La Grande Truffa di Telethon,Referendum

Transcript

La Grande Truffa di Telethon,Referendum
La Grande Truffa di Telethon
La Grande Truffa di Telethon
Posted on 09/12/2014
Fonte
e
link:
https://pulgarias.wordpress.com/2014/12/09/la-grande-truffa-d
i-telethon/
Sono 20 anni che questa “grande fiera” televisiva continua…
Ecco cosa ne pensa un ricercatore, uno specialista in biologia
della riproduzione.
[Di Olivier Bonnet. Preso da Tuttouno.blogspot.it. Originale
pubblicato su alterinfo. net con il titolo La grande
escroquerie du Téléthon Le professeur Testard dénonce une
“mystification”. Traduzione di Giuditta.]
“È scandaloso. Il Telethon raccoglie annualmente tanti euro
quanto il bilancio di funzionamento di tutto l’Inserm. La
gente pensa di donare soldi per la cura. Ma la terapia genica
non è efficace. Se i donatori sapessero che il loro denaro,
prima di tutto è utilizzato per finanziare le pubblicazioni
scientifiche, ma anche i brevetti di poche imprese, o per
eliminare gli embrioni dai geni deficienti, cambierebbero di
parere.
“Il professor Marc Peschanski, uno dei architetti di questa
terapia genica, ha dichiarato che abbiamo intrapreso una
strada sbagliata. Si stanno facendo progressi nella diagnosi,
ma non per guarire. Inoltre, anche se progrediamo
tecnicamente, noi non comprendiamo molto di più la complessità
della vita. Poichè non possiamo guarire le malattie, sarebbe
preferibile cercare di scoprirne l’origine, prima che si
verifichino. Ciò consentirebbe l’assoluta comprensione
dell’uomo, di una certa definizione di
un’intervista con Medicina-Douces.com.”
uomo”.
~
Da
Jacques Testard, è direttore della ricerca presso l’Istituto
Nazionale della Sanità e della Ricerca Medica (Inserm),
specialista in biologia della riproduzione, “padre
scientifico” del primo bebè-provetta francese, e autore di
numerose pubblicazioni scientifiche che dimostrano il suo
impegno per una “scienza contenuta entro i limiti della
dignità umana”.
Testard scrive sul suo blog, fra l’altro:
Gli OGM (organismi geneticamente modificati) sono disseminati
inutilmente, perché non hanno dimostrato il loro potenziale, e
presentano un reale rischio per l’ambiente, la salute e
l’economia. Essi non sono che degli avatar dell’agricoltura
intensiva che consentono ai produttori di fare fruttificare i
brevetti sulla Natura e la Vita.
Al contrario, i test terapeutici sugli esseri umani sono
giustificati quando sono l’unica possibilità, anche piccola,
per salvare una vita. Ma è assolutamente contraria all’etica
scientifica (e medica) far credere a dei successi imminenti di
uno o di un altro farmaco. Nonostante i numerosi errori, i
fautori della terapia genica (spesso gli stessi fra quelli
degli OGM) sostengono che “finiremo per arrivarci”, e hanno
creato un tale aspettativa sociale che il “misticismo del
gene” si impone ovunque, sino nell’immaginario collettivo.
Il successo costante del Telethon dimostra questo effetto,
poiché a forza di ripetute promesse, e grazie alla complicità
di personalità mediatiche e scientifiche, questa operazione
raccoglie donazioni per un importo vicino al bilancio di
funzionamento di qualsiasi ricerca medica in Francia. Questa
manna influisce drammaticamente sulla ricerca biologica in
quanto la lobby del DNA dispone del quasi monopolio dei mezzi
finanziari (finanziamenti pubblici, dell’industria e della
beneficenza) e intellettuali (riviste mediche, convenzioni,
contratti, man bassa sugli studenti…).
Quindi, la maggior parte delle altre ricerche sono gravemente
impoverite – un risultato che sembra sfuggire ai generosi
donatori di questa enorme operazione caritativa…
Per completare, ultima citazione estratta dal libro di Testard
“La bicicletta, il muro e il cittadino”:
Tecnoscienza e mistificazione: il Telethon
Da due decenni, ogni anno, due giorni di programmazione della
televisione pubblica sono esclusivamente riservati ad
un’operazione orchestrata, alla quale contribuiscono tutti gli
altri mezzi di comunicazione: il Telethon. Col risultato che,
delle patologie, certamente drammatiche ma che, per fortuna,
interessano relativamente poche persone (due o tre volte
inferiore alla sola trisomia 21, per esempio), mobilitano
molto di più la popolazione e raccolgono molti più soldi
rispetto ad altrettante terribili malattie, un centinaio o un
migliaio di volte più frequenti.
Possiamo solo constatare un meritato successo di una efficace
attività di lobbying e consigliare a tutte le vittime, di
tutte le malattie, di organizzarsi per fare altrettanto.
Ma si dimenticherebbe, per esempio, che:
il potenziale caritativo non è illimitato. Quello che ci
donano oggi contro la distrofia muscolare, non lo
doneranno domani contro la malaria (2 milioni di decessi
ogni anno, quasi tutti in Africa);
quasi la metà dei fondi raccolti (che sono equivalenti
al bilancio annuale di funzionamento di tutta la ricerca
medica francese) alimentano innumerevoli laboratori che
influenzano fortemente le linee guida. Contribuendo in
tal modo alla supremazia finanziaria dell’Associazione
francese contro la distrofia muscolare (l’AFM che
raccoglie e ridistribuisce a suo piacimento i fondi
raccolti), sarebbe anche e soprattutto impedire ai
ricercatori (statutari per la maggior parte, e quindi
pagati dallo Stato, ma anche laureati e, soprattutto,
studenti, sicuramente raccomandati, post-dottorato che
vivono sul finanziamento della AFM) di contribuire alla
lotta contro altre malattie, e/o di aprire nuove strade;
non è sufficiente disporre di mezzi finanziari per
guarire tutte le patologie. Lasciar credere a questo
strapotere della medicina, come lo fa il Telethon è
indurre in errore i pazienti e le loro famiglie;
dopo venti anni di promesse, la terapia genica, non
sembra essere la buona strategia per curare la maggior
parte delle malattie genetiche;
quando delle somme così importanti sono raccolte, e
portano a tali conseguenze, il loro utilizzo dovrebbe
essere deciso da un comitato scientifico e sociale che
non sia sottomesso all’organismo che le colletta.
