SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 8 novembre 2012

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SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 8 novembre 2012
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
8 novembre 2012
«Codice doganale comunitario – Articolo 220, paragrafo 2, lettera b) – Recupero dei dazi
all’importazione – Legittimo affidamento – Impossibilità di verificare l’esattezza di un
certificato d’origine – Nozione di “certificato basato su una situazione fattuale inesatta riferita
dall’esportatore” – Onere della prova – Sistema di preferenze tariffarie generalizzate»
Nella causa C-438/11,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dal Finanzgericht Hamburg (Germania), con decisione del 22 giugno
2011, pervenuta in cancelleria il 26 agosto 2011, nel procedimento
Lagura Vermögensverwaltung GmbH
contro
Hauptzollamt Hamburg-Hafen,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet, M. Ilešič
(relatore), M. Safjan e dalla sig.ra M. Berger, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig. M. Aleksejev, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 5 luglio 2012,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Lagura Vermögensverwaltung GmbH, da T. Lieber, Rechtsanwalt;
– per il governo ceco, da M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. Albenzio,
avvocato dello Stato;
– per la Commissione europea, da L. Bouyon e B.-R. Killmann, in qualità di agenti,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza
conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 220, paragrafo 2,
lettera b), del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce
un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE)
n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000 (GU L 311, pag.
17, in prosieguo: il «codice doganale»).
2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la società tedesca Lagura
Vermögensverwaltung GmbH (in prosieguo: la «Lagura») e lo Hauptzollamt Hamburg-Hafen
(Ufficio doganale principale del porto di Amburgo, in prosieguo: lo «Hauptzollamt»), a
proposito del recupero dei dazi all’importazione imposti a tale società per l’importazione di
calzature nell’Unione europea.
Contesto normativo
Il codice doganale
3 Il codice doganale è stato abrogato dal regolamento (CE) n. 450/2008 del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 23 aprile 2008, che istituisce il codice doganale comunitario (codice
doganale aggiornato) (GU L 145, pag. 1), alcune disposizioni del quale sono divenute
applicabili a partire dal 24 giugno 2008. Tuttavia, tenuto conto della data dei fatti della
controversia principale, quest’ultima permane disciplinata dalle disposizioni enunciate nel
codice doganale.
4 L’articolo 220 del codice doganale disponeva quanto segue:
«1. Quando l’importo dei dazi risultante da un’obbligazione doganale non sia stato
contabilizzato […] o sia stato contabilizzato ad un livello inferiore all’importo legalmente
dovuto, la contabilizzazione dei dazi da riscuotere o che rimangono da riscuotere deve
avvenire entro due giorni dalla data in cui l’autorità doganale si è resa conto della situazione
in atto ed è in grado di calcolare l’importo legalmente dovuto e di determinarne il debitore
(contabilizzazione a posteriori) (…).
2. (...) non si procede alla contabilizzazione a posteriori quando:
(...)
b) l’importo dei dazi legalmente dovuto non è stato contabilizzato per un errore dell’autorità
doganale, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore avendo questi
agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore
riguardo alla dichiarazione in dogana.
Quando la posizione preferenziale di una merce è stabilita in base ad un sistema di
cooperazione amministrativa che coinvolge le autorità di un paese terzo, il rilascio da
parte di queste ultime di un certificato, ove esso si riveli inesatto, costituisce, ai sensi
del primo comma, un errore che non poteva ragionevolmente essere scoperto.
Il rilascio di un certificato inesatto non costituisce tuttavia un errore in tal senso se il
certificato si basa su una situazione fattuale inesatta riferita dall’esportatore, salvo se, in
particolare, è evidente che le autorità che hanno rilasciato il certificato erano informate
o avrebbero ragionevolmente dovuto essere informate che le merci non avevano diritto
al regime preferenziale.
La buona fede del debitore può essere invocata qualora questi possa dimostrare che, per la
durata delle operazioni commerciali in questione, ha agito con diligenza per assicurarsi
che sono state rispettate tutte le condizioni per il trattamento preferenziale.
(...)».
Il regolamento (CEE) n. 2454/93
5 L’articolo 94 del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa
talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 (GU L 253, pag. 1),
come modificato dal regolamento (CE) n. 1602/2000 della Commissione, del 24 luglio 2000
(GU L 188, pag. 1), stabilisce quanto segue:
«1. Il controllo a posteriori dei certificati d’origine, modulo A (…) viene effettuato per
sondaggio o ogniqualvolta le autorità doganali della Comunità abbiano ragionevole motivo di
dubitare dell’autenticità dei documenti, del carattere originario dei prodotti in questione o
dell’osservanza degli altri requisiti della presente sezione.
