51° Congresso Nazionale SIR e 17° Congresso Nazionale CROI

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51° Congresso Nazionale SIR e 17° Congresso Nazionale CROI
2014 • Vol. 66 • (Numero Speciale 1)
eumatismo
Giornale ufficiale della Società Italiana di Reumatologia - SIR • Fondato nel 1949
51° Congresso Nazionale SIR
e 17° Congresso Nazionale CROI
REVIEW COURSE
REUMATISMO
Giornale ufficiale della Società Italiana di Reumatologia
Fondato nel 1949
2014 • Vol. 66 • N. 3 (Numero Speciale 1)
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REUMATISMO
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CONGRESSO SIR-CROI 2014
Presidenti
Marco Matucci Cerinic
Presidente SIR
Luigi Di Matteo
Presidente CROI
Coordinatore del Comitato Scientifico
Mario Galeazzi
Coordinatore degli Abstract
Maria Manara
COMITATO SCIENTIFICO SIR-CROI 2014
Artrite reumatoide
Coordinatore: Elisa Gremese
Collaboratori:
Maurizio Benucci
Roberto Caporali
Ennio Giulio Favalli
Rosario Foti
Mauro Granata
Giovanni Lapadula
Raffaele Pellerito
Fausto Salaffi
Guido Valesini
Artrite psoriasica e
spondiloartriti sieronegative
Coordinatore: Ignazio Olivieri
Collaboratori:
Elisabetta Battaglia
Vincenzo Bruzzese
Alberto Cauli
Salvatore D’Angelo
Ennio Lubrano
Roberta Ramonda
Raffaele Scarpa
Felice Sensi
Francesco Versace
Osteoartrosi e
artropatie microcristalline
Coordinatore: Alberto Migliore
Collaboratori:
Gianfilippo Bagnato
Mario Bentivegna
Giovanni Mario D’Avola
Carlo Meschini
Immacolata Prevete
Leonardo Punzi
Magda Scarpellini
Carlo Venditti
Sclerodermia, dermatomiosite
e Sindrome di Sjögren
Coordinatore: Florenzo Iannone
Collaboratori:
Lorenzo Cavagna
Angelo Corvetta
Angelo De Cata
Salvatore De Vita
Marco Gabini
Anna Ghirardello
Serena Guiducci
Roberta Priori
Marco Sebastiani
Claudio Vitali
Lupus eritematoso sistemico
e sindrome da anticorpi antifosfolipidi
Coordinatore: Andrea Doria
Collaboratori:
Antonio Brucato
Fabrizio Conti
Marcello Govoni
Pier Luigi Meroni
Covelli Michele
Marta Mosca
Gian Domenico Sebastiani
Angela Tincani
Vasculiti
Coordinatore: Carlo Salvarani
Collaboratori:
Salvatore Antonelli
Pietro Leccese
Ciro Lauriti
Giuseppe Paolazzi
Nicolò Pipitone
Luca Quartuccio
Salvatore Scarpato
Franco Schiavon
Antonio Tavoni
Malattie metaboliche
dello scheletro
Coordinatore: Giovanni Minisola
Collaboratori:
Giovanni Arioli
Gerolamo Bianchi
Ombretta Di Munno
Bruno Frediani
Giuseppe Girasole
Nazzarena Malavolta
Maurizio Muratore
Maurizio Rossini
Luigi Sinigaglia
Fibromialgia
Coordinatore: Piercarlo Sarzi-Puttini
Collaboratori:
Fabiola Atzeni
Laura Bazzichi
Gianniantonio Cassisi
Marco Cazzola
Manuela Di Franco
Enrico Fusaro
Angelo Pucino
Stefano Stisi
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SIR - Società Italiana di Reumatologia
CROI – Collegio Reumatologi Ospedalieri Italiani
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51° COnGRESSO nAzIOnAlE SIR
E 17° COnGRESSO nAzIOnAlE CROI
REVIEW COURSE
REVIEW COURSE
Moderatori: L. Altomonte (Roma), R. Pellerito (Torino)
Artrite settica ..............................................................................................................................................................9
F. Schiavon (Padova)
Rivisitazione dell'uso dei glucocorticoidi nell'artrite reumatoide ........................................................................14
R. Caporali (Pavia)
Malattie autoinfiammatorie dell'adulto: diagnosi e terapia ..................................................................................20
L. Cantarini (Siena)
l'anemia nelle malattie reumatiche ........................................................................................................................22
M. Scarpellini (Magenta, MI)
Reumatismo, 2014; 66(3): S1:9-13
Artrite settica
F. Schiavon, L. Punzi
U.O.C di Reumatologia, Azienda Ospedale-Università di Padova
L’
artrite settica (AS) rappresenta una drammatica emergenza reumatologica, potenzialmente invalidante e gravata, in soggetti a rischio,
di una elevata mortalità e di una prognosi “quoad
valetudinem” infausta, con compromissione funzionale articolare più o meno grave in oltre la metà delle articolazioni colpite. Tale percentuale sale sensibilmente quando la diagnosi non sia formulata tempestivamente e l’inizio della terapia antibiotica sia così ritardato.