Ma anche, come non domandarsi sul contenuto di una “magica”
operazione in cui le persone, illuminate dalla fede
scientifica, corrono fino ad esaurimento o fanno nuotare i
loro cani nella piscina comunale… per “vincere la miopatia”?
Alla fine della tecnoscienza, spuntano gli oracoli e i
sacrifici di un tempo che credevamo finito…
In conclusione: Non fate doni al Telethon!
IL NOSTRO COMMENTO: Vergogna! Non fate più donazioni! I Vs
soldi non si sa come verrano utilizzati . Sempre se non
finiscono nelle tasche di qualcuno……
Referendum, menzogna contro
democrazia
Referendum, menzogna contro democrazia
Fonte
e
link:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/referendum-menzogna
-contro-democrazia/
.
di Lorenza Carlassare,
da MicroMega 3/2016
Le ragioni del «no» sono persino troppe. Una forte
mobilitazione è indispensabile per opporsi a una riforma
costituzionale costruita sul falso e sull’inganno che cela la
sua reale sostanza, antidemocratica e illiberale, con trucchi
miserabili.
Lunga è la catena dei «falsi», a cominciare dagli obiettivi
dichiarati:
1. Fine del bicameralismo paritario è l’ingannevole slogan. Ma
il Senato, in posizione di parità con la Camera esattamente
come adesso, partecipa ancora alla più alta forma di
legislazione, la revisione della Costituzione e in molti casi
alla legislazione ordinaria. Si approvano infatti secondo le
regole del bicameralismo paritario leggi di forte rilievo
politico: elezione del Senato (art. 55), referendum, Unione
europea, ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di
senatore, elezioni e ordinamento di comuni e città
metropolitane, e altre ancora (art. 70, comma 1). Il Senato,
inoltre, in modi vari e differenziati, ha voce sulla
legislazione intera.
2. Falso è anche l’altro facile slogan: iter legislativo
semplificato, mentre l’unica semplificazione non riguarda il
procedimento legislativo, ma la fiducia al governo che sarà
data dalla sola Camera. Basta leggere i commi 3-4 del nuovo
articolo 70 per rendersi conto di come l’iter legislativo
venga «semplificato»: «Ogni disegno di legge approvato dalla
Camera deve essere immediatamente trasmesso al Senato», il
quale, entro dieci giorni, può disporre di esaminarlo, e, nei
trenta giorni successivi «può deliberare proposte di modifica
del testo», e in tal caso si torna alla Camera per la
pronuncia «definitiva». Lo schema ha però alcune varianti; a
seconda della materia su cui verte la legge e dell’atteggiarsi
dei consensi, si prevedono iter legislativi diversi per tempi,
termini e maggioranze. In conclusione, per «semplificare», al
procedimento attuale si sostituisce una pluralità di
procedimenti – sette dice Gaetano Azzariti che ha avuto la
pazienza di contarli – più l’ulteriore variante di un
possibile intervento del governo nel procedimento legislativo
(art. 71, ultimo comma). Incertezze e confusioni apriranno
conflitti, che la riforma stessa ritiene inevitabili
preoccupandosi di indicare chi dovrà comporli: i presidenti di
Camera e Senato d’accordo fra loro. E se non trovassero
l’accordo? Una «semplificazione complicante», la si potrebbe
definire!
3. È falso che il Senato conti poco e non abbia funzioni di
rilievo, come si ripete per toglier peso alle critiche verso
la sua inqualificabile composizione (consiglieri regionali che
si eleggono fra loro ed eleggono 21 sindaci!). Minimizzarne il
ruolo fa parte dell’inganno. Tanto rumore per nulla è l’idea
che si vuole accreditare: è inutile perder tempo a discutere
sulla composizione di un organo che non conta nulla, che fa
cose poco importanti. L’argomento, che si ritorce contro chi
lo propone – se il Senato non serve a nulla, perché non
abolirlo eliminando le enormi spese di apparato, servizi,
sede? – è assolutamente falso.
Il Senato partecipa intanto alla funzione legislativa, la più
importante funzione da sempre riservata al popolo sovrano o ai
suoi rappresentanti che un sistema democratico non consente
sia affidata a un organo scollegato dai cittadini. Proprio
questa funzione rende quella composizione più difficile da
giustificare, per il costante collegamento di essa con il
popolo; un principio antico che attraversa la storia, dai
pensatori medievali come Marsilio da Padova, ai massimi
giuristi della modernità come Hans Kelsen. L’affermazione di
poter fare, da solo, le leggi del suo regno fu una delle
accuse a Riccardo II, che poi ritorna negli atti di
deposizione di Giacomo II e Carlo I. E su quel principio,
risalente agli albori della storia, si basa per intero la
nostra struttura costituzionale: la sovranità – disse Meuccio
Ruini alla Costituente – «spetta tutta al popolo», e dunque,
«il fulcro dell’organizzazione costituzionale» è nel
parlamento «che non è sovrano di per sé stesso, ma è l’organo
di più diretta derivazione del popolo: e come tale […] ha la
funzione di fare le leggi». L’anomala composizione del Senato
figlio della riforma, in una democrazia non è assolutamente
compatibile con le funzioni ad esso attribuite. Ma il governo
non ha consentito ripensamento alcuno.
Al Senato, oltre alla legislazione, restano altre rilevanti
funzioni co-stituzionali come l’elezione del presidente della
Repubblica e dei giudici costituzionali; e qui, addirittura,
grazie alla riforma, il Senato aumenta il suo peso e i
senatori diventano determinanti in una scelta tanto delicata
per l’equilibrio delle istituzioni di garanzia.
4. È falso che la riforma aumenti le garanzie, come si insiste
a dire della modifica delle maggioranze necessarie
all’elezione del presidente della Repubblica, organo di
garanzia che deve essere super partes. Ad evitare che diventi,
invece, espressione della maggioranza di governo la
Costituzione esige un ampio consenso: per le prime tre
votazioni la maggioranza dei due terzi, dal quarto scrutinio
in poi, la maggioranza assoluta dei componenti. La riforma
invece, a partire dal settimo scrutinio, prescrive la
«maggioranza dei tre quinti dei votanti». La modifica è
presentata come un vanto della riforma; sostituendo la
maggioranza assoluta (metà più uno) con i tre quinti – si dice
– si alza il quorum necessario all’elezione del capo dello
Stato e dunque si aumenta la garanzia. Una falsità anche
questa, ma il trucco è evidente: la nuova maggioranza
richiesta è di tre quinti dei «votanti», non più dei
«componenti»; il che fa una bella differenza! La norma
svuotata di senso rende agevole al governo e ai suoi fedeli
eleggere («portarsi a casa», nel linguaggio del premier e
della sua ministra) un presidente su misura. Nel segno del
comando, si potrebbe dire, dell’unico comando, che non deve
trovare ostacoli sul suo cammino; tantomeno un capo dello
Stato indipendente, garante della Costituzione!
