transfert e adolescenza - Lettera – Psicoanalisi e contemporaneità

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transfert e adolescenza - Lettera – Psicoanalisi e contemporaneità
TRANSFERT E ADOLESCENZA.
Per una lettura del caso di Dora
Andrea Panìco
Ti stai sbagliando, chi hai visto non è,
non è Francesca (Lucio Battisti)
Il caso clinico di Dora1 rientra, come sappiamo, tra le cinque “grandi analisi”
trasmesse alla letteratura psicoanalitica dalla penna di Freud. Sebbene ritenuti dei
classici, questi casi non possono certamente essere presi come degli standard, come
qualcosa di ripetibile. Innanzitutto perché la psicoanalisi si caratterizza per essere una
clinica del nome proprio del soggetto e, in quanto tale, esclude il concetto di
casistica: ogni paziente è come se fosse il primo. In secondo luogo, va detto che
questi casi presentano peculiarità che li rendono tutt’altro che tipici: quello di Dora
appunto è un “frammento”, il caso di Hans venne condotto mezzo posta, l’analisi
dell’Uomo dei lupi è riferita ai soli ultimi mesi di trattamento, l’Uomo dei topi si
conclude con quello che può essere letto come un acting out del paziente e il caso di
Schreber è interamente basato sulle sue memorie.
Il valore di queste opere credo sia da rintracciare quindi non tanto in un loro
utilizzo in termini manualistici, quanto piuttosto nella loro plasticità, nel poterne fare
una risorsa inedita per il ragionamento clinico – teorico. In questo senso funzionano
come Nomi del Padre, di cui bisogna fare a meno per potersene servire. Quella che
propongo vuole essere una lettura del caso di Dora a partire da queste premesse.
Prospettive
L’importanza di questo caso nella letteratura analitica la si deve essenzialmente
a due ragioni. La prima è quella di fornire un quadro chiaro della clinica della nevrosi
isterica, o più precisamente, della possibile applicabilità della teoria psicoanalitica al
lavoro col paziente isterico. La seconda è stata quella di fondare nella sua concretezza
il concetto di transfert, al quale Freud ricorre per spiegare l’interruzione della cura nel
Poscritto del caso.
1
S. Freud, Frammento di un’analisi di isteria. Caso clinico di Dora, in Opere (a cura di C. L. Musatti), Bollati
Boringhieri, Torino 1970, vol. IV. Di seguito citerò le pagine del caso tra parentesi nel testo.
1
Su queste basi, la lezione magistrale che Lacan ha dedicato a Dora si sviluppa
in due momenti principali. All’epoca delle nascenti teorie sul controtransfert, egli
sviscera la traiettoria del caso per cogliere la dialettica del movimento transferale e
metterlo in tensione con gli errori a cui conduce invece il controtransfert. Il transfert
si articola attraverso un ritmo di “sviluppi della verità” e di “rovesciamenti dialettici”
che è stato interrotto a causa del controtransfert di Freud, il quale “s’è messo un po’
troppo al posto del signor K…”.2 Pochi anni più tardi, durante lo svolgersi del
Seminario IV, Lacan ritorna su questo caso per spiegare la dinamica sottesa al dono
d’amore in quanto dono di ciò che non si ha:
“Che cosa vuol dire dare? Non vi è forse un’altra dimensione, introdotta nella
relazione oggettuale a quel livello di grado simbolico cui è portata a causa del fatto
che l’oggetto può essere dato oppure no? In altri termini, è forse l’oggetto a essere
dato? La questione sta qui e nell’osservazione di Dora ne vediamo uno degli sbocchi
esemplari”.3
Le due questioni, il transfert e il segno d’amore, sono strettamente legate tra di
loro, è per questo che Dora schiaffeggia Freud interrompendo l’analisi. Infatti, è in
quanto il dono d’amore è dono di una mancanza che si disegna il quadrangolo
amoroso in cui Dora si immerge e che produrrà all’interno dell’analisi quella
dinamica transferale nella quale Freud inciamperà. Lo scambio di cui si fa oggetto
Dora si squilibra quando il Signor K le dice che sua moglie non è niente per lui. In
questo modo crolla il teatrino grazie a cui Dora poteva tollerare l’amore del padre per
la Signora K e nondimeno si solleva il velo che copriva e poteva sostenere l’amore
della ragazza per l’amante del padre attraverso l’identificazione maschile al Signor K.
