l`analisi economica del diritto e la proprietà intellettuale

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l`analisi economica del diritto e la proprietà intellettuale
QUADERNI DI RICERCA
Diritto ed economia: l’analisi economica del
diritto e la proprietà intellettuale
Paolo Auteri
Facoltà di Economia – Dipartimento di Ricerche Aziendali – Università degli Studi di Pavia
Via S. Felice, 5, 27100, Pavia, Italy – Phone: 0382 986 254
E – mail: [email protected]
Sommario - 1. Delimitazione del tema: se e in che limiti il giurista nell’interpretare la legge possa avvalersi delle
indicazioni fornite dalla economia come disciplina scientifica. – 2. Il c.d. criterio consequenzialista, che per
interpretare la legge argomenta anche dalle conseguenze delle possibili soluzioni interpretative. L’atteggiamento dei
giuristi nei confronti di tale criterio. – 3. L’analisi economica del diritto: presupposti metodologici e finalità di tale
disciplina. – 4. L’applicazione dell’analisi economica del diritto alla proprietà intellettuale e in particolare al diritto
d’autore: la giustificazione della tutela proprietaria dei beni immateriali e la determinazione della portata ottimale
della tutela. - 5. La giustificazione della tutela (essenzialmente) proprietaria dei beni immateriali. –6. La scelta fra la
tutela mediante regole proprietarie (property rules) e quella mediante regole di responsabilità (liability rules). – 7. Il
dibattito sulla tutela del diritto d’autore nell’ambiente digitale e nelle reti telematiche.
1 - Delimitazione del tema: se e in che limiti il giurista nell’interpretare la
legge possa avvalersi delle indicazioni fornite dalla economia come disciplina
scientifica.
Il tema dei rapporti fra diritto ed economia è estremamente ampio e complesso ed è stato da
sempre oggetto di riflessioni sia da parte dei giuristi sia da parte di sociologi, storici ed
economisti che del tema hanno considerato molteplici e diversi profili. In questa mia relazione
non mi propongo di riassumere il contenuto di tale dibattito; mi limiterò molto più semplicemente
a riferirmi ad alcuni aspetti di tale rapporto che, mi sembra, sono in questo momento al centro
dell’attenzione di giuristi ed economisti. Per dare più concretezza al discorso cercherò poi di
mostrare come giuristi ed economisti si pongono rispetto ai problemi che l’evoluzione della
tecnologia e soprattutto l’avvento della tecnologia digitale e delle telecomunicazioni hanno posto
in materia di tutela della proprietà intellettuale.
L’esame del rapporto fra due entità richiede preliminarmente che ci si intenda sul significato
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da dare ai due termini del rapporto. Il rapporto fra diritto ed economia può indicare innanzitutto il
rapporto fra il diritto inteso come sistema di norme e l’economia intesa come attività volta alla
soddisfazione dei bisogni umani in presenza di risorse scarse. In questo senso il rapporto fra
diritto ed economia appare subito estremamente stretto: il diritto e particolarmente alcune parti o
rami dell’ordinamento disciplinano lo svolgimento dell’attività economica e quindi il
funzionamento del o dei mercati ponendo condizioni o limiti allo svolgimento dell’attività
economica o di determinate attività, regolandone lo svolgimento, creando le condizioni e gli
strumenti per lo svolgimento dell’attività, quali sono ad es. le società commerciali o i contratti
con cui i soggetti, gli imprenditori, si procurano i fattori della produzione e li organizzano e con
cui distribuiscono od organizzano la distribuzione dei loro prodotti o servizi sul mercato.
Vi sono poi norme giuridiche che sono rivolte specificamente a regolare il funzionamento del
mercato o di determinati mercati stabilendo i limiti e le condizioni di accesso e ponendo regole di
comportamento; tutto ciò a tutela degli interessi dei vari soggetti che sono presenti su tali mercati
come operatori e come destinatari dei prodotti o servizi che in tali mercati vengono offerti
(consumatori, risparmiatori o investitori) e con l’obbiettivo di assicurare che il mercato funzioni
in modo da raggiungere risultati conformi a quella che il legislatore considera l’utilità sociale. Si
pensi ai mercati finanziari, al mercato delle assicurazioni, ai vari mercati regolamentati, come
quello delle telecomunicazioni e dell’energia.
Ma a queste discipline settoriali si è andata sovrapponendo nel tempo prima per effetto del
diritto comunitario e poi anche grazie all’intervento del nostro legislatore una disciplina del
mercato che si può ben considerare di carattere generale che è rivolta a tutelare la concorrenza
vietando le intese restrittive della concorrenza e l’abuso di posizione dominante e sottoponendo le
operazioni di concentrazione ad un controllo rivolto a prevenire modifiche strutturali del mercato
tali “da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza”, (in particolare)
dando vita a posizioni dominanti. Alla disciplina generale del mercato concorrono poi le norme
del diritto privato, ed in particolare del diritto commerciale (e industriale), che regolano l’attività
di impresa svolta sia individualmente sia collettivamente anche mediante gruppi di imprese, i
contratti di scambio con cui le imprese si procurano i fattori della produzione e distribuiscono i
propri prodotti o servizi sul mercato, che attribuiscono diritti di sfruttamento esclusivo dei
risultati dell’attività di ricerca e sviluppo e reprimono modalità di svolgimento della concorrenza
ritenute sleali anche in quanto si avvalgono di mezzi non conformi ai principi della correttezza
professionale.
E’ naturale che il giurista che, come studioso o come operatore, si occupa dell’interpretazione
e dell’applicazione di norme che regolano attività precipuamente economiche debba avere una
certa conoscenza dell’attività oggetto della disciplina; una conoscenza che gli consenta di definire
le fattispecie e di determinare la relativa disciplina (che riconnette alle fattispecie effetti giuridici
e cioè diritti e obblighi e rapporti giuridici) sulla base di una interpretazione dei significati delle
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norme che utilizzi tutti gli strumenti a sua disposizione, dall’interpretazione letterale, a quella
sistematica e logica e che in particolare tenga conto degli scopi perseguiti dal legislatore, come
prescrive l’art. 12 delle Disposizioni preliminari al codice civile.
La conoscenza della realtà regolamentata è condizione imprescindibile perché il giurista
possa svolgere il suo compito di interpretazione della legge e di valutazione della realtà sulla base
dei criteri stabiliti o ricavati in via di interpretazione dalla legge.
Ed è ovvio che il giurista debba trarre la conoscenza dei fenomeni economici dalle discipline
scientifiche che studiano l’economia1, sia da quelle che si propongono di rilevare e descrivere le
forme che l’attività economica assume nella realtà e di individuare le tecniche di cui si
avvalgono, come semplificando indicherei le discipline dell’economia aziendale, sia da quelle
che si propongono di scoprire le leggi che reggono il comportamento dell’uomo che cerca di
soddisfare i suoi bisogni utilizzando risorse scarse, come semplificando ancora di più indicherei
l’economia politica.
Ma il problema suggerito dal tema è soprattutto quello di sapere se e in che misura il giurista
nell’interpretare e nell’applicare la legge possa avvalersi delle indicazioni fornite dalle discipline
economiche per valutare in particolare l’idoneità dei mezzi adottati a raggiungere gli obiettivi
perseguiti dalla legge.
Come ho accennato, anche e soprattutto nel disciplinare le attività economiche il legislatore
persegue determinati scopi. Alla base di qualsiasi soluzione normativa vi è o vi dovrebbe essere
l’intenzione di conseguire un determinato obiettivo, una ratio, che può consistere in particolare o
nel favorire lo svolgimento di una determinata attività che si ritiene contribuisca al benessere
collettivo a scapito di un’altra ovvero nel ripartire le risorse disponibili fra i consociati.