Ma è solo un tassello del disegno complessivo. Sempre in tema
di istituzioni di garanzia, nella legge di riforma la
competenza a eleggere cinque giudici della Corte
costituzionale non è più del parlamento in seduta comune; tre
li elegge la Camera, che ha 640 membri, e due il Senato che ne
ha 100. I numeri parlano. Il divario di potere tra Camera e
Senato è evidente, com’è evidente la voglia di mettere le mani
sulla Corte attraverso i senatori, «uomini di paglia», la cui
obbedienza è persino più sicura di quella di deputati, eletti
con una legge truccata, ma pur sempre «eletti» dal popolo.
5. È falso che la riforma costituzionale non cambi la forma di
governo. È vero che il testo non ne parla, ma il trucco è
proprio qui. La trasformazione risulta da un disegno
complessivo il cui perno non è la riforma costituzionale ma la
legge elettorale, approvata anch’essa con frenetica velocità
perché, senza l’Italicum, la riforma costituzionale non poteva
raggiungere l’obiettivo finale: verticalizzare il potere e
gestirlo senza ostacoli e limiti.
Siamo di fronte a un doppio inganno (o doppia «furbata»): il
primo sta nel modificare la forma di governo in modo indiretto
(e meno appa-riscente) con legge ordinaria, la legge
elettorale e il suo bel «premio», perno di tutto. Il secondo
inganno sta nell’apparente rispetto della condizione richiesta
dalla Corte costituzionale per l’attribuzione del premio,
l’indicazione di una «soglia». Ma la soglia del 40 per cento
prevista dall’Italicum è del tutto fittizia, è apparenza pura,
scritta per non mostrare in modo vistoso il contrasto con la
sentenza 1/2014. Il 40 per cento in realtà non interessa a
nessuno, è un semplice schermo; se non lo si raggiunge,
interviene infatti il ballottaggio per il quale nessuna soglia
è richiesta. Il trucco è qui, attraverso il ballottaggio il
legislatore ha aggirato la sentenza costituzionale: le due
liste più votate partecipano qualunque percentuale abbiano
ottenuto al primo turno. Così, anche conseguendo un risultato
modesto (il 20 per cento o meno) chi vince piglia tutto, e una
minoranza esigua, grazie al premio, può dominare il sistema
intero: parlamento, governo, istituzioni di garanzia.
Il ballottaggio è la chiave per cambiare la forma di governo,
per arrivare in modo traverso all’elezione diretta del
premier. Due liste vi partecipano e, nella competizione a due,
il vincitore, forte della vittoria, tenderà ad attribuire al
voto popolare il valore di un’investitura personale. Così il
ballottaggio, fase finale del procedimento di elezione della
Camera dei deputati, assumerà il senso di una decisione
popolare finalizzata a investire di potere il governo e il suo
capo. Il quale – come già Berlusconi – potrà definirsi «l’unto
del Signore».
Senza mutare il testo si supera la forma di governo
parlamentare; e non per avvicinarsi al modello presidenziale
americano col suo sistema di «freni e contrappesi», di limiti
reciproci fra «poteri» rigorosamente separati e indipendenti,
ma piuttosto al modello autoritario novecentesco che l’Italia
ha costruito ed esportato.
6. È falso che la riforma non tocchi la forma di Stato: la
democrazia costituzionale ne risulta travolta. Travolta per
primo è il sostantivo, «democrazia». I cittadini alla fine
sono rimasti senza voce: con un Senato non più eletto dal
popolo ma da consiglieri regionali che si eleggono fra loro;
con le province abolite che però funzionano ma senza un organo
eletto dai cittadini; con una Camera dove, alterata la
rappresentanza, domina una maggioranza artificiale creata
distorcendo l’esito del voto. Una Camera in cui una simile
maggioranza – che può essere una minoranza esigua – è in grado
di dominare le istituzioni tutte estendendo la sua influenza
oltre la sfera politica, alle stesse istituzioni di garanzia.
Così un gruppo di potere può dominare senza trovare limiti
politici – le altre forze sono ridotte all’irrilevanza – e
neppure limiti giuridico-costituzionali.
Neutralizzati
i
contrappesi
del
sistema
costituzionale
repubblicano, nessun limite infatti è stato creato dal nuovo
sistema per contenere l’enorme potere prodotto dai meccanismi
distorsivi; nessun freno è posto al concentrarsi di potere nel
governo e nel suo capo cui il parlamento non si contrappone,
obbedisce. Troppo forte è il vincolo creato dai meccanismi
elettorali perché i parlamentari, legati a doppio filo a un
vertice da cui dipende la loro rielezione, possano mostrarsi
indipendenti.
«Democrazia costituzionale» rischia così di divenire
espressione vuota: travolto il sostantivo, è travolto anche
l’aggettivo che la qualifica. Il potere, senza limiti e freni,
potrà
dispiegarsi
liberamente,
alla
faccia
del
costituzionalismo, della separazione dei poteri, degli
«immortali princìpi del 1789», che Mussolini odiava. Non
dobbiamo permetterlo!
Il referendum non è – non deve essere – scontro su una
persona: non interessa la sorte di Renzi, interessa salvare la
«democrazia costituzionale», i nostri diritti, i valori
repubblicani. Un triste conformismo vela la vita della
Repubblica; la libera stampa, l’informazione tutta già ne
risente. Vogliamo liberarci dal pericolo che la nebbia
offuschi il nostro orizzonte. (1 novembre 2016)
IL NOSTRO COMMENTO: Ascoltate la Prof. ssa Lorenza Carlassare,
giurista e costituzionalista di grande rilievo. Fate tesoro di
quanto afferma. Chiaritevi le idee prima di votare.
Giulietto Chiesa: "I padroni
universali sanno e iniziano a
parlare"
Giulietto Chiesa: “I padroni universali sanno e iniziano a
parlare”
Fonte e link: Pandora TV
IL NOSTRO COMMENTO: Ha ragione Giulietto Chiesa. Siamo nella
merda! Ma la gente non lo avverte per ignoranza sui fatti
mondiali. Noi, nel nostro piccolo, stiamo cercando di
avvertire. Fate girare questi video a 360° perchè la gente
sappia la gravità della situazione mondiale.
