a circa 7 milioni (v. due tabelle successive).
Possiamo stimare l’impatto economico delle misure in circa 5 milioni di capitalizzazione incrementata e
circa 25 milioni di investimenti incentivati con le varie misure.
A questi vanno aggiunti una media di circa 600.000 euro annui di garanzie concesse per il credito a breve
termine e circa 3.000.000 di garanzie per finanziamenti a medio e lungo termine.
48
La Regione Marche ha da anni in vigore norme di riduzione dell’IRAP in favore delle cooperative sociali. Attualmente
l’aliquota è ridotta al 2,5 per cento per le cooperative sociali di tipo a (che svolgono attività socio educative e assistenziali) ed è ridotta all’1,5 per cento per le cooperative sociali di tipo b (che operano nell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati). Nell’anno di imposta 2007, il numero di cooperative sociali che hanno applicato l’aliquota Irap ridotta è
stato di 244 soggetti, di cui 156 di tipo A ed 88 di tipo B, con un risparmio di imposta di circa 1,3 milioni di euro. Per
il 2010, si stima un risparmio d’imposta per le cooperative di oltre 1,7 milioni di euro, applicando le aliquote
agevolate rispettivamente del 2,5% e del 1,5%, rispetto all’aliquota del 3,9% prevista per le ONLUS.
47
I N D I C A Z I O N I P E R LO S V I LU P P O D E L L’ E C O N O M I A S O C I A L E N E L L A R E G I O N E M A R C H E
NORMA
ANNI 2003-2009
AGEVOLAZIONI A COOP SOCIALI
PRESTITI
F.P.
GARANZIE
media BT e stima M/L T.
L.R. n. 5/2003
art. 2
prestito senza int. x capitalizzazione
2.454.472
art. 4 c. 1
contributi c/interessi x mutui M.L.T.
art. 4c2
conto capitale x invest. Innovativi
1.246.041
176.651
art. 5
f.p x cooperative nuova costituzione
1.343.830
art. 6 c. 1
progetti x aree svantaggiate
199.000
art. 6 c. 2
progetti. sperimentali x aggregazioni ecc.
249.316
L. n. 49/1985
titolo I
FONCOOPER - prestito tasso agevol.
1.320.983
TOTALE
3.775.455
art. 7 c. 1
garanzie concesse breve termine
art. 7 c.2 e 3
garanzie concesse M-L term./fidejussioni
NORMA
AGEVOLAZIONI
A COOP SOCIALI
3.214.838
621.000
3.000.000
2009
2008
2007
2006
2005
2004
461.680
300.000
278.789
210.000
670.344
44.000
20.727
6.651
34.388
32.950
0
48.183
2003
TOTALE
L.R. n. 5/2003
art. 2
art. 4 c. 1
48
prestito senza int.
x capitalizzazione
contributi c/interessi
x mutui M.L.T.
176.110 357.549 2.454.472
37.935
176.651
art. 4c2
conto capitale
invest. innovativi
243.000
252.096
324.551
289.798
75.370
art. 5
f.p x cooperative
nuova costituzione
132.000
84.335
113.087
148.302
292.003
f.p. x progetti aree
svantaggiate
152.000
47.000
0
0
0
0
0
199.000
60.000
141.596
47.720
0
0
0
0
249.316
770.000
266.275
0
284.708
0
0
0 1.320.983
art. 6 c. 1
art. 6 c. 2
f.p x prog sperimentali
aggregaz ecc.
13.043 1.246.041
129.054 445.049 1.343.830
L. n. 49/1985
titolo I
FONCOOPER - prestito
tasso agevol.
Quanto è stato realizzato o è ‘in cantiere’ ruota su tre assi di attività centrali per il rafforzamento delle imprese cooperative: (A) Sostegno alla capitalizzazione; (B) Accesso al credito/ Credito agevolato; (C) Contributi a fondo perduto per
innovazione e nuove imprese.
Più in dettaglio la situazione è la seguente.
A) Sostegno alla capitalizzazione
Al fine di migliorare la capacità di autofinanziamento delle cooperative agiamo grazie ad un Fondo per la capitalizzazione. Si tratta di un fondo di rotazione operativo da circa dieci anni, che dispone già di una dotazione di circa
9.000.000 di euro. Al momento il fondo prevede due distinte tipologie di interventi, attuati con modalità molto
diverse:
A L L E G AT I
• sostegno ad una capitalizzazione diffusa e di piccolo taglio tramite prestito senza interesse (art. 2 della L.R. N.