Epidemiologia e fattori di rischio
L’incidenza nella popolazione generale è di 4-10
casi per 100.000 pazienti anno (1) ma sembra essere in aumento probabilmente sia per l’invecchiamento della popolazione (pazienti con più malattie sistemiche e patologie articolari) che per un
aumento delle procedure ortopediche (2). Altri fattori di rischio sistemici per l’insorgenza di AS sono: insufficienza renale ed emodialisi, insufficienza cardiaca o epatica, diabete, neoplasie, immunosoppressione acquisita (HIV) e tossicodipendenza. Tra i fattori locali grande importanza hanno lesioni ed infezioni cutanee e patologie articolari in
atto (3).
Per ragioni ancora non completamente conosciute
l’incidenza dell’AS nei pazienti con artrite reumatoide (AR) è da 4 a 15 volte superiore rispetto alla popolazione generale. (4-6). Una possibile spiegazione è rappresentata dal tropismo tissutale di alcuni germi (Staphylococcus aureus p.es.) per le
strutture articolari (adesine per fibronectina, fibrinogeno, collagene etc.) che ne facilita l’adesione
e ne ostacola la clearance (7). I pazienti con AR
inoltre sono sottoposti più frequentemente ad interventi ortopedici. Per quanto riguarda i
DMARDs vi sono dati su un lieve incremento del
rischio infettivo con la Sulfasalzina mentre la terapia con methotrexate non sembra incrementare
la frequenza di AS (8); non vi sono evidenze sufficienti invece per la leflunomide.
È noto come gli inibitori del TNF alfa determinino un piccolo ma significativo rischio di complicanze infettive specie per le vie respiratorie e la cute soprattutto durante il primo mese di terapia. I dati ricavati dal registro inglese dei farmaci biologici evidenziano invece una incidenza di AS doppia
rispetto ai pazienti trattati con DMARDs tradizionali, rispettivamente di 4,2/1.000 pazienti/anno rispetto a 1,8/1.000 pazienti/anno. Benchè lo St Aureus rappresenti sempre il patogeno più frequente,
pazienti con AS in corso di terapia con farmaci
biologici presentano spesso infezioni da germi non
comuni come Listeria spp, Salmonella spp e Pseudomonas aeruginosa (9).
Microorganismi
Un’ampia varietà di germi possono causare una
AS. Il microorganismo più frequentemente isolato è lo St Aureus. In genere si tratta di germi meticillino sensibili ma è sempre più frequente, soprattuto nei paesi anglosassoni, l’isolamento di St
Aureus meticillino resistente (MRSA) L’AS da
MRSA insorge prevalentmente in pazienti con infezioni nosocomiali, con recente interventi di natura ortopedica, con storia di tossicodipendenza o
nei paziente più anziani (10). La mortalità è quasi
doppia rispetto all’AS da germi meticillino sensibili probabilmente sia per una maggiore virulenza
che per l’inefficacia della terapia empirica instaurata prima di conoscere l’esatta etiologia dell’infezione e il conseguente antibiogramma. Le infezioni da streptococchi del gruppo B, C e G sono di
più frequente riscontro in pazienti molto anziani,
immunocompromessi, con infezioni genitourinarie
o gastrointestinali (12).
Batteri Gram negativi sono identificati nel 5-20%
dei pazienti con AS, soprattutto nei bimbi, nei pazienti anziani, nei soggetti immunosoppressi e nei
tossicodipendenti. Sono in aumento anche le AS da
enterobacteriacee mentre sono in riduzione le AS
da gonococco (13).
10
F. Schiavon, L. Punzi
Manifestazioni cliniche, bioumorali e diagnosi
La possibilità di una AS dovrebbe essere considerata in tutti i pazienti con mono o oligoartrite, in
particolare nei pazienti con artriti infiammatorie
croniche. L’esordio è in genere improvviso con articolazione calda al termotatto, tumefatta, estremamente dolente. Una insorgenza graduale può avvenire in caso di bassa virulenza del germe, nelle
infezioni tubercolari o nelle infezioni di articolazioni protesizzate. Possono essere coinvolte tutte le
articolazioni ma il ginocchio è la sede di infezione
più frequente (50% dei casi). Nel 20% dei casi il
coinvolgimento può essere poliarticolare e nel 10%
dei casi possono essere interessate le articolazioni
sacro iliache (14). Nella maggior parte dei casi il
paziente presenta tutte o alcune delle manifestazioni cardinali dell’infezione (febbre, leucocitosi
neutrofila sierica, tumefazione articolare con cute
calda ed arrossata); la febbre viene riscontrata in
non più del 50% dei casi, spesso con le caratteristiche della febbricola con valori inferiori ai 38°C.