La ricerca della intenzione della legge, della sua ratio, sulla base di argomenti che muovendo
dalla lettera delle disposizioni hanno riguardo anche alla logica della norma o del sistema di cui
fa parte è un momento fondamentale dell’interpretazione, perché la ratio a sua volta consente di
determinare le soluzioni interpretative più coerenti con i fini perseguiti, consente cioè di scegliere
fra le varie soluzioni consentite dalla lettera della legge quella più idonea a raggiungere
l’obiettivo perseguito dalla legge.
Ebbene, il problema che si pone è se e in che misura nello svolgere tali operazioni il giurista
possa avvalersi delle indicazioni fornite dalla economia come disciplina scientifica non solo nel
determinare gli scopi perseguiti dalla norma, ma anche nel valutare l’idoneità dei mezzi con cui
tali scopi devono essere raggiunti. Si tratta in altri termini di sapere se e in che limiti il metodo
dell’economia possa essere impiegato anche nell’interpretazione della legge. Questa questione
1
Si veda Gambaro A. (1998), L’analisi economica del diritto nel contesto della tradizione giuridica occidentale,
Analisi economica del diritto privato ( a cura di Alpa et al.), Giuffré, Milano, [453 etc.]
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sposta i termini del rapporto fra diritto ed economia dal rapporto fra le norme e l’attività regolata
al rapporto fra le discipline che studiano rispettivamente il diritto e l’economia2.
2 - Il c.d. criterio consequenzialista, che per interpretare la legge argomenta
anche dalle conseguenze delle possibili soluzioni interpretative.
L’atteggiamento dei giuristi nei confronti di tale criterio
La risposta alla questione che ho prospettato deve essere trovata nella teoria dell’interpretazione
della legge. Più specificamente si tratta di sapere se e in che limiti nell’interpretazione della legge
fra i vari criteri e strumenti possa essere utilizzato il c.d. criterio consequenzialista
(“consequentialist argument”), vale a dire il criterio che per interpretare la norma argomenta
anche dalle conseguenze delle diverse soluzioni interpretative (anche “argomentazione orientata
alle conseguenze”)3.
In generale la dottrina giuridica assume riguardo a tale criterio un atteggiamento piuttosto
cauto, ammettendolo, ma mettendo in guardia dal pericolo che esso possa allargare
eccessivamente la discrezionalità del giudice introducendo nell’interpretazione considerazioni
attinenti alle conseguenze socio economiche delle norme e quindi alle preferenze politiche del
giudice. Ma è difficile negare che l’interprete possa usare tale criterio quando esso possa
concorrere con gli altri strumenti interpretativi a determinare il significato più plausibile della
norma4. L’utilizzazione di tale criterio viene in considerazione quando, determinato sulla base
dell’interpretazione letterale e sistematica lo scopo della legge, permanga incertezza intorno ai
mezzi con cui perseguire tale scopo o perché la legge non li indichi con chiarezza o perché dalla
legge si possano ricavare più soluzioni alternative. In tale caso l’individuazione della soluzione
interpretativa può essere trovata mediante argomenti logici e sistematici ricavabili dallo stesso
sistema legislativo. Ma può essere trovata tenendo conto anche delle conseguenze delle varie
soluzioni compatibili con la lettera e la logica della disposizione, scegliendo la soluzione che
abbia conseguenze più coerenti con lo scopo perseguito. Ciò, s’intende, se e nella misura in cui le
conseguenze siano verificabili. Quando la legge si proponga di regolamentare attività
economiche in vista di determinati obiettivi è naturale rivolgersi all’economia per determinare le
2 Su questo tema tradizionale si vedano gli interventi di U. Pagano e di M. Libertini nel volume Relazioni
pericolose. L’avventura dell’economia nella cultura contemporanea (a cura di A. Boitani e G. Rodano), Laterza,
Bari, 1995, rispettivamente alle pp. 291 ss. e 316 ss.
3 Si veda per tutti Mengoni L. (1994), L’argomentazione orientata alle conseguenze, Riv. trim dir. proc. civ., [1
etc.]; anche nella raccolta di saggi di questo autore, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Giuffré, Milano, 1996, p. 91
ss.
4 Così anche Denozza F. (2002), Norme efficienti. L’analisi economica delle regole giuridiche, Giuffré, Milano, [11
etc.]
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conseguenze delle varie soluzioni interpretative e valutare quale sia più coerente rispetto allo
scopo della norma.
Se quindi il criterio metodologico consequenzialista è certamente legittimo specie
nell’interpretazione della legislazione (più direttamente) economica, la tendenza dei giuristi ad
avvalersi di tale criterio dipende dal modo in cui essi intendono il rapporto fra diritto ed
economia, in particolare il compito che il diritto è chiamato ad assolvere nel disciplinare l’attività
economica e il modo in cui esso può o deve assolvere tale compito. E al riguardo gli
atteggiamenti dei giuristi sono molto differenziati: vi è chi tende ad enfatizzare il ruolo del diritto
e la sua capacità di conformare la realtà economica ed è portato conseguentemente a privilegiare
un’interpretazione ispirata a criteri logici e sistematici tratti dall’interno del sistema giuridico e
chi al contrario ritiene che in materia economica il diritto abbia il compito di orientare e
regolamentare un’attività che risponde ad una propria logica ed è portato conseguentemente a
prestare attenzione alle interazioni fra diritto ed economia. Assai significativo del primo
atteggiamento è il pensiero espresso da Natalino Irti, un civilista assai autorevole, nel saggio
L’ordine giuridico del mercato, pubblicato da Laterza nel 1998 che ha suscitato un vivace
dibattito5 e di cui è apparsa di recente un nuova edizione riveduta ed ampliata6. La tesi di fondo di
Irti è che la legge si pone rispetto al mercato non come la forma di un contenuto economico a se
stante, ma come componente essenziale di esso. Anzi, fra legge e mercato non vi è il dualismo
rappresentato dalla distinzione fra forma e contenuto, fra forma giuridica e materia economica; vi
è completa identità: “Il mercato è la legge che lo governa e costituisce; e prende forma dalla
decisione politica e dalle scelte normative” (p.11). “La legge non si aggiunge, né ‘influisce’ sul
mercato, quasi che questo sia prima e fuori di essa; ma conforma il mercato, un dato mercato di
certi beni, che appunto è quale viene definito nella sua concreta e specifica giuridicità” (p. 23).
“Al dualismo di forma e contenuto, di vaso e materia, deve energicamente opporsi la teoria
unitaria e monistica, onde l’istituto economico è istituto giuridico, non è concepibile fuori dalle
norme disciplinanti: anzi, è tutt’uno con queste norme, e appieno s’identifica con esse” (p. 39 s.).
Un significativo esempio dell’atteggiamento di chi nello studio del diritto vuole prestare “una
maggiore attenzione ai dati dell’esperienza pratica ed alle esigenze dell’economia”7, s’intende,
per comprendere e meglio interpretare la legge, è l’opera di Gerardo Santini, il grande studioso
del diritto commerciale scomparso, Il commercio, pubblicata da Il Mulino nel 1979, che ha il
significativo sottotitolo “Saggio di economia del diritto”, che si propone di studiare il
commercio, “non solo tenendo conto delle norme giuridiche e del loro sistema chiuso…; ma
5
Gli interventi sono stati in parte raccolti nel volume Aa.Vv. (1999), Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato,
Roma/Bari,. Critico nei riguardi delle tesi di Irti in particolare Rossi G. (1998), Diritto e mercato, ivi, [63 etc.] e in
Riv. soc. 1998, [1443 etc.]
6 Laterza, Bari, 2003.
7 Sono parole di Galgano F. (1989), voce Diritto dell’economia, in Enc. Giur. Treccani, vol. XI.
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anche tenendo conto che l’intero sistema di norme …gravita attorno ai fenomeni economici,
ossia a scelte pratiche precise, che costituiscono anch’essi un sistema, più reale, eventualmente,
di quello ricavabile dal codice (o da categorie astratte da questo tradizionalmente ricavate)” (p.