5/03).
Negli ultimi sette anni la Regione Marche ha concesso 8,2 milioni di prestiti a fronte di circa 13 milioni di capitalizzazione effettuata da 160 cooperative (di cui 47 sociali).
In questo intervento la cooperazione sociale usufruisce di una riserva del 30%, sempre utilizzata, delle risorse
disponibili. Sono stati concessi circa 2,5 milioni negli ultimi 7 anni a fronte di circa 5 milioni di capitalizzazione
effettuata.
• sostegno a progetti di sviluppo tramite partecipazioni nel capitale di rischio (art. 3 della L.R. N. 5/03) intervento oggetto di uno specifico regime di aiuto di stato (AdS m. 458/07) autorizzato dalla Commissione
Europea, che partirà nel giugno 2010.
Il regime permetterà di intervenire al 50% con soggetti privati nel capitale di rischio delle singole cooperative fino
ad un massimo di 1,5 milioni per impresa e per un massimo di 10 anni. La Commissione ha autorizzato interventi fino ad un massimo di 20 milioni di interventi da approvare entro il 2013.
B) Accesso al credito/credito agevolato
Al fine di favorire l’accesso al credito stiamo svolgendo le seguenti iniziative:
• contributo in c/interessi per investimenti (art. 4 c.1. L.R. n. 5/03).
Negli ultimi sette anni sono stati concessi 56 contributi in conto interessi a fronte di circa 11 milioni di investimenti. Le cooperative sociali hanno usufruito di 21 contributi per 176.000 euro a fronte di investimenti per circa
5 milioni
• incremento fondi rischi per garanzie rilasciate dai Confidi (art. 7. L.R. n. 5/03).
Con i fondi rischi alimentati sono in essere garanzie a beneficio di più di 100 cooperative per circa 15 milioni tra
breve, medio, lungo termine e fidejussioni. Le cooperative sociali hanno beneficiato in media di circa 600.000 euro
annui di garanzie per il credito a breve termine (mediamente 7 cooperative) e circa 3.000.000 di garanzie per finanziamenti a medio e lungo termine (circa 20 cooperative).
• concessione prestiti a tasso agevolato (L. 49/85 “Marcora”)
La L. 49/1985 titolo I è stata regionalizzata. Vengono concessi prestiti a tasso agevolato alle Pmi cooperative fino
al 70% dell’investimento precvisto.
Il Fondo di rotazione “Foncooper Marche” ha una dotazione di circa 15 milioni di euro.
Nel 2006-2009 abbiamo concesso prestiti per circa 9 milioni (1,4 milioni circa a coop sociali, per 3 progetti
approvati).
C) Contributi a fondo perduto per innovazione, la sperimentazione e nuove imprese
• Al fine di sostenere nuove iniziative imprenditoriali (art. 5. L.R. n. 5/03) sono stati finanziati negli ultimi 7 anni
159 cooperative di nuova costituzione con un contributo di circa 3 milioni a fronte di circa 11 milioni di spese
sostenute e circa 1200 nuovi occupati.
Tra le altre sono state finanziate 61 nuove cooperative sociali per un totale di 1.343.830 euro ). Il contributo a
fondo perduto é concesso in relazione agli investimenti, proporzionalmente all’occupazione creata, ai costi di
gestione dei primi 12 mesi di attività ed al tutoraggio.
• Contributi in conto capitale per investimenti innovativi (art. 4 c.2. L.R. n. 5/03)
Sul fronte dell’innovazione sono stati finanziati n.287 progetti in sette anni di cui il 56% (n.160) presentati da
cooperative sociali. Il contributo è concesso per macchinari ed attrezzature, innovazione organizzativa, aggregazione, pianificazione, controllo di gestione, analisi dei costi, certificazioni di qualità, certificazione etica ecc.