(15).
L’accertamento più importante nel sospetto di una
AS è costituito dall’esame del liquido sinoviale
(LS) che permette sia l’analisi microscopica e la
coltura per la ricerca dei microorganismi, che
l’identificazione di microcristalli. Le artropatie microcristalline infatti determinano una artrite acuta
con caratteri simili all’AS e con questa entrano in
diagnosi differenziale. Il riscontro di microcristali
tuttavia non permette di escludere in via assoluta
una concomitante infezione articolare (16) La colorazione di Gram, la coltura del LS o della membrana sinoviale nei casi di coltura negativa, permettono la definitiva diagnosi di AS in non più del
50% dei casi (1). È controverso il significato diagnostico della concentrazione dei leucociti (GB)
nel LS. Una recente revisione della letteratura comprendente 653 pazienti con sospetta artrite settica
ha confermato come la più alta concentrazione di
GB aumenti la probabilità, ma non ne dia la certezza, dell’origine infettiva dell’artrite; infatti non
sono rare AS con un basso contenuto di GB nel LS
Una conta di GB inferiore a 25.000 mm3, maggiore di 25.000/mm3, maggiore di 50.000/mm3 e maggiore di 100.000/mm3 determina una likelihood ratio rispettivamente di 0,32, 2,9, 7,7 e 28. La sola
conta dei GB non permette quindi una diagnosi di
certezza ma deve essere interpretata assieme ai parametri clinici per decidere la terapia da somministrare in attesa dell’esito degli accertamenti microbiologici (17). L’identificazione dei microorganismi con la tecnica della polymerase chain reac-
tion non sembra aver nessun vantaggio rispetto alle tecniche tradizionali per l’identificazione di infezioni da Staphylococcus e Streptococcus mentre
ha qualche indicazione per la ricerca di batteri
anaerobici e della K kingae (18).
Poco significato hanno invece una leucocitosi neutrofila serica o un incremento di VES e PCR in
quanto la loro normalità non permette di escludere una AS (19). La loro utilità aumenta per il monitoraggio clinico durante la terapia antibiotica.
Deve essere ancora ben definito il significato della procalcitonina nel differenziare tra AS e artrite
infiammatoria (20).
Poiché molto spesso l’AS è conseguente ad una
disseminazione articolare per via ematogena è consigliabile eseguire emocolture seriate prima della
somministrazione della terapia antibiotica. È riportata una positività del 50-70% nelle AS non gonococciche (12).
Nessuna tecnica di imaging permette di differenziare tra AS e artriti non infettive. L’ecografia può
essere utile per eseguire artrocentesi diagnostiche
in sedi articolari difficilmente accessibili e la RMN
può permettere di identificare il versamento sinoviale, la distruzione cartilaginea ed ossea, ascessi
dei tessuti molli periarticolari, l’edema osseo e l’interruzione della corticale ma spesso non è sufficiente per discriminare tra le varie forme di artrite. Ha invece una predittività del 100% per escludere una osteomielite (21). Risultati clinici contrastanti vengono riportati per la scintigrafia ossea trifasica e la scintigrafia con Sulesomab (leukoscan)
con sensibilità variabili dal 93% al 76% e specificità dal 85-89% all’84% (22).
Prognosi
La mortalità riportata dai diversi studi è approssimativamente dell’11% per le artriti monoarticolari (23). Una più elevata mortalità (19-33%) si osserva nei pazienti anziani con comorbidità come
diabete mellito, immunosoppressione o preesistenti
patologie articolari (24). Pazienti con AS poliarticolare hanno una mortalità del 30% circa (25). Il
rischio di un danno articolare permanente con perdita della funzione si verifica in circa il 40% dei pazienti, specie in pazienti anziani e nei casi di ritardo diagnostico superiore ai 7 giorni (26).
Terapia
Nel sospetto di artrite settica è imperativo iniziare
una terapia antibiotica empirica nell’attesa dell’esito della coltura e dell’antibiogramma. La scelta
dell’antibiotico dipende dalle caratteristiche clini-
Artrite settica
che del paziente, dalla coesistenza di fattori di rischio e dalla conoscenza della prevalenza locale dei
microorganismi e della loro farmaco resistenza.