Vedi anche:
NUOVO ORDINE MONDIALE
NUOVO ORDINE MONDIALE
Guardatevi questi video e riflettete sul concetto espresso da
tutti sul cd. “Nuovo Ordine Mondiale” . Pensate che sia uno
scherzo! NO! NO! Questi politici hanno in mente e vogliono
realizzare un Nuovo Ordine Mondiale (Putin a parte!)
Approfondisci sul mio sito: https://dominioglobale.info/
Napolitano NWO
Denis Torresan
Articolo completo:
http://www.nexusitalia.com/apri/Argom…
Nuovo Ordine Mondiale: Monti ubbidisce al Papa
Renzi e il Nuovo Ordine Mondiale… La Rivelazione
La Verità di PUTIN su ISIS, sulla Libia e sul Medio Oriente.
L’ISLANDA VIA DALLA
FUORI DALL’EURO
UE
E
L’ISLANDA VIA DALLA UE E FUORI DALL’EURO
E’ IN FORTISSIMA CRESCITA E HA MANDATO IN
GALERA I BANCHIERI GANGSTER FILO-UE.
Fonte
e
link:
http://sapereeundovere.com/lislanda-via-dalla-ue-e-fuori-dalle
uro-e-in-fortissima-crescita-e-ha-mandato-in-galera-ibanchieri-gangster-filo-ue/
LONDRA – E’ passato poco piu’ di un anno da quando l’Islanda
ha rinunciato ad aderire all’Unione Europea ma se qualcuno
pensa che i membri del governo islandese si siano pentiti di
questa scelta si sbaglierebbe di grosso.
A tale proposito pochi giorni fa il primo ministro Sigmundur
David Gunnlaugsson ha dichiarato che rimanere fuori dalla UE
e’ stata la migliore decisione presa dal governo perche’ ha
permesso di far riprendere l’economia velocemente.
“Se l’Islanda avesse aderito alla UE, adesso si ritroverebbe
in una situazione simile a quella greca o irlandese con
un’economia in profonda recessione e un paese sull’orlo della
bancarotta” aggiunge Gunnlaugsson, il quale non fa mistero del
fatto che essere rimasti fuori e’ per lui un sospiro di
sollievo.
Dopo essere cresciuto dell’1,9% l’anno scorso, quest’anno
l’economia islandese dovrebbe avere una crescita del 3,5% e il
debito pubblico che era dell’86% del Pil nel 2012 adesso e’
sceso al 64% e dovrebbe presto raggiungere il livello di prima
della crisi del 34%. Un risultato semplicemente
fantascientifico anche per nazioni come la Germania,
figuriamoci per l’Italia, il cui dato è prossimo al 132%, non
al 34%.
Inoltre, grazie al fatto di avere una propria valuta,
l’Islanda ha avuto piu’ margini di manovra e la svalutazione
della krona ha fatto aumentare il numero di turisti nel paese
scandinavo.
Se questo non fosse abbastanza, l’Islanda e’ stato anche
l’unico paese al mondo che ha mandato in galera tutti i
banchieri responsabili della crisi – cosa che in Italia
perfino per la catastrofe MPS non è accaduto, strani “suicidi”
a parte – e di recente ha anche offerto ai suoi cittadini il
5% della quota di una delle banche nazionalizzate durante la
crisi degli anni scorsi a titolo di rimborso per le perdite
subite da chi ne aveva acquistato le azioni.
Effettivamente cio’ che e’ accaduto in Islanda dovrebbe essere
oggetto di studio in tutte le scuole d’Europa, ma cio’ non
avviene perche’ alla nostra classe politica al governo
conviene tenere il popolo ignorante, e non e’ un caso che
questa storia sia stata censurata dai giornali di regime
italico.
Noi non ci stiamo e ci auguriamo che i nostri lettori imparino
dall’Islanda e capiscano che bisogna uscire dall’euro e dalla
UE al piu’ presto possibile.
Fonte: IlNord
Tratto da: www.stopeuro.org
DIVERSI ECONOMISTI HANNO DUBBI SULLA
PERSISTENZA DELL’ITALIA NELL’EUROZONA IL
PAZIENTE ITALIANO E’ GRAVE (HANDELSBLATT)
venerdì 28 ottobre 2016
Fonte
e
link:
http://www.ilnord.it/c-5064_DIVERSI_ECONOMISTI_HANNO_DUBBI_SUL
LA_PERSISTENZA_DELLITALIA_NELLEUROZONA_IL_PAZIENTE_ITALIANO_E_
GRAVE_HANDELSBLATT
BERLINO – “Il paziente italiano” e’ il titolo della lunga
analisi del dossier del fine settimana che questa volta
l’Handelsblatt – il principale quotidiano tedesco d’economia e
finanza – dedica alla situazione economica italiana,
presentato anche nella prima pagina di copertina con
l’immagine di una rana tricolore che si aggrappa a un precario
appiglio e il titolo ‘Paura della caduta’. Il tono del dossier
e’ molto preoccupato.
“Poca crescita, debiti in aumento, produttivita’ in calo”, e’
scritto nel grande sommario di apertura, “il declino della
terza economia dell’Eurozona e’ allarmante. E ora il
referendum sulla costituzione puo’ essere una trappola per il
premier Renzi”, la cui presenza e’ pero’ essenziale per “la
stabilita’” del Paese e “la tenuta dell’Europa”. “Bruxelles e
Berlino sanno di aver bisogno di un’Italia stabile per tenere
assieme l’Europa”, aggiunge l’Handelsblatt.
“Dove va l’Italia?”, si chiede l’Handelsblatt nel dossier
dedicato al nostro Paese, sottolineando che “Bruxelles e anche
Berlino sono sempre piu’ nervose” perche’ la manovra per il
2017 contiene “di nuovo eccezioni per far fronte alle
emergenze profughi e terremoto”. Ma il rischio e’ anche che
Renzi perda al referendum di dicembre: “se fallisce Renzi
fallisce l’Italia. E se fallisce l’Italia fallisce l’Europa”,
scrive l’Handelsblatt, “e dopo la Brexit nessuno vuole
rischiare altri scossoni”. Che tradotto significa: adesso la
Commissione Ue deve tacere, altrimenti è certo che Renzi
perderà il referendum, poi, se perdesse comunque, pronta ad
inviare la Troika a Roma con Renzi sconfitto che deve lasciare
Palazzo Chigi, ma a differenza della Grecia, la
destabilizzazione dell’Italia causerà sia il crollo dell’euro
che della Ue.
