Kant, dalla Critica del giudizio, il sublime non
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Kant, dalla Critica del giudizio, il sublime non
Kantsublime.doc Kant, dalla Critica del giudizio, il sublime non appartiene alla natura ma al soggetto Ci esprimiamo del tutto impropriamente, quando diciamo sublime un oggetto naturale, mentre con tutta proprietà possiamo chiamare belli moltissimi oggetti della natura; perché: come può essere indicato con un 'espressione di approvazione ciò che in sé è percepito come contrario alla finalità? Non possiamo dire se non questo, che cioè l'oggetto è capace dell'esibizione di una sublimità che sì può cogliere nel nostro animo; poiché il vero sublime non può essere contenuto in alcuna forma sensibile, ma riguarda solo le idee della ragione, le quali, sebbene nessuna esibizione possa esser loro adeguata, anzi appunto per tale sproporzione che sì può esibire sensibilmente, sono svegliate ed evocate nell'animo nostro. Così l'immenso oceano sollevato dalla tempesta non può essere chiamato sublime. La sua vista è terribile; e bisogna che l'animo sia stato già riempito da parecchie idee, se mediante tale intuizione deve esser determinato ad un sentimento, che è esso stesso sublime, in quanto l'animo è sospinto ad abbandonare la sensibilità e ad occuparsi di idee che contengono una finalità superiore... ciò che d'ordinario chiamiamo sublime nella natura non è qualcosa che conduca a determinati principii oggettivi e a forme della natura ad essi adeguate, perché anzi la natura suscita soprattutto le idee del sublime nel suo caos, nel suo maggiore e più selvaggio disordine e nella devastazione, quando però presenti insieme grandezza e potenza... Il concetto del sublime naturale non rivela qualche cosa di finalistico nella natura stessa, ma soltanto nel possibile uso delle intuizioni di essa, al fine di suscitare in noi il sentimento di una finalità del tutto indipendente dalla natura. […] […] Le rocce che sporgono in alto e quasi minacciose, le nuvole di temporale che si ammassano in cielo fra lampi e tuoni, i vulcani che scatenano tutta la loro potenza distruttrice, e gli uragani che si lasciano dietro la devastazione, l’immenso oceano sconvolto dalla tempesta, la cataratta di un gran fiume, riducono ad una piccolezza insignificante il nostro potere di resistenza, paragonato con la loro Kantsublime.doc potenza. Ma il loro aspetto diventa tanto più attraente per quanto più è spaventevole, se ci troviamo al sicuro; e queste cose le chiamiamo volentieri sublimi, perché esse elevano le forze dell’anima al di sopra della mediocrità ordinaria, e ci fanno scoprire in noi stessi una facoltà di resistere interamente diversa, la quale ci dà coraggio di misurarci con l'apparente onnipotenza della natura. Di fatti, come nell'immensità della natura e nell'incapacità nostra a trovare una misura adeguata per la valutazione estetica della grandezza del suo dominio, scoprimmo la nostra propria limitazione, al tempo stesso ci fu rivelata, nella facoltà della ragione, un'altra misura non sensibile, la quale comprende quell'infinità stessa come un'unità, e di fronte a cui tutto è piccolo nella natura, trovammo per conseguenza nel nostro animo una superiorità sulla natura considerata anche nella sua immensità; così l'impossibilità di resistere alla potenza naturale ci fa conoscere la nostra debolezza in quanto esseri della natura, la nostra debolezza fisica, ma ci scopre contemporaneamente una facoltà di giudicarci indipendenti dalla natura, ed una superiorità che abbiamo su di essa, da cui deriva una facoltà di conservarci ben diversa da quella che può essere attaccata e messa in pericolo dalla natura esterna; perché in virtù di essa l'umanità della nostra persona resta intatta, quand'anche dovessimo soggiacere all'impero della natura. In tal modo la natura, nel nostro giudizio estetico, non è giudicata sublime in quanto è spaventevole, ma perché essa incita quella forza che è in noi (e che non è natura) a considerare come insignificanti quelle cose che ci preoccupano (i beni, la salute e la vita), e perciò a non riconoscere nella potenza naturale (a cui siamo sempre sottoposti relativamente a tali cose) un duro impero su di noi e sulla nostra personalità, al quale dovremmo piegarci, quando si trattasse dei nostri principii supremi, della loro affermazione o del loro abbandono. La natura qui non è dunque chiamata sublime se non perché eleva l'immaginazione a rappresentare quei casi in cui l'animo può sentire la sublimità della propria destinazione, anche al disopra della natura.