16). Per Santini l’economia del diritto, il metodo da lui messo in atto, “vuole essere una proposta
di analisi dei fenomeni che parta dal comportamento degli operatori economici e, come si può
anche dire, dal privato (o, se si preferisce, dal mercato), per consentire un’indagine sul diritto
usato dagli operatori stessi, talora diverso da quello codificato od elaborato da giudici e
dottori”. Direi, un approccio che studia il diritto avvalendosi anche del metodo dell’economia
aziendale.
Sono questi solo esempi degli atteggiamenti dei giuristi nei confronti del rapporto fra diritto
ed economia; atteggiamenti che si riflettono sul metodo impiegato per l’interpretazione delle
norme che disciplinano l’attività economica e sulla propensione a ricorrere all’argomentazione
orientata alle conseguenze e a tenere conto delle indicazioni fornite dall’analisi economica. Ma,
come è stato detto8, “la specie più importante dell’argomentazione impostata sulle conseguenze”
è “l’analisi economica del diritto”, un metodo che studia il diritto con gli strumenti dell’analisi
economica che è stato elaborato a partire dagli anni sessanta e che si è affermato negli Stati Uniti,
tanto da venire ampiamente utilizzato sia dai giuristi teorici che dai giudici in primis da quelli
della Corte Suprema, e che sta avendo una diffusione sempre crescente anche in Europa ed in
Italia. Si tratta di un metodo, che ha assunto il carattere di una vera e propria disciplina, che ha le
sue basi nell’analisi economica condotta partendo dai presupposti teorici di una particolare
corrente di pensiero nell’ambito dell’economia neoclassica e che è stato elaborato e viene
praticato sia da economisti che da giuristi. Non si può oggi parlare dei rapporti fra diritto ed
economia senza tenere conto principalmente dell’analisi economica del diritto, e ciò
indipendentemente dal giudizio che si può avere dei suoi presupposti teorici e… ideologici, degli
orientamenti metodologici e di merito e del contributo che essa può dare alla conoscenza della
realtà giuridica e sociale. Consentitemi allora di esporre brevemente alcuni degli aspetti più
salienti di tale metodo o disciplina.
3 - L’analisi economica del diritto: presupposti metodologici e finalità di tale
disciplina.
L’analisi economica del diritto è dunque una disciplina che utilizza gli strumenti della
microeconomia per valutare l’efficienza allocativa delle norme giuridiche9. A questo fine le
8
Da Menegoni, op.cit., [3].
Delle trattazioni sistematiche dell’analisi economica del diritto ricordo soprattutto, oltre a quella di Denozza, cit.,
quelle di Franzoni L. A. (2003), Introduzione all’economia del diritto, Il Mulino, Bologna; di Friedman D.D. (2004),
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norme vengono prese in considerazione non tanto in ragione del loro contenuto giuridico e della
natura o qualificazione giuridica degli strumenti con cui perseguono determinati fini (e ad es.
l’appartenenza all’uno o altro ramo del diritto) quanto essenzialmente per i loro effetti sul
comportamento dei consociati e quindi per la loro idoneità ad orientare il comportamento dei
destinatari e a incidere sulla allocazione delle risorse. In quanto disciplina economica l’analisi
economica del diritto, come del resto altre scienze sociali come la sociologia, studia le norme
come fatti e precisamente come fattori che influenzano il comportamento dei consociati
favorendo o scoraggiando lo svolgimento di determinate attività. Le norme “sono concepite come
meccanismi di allocazione di risorse scarse”, intendendo per risorsa in senso estremamente
ampio non solo i beni materiali o immateriali, ma qualsiasi situazione o attività suscettibile di
soddisfare bisogni umani e che è scarsa in quanto entra in conflitto con altre situazioni o
attività10. La norma attribuendo ad un soggetto il diritto di svolgere una determinata attività, sia
essa relativa o no all’utilizzazione di un bene, o comunque inducendo i soggetti a compiere o ad
astenersi dal compiere una determinata attività, svolge la funzione di allocare le risorse fra i
consociati. L’obiettivo fondamentale dell’analisi economica del diritto è di valutare se in tal
modo le norme contribuiscano alla massimizzazione del benessere collettivo. Il parametro
principale con cui l’analisi economica valuta le norme è quello della loro efficienza, si badi non
nel senso di idoneità dei mezzi adottati a raggiungere col costo minore i fini perseguiti dal
legislatore, quali che essi siano, bensì nel senso di efficienza allocativa, e quindi di migliore
utilizzazione delle risorse scarse e di massimizzazione del benessere collettivo quale somma delle
utilità conseguite dalle persone coinvolte (salvo poi vedere se l’efficienza debba essere intesa nel
senso di Marshall, di Pareto o di Kaldor). La norma raggiunge tale obiettivo se attribuisce o
meglio ha l’effetto di attribuire la risorsa al soggetto che ne trae maggiore utilità o se favorisce
una combinazione fra attività in conflitto fra loro che assicuri il massimo benessere collettivo.
Gli strumenti che l’analisi economica del diritto considera idonei a realizzare un’ottimale
allocazione delle risorse sono molteplici, ma quello prioritario, che corrisponde alla concezione
marcatamente liberista dominante fra i cultori di questa disciplina, è lo scambio fra i soggetti
interessati e quindi il contratto che lo scambio rende possibile sul piano giuridico: le transazioni
secondo la terminologia anglosassone. Non a caso la tesi di fondo sostenuta nel saggio di Ronald
Coase che ha creato le basi dell’analisi economica del diritto, Il problema del costo sociale11, è
che, una volta definiti chiaramente i diritti di proprietà sulle risorse, la contrattazione fra i
L’ordine del diritto. Perché l’analisi economica può servire al diritto, Il Mulino, Bologna e di Cooter; Mattei;
Monateri, Pardolesi and Ulen (1999), Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile, Il Mulino,
Bologna, senza dimenticare quella di Poster R. (2003), esponente di spicco della scuola di Chicago, Economic
Analysis of Law, Little, Brown & Co., Boston/Toronto, 6° ed..
10 Denozza, op.cit., [4 etc.]
11 The problem of social cost (1960), in The Journal of Law and Economics, [1 etc.] riprodotto nel volume di Coase
R.H. (1988), The Firm, the Market and the Law, The University of Chicago Press, Chicago/London, [95 etc.]
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soggetti interessati alle risorse porti alla soluzione più efficiente indipendentemente dal modo in
cui diritti sono assegnati, purché i diritti siano liberamente trasferibili e i costi di transazione
siano trascurabili. Tale saggio pone così quello che è uno dei problemi più importanti con cui
l’analisi economica del diritto si deve misurare: quello dei costi di transazione, vale a dire dei
fatti che ostacolano la stipulazione di transazioni, rendendo difficile ai soggetti di sapere quali
contratti, a quali condizioni e con quali soggetti stipulare per soddisfare nel modo migliore i
propri bisogni; ostacoli che vengono ricondotti principalmente alle categorie della “limitata
razionalità” e dell’”opportunismo”. Il compito del diritto è quindi quello di facilitare le
transazioni abbassando i relativi costi o quello di adottare una regolamentazione che sostituisca le
transazioni fra i soggetti interessati12.
Il parametro di valutazione delle norme giuridiche adottato dall’analisi economica del diritto
è, dunque, quello della efficienza allocativa. E’ difficile negare peraltro che la legge non persegue
solo fini di efficienza allocativa, ma anche in misura maggiore o minore finalità di equità, cioè
non persegue solo lo scopo di aumentare le risorse disponibili, aumentando le dimensioni della
torta, ma anche quello di redistribuire le risorse disponibili fra i consociati. Il che avviene anche
nel diritto privato in particolare tutte le volte che la legge si propone di proteggere il soggetto più
debole: si pensi come caso limite al regime delle locazioni. Di fronte a questa realtà i cultori
dell’analisi economica del diritto hanno assunto atteggiamenti assai differenziati e contrastanti.