Renzi “si e’ guadagnato una chance, anche o forse solo perche’
l’Europa non puo’ permettersi un fallimento dell’Italia”.
E’ la conclusione politica del dossier che l’Handelsblatt ha
dedicato all’Italia. “Bruxelles e Berlino sanno di aver
bisogno di un’Italia stabile per tenere assieme l’Europa” ed
e’ cosi’ che si spiega la “pazienza” con Renzi, osserva ancora
il quotidiano economico, che ricorda come diversi economisti
abbiano rilanciato di recente i dubbi sulla persistenza
dell’Italia nell’Eurozona.
Tra i quali, voci molto autorevoli come quelle di alcuni premi
Nobel per l’Economia.
L’analisi si concede pero’ alla fine una nota di –
larvatamente ironico – ottimismo, elencando le “tante imprese
vitali” del Paese e i “loro prodotti richiesti in tutto il
mondo”. “Renzi e il suo governo non potevano in breve tempo
compensare negligenze strutturali di tanti anni”, conclude
l’Handelsblatt.
Ma è anche vero che l’Italia con l’euro ha intrapreso un
percorso che la sta conducendo al declino.
IL NOSTRO COMMENTO: Prendiamo esempio dall’Islanda ed usciamo
immediatamente dall’Euro. I catastrofisti di fronte ai dati di
crescita dell’Islanda non possono che prenderne atto.
Italiani! Non continuate a restare con le mani in mano. Non
ascoltate le minchiate di Renzi e compagni! Diamoci da fare
per trovare il modo di uscire dall’Euro. Lo so! Nel Nostro
Paese non è facile! Ma, bisogna pur iniziare! Coraggio!
Quando Napolitano disse: "in
Ungheria l'URSS porta la
pace"
Quando Napolitano disse: “in Ungheria l’URSS porta la pace”
Fonte
e
link:
http://voxinsana.blogspot.it/2014/01/quando-napolitano-disse-i
n-ungheria.html
Nel 1956, all’indomani dell’invasione dei carri armati
sovietici a Budapest, mentre Antonio Giolitti e altri
dirigenti comunisti di primo piano lasciarono il Partito
Comunista Italiano, mentre “l’Unità” definiva «teppisti» gli
operai e gli studenti insorti, Giorgio Napolitano si
profondeva in elogi ai sovietici. L’Unione Sovietica, infatti,
secondo lui, sparando con i carri armati sulle folle inermi e
facendo fucilare i rivoltosi di Budapest, avrebbe addirittura
contribuito a rafforzare la «pace nel mondo»…
Giorgio Napolitano nel nov. 1956: Come si può, ad esempio, non
polemizzare aspramente col compagno Giolitti quando egli
afferma che oltre che in Polonia anche in Ungheria hanno
difeso il partito non quelli che hanno taciuto ma quelli che
hanno criticato? E’ assurdo oggi continuare a negare che
all’interno del partito ungherese – in contrapposto agli
errori gravi del gruppo dirigente, errori che noi abbiamo
denunciato come causa prima dei drammatici avvenimenti
verificatisi in quel paese – non ci si è limitati a sviluppare
la critica, ma si è scatenata una lotta disgregatrice, di
fazioni, giungendo a fare appello alle masse contro il
partito. E’ assurdo oggi continuare a negare che questa azione
disgregatrice sia stata, in uno con gli errori del gruppo
dirigente, la causa della tragedia ungherese.
Il compagno Giolitti ha detto di essersi convinto che il
processo di distensione non è irreversibile, pur continuando a
ritenere, come riteniamo tutti noi, che la distensione e la
coesistenza debbano rimanere il nostro obiettivo, l’obiettivo
della nostra lotta. Ma poi ci ha detto che l’intervento
sovietico poteva giustificarsi solo in funzione della politica
dei blocchi contrapposti, quasi lasciandoci intendere – e qui
sarebbe stato meglio che, senza cadere lui nella doppiezza che
ha di continuo rimproverato agli altri, si fosse più
chiaramente pronunciato – che l’intervento sovietico si
giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e
strategiche dell’Unione Sovietica; senza vedere come nel
quadro della aggravata situazione internazionale, del pericolo
del ritorno alla guerra fredda non solo ma dello scatenamento
di una guerra calda, l’intervento sovietico in Ungheria,
evitando che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di
provocazioni e permettendo all’Urss di intervenire con
decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista
nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che
l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia
contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli
interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace
nel mondo.
«Napolitano non venga a Budapest. Con il Pci appoggiò i russi
invasori», tratto da il Giornale, 26.5.2006.
Un portavoce dei superstiti: “Tardivo il suo ripensamento, chi
pagò con la vita non vorrebbe essere commemorato da lui”.
Hanno perdonato Boris Eltsin, erede dei loro carnefici.
Potrebbero, sforzandosi, mandar giù anche un boccone indigesto
come Vladimir Putin «l’opportunista» ma Giorgio Napolitano no,
proprio no. Il nostro presidente della Repubblica non merita
sconti e in Ungheria non deve andare. Soprattutto in quei
giorni, nel prossimo autunno, in cui a Budapest si
ricorderanno i 50 anni dell’invasione sovietica. A lanciare il
diktat è un gruppetto sparuto ma autorevole di magiari, quelli
raccolti intorno a «56 Alapitvany» (Fondazione ’56). Sono in
diciannove, tutti accomunati dallo stesso destino: essersi
ribellati agli occupanti venuti da Mosca e aver pagato per
questo con duri anni di galera.
Per questo, l’altroieri, sono insorti quando hanno saputo che
il presidente ungherese Laszlo Solyom aveva invitato per il
prossimo autunno a Budapest anche Giorgio Napolitano. In nove
hanno firmato una lettera-appello per chiedere che Napolitano
non venga. O se proprio ci tiene a visitare l’Ungheria, lo
faccia prima o dopo le commemorazioni. Facendo riferimento
alla posizione presa dal Pci nel 1956, la lettera afferma che
il documento di allora offrì sostegno internazionale ai
sovietici che «repressero nel sangue il desiderio di libertà
dell’Ungheria». E Laszlo Balazs Piri, tra i nove firmatari
dell’appello, membro del board della Fondazione, già
condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione per la sua
partecipazione alla rivolta, rilancia: «Purtroppo i governi
dei grandi Paesi occidentali non poterono aiutarci. L’opinione
pubblica dei Paesi liberi era accanto a noi. Nello stesso
tempo, però, in Paesi come Italia e Francia i Partiti
comunisti erano allineati a Mosca. Furono d’accordo con questa
resa dei conti sanguinosa contro la lotta di liberazione
ungherese. Napolitano a quel tempo non era un bambino e aveva
un’opinione».