Poiché la maggior parte delle infezioni sono causate da St Aureus o da Streptococchi la terapia antibiotica iniziale dovrebbe avere attività battericida nei confronti di entrambi. Una scelta razionale
è rappresentata da Vancomicina associata ad una
cefalosporina di terza o di quarta generazione (es
cefepime). Associazione utile anche negli anziani,
negli immunocompromessi o pazienti con infezioni nosocomiali (14). Quando si sospetta una infezione da enterobacteriacee o nei casi con pregresse infezioni da enterobacteriacee la scelta dell’ antibiotico dovrebbe orientarsi verso un carbapenemico, un chinolonico o cefalosporine di quarta generazione (27). La Vancomicina è una ragionevole scelta anche quando si sospetti una infezione da
St Aureus meticillino-resistente. Nei pazienti tossicodipendenti alla vancomicina dovrebbe essere
associato un betalattamico attivo contro i microorganismi meticillino resistenti ed i bacilli Gram negativi ambientali (27-14). In base all’esito della
coltura la terapia antibiotica dovrebbe essere successivamente modificata secondo le indicazioni
dell’antibiogramma. Nei pazienti allergici alla Vancomicina o nelle infezioni da microorganismi meticillino resistenti una valida alternativa è costituita da Linezolid o Daptomicina.
Linezolid è un antibiotico di nuova generazione
(oxazolidinone) con attività batteriostatica nei confronti dei microorganismi gram positivi con ottima
biodisponibilità orale (100%) e buona penetrazione tissutale (nei tessuti, compreso liquido sinoviale, membrana sinoviale e tessuto osseo raggiunge
una concentrazione doppia rispetto al quella sierica) (28) Non sono stati condotti tuttavia studi randomizzati in corso di artrite settica. La casistica
più ampia riporta un successo del 69% ini 52 pazienti con infezione ossea o articolare da St Aureus
(29). Un recente studio open label in 11 pazienti
con osteomielite o infezioni periprotesiche da St
Aureus coagulasi negativi o enterococchi ha dimostrato la risoluzione dell’infezione in tutti i casi
(30). Linezolid è tuttavia considerato inferiore rispetto alla Vancomicina nelle sepsi da St- Aureus
meticillino resistenti e pertanto non dovrebbe essere utilizzato in prima linea in caso di AS e batteriemia.
La Daptomicina è un antibiotico lipopeptidico con
attività battericida nei contronti dei batteri Gram
positivi compresi i meticillino resistenti e gli enterococchi vancomicina resistenti.Come nel caso del
11
Linezolid non sono stati condotti studi randomizzati in corso di artrite settica. In uno studio retrospettivo multicentrico di pazienti affetti da AS (22
pazienti) da St Aureus in prevalenza meticillino resistente (64%) il 41% ha presentato risoluzione
dell’artrite e il 50% un miglioramento clinico. In
questo studio tuttavia la Daptomicina è stata associata spesso ad altra terapia antibiotica (31). In uno
studio prospettico e randomizzato verso vancomicina (11 pazienti verso 5 pazienti) la guarigione
dell’AS era riportata rispettivamente nel 64% e
60% (32).
Molto promettente appare la Ceftarolina, cefalosporina di quinta generazione attiva nei confronti
degli Stafilococchi meticillino resistenti, molto ben
tollerata e priva di importante tossicità, approvata
per le infezione dei tessuti molli e per le polmoniti di comunità. Attivi nei confronti degli stafilococchi meticillino resistenti ma dotati di eccessiva
tossicità sono il Quinupristan-Dalfopristan e la Telavancina. L’utilizzo della Tigiciclina è andato riducendosi per lo sviluppo di ceppi resistenti (27).
Vi sono evidenze limitate in letteratura per quanto
riguarda la durata della terapia antibiotica. In genere varia da 2 a 4 settimane di terapia per via parenterale. Le linee guida anglosassoni suggeriscono 2 settimane di terapia per via parenterale seguite da 4 settimane di terapia orale (23). Nel caso di infezioni da St Aureus o germi Gram negativi è consigliata la terapia per via parenterale per 34 settimane (33).
Il drenaggio del pus dall’articolazione è indispensabile per la risoluzione dell’infezione. La semplice artocentesi eseguita quotidianamente può essere sufficiente nelle articolazioni accessibili. La riduzione del volume del liquido sinoviale e del contenuto di GB mm3 possono essere utilizzati come
indice dell’efficacia del trattamento in corso. Nelle articolazioni profonde o quando l’artrocentesi
appare incompleta (ad es. nelle loculazioni intrarticolari con infezioni saccate) è necessario procedere al drenaggio chirurgico (artroscopia, irrigazione, artrotomia). Non vi sono evidenze scientifiche definitive sulla preferenza tra una tecnica chirurgica e l’altra (34). Durante la fase acuta dell’infezione un posizionamento ottimale dell’articolazione è essenziale per evitare deformità e contratture. Esercizi in isotonia sono importanti per mantenere il trofismo muscolare. Una volta risolta la fase acuta è necessario iniziare precocemente la mobilizzazione dell’articolazione (34). Poiché la distruzione articolare nell’AS è mediata dall’imponente processo infiammatorio conseguente all’in-
12
F. Schiavon, L. Punzi
fezione sperimentalmente è stata utilizzata l’associazione con terapia steroidea con miglioramento
dell’outcome dell’artrite. In uno studio in doppio
cieco contro placebo in bimbi affetti da AS la somministrazione di desametazone per un breve periodo ha determinato una riduzione della durata
dell’artrite e un miglior outcome con minor danno
articolare Non vi sono invece studi sulla popolazione adulta.
