riflessioni su jarrett

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riflessioni su jarrett
RIFLESSIONI SU JARRETT
di Michele Francesconi
I quattro aspetti di Jarrett: compositore nei due quartetti – piano solo - standard trio – interprete
classico.
I primi due nascono negli anni settanta (quattordici dischi con il quartetto americano, quattro con il
quartetto europeo, sei lavori in piano solo). I secondi si sviluppano a partire dagli anni ottanta.
PIANO SOLO
I piano solo di Jarrett sono una sorta di enciclopedia della musica universale.
Un giornalista del New Yorker sosteneva: "Un concerto di Jarrett rispecchia e frantuma Bill Evans, raga
indiano, Ray Bryant, Stephen Foster, Chopin, Dave Brubeck, Cecil Taylor, Beethoven, Art Tatum, Debussy,
Bud Powell, Brahms, il blues, Rachmaninov, la musica gospel, Bach, Horace Silver, Lennie Tristano, il
flamenco, canzoni folk, il concerto di Varsavia, McCoy Tyner, il bolero, il boogie woogie e Liszt."
Capacità di trovare appagamento nei processi musicali più elementari - riscoperta delle triadi, intese
in senso beethoveniano, eurocolto, e anche in senso country.
Nei piano solo c’è l’idea del rito, con tutto ciò che comporta. I vicoli ciechi in cui si infila a volte
sono la condizione per seguirlo nel viaggio. Penso che sia utile considerare il concetto di
“solitudine” in Jarrett. Egli afferma che l’artista per essere tale deve “sentirsi” solo. Per lui la
solitudine sul palcoscenico significa: sfida con sé stesso, elevazione mistica alla musica, rito.
Pensiamo invece a come è vissuta la solitudine da altri grandi (Parker, Bill Evans, Bud Powell, ad
esempio). Mancano forse la ricerca del relax e l’autoironia, sostituite da una concentrazione
assoluta e da un’idea di sfida. In questo senso, (musica totale, ricerca dell’impossibile…) è un
musicista più vicino all’ estetica romantica che a quella jazzistica. Lo dimostrano anche alcune
scelte armoniche (ottave, raddoppi, triadi…).
QUARTETTI
Jarrett nel quartetto americano suona anche altri strumenti. È un fiume in piena di idee, di voglia di
esprimersi. Il gruppo è democratico, aperto, turbolento, ma gli assoli rischiano di essere un po'
logorroici. Jarrett stesso afferma in una dichiarazione che in quegli anni c’era una specie di
“riluttanza a esprimersi in una maniera che potesse essere giudicata troppo ovvia”.
Il quartetto europeo nasce dal suggerimento di Manfred Eicher di far collaborare Jarrett e Garbarek.
Questo gruppo rappresentò per Jarrett un elemento di sollievo. Qui tutto è più ordinato, e Jarrett è
leader incontrastato, anche se ribadisce che non vuole chiamarlo “Keith Jarrett Quartet”, ma
semmai “Belonging band” (c’è anche un motivo meno nobile: il pianista era ancora legato all’
etichetta “Impulse” e per contratto non poteva far uscire cose a suo nome). Le composizioni sono
più melodiche (complice il timbro di Garbarek.) e meglio strutturati gli assoli. Le improvvisazioni
sono più tematiche, meno free, e con meno pedali o vamp lunghi.
“Belonging” rappresenta un album d’esordio molto promettente e pieno di vitalità, e viene registrato
senza alcun concerto precedente, in un paio d’ore. Garbarek era andato a trovare Jarrett in America
ed era stato con lui un paio di settimane. Tra i due era nata una stima reciproca. Ho notato dalle
dichiarazioni che da parte di Garbarek c’è quasi una “riverenza” nei confronti del collega
americano.
“My Song” viene registrato dopo una tournée di 9 concerti, e infatti è un album più raffinato.
Riguardo ai commenti con la mano destra alle linee melodiche del sassofonista, è lo stesso Garbarek
ad affermare che Jarrett li cambiava ogni volta che suonavano ed erano sempre diversi e bellissimi.
Dalla tournée del 1979 provengono gli ultimi 2 dischi dal vivo “Nude Ants” (gioco di parole per
“New Dance”) e “Personal Mountains”. Nel primo Garbarek non è in gran forma e il suono
dell’incisione forse non è all’altezza dell’ECM.
