Il giudice nazionale e le sentenze della Corte di Giustizia: il
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Il giudice nazionale e le sentenze della Corte di Giustizia: il
Summary Report Il giudice nazionale e le sentenze della Corte di Giustizia: il recupero degli aiuti di stato illegittimi Il sistema di controllo degli aiuti di stato ha carattere bipartito e concorrente, in un meccanismo di interrelazione dialettica tra il ruolo della Commissione, cui è attribuito il monitoraggio permanente sugli aiuti esistenti e il potere di stabilite l’incompatibilità degli aiuti nuovi, il ruolo di controllo giurisdizionale della Corte di Giustizia e il ruolo complementare e distinto del giudice nazionale, il quale è chiamato a procedere alla valutazione delle norme interne allo scopo di decidere se una misura avrebbe o meno dovuto essere notificata alla Commissione. I giudici nazionali hanno, dunque, una competenza che si affianca a quella della Commissione, alla quale, tuttavia, spetta il ruolo permanente di esame e controllo della compatibilità degli aiuti di stato con il mercato comune, attraverso atti che sono impugnabili dinanzi al giudice europeo. Al giudice dello Stato membro, nondimeno, è affidato il compito di tutelare i singoli dalla distorsione della concorrenza provocata dall’esecuzione, da parte dello Stato, di aiuti illegali e/o incompatibili. Il singolo ha, dunque, la possibilità di far valere direttamente dinanzi ai giudici nazionali la posizione giuridica soggettiva determinata dalla norma europea. Come noto, infatti, per gli aiuti di stato, per così dire, “nuovi”, è prevista una verifica ex ante, in via preventiva rispetto alla loro attuazione concreta. Il momento iniziale di tale processo è da individuarsi nella notifica del progetto di aiuto alla Commissione (la quale detiene in via esclusiva il potere di controllo). Detta notifica deve essere effettuata, mediante apposito formulario, in tempo utile perché la Commissione presenti le sue osservazioni. Nelle more del controllo, lo Stato non può dare esecuzione agli aiuti, i quali sono da ritenersi sospesi per effetto della avvenuta notifica (cd. obbligo di standstill): agli aiuti soggetti a notifica, infatti, non può essere data esecuzione prima che la Commissione abbia adottato, o sia giustificato ritenere che abbia adottato, una decisione di autorizzazione dell’aiuto. In proposito, secondo la Corte di Giustizia, esiste, oltre all’obbligo in capo all’amministrazione di disapplicare o sospendere l’applicazione di misure non ritualmente autorizzate, un potere-dovere dell’operatore economico europeo di verificare preventivamente l’avvenuta notifica dell’agevolazione da parte dello Stato, poiché l’obbligo di sospensione è previsto da un Regolamento (n. 659/1999 del Consiglio), quindi da una norma dotata di efficacia diretta nei confronti di giudici, amministrazioni ed anche beneficiari dell’aiuto. Un aiuto irritualmente concesso (quindi non preventivamente notificato alla Commissione o notificato tardivamente o attuato prima della scadenza del termine bimestrale necessario per la pronuncia della Commissione) porta lo Stato membro concedente a incorrere in un’infrazione delle regole procedurali, che rende la misura agevolativa illecita. L’organo europeo che venga a conoscenza di una misura agevolativa illegalmente attuata è, dunque, tenuto ad aprire un procedimento istruttorio, teso a valutare l’ammissibilità della medesima (un aiuto illegale non è, infatti, automaticamente incompatibile con il mercato unico) e che può sfociare nell’intimazione a sospendere l’erogazione o anche nell’ingiunzione di recupero, a titolo provvisorio, di ogni aiuto illegale già concesso, in attesa della successiva verifica in punto alla compatibilità del medesimo con le regole di concorrenza del mercato unico: tale ingiunzione, avendo carattere provvisorio, produce i suoi effetti soltanto sino alla decisione finale di merito. Quest’ultima ipotesi, ossia quella dell’ordine di provvisorio recupero dell’aiuto in attesa della decisione finale di merito, può ricorrere soltanto in presenza di alcuni requisiti, i quali paiono assimilabili ai tradizionali fumus boni iuris (ossia l’oggettiva qualificazione della misura come aiuto di stato) e periculum in mora (ossia l’esigenza di fronteggiare una situazione di emergenza, nonché il rischio di cagionare un danno considerevole ed irreparabile ad un concorrente). Quando, al termine della procedura di controllo, viene dichiarata in via definitiva l’illegittimità della norma interna che ha introdotto