Conclusioni. L’AS è una emergenza medica che
richiede una diagnosi rapida e un pronto intervento terapeutico per evitare mortalità e morbidità.
Spesso l’approccio all’AS varia da centro a centro
e da ambiente chirurgico ad ambiente medico con
risultati non sempre confrontabili. È auspicabile la
realizzazione di studi randomizzati e controllati per
poter identificare i principi di diagnosi e terapia
più corretti.
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Rivisitazione dell'uso dei glucocorticoidi
nell'artrite reumatoide
R. Caporali, M. Todoerti
Divisione di Reumatologia, Università degli Studi di Pavia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia
INTRODUZIONE
Nonostante l’avvento di terapie sempre più innovative e mirate dirette contro specifici target molecolari implicati nella patogenesi dell’artrite reumatoide (AR), a oggi non è ancora tramontato l’interesse nei confronti di farmaci più tradizionali e
longevi, quali i glucocorticoidi (GC). Il loro ruolo
è stato nel tempo altamente dibattuto e sottoposto
a differenti fasi di rivalutazione e svalutazione (16). Negli anni più recenti l’attenzione si è progressivamente spostata sul ruolo potenzialmente additivo dei GC rispetto al trattamento con immunomodulatori convenzionali (DMARDs), analizzandone così gli effetti aggiuntivi rispetto alla monoterapia stessa con DMARDs. Da qui la conduzione di studi clinici randomizzati controllati (RCTs)
in cui differenti strategie steroido-basate sono state confrontate con strategie steroido-prive in rapporto al raggiungimento degli outcomes rilevanti
per la malattia, quali quelli clinici, funzionali e soprattutto strutturali.
GC: EVIDENZE DAGLI RCTS
I primi studi clinici hanno analizzato principalmente la performance di strategie aggressive, ovvero basate su elevati dosaggi iniziali di GC, al fine di garantire un rapido e precoce controllo del
processo infiammatorio, fin dalle prime fasi di malattia (7, 8). I protocolli adottati negli studi COBRA
e BeSt hanno garantito nell’immediato risultati clinici e funzionali significativamente migliori in caso di terapia di combinazione con GC ad alto dosaggio; tuttavia tale vantaggio ha perso gradualmente di superiorità nelle fasi di successivo decalage e sospensione dello steroide (9, 10). Ciononostante, i benefici sulla progressione strutturale,
massimi durante la terapia steroidea, si sono man-
tenuti, pur diminuiti, anche dopo la suddetta riduzione posologica e definitiva sospensione dei GC,
risultando evidenti fino a molti anni dalla iniziale
introduzione della terapia steroidea stessa (9-11).
L’interpretazione di tali risultati risiederebbe proprio nella precocità e nella intensità di azione di tali strategie intensive, in grado molto probabilmente di spegnere profondamente l’infiammazione articolare riducendone così gli effetti sulla progressione strutturale a lungo termine. Dai dati di estensione degli stessi studi, è emerso inoltre come tali
strategie non comportino rischi aggiuntivi di sicurezza e tollerabilità nei contesti controllati. La generalizzazione e quindi l’applicabilità di tali protocolli nella pratica clinica quotidiana tuttavia è altamente discutibile, soprattutto per il profilo di sicurezza a lungo termine in pazienti reali, politrattati e spesso con multiple comorbidità. Da qui la
necessità di ottenere informazioni circa strategie
meno intensive, ma pur sempre efficaci, valide ed
applicabili anche nella vita reale. Dal primo studio
di Kirwan del 1997, molti altri studi hanno via via
confermato l’efficacia dei GC anche a basso dosaggio in associazione a DMARDs convenzionali,
methotrexate (MTX) e non, nei confronti di tutti gli
outcomes di malattia rispetto alla monoterapia stessa con DMARDs (Tab. I) (12-16). L’ulteriore implementazione di tali strategie mediante protocolli terapeutici serrati e finalizzati (14-17), ovvero
ispirati agli ormai noti principi del “tight control”
e del “treat-to-target”, ha consentito il raggiungimento di risultati considerevoli in termini di controllo clinico, strutturale ed anche sub-clinico (1618). Questo sembrerebbe dimostrare come l’associazione dei GC anche a basso dosaggio consenta
l’ottenimento di una risposta clinica qualitativamente migliore, in cui cioè sia anche garantito un
maggior controllo della sinovite sub-clinica.