• Contributi per interventi sperimentali (art. 6. L.R. n. 5/03)
Da due anni vengono attuati interventi sperimentali a sostegno di progetti imprenditoriali ricadenti nelle aree a
svantaggio territoriale o più colpite dalla crisi (es. Piceno e distretto meccanica). Inoltre da alcuni anni sono finanziati progetti sperimentali di sostegno a processi di aggregazione tra cooperative, internazionalizzazione o nuove
forme di cooperazione tra utenti. Il contributo è concesso in relazione ad investimenti e costi di gestione.
Alcune cooperative sociali hanno proposto progetti beneficiando di 199.000 euro per iniziative di sviluppo dei territori e di 249.000 per i progetti di aggregazione.
49
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Allegato C
IL CONTESTO NORMATIVO E LO STATO DELL’ARTE
A LIVELLO REGIONALE CIRCA POSSIBILI INNOVAZIONI
DELLA NORMATIVA REGIONALE49
Il lavoro più compiuto in merito alle necessarie modifiche dell’assetto normativo marchigiano in materia di appalti alla
cooperazione sociale è stato sviluppato nell’ambito dei seminari del corso residenziale di Osimo ‘Gli affidamenti dei servizi alle cooperative sociali’. I seminari sono stati realizzati nel febbraio 2010 dal “Consorzio per l’alta formazione e lo sviluppo della ricerca scientifica in diritto amministrativo” e promossi dalla Regione Marche - Servizio politiche sociali P.F.
Programmazione sociale ed integrazione socio-sanitaria. Tutti i materiali prodotti nel corso dei seminari sono disponibili in versione integrale al sito50 del Consorzio per l’Alta Formazione di Osimo.
La relazione introduttiva di Giovanni Santarelli, dirigente P.F. ”Programmazione Sociale” della Regione Marche, gettava le basi di quello che voleva diventare un tavolo di lavoro tra Regione e cooperazione sociale finalizzato a:
• rafforzare il doveroso esercizio della funzione sociale pubblica insita nella natura giuridica delle cooperative sociali;
• promuovere un sistema partecipato alla programmazione dei servizi da parte della Regione nell’ambito delle competenze attribuitele dalla legge 328/00 in stretto collegamento con le realtà istituzionali territoriali (ambiti sociali
in particolare) sulla base di una trasparente sussidiarietà verticale e orizzontale.
50
L’obiettivo era quello di declinare regole chiare in ordine al rapporto tra ente pubblico e mondo del privato-sociale attraverso l’allargamento del dibattito a forme giuridiche di affidamento aggiuntive rispetto a quelle fino ad oggi utilizzate. Dalla Mura, Avv. esperto amministrativista, in una sua pubblicazione dedicata a questi argomenti, dedicava, a questo proposito, un capitolo intitolandolo “oltre l’appalto” introducendo nel dibattito la possibilità di utilizzare nuovi
modelli di rapporto tra pubbliche amministrazioni e cooperative sociali previsti nella normativa esistente evitando però
“…il rischio di ipotesi fantasiose, traduzioni organizzative del tipo “fai da te”, meri auspici socio-politici privi di una seria analisi giuridica”. Nel testo si fa riferimento alla questione dell’aggiornamento della delibera regionale n. 1133, e alla proposta di “linee
guida regionali sui rapporto tra pubblica amministrazione e soggetti non profit nel sistema locale integrato dei servizi e degli interventi sociali”51; documento quest’ultimo che non ha mai visto la luce proprio per difficoltà intercorse nel confronto tra competenze giuridiche e legislative regionali e operatori sociali pubblici e del no-profit e per la diffidenza suscitata dalla sezione “procedure innovative di affidamento”. Il documento delle Linee Guida prevedeva un importante allegato che riportava
un esempio di capitolo normativo da inserire nei piani di ambito sociale dove veniva illustrato nel dettaglio il percorso
da seguire per rendere i tavoli di concertazione veri luoghi di co-progettazione.
Il documento si articolava:
• in una prima parte dedicata ad una riflessione sull’affidamento e l’acquisto di servizi sociali non solo attraverso lo
strumento tradizionale dell’appalto, ma introducendo altre due possibili modalità in genere scarsamente utilizzate
dalle amministrazioni: l’istituto della concessione da una parte e quello dell’accreditamento dall’altra.
• e in una seconda parte dedicata invece alla sussidiarietà ed ai suoi strumenti illustrando nel dettaglio la natura giuridica dei rapporti di sostegno e di collaborazione, i loro profili procedurali e le regole.