gli aiuti (decisione negativa), la Commissione ordina allo Stato interessato di eliminarla entro un termine prestabilito e “senza indugio”. A fronte di tale ordine lo Stato deve adeguarsi; in caso contrario, la Commissione può adire direttamente la Corte di Giustizia. La giurisprudenza italiana ha rilevato come una decisione negativa della Commissione sia suscettibile di avere effetti diretti nel nostro ordinamento, vincolando i giudici nazionali, laddove prevedano un obbligo giuridico: - “sufficientemente chiaro e preciso” nei confronti degli Stati membri; - “incondizionato”; - attuabile senza necessariamente impiegare un potere discrezionale da parte degli Stati membri o delle istituzioni europee (cfr. Cass. civ., sez. V, 10.12.2002, n. 17564; nello stesso senso, si veda Cons. Stato, sez. VI, 16.09.2003, n. 5250). La dichiarazione di incompatibilità dell’aiuto (illegale) da parte della Commissione impedisce l’erogazione di altri vantaggi oltre a quelli già erogati, i quali devono essere recuperati (come da espressa previsione del Regolamento 659/1999) presso le imprese che ne hanno effettivamente tratto vantaggio. Tale misura deve tendere a ripristinare lo status quo ante esistente prima della concessione dell’aiuto illegale, nonché a rimediare alla distorsione della concorrenza causata dall’aiuto illegittimo. Tale finalità deve, tuttavia, essere coerente con il principio di proporzionalità che informa l’ordinamento europeo, inteso come necessità di proporzionalità tra il quantum di cui viene preteso il recupero e il vantaggio economico concretamente goduto dall’impresa beneficiaria. Il giudice nazionale è, dunque, chiamato, in primo luogo, a disapplicare, anche d’ufficio, le norme interne in materia di aiuti che contrastano con l’obbligo di sospensione, alla luce del principio di non applicabilità della norma interna laddove contraria a quella europea. Il tribunale dello Stato membro - a fronte della richiesta di un concorrente dell’impresa che ha beneficiato di un aiuto illegale - dovrà innanzitutto accertare se la misura censurata costituisca o meno un aiuto, interpretando a tal fine la nozione di “aiuto” prevista dal Trattato, anche con la possibile assistenza, in caso di necessità, della Commissione o con l’intervento della Corte mediante un rinvio pregiudiziale laddove in presenza di un dubbio interpretativo (tuttavia, si ribadisce, né il giudice nazionale, né il giudice europeo sono competenti a valutare nel merito la compatibilità comunitaria dell’aiuto, potere attribuito esclusivamente alla Commissione). Qualora il giudice qualifichi la misura in oggetto alla stregua di un aiuto e constati la violazione della procedura di notifica preventiva alla Commissione, potrà adottare provvedimenti cautelari a favore del concorrente danneggiato e dei terzi interessati lesi dall’aiuto di stato illegale, tra cui, per l’appunto, la sospensione dell’erogazione dell’aiuto o il recupero provvisorio del medesimo. Alcune sentenze della Corte hanno ampliato la protezione giuridica dei singoli dinanzi al giudice nazionale. Dal momento che l’esame di una misura di state aid da parte della Commissione deve riguardare anche le modalità di finanziamento del medesimo, il giudice nazionale potrà sindacare sull’imposizione parafiscale come strumento di finanziamento del regime di aiuti illegali, con conseguente competenza non soltanto ad ordinare il recupero degli aiuti concessi illegalmente, ma anche ad ordinare il rimborso di tributi riscossi per finanziare gli stessi aiuti illegali (cfr. CGUE, 13.01.2005, C-174/02; 21.10.2003, C-261/01 e C-262/01). Inoltre, il giudice nazionale è tenuto ad ordinare al beneficiario dell’aiuto illegale il pagamento degli interessi per il periodo di illegalità intercorrente tra l’esecuzione dell’aiuto illegale e la successiva (eventuale) declaratoria di compatibilità (cfr. CGUE, 12.02.2008, C-199/06). La Corte (cfr. CGUE, C-143/88, C-92/89, C-232/05) ha, inoltre, stabilito che, laddove l’impresa a cui viene chiesto di restituire l’aiuto si appelli al giudice nazionale al fine di ottenere la sospensione del recupero, detto giudice può concedere la sospensione richiesta soltanto ove ricorrano determinate condizioni: a) che lo stesso giudice nutra gravi riserve in ordine alla validità dell’atto comunitario e provveda ad effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte; b) che ricorrano gli estremi dell’urgenza e di un pericolo grave ed irreparabile in capo all’impresa; c) che il giudice nazionale tenga pienamente conto dell’interesse dell’Unione Europea.