Sembrerebbe inoltre emergere globalmente dagli
Rivisitazione dell'uso dei glucocorticoidi nell'artrite reumatoide
15
Tabella I - Elenco dei principali studi riguardanti l’utilizzo di GC a basso dosaggio in pazienti affetti da AR precoce.
Autore, anno
Popolazione
DMARDs (pz. in MTX)
Steroide
End points
Risultati
Svensson,
AR 2005
250 early AR
(<1 anno)
A tutti i pazienti inclusi:
MTX/SSZ
PDN 7.5 mg/d
Outcome RX
a due anni
Wassenberg,
AR 2005
166 early AR
(<2 anni)
Bakker,
AIM 2012
236 early AR
(<1 anno)
In PDN: 50% MTX,
35% SSZ;
In no-PDN: 53% MTX,
37% SSZ.
A tutti i pazienti inclusi:
Sali d’oro/MTX
In PDN: 34% MTX,
66% SO
100 % pz: MTX
(10 mg/s>30 mg/s)
A 2 anni, la variazione mediana dello score totale
RX è risultata significativamente minore in PDN
vs no-PDN.
Differenza inter-gruppo DAS28 statisticamente
significativa dal 3° mese in poi a favore di gruppo
PDN.
Montecucco,
ART 2012
220 early AR
(<1 anno)
100% MTX
DAS28
PDN 5 mg/d
Outcome RX
a 24 mesi
Parametri
La combo-terapia GC+DMARDs riduce
significativamente la progressione RX a due anni.
PDN 10 mg/d
Outcomes RX
a due anni
Score erosivo globale significativamente minore in
PDN vs no-PDN .Risposta clinica ACR a 1 e 2 anni
significativamente superiore in PDN vs no-PDN.
A 12 mesi probabilità significativamente superiore
di remissione DAS28 e PD=0 in PDN vs no-PDN.
PDN 6.25 mg/d
Ouctomes
clinico e US
a 12 mesi
Legenda: AR: artrite reumatoide; MTX: methotrexate; SSZ: sulfasalazina; PDN: prednisone; outcome RX: outcome radiografico; outcome US: outcome ultrasonografico.
studi inerenti e da una loro rivalutazione con metaanalisi l’esistenza anche per i GC di una “finestra di
opportunità”: vi sarebbe pertanto un iniziale intervallo temporale nella evoluzione naturale di malattia in cui l’effetto terapeutico dei GC risulterebbe più
incisivo ed influente nei confronti dello stesso danno strutturale e della sua progressione (19).
GC: ruolo nelle raccomandazioni terapeutiche
per l’AR
Alla luce dei risultati progressivamente promettenti degli RCTs, a loro volta filtrati dall’esperienza condivisa di specialisti reumatologi, le linee guida internazionali hanno via via ri-considerato, seppur con eterogeneità nei diversi contesti geografici (USA, Europa, Gran Bretagna), la terapia con
GC nella gestione della AR (20-24). Mentre infatti in passato le raccomandazioni vigenti in Europa
erano elusive sull’argomento, ribadendone genericamente e variamente i potenziali benefici sintomatici, nel recente update delle raccomandazioni
europee del 2013 è stato specificamente inserito
un item a riguardo. Come affermato, i GC a basso
dosaggio e per breve periodo dovrebbero essere
considerati parte integrante del trattamento iniziale della patologia, alla stregua dei DMARDs. Si afferma inoltre come gli stessi dovrebbero essere però ridotti e sospesi non appena clinicamente possibile (23). In merito le raccomandazioni hanno anche provveduto a definire i cut-off suggeriti, consigliando dosaggi inferiori a 7,5 mg/d di equivalente prednisonico per un periodo possibilmente
fino a 6 mesi. L’EULAR ha inoltre stilato, sulla ba-
se dell’opinione degli esperti e delle evidenze
scientifiche, una serie di indicazioni e suggerimenti
da perseguire nella gestione degli effetti collaterali della terapia steroidea sia negli studi clinici sia
nella pratica reale, rimanendo tuttavia ancora aperta la questione circa l’effettivo significato del rapporto rischio/beneficio della terapia con GC nei
vari pazienti, nei diversi stadi di malattia, a diverse posologie e per tempi differenti (25-27).
Le raccomandazioni inoltre non affrontano direttamente il ruolo delle differenti formulazioni steroidee disponibili (intra-articolare, intramuscolare, endovenosa) e della loro specifica integrazione
in contesti terapeutici strutturati. In merito varie
sono le evidenze scientifiche circa la ruolo delle
medesime: è stata dimostrata infatti la loro relativa efficacia soprattutto qualora contestualizzate in
protocolli serrati e finalizzati al raggiungimento di
target pre-definiti (28-31).