Quando Dora racconta a Freud la sua storia, questi ritiene di occupare
transferalmente la posizione di K e non vede il legame della giovane con la Signora
K. L’errore di Freud, sostiene Lacan, è infatti quello di agire “di persona” con Dora,
non cogliendo che era su un’altra scena che si giocava la partita. In altre parole, quel
“niente” che l’analista non dà all’analizzante facendoglielo pagare largamente perché
questi non lo confonda col segno d’amore,4 si materializzerà all’interno dell’analisi
quando Freud mancherà l’interpretazione dell’impulso omosessuale di Dora verso la
Signora K, non permettendo così alla paziente di assumersi la responsabilità del
proprio desiderio e di accedere alla propria femminilità.
Quello che mi propongo di fare ora è tentare di inquadrare il caso a partire da
una prospettiva inedita che contempli quanto appena accennato. Vorrei cioè provare a
2
J. Lacan, Intervento sul transfert, in Scritti (a cura di G. B. Contri), Einaudi, Torino 1974, pag. 217.
J. Lacan, Il Seminario. Libro IV. La relazione oggettuale, Einaudi, Torino 2007, pag. 137.
4
Cfr. J. Lacan, La direzione cura e i principi del suo potere, in Scritti, cit.
3
2
dare una lettura di questo caso considerandolo come il caso clinico di un’adolescente.
Quando Dora si rivolge a Freud, infatti, è una “giovinetta” (p. 307) di diciotto anni
alle prese con la difficile materia dell’amore, materia che si infiammerà nell’analisi
attraverso il transfert, comportandone l’interruzione.
Statuto della questione
Innanzitutto, è lecito considerare Dora un’adolescente? L’adolescenza è un
costrutto socio-psicologico: Dora aveva diciotto anni all’inizio del secolo scorso,
quando la “questione adolescenza” non aveva ancora assunto le dimensioni e le
caratteristiche di oggi. Per rispondere a questa domanda, delineiamo
schematicamente le caratteristiche dell’adolescenza attraverso una triade di elementi.
Il primo concerne l’anagrafica. Rifacendoci ad una suddivisione tutta
anglofona, si può dire adolescente colui che sosta nella cosiddetta teen age, ossia tra i
13 e i 19 anni. Questa prima circoscrizione non è senza implicazioni. Da una parte
essa paga dello sviluppo puberale in quanto tale, tanto che provocatoriamente
Françoise Dolto5 fa scadere l’adolescenza con la calcificazione delle ossa della spalla
a 25 anni, per poi disegnarla con i tratti dell’indipendenza dalla famiglia di origine.
Dall’altra non ci si può sottrarre dall’evidenza che l’adolescenza si caratterizza per un
vissuto inedito della corporeità del soggetto, il quale si trova a dover armeggiare un
insieme di cambiamenti fisici che non sono senza rapporto con la sua inscrizione nel
mondo. Siamo qui di fronte ad una riscrittura dell’immaginario del soggetto il quale
si trova a dover attribuire una nuova significazione a un corpo risvegliato alla
primavera.6
In secondo luogo l’adolescenza è il cammino che conduce alla frontiera
dell’età adulta, ossia all’oltrepassamento di una soglia simbolica definita dai
cosiddetti “riti di passaggio”. Siano essi sacrifici, avventure, servizi militari e balli
delle debuttanti, culturalmente lo statuto di “adulto” è sempre stato conquistato dopo
l’attraversamento di una certa condizione di confine che chiama il soggetto ad
avvenire senza scuse. Il fatto che nell’epoca contemporanea questi riti sembrano
essersi dissolti,7 non significa a mio avviso che non esistano più; piuttosto si tratta di
saperli cogliere nella loro novità (ad esempio, la pratica dell’Erasmus o la diffusione
5
Cfr. F. Dolto, Adolescenza, Arnoldo Mondadori, Milano 1990.
Cfr. J. Lacan, Prefazione al Risveglio di primavera, in Id., Altri Scritti, Einaudi, Torino 2013.
7
A questo proposito cfr. M. Aime, G. Pietropolli Charmet, La fatica di diventare grandi. La scomparsa dei riti di
passaggio, Einaudi, Torino 2014. Vedi anche i lavori di M. Recalcati, in particolare Cosa resta del padre. La paternità
nell’epoca ipermoderna, Cortina, Milano 2011 e Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre,
Feltrinelli, Milano 2013.
