il nome di dio nel nuovo testamento

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il nome di dio nel nuovo testamento
IL NOME DI DIO NEL NUOVO TESTAMENTO
Articolo di presentazione del libro di Didier Fontaine
tratto il 31/07/2011 dal sito web:
http://www.ciao.it/opinion_images_view.php/OpinionId/1166906/Img/14795142
IL NOME DI DIO NEL NUOVO TESTAMENTO risponde alla domanda Perché è scomparso dai testi
greci nel I e II secolo?
Il nome di Dio è un oggetto di studio affascinante. Elemento centrale della maggior parte delle
religioni dato che i cristiani iniziano la loro preghiera del Padre Nostro con “Sia santificato il tuo nome”
e le sure del Corano iniziano con “nel nome di Dio”, il nome di Dio è allo stesso tempo completamente
ignorato, al punto che il credente è incoraggiato a rendere un culto ad un Dio anonimo, il dio sconosciuto dei
greci.
Per uno strano paradosso il nome di Dio, essendo onnipresente, passa inosservato. Le religioni
moderne hanno adottato il principio centrale dei culti misterici, prodotto di circoli gnostici e cabalistici,
il nome di Dio è il Nome. D’altronde gli ebrei moderni chiamano D-io: Hashem “Il Nome”, nella stessa
maniera con cui gli egiziani del passato chiamavano il loro dio supremo: Amon “il [nome] nascosto”.
È tuttavia facile verificare che il nome divino appare circa 7000 volte nella Bibbia ebraica nella forma del
tetragramma YHWH, il famoso nome di quattro lettere , secondo Giuseppe Flavio composto, in effetti, da
quattro vocali. Il testo biblico, Romani 10:13 che cita Gioele 2:32, insiste sull’invocare il nome di Dio per
avere la salvezza.
L'autore Didier Fontaine ha condotto un’inchiesta appassionante per comprendere come mai questo nome,
così sacro, ha cessato di essere pronunciato durante il periodo che va dal 35 al 135 della nostra era.
Il processo di Gesù costituisce uno degli elementi determinanti per comprendere quest’enigma. In
effetti, i capi religiosi giudei non volevano essere degli assassini, dunque hanno voluto condannare
legalmente questo compatriota che consideravano come un impostore.
Il principale capo d’accusa utilizzato, prima di appigliarsi al crimine di lesa maestà della legislazione
romana, fu il crimine di bestemmia. La bestemmia era un crimine codificato, infatti Levitico 24:16
prevedeva la lapidazione per chiunque pronunciava il nome di Dio in maniera ingiuriosa. D’altronde nel
primo secolo qualche giudeo-cristiano, come Stefano, fu lapidato per questo motivo.
Didier Fontaine, ricercatore appassionato, è riuscito a rendere semplice un argomento diventato complesso .
L'opera di Didier Fontaine
L'autore Didier Fontaine ragiona che il nome di Dio non finisce di suscitare reazioni, positive o meno.
Alla fine di agosto del 2008 il Vaticano ha raccomandato al suo gregge di non far più uso del vocabolo
Yahvé nei canti liturgici , ma di conformarsi alla tradizione “storica” dei Giudei e dei Cristiani di non
pronunciare il nome divino ad alta voce.
Numerosi canti dovranno così essere modificati per cancellare ogni menzione del Nome (Yahvé o
Geova).
Questo illustra senza ambiguità l’attitudine della cristianità davanti al nome di Dio: nessun
attaccamento. Essa non l’ha mai amato.
Le Sacre Scritture non hanno alcuna ambiguità. Insistono con l’importanza di invocare il Nome
(Sofonia 3:9), di lodarlo (Salmo 113:1, 135:1), di rifugiarvisi in tempo di sconforto (Salmo 116:4,
Proverbi 18:10). Contrariamente alle affermazioni del Magistero, né gli Israeliti, né i cristiani si sono
astenuti di far uso del Nome.
Per comprendere in quali circostanze il cristianesimo si è allontanato dalle sue origini ed ha cessato
di far menzione del Nome, il presente studio si concentra sul periodo apostolico. Quale eredità
culturale e cultuale possedevano i primi cristiani? Conoscevano il Nome? Come sono arrivati a non
pronunciare più il nome divino? A non impiegarlo del tutto?