A poco vale per i «reduci» della repressione sovietica il
ripensamento del presidente italiano. Un dietrofront tardivo,
sostengono. E Balasz Piri è categorico: «La comunità dei
veterani del 1956 sente che quest’uomo non deve partecipare
alle commemorazioni del ’56 ungherese. Chissà cosa direbbero
quelli che sono stati impiccati in seguito alla repressione».
Il 26 settembre 2006, a Budapest, Napolitano ha reso omaggio
alle vittime della rivoluzione del 1956, soffocata nel sangue
dai carri armati sovietici. In quell’occasione ha detto: “Ho
reso questo omaggio sulla tomba di Imre Nagy a nome
dell’Italia, di tutta l’Italia, e nel ricordo di quanti
governavano l’Italia nel 1956 e assunsero una posizione
risoluta, a sostegno dell’insurrezione ungherese e contro
l’intervento militare sovietico”. Non una dichiariazione sulle
responsabilità sue e dei suoi «compagni» di partito, non una
richiesta di perdono alle vittime (forse 25.000), non
un’affermazione che defisse il comunismo «male assoluto».
IL NOSTRO COMMENTO: Napolitano Giorgio. Una persona che
dovrebbe essere immediatamente allontanata dall’Italia.
Vergogna! Siede ancora in Parlamento!
Grandi Opere, nella maxiretata arrestati anche il
progettista e il manager del
ponte sullo Stretto
Grandi Opere, nella maxi-retata arrestati anche il progettista
e il manager del ponte sullo Stretto
Fonte
e
link:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/27/grandi-opere-nellamaxi-retata-arrestati-anche-il-progettista-e-il-manager-delponte-sullo-stretto/3126414/
Proprio un mese fa, nel giorno in cui Matteo Renzi rilanciava
il progetto, Michele Longo ed Ettore Pagani erano al suo
fianco. Da ieri sono agli arresti nell’ambito dell’inchiesta
che ha portato in manette anche il figlio dell’ex ragioniere
dello Stato Monorchio e in cui è finito indagato Lunardi jr.
Il premier minimizza: “Processo sia rapido. Stiamo parlando di
arresti legati a vicende del passato”
di Paolo Fior e Ferruccio Sansa | 27 ottobre 2016
A un mese esatto dal roboante annuncio del rilancio del
progetto del Ponte sullo Stretto, la maxi-retata di mercoledì
26 ottobre ha tolto dalla circolazione alcuni di quelli che
erano gli uomini chiave del progetto e che erano proprio di
fianco al premier Matteo Renzi a Milano nel giorno
dell’annuncio. Si tratta del presidente e del vice-presidente
del Consorzio Cociv, Michele Longo ed Ettore Pagani. Due
uomini espressione del gruppo Salini-Impregilo. Il primo,
Longo, ne è una delle figure apicali essendo general manager
domestic operation e avendo quindi la responsabilità non solo
delle opere del cosiddetto Terzo Valico, ma anche di tutte le
altre operazioni italiane che coinvolgono il gruppo. Di più, è
l’uomo del Ponte, colui con il quale lo Stato deve parlare se
l’argomento è la maxi opera tra Sicilia e Calabria. E Pagani è
il suo braccio destro, nonché “responsabile del progetto Ponte
sullo Stretto” per conto di Impregilo, come recita il suo
curriculum.
Le misure di custodia cautelare sono scattate nell’ambito di
un’operazione sulle Grandi Opere, dove – secondo i magistrati
– non c’è solo la solita gigantesca corruttela, ma anche e
soprattutto la sistematica violazione delle normative di
sicurezza, con lavori non fatti a regola e uso di materiali
scadenti (“il cemento sembrava colla”, intercettano gli
inquirenti). Opere costosissime, spesso inutili e soprattutto
pericolose. Opere su cui il governo Renzi si è esposto molto.
L’annuncio del rilancio del progetto del Ponte il premier lo
ha fatto il 27 settembre intervenendo alla festa per i 110
anni del gruppo Salini-Impregilo che si è svolta alla
Triennale di Milano. Accanto a lui, l’amministratore delegato
del gruppo, Pietro Salini (più volte citato nelle
intercettazioni dell’inchiesta), l’ambasciatore degli Stati
Uniti e molti top manager, tra cui, come detto, gli stessi
Longo e Pagani. “Non accetteremo che si possano spendere 6-7
miliardi per la Torino Lione, 1,2 per la Variante di Valico e
poi se facciamo un’infrastruttura al Sud non si può perché
rubano. O siamo italiani sempre o siamo italiani mai”, ha
detto Renzi giusto qualche giorno fa. Ora che gli uomini del
Ponte sono finiti nei guai lui minimizza: “Mi auguro un
processo equo e rapido. Il punto centrale è che non sono le
regole che fanno l’uomo ladro. E in ogni caso stiamo parlando
di arresti legati a vicende del passato”.
Se le storie sono antiche, gli uomini però sono sempre gli
stessi. Ma chi sono veramente Longo e Pagani e chi è il “terzo
uomo”, Pier Paolo Marcheselli, di cui si parla tanto in queste
ore? Riguardo a Longo e Pagani le carte dei pm riportano
soprattutto due contestazioni: “Longo e Pagani decidevano di
affidare l’appalto a “Grandi Lavori Fincosit spa” nonostante
tale società avesse previsto nell’ambito delle spese generali
un costo per la sicurezza aziendale interna senz’altro
incongruo (93mila euro, un ottavo dei concorrenti, ndr)”. C’è
poi la gara per realizzare la viabilità per smaltire il
materiale di scavo: “Longo, Pagani e Giulio Frulloni
(quest’ultimo remunerato dall’imprenditore Marciano Ricci
mediante l’offerta di serate con “escort”) prima
dell’indizione della gara promettevano allo stesso Ricci
l’affidamento dell’appalto… e fornivano loro informazioni sul
progetto che sarebbe andato in gara”.