Tutti concordano che nell’analisi delle norme si debbano tenere distinti gli effetti riguardanti
l’efficienza da quelli distributivi. Ma, mentre una parte dei cultori della disciplina si contenta di
ciò, la parte probabilmente maggioritaria ritiene che il diritto privato non debba occuparsi di
finalità distributive o perché le soluzioni efficienti sarebbero (per lo più) anche le più eque e/o
perché tale compito dovrebbe essere assolto con gli strumenti offerti da particolari rami del diritto
e in particolare dal diritto tributario13. Le due posizioni vengono usualmente ricondotte alle due
principali scuole o correnti di pensiero che si sono formate all’interno della disciplina:la scuola di
Chicago, il cui esponente più noto e radicale è R. Posner, e la scuola di Yale, il cui esponente più
noto è Guido Calabresi14.
Appare, spero chiaramente, da questa sommaria presentazione dell’analisi economica del
diritto che questa disciplina può svolgere un compito assai importante ai fini della conoscenza
delle ragioni che sono alla base delle regole giuridiche e degli effetti che esse determinano sulla
allocazione delle risorse. Di riflesso appare evidente come essa possa essere uno strumento assai
importante per l’analisi e la valutazione critica del diritto vigente e per l’elaborazione di nuove
regole e quindi per il legislatore e per il giurista che assiste o stimola il legislatore. Assai più
12
Si vedano sul punto le interessanti considerazioni di Denozza, op.cit., p.38 ss.
Si veda ad es. Friedman, op.cit., p. 51 ss.; cfr. anche Franzoni, op.cit., p. 27 ss.
14 Su questa tendenziale contrapposizione di scuole e sulle varie anime dell’analisi economica del diritto si veda
Pardolesi R. (1987), voce Analisi economica del diritto, in Digesto, sez. civ., vol. I, Utet, Torino, [309 etc.]
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problematica è la possibilità di utilizzare l’analisi economica del diritto come metodo o meglio
come strumento metodologico per interpretare il diritto vigente. Tale possibilità esiste se e nella
misura in cui nell’interpretazione della legge è legittimo tenere conto delle conseguenze di più
soluzioni normative consentite dai metodi di interpretazione canonici per preferire quella che
risulta essere più efficiente, cioè se e nella misura in cui è legittimo utilizzare nell’interpretazione
della legge l’argomentazione orientata alle conseguenze, il c.d. argomento o metodo
consequenzialista. E, come ho detto all’inizio, la risposta è cautamente affermativa: come ha
detto Denozza, “là dove sono possibili più interpretazioni della stessa norma(…) l’analisi
economica si configura come uno degli strumenti che l’interprete può utilizzare allorché compie,
e motiva, la sua scelta in favore dell’una o dell’altra possibile interpretazione”15. O meglio, se e
nella misura in cui l’interpretazione della norma condotta con gli argomenti letterali, logici e
sistematici consente di ritenere che la norma persegua (anche) lo scopo dell’efficienza è legittimo
preferire fra le varie soluzioni normative ricavabili dalla norma quella che risulta essere la più
efficiente. Ciò significa che, come dice Mengoni16, “L’argomento pragmatico tratto dalle
conseguenze immediate è risolutivo solo se può essere trasformato in una giustificazione in base
a principi, ossia in un argomento sistemico”. Insomma, “Andrà pur sempre verificata la
compatibilità dell’interpretazione in questione con le indicazioni ricavabili dalla lettera della
legge, dai principi generali o dalla dogmatica tradizionale”17.
E’ evidente che l’analisi economica del diritto trova il suo campo di applicazione più proficuo
nelle materie regolate principalmente mediante c. d. clausole generali, vale a dire mediante norme
che indicano un criterio di valutazione dei comportamenti indeterminato che fa capo ad obiettivi
da raggiungere e che affidano al giudice o all’autorità amministrativa il compito di specificare
tale criterio in relazione alla complessa e varia casistica. E’ questo certamente il caso della
normativa antitrust che almeno nel diritto europeo e nazionale si articola sostanzialmente in due
divieti, il divieto delle intese che hanno per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare
il gioco della concorrenza e il divieto dell’abuso di una posizione dominante, e nel controllo delle
operazioni di concentrazione per impedire che esse comportino la costituzione o il rafforzamento
di una posizione dominante sul mercato rilevante. Ed infatti in questa materia l’analisi economica
del diritto e in particolare quella facente capo alla scuola di Chicago ha potuto elaborare criteri di
valutazione delle intese e delle pratiche abusive basati rigorosamente sul paradigma
dell’efficienza allocativa esercitando un’influenza enorme sull’applicazione di tale normativa
negli Stati Uniti sia da parte delle agencies sia da parte dei giudici; influenza che ha finito col
farsi sentire anche nel diritto europeo. Ma anche in materia antitrust l’analisi economica del
diritto incontra i limiti derivanti dall’interpretazione della legge per quanto riguarda sia i fini
15
Op.cit., p.11.
Op. cit., p. 3.
17 Così ancora Denozza, op. cit., p. 11.
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perseguiti sia i mezzi con cui essi vengono perseguiti.
Così, è difficile negare che nel diritto europeo la valutazione delle intese tenga conto in una
certa misura anche di effetti distributivi e che l’interprete non possa sottrarsi ai vincoli derivanti
da specifici divieti o criteri di valutazione e ad es. non potrebbe considerare leciti tutti i contratti
leganti per ciò solo che secondo le tesi della scuola di Chicago essi nella maggior parte dei casi
sarebbero giustificati da esigenze di efficienza e non potrebbe ammettere una operazione di
concentrazione che costituisse o rafforzasse una posizione dominante sulla base di considerazioni
di efficienza.
Un altro campo in cui l’analisi economica del diritto ha potuto trovare proficua applicazione è
quello della responsabilità civile, anche questo caratterizzato da ampie clausole generali.
Qui le elaborazioni assai sofisticate della dottrina, fra le quali campeggiano gli studi di Guido
Calabresi esponente della scuola di Yale18, ha influenzato anche in Europa sia la legislazione che
la giurisprudenza: si pensi che la normativa europea sulla responsabilità del produttore tiene
conto in larga misura dei risultati cui era pervenuta l’analisi economica del diritto.
Ma l’analisi economica del diritto si presta a e pretende di dire la sua in qualsiasi ramo del
diritto, anche al di fuori del diritto privato e degli istituti che regolano in modo più diretto
l’attività economica. E con risultati molto diseguali.
Come ha osservato P. Trimarchi, il civilista che è stato da noi antesignano dell’analisi
economica del diritto e ne è un fautore, vi è tutta una vasta letteratura che “veicola solo
esercitazioni di formalismo matematico in cui le variabili si riferiscono ad entità concettualmente
quantitative, ma praticamente non misurabili”19.
4 - L’applicazione dell’analisi economica del diritto alla proprietà intellettuale
e in particolare al diritto d’autore: la giustificazione della tutela proprietaria
dei beni immateriali e la determinazione della portata ottimale della tutela.
Una delle materie che è stata oggetto di studio da parte dell’analisi economica del diritto è la
proprietà intellettuale. Mi riferisco, secondo la terminologia ormai adottata universalmente, agli
istituti che proteggono determinate creazioni intellettuali aventi il carattere dell’immaterialità
attribuendo all’autore o inventore il diritto di sfruttarle economicamente in esclusiva. I diritti di
18Calabresi
G. (1970), The Costs of Accidents. A Legal and Economic Analysis, Yale University Press, New
Haven/London, e in traduzione italiana (1975), Costo degli incidenti e responsabilità civile. Analisi economicagiuridica, Giuffré, Milano.
19 Così Gambaro, op.cit., p.457 , riassume il giudizio espresso da Trimarchi nelle conclusioni generali formulate nel
convegno Consumatore, ambiente, concorrenza. Analisi economica del diritto, Giuffré, Milano, 1994, [227 etc.]
