La Grande Truffa di Telethon,Referendum
Transcript
La Grande Truffa di Telethon,Referendum
La Grande Truffa di Telethon La Grande Truffa di Telethon Posted on 09/12/2014 Fonte e link: https://pulgarias.wordpress.com/2014/12/09/la-grande-truffa-d i-telethon/ Sono 20 anni che questa “grande fiera” televisiva continua… Ecco cosa ne pensa un ricercatore, uno specialista in biologia della riproduzione. [Di Olivier Bonnet. Preso da Tuttouno.blogspot.it. Originale pubblicato su alterinfo. net con il titolo La grande escroquerie du Téléthon Le professeur Testard dénonce une “mystification”. Traduzione di Giuditta.] “È scandaloso. Il Telethon raccoglie annualmente tanti euro quanto il bilancio di funzionamento di tutto l’Inserm. La gente pensa di donare soldi per la cura. Ma la terapia genica non è efficace. Se i donatori sapessero che il loro denaro, prima di tutto è utilizzato per finanziare le pubblicazioni scientifiche, ma anche i brevetti di poche imprese, o per eliminare gli embrioni dai geni deficienti, cambierebbero di parere. “Il professor Marc Peschanski, uno dei architetti di questa terapia genica, ha dichiarato che abbiamo intrapreso una strada sbagliata. Si stanno facendo progressi nella diagnosi, ma non per guarire. Inoltre, anche se progrediamo tecnicamente, noi non comprendiamo molto di più la complessità della vita. Poichè non possiamo guarire le malattie, sarebbe preferibile cercare di scoprirne l’origine, prima che si verifichino. Ciò consentirebbe l’assoluta comprensione dell’uomo, di una certa definizione di un’intervista con Medicina-Douces.com.” uomo”. ~ Da Jacques Testard, è direttore della ricerca presso l’Istituto Nazionale della Sanità e della Ricerca Medica (Inserm), specialista in biologia della riproduzione, “padre scientifico” del primo bebè-provetta francese, e autore di numerose pubblicazioni scientifiche che dimostrano il suo impegno per una “scienza contenuta entro i limiti della dignità umana”. Testard scrive sul suo blog, fra l’altro: Gli OGM (organismi geneticamente modificati) sono disseminati inutilmente, perché non hanno dimostrato il loro potenziale, e presentano un reale rischio per l’ambiente, la salute e l’economia. Essi non sono che degli avatar dell’agricoltura intensiva che consentono ai produttori di fare fruttificare i brevetti sulla Natura e la Vita. Al contrario, i test terapeutici sugli esseri umani sono giustificati quando sono l’unica possibilità, anche piccola, per salvare una vita. Ma è assolutamente contraria all’etica scientifica (e medica) far credere a dei successi imminenti di uno o di un altro farmaco. Nonostante i numerosi errori, i fautori della terapia genica (spesso gli stessi fra quelli degli OGM) sostengono che “finiremo per arrivarci”, e hanno creato un tale aspettativa sociale che il “misticismo del gene” si impone ovunque, sino nell’immaginario collettivo. Il successo costante del Telethon dimostra questo effetto, poiché a forza di ripetute promesse, e grazie alla complicità di personalità mediatiche e scientifiche, questa operazione raccoglie donazioni per un importo vicino al bilancio di funzionamento di qualsiasi ricerca medica in Francia. Questa manna influisce drammaticamente sulla ricerca biologica in quanto la lobby del DNA dispone del quasi monopolio dei mezzi finanziari (finanziamenti pubblici, dell’industria e della beneficenza) e intellettuali (riviste mediche, convenzioni, contratti, man bassa sugli studenti…). Quindi, la maggior parte delle altre ricerche sono gravemente impoverite – un risultato che sembra sfuggire ai generosi donatori di questa enorme operazione caritativa… Per completare, ultima citazione estratta dal libro di Testard “La bicicletta, il muro e il cittadino”: Tecnoscienza e mistificazione: il Telethon Da due decenni, ogni anno, due giorni di programmazione della televisione pubblica sono esclusivamente riservati ad un’operazione orchestrata, alla quale contribuiscono tutti gli altri mezzi di comunicazione: il Telethon. Col risultato che, delle patologie, certamente drammatiche ma che, per fortuna, interessano relativamente poche persone (due o tre volte inferiore alla sola trisomia 21, per esempio), mobilitano molto di più la popolazione e raccolgono molti più soldi rispetto ad altrettante terribili malattie, un centinaio o un migliaio di volte più frequenti. Possiamo solo constatare un meritato successo di una efficace attività di lobbying e consigliare a tutte le vittime, di tutte le malattie, di organizzarsi per fare altrettanto. Ma si dimenticherebbe, per esempio, che: il potenziale caritativo non è illimitato. Quello che ci donano oggi contro la distrofia muscolare, non lo doneranno domani contro la malaria (2 milioni di decessi ogni anno, quasi tutti in Africa); quasi la metà dei fondi raccolti (che sono equivalenti al bilancio annuale di funzionamento di tutta la ricerca medica francese) alimentano innumerevoli laboratori che influenzano fortemente le linee guida. Contribuendo in tal modo alla supremazia finanziaria dell’Associazione francese contro la distrofia muscolare (l’AFM che raccoglie e ridistribuisce a suo piacimento i fondi raccolti), sarebbe anche e soprattutto impedire ai ricercatori (statutari per la maggior parte, e quindi pagati dallo Stato, ma anche laureati e, soprattutto, studenti, sicuramente raccomandati, post-dottorato che vivono sul finanziamento della AFM) di contribuire alla lotta contro altre malattie, e/o di aprire nuove strade; non è sufficiente disporre di mezzi finanziari per guarire tutte le patologie. Lasciar credere a questo strapotere della medicina, come lo fa il Telethon è indurre in errore i pazienti e le loro famiglie; dopo venti anni di promesse, la terapia genica, non sembra essere la buona strategia per curare la maggior parte delle malattie genetiche; quando