Ci sono molti fili che legano le grandi opere italiane. Parti
dal Terzo Valico e arrivi molto lontano. Al Ponte, ma non
solo. La grande opera tra Milano e Genova ha già collezionato
molti record. Giudiziari, prima che ingegneristici. Per non
parlare dei costi: “Eravamo partiti da 3.200 miliardi di lire
per 127 chilometri e siamo arrivati a 6,2 miliardi di euro per
54 chilometri”, racconta Stefano Lenzi, responsabile delle
Relazioni Istituzionali del Wwf. Le rogne cominciano negli
anni ‘90 quando il pm genovese Francesco Pinto indaga sui
tunnel pilota. Si parlava di una truffa da 100 miliardi di
lire. Gli indagati – Luigi Grillo, Ercole Incalza, Marcellino
Gavio e Bruno Binasco – ne uscirono puliti: furono tra i primi
a beneficiare della ex Cirielli sulla prescrizione. La storia
del Terzo Valico era cominciata nel 1991. Poi le inchieste, il
silenzio. Se ne riparla con il ritorno di Silvio Berlusconi
nel 2001. E già allora si ritrovano nomi di oggi. Nel marzo
2005 Andrea Monorchio aveva terminato il mandato di Ragioniere
Generale dello Stato e trovato altre prestigiose poltrone. Tra
le altre quelle di presidente di Infrastrutture Spa e della
Consap (Concessionaria dei Servizi Assicurativi Pubblici).
Disse allora Monorchio Senior: “La delibera Cipe ha
individuato la cifra necessaria per realizzare il Terzo
Valico, 4,7 miliardi di euro, noi siamo pronti a finanziare
l’opera”.
A questo punto ecco che entra in scena Giandomenico Monorchio,
citato nell’inchiesta fiorentina del 2015 su Ercole Incalza
(archiviato). Di Monorchio jr. (arrestato ieri nella nuova
inchiesta) parla nelle intercettazioni l’imprenditore Giulio
Burchi: sostiene che si “…stanno negoziando le ultime
direzioni lavori… il Cociv… il Milano-Genova ce l’aveva il
figlio di… nella spartizione fantastica di queste direzioni
lavori commissionate dai general contractor… che sono una
delle vergogne grandi di questo Paese”. Spiegano i magistrati:
“Si ricorda che, di recente, il Consorzio Cociv ha affidato a
Giandomenico Monorchio la direzione dei lavori per il Terzo
Valico”. Ma dalle carte dell’inchiesta romana di oggi, sul
Terzo Valico, potrebbero emergere altri dettagli sul ruolo di
Monorchio jr. Il retroscena del Terzo Valico non viene solo
dalle inchieste. Dietro il Terzo Valico c’è anche l’abbraccio
tra banche e governi. Perché era Intesa (attraverso Biis,
Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo) che si occupava
del project financing privato. Ai vertici di Biis c’era chi
parlava di un finanziamento che doveva costare 374 milioni
l’anno. Mentre le Ferrovie prevedevano un ricavo da 40
milioni. Ma ecco che con Monti i banchieri vanno al Governo:
Corrado Passera, ex numero uno di Intesa, finisce allo
Sviluppo Economico e alle Infrastrutture. Viceministro è Mario
Ciaccia, il numero uno di Biis che finanziava l’opera. Il
progetto riparte. E in un attimo la spesa si riversa sulle
spalle pubbliche. E ci sarebbero anche da contare le
previsioni del traffico merci: si era detto di 5 milioni di
container l’anno. Siamo a 1,8 e la linea attuale ne regge 3.
C’è poi chi, come il Wwf, ricorda che i costi (115 milioni a
chilometro) sono superiori dell’800% a quelli affrontati in
Spagna. Chi sottolinea che dopo 53 chilometri la nuova linea
finirebbe nel nulla.
Ma c’è chi continua a crederci. Di sicuro la ‘ndrangheta, come
ha rivelato l’inchiesta Alchemia: “Dalle intercettazioni –
raccontò il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero
De Raho – rileviamo l’interesse di imprenditori prestanome
delle cosche a sostenere finanziariamente il movimento Sì Tav
per creare nell’opinione pubblica un orientamento favorevole
all’opera”.
C’è poi ò’ultimo tassello: la nomina del presidente del Porto
di Genova. Perché il Terzo Valico servirebbe proprio allo
scalo ligure. Ormai è questione di ore: il nuovo presidente
sarà Paolo Emilio Signorini, già delfino di Ercole Incalza. Il
suo nome è stato proposto da Giovanni Toti. L’opposizione,
soprattutto di centrosinistra, tace. Si cerca un accordo sulla
figura del Segretario dell’Autorità Portuale. Altra poltrona
cardine per il Porto (e il destino del Terzo Valico). Si
profila un’intesa con il Pd.
IL NOSTRO COMMENTO: Ecco come si dividono la torta per le
grandi opere pubbliche. E il Popolo Italiano GUARDA!…………
Leggi anche:
Cemento come colla…..
GoPro HERO5
Launch in 4K
+
Karma:
The
GoPro HERO5 + Karma: The Launch in 4K
Fonte e link: GoPro
IL NOSTRO COMMENTO: Guardate che bella risoluzione che ha
questa piccola telecamera “Go Pro Heros 5 Black” il cui costo
si aggira intorno ai 430 Euro. Li vale tutti!
Guarda anche:
GoPro Hero 5 Black
Ecco da chi arriva l’ordine
di far fuori la Costituzione
Ecco da chi arriva l’ordine di far fuori la Costituzione
Pubblicato 14 febbraio 2015 –
Da Claudio Messora
Fonte e link:
http://www.byoblu.com/post/2015/02/14/ecco-da-chi-arriva-lordi
ne-di-far-fuori-la-costituzione.aspx
Questo un’estratto del documento di JP Morgan, (The euro
adjustment about halfway there), che identifica tra le cause
della crisi la nostra Costituzione. Troppo socialista, troppo
di sinistra, troppo garantista. Troppo sbilanciata in favore
dei cittadini.
Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi
limiti intrinseci avessero natura prettamente economica:
debito pubblico troppo alto, problemi legati ai mutui e alle
banche, tassi di cambio reali non convergenti, e varie
rigidità strutturali. Ma col tempo è divenuto chiaro che
esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici
dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni,
adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una
serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la
maggiore integrazione dell’area europea. Quando i politici
tedeschi parlano di processi di riforma decennali,
probabilmente hanno in mente sia riforme di tipo economico sia
di tipo politico.
I sistemi politici della periferia meridionale sono stati
instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti
segnati da quell’esperienza. Le costituzioni mostrano una
forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la
grande forza forza politica raggiunta dai partiti di sinistra
dopo la sconfitta del fascismo.
I sistemi politici e costituzionali del sud presentano
tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei
confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei
confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei
lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul
clientelismo; e la licenza di protestare se vengono proposte
sgradite modifiche dello status quo. La crisi ha illustrato a
quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi
della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel
seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo
visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni
(Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita
di partiti populisti (Italia e Grecia).