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proprietà intellettuale possono essere ricondotti e vengono tradizionalmente ricondotti a due
paradigmi di tutela: quello che ha ad oggetto le creazioni di carattere tecnico come le invenzioni
industriali e quello che ha ad oggetto le c.d. opere dell’ingegno, come le opere della letteratura,
della musica, delle arti figurative e della cinematografia, in sostanza creazioni consistenti nella
espressione e rappresentazione di fatti, opinioni, idee ecc.; la prima forma di tutela si acquista con
il brevetto e consiste nel diritto di attuare in esclusiva per un periodo di tempo limitato (di regola
venti anni) le informazioni o idee in cui consiste l’invenzione per fabbricare e mettere in
commercio prodotti o per attuare processi industriali; la seconda si acquista con la sola creazione
(ed estrinsecazione) dell’opera e consiste nel diritto esclusivo di riprodurre e comunicare al
pubblico l’opera in quanto forma espressiva per una durata estremamente lunga (70 anni dalla
morte dell’autore), ma non anche nel diritto di vietare ad altri l’utilizzazione del contenuto di
informazioni e di idee. Queste forme di tutela sono stati utilizzate dal legislatore nel tempo per
proteggere anche creazioni diverse dalle invenzioni in senso stretto e dalle opere dell’ingegno,
naturalmente adattandole alle caratteristiche di ciascun tipo di creazione.
Come dicevo, la letteratura economica e non solo quella riconducibile all’analisi economica
del diritto si è da sempre occupata della proprietà intellettuale. Si può dire anzi che la letteratura
in argomento è sterminata20.
Gli economisti hanno affrontato il problema volto a sapere se la tutela della proprietà
intellettuale sia giustificata e da quali ragioni e naturalmente quali siano gli effetti dell’esclusiva
sull’attività di ricerca e creativa e sul mercato. Ma soprattutto in tempi più recenti gli economisti
si sono occupati del problema di quale sia la protezione ottimale con riguardo sia alla durata sia al
contenuto e all’estensione o, altrimenti detto, quali siano gli effetti sul livello dell’attività di
ricerca e sull’attività produttiva di una protezione più o meno ampia e di maggiore o minore
durata. Non sono naturalmente in grado di esprimere un giudizio sulla validità dei risultati cui
tale letteratura è pervenuta. Mi sembra solo di poter dire che il suo contributo è assai illuminante
per quanto riguarda la comprensione delle ragioni che possono giustificare una protezione di tipo
proprietario consistente nel diritto di utilizzare in esclusiva un bene immateriale, nonché la
determinazione degli effetti che possono derivare dalle varie opzioni riguardanti la
conformazione della protezione.
Ma che buona parte delle indagini che analizzano gli effetti di particolari aspetti della tutela,
nonostante l’impiego di sofisticati modelli matematici, non abbia dato sempre risultati utili né ai
20
Un panorama critico è offerto nell’ampia relazione di David P.A. (1998), Le istituzioni della proprietà
intellettuale e il pollice del panda, in Diritto ed economia della proprietà intellettuale (a cura di Clerico G. and
Rizzello S.), Cedam, Padova, [9 etc.]
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fini delle scelte di politica legislativa né ai fini dell’interpretazione del diritto vigente21.
Credo si possa dire in generale che dagli studi di analisi economica del diritto emerga un
favore per la protezione dei beni immateriali mediante l’attribuzione di diritti di esclusiva. Questo
favore appare in armonia con la tendenza della legislazione. Da qualche tempo si assiste in tutti i
Paesi e anche a livello internazionale ad un processo volto ad accordare protezione a nuove
creazioni, utilizzando prevalentemente il paradigma del diritto d’autore, ad estendere la
protezione anche dei beni tradizionalmente protetti sia nella durata che nel contenuto e a
rafforzarne la protezione anche sul piano sanzionatorio e processuale. Così, dal 1992 nell’ambito
della Unione europea la protezione del diritto d’autore è stata estesa prima ai programmi per
computer, poi alle banche dati e infine alle opere del design. Per le banche dati è stata creata a
fianco della tutela del diritto d’autore anche una tutela speciale di durata limitata (15 anni) che
attribuisce al titolare il potere di vietare l’estrazione e l’impiego dell’insieme delle informazioni
che siano risultato di un investimento rilevante. Per le creazioni del design è stata creato un
regime che consente di proteggere per una durata che può arrivare fino a 25 anni qualsiasi
disegno o modello che presenti carattere individuale. E una direttiva CE del 1998 (n.98/44/CE),
non ancora attuata dalla maggior parte degli Stati membri, ha obbligato gli Stati membri a
proteggere le invenzioni biotecnologiche con norme in parte speciali. D’altro canto,
prevalentemente in attuazione di direttive CE il nostro legislatore ha via via ampliato la
protezione del diritto d’autore, prima portandone la durata a 70 anni dalla morte dell’autore, poi
attribuendo nuovi diritti esclusivi di utilizzazione e da ultimo estendendo il diritto di esclusiva
alle utilizzazioni rese possibili dalle nuove tecnologie informatiche e telematiche. In particolare
nel diritto esclusivo di riproduzione è stato ricompresa la riproduzione temporanea che si ha tutte
le volte che un’opera viene utilizzata tramite computer ed è stato espressamente riconosciuto il
diritto esclusivo di comunicazione al pubblico anche nella forma interattiva tipica della
comunicazione via internet. Ma la tutela del diritto d’autore nei confronti delle utilizzazioni rese
possibili dalle nuove tecnologie è stata realizzata anche favorendo l’adozione da parte dei titolari
di misure tecnologiche di protezione e sanzionando anche penalmente qualsiasi comportamento o
misura volto ad eludere o disattivare tali misure di protezione.
La protezione di nuove creazioni o beni immateriali rese possibili dallo sviluppo tecnologico
può essere giustificata probabilmente con ragioni analoghe a quelle addotte per giustificare la
protezione dei beni immateriali più tradizionali quali le invenzioni industriali e le opere
dell’ingegno “classiche” e inoltre con l’importanza che si riconosce ai fini del progresso tecnico
21
Si veda la conclusione scoraggiante cui perviene David, op.cit. p. 54 s. secondo cui bisognerebbe resistere alla
tentazione di esprimere una valutazione generale, perché “vi è una lunga serie di benefici e costi ai quali non si può
facilmente assegnare una effettiva unità di misura. In queste circostanze è difficile fare di meglio che sostenere la
saggezza di una ‘conclusione inconcludente’. Come quella cui perveniva F. Machlup nel lontano 1958: An economic
review of the patent system, Government Printing Office, Washinton.
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P. Auteri - Diritto ed economia: l’analisi economica del diritto e la proprietà intellettuale
ed economico a tali nuovi beni. Questo può apparire evidente almeno per quanto riguarda i
programmi per computer e le banche dati, da un lato, e le invenzioni biotecnologiche, dall’altro
lato. L’estensione e il rafforzamento della protezione anche sul piano delle sanzioni e dei mezzi
processuali, amministrativi e, come si è visto, anche tecnologici di tutela può trovare la sua
spiegazione ancora una volta nell’esigenza avvertita di aumentare gli incentivi agli investimenti
nell’attività di ricerca e sviluppo particolarmente nei settori ritenuti nevralgici per lo sviluppo
della società dell’informazione, ma anche nel fatto che lo stesso sviluppo tecnologico ha
enormemente facilitato la riproduzione o l’imitazione dei beni che incorporano beni immateriali.
Non ho bisogno di dire che i beni immateriali riprodotti su supporti digitali –il software, le
banche dati e ormai buona parte degli esemplari di opere dell’ingegno- possono essere riprodotti
realizzando copie equivalenti all’originale con costi irrisori anche da parte di privati che non
dispongano di attrezzature complesse. E le reti telematiche consentono anche ai privati la
diffusione degli originali o delle copie così realizzate a cerchie estremamente ampie di persone
anche non legate da alcun rapporto personale o professionale. I sistemi peer to peer ne sono la
testimonianza più clamorosa22.