delle somme così importanti sono raccolte, e portano a tali conseguenze, il loro utilizzo dovrebbe essere deciso da un comitato scientifico e sociale che non sia sottomesso all’organismo che le colletta. Ma anche, come non domandarsi sul contenuto di una “magica” operazione in cui le persone, illuminate dalla fede scientifica, corrono fino ad esaurimento o fanno nuotare i loro cani nella piscina comunale… per “vincere la miopatia”? Alla fine della tecnoscienza, spuntano gli oracoli e i sacrifici di un tempo che credevamo finito… In conclusione: Non fate doni al Telethon! IL NOSTRO COMMENTO: Vergogna! Non fate più donazioni! I Vs soldi non si sa come verrano utilizzati . Sempre se non finiscono nelle tasche di qualcuno…… Referendum, menzogna contro democrazia Referendum, menzogna contro democrazia Fonte e link: http://temi.repubblica.it/micromega-online/referendum-menzogna -contro-democrazia/ . di Lorenza Carlassare, da MicroMega 3/2016 Le ragioni del «no» sono persino troppe. Una forte mobilitazione è indispensabile per opporsi a una riforma costituzionale costruita sul falso e sull’inganno che cela la sua reale sostanza, antidemocratica e illiberale, con trucchi miserabili. Lunga è la catena dei «falsi», a cominciare dagli obiettivi dichiarati: 1. Fine del bicameralismo paritario è l’ingannevole slogan. Ma il Senato, in posizione di parità con la Camera esattamente come adesso, partecipa ancora alla più alta forma di legislazione, la revisione della Costituzione e in molti casi alla legislazione ordinaria. Si approvano infatti secondo le regole del bicameralismo paritario leggi di forte rilievo politico: elezione del Senato (art. 55), referendum, Unione europea, ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di senatore, elezioni e ordinamento di comuni e città metropolitane, e altre ancora (art. 70, comma 1). Il Senato, inoltre, in modi vari e differenziati, ha voce sulla legislazione intera. 2. Falso è anche l’altro facile slogan: iter legislativo semplificato, mentre l’unica semplificazione non riguarda il procedimento legislativo, ma la fiducia al governo che sarà data dalla sola Camera. Basta leggere i commi 3-4 del nuovo articolo 70 per rendersi conto di come l’iter legislativo venga «semplificato»: «Ogni disegno di legge approvato dalla Camera deve essere immediatamente trasmesso al Senato», il quale, entro dieci giorni, può disporre di esaminarlo, e, nei trenta giorni successivi «può deliberare proposte di modifica del testo», e in tal caso si torna alla Camera per la pronuncia «definitiva». Lo schema ha però alcune varianti; a seconda della materia su cui verte la legge e dell’atteggiarsi dei consensi, si prevedono iter legislativi diversi per tempi, termini e maggioranze. In conclusione, per «semplificare», al procedimento attuale si sostituisce una pluralità di procedimenti – sette dice Gaetano Azzariti che ha avuto la pazienza di contarli – più l’ulteriore variante di un possibile intervento del governo nel procedimento legislativo (art. 71, ultimo comma). Incertezze e confusioni apriranno conflitti, che la riforma stessa ritiene inevitabili preoccupandosi di indicare chi dovrà comporli: i presidenti di Camera e Senato d’accordo fra loro. E se non trovassero l’accordo? Una «semplificazione complicante», la si potrebbe definire! 3. È falso che il Senato conti poco e non abbia funzioni di rilievo, come si ripete per toglier peso alle critiche verso la sua inqualificabile composizione (consiglieri regionali che si eleggono fra loro ed eleggono 21 sindaci!). Minimizzarne il ruolo fa parte dell’inganno. Tanto rumore per nulla è l’idea che si vuole accreditare: è inutile perder tempo a discutere sulla composizione di un organo che non conta nulla, che fa cose poco importanti. L’argomento, che si ritorce contro chi lo propone – se il Senato non serve a nulla, perché non abolirlo eliminando le enormi spese di apparato, servizi, sede? – è assolutamente falso. Il Senato partecipa intanto alla funzione legislativa, la più importante funzione da sempre riservata al popolo sovrano o ai suoi rappresentanti che un sistema democratico non consente sia affidata a un organo scollegato dai cittadini. Proprio questa funzione rende quella composizione più difficile da giustificare, per il costante collegamento di essa con il popolo; un principio antico che attraversa la storia, dai pensatori medievali come Marsilio da Padova, ai massimi giuristi della modernità come Hans Kelsen. L’affermazione di poter fare, da solo, le leggi del suo regno fu una delle accuse a Riccardo II, che poi ritorna negli atti di deposizione di Giacomo II e Carlo I. E su quel principio, risalente agli albori della storia, si basa per intero la nostra struttura costituzionale: la sovranità – disse Meuccio Ruini alla Costituente – «spetta tutta al popolo», e dunque, «il fulcro dell’organizzazione costituzionale» è nel parlamento «che non è sovrano di per sé stesso, ma è l’organo di più diretta derivazione del popolo: e come tale […] ha la funzione di fare le leggi». L’anomala composizione del Senato figlio della riforma, in una democrazia non è assolutamente compatibile con le funzioni ad esso attribuite. Ma il governo non ha consentito ripensamento alcuno. Al Senato, oltre alla legislazione, restano altre rilevanti funzioni co-stituzionali come l’elezione del presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali; e qui, addirittura, grazie alla riforma, il Senato aumenta il suo peso e i senatori diventano determinanti in una scelta tanto delicata per l’equilibrio delle istituzioni di garanzia. 