49
50
51
Di Giovanni Santarelli, Dirigente P.F. ”Programmazione Sociale” della Regione Marche.
Sito http://www.consorzioaltaformazione.it/corsi-residenziali.php
Scaricabili da: http://www.consorzioaltaformazione.it/santarelli_linee_guida_affidamenti.doc
A L L E G AT I
Tra i materiali del seminario viene segnalato il documento finale (514/2009)52 che costituisce il “Primo provvedimento attuativo dell’art.23 della L.R. 4/2008 in materia di accreditamento dei servizi sociosanitari”, parte integrante e
sostanziale del presente provvedimento.
I seminari di Osimo riprendevano le problematiche sull’aggiornamento della DGR 1133 che regolamenta a tutt’oggi le
esternalizzazioni dei servizi alle cooperative sociali introducendo parametri aggiuntivi rispetto a quello del massimo
ribasso.
Di particolare rilevanza il documento di Fabrizio Lorenzotti intitolato: Gli affidamenti dei servizi alle cooperative sociali: la giurisprudenza amministrativa 2008 – 2009 e i pareri del servizio legislativo della Giunta regionale delle Marche.
Alla luce dei nuovi regolamenti e delle raccomandazione della Commissione Europea in materia di clausole sociali e
regolamentazione dei SSIG Servizi Sociali di Interesse Generale, si tratta oggi di una necessità ancora più impellente
che dovrebbe spingere le diverse parti a ripensare lo strumento dell’appalto. Il documento faceva inoltre riferimento alla necessità di emanare una nuova legge regionale sul sistema dei servizi sociali nel quadro della legge 328/00.
La prospettiva doveva essere quella di dare stabilità ad un sistema che in questi anni si è sostenuto su atti deliberativi di
consiglio e di Giunta.
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http://www.consorzioaltaformazione.it/documento_finale.pdf
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Allegato D
STRALCI DELLA DELIBERAZIONE DELL’AUTORITÀ
PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI SUGLI
AFFIDAMENTI DI SERVIZI DA PARTE DELLE ASL53
A conclusione dell’analisi svolta l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ha deliberato su alcuni degli aspetti controversi nel quadro regolativo delle attività dell’economia sociale nel contesto regolativo
europeo, nazionale e regionale:
CONFRONTO COMPETITIVO E RISPETTO DEI PRINCIPI DI ROTAZIONE E DI ECONOMICITÀ
Un sistema che preveda di anno in anno la sottoscrizione di una convenzione con la medesima cooperativa locale per
l’erogazione dello stesso servizio, anche se strumentale e di importo inferiore alle soglie comunitarie e quindi formalmente in linea con l’art. 5 della legge n. 381 del 1991, è comunque in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria in materia di contratti pubblici. La stazione appaltante deve sempre valutare la possibilità di affidare il servizio per
periodi più lunghi ovvero accorpare un maggior numero di prestazioni e, procedendo per importi più elevati, garantire
un confronto competitivo e il rispetto dei principi di rotazione e di economicità;
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CONVENZIONI EX ART.5 L. 381/91
Il ricorso al convenzionamento ex art. 5 della legge n. 381/91 presuppone la necessità da parte della stazione appaltante di acquisire servizi diversi da quelli socio-sanitari il cui importo sia contenuto entro la soglia di rilevanza comunitaria; l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate non può essere considerato un servizio, né l’oggetto di una convenzione, la quale costituisce comunque uno strumento riconducibile all’ambito degli appalti e non a quello della tutela dei diritti dei lavoratori disabili.
Le convenzioni ex art. 5 della legge n. 381/1991 possono avere ad oggetto la fornitura di beni e servizi - diversi da quelli socio-sanitari ed educativi di importo sottosoglia – in favore dell’amministrazione richiedente e non già la concessione di servizi pubblici o comunque di servizi al pubblico riconducibili all’art. 30 del codice dei contratti, per i quali la
controprestazione consista nel diritto di gestire il servizio;
Una disciplina in materia di affidamenti alle cooperative sociali adottata a livello regionale con la quale si ammetta la
possibilità di ricorrere a strumenti alternativi all’appalto, quali il convenzionamento diretto all’art. 5 della legge n.