Si capisce allora che, se si vuole mantenere il diritto di utilizzazione esclusiva del bene
immateriale, si debba estendere la protezione anche nei confronti dei modi di utilizzazione resi
possibili dalla tecnologia digitale applicata anche alle reti telematiche.
Ciò, s’intende, se si ritiene che anche in ambiente digitale e nelle reti telematiche i beni
possano essere sfruttati economicamente in esclusiva come avviene tradizionalmente in ambiente
analogico e che i nuovi modi di utilizzazione dei beni immateriali resi possibili dalla nuova
tecnologia rappresentino modi di utilizzazione alternativi e concorrenziali rispetto a quelli
tradizionali.
Certo è che il mantenimento (o, se si vuole, l’estensione) del diritto di esclusiva in ambiente
digitale e telematico è possibile solo a condizione di un rafforzamento dei mezzi di tutela
ricorrendo anche e in misura determinante alle misure tecniche di protezione e riducendo anche
drasticamente spazi di libertà nella comunicazione interpersonale che avviene via internet che
erano considerati acquisiti e che vengono considerati da taluni vitali anche per lo sviluppo della
creatività dal punto di vista tecnico ed estetico.
Da qui un forte movimento di opposizione alla tutela della proprietà intellettuale o quanto
meno alla sua applicazione nelle reti telematiche con le forme che ha assunto in ambiente
analogico. Un movimento che nelle sue espressioni più intelligenti si avvale anche di argomenti
22
Mi permetto di rinviare al mio scritto Auteri P. (2003), Il caso Napster alla luce dell’ordinamento comunitario, in
TV, Internet e new trends di diritti d’autore e connessi (a cura di Ubertazzi L.C.), Giuffré, Milano, [63 etc.]
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P. Auteri - Diritto ed economia: l’analisi economica del diritto e la proprietà intellettuale
propri dell’analisi economica del diritto23.
Come accennerò, questo dibattito richiede un riesame delle ragioni tradizionalmente addotte
per giustificare la tutela del diritto d’autore e il contenuto e la portata della stessa. Consentitemi
di accennare sia pure in termini estremamente sommari a come tale problema viene impostato
nell’ambito dell’analisi economica del diritto.
5 - La giustificazione della tutela (essenzialmente) proprietaria dei beni
immateriali.
Il primo problema che deve porsi il legislatore in materia di creazioni intellettuali è se proteggere
un dato tipo di creazione intellettuale attribuendo ad un soggetto il diritto di sfruttamento
economico della stessa o se negare qualsiasi protezione e quindi riconoscere il diritto di
utilizzazione a qualsiasi soggetto. Il problema si pone in termini diversi che rispetto ai beni
materiali, perché, mentre questi per lo più non possono essere utilizzati contemporaneamente da
più soggetti o lo possono a volte a condizione che l’utilizzazione collettiva sia regolamentata, le
creazioni intellettuali, una volta che siano portate a conoscenza di altri, il che avviene
normalmente nel momento in cui i prodotti che incorporano la creazione vengono messi in
commercio, possono essere riprodotte o utilizzate da qualsiasi soggetto. Le creazioni intellettuali
sono quindi per loro natura beni pubblici caratterizzati dalla non esclusività e dalla non rivalità e
presentano questa seconda proprietà in misura piena: l’utilizzazione dell’informazione o dell’idea
da parte di una persona o anche di un numero per quanto elevato di persone non sminuisce la
possibilità di fruizione da parte delle altre persone e in particolare da parte di chi
quell’informazione o idea ha conseguito per primo. La soluzione normativa naturale potrebbe
sembrare allora quella di non accordare alcuna protezione alla creazione intellettuale e di
consentirne la utilizzazione in qualsiasi modo a chiunque ne venga a conoscenza. La diffusione o
disseminazione più ampia possibile delle informazioni e delle idee si risolverebbe in un beneficio
per la collettività.
Questa soluzione non tiene però conto del costo dell’attività di ricerca e di creazione, che può
essere e per lo più è molto elevato.
Infatti, se e nella misura in cui, una volta utilizzata per la realizzazione di nuovi prodotti o
servizi, la creazione può essere riprodotta da chiunque24, chi ha sopportato un costo per creare
23
Mi riferisco un particolare alle opere di Lessig L. (1999), Code and other laws of cyberspace, Basic Books, New
York, ch. 10, [122 etc.] e The future of ideas. The fate of the commons in a connected world, Vintage Books, New
York, ch. 11 and 14, [177 etc.], [249 etc.]
24 Ciò però non è sempre vero per le invenzioni tradizionali perché le informazioni ricavabili dalla letteratura e dal
reverse engineering non sono sufficienti per l’imitazione, essendo necessario anche il know how complementare il
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l’idea (e per metterla in atto) non è in grado di recuperare tale costo e di realizzare un profitto che
lo remuneri anche del rischio del mancato successo, perché in regime di concorrenza il prezzo dei
prodotti o servizi che incorporano l’idea tenderà a coincidere col costo marginale che non tiene
conto del costo dell’attività di ricerca e di innovazione. L’attività volta alla ricerca e sviluppo di
nuovi prodotti o servizi o alla creazione di nuove opere dell’ingegno genera esternalità (positive).
La conseguenza è che in assenza di una protezione e di una protezione adeguata verranno
realizzate meno creazioni intellettuali e meno opere dell’ingegno di quanto avverrebbe in
presenza di tale protezione.
Per ovviare a tali inconvenienti e favorire o rendere possibile l’attività di ricerca e creativa
sono pensabili e vengono adottate varie soluzioni, consistenti principalmente in varie forme di
finanziamento dell’attività di ricerca, ma, con riguardo ai risultati della ricerca applicata, alle
invenzioni industriali e alle opere dell’ingegno, la soluzione che è stata adottata universalmente
negli ordinamenti ad economia di mercato è quella di proteggere tali beni immateriali attribuendo
a chi abbia creato il bene un diritto consistente essenzialmente nel potere di sfruttare
economicamente i beni stessi in via esclusiva. Un diritto liberamente disponibile e che quindi può
essere oggetto di negoziazione, di modo che il diritto possa in definitiva essere acquistato ed
esercitato da chi è in grado di sfruttare il bene in modo più efficiente. Tale tutela consente di
internalizzare le esternalità dell’attività di ricerca e creativa consentendo al titolare di trarre dallo
sfruttamento economico del bene ricavi corrispondenti alla domanda dei beni realizzabili.
La negoziabilità del diritto è, come ho detto, condizione essenziale perché il bene immateriale
venga sfruttato in modo efficiente. D’altra parte, il diritto può essere oggetto di negoziazione solo
se conferisce al titolare il potere di sfruttare in esclusiva il bene. Nessuna negoziazione sarebbe
possibile se il bene non fosse protetto o se fosse protetto attribuendo al titolare solo il diritto di
ottenere da chi utilizzi il bene senza il suo consenso un indennizzo o un risarcimento del danno.
Per questa ragione il teorema di Coase, secondo cui una volta definiti chiaramente i diritti la
contrattazione porta alla soluzione più efficiente se i diritti sono trasferibili e i costi di transazione
sono trascurabili indipendentemente dal modo in cui i diritti sono assegnati, non sembra
applicabile ai beni immateriali. Sia perché nessuna transazione sarebbe possibile fra il titolare del
diritto e i molti soggetti interessati all’utilizzazione del bene se il primo non potesse vietare
l’utilizzazione del bene. Sia perché, se l’obiettivo della protezione è quello di favorire l’attività di
ricerca e creativa, il diritto non può che essere attribuito inizialmente all’inventore, all’autore o
comunque al soggetto che ha sopportato il costo della relativa attività. Il modo di assegnazione
del diritto è quindi correlato alla finalità della protezione e non è giustificato solo da finalità
distributive.
cui conseguimento è spesso costoso. V. per tutti David, op.cit., p. 24 e Scherer F.M. (1985), Economia industriale,
Unicopli, Milano, (traduzione della 2° edizione del 1980), [495 etc.]