4. È falso che la riforma aumenti le garanzie, come si insiste a dire della modifica delle maggioranze necessarie all’elezione del presidente della Repubblica, organo di garanzia che deve essere super partes. Ad evitare che diventi, invece, espressione della maggioranza di governo la Costituzione esige un ampio consenso: per le prime tre votazioni la maggioranza dei due terzi, dal quarto scrutinio in poi, la maggioranza assoluta dei componenti. La riforma invece, a partire dal settimo scrutinio, prescrive la «maggioranza dei tre quinti dei votanti». La modifica è presentata come un vanto della riforma; sostituendo la maggioranza assoluta (metà più uno) con i tre quinti – si dice – si alza il quorum necessario all’elezione del capo dello Stato e dunque si aumenta la garanzia. Una falsità anche questa, ma il trucco è evidente: la nuova maggioranza richiesta è di tre quinti dei «votanti», non più dei «componenti»; il che fa una bella differenza! La norma svuotata di senso rende agevole al governo e ai suoi fedeli eleggere («portarsi a casa», nel linguaggio del premier e della sua ministra) un presidente su misura. Nel segno del comando, si potrebbe dire, dell’unico comando, che non deve trovare ostacoli sul suo cammino; tantomeno un capo dello Stato indipendente, garante della Costituzione! Ma è solo un tassello del disegno complessivo. Sempre in tema di istituzioni di garanzia, nella legge di riforma la competenza a eleggere cinque giudici della Corte costituzionale non è più del parlamento in seduta comune; tre li elegge la Camera, che ha 640 membri, e due il Senato che ne ha 100. I numeri parlano. Il divario di potere tra Camera e Senato è evidente, com’è evidente la voglia di mettere le mani sulla Corte attraverso i senatori, «uomini di paglia», la cui obbedienza è persino più sicura di quella di deputati, eletti con una legge truccata, ma pur sempre «eletti» dal popolo. 5. È falso che la riforma costituzionale non cambi la forma di governo. È vero che il testo non ne parla, ma il trucco è proprio qui. La trasformazione risulta da un disegno complessivo il cui perno non è la riforma costituzionale ma la legge elettorale, approvata anch’essa con frenetica velocità perché, senza l’Italicum, la riforma costituzionale non poteva raggiungere l’obiettivo finale: verticalizzare il potere e gestirlo senza ostacoli e limiti. Siamo di fronte a un doppio inganno (o doppia «furbata»): il primo sta nel modificare la forma di governo in modo indiretto (e meno appa-riscente) con legge ordinaria, la legge elettorale e il suo bel «premio», perno di tutto. Il secondo inganno sta nell’apparente rispetto della condizione richiesta dalla Corte costituzionale per l’attribuzione del premio, l’indicazione di una «soglia». Ma la soglia del 40 per cento prevista dall’Italicum è del tutto fittizia, è apparenza pura, scritta per non mostrare in modo vistoso il contrasto con la sentenza 1/2014. Il 40 per cento in realtà non interessa a nessuno, è un semplice schermo; se non lo si raggiunge, interviene infatti il ballottaggio per il quale nessuna soglia è richiesta. Il trucco è qui, attraverso il ballottaggio il legislatore ha aggirato la sentenza costituzionale: le due liste più votate partecipano qualunque percentuale abbiano ottenuto al primo turno. Così, anche conseguendo un risultato modesto (il 20 per cento o meno) chi vince piglia tutto, e una minoranza esigua, grazie al premio, può dominare il sistema intero: parlamento, governo, istituzioni di garanzia. Il ballottaggio è la chiave per cambiare la forma di governo, per arrivare in modo traverso all’elezione diretta del premier. Due liste vi partecipano e, nella competizione a due, il vincitore, forte della vittoria, tenderà ad attribuire al voto popolare il valore di un’investitura personale. Così il ballottaggio, fase finale del procedimento di elezione della Camera dei deputati, assumerà il senso di una decisione popolare finalizzata a investire di potere il governo e il suo capo. Il quale – come già Berlusconi – potrà definirsi «l’unto del Signore». Senza mutare il testo si supera la forma di governo parlamentare; e non per avvicinarsi al modello presidenziale americano col suo sistema di «freni e contrappesi», di limiti reciproci fra «poteri» rigorosamente separati e indipendenti, ma piuttosto al modello autoritario novecentesco che l’Italia ha costruito ed esportato. 6. È falso che la riforma non tocchi la forma di Stato: la democrazia costituzionale ne risulta travolta. Travolta per primo è il sostantivo, «democrazia». I cittadini alla fine sono rimasti senza voce: con un Senato non più eletto dal popolo ma da consiglieri regionali che si eleggono fra loro; con le province abolite che però funzionano ma senza un organo eletto dai cittadini; con una Camera dove, alterata la rappresentanza, domina una maggioranza artificiale creata distorcendo l’esito del voto. Una Camera in cui una simile maggioranza – che può essere una minoranza esigua – è in grado di dominare le istituzioni tutte estendendo la sua influenza oltre la sfera politica, alle stesse istituzioni di garanzia. Così un gruppo di potere può dominare senza trovare limiti politici – le altre forze sono ridotte all’irrilevanza – e neppure limiti giuridico-costituzionali. Neutralizzati i contrappesi del sistema costituzionale repubblicano, nessun limite infatti è stato creato dal nuovo sistema per contenere l’enorme potere prodotto dai meccanismi distorsivi; nessun freno è posto al concentrarsi di potere nel governo e nel suo capo cui il parlamento non si contrappone, obbedisce. Troppo forte è il vincolo creato dai meccanismi elettorali perché i parlamentari, legati a doppio filo a un vertice da cui dipende la loro rielezione, possano mostrarsi indipendenti. «Democrazia costituzionale» rischia così di divenire espressione vuota: travolto il sostantivo, è travolto anche l’aggettivo che la qualifica. Il potere, senza limiti e freni, potrà dispiegarsi liberamente, alla faccia del costituzionalismo, della separazione dei