Dai tempi di Crisis of Democracy, della Commissione
Trilaterale, non è cambiato niente: le élite tecnofinanziarie
continuano a chiedere con forza di limitare il potere dei
cittadini e di avere libertà di procedere. Gli esecutori li
conoscete. Basta che aprite i giornali. Renzi, Monti, Draghi e
soci.
Più chiaro di così davvero, stavolta, si muore.
grazie a Wall Street Italia per la segnalazione
IL NOSTRO COMMENTO: I soliti noti…. Ormai gli Italiani
dovrebbero conoscerli….Altrimenti per l’Italia non c’è
speranza! Sono quelli della Trilaterale. Monti ne era il
Presidente. La disgrazia è che ancora lo teniamo in Italia
invece di mandarlo a calci in culo dai suoi amici banchieri
americani. Ma non vi preoccupate anche attraverso questi
piccoli Blog’s
diremo Noi la verità agli Italiani ogni
giorno…a martello!
Leggi anche:
https://dominioglobale.info/2014/10/23/ecco-chi-davvero-e-mari
o-monti-servo-fedele-di-mr-rockefeller-fuori-dallue/
Leggi e diffondi il sito :
http://www.dominioglobale.info
Abolizione
Equitalia:
solite minchiate.....
le
Abolizione Equitalia: cosa cambia con la soppressione
dell’ente?
Fonte
e
link:
https://www.forexinfo.it/Abolizione-Equitalia-cosa-cambia
14 Ottobre 2016
di Antonio Atte
Abolizione Equitalia, cosa cambia? Il premier Matteo Renzi ha
rilanciato la proposta sulla soppressione della società. Ecco
come cambierebbe il sistema di riscossione dei tributi.
Abolizione Equitalia: cosa cambia? Quali sarebbero gli effetti
di una eventuale soppressione dell’ente? Il premier Matteo
Renzi è tornato sul tema dell’abolizione di Equitalia.
Intervenendo ieri all’assemblea nazionale dell’Anci a Bari, il
presidente del Consiglio ha illustrato le misure che saranno
inserite nella prossima legge di bilancio – la quale dovrebbe
essere varata sabato dal consiglio dei ministri -, dai
provvedimenti in materia di fisco a quelli relativi al
pubblico impiego.
Su quest’ultimo punto Renzi ha annunciato un ritocco selettivo
sui vincoli di turn over per le pubbliche amministrazioni:
“Dire che si modifica il turn over significa tornare a fare i
concorsi e possiamo immaginare di avere 10mila nuove unità tra
infermieri, forze dell’ordine e, spero, medici”.
Sul versante fisco il premier e segretario del Pd ha
confermato l’abolizione di Equitalia:
“Come annunciato Equitalia sarà abolita e si indicherà la
creazione di un modello diverso con interventi di
riorganizzazione del rapporto cittadino-pubblico ufficiale.
Dal 7 novembre partirà un sms se si ha un ritardo nei
pagamenti”.
Abolizione Equitalia: le parole del premier
Il tema dell’abolizione di Equitalia era già tornato ad
affacciarsi sul dibattito politico italiano in seguito alle
dichiarazioni rilasciate da Renzi ai microfoni di Rtl 102.5 lo
scorso luglio.
Il presidente del Consiglio aveva ventilato l’ipotesi di
mandare in soffitta la società incaricata della riscossione
dei tributi su tutto il territorio nazionale (Sicilia
esclusa).
“Entro l’anno arriverà il decreto che cambierà il modo di
pagare il fisco” e quindi “bye bye Equitalia”, erano state le
parole del premier, che già a maggio aveva già promesso
l’uscita di scena entro il 2018 della società partecipata
dall’Agenzia delle Entrate e dall’Inps.
Ma come cambierebbe il sistema della riscossione tributi nel
caso in cui dovesse concretizzarsi l’abolizione di Equitalia?
Abolizione Equitalia: la fusione con l’Agenzia delle Entrate
Innanzitutto, non si tratterebbe di un’abolizione vera e
propria ma di un accorpamento. Il piano consisterebbe infatti
in un trasferimento delle competenze in materia di riscossione
tributi da Equitalia all’Agenzia delle Entrate (che al momento
si occupa solo di effettuare controlli e accertamenti).
Inglobando Equitalia, dunque, il Fisco – proprio come accade
negli altri Paesi europei – si vedrebbe attribuito anche il
compito di andare a recuperare le cifre evase, nel segno di
una maggiore efficienza e di un atteggiamento meno
“vessatorio” nei confronti del cittadino-contribuente.
Abolizione Equitalia: la proposta M5S
Uno schema già tracciato dal M5S all’interno di due proposte
di legge presentate all’inizio di giugno, che – tra i vari
punti – mirano anche a vietare le cartelle esattoriali per gli
importi piccoli e ad intervenire sulle cosiddette cartelle
pazze, con un risarcimento pagato da chi ha causato il danno.
Abolizione Equitalia: che fine fanno i dipendenti?
Ma a quel punto cosa succederebbe ai dipendenti di Equitalia,
che al momento lavorano con contratto privato? Passando sotto
l’egida del Fisco, il contratto di questi lavoratori
diverrebbe pubblico.
Ma l’assunzione in quel caso non sarebbe automatica. L’Agenzia
delle Entrate, infatti, è un ente pubblico e per lavorarvi è
necessario superare un concorso.
Abolizione Equitalia: il no dei sindacati
Questi ed altri interrogativi sono stati sollevati a maggio
dai sindacati, i quali hanno fortemente criticato la proposta
del premier sull’abolizione di Equitalia.
“Quei 9 miliardi di obiettivo di riscossione imposti al
sistema, e sui quali il bilancio dello Stato sembra oggi
contare molto, come pensate di recuperarli domani?”, hanno
chiesto Fabi, First Cisl, Cgil, Ugl Credito e Uilca in una
lettera aperta a Matteo Renzi.
IL NOSTRO COMMENTO: Per quanto ci riguarda trattasi di
provvedimenti che rimarranno solo sulla carta! Fatti solo per
gli allocchi. A parte che un Ente che riscuota le imposte ci
deve essere in ogni caso e comunque.
A questo punto il
premier
ci deve spiegare come ritiene di migliorare il
funzionamento dell’ente italiano di riscossione ed in che
modo. Potrebbe benissimo essere una reformatio in peius nel
caso prendesse corpo. Ma, credetemi, non si sarà niente…….Non
ci sono nè i tempi nè i soldi . Le solite minchiate!