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Vero è piuttosto che la trasferibilità del diritto non si spiega soltanto con l’esigenza di
consentire al titolare originario di ottenere un corrispettivo proporzionato al valore di mercato
dell’invenzione o dell’opera, ma si spiega anche con l’obiettivo di consentire lo sfruttamento del
bene da parte di chi è in grado di sfruttarlo in modo più efficiente25. E del resto, come soprattutto
alcuni giuristi hanno messo in evidenza, la funzione dei diritti di privativa non è solo quella di
rendere conveniente ed incentivare l’attività di ricerca e creativa, ma anche quella di incentivare
l’attività di sviluppo delle invenzioni e di lancio e promozione delle opere dell’ingegno.
6 - La scelta fra la tutela mediante regole proprietarie (property rules) e quella
mediante regole di responsabilità (liability rules).
Il secondo problema che il legislatore si deve porre una volta che abbia deciso di proteggere un
dato tipo di creazione intellettuale è quale contenuto ed estensione dare al diritto sul bene
immateriale. Come ho accennato all’inizio, riguardo ai beni immateriali tradizionali, e cioè alle
invenzioni industriali e alle opere dell’ingegno, si sono consolidate storicamente in tutti gli
ordinamenti determinate soluzioni che differenziano la tutela che viene riconosciuta
rispettivamente alle invenzioni e alle opere dell’ingegno. E anche le ragioni che vengono addotte
per giustificare tali soluzioni, anche se sempre oggetto di discussione, sono nella sostanza
largamente accolte. Ugualmente si è formata negli ultimi tempi una vasta letteratura economica
che ha analizzato gli effetti dei vari aspetti della protezione delle invenzioni, ma anche delle
opere dell’ingegno, ponendosi l’obiettivo di determinare la tutela ottimale dal punto di vista della
durata e della estensione o portata. Come dicevo, non mi sembra che da tali studi siano venute
indicazioni utili per la riforma della legislazione e soprattutto in vista della tutela che, come
dicevo, il legislatore ha accordato a nuove creazioni, che io sappia, senza valutare gli effetti
economici della tutela stessa e della sua conformazione. Non mi sembra neppure cha da tali studi
siano venute indicazioni univoche, utili per la soluzione dei grandi problemi interpretativi che si
pongono per quanto riguarda l’estensione della protezione (ad es. nei rapporti fra invenzioni di
nuove sostanze chimiche e invenzioni di nuovi usi di sostanze note).
Queste generiche considerazioni valgono anche e soprattutto in materia di diritto d’autore.
Qui il problema che il legislatore ha dovuto risolvere e deve risolvere ogni volta che pone mano
ad un allargamento della protezione, come ha fatto negli ultimi tempi, è di stabilire un equilibrio
fra una protezione adeguata a consentire all’autore di ottenere ricavi sufficienti a coprire i costi
della creazione (e del lancio e della promozione e distribuzione degli esemplari) e del rischio
dell’insuccesso, da un lato, e l’esigenza di consentire ai terzi l’accesso all’opera e l’utilizzazione
del contenuto di informazioni e idee. Ché la creazione di una nuova opera e il progresso della
25
In questo senso soprattutto Denozza F. (1979), Licenze di brevetto e circolazione delle tecniche, Giuffré, Milano.
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cultura e della scienza si basano sulla conoscenza delle opere preesistenti e sull’utilizzazione
dell’apporto di idee, informazioni e conoscenze in esse contenuto. Sì che un eccesso della
protezione del diritto d’autore, se può aumentare l’incentivo alla creazione di nuove opere, si può
risolvere in ostacoli all’attività creativa, in un incremento del costo della creazione di nuove
opere e in un ostacolo all’innovazione e alla diffusione della cultura.
La disciplina del diritto d’autore così come la conosciamo è in effetti il risultato assai
complesso e delicato dell’equilibrio fra queste opposte esigenze; equilibrio che si manifesta in
modo paradigmatico nel principio secondo cui la tutela ha ad oggetto la forma espressiva e non si
estende al contenuto di idee e informazioni. E, come è facile intuire, la distinzione fra forma
espressiva e contenuto mette a dura prova l’interprete e l’operatore giuridico soprattutto quando
si tratta di applicarla, come si deve, alle opere utili come il software, le banche dati e le opere del
design cui il legislatore ha di recente esteso la protezione del diritto d’autore.
Questi problemi sono stati affrontati anche nell’ambito dell’analisi economica del diritto. Vi è
fra l’altro un saggio molto citato scritto da una coppia affiatata di noti cultori di tale disciplina,
l’economista Landes e il giurista Posner26, che esamina gli aspetti salienti della tutela del diritto
d’autore con gli strumenti dell’analisi economica del diritto, proponendo anche un modello
formale per stimare gli effetti della protezione sull’attività creativa. Ma, se le ragioni economiche
a base delle varie soluzioni normative indicate appaiono convincenti, non sembra che il saggio
offra indicazioni ai fini dell’interpretazione e dell’eventuale riforma della legge diverse da quelle
ottenibili con la normale analisi giuridica. Vi è peraltro un aspetto della protezione del diritto
d’autore che ha attratto particolarmente l’attenzione sia dei cultori dell’analisi economica del
diritto sia di coloro che criticano la tendenza protezionistica dei legislatori in questa materia che
merita di essere preso in considerazione: il rapporto fra diritto di esclusiva e semplice diritto a
compenso. Ho detto che in materia di proprietà intellettuale la scelta del legislatore è a favore di
una tutela consistente in diritti di esclusiva. Questo è vero certamente in materia di invenzioni. In
materia di diritto d’autore invece la tutela non consiste soltanto in diritti esclusivi di utilizzazione,
ma in misura secondaria, ma non trascurabile, limitatamente ad alcuni modi di utilizzazione nel
diritto di ottenere un compenso da chiunque utilizzi l’opera. Così nella disciplina attualmente
vigente in Italia, la legge in alcuni casi consente a chiunque l’utilizzazione dell’opera e attribuisce
all’autore o titolare il diritto ad un equo compenso. Così è in particolare in caso di riproduzione di
opere in antologie ad uso scolastico, in caso di pubblica esecuzione e trasmissione radio
26
Landes W.M. and Posner R.A. (1989), An economic analysis of copyright law, Journal of Legal Studies, 18, [325
etc.]. Degli stessi autori v. ora il volume The economic structure of intellectual property law, The Belknap Press of
Harvard University Press, Cambridge, Massachussetts e London, 2003, dove il saggio del 1989 è riprodotto nei capp.
3 e 4, ma con aggiornamenti e sviluppi (presenti soprattutto nel cap.4). In quest’ultima opera gli autori si mostrano
scettici sulla possibilità di giustificare dal punto di vista economico la portata della tutela del diritto d’autore quale si
è andata configurando negli Stati Uniti a partire dal 1976 (v. in particolare le conclusioni a p.422 s.) e manifestano in
più punti favore per le tesi degli autori (in testa Lessig) che si battono per una riduzione della protezione.
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televisiva dei fonogrammi e delle prestazioni artistiche in essi fissate e in caso di riproduzione ad
uso personale di libri e di fonogrammi e videogrammi. In quest’ultimo caso il compenso viene
prelevato, quasi come un’imposta, sui mezzi che consentono la riproduzione privata ad uso
personale dei fonogrammi e dei videogrammi. In altri casi la legge, pur mantenendo il diritto di
esclusiva, ne favorisce o addirittura ne impone la gestione collettiva da parte della SIAE27.