poteri, degli «immortali princìpi del 1789», che Mussolini odiava. Non dobbiamo permetterlo! Il referendum non è – non deve essere – scontro su una persona: non interessa la sorte di Renzi, interessa salvare la «democrazia costituzionale», i nostri diritti, i valori repubblicani. Un triste conformismo vela la vita della Repubblica; la libera stampa, l’informazione tutta già ne risente. Vogliamo liberarci dal pericolo che la nebbia offuschi il nostro orizzonte. (1 novembre 2016) IL NOSTRO COMMENTO: Ascoltate la Prof. ssa Lorenza Carlassare, giurista e costituzionalista di grande rilievo. Fate tesoro di quanto afferma. Chiaritevi le idee prima di votare. Giulietto Chiesa: "I padroni universali sanno e iniziano a parlare" Giulietto Chiesa: “I padroni universali sanno e iniziano a parlare” Fonte e link: Pandora TV IL NOSTRO COMMENTO: Ha ragione Giulietto Chiesa. Siamo nella merda! Ma la gente non lo avverte per ignoranza sui fatti mondiali. Noi, nel nostro piccolo, stiamo cercando di avvertire. Fate girare questi video a 360° perchè la gente sappia la gravità della situazione mondiale. Vedi anche: NUOVO ORDINE MONDIALE NUOVO ORDINE MONDIALE Guardatevi questi video e riflettete sul concetto espresso da tutti sul cd. “Nuovo Ordine Mondiale” . Pensate che sia uno scherzo! NO! NO! Questi politici hanno in mente e vogliono realizzare un Nuovo Ordine Mondiale (Putin a parte!) Approfondisci sul mio sito: https://dominioglobale.info/ Napolitano NWO Denis Torresan Articolo completo: http://www.nexusitalia.com/apri/Argom… Nuovo Ordine Mondiale: Monti ubbidisce al Papa Renzi e il Nuovo Ordine Mondiale… La Rivelazione La Verità di PUTIN su ISIS, sulla Libia e sul Medio Oriente. L’ISLANDA VIA DALLA FUORI DALL’EURO UE E L’ISLANDA VIA DALLA UE E FUORI DALL’EURO E’ IN FORTISSIMA CRESCITA E HA MANDATO IN GALERA I BANCHIERI GANGSTER FILO-UE. Fonte e link: http://sapereeundovere.com/lislanda-via-dalla-ue-e-fuori-dalle uro-e-in-fortissima-crescita-e-ha-mandato-in-galera-ibanchieri-gangster-filo-ue/ LONDRA – E’ passato poco piu’ di un anno da quando l’Islanda ha rinunciato ad aderire all’Unione Europea ma se qualcuno pensa che i membri del governo islandese si siano pentiti di questa scelta si sbaglierebbe di grosso. A tale proposito pochi giorni fa il primo ministro Sigmundur David Gunnlaugsson ha dichiarato che rimanere fuori dalla UE e’ stata la migliore decisione presa dal governo perche’ ha permesso di far riprendere l’economia velocemente. “Se l’Islanda avesse aderito alla UE, adesso si ritroverebbe in una situazione simile a quella greca o irlandese con un’economia in profonda recessione e un paese sull’orlo della bancarotta” aggiunge Gunnlaugsson, il quale non fa mistero del fatto che essere rimasti fuori e’ per lui un sospiro di sollievo. Dopo essere cresciuto dell’1,9% l’anno scorso, quest’anno l’economia islandese dovrebbe avere una crescita del 3,5% e il debito pubblico che era dell’86% del Pil nel 2012 adesso e’ sceso al 64% e dovrebbe presto raggiungere il livello di prima della crisi del 34%. Un risultato semplicemente fantascientifico anche per nazioni come la Germania, figuriamoci per l’Italia, il cui dato è prossimo al 132%, non al 34%. Inoltre, grazie al fatto di avere una propria valuta, l’Islanda ha avuto piu’ margini di manovra e la svalutazione della krona ha fatto aumentare il numero di turisti nel paese scandinavo. Se questo non fosse abbastanza, l’Islanda e’ stato anche l’unico paese al mondo che ha mandato in galera tutti i banchieri responsabili della crisi – cosa che in Italia perfino per la catastrofe MPS non è accaduto, strani “suicidi” a parte – e di recente ha anche offerto ai suoi cittadini il 5% della quota di una delle banche nazionalizzate durante la crisi degli anni scorsi a titolo di rimborso per le perdite subite da chi ne aveva acquistato le azioni. Effettivamente cio’ che e’ accaduto in Islanda dovrebbe essere oggetto di studio in tutte le scuole d’Europa, ma cio’ non avviene perche’ alla nostra classe politica al governo conviene tenere il popolo ignorante, e non e’ un caso che questa storia sia stata censurata dai giornali di regime italico. Noi non ci stiamo e ci auguriamo che i nostri lettori imparino dall’Islanda e capiscano che bisogna uscire dall’euro e dalla UE al piu’ presto possibile. Fonte: IlNord Tratto da: www.stopeuro.org DIVERSI ECONOMISTI HANNO DUBBI SULLA PERSISTENZA DELL’ITALIA NELL’EUROZONA IL PAZIENTE ITALIANO E’ GRAVE (HANDELSBLATT) venerdì 28 ottobre 2016 Fonte e link: http://www.ilnord.it/c-5064_DIVERSI_ECONOMISTI_HANNO_DUBBI_SUL LA_PERSISTENZA_DELLITALIA_NELLEUROZONA_IL_PAZIENTE_ITALIANO_E_ GRAVE_HANDELSBLATT BERLINO – “Il paziente italiano” e’ il titolo della lunga analisi del dossier del fine settimana che questa volta l’Handelsblatt – il principale quotidiano tedesco d’economia e finanza – dedica alla situazione economica italiana, presentato anche nella prima pagina di copertina con l’immagine di una rana tricolore che si aggrappa a un precario appiglio e il titolo ‘Paura della caduta’. Il tono del dossier e’ molto preoccupato. “Poca crescita, debiti in aumento, produttivita’ in calo”, e’ scritto nel grande sommario di apertura, “il declino della terza economia dell’Eurozona e’ allarmante. E ora il referendum sulla costituzione puo’ essere una trappola per il premier Renzi”, la cui presenza e’ pero’ essenziale per “la stabilita’” del Paese e “la tenuta dell’Europa”. “Bruxelles e Berlino sanno di aver bisogno di un’Italia stabile per tenere assieme l’Europa”, aggiunge l’Handelsblatt. “Dove va l’Italia?”, si chiede l’Handelsblatt nel dossier dedicato al nostro Paese, sottolineando che “Bruxelles e anche Berlino sono sempre piu’ nervose” perche’ la manovra per il 2017 contiene “di nuovo eccezioni per far fronte alle emergenze profughi e terremoto”. Ma