Note di vita religiosa nel XVIII secolo. Regole nel
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Note di vita religiosa nel XVIII secolo. Regole nel
Note di vita religiosa nel XVIII secolo. Regole nel Seminario di Aversa In appendice alle Seminari Aversani Constitutiones del Vescovo Innico Caracciolo, edite a Napoli per i tipi di Gennaro Muti nel 1727, un breve trafiletto, posto alla fine dello scritto, ci informa dettagliatamente circa le «Robbe necessarie alli figliuoli che vogliono entrare nel Seminario». Dalla lista apprendiamo così, che gli aspiranti sacerdoti dovevano portare con sé, unitamente ad uno specifico corredo, anche il letto «consistente in due scanni di ferro, e lettiera spezzata all'uso del Seminario, con due matarazzi larghi palmi quattro, e lunghi palmi sette..». Il letto, che doveva essere dotato di «un copertino di lana, violetto» non era, tuttavia, il solo mobile richiesto; dal prosieguo dello scritto apprendiamo, infatti, che i seminaristi dovevano altresì provvedere da sé per uno stipo e una sedia di paglia. Per quanto concerne il corredo esso doveva essere costituito da una sottana di saia di Milano (stoffa di lana leggera, spinata) color violetto «con fornimento cremesino», da un ferrajolo (una sorte di mantella a ronda, larga e senza maniche), da una sottana nera, da una zimarra (soprabito) di panno dello stesso colore, da un berretto da prete, dalla cotta per il coro, da un cappello di lana e da un paio di pianelle. Per il resto, con le «tovaglie da mano, e altre biancherie necessarie per mutarsi» essi dovevano altresì munirsi di un coltello, di un cucchiaio e della forchetta, tutto rigorosamente in argento. Mentre i soli libri richiesti si riconducevano a un Breviario, all’Officio della Madonna, a un Rosario, al Galateo e a una copia della Dottrina Cristiana del Canonico Girolamo Serao. Quest’ultimo testo era particolarmente raccomandato perché era opinione comune che l’insegnamento della dottrina cristiana fosse lo strumento più valido per combattere gli errori non solo del popolo ma anche del clero. Veniva data facoltà poi, ai genitori, di inviare «secondo le capacità del Figliuolo» - e soprattutto delle proprie finanze aggiungiamo noi - i libri necessari. Carta, calamaio, penna e inchiostro costituivano alfine il corredo scolastico dell’aspirante sacerdote, che naturalmente accedeva al Seminario solo previa esibizione Il card. Innico Caracciolo, Martina Franca (TA), Archivio Caracciolo de' Sangro Il Seminario in una cartolina d'epoca delle fedi di battesimo e cresima. L'attenta descrizione dell'abito del seminarista non rispondeva, evidentemente – così come potrebbe suggerire un primo affrettato giudizio sulle disposizioni - a una mera "pignoleria" del vescovo Caracciolo, ma molto più verosimilmente, specie se si valuta attentamente il contesto storico in cui il provvedimento stesso maturò e fu attuato, a un primo tentativo di ripristinare più rigorose condizioni di probità e integrità nei costumi del clero dell'epoca. Tentativo evidentemente poi naufragato se è vero - com’è vero - che ancora più di vent'anni dopo la morte del Caracciolo, uno dei suoi successori, monsignor Filippo Nicolò Spinelli, era costretto con un corretto editto, datato 23 marzo 1753, che seguiva di qualche anno un analogo provvedimento rimasto disatteso, a invitare gli ecclesiastici della città di Aversa e della diocesi «ad usare abiti onesti, e talari, e non già vesti corte, ed improprie ...». Franco Pezzella