2. Ai fini dell’applicazione del paragrafo 1, le autorità doganali della Comunità rispediscono
alle autorità pubbliche competenti del paese beneficiario di esportazione il certificato
d’origine, modulo A, e la fattura, se è stata presentata, (…) indicando, se del caso, i motivi
che giustificano un’inchiesta. A corredo della richiesta di controllo, devono essere inviati tutti
i documenti e le informazioni ottenute che facciano sospettare la presenza di inesattezze nelle
informazioni relative alla prova dell’origine.
Qualora le autorità in questione decidano di sospendere la concessione delle preferenze
tariffarie […] in attesa dei risultati del controllo, esse offrono all’importatore la possibilità di
ritirare i prodotti, riservandosi di applicare le misure cautelari ritenute necessarie.
3. Quando una domanda di controllo a posteriori è fatta in applicazione delle disposizioni del
paragrafo 1, il controllo è effettuato e i risultati devono essere comunicati alle autorità
doganali della Comunità (…). Questi risultati devono consentire di determinare se la prova
dell’origine contestat[a] riguardi i prodotti realmente esportati e se questi ultimi possono
essere considerati prodotti originari di un paese beneficiario o della Comunità.
(...)».
Il regolamento (CE) n. 980/2005
6 L’articolo 1 del regolamento (CE) n. 980/2005 del Consiglio, del 27 giugno 2005, relativo
all’applicazione di un sistema di preferenze tariffarie generalizzate (GU L 169, pag. 1),
stabilisce quanto segue:
«1. Il sistema comunitario di preferenze tariffarie generalizzate (…) si applica dalla data di
entrata in vigore del presente regolamento fino al 31 dicembre 2008 ai sensi del presente
regolamento.
2. Il presente regolamento prevede:
a) un regime generale,
(...)».
7 L’articolo 2 di tale regolamento precisa che «[i] paesi beneficiari dei regimi di cui all’articolo 1,
paragrafo 2 sono elencati nell’allegato I». La regione amministrativa speciale di Macao della
Repubblica popolare cinese (in prosieguo: «Macao») figura tra i paesi e territori beneficiari
elencati in tale allegato.
8 Secondo l’articolo 7, paragrafo 2, del citato regolamento, «[i] dazi ad valorem della tariffa
doganale comune sui prodotti elencati nell’allegato II come prodotti sensibili sono ridotti di
3,5 punti percentuali». Le calzature, qualificate come prodotto sensibile, sono menzionate tra i
prodotti che figurano nell’allegato II dello stesso regolamento, e beneficiano pertanto del
regime preferenziale previsto dallo stesso.
9 Secondo l’allegato I del regolamento n. 980/2005, le preferenze tariffarie sono state revocate per
le calzature provenienti dalla Cina.
Procedimento principale e questione pregiudiziale
10 La Lagura ha importato calzature nell’Unione nel corso dell’anno 2007. Tra il mese di febbraio
e il mese di settembre di tale anno, la Lagura ha depositato diverse dichiarazioni doganali per
l’immissione di tali merci in libera pratica all’interno dell’Unione. Al fine di attestare
l’origine delle stesse, alle dichiarazioni doganali sono stati allegati alcuni certificati d’origine
«modulo A», che indicavano che tali merci provenivano da Macao ed erano state prodotte
dalle società S. e V., con sede nella medesima regione. Sulla base di tali documenti,
l’importazione delle calzature è stata ogni volta assoggettata, da parte dello Hauptzollamt,
soltanto ad un dazio preferenziale con aliquota al 3,5%.
11 Lo Hauptzollamt, avendo ricevuto informazioni secondo cui talune merci provenienti dalla Cina
erano state illegittimamente dichiarate come provenienti da Macao al fine di eludere il
pagamento di un dazio all’importazione non preferenziale, ha presentato alle autorità
competenti di Macao richieste di controllo a posteriori, ai sensi dell’articolo 94 del
regolamento n. 2454/93, come modificato dal regolamento n. 1602/2000. Nell’ambito di tali
controlli, le suddette autorità competenti hanno confermato di aver rilasciato i certificati
d’origine per le merci in questione, ma non sono state in grado di verificare l’esattezza del
contenuto dei suddetti certificati, dal momento che le società che vi erano indicate come
esportatori avevano cessato la loro produzione ed erano state pertanto chiuse. Ciononostante,
le autorità di Macao non hanno dichiarato invalidi i certificati d’origine.