il rischio e’ anche che Renzi perda al referendum di dicembre: “se fallisce Renzi fallisce l’Italia. E se fallisce l’Italia fallisce l’Europa”, scrive l’Handelsblatt, “e dopo la Brexit nessuno vuole rischiare altri scossoni”. Che tradotto significa: adesso la Commissione Ue deve tacere, altrimenti è certo che Renzi perderà il referendum, poi, se perdesse comunque, pronta ad inviare la Troika a Roma con Renzi sconfitto che deve lasciare Palazzo Chigi, ma a differenza della Grecia, la destabilizzazione dell’Italia causerà sia il crollo dell’euro che della Ue. Renzi “si e’ guadagnato una chance, anche o forse solo perche’ l’Europa non puo’ permettersi un fallimento dell’Italia”. E’ la conclusione politica del dossier che l’Handelsblatt ha dedicato all’Italia. “Bruxelles e Berlino sanno di aver bisogno di un’Italia stabile per tenere assieme l’Europa” ed e’ cosi’ che si spiega la “pazienza” con Renzi, osserva ancora il quotidiano economico, che ricorda come diversi economisti abbiano rilanciato di recente i dubbi sulla persistenza dell’Italia nell’Eurozona. Tra i quali, voci molto autorevoli come quelle di alcuni premi Nobel per l’Economia. L’analisi si concede pero’ alla fine una nota di – larvatamente ironico – ottimismo, elencando le “tante imprese vitali” del Paese e i “loro prodotti richiesti in tutto il mondo”. “Renzi e il suo governo non potevano in breve tempo compensare negligenze strutturali di tanti anni”, conclude l’Handelsblatt. Ma è anche vero che l’Italia con l’euro ha intrapreso un percorso che la sta conducendo al declino. IL NOSTRO COMMENTO: Prendiamo esempio dall’Islanda ed usciamo immediatamente dall’Euro. I catastrofisti di fronte ai dati di crescita dell’Islanda non possono che prenderne atto. Italiani! Non continuate a restare con le mani in mano. Non ascoltate le minchiate di Renzi e compagni! Diamoci da fare per trovare il modo di uscire dall’Euro. Lo so! Nel Nostro Paese non è facile! Ma, bisogna pur iniziare! Coraggio! Quando Napolitano disse: "in Ungheria l'URSS porta la pace" Quando Napolitano disse: “in Ungheria l’URSS porta la pace” Fonte e link: http://voxinsana.blogspot.it/2014/01/quando-napolitano-disse-i n-ungheria.html Nel 1956, all’indomani dell’invasione dei carri armati sovietici a Budapest, mentre Antonio Giolitti e altri dirigenti comunisti di primo piano lasciarono il Partito Comunista Italiano, mentre “l’Unità” definiva «teppisti» gli operai e gli studenti insorti, Giorgio Napolitano si profondeva in elogi ai sovietici. L’Unione Sovietica, infatti, secondo lui, sparando con i carri armati sulle folle inermi e facendo fucilare i rivoltosi di Budapest, avrebbe addirittura contribuito a rafforzare la «pace nel mondo»… Giorgio Napolitano nel nov. 1956: Come si può, ad esempio, non polemizzare aspramente col compagno Giolitti quando egli afferma che oltre che in Polonia anche in Ungheria hanno difeso il partito non quelli che hanno taciuto ma quelli che hanno criticato? E’ assurdo oggi continuare a negare che all’interno del partito ungherese – in contrapposto agli errori gravi del gruppo dirigente, errori che noi abbiamo denunciato come causa prima dei drammatici avvenimenti verificatisi in quel paese – non ci si è limitati a sviluppare la critica, ma si è scatenata una lotta disgregatrice, di fazioni, giungendo a fare appello alle masse contro il partito. E’ assurdo oggi continuare a negare che questa azione disgregatrice sia stata, in uno con gli errori del gruppo dirigente, la causa della tragedia ungherese. Il compagno Giolitti ha detto di essersi convinto che il processo di distensione non è irreversibile, pur continuando a ritenere, come riteniamo tutti noi, che la distensione e la coesistenza debbano rimanere il nostro obiettivo, l’obiettivo della nostra lotta. Ma poi ci ha detto che l’intervento sovietico poteva giustificarsi solo in funzione della politica dei blocchi contrapposti, quasi lasciandoci intendere – e qui sarebbe stato meglio che, senza cadere lui nella doppiezza che ha di continuo rimproverato agli altri, si fosse più chiaramente pronunciato – che l’intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell’Unione Sovietica; senza vedere come nel quadro della aggravata situazione internazionale, del pericolo del ritorno alla guerra fredda non solo ma dello scatenamento di una guerra calda, l’intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all’Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo. «Napolitano non venga a Budapest. Con il Pci appoggiò i russi invasori», tratto da il Giornale, 26.5.2006. Un portavoce dei superstiti: “Tardivo il suo ripensamento, chi pagò con la vita non vorrebbe essere commemorato da lui”. Hanno perdonato Boris Eltsin, erede dei loro carnefici. Potrebbero, sforzandosi, mandar giù anche un boccone indigesto come Vladimir Putin «l’opportunista» ma Giorgio Napolitano no, proprio no. Il nostro presidente della Repubblica non merita sconti e in Ungheria non deve andare. Soprattutto in quei giorni, nel prossimo autunno, in cui a Budapest si ricorderanno i 50 anni dell’invasione sovietica. A lanciare il diktat è un gruppetto sparuto ma autorevole di magiari, quelli raccolti intorno a «56 Alapitvany» (Fondazione ’56). Sono in diciannove, tutti accomunati dallo stesso destino: essersi ribellati agli occupanti venuti da Mosca e aver pagato per questo con duri anni di galera. Per questo, l’altroieri, sono insorti quando hanno saputo che il presidente ungherese Laszlo Solyom aveva invitato per il prossimo autunno a Budapest anche Giorgio Napolitano. In nove hanno firmato una lettera-appello per chiedere che Napolitano non venga. O se proprio ci tiene a visitare l’Ungheria, lo faccia prima o dopo le commemorazioni. Facendo riferimento alla posizione presa dal Pci nel 1956, la lettera afferma che il documento