Infine, nonostante la ormai ampiamente dimostrata efficacia e tollerabilità, non è stato ancora univocamente definito e formalizzato il ruolo della
formulazione steroidea a rilascio ritardato, ovvero sincronizzato con i ritmi fisiopatologici delle citochine pro-infiammatorie. Sembrerebbe quindi
che anche l’ottimizzazione del timing di somministrazione dei GC abbia un ruolo nella efficacia
e nella sicurezza di tali agenti, sottolineando sempre di più il significato della loro azione terapeutica di controllo e re-setting dei meccanismi di malattia (32-34).
GC: ruolo nell’era dei biologici
16
R. Caporali, M. Todoerti
Come riportato da una ampia revisione di studi clinici condotti in pazienti affetti da AR e trattati con
farmaci biologici, una percentuale variabile ma elevata di pazienti continua ad assumere contemporaneamente GC, almeno nel 50% dei casi per ciascun agente biologico: rispettivamente per abatacept il 74,4%, 67,9% in golimumab, 60,6% in infliximab, 57,5% con certolizumab, 57,5% in rituximab, 54,4% con etanercept, tocilizumab nel
52,8%, per adalimumab il 50,4% (35). Queste alte
percentuali di prosecuzione della terapia steroidea
durante il trattamento con farmaci biologici indurrebbero a pensare quindi che parte del vantaggio risieda proprio nella combinazione di questi agenti
farmacologici con i GC e che pertanto i GC giochino un ruolo rilevante nel garantire la risposta clinica.
La variabilità delle stesse proporzioni potrebbe
suggerire inoltre indirettamente interazioni potenzialmente farmaco specifiche con i GC o viceversa nascondere differenze di efficacia stessa degli
agenti biologici. Al contempo andrebbe considerato anche l’aspetto confondente relativo ai pazienti
stessi candidati al trattamento biologico: la maggiore attività e severità della loro malattia giustificherebbe già di per sé una tendenza maggiore
all’adozione del co-trattamento steroideo e costituirebbe pertanto causa di bias di selezione da parte della popolazione stessa dei pazienti (36, 37).
Il chiarimento del ruolo dei GC diviene inoltre ancora più rilevante qualora si considerino i pazienti in fase di controllo clinico indotto dai farmaci
biologici: quando specificato, nella maggioranza
dei casi i pazienti assumono ancora GC a basso
dosaggio, fatto che può notevolmente influire nel
definire lo stato di malattia come lieve o addirittura quiescente (38). In una recente revisione degli
studi clinici focalizzati specificamente sulla possibilità della biologic-free remission, emergerebbe
tra i vari aspetti di eterogeneità e variabilità interstudio anche la stessa co-terapia steroidea (39). Tra
i 18 studi analizzati, solo alcuni riportano la percentuale effettiva di pazienti in trattamento anche
con GC, specificando solo talora i dosaggi e la durata del trattamento stesso. In aggiunta, solo 4 studi hanno valutato l’impatto della terapia steroidea
sulla possibilità di sospensione o meno dell’agente biologico in corso, senza tuttavia pervenire a risultati univoci. Finora quindi non possono essere
riferiti dati esaustivi ed univoci sul ruolo dei GC
nel consentire o meno la sospensione dei farmaci
biologici nell’ottica di una drug free remission (40).
GC: dalla vita reale
I GC sono ampiamente utilizzati nella pratica clinica corrente reumatologica. Così come negli studi clinici sopra accennati sui farmaci biologici, più
del 50% dei pazienti con AR sono in terapia di associazione con GC anche nella pratica reale. Dati
provenienti da casistiche svedesi e tedesche riportano percentuali rispettivamente pari al 49% e 56%
(41, 42). Come descritto da Pincus inoltre negli ultimi 25 anni si è assistito da un lato ad un incremento della proporzione di pazienti con AR trattati con DMARDs, dall’altro ad una contestuale riduzione del dosaggio dei GC, pur sempre però associati a lungo al trattamento di fondo, senza che
questo abbia pregiudicato l’efficacia clinica o abbia viceversa comportato eventi avversi GC-relati
nel lungo termine. La progressiva riduzione posologica dei GC attualmente in uso nella pratica clinica sarebbe appunto imputabile all’introduzione di
altre terapie sempre più mirate ed efficaci, le quali si sono dimostrate in grado di esercitare un effetto di steroido-risparmio; questo giustificherebbe il trend di riduzione dei dosaggi di GC, a sua
volta alla base del contenimento dei rischi terapia
relati.