381/1991, oltre i limiti di cui alla legislazione nazionale, non può ritenersi legittima; ugualmente non può ritenersi legittima una disciplina regionale che pur in assenza dei presupposti di cui all’art. 52 del codice dei contratti, consenta alle
amministrazioni procedenti di riservare la partecipazione alle gare per l’affidamento di servizi alle sole cooperative
sociali;
PREDETERMINAZIONE DEI CRITERI SELETTIVI
Per gli appalti aventi ad oggetto l’affidamento di un progetto relativo a “servizi sociali” compresi nell’allegato II B, l’art.
20 del codice dei contratti pubblici prevede – oltre all’applicazione degli artt. 68, 65 e 225 - che la scelta del contraente
avvenga nel rispetto dei principi di cui all’art. 2, dai quali discende anche l’obbligo di predeterminazione dei criteri selettivi nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa;
ECCEZIONALITÀ DI PROROGA E RINNOVO
Il ricorso agli istituti della proroga e del rinnovo, utilizzabili solo in via eccezionale, costituisce una violazione dei principi di cui all’art. 2 del codice dei contratti pubblici ed in particolare, della libera concorrenza, parità di trattamento, non
discriminazione e trasparenza.
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Deliberazione n. 34 dell’AdV- Adunanza del 9 marzo 2011: indagine sugli affidamenti di servizi da parte delle ASL)
A L L E G AT I
Allegato E
STRALCI DELLA DELIBERAZIONE RELATIVA ALLA POSIZIONE
DELL’AUTORITÀ DI VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI SULLE
PROCEDURE NEGOZIATE IN TRE AFFIDAMENTI DELL’ASUR MARCHE54
L’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavoro, Servizi e Forniture: l’autorità mette in discussione le procedure negoziate in 3 affidamenti Asur analizzati. I contratti analizzati hanno interessato il “trasporto non sanitario-ristorazione e mensa-front e back office” e lo “svolgimento di attività lavorative con valenza di riabilitazione psichiatrica e reinserimento lavorativo”, affidati all’esito di procedure negoziate riservate alla partecipazione delle cooperative di tipo B.
In entrambi i casi l’AVV rileva le stesse anomalie procedurali, anche i loro effetti siano diversi in relazione al singolo
contratto considerato.
Nella propria relazione l’Amministrazione, illustrando le ragioni che l’hanno indotta ad adottare le procedure derogatorie di cui alla legge n. 381/91, afferma che in tal modo ha inteso attivare dei percorsi “finalizzati a creare opportunità
di lavoro per persone svantaggiate”; senonché, contestualmente, viene fatto espresso riferimento all’art. 20 Codice dei
contratti che, disponendo in ordine agli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’Allegato IIB, “tra i quali si annovera l’affidamento di cui si tratta”, giustificherebbe l’applicazione dei soli artt. 68, 65 e 225, nonché dell’art. 27 del medesimo Codice a garanzia del rispetto, in ogni caso, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità.
Il richiamo ad entrambe le discipline normative – quella sul convenzionamento diretto ai sensi dell’art 5 della l. n.
381/91 e quella sui servizi esclusi dell’All. IIB – è in evidente contraddizione: se, infatti, i servizi di cui si tratta rientrassero tra quelli socio-sanitari ed educativi, come afferma la stazione appaltante, sarebbe esclusa ipso iure l’applicabilità
della disciplina derogatoria, adottabile esclusivamente per l’affidamento di “attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi” alle cooperative di tipo B, che a loro volta non possono essere assegnatarie di servizi appunto
socio-sanitari ed educativi, e che però sono state le uniche – come detto – ammesse a partecipare alla procedura selettiva.
D’altra parte – secondo quanto già evidenziato nella Delibera – l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate non
può essere considerato di per sé un servizio, acquisibile direttamente attraverso il convenzionamento con le cooperative sociali, e perciò tanto meno un servizio socio-sanitario, che in quanto tale si vorrebbe sottoposto alla disciplina dei
contratti esclusi (All. IIB).
Questa commistione di norme, che di fatto determina un indebito stravolgimento interpretativo delle stesse, sortisce
però degli effetti diversi sui due contratti in considerazione.