Il nome divino nel Nuovo Testamento è sicuramente un argomento polemico. Infiamma ed alimenta le
controversie perché il suo epilogo spiega come Gesù è stato identificato con Dio. Ora, compromettendo
un pilastro della fede cristiana”, suscita le più vivaci reazioni.
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Il nome di Dio nel Nuovo Testamento
(Didier Fontaine) copertina
In un volume già apparso in questa collana, Storia del Nome di Dio, Gérard Gertoux l’ha dimostrato
molto bene. In effetti, è solo a partire dal momento in cui il culto si è corrotto che una reticenza via via
sempre più grande rispetto al Nome si è fatta sentire.
La presente edizione, che appare oltre un anno dopo quella francese, ha beneficiato di numerosi
arricchimenti. Alcune parti sono state rivedute, riscritte o rese più chiare. L’apparato di note è stato
verificato e completato con l’apporto degli studi più recenti. Il terzo capitolo è stato ampliato con
un’importante esposizione sulla distinzione tra kyrios (Signore) e ho kyrios (il Signore) nella Settanta.
Quest’utilizzo è messo in evidenza anche nei Padri apostolici. L’appendice è stata considerevolmente
arricchita per servire come punto di partenza al lettore desideroso di seguire le ricerche: in effetti, gli
oltre duecentotrenta versetti biblici dove il nome divino forse era presente in origine sono stati
analizzati sotto un duplice aspetto: l’impiego o meno
dell’articolo davanti al termine kyrios (un indice
relativamente affidabile verso il tetragramma originale), e
le varianti testuali concernenti l’uso dell’articolo, o dei
termini kyrios, christos, theos, tutte molto significative in
quanto alle esitazioni cristologiche caratteristiche del
periodo di transizione tra il giudeo-cristianesimo e il
pagano-cristianesimo. Più critica, l’appendice è stata
riscritta in maniera di non escludere una rilettura
dell’Antico Testamento in certe occasioni, e menziona i
versetti dove, escludendo la menzione kyrios e il principio
kyrios = tetragramma, il nome divino non è stato restaurato
nelle versioni che ripristinano il Nome.
Lo scrittore spera che questo studio permetterà di sensibilizzare il pubblico italiano al problema
della presenza originale del nome divino nel Nuovo Testamento.
Nella prefazione del suo libro, l'autore Didier Fontaine approfitta dell’occasione per ringraziare
calorosamente l’editore italiano di avergli concesso una tale opportunità, ed a Sara e Stefano Pizzorni
di avervi lavorato diligentemente.
Ci tiene ad esprimere loro la sua calorosa riconoscenza, non solo per il loro contributo, ma anche e
soprattutto per le qualità cristiane che hanno manifestato a sua moglie e a lui stesso.
Didier Fontaine scrive: Il presente studio possa glorificare il Nome, e incitare sempre più persone a seguire
i passi del Signore Gesù Cristo.
Il nome divino nella Bibbia
Il lettore della Bibbia talvolta è confuso da una constatazione imbarazzante: il Vecchio Testamento
è molto differente dal Nuovo. Il primo racconta delle tumultuose relazioni tra YHWH e un popolo che
egli ha eletto a discapito di tutti gli altri, popolo “dal collo duro”, le cui peregrinazioni caotiche non sono
certo un motivo di vanto. È il racconto di spietate guerre incessanti, di conquiste, di stermini. Le
bassezze dei re si susseguono alla narrazione dei massacri. Alla fin fine questa nazione, tranne che per
la rivelazione del Dio Uno e l’alleanza che ha contratto con Lui, fa una ben misera figura. In seguito si
stabilisce una nuova alleanza, il cui “resoconto” costituisce un Nuovo Testamento. Il Dio che vi è
rappresentato non ha nome. Lo si chiama con il titolo di “Signore”. È un Padre benigno e pieno d’amore
che ci rivela il Cristo. Ben differente, in apparenza, dalla divinità nazionale della Prima Alleanza, questo
“Dio buono” dando la sua grazia a tutta l’umanità, è universale.