12 Dal momento che l’origine delle merci non era stata confermata in occasione dei controlli a
posteriori, lo Hauptzollamt ha ritenuto che esse fossero di origine ignota. Con tre avvisi di
accertamento datati rispettivamente 21, 22 e 25 agosto 2008, esso ha pertanto richiesto, ai
sensi dell’articolo 220, paragrafo 1, del codice doganale, il pagamento della differenza tra i
dazi doganali calcolati secondo l’aliquota preferenziale (3,5%) e quelli calcolati secondo
l’aliquota non preferenziale (7%).
13 La Lagura, dopo aver contestato senza successo tale recupero a posteriori di dazi
all’importazione, ha proposto un ricorso dinanzi al giudice del rinvio, nell’ambito del quale
essa invoca in particolare il principio di tutela del legittimo affidamento, quale deriva
dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del codice doganale.
14 Il giudice del rinvio si pone la questione di stabilire su chi gravi l’onere di provare che il
certificato d’origine si basa su una situazione fattuale riferita in maniera esatta o inesatta
dall’esportatore. Esso ricorda, in proposito, che la Corte ha affermato, nella sentenza del 9
marzo 2006, Beemsterboer Coldstore Services (C-293/04, Racc. pag. I-2263), che spetta al
debitore dei dazi provare che il certificato rilasciato dalle autorità dello Stato terzo si basa su
una situazione fattuale riferita in maniera esatta, nonostante le regole tradizionali di
ripartizione dell’onere della prova, secondo le quali tale onere grava sulle autorità doganali
che intendano avvalersi dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), terzo comma, parte iniziale,
del codice doganale. Richiamando il punto 43 della citata sentenza Beemsterboer Coldstore
Services, dal quale emergerebbe che l’Unione non è tenuta a sopportare le conseguenze
pregiudizievoli dei comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori, esso si chiede se
l’onere della prova debba ricadere sul debitore soltanto nell’ipotesi di comportamento
censurabile dell’esportatore.
15 In tale situazione, il Finanzgericht Hamburg decideva di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se, in circostanze come quelle della causa principale, in cui l’autorità del paese terzo non è
più in grado di verificare se il certificato da essa rilasciato sia basato su una situazione fattuale
esatta, si debba negare al debitore dei dazi la possibilità di far valere la tutela del legittimo
affidamento di cui all’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), secondo e terzo comma, del codice
doganale, qualora le circostanze relative all’impossibilità di chiarire l’esattezza del contenuto
del certificato di origine siano inerenti all’esportatore o se la devoluzione dell’onere della
prova dall’autorità doganale al debitore dei dazi nel contesto di cui all’articolo 220, paragrafo
2, lettera b), terzo comma, parte iniziale, del codice doganale presupponga semplicemente, o
piuttosto, che la causa dell’impossibilità di chiarire l’origine sia esterna all’autorità [dello
Stato] di esportazione, o sia dovuta a negligenza imputabile esclusivamente all’esportatore».
Sulla questione pregiudiziale
16 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 220, paragrafo 2,
lettera b), del codice doganale debba essere interpretato nel senso che, quando le autorità
competenti dello Stato terzo si trovano nell’impossibilità di verificare, in occasione di un
controllo a posteriori, se il certificato d’origine «modulo A» da esse rilasciato si fondi su una
situazione fattuale riferita in maniera esatta dall’esportatore, l’onere di provare che tale
certificato si basa su una situazione fattuale riferita in maniera esatta dall’esportatore grava sul
debitore soltanto nel caso in cui tale impossibilità sia dovuta a negligenza imputabile
esclusivamente all’esportatore o anche nel caso in cui la causa di tale impossibilità sia
attribuibile all’esportatore, senza che sussista negligenza da parte sua, o non sia attribuibile
alle autorità doganali dello Stato di esportazione.
17 In via preliminare, occorre rilevare in proposito che la finalità del controllo a posteriori è quella
di verificare l’esattezza dell’origine indicata nel certificato d’origine «modulo A» (v., per
analogia, a proposito dei certificati di circolazione delle merci EUR.1, sentenze del 7
dicembre 1993, Huygen e a., C-12/92, Racc. pag. I-6381, punto 16; del 17 luglio 1997,
Pascoal & Filhos, C-97/95, Racc. pag. I-4209, punto 30; Beemsterboer Coldstore Services,
cit., punto 32, nonché del 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C-409/10, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 43).