di allora offrì sostegno internazionale ai sovietici che «repressero nel sangue il desiderio di libertà dell’Ungheria». E Laszlo Balazs Piri, tra i nove firmatari dell’appello, membro del board della Fondazione, già condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione per la sua partecipazione alla rivolta, rilancia: «Purtroppo i governi dei grandi Paesi occidentali non poterono aiutarci. L’opinione pubblica dei Paesi liberi era accanto a noi. Nello stesso tempo, però, in Paesi come Italia e Francia i Partiti comunisti erano allineati a Mosca. Furono d’accordo con questa resa dei conti sanguinosa contro la lotta di liberazione ungherese. Napolitano a quel tempo non era un bambino e aveva un’opinione». A poco vale per i «reduci» della repressione sovietica il ripensamento del presidente italiano. Un dietrofront tardivo, sostengono. E Balasz Piri è categorico: «La comunità dei veterani del 1956 sente che quest’uomo non deve partecipare alle commemorazioni del ’56 ungherese. Chissà cosa direbbero quelli che sono stati impiccati in seguito alla repressione». Il 26 settembre 2006, a Budapest, Napolitano ha reso omaggio alle vittime della rivoluzione del 1956, soffocata nel sangue dai carri armati sovietici. In quell’occasione ha detto: “Ho reso questo omaggio sulla tomba di Imre Nagy a nome dell’Italia, di tutta l’Italia, e nel ricordo di quanti governavano l’Italia nel 1956 e assunsero una posizione risoluta, a sostegno dell’insurrezione ungherese e contro l’intervento militare sovietico”. Non una dichiariazione sulle responsabilità sue e dei suoi «compagni» di partito, non una richiesta di perdono alle vittime (forse 25.000), non un’affermazione che defisse il comunismo «male assoluto». IL NOSTRO COMMENTO: Napolitano Giorgio. Una persona che dovrebbe essere immediatamente allontanata dall’Italia. Vergogna! Siede ancora in Parlamento! Grandi Opere, nella maxiretata arrestati anche il progettista e il manager del ponte sullo Stretto Grandi Opere, nella maxi-retata arrestati anche il progettista e il manager del ponte sullo Stretto Fonte e link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/27/grandi-opere-nellamaxi-retata-arrestati-anche-il-progettista-e-il-manager-delponte-sullo-stretto/3126414/ Proprio un mese fa, nel giorno in cui Matteo Renzi rilanciava il progetto, Michele Longo ed Ettore Pagani erano al suo fianco. Da ieri sono agli arresti nell’ambito dell’inchiesta che ha portato in manette anche il figlio dell’ex ragioniere dello Stato Monorchio e in cui è finito indagato Lunardi jr. Il premier minimizza: “Processo sia rapido. Stiamo parlando di arresti legati a vicende del passato” di Paolo Fior e Ferruccio Sansa | 27 ottobre 2016 A un mese esatto dal roboante annuncio del rilancio del progetto del Ponte sullo Stretto, la maxi-retata di mercoledì 26 ottobre ha tolto dalla circolazione alcuni di quelli che erano gli uomini chiave del progetto e che erano proprio di fianco al premier Matteo Renzi a Milano nel giorno dell’annuncio. Si tratta del presidente e del vice-presidente del Consorzio Cociv, Michele Longo ed Ettore Pagani. Due uomini espressione del gruppo Salini-Impregilo. Il primo, Longo, ne è una delle figure apicali essendo general manager domestic operation e avendo quindi la responsabilità non solo delle opere del cosiddetto Terzo Valico, ma anche di tutte le altre operazioni italiane che coinvolgono il gruppo. Di più, è l’uomo del Ponte, colui con il quale lo Stato deve parlare se l’argomento è la maxi opera tra Sicilia e Calabria. E Pagani è il suo braccio destro, nonché “responsabile del progetto Ponte sullo Stretto” per conto di Impregilo, come recita il suo curriculum. Le misure di custodia cautelare sono scattate nell’ambito di un’operazione sulle Grandi Opere, dove – secondo i magistrati – non c’è solo la solita gigantesca corruttela, ma anche e soprattutto la sistematica violazione delle normative di sicurezza, con lavori non fatti a regola e uso di materiali scadenti (“il cemento sembrava colla”, intercettano gli inquirenti). Opere costosissime, spesso inutili e soprattutto pericolose. Opere su cui il governo Renzi si è esposto molto. L’annuncio del rilancio del progetto del Ponte il premier lo ha fatto il 27 settembre intervenendo alla festa per i 110 anni del gruppo Salini-Impregilo che si è svolta alla Triennale di Milano. Accanto a lui, l’amministratore delegato del gruppo, Pietro Salini (più volte citato nelle intercettazioni dell’inchiesta), l’ambasciatore degli Stati Uniti e molti top manager, tra cui, come detto, gli stessi Longo e Pagani. “Non accetteremo che si possano spendere 6-7 miliardi per la Torino Lione, 1,2 per la Variante di Valico e poi se facciamo un’infrastruttura al Sud non si può perché rubano. O siamo italiani sempre o siamo italiani mai”, ha detto Renzi giusto qualche giorno fa. Ora che gli uomini del Ponte sono finiti nei guai lui minimizza: “Mi auguro un processo equo e rapido. Il punto centrale è che non sono le regole che fanno l’uomo ladro. E in ogni caso stiamo parlando di arresti legati a vicende del passato”. Se le storie sono antiche, gli uomini però sono sempre gli stessi. Ma chi sono veramente Longo e Pagani e chi è il “terzo uomo”, Pier Paolo Marcheselli, di cui si parla tanto in queste ore? Riguardo a Longo e Pagani le carte dei pm riportano soprattutto due contestazioni: “Longo e Pagani decidevano di affidare l’appalto a “Grandi Lavori Fincosit spa” nonostante tale società avesse previsto nell’ambito delle spese generali un costo per la sicurezza aziendale interna senz’altro incongruo (93mila euro, un ottavo dei concorrenti, ndr)”. C’è poi la gara per realizzare la viabilità per smaltire il materiale di scavo: “Longo, Pagani e Giulio Frulloni (quest’ultimo remunerato dall’imprenditore Marciano Ricci mediante l’offerta