Nel secondo secolo della nostra era la constatazione di questa separazione era già fonte di
confusione e di conflitti, come ne testimonia la celebre eresia di Marcione, secondo cui il Dio dell’Antico
Testamento, divinità malvagia e inferiore, non poteva in nessun caso essere quello del Nuovo. Per gli
ebrei d’oggi, la Bibbia è formata dalla Torah, dagli Scritti e dai Profeti: non ci sono dunque due divinità
differenti, ma solo il Dio Uno, YHWH, dal nome impronunciabile. Per quanto riguarda i cristiani per
molto tempo si sono adattati al Vecchio Testamento – con fatica, bisogna dirlo – leggendo solamente dei
pezzi scelti, e utilizzando ogni sorta di messali che non contenevano che il Nuovo Testamento e i Salmi.
Ai nostri giorni, se la lettura liturgica o quella personale ha compiuto un’evoluzione nel senso di un
approccio più completo alle Scritture, questa sfocia invariabilmente in un latente imbarazzo.
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Ciò nonostante si potrebbero superare questa difficoltà, perché la storia mostra che giudaismo e
cristianesimo sono madre e figlia. Il loro legame è viscerale. Come dunque, in questa epoca di
intolleranza e fanatismo, spiegare queste disparità? L’esistenza di una Bibbia ebraica, e di una Bibbia
cristiana? Le differenze tra YHWH e “il Padre”?
Lo scopo di quest’opera è di mettere in risalto una delle spiegazioni della rottura tra giudei e
cristiani. Una spiegazione fra le altre, certo, ma che a nostro avviso è così importante che da essa ne
derivano tutte le altre. Si tratta della questione del nome divino e del suo trattamento nella Bibbia, in
particolare nel Nuovo Testamento. Sovrabbondante nei testi dell’Antico Testamento – vi compare circa
7000 volte – scompare del tutto nel Nuovo Testamento (almeno dai manoscritti che ci sono pervenuti):
Dio è designato dai sostantivi “Dio”, “Padre” o “Signore”. Il nome divino nella Bibbia ha sempre suscitato
delle reazioni diverse e questo è molto indicativo. E’ incontestabile che questo nome appaia nel Vecchio
Testamento: lo s’incontra, più che ogni altro nome, sotto le quattro lettere YHWH, in ebraico hvhy. Una
superstizione giudaica (diventata tradizione) ha diffuso l’idea che questo Nome era “troppo sacro per
essere pronunciato”, così come la vocalizzazione di questo Nome, da molto tempo, pone un problema e
contribuisce alla ricerca di sostituti: Eterno, Signore, YHWH o YHWH-Adonai compaiono spesso al
posto del glorioso nome divino.
Nel Nuovo Testamento, dunque, Dio viene chiamato frequentemente ku,rioj (Kyrios), Signore. Perché
non lo si chiama più con il suo nome hvhy ? Il Nome è imbarazzante o è lo spirito di un universalismo
sincretico che lo suggerisce? E’ tanto più curioso che nella Bibbia, Dio afferma che il suo Nome deve
durare di generazione in generazione, conservarsi all’infinito, essere proclamato fra tutte le nazioni. Se
dunque il Dio degli Ebrei voleva che il suo nome fosse conosciuto in tutta la terra, perché non ha fatto
in modo che esso fosse preservato, e questo a partire dalla sua vocalizzazione? Si potrebbe
logicamente pensare che se questa vocalizzazione si è persa, semplicemente non è importante. E’ dunque
opportuno oggi usare un nome ricostruito, e restituito almeno nel Vecchio Testamento dove esso
compare incontestabilmente? Ecco le due domande che saranno alla base della nostra analisi.
Tuttavia noi concentreremo la nostra attenzione su un problema più delicato, che è quello del nome
divino nelle Scritture greche cristiane, in risposta all’opera di Lynn Lundquist, The Tetragrammaton and
the Christian Greek Scriptures.
Come abbiamo accennato precedentemente, in effetti, nessun manoscritto del Nuovo Testamento
riporta il tetragramma, nome proprio per eccellenza del Dio d’Israele. Tra rottura e continuità gli
scritti neotestamentari lasciano dunque un sensazione strana per quel che riguarda la loro eredità: il
nome sacro di Dio non è ripreso che sotto la forma ellenizzata di un titolo assai comune all’epoca,
ku,rioj. Ora, il problema sorge dalla confusione nell’impiego di questo titolo. Ku,rioj può infatti indicare
tanto YHWH che Gesù Cristo. Questo ha inevitabilmente generato una notevole confusione sull’identità
di Gesù, che è stato assimilato, attraverso questo titolo comune di Signore, a Dio stesso… A nostro
avviso questa confusione sull’identità di Cristo è direttamente legata alla presenza originale del
tetragramma nel Nuovo Testamento.