18 Orbene, allorché un controllo a posteriori non consente di confermare l’origine delle merci
indicate in un certificato d’origine «modulo A», si deve concludere che tali merci sono di
origine ignota e che, pertanto, il certificato d’origine e l’aliquota preferenziale sono stati
concessi indebitamente (v., per analogia, sentenze Huygen e a., cit., punti 17 e 18; del 14
maggio 1996, Faroe Seafood e a., C-153/94 e C-204/94, Racc. pag. I-2465, punto 16;
Beemsterboer Coldstore Services, cit., punto 34, nonché Afasia Knits Deutschland, cit., punto
44).
19 Così, nel caso in cui le autorità dello Stato di esportazione abbiano rilasciato certificati d’origine
«modulo A» inesatti, tale rilascio deve essere considerato, in forza del suddetto articolo 220,
paragrafo 2, lettera b), secondo e terzo comma, un errore commesso da tali autorità, a meno
che non risulti che siffatti certificati siano stati redatti sulla base di una situazione fattuale
riferita in maniera inesatta dall’esportatore. Qualora tali certificati siano stati redatti sulla base
di false dichiarazioni dell’esportatore, deve quindi aver luogo il recupero dei dazi
all’importazione, a meno che, in particolare, non sia evidente che le autorità che hanno
rilasciato i certificati in parola sapevano o avrebbero dovuto sapere che le merci non
soddisfacevano le condizioni richieste per beneficiare del trattamento preferenziale (v., per
analogia, sentenza Afasia Knits Deutschland, cit., punto 48).
20 Il giudice del rinvio desidera sapere se, in circostanze come quelle di cui al procedimento
principale, l’onere di provare che i certificati si basano su false dichiarazioni da parte degli
esportatori ricade sull’Hauptzollamt o se spetta invece al debitore, la Lagura, provare che gli
esportatori hanno riferito in maniera esatta la situazione fattuale alle autorità competenti di
Macao.
21 È opportuno sottolineare in proposito che la Corte ha già statuito, in merito a tale ripartizione
dell’onere della prova, che spetta al debitore dei dazi provare che il certificato di circolazione
delle merci EUR.1 rilasciato dalle autorità dello Stato terzo si basa su una situazione fattuale
riferita in maniera esatta dall’esportatore, nel caso in cui, a seguito di una negligenza
imputabile esclusivamente all’esportatore, in particolare qualora questi sia venuto meno al suo
obbligo, derivante dalla disciplina applicabile, di conservare i documenti facenti fede per
almeno tre anni, le autorità doganali si trovino nell’impossibilità di fornire esse stesse la prova
necessaria del fatto che il certificato EUR.1 è stato rilasciato sulla base della presentazione
esatta o inesatta dei fatti da parte dell’esportatore stesso (v., in tal senso, sentenza
Beemsterboer Coldstore Services, cit., punti 40 e 46).
22 Tale previsione, che fa gravare sul debitore l’onere di provare che gli esportatori hanno
esattamente riferito i fatti alle autorità competenti, costituisce una deroga alle regole
tradizionali di ripartizione dell’onere della prova, secondo le quali incombe, in linea di
principio, alle autorità doganali che intendano avvalersi dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera
b), del codice doganale, per procedere al recupero, fornire, a sostegno della loro pretesa, la
prova che il rilascio dei certificati inesatti è imputabile all’inesatta presentazione dei fatti da
parte dell’esportatore (v. sentenza Beemsterboer Coldstore Services, cit., punti 39 e 46).
23 Occorre esaminare in che modo si debba applicare, a circostanze come quelle del procedimento
principale, l’interpretazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del codice doganale,
fornita dalla Corte nella citata sentenza Beemsterboer Coldstore Services.
24 La Lagura sostiene che tale interpretazione non è trasponibile alla presente causa, sicché grava
sulle autorità doganali dello Stato di importazione l’onere di fornire la prova dell’inesattezza
delle dichiarazioni degli esportatori su cui si basano i certificati d’origine inesatti. Tale tesi
sarebbe giustificata, considerato in particolare che, a differenza della situazione esistente nel
procedimento principale oggetto della citata sentenza Beemsterboer Coldstore Services, nella
fattispecie non sarebbe possibile individuare una qualsiasi negligenza imputabile
esclusivamente agli esportatori che abbia comportato l’impossibilità, per le autorità doganali,
di fornire la prova che il certificato da esse rilasciato si basa su una situazione fattuale riferita
in maniera esatta o inesatta dal suddetto esportatore. Così, e più in particolare, non si potrebbe
rimproverare agli esportatori alcuna violazione dell’obbligo di conservare i documenti facenti
fede. Inoltre, la Lagura sottolinea che, a differenza della citata sentenza Beemsterboer
Coldstore Services, i certificati d’origine nella fattispecie non sono stati dichiarati invalidi o
revocati dalle autorità competenti di Macao.