6
3
dei tatuaggi potrebbero essere interpretati secondo una prospettiva di recupero di
questa soglia).
In ultimo, e in rapporto con gli elementi precedenti, l’adolescenza è il periodo
della vita in cui il soggetto sperimenta l’assenza di garanzia che sostiene l’assunzione
del desiderio e del godimento propri. Non c’è nessuno a coprirgli le spalle:
l’adolescente inizia a guardare il mondo con i propri occhi, a sopportarne le
scabrosità, ad affrontarne le contraddizioni. È il tempo del primo amore, un amore
che si confronta necessariamente con le coordinate edipiche del soggetto ma che per
la prima volta lo mette nella posizione di dovercela fare da solo, senza suggeritori o
procuratori. L’adolescente può proseguire a condizione di fare propria la promessa
edipica del padre di poter coltivare un desiderio proprio a costo della rinuncia a una
quota di godimento. Questo è il prezzo della responsabilità che lo condiziona:
articolare, ordinare, il desiderio con la Legge8 e trasformare questa relazione in una
metafora.
È pertanto legittimo trattare il caso di Dora come quello di un’adolescente?
Ritengo di sì. Freud stesso ne parla come di un’adolescente isterica in molti passaggi.
La prima volta che la ragazza venne condotta a Freud aveva 16 anni e l’analisi vera e
propria inizia quando ne ha 18. Interessante è la nota che Freud scrive per dare
ragione del linguaggio con cui le si rivolge (pag. 307 e 339), dove ricorda che
l’analista come il ginecologo utilizza termini propri senza imbarazzo, il che rende
ragione dello sviluppo puberale della ragazza e delle sue curiosità in campo sessuale.
Tutto il testo è d’altronde ricco di riferimenti alla giovane età della ragazza, al modo
con cui viene trattata dal mondo adulto, alla sua stessa percezione di sé. Non ultimo il
fatto che, come molti adolescenti, essa è stata condotta e forzata all’analisi dai
genitori. L’aspetto però a mio avviso centrale nel poter parlare di Dora come di
un’adolescente non si limita alla sua età, alla sua scarsa autonomia (è effettivamente
“portata” dal padre) o al dover ancora debuttare in società. Il punto è che Dora per la
prima volta si trova a doversi confrontare con il tema dell’amore – è forse questo il
suo rito di passaggio? Questo la rende più di tutto un’adolescente. Tutto il caso è
imperniato della responsabilità che la ragazza si deve assumere non solo dal punto di
vista meramente clinico, per cui nello specifico si tratta del passaggio che l’isterica
deve compiere per assumersi la propria femminilità via Altra donna; Dora si trova
altresì alle prese con la responsabilità del proprio desiderio nella misura in cui è
confrontata per la prima volta con l’amore e con le sue ricadute edipiche. È ciò a cui
8
Cfr. M. Recalcati, Ordinare l’esperienza. L’adolescente tra legge e desiderio, in AA.VV., Sentieri dell’adolescenza,
Franco Angeli, Milano 1993.
4
la richiama Freud. Non credo sia un caso quindi che la partita si giochi sul terreno del
transfert, in quanto scambio e in quanto passaggio.
Un’altra questione si presenta ora. Freud si limita ad accennare all’età della
paziente, a titolo anamnestico, senza fare di questo un caso. All’interno della
psicoanalisi non ci sono per statuto correnti specialistiche che si occupano
elettivamente di fasce d’età, sintomi, generi sessuali o gravità: l’unica
specializzazione che uno psicoanalista può a mio avviso vantare è quella sul soggetto.
Ha senso allora parlare di una clinica dell’adolescenza dal momento che ogni
psicoanalista non è specializzato se non sull’inconscio in quanto tale? Cosa
caratterizza il lavoro con l’adolescente? Alla prima domanda credo che si possa
rispondere in questo modo. Se non c’è specializzazione dal lato dell’analista, c’è però
dal lato di ciò che il paziente attribuisce all’analista. In altre parole, la
specializzazione dell’analista è soltanto un effetto di ciò che chiamiamo soggetto
supposto sapere: in questo senso si può parlare di clinica dell’adolescenza. Per
quanto riguarda invece la seconda domanda, quali sono le caratteristiche del lavoro
con gli adolescenti, credo siano da rintracciare proprio a partire da questa
supposizione. O per dirla più chiaramente, a partire dal transfert.