Qui sosterremo la tesi che Gesù ed i suoi discepoli conoscevano ed impiegavano il Nome, e che gli
scritti dei primi cristiani contenevano il tetragramma in caratteri ebraici. Fu soprattutto il diffondersi
del messaggio evangelico alla Gentilità ellenistica che causò la perdita d’interesse per il Nome e,
pertanto, la sua scomparsa totale nella trasmissione dei testi. Vedremo che questa “scomparsa” è nel
caso specifico un termine ingannevole.
Il problema del nome divino nel Nuovo Testamento ha un insospettabile potenziale polemico. Ne
saremo coscienti nel corso di tutta la nostra ricerca, non dimenticando mai che in un certo senso tocca
l’essenza stessa del cristianesimo. Per di più questo soggetto necessita di conoscenze specifiche che
sono spesso assenti o, comunque, confuse agli occhi del non specialista. Ora quello che è confuso finisce
per diventare una mezza verità. Sarà dunque giudizioso soffermarci innanzi tutto sulle seguenti
questioni:
Innanzitutto accenneremo all’impiego del nome divino nei tempi biblici e al problema della sua
vocalizzazione (nei capitoli 1 e 2), soggetti che non interessano direttamente la nostra problematica, ma
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che permettono che la sua trattazione si liberi di informazioni e di analisi approssimative sulle quali è
impossibile costruire qualunque ragionamento. Inoltre, non rimettendo in questione la presenza del
nome divino nel Vecchio Testamento, le polemiche che tuttavia circondano la sua vocalizzazione e
restituzione nelle nostre traduzioni sono molto rivelatrici,
- In secondo luogo, ci serviremo della testimonianza della Settanta. Alcuni considerano questa
testimonianza senza valore; altri, al contrario, la ritengono una prova, o quasi. Senza collocarsi in questi
due estremi, analizzeremo dunque in cosa questa traduzione delle scritture ebraiche, che impiegavano i
cristiani, ci illumina sul comportamento nei confronti del Nome, sia nel Vecchio che nel Nuovo
Testamento.
In effetti, il lettore impaziente che pensa di avere abbastanza dimestichezza con i risvolti del nome
divino nella parte ebraica della Bibbia può recarsi direttamente al capitolo 4, perché è in questo
capitolo che inizieremo a raccogliere gli indizi del suo uso all’epoca di Gesù e dei suoi discepoli. Il
capitolo seguente risponderà alla domanda che sorge naturalmente all’esame degli indizi: se Gesù ed i
suoi discepoli hanno veramente impiegato il Nome, per quale ragione non appare nel testo del Nuovo
Testamento?
Rispondere precisamente a questa domanda richiede di esaminare le condizioni di trasmissione di
questo testo. In generale, il credente pensa che il testo che egli scopre nella sua versione biblica è
assolutamente degno di fiducia, per la buona ragione che questa Parola è considerata come “ispirata”.
Ma è, anche questa, una mezza verità, che ignora quali epoche turbolente ha attraversato il testo che
ha sotto gli occhi (capitolo 6) dato che i primi due secoli della nostra era sono disseminati di
avvenimenti uno più grave dell’altro: la rovina di Gerusalemme nel 70, le persecuzioni dei cristiani,
demarcazione e poi rottura del cristianesimo dal giudaismo, seconda rivolta giudaica e seconda rovina di
Gerusalemme… non sono che alcuni dei trascorsi di questo periodo agitato. Senza parlare delle
controversie cristologiche che apparvero da che il messaggio evangelico uscì dalla Palestina (capitolo 7).
E’ il rendersi conto di questo contesto che permette di collocare il problema del nome divino in seno alle
Scritture greche cristiane nella sua corretta prospettiva. In quel periodo, il cristianesimo si definiva,
allo stesso tempo, con una contraddizione interna ed un’apertura all’esterno. La proclamazione orale si
fissa per iscritto. Un canone si costituisce. Le eresie sono smascherate. Un sentimento ortodosso si
forma e il movimento esce dalla sua culla. Si proietta nell’oikouménè.
Cambia di capitale. Cambia Dio?
Il presente libro, IL NOME DI DIO NEL NUOVO TESTAMENTO è in pratica un'edizione Italiana che
appare oltre un anno dopo quella francese, accresciuta e riveduta del testo originale.