25 I governi ceco e italiano e la Commissione europea ritengono invece che incomba al debitore
dimostrare che i certificati erano fondati su una situazione fattuale riferita in maniera esatta
dall’esportatore.
26 Occorre sottolineare in proposito che le circostanze della presente causa differiscono da quelle
della causa che ha dato origine alla citata sentenza Beemsterboer Coldstore Services, per il
fatto che il regime preferenziale è stato instaurato non a seguito di un accordo di libero
scambio tra uno Stato terzo e l’Unione, ma unilateralmente da quest’ultima, con il
regolamento n. 980/2005.
27 Tale regolamento, a differenza dell’accordo di libero scambio oggetto della citata sentenza
Beemsterboer Coldstore Services, non prevede alcun obbligo di conservare i documenti
facenti fede a carico dell’esportatore, per l’impossibilità, per l’Unione, di imporre
unilateralmente obblighi agli operatori economici di Stati terzi.
28 Pertanto, per quanto riguarda l’argomento secondo cui l’onere della prova non graverebbe nel
caso di specie sul debitore, in quanto all’esportatore non potrebbe essere rimproverata alcuna
violazione dell’obbligo di conservare i documenti facenti fede, occorre constatare che,
mancando un simile obbligo nella legislazione pertinente nella fattispecie, esso non poteva,
evidentemente, essere violato.
29 Orbene, l’assenza di un simile obbligo a carico dell’esportatore non può, di per sé, condurre a
dispensare il debitore da qualsiasi onere di diligenza, o liberarlo da qualsiasi rischio relativo
alla verifica e alla determinazione dell’origine delle merci in occasione di un controllo a
posteriori.
30 Come la Corte ha ripetutamente affermato, è compito degli operatori economici adottare,
nell’ambito dei loro rapporti contrattuali, i provvedimenti necessari per premunirsi contro i
rischi di un’azione di recupero (sentenza Pascoal & Filhos, cit., punto 60; ordinanza del 9
dicembre 1999, CPL Imperial 2 e Unifrigo/Commissione, C-299/98 P, Racc. pag. I-8683,
punto 38, nonché sentenza Beemsterboer Coldstore Services, cit., punto 41).
31 In particolare, per il debitore, farsi consegnare dall’altro contraente, al momento della
conclusione del contratto o successivamente, tutti gli elementi di prova attestanti che le merci
provengono dallo Stato beneficiario del sistema di preferenze tariffarie generalizzate, inclusi
documenti attestanti tale origine, può costituire una prevenzione contro i rischi di un’azione di
recupero.
32 Occorre sottolineare per di più che, per le autorità doganali dello Stato di importazione, dover
provare l’inesattezza della presentazione della situazione fattuale da parte dell’esportatore, ma
trovarsi nell’impossibilità di farlo in quanto quest’ultimo ha cessato le sue attività, potrebbe
creare il rischio di comportamenti incompatibili con gli obiettivi del sistema di preferenze
tariffarie generalizzate. Infatti, anche se la cessazione della produzione rappresenta, in linea di
principio, una scelta economica normale, non si può escludere che essa possa tuttavia
costituire un comportamento scorretto da parte dell’esportatore, mirante ad eludere le
disposizioni del sistema di preferenze tariffarie generalizzate, essendo utilizzata da tale
esportatore come mezzo per dissimulare l’origine reale delle merci, provenienti da uno Stato
che non beneficia del regime preferenziale.
33 Orbene, è pacifico che l’Unione non può tollerare le conseguenze pregiudizievoli dei
comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori (sentenze citate Pascoal & Filhos,
punto 59, e Beemsterboer Coldstore Services, punto 43).
34 Inoltre, per quanto riguarda l’argomento basato sul fatto che i certificati d’origine oggetto del
procedimento principale non sono stati dichiarati invalidi dalle autorità competenti di Macao,
occorre rilevare che è certamente vero che, nell’ambito di accordi tra l’Unione e Stati terzi,
come un accordo di associazione o di libero scambio, la Corte ha affermato che il sistema di
cooperazione amministrativa può funzionare solo qualora l’amministrazione doganale dello
Stato di importazione riconosca le valutazioni effettuate secondo la legge dalle autorità dello
Stato di esportazione (v. sentenze del 12 luglio 1984, Les Rapides Savoyards e a., 218/83,
Racc. pag. 3105, punto 27; del 9 febbraio 2006, Sfakianakis, da C-23/04 a C-25/04, Racc.
pag. I-1265, punto 23; del 1° luglio 2010, Commissione/Germania, C-442/08, Racc. pag.