Nel caso, infatti, del servizio di trasporto non sanitario-ristorazione e mensa-front e back office, il cui importo ammonta a e 1.379.142,06, esclusa per le ragioni anzidette l’applicabilità del combinato disposto degli artt. 20 e 27 Codice contratti, è da ritenersi illegittima anche l’applicazione della disciplina di cui all’art. 5 della L. n. 381/91, trattandosi di un
affidamento il cui importo complessivo supera ampiamente la soglia di rilevanza comunitaria per l’anno di riferimento
(2006 - e 211.000,00).
Sotto altro profilo non sembra possibile annoverare, come invece contraddittoriamente fa la stazione appaltante, i servizi in questione tra quelli di cui all’All. IIB solo per la presenza, tra gli altri, di quello di ristorazione e mensa: e ciò perché, pur volendo ammettere la riconducibilità, tutt’altro che certa, di tal servizio a quello rubricato come “servizi alberghieri e ristorazione”, esso si trova congiunto ad altri servizi (ossia trasporto non sanitario e front/back office) sicuramente non compresi nell’All. IIB.
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Deliberazione n. 34 dell’AdV- Adunanza del 9 marzo 2011: indagine sugli affidamenti di servizi da parte delle ASL, Prot.
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Relativamente al secondo contratto, invece, privilegiando una interpretazione conservativa, che cioè faccia prevalere la
sostanza sulla forma, si ritiene che, ancorché affetto dagli stessi vizi procedurali del primo, appena enucleati, essendo il
suo importo largamente sotto-soglia (e 118.685,40), l’errato inquadramento giuridico della fattispecie non determini,
in concreto, effetti pregiudizievoli di sorta.
In argomento, occorre anche evidenziare che il richiamo alla legislazione regionale –specificamente della L.R. Marche
n. 34/2001 (recante “Promozione e Sviluppo della cooperazione sociale”) – non appare una idonea giustificazione dell’operato dell’Amministrazione. Tale legislazione, infatti, pur promuovendo la c.d. cooperazione sociale e incentivando
con fondi regionali il ricorso allo strumento convenzionale ai fini del raccordo dei servizi socio-sanitari, assistenziali ed
educativi con le attività di formazione professionale, non sembra consentire un’applicazione della disciplina derogatoria diversa da quella indicata dalla normativa nazionale in materia; e in ogni caso la norma regionale deve sempre essere interpretata in conformità ai principi generali e alle disposizioni speciali che attualmente regolano gli appalti pubblici di servizi.
Per le motivazioni che precedono, si invita dunque l’Amministrazione procedente ad attenersi, per il futuro, alle indicazioni desumibili dalle conclusioni rassegnate in Delibera e, più in generale, ad una più corretta applicazione della disciplina derogatoria richiamata.
Per quanto riguarda, infine, l’affidamento del servizio di “attività motoria riabilitativa di gruppo”, una nota del Direttore
dell’U.O.C. Provveditorato/Economato, attesta che, trattandosi di servizio socio-sanitario, “è affidato a cooperativa di
tipo A e pertanto sottratto al caso ed ai presupposti normativi assunti nella richiesta dell’AVCP ed oggetto del relativo
approfondimento”; l’indicazione dello stesso tra gli affidamenti ai sensi della legge n. 381/91 sarebbe dunque dipesa
“da un’errata comunicazione di questa ZT11 in risposta ad una risalente indagine conoscitiva dell’AVCP”. Dalla documentazione successivamente pervenuta emerge, in effetti, che il servizio de quo è stato affidato all’esito di una procedura di gara informale, con invito alle cooperative di tipo A, ai sensi dell’art. 5 della L.R. n. 34/2001 e in conformità
alla disciplina inerente ai servizi contenuti nell’All. IIB, di cui al combinato disposto degli artt. 20 e 27 del D.Lgs.
163/2006.
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VISF/GE/10/83400, ASUR Marche, Affidamenti esaminati: 3, Importo complessivo: e 1.629.827,46.
A L L E G AT I
MATERIALI DISPONIBILI ON LINE
Oltre agli allegati, sono disponibili on line i materiali realizzati per i laboratori seminariali del progetto Pase (le relazioni e i casi studio discussi) sul sito web http://www.istruzioneformazionelavoro.marche.it/ProgettiComunitari/pase.asp
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