Ebbene, queste soluzioni possono essere spiegate e vengono spiegate con le ragioni
individuate in un famoso e citatissimo saggio di un’altra coppia di autori, Calabresi e Melamed28,
per spiegare la scelta fra due forme di tutela dei diritti soggettivi le property rules (regole
proprietarie) e le liability rules (regole di responsabilità), la prima che consente al titolare di
impedire l’utilizzazione del bene protetto che avvenga senza il suo consenso e quindi di
negoziare il traferimento del diritto o la concessione di diritti di utilizzazione; la seconda che non
consente al titolare di impedire la violazione del diritto, ma solo di ottenere dall’autore della
violazione una somma che lo risarcisca o lo indennizzi del danno causato dalla violazione. La tesi
sostenuta da questi autori è che la protezione mediante regole proprietarie è più efficiente tutte le
volte che i costi di transazione siano bassi, perché allora la tutela proprietaria consente che, quale
che sia l’attribuzione originaria del diritto, il diritto venga acquistato o il bene venga goduto da
chi lo apprezza di più e ne trae maggiore utilità. E che invece la tutela per così dire meramente
risarcitoria sia più efficiente quando i costi di transazione siano elevati e rendano impossibile o
difficile al titolare di negoziare con chi sia interessato all’acquisto del diritto o all’utilizzazione
del bene. Ciò però solo a condizione che il giudice o l’organo amministrativo cui venga affidato
tale compito sia in grado di determinare l’indennizzo o il risarcimento del danno agevolmente
sulla base del valore obiettivo del godimento del bene. In effetti, le regole in materia di diritto
d’autore che “degradano” il diritto di esclusiva nel diritto ad ottenere un equo compenso possono
essere spiegate e giustificate con l’esigenza di ovviare agli ostacoli all’esercizio (individuale) dei
diritti esclusivi derivanti dagli elevati costi di transazione esistenti in relazione a determinati modi
di utilizzazione delle opere consentendo l’utilizzazione delle opere a chiunque dietro pagamento
di un equo compenso (determinato dall’autorità amministrativa o governativa o dall’ente cui è
affidato l’esercizio collettivo dei diritti)29.
27
Mi permetto di rinviare alla mia trattazione di sintesi Diritto d’autore, nel manuale di Auteri, Floridia, Mangini,
Olivieri, Ricolfi and Spada (2005), Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, 2° ed. Giappichelli,
Torino, [481 etc.] in particolare [566 etc.]
28 Calabresi G.and Melamed A.D. (1972), Property rules, liability rules and inalienability: one view of the
cathedral, in Harvard Law Review, 85, [1089 etc.]
29 Mi permetto di rinviare per tutti a Auteri P. (2005), Le tutele reali, L’enforcement dei diritti di proprietà
intellettuale. Aspetti sostanziali e processuali ( a cura di L. Nivarra), Giuffré, Milano, [3 etc.], [11 etc.] e Ricolfi M.
(2005), Le misure compulsorie, ivi, [91 etc.], [107 etc.]
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7 - Il dibattito sulla tutela del diritto d’autore nell’ambiente digitale e nelle reti
telematiche.
La questione volta a stabilire se e in che misura le creazioni intellettuali debbano essere protette
e, in caso affermativo, se con regole proprietarie ovvero con regole di responsabilità è stata
oggetto negli ultimi tempi di un dibattito assai vivace che ha riguardato sia la protezione da
accordare a creazioni nuove o che hanno assunto oggi (anche grazie alla tecnologia digitale)
particolare importanza sia la protezione dei diritti di proprietà intellettuale tradizionali e in modo
del tutto particolare del diritto d’autore nell’ambiente digitale e nelle reti telematiche. Una parte
della dottrina giuridica contesta anche con argomenti di analisi economica del diritto l’opinione
generalmente accolta secondo cui la tutela proprietaria sarebbe preferibile in quanto più efficiente
e auspica per le creazioni per così dire nuove un più ampio ricorso a forme di protezione basate
su regole di responsabilità e, per le opere tradizionali, anche una riduzione della portata della
protezione. Per quanto riguarda in particolare la protezione del diritto d’autore su internet, non ho
bisogno di sottolineare le differenze che l’utilizzazione delle opere mediante internet presenta
rispetto alle utilizzazioni tradizionali sia dal punto di vista tecnico sia da quello economico. In
particolare, da un lato, la messa a disposizione dell’opera con la comunicazione interattiva non
richiede necessariamente il ruolo di intermediazione dell’impresa e comunque il ruolo
dell’impresa è profondamente diverso che nei settori tradizionali, mentre il costo della diffusione
si riduce enormemente, dall’altro lato, la distinzione fra utilizzazione commerciale e utilizzazione
privata si attenua fino a scomparire, come mostrano i sistemi peer to peer. Secondo i critici della
tendenza legislativa, questa realtà modificherebbe i presupposti tecnici ed economici della
protezione tradizionale basata principalmente sul diritto di esclusiva, tanto più se si vuole
riconoscere il diritto di esclusiva anche nei confronti dei privati. Si aggiunge che internet e la
tecnologia digitale consentono non solo una diffusione enormemente più ampia delle opere, ma
anche forme di creatività e di innovazione che richiedono la disponibilità e l’utilizzazione di
opere preesistenti in misura di gran lunga maggiore che nel passato. In senso contrario il
mantenimento del diritto esclusivo nelle reti telematiche, che in tanto è possibile in quanto
vengano introdotti più efficaci mezzi di tutela anche tecnologici, si risolve in una riduzione degli
spazi di libertà e quindi nella compressione della libertà creativa e della innovazione. Di
conseguenza il delicato equilibrio fra esigenze contrapposte che informa la tutela del diritto
d’autore sarebbe compromesso a scapito della libertà creativa. In realtà il mantenimento di una
tutela proprietaria forte anche nella rete sarebbe rivolta a proteggere gli interessi delle imprese
operanti nei settori tradizionali contro l’interesse generale all’innovazione30.
30
Il riferimento è soprattutto alle opere di Lessig citate sopra alla nota 23, cui si può aggiungere la più recente opera
dello stesso autore Lessig L. (2004), Free culture. How big media uses technology and the law to lock down culture
and control creativity, The Penguin Press, New York. Da noi una posizione critica nei confronti dell’estensione del
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Come ho detto, sia in Europa che negli Stati Uniti i legislatori hanno già effettuato una scelta
decisa a favore di una protezione forte del diritto d’autore nel mondo digitale e nel cyperspazio.
Lo hanno fatto probabilmente sotto la pressione di uno sviluppo tecnologico vorticoso senza
esaminare approfonditamente le ragioni e gli effetti di tale scelta. Ciò non fa venir meno
l’esigenza di un riesame delle ragioni che possono giustificare o sconsigliare le soluzioni adottate
anche perché non si sa ancora quali saranno i loro effetti sullo sviluppo dell’attività creativa e
della rete. E non si può escludere che il legislatore debba intervenire ancora se non altro per
rivedere le soluzioni già adottate. Le ragioni che giustificano la tutela del diritto d’autore nella
rete e il contenuto della stessa devono quindi essere esaminate ex novo. Il problema è non tanto
quello di sapere se una tutela del diritto d’autore forte così come si è venuta formando nei settori
(più) tradizionali sia giustificata anche nell’ambiente digitale e delle reti telematiche quanto
quello di sapere se la tutela non debba essere adattata alla nuova realtà anche lasciando maggiore
spazio a forme di protezione basate su regole di responsabilità anziché su regole proprietarie, in
modo da favorire la circolazione delle opere e l’innovazione. La discussione non potrà
prescindere dall’apporto degli economisti con l’auspicio, che mi permetto di esprimere, che essi
valutino i prevedibili effetti delle varie opzioni più alla luce dei dati empirici che dei risultati di
modelli formali astratti. E con la consapevolezza che le soluzioni giuridiche non potranno che
essere in ultima analisi il risultato di scelte di politica legislativa.
diritto di esclusiva all’utilizzazione delle opere mediante le reti telematiche è stata assunta da Spada P. (1998) negli
scritti: La proprietà intellettuale nelle reti telematiche, Riv. dir. Civ., II, [635 etc.]; Domain names e dominio dei
nomi, ivi, 2000, I, [713 etc.], [716 etc.] e Copia privata ed opere sotto chiave, Riv. dir. ind. 2002, I, [591 etc.].
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