Jean Paul Sartre, Calder, nel catalogo della mostra “Calder

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Jean Paul Sartre, Calder, nel catalogo della mostra “Calder
HANNO DETTO DI ALEXANDER CALDER
JEAN PAUL SARTRE
“I mobile non significano niente altro che se stessi; essi “sono”, ecco tutto; essi sono degli
assoluti… Del mare Valéry usava dire che ricomincia di nuovo, sempre nuovo. Un oggetto di
Calder è come il mare. È come un motivo di jazz, unico ed effimero, come il cielo, come l’alba; se
vi è sfuggito, vi è sfuggito per sempre”.
Da Calder, nel catalogo della mostra “Calder”, galleria dell’Obelisco, Roma dal 14 marzo
1956.
MARCEL DUCHAMP
“Fra le “innovazioni” manifestatesi nel campo artistico dopo la prima guerra mondiale, il modo di
trattare la scultura da parte di Calder era così lontano dalle formule tradizionali che dovette
inventare un nome nuovo per le sue forme in movimento. Le chiamò mobiles. Affrontano il
problema della gravità, appena disturbata da gentili movimenti, in maniera da dare la sensazione di
“procurare piaceri che sono loro peculiari, ben diversi dal piacere di graffiare”, per citare il “Filebo”
di Platone. Una brezza leggera, un motore elettrico, o ambedue sotto forma di un ventaglio elettrico,
mettono in moto pesi, contrappesi, leve che disegnano a mezz’aria i loro imprevedibili arabeschi e
introducono un elemento di durevole sorpresa. La sinfonia è completa quando si uniscono colore e
suono e invitano tutti i nostri sensi a seguire la non scritta partitura. Pura joie de vivre. L’arte di
Calder è la sublimazione di un albero nel vento”.
Da Alexander Calder. Sculptor, Painter, Illustrator, catalogo della Société Anonyme per la
galleria d’Arte della Yale University, 1950, ora in Michel Sanouillet (a cura di), Duchamp du
signe, Flammarion Parigi 1975.
FERNAND LÉGER
“Impossibile trovare un contrasto più grande di quello che c'è fra Calder, un uomo che pesa novanta
chili; e le sue creazioni mobili, delicate, trasparenti. Simile a un tronco d'albero in moto, stimola
tante discussioni, si muove come il vento: non è nato per passare inosservato! Sorridente e curioso
fluttua nell'aria come se facesse parte della natura stessa. Lasciato a sé in un appartamento è un vero
pericolo per ogni oggetto fragile. Il suo posto è piuttosto all'aperto, all'aria, al vento, al sole”.
Da Calder, "Derriére le miroir", n. 31, Paris Fondation Maeght luglio 1950.
ANDRÉ BRETON
“Bandito ogni elemento aneddotico, l’oggetto di Calder, ridotto ad un certo numero di linee
semplici che delimitano i colori elementari per la sola virtù del movimento – movimento che non è
più figurato bensì reale – è miracolosamente richiamato alla vita più concreta e ci restituisce le
evoluzioni dei corpi celesti, il fremito delle fronde e il ricordo delle carezze”.
Da Calder, nel catalogo della mostra “Calder”, galleria dell’Obelisco, Roma dal 14 marzo
1956.
GABRIELLE BUFFET-PICABIA
“Le leggi del contrasto sono probabilmente da rimproverare per il fatto che ad Alexander Calder,
scultore americano adatto per lavorare marmo e granito, piace usare un solo materiale: il filo di
ferro!
La parola “materiale” in realtà non è molto appropriata in questo caso: l’interesse per le proprietà
“materiali” è totalmente escluso dal suo lavoro, e il suo vero elemento è… il movimento. Calder ha
un dono per il senso del movimento, nella stessa misura in cui altri hanno un dono per la Poesia o la
Musica. All’inizio è stato famoso per i suoi lavori capaci e umoristici, silhouettes, maschere e
soprattutto per un circo animato che ha attirato tutta Parigi. Ha poi esibito nella Galerie Vignon una
serie di originali e curiose macchine alle quali è difficile attribuire un nome logico e un posto
specifico nei campi delle Nove Muse.