Primi amori
Ciò che innanzitutto colpisce nel leggere il caso, in particolare i momenti in cui
Freud riporta alcuni passaggi testuali dell’analisi con Dora, è il modo con cui le si
rivolge. Sappiamo che il padre della psicoanalisi parlava molto durante le sedute ed
era tutt’altro che freddo e distaccato come la vulgata vorrebbe. D’altra parte, a
ognuno il suo stile. Non è neanche un fattore di linguaggio specifico non edulcorato:
fin dalle prime pagine siamo stati messi in guardia rispetto all’uso di un linguaggio
scientifico nel trattare la materia sessuale. Quello che salta all’occhio è come Freud
prenda per mano Dora e l’accompagni lungo il sentiero del suo inconscio. La
“addestra” all’interpretazione dei sogni (pag. 353), le spiega cos’è un’azione
sintomatica (in relazione al borsellino), le chiede se sa perché gli adulti proibiscono
certi giochi ai bambini (i fiammiferi), si premura insistentemente che capisca le sue
interpretazioni (pag. 387), pensa, associa, per lei (i quindici giorni di preavviso). Per
tutto il testo si ha la sensazione che abbia nei suoi confronti un certo riguardo dovuto
sicuramente, come fa notare Lacan, ai suoi rapporti con il Signor K, ma a mio avviso
anche in relazione all’adolescenza di Dora. Se mi si passa l’analogia, quel che fa
Freud è mettere i sottotitoli al discorso della ragazza.
5
Questa sottotitolatura ritengo sia una caratteristica del lavoro con gli
adolescenti: la definirei una “riscrittura dei confini immaginari via transfert”. È quel
che fa Freud per tutto il periodo dell’analisi con Dora. Stende il velo
dell’immaginario per introdurre la parola come discontinuità nell’omogeneità
apparente dello specchio. Generalmente siamo portati a ritenere l’immaginario un
ordine di serie B rispetto a quello simbolico in virtù del primato che attribuiamo alla
parola. Ma quel che accade nel momento in cui si presenta presso il nostro studio un
adolescente, è di trovarci davanti a chi sta vivendo una completa ricostruzione del
proprio immaginario. Il corpo si trasforma, le relazioni sociali si ridisegnano, il
rapporto tra sé e il mondo assume un profilo fino allora non sperimentato. Dora, così
come gran parte dei suoi coetanei, si trova a dover affrontare questioni che fino a
poco tempo prima le passavano sotto gli occhi senza che le potesse vedere. È come se
l’adolescente si trovasse a dover rivivere un secondo stadio dello specchio. Lo sforzo
di Freud è pertanto teso a dare una buona forma a un disordine innanzitutto
immaginario. Lo si vede chiaramente quando spiega a Dora il senso del suo giocare
col borsellino. Innanzitutto crea una cornice in cui introdurre una nuova immagine
corporea per poi fornire una spiegazione simbolica di quello che sta accadendo. Lo
stesso avviene con il tema del fumo, quando un’occasione immaginaria fornisce a
Freud un elemento transferale di legame simbolico per mezzo di una sostituzione.
Volendo schematizzare, se un’analisi è una bonifica dell’inganno immaginario
da parte della parola,9 se la parola è il terreno su cui bisogna portare il transfert
mettendosi di traverso all’asse speculare, nel lavoro con gli adolescenti bisogna fare
un passo indietro. L’immaginario adolescente sta vivendo un momento di
ridefinizione e va consolidato, letteralmente riscritto, per poter quindi spostare le
coordinate della cura su un asse più propriamente simbolico, teso a svelare la
vaporosità di quella stessa immagine. La porta di accesso a ciò è spesso proprio
l’insegna identificatoria che l’adolescenza porta con sé. È grazie al capovolgimento
dell’omogeneità speculare che si può estrarre il nome proprio del soggetto come suo
rovescio. In questo senso, la clinica dell’adolescenza si presenta come un caso
specifico della teorizzazione di Recalcati sui gruppi monosintomatici.10 Ogni
adolescente è parte di un gruppo immaginario dal quale l’analista non può
prescindere, che anzi deve sostenere, ma che l’azione del significante tende a
sovvertire per farne emergere il soggetto come differenza.