di serate con “escort”) prima dell’indizione della gara promettevano allo stesso Ricci l’affidamento dell’appalto… e fornivano loro informazioni sul progetto che sarebbe andato in gara”. Ci sono molti fili che legano le grandi opere italiane. Parti dal Terzo Valico e arrivi molto lontano. Al Ponte, ma non solo. La grande opera tra Milano e Genova ha già collezionato molti record. Giudiziari, prima che ingegneristici. Per non parlare dei costi: “Eravamo partiti da 3.200 miliardi di lire per 127 chilometri e siamo arrivati a 6,2 miliardi di euro per 54 chilometri”, racconta Stefano Lenzi, responsabile delle Relazioni Istituzionali del Wwf. Le rogne cominciano negli anni ‘90 quando il pm genovese Francesco Pinto indaga sui tunnel pilota. Si parlava di una truffa da 100 miliardi di lire. Gli indagati – Luigi Grillo, Ercole Incalza, Marcellino Gavio e Bruno Binasco – ne uscirono puliti: furono tra i primi a beneficiare della ex Cirielli sulla prescrizione. La storia del Terzo Valico era cominciata nel 1991. Poi le inchieste, il silenzio. Se ne riparla con il ritorno di Silvio Berlusconi nel 2001. E già allora si ritrovano nomi di oggi. Nel marzo 2005 Andrea Monorchio aveva terminato il mandato di Ragioniere Generale dello Stato e trovato altre prestigiose poltrone. Tra le altre quelle di presidente di Infrastrutture Spa e della Consap (Concessionaria dei Servizi Assicurativi Pubblici). Disse allora Monorchio Senior: “La delibera Cipe ha individuato la cifra necessaria per realizzare il Terzo Valico, 4,7 miliardi di euro, noi siamo pronti a finanziare l’opera”. A questo punto ecco che entra in scena Giandomenico Monorchio, citato nell’inchiesta fiorentina del 2015 su Ercole Incalza (archiviato). Di Monorchio jr. (arrestato ieri nella nuova inchiesta) parla nelle intercettazioni l’imprenditore Giulio Burchi: sostiene che si “…stanno negoziando le ultime direzioni lavori… il Cociv… il Milano-Genova ce l’aveva il figlio di… nella spartizione fantastica di queste direzioni lavori commissionate dai general contractor… che sono una delle vergogne grandi di questo Paese”. Spiegano i magistrati: “Si ricorda che, di recente, il Consorzio Cociv ha affidato a Giandomenico Monorchio la direzione dei lavori per il Terzo Valico”. Ma dalle carte dell’inchiesta romana di oggi, sul Terzo Valico, potrebbero emergere altri dettagli sul ruolo di Monorchio jr. Il retroscena del Terzo Valico non viene solo dalle inchieste. Dietro il Terzo Valico c’è anche l’abbraccio tra banche e governi. Perché era Intesa (attraverso Biis, Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo) che si occupava del project financing privato. Ai vertici di Biis c’era chi parlava di un finanziamento che doveva costare 374 milioni l’anno. Mentre le Ferrovie prevedevano un ricavo da 40 milioni. Ma ecco che con Monti i banchieri vanno al Governo: Corrado Passera, ex numero uno di Intesa, finisce allo Sviluppo Economico e alle Infrastrutture. Viceministro è Mario Ciaccia, il numero uno di Biis che finanziava l’opera. Il progetto riparte. E in un attimo la spesa si riversa sulle spalle pubbliche. E ci sarebbero anche da contare le previsioni del traffico merci: si era detto di 5 milioni di container l’anno. Siamo a 1,8 e la linea attuale ne regge 3. C’è poi chi, come il Wwf, ricorda che i costi (115 milioni a chilometro) sono superiori dell’800% a quelli affrontati in Spagna. Chi sottolinea che dopo 53 chilometri la nuova linea finirebbe nel nulla. Ma c’è chi continua a crederci. Di sicuro la ‘ndrangheta, come ha rivelato l’inchiesta Alchemia: “Dalle intercettazioni – raccontò il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho – rileviamo l’interesse di imprenditori prestanome delle cosche a sostenere finanziariamente il movimento Sì Tav per creare nell’opinione pubblica un orientamento favorevole all’opera”. C’è poi ò’ultimo tassello: la nomina del presidente del Porto di Genova. Perché il Terzo Valico servirebbe proprio allo scalo ligure. Ormai è questione di ore: il nuovo presidente sarà Paolo Emilio Signorini, già delfino di Ercole Incalza. Il suo nome è stato proposto da Giovanni Toti. L’opposizione, soprattutto di centrosinistra, tace. Si cerca un accordo sulla figura del Segretario dell’Autorità Portuale. Altra poltrona cardine per il Porto (e il destino del Terzo Valico). Si profila un’intesa con il Pd. IL NOSTRO COMMENTO: Ecco come si dividono la torta per le grandi opere pubbliche. E il Popolo Italiano GUARDA!………… Leggi anche: Cemento come colla….. GoPro HERO5 Launch in 4K + Karma: The GoPro HERO5 + Karma: The Launch in 4K Fonte e link: GoPro IL NOSTRO COMMENTO: Guardate che bella risoluzione che ha questa piccola telecamera “Go Pro Heros 5 Black” il cui costo si aggira intorno ai 430 Euro. Li vale tutti! Guarda anche: GoPro Hero 5 Black Ecco da chi arriva l’ordine di far fuori la Costituzione Ecco da chi arriva l’ordine di far fuori la Costituzione Pubblicato 14 febbraio 2015 – Da Claudio Messora Fonte e link: http://www.byoblu.com/post/2015/02/14/ecco-da-chi-arriva-lordi ne-di-far-fuori-la-costituzione.aspx Questo un’estratto del documento di JP Morgan, (The euro adjustment about halfway there), che identifica tra le cause della crisi la nostra Costituzione. Troppo socialista, troppo di sinistra, troppo garantista. Troppo sbilanciata in favore dei cittadini. Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica: debito pubblico troppo alto, problemi legati ai mutui e alle banche, tassi di cambio reali non convergenti, e varie rigidità strutturali. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea. Quando i politici tedeschi parlano di processi di riforma decennali, probabilmente hanno in mente sia riforme di tipo economico sia di tipo politico. I sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo. I sistemi politici e costituzionali del sud presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia). Dai tempi di Crisis of Democracy, della Commissione Trilaterale, non è cambiato niente: le élite tecnofinanziarie continuano a chiedere con forza di limitare il potere dei cittadini e di avere libertà di procedere. Gli esecutori li conoscete. Basta che aprite i giornali. Renzi, Monti, Draghi e soci. Più chiaro di così davvero, stavolta, si muore. grazie a Wall Street Italia per la segnalazione IL NOSTRO COMMENTO: I soliti noti…. Ormai gli Italiani dovrebbero conoscerli….Altrimenti per l’Italia non c’è speranza! Sono quelli della Trilaterale. Monti ne era il Presidente. La disgrazia è che ancora lo teniamo in Italia invece di mandarlo a calci in culo dai suoi amici banchieri americani. Ma non vi preoccupate anche attraverso questi piccoli Blog’s diremo Noi la verità agli Italiani ogni giorno…a martello! Leggi anche: https://dominioglobale.info/2014/10/23/ecco-chi-davvero-e-mari o-monti-servo-fedele-di-mr-rockefeller-fuori-dallue/ Leggi e diffondi il sito : http://www.dominioglobale.info Abolizione Equitalia: solite minchiate..... le Abolizione Equitalia: cosa cambia con la soppressione dell’ente? Fonte e link: https://www.forexinfo.it/Abolizione-Equitalia-cosa-cambia 14 Ottobre 2016 di Antonio Atte Abolizione Equitalia, cosa cambia? Il premier Matteo Renzi ha rilanciato la proposta sulla soppressione della società. Ecco come cambierebbe il sistema di riscossione dei tributi. Abolizione Equitalia: cosa cambia? Quali sarebbero gli effetti di una eventuale soppressione dell’ente? Il premier Matteo Renzi è tornato sul tema dell’abolizione di Equitalia. Intervenendo ieri all’assemblea nazionale dell’Anci a Bari, il presidente del Consiglio ha illustrato le misure che saranno inserite nella prossima legge di bilancio – la quale dovrebbe essere varata sabato dal consiglio dei ministri -, dai provvedimenti in materia di fisco a quelli relativi al pubblico impiego. Su quest’ultimo punto Renzi ha annunciato un ritocco selettivo sui vincoli di turn over per le pubbliche amministrazioni: “Dire che si modifica il turn over significa tornare a fare i concorsi e possiamo immaginare di avere 10mila nuove unità tra infermieri, forze dell’ordine e, spero, medici”. Sul versante fisco il premier e segretario del Pd ha confermato l’abolizione di Equitalia: “Come annunciato Equitalia sarà abolita e si indicherà la creazione di un modello diverso con interventi di riorganizzazione del rapporto cittadino-pubblico ufficiale. Dal 7 novembre partirà un sms se si ha un ritardo nei pagamenti”. Abolizione Equitalia: le parole del premier Il tema dell’abolizione di Equitalia era già tornato ad affacciarsi sul dibattito politico italiano in seguito alle dichiarazioni rilasciate da Renzi ai microfoni di Rtl 102.5 lo scorso luglio. Il presidente del Consiglio aveva ventilato l’ipotesi di mandare in soffitta la società incaricata della riscossione dei tributi su tutto il territorio nazionale (Sicilia esclusa). “Entro l’anno arriverà il decreto che cambierà il modo di pagare il fisco” e quindi “bye bye Equitalia”, erano state le parole del premier, che già a maggio aveva già promesso l’uscita di scena entro il 2018 della società partecipata dall’Agenzia delle Entrate e dall’Inps. Ma come cambierebbe il sistema della riscossione tributi nel caso in cui dovesse concretizzarsi l’abolizione di Equitalia? Abolizione Equitalia: la fusione con l’Agenzia delle Entrate Innanzitutto, non si tratterebbe di un’abolizione vera e propria ma di un accorpamento. Il piano consisterebbe infatti in un trasferimento delle competenze in materia di riscossione tributi da Equitalia all’Agenzia delle Entrate (che al momento si occupa solo di effettuare controlli e accertamenti). Inglobando Equitalia, dunque, il Fisco – proprio come accade negli altri Paesi europei – si vedrebbe attribuito anche il compito di andare a recuperare le cifre evase, nel segno di una maggiore efficienza e di un atteggiamento meno “vessatorio” nei confronti del cittadino-contribuente. Abolizione Equitalia: la proposta M5S Uno schema già tracciato dal M5S all’interno di due proposte di legge presentate all’inizio di giugno, che – tra i vari punti – mirano anche a vietare le cartelle esattoriali per gli importi piccoli e ad intervenire sulle cosiddette cartelle pazze, con un risarcimento pagato da chi ha causato il danno. Abolizione Equitalia: che fine fanno i dipendenti? Ma a quel punto cosa succederebbe ai dipendenti di Equitalia, che al momento lavorano con contratto privato? Passando sotto l’egida del Fisco, il contratto di questi lavoratori diverrebbe pubblico. Ma l’assunzione in quel caso non sarebbe automatica. L’Agenzia delle Entrate, infatti, è un ente pubblico e per lavorarvi è necessario superare un concorso. Abolizione Equitalia: il no dei sindacati Questi ed altri interrogativi sono stati sollevati a maggio dai sindacati, i quali hanno fortemente criticato la proposta del premier sull’abolizione di Equitalia. “Quei 9 miliardi di obiettivo di riscossione imposti al sistema, e sui quali il bilancio dello Stato sembra oggi contare molto, come pensate di recuperarli domani?”, hanno chiesto Fabi, First Cisl, Cgil, Ugl Credito e Uilca in una lettera aperta a Matteo Renzi. IL NOSTRO COMMENTO: Per quanto ci riguarda trattasi di provvedimenti che rimarranno solo sulla carta! Fatti solo per gli allocchi. A parte che un Ente che riscuota le imposte ci deve essere in ogni caso e comunque. A questo punto il premier ci deve spiegare come ritiene di migliorare il funzionamento dell’ente italiano di riscossione ed in che modo. Potrebbe benissimo essere una reformatio in peius nel caso prendesse corpo. Ma, credetemi, non si sarà niente…….Non ci sono nè i tempi nè i soldi . Le solite minchiate!