Questi lavori hanno suscitato grande interesse (forse a causa dell’azione misteriosa del loro
movimento); ci toccano in modo particolare perché ci ricordano le esplorazioni intraprese tanto
tempo fa dai Futuristi, che nel loro tempo furono considerati fantasie decadenti destinate a non
lasciare traccia; i lavori di Calder realizzano una “estetica del movimento” che i Futuristi avevano
formulato nelle loro teorie, una direzione suggerita dai lavori di pochi isolati individui come Picabia
o Marcel Duchamp”.
Da “Alexander Calder, ou le roi du Fil de Fer”, Vertigral I, no. I, 15 luglio 1932.
UGO MULAS
“Mi piaceva il fatto che si dedicava a tutto con uguale intensità, che riuscisse a costruire dei
forchettoni o dei mestoli per la cucina non meno belli delle sue sculture e, soprattutto, quei buffi
lampadari costruiti sovrapponendo a cerchio due serie di forme da budini, e i supporti in filo
d'ottone - che sono al tempo stesso sostegno molleggiato, protezione e manico - fatti per certe
tazzine di porcellana, forse perché particolarmente care a Louise o forse semplicemente perché
avevano perso il loro manico”.
Da L’amicizia, in U. Mulas, La Fotografia, a cura di Paolo Fossati, Einaudi, Torino 1973.
GIULIO CARLO ARGAN
“È sicuro che tra cosa e spazio una pacifica e animata coesistenza sia comunque possibile: tutto sta
o intendersi, a trovare la dialettica della relazione. Poiché il suo è, in fondo, un interesse morale, la
legge della sua scultura è ancora, benché sembri strano, la mimesi. Per insinuarsi nella realtà
vivente giuoca d'astuzia, si traveste: simula l'arbusto e la farfalla, il dondolarsi e il frusciare delle
foglie sui rami. Inventa una natura artificiale perché gli uomini «artificiali» s'illudano di vivere in
un ambiente naturale e conforme. Alla sua facile saggezza non manca una nota d'arguzia: a un
mondo preso dalla frenesia del darsi da fare fa pacatamente l'elogio del moto che non serve, non ha
direzione né scopo, è soltanto divertimento e giuoco”.
Da Calder, nel catalogo della mostra “Calder”, galleria dell’Obelisco, Roma dal 14 marzo
1956.
PALMA BUCARELLI
“Alexander Calder ha liberato l’uomo moderno dalla paura della macchina come motivo di
inaridimento spirituale, offrendogli del suo mondo meccanico una pura espressione poetica da
guardare con incantati occhi di fanciullo”.
Da Calder, nel catalogo della mostra “Calder”, galleria dell’Obelisco, Roma dal 14 marzo
1956.
MARCO VALSECCHI
“… questo “mobile” di Calder deriva quindi, anche se da lontano e con una inclinazione tutta sua
personale, dal “ dinamismo” dei nostri primi Futuristi, proprio in opposizione alla staticità
classicheggiante dei cubisti. Ma detto questo, bisogna subito porre l’attenzione a quel che di suo ha
intuito ed espresso Calder: quel piacere delle cose vive, dell’aria, delle fronde, delle nuvole; e anche
di quella segreta geografia tutta interiore, di sogni e di favole e di allusioni, che gli dettano appunto
queste sue “apparizioni mutevoli” di oggetti che sembrano qualcosa presa a prestito dalla natura e
invece sfilano via, quasi in punta di piedi, per la tangente della fantasia ad alludere a qualche cosa
“d’altro”, che non è più natura, anche se si intreccia alla natura, e l’arricchisce di un suo allegro
senso…”.
Da Calder, nel catalogo della mostra “Calder”, galleria dell’Obelisco, Roma dal 14 marzo
1956.