I-6457, punto 72, nonché Afasia Knits Deutschland, cit., punto 29).
35 Tuttavia, resta pur sempre il fatto che la necessità per le amministrazioni doganali degli Stati
membri di accettare le valutazioni effettuate dalle autorità doganali dello Stato esportatore
non si manifesta allo stesso modo allorché il regime preferenziale è introdotto non da un
accordo internazionale fra l’Unione e uno Stato terzo basato su obblighi reciproci, ma da un
provvedimento autonomo dell’Unione (sentenza Faroe Seafood e a., cit., punto 24).
36 Pertanto, occorre constatare che, nell’ambito del sistema di preferenze tariffarie generalizzate
instaurato unilateralmente dall’Unione, le autorità dello Stato di esportazione non possono
vincolare quest’ultima e i suoi Stati membri alla loro valutazione in merito alla validità dei
certificati d’origine «modulo A» allorché, in circostanze come quelle oggetto del
procedimento principale, le autorità doganali dello Stato di importazione continuano a nutrire
dubbi sull’origine reale delle merci, nonostante tali certificati d’origine non siano stati
dichiarati invalidi.
37 La soluzione contraria, che priverebbe le autorità doganali dello Stato di importazione,
nell’ambito di un procedimento come quello principale, instaurato dinanzi ad un giudice di
questo stesso Stato, della possibilità di domandare la prova che il certificato d’origine si basa
su una situazione fattuale riferita in maniera inesatta o esatta dall’esportatore, vanificherebbe
l’obiettivo del controllo a posteriori che è, come emerge dal punto 17 della presente sentenza,
quello di verificare successivamente l’esattezza dell’origine delle merci indicata nel
certificato d’origine «modulo A».
38 Da quanto precede emerge che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale,
l’onere della prova che il certificato d’origine si basa su una situazione fattuale riferita in
maniera esatta dall’esportatore grava sul debitore.
39 Certo, il fatto di accollare tale onere della prova al debitore può essere per lui fonte di
inconvenienti, in particolare quando egli, in buona fede, abbia importato merci dallo Stato
beneficiario di preferenze tariffarie, la cui origine è stata successivamente messa in
discussione, in occasione di un controllo a posteriori, per le asserite dichiarazioni false
dell’esportatore.
40 Tuttavia, è bene ricordare che, nel calcolare i vantaggi realizzabili mediante il commercio di
prodotti che possono fruire di preferenze tariffarie, l’operatore economico accorto e al
corrente della normativa vigente deve valutare i rischi inerenti al mercato che gli interessa ed
accettarli come facenti parte della categoria dei normali inconvenienti dell’attività
commerciale (v. sentenze dell’11 dicembre 1980, Acampora, 827/79, Racc. pag. 3731, punto
8; Pascoal & Filhos, cit., punto 59, nonché ordinanza CPL Imperial 2 e
Unifrigo/Commissione, cit., punto 37).
41 Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione
pregiudiziale nel senso che l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del codice doganale deve
essere interpretato nel senso che, quando le autorità competenti dello Stato terzo si trovano, a
causa del fatto che l’esportatore ha cessato la sua produzione, nell’impossibilità di verificare,
in occasione di un controllo a posteriori, se il certificato d’origine «modulo A» da esse
rilasciato si basi su una situazione fattuale riferita in maniera esatta da questo, l’onere della
prova che tale certificato si basa su una situazione fattuale riferita in maniera esatta
dall’esportatore grava sul debitore.
Sulle spese
42 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese
sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a
rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
L’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12
ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento
(CE) n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, deve essere
interpretato nel senso che, quando le autorità competenti dello Stato terzo si trovano, a causa
del fatto che l’esportatore ha cessato la sua produzione, nell’impossibilità di verificare, in
occasione di un controllo a posteriori, se il certificato d’origine «modulo A» da esse rilasciato
si basi su una situazione fattuale riferita in maniera esatta da questo, l’onere della prova che
tale certificato si basa su una situazione fattuale riferita in maniera esatta dall’esportatore
grava sul debitore.