INTERPRETE CLASSICO
Nasce dalla sua necessità di eseguire musica altrui. Delusione di Jarrett nel momento in cui scopre
che nell’ambiente accademico ci sono molti frustrati. Si rende conto che la musica per gli interpreti
non è vissuta totalmente.
STANDARD TRIO
Volontà di fissare gli standard in una confezione morbida e melodica. Rispetto per le “song”. Non
preparano arrangiamenti. Per Jarrett il trio è stata la riscoperta del fare musica insieme con gioia.
Negli ultimi anni la scelta del repertorio cade anche su alcuni temi bop dove riemerge un drive
vicino a pianisti come Wynton Kelly e Red Garland.
LO STILE DI JARRETT
Come persona è molto sicuro di sé, e rischia quindi di risultare saccente, ma è comunque un
musicista onnivoro che non ha mai smesso di mettersi alla prova. Egli stesso afferma che bisogna
essere “spietati con sé stessi”. Chiaramente manca l’autoironia.
Jarrett ha un rapporto quasi “ginnico” con lo strumento, per niente ortodosso. Il suo sforzo sembra
portarlo in estasi e gli fa produrre una varia gamma di espressioni vocali.
È il contrario dell’economia stilistica. Domina la tastiera, ha bisogno di fare tante note, tanti
controcanti, raddoppi, ecc... la sua musica rispecchia la sua personalità, il suo modo di sentire la
vita.
Jarrett vuole spesso superare i limiti. Quello che apprezzo meno della sua musica sono le code
polifoniche alla fine degli standard, i pedaloni reiterati anche quando non c’è niente da dire, l’idea
che le prime note di un concerto ne determinino la riuscita e l'esecuzione free di alcuni standard che
non mi convincono.
Tutto ciò può risultare un po’ in contrasto con la lezione di alcuni grandi del jazz che è quella di
lasciare respirare la musica, di gioirne senza dominarla. In Jarrett si sente sempre lo sforzo. Ad
esempio in un pianista lirico come Bill Evans (soprattutto negli anni ‘60) questa estetizzazione del
lirismo non esiste. Forse non è neanche corretto definire Jarrett un “pianista jazz”, però egli ha
avuto il coraggio di essere sé stesso sin dall’inizio e crede totalmente in quello che fa.
La carenza a tutt'oggi può essere data dal punto di vista progettuale e compositivo, e questo forse
rappresenta l'altro lato della medaglia della sua solitudine dorata (credo sia tra i performer meglio
pagati del pianeta).
È spesso accusato di avere un ego smisurato. Penso all'ultimo episodio a Umbria Jazz in cui ha
insultato il pubblico italiano. Credo però che riguardo alla sua indisposizione verso i flash e gli
applausi ci sia un motivo più profondo che il semplice egocentrismo. Egli infatti, come accennavo
sopra, pensa al concerto in modo rituale e a nessuno verrebbe in mente di interrompere un rito con
applausi o foto. Pensiamo a un concerto di musica classica. Non ci verrebbe mai in mente di
applaudire dopo un passaggio ben riuscito di una sonata di Beethoven. E credo che Jarrett ritenga la
sua musica alla stessa altezza di quella di Beethoven o Liszt. In questo senso si tratta solo di una
questione culturale e storica.
Un'altra riflessione da fare è che leggendo la sua biografia ci accorgiamo che ha avuto momenti
difficili, sia sul palco (i rapporti col pubblico all'inizio) che fuori (dissesto finanziario, divorzio,
malattia recente) e ha sempre affrontato le difficoltà con un impegno “feroce”.
CONCLUSIONI
È uno dei grandi pianisti e improvvisatori del Novecento e, credo, abbia avuto il merito di
ricontestualizzare l'idea di recital pianistico solistico nato nell'Ottocento, aggiungendo nella sua
musica, oltre naturalmente all'improvvisazione, tutti gli stimoli stilistici che ha raccolto.
I libri importanti dedicati al pianista sono due:
KEITH JARRETT. L'UOMO, LA MUSICA
di Jan Carr, edito in Italia da Arcana Editrice e
KEITH JARRETT. IL MIO DESIDERIO FEROCE
di Kunihiko Yamashita edito in Italia da Edizioni Socrates
Per quanto riguarda i siti segnalo quello in italiano di Mirco Merlo: www.keithjarrett.it che è pieno
di recensioni, informazioni, articoli.