9
È la lettura che Lacan fornisce all’alba del suo insegnamento. Cfr. J. Lacan, Il Seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di
Freud, Einaudi, Torino 1978, dove si compie il passaggio teorico dall’immaginario al simbolico.
10
Cfr. M. Recalcati, L’omogeneo e il suo rovescio, Franco Angeli, Milano 2002.
6
Ciò che avviene una volta ricomposto l’immaginario di Dora è quindi che tutte
le serie simboliche che sottendono alla sua sintomaticità prendono forma. Ne
abbiamo una chiara spiegazione quando Freud evidenzia la costruzione del sintomo
della tosse (pag. 369). Prima di tutto c’è un’identificazione al padre, a cui segue una
raffigurazione dei rapporti con il signor K e in ultimo l’identificazione di Dora con la
signora K. Cosa sta accadendo qui? La parola sta piano piano ridefinendo il piano
immaginario che Freud aveva messo in scena come esca. Ricordiamo qual era la
lamentazione di Dora, essere oggetto di un odioso scambio. Freud ascolta, la
“quadriglia” si disegna e qui scatta quello che Lacan chiama “primo rovesciamento
dialettico”: Dora ha un ruolo in questo scambio. Il significante “scambio” comincia
ad assumere una veste differente fino a diventare il cuore di quel che succede in
seduta. Dal padre al signor K alla signora K, via Freud. Il transfert stesso si pone
come uno scambio. Quello che succede qui è che però l’analisi si arresta. È Freud
stesso che riconosce in questa interruzione un suo errore, quel che Lacan sottolinea
dicendo che il padre della psicoanalisi “si è messo un po’ troppo al posto del signor
K”, cosa che non gli ha permesso di cogliere tempestivamente la questione
femminile che legava Dora alla signora K.
Gli adolescenti in effetti smuovono tutta una serie di vissuti controtransferali
che mirano a quella macchia cieca11 da declinarsi analista per analista. Si notino gli
sforzi di Freud di convincere Dora ad accettare l’amore per il signor K e quindi per
lui. L’analista deve spostarsi da questa posizione controtransferale e far valere su di
essa il proprio desiderio in quanto teso ad ottenere “la differenza assoluta”.12 Se la
questione dell’adolescenza è quella di confrontarsi per la prima volta con l’amore, il
transfert non è il luogo in cui questo amore si agisce ma il mezzo grazie al quale
potervi accedere.
Ottenere la differenza assoluta, definizione del desiderio dell’analista, è la
qualità che va riconosciuta al movimento reale del transfert, che permette di far
scattare la chiave della tyche a partire dal posto vuoto occupato dall’analista.
Nell’intersezione tra i tre registri, il reale dell’incontro può allora essere affrontato e
non solo messo tra parentesi. La clinica dell’adolescenza è in questo senso una clinica
propedeutica all’incontro non traumatico col reale.
A causa dell’interruzione dell’analisi, siamo soliti ritenere il caso di Dora come
un fallimento, ma chiediamoci: la sua analisi ha lavorato in direzione di questo
incontro? Si è portata via qualcosa da quei mesi intensi di sedute? Qualcosa che
11
Per il concetto di “macchia cieca” cfr. S. Freud, Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico, in Opere, cit., vol.
VI, pag. 536 ss.
12
J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, cit., pag. 271.
7
magari noi, con Freud, non avevamo previsto, troppo presi a guardare da un’altra
parte? In effetti possiamo dire che Dora, sbattendosi alle spalle il portone di Bergasse
19, ha chiuso anche con la sua adolescenza. Se ha potuto dire di no a Freud è perché
in qualche modo quell’incontro che a fine analisi si risignifica in aprés-coup c’è stato.
Ha detto di no a Freud, vero, ma l’ha detto anche a suo padre: si è separata ed è
diventata una ex-adolescente, nel senso letterale di “muoversi da”. Forse era questo
che la giovane Dora domandava: la libertà di amare qualcuno che la lasciasse libera
di andare. E Freud, congedandola, ha saputo rispondere a questa domanda tacendo.
Non è questo che i nostri adolescenti nevrotici ci chiedono? Di autorizzarli a
rispondere con parole proprie all’indicibilità dell’amore?
8