GC: profilo di sicurezza
Dati provenienti sia da contesti controllati sia da
setting reali parrebbero dimostrare una specifica
relazione dose-dipendente della tossicità GC-relata (43). I GC ad alto dosaggio inoltre dovrebbero
essere considerati alla stregua di altri trattamenti
immunomodulatori biologici e non, per quanto
concerne il rischio infettivo, incluso quello di riattivazione di infezioni latenti (44). Per tale motivo,
al fine di contenere gli effetti collaterali dei GC, oltre a limitarne quanto possibile tempi e dosi somministrate, sono in corso di sperimentazione preparati altamente selettivi nei confronti delle azioni
positive, anti-infiammatorie ed immunomodulatrici dei GC, per lo più mediate da meccanismi molecolari di trans-repressione, e che siano al contempo in grado di limitarne invece gli eventi avversi, principalmente dovuti a meccanismi di transattivazione (45).
GC: step-down
Le evidenze riportate sembrerebbero quindi supportare nel lungo termine l’utilizzo dei GC, purchè
a basso dosaggio. Mancano tuttavia ad oggi evidenze circa la migliore strategia di step down del
trattamento steroideo, nonché della sua eventuale
sospensione. Come affermato nel citato update
2013 delle raccomandazioni EULAR per l’AR, i
Rivisitazione dell'uso dei glucocorticoidi nell'artrite reumatoide
GC dovrebbero far parte del trattamento iniziale
della malattia ed essere ridotti e sospesi non appena possibile; viene quindi indirettamente attribuito loro un ruolo di temporanea terapia ponte in attesa che l’azione del vero trattamento di fondo con
DMARDs esplichi a pieno regime l’effetto terapeutico (23).
Anche nel contesto delle linee guida Italiane proposte dalla Società Italiana di Reumatologia (SIR),
si ribadisce come i GC siano i primi farmaci da ridurre e potenzialmente sospendere in caso di controllo persistente di malattia (46). Quello che tuttavia a oggi non può essere ancora univocamente
suggerito, per mancanza di evidenze scientifiche,
è proprio la modalità più corretta nell’effettuare la
terapia di step down dei GC. A complicare ulteriormente la problematica di sospensione, vi sarebbe inoltre il crescente concetto di “competenza
adreno-corticale” del paziente stesso, ovvero la sua
intrinseca capacità di produzione e di risposta endogena al trattamento con GC. Questo implica che
alcuni pazienti abbiano la necessità di una terapia
cronica con GC, in qualità di vero e proprio trattamento sostitutivo, atto a colmare e compensare una
carenza/insufficienza endogena, implicata nella patogenesi di malattia; in tali soggetti quindi potrebbe non essere possibile né auspicabile la sospensione dei GC (47).
3.
4.
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7.
8.
9.
10.
CONCLUSIONI
Alla luce pertanto di quanto presentato, si può facilmente comprendere come anche nell’era moderna e “futuristica” dei farmaci biologici, trovi ragionevole spazio la ri-considerazione di un vecchio amico, rappresentato dai GC. I limiti e i difetti
di tale trattamento sono stati progressivamente ridimensionati nel tempo, grazie alla comprensione
delle cause sottostanti ed alla opportuna introduzione di atteggiamenti e misure volti a controllarli e limitarli; i pregi ed i vantaggi sono stati via via
ri-scoperti ed ampliati, al punto tale che a oggi i GC
debbano essere ritenuti parte integrante del trattamento dei pazienti affetti da AR, a fianco di
DMARDs biologici e non.
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Malattie autoinfiammatorie dell'adulto:
diagnosi e terapia
L. Cantarini
Centro di Ricerca delle Malattie Autoimmuni ed Autoinfiammatorie Sistemiche, Unità di Reumatologia, Policlinico Le Scotte,
Università degli Studi di Siena
N
egli ultimi anni lo studio e la caratterizzazione delle patologie autoinfiammatorie sistemiche (MAIS) monogeniche, determinate da mutazioni genetiche in grado di provocare una compromissione dei meccanismi dell’immunità innata,
ha riscosso un sempre maggiore interesse nella comunità scientifica (1). Nella maggior parte dei casi il sintomo più costante è rappresentato dagli episodi febbrili ricorrenti, variabilmente associati a
flogosi a carico delle articolazioni, delle membrane sierose, della cute, dell’intestino, ma anche di altri organi. Negli ultimi anni l’interleuchina (IL)-1
si sta dimostrando centrale nella patogenesi di tutte le più conosciute malattie autoinfiammatorie,
anche quando le mutazioni sottostanti non sembrano direttamente collegabili ai meccanismi di
produzione ed attivazione dell’IL-1 (2).
Fino a qualche tempo fa le MAIS erano ritenute patologie di esclusiva pertinenza pediatrica. Tuttavia, grazie alla migliore conoscenza di queste malattie e ad una più precisa caratterizzazione genetica, è stato possibile identificare le MAIS anche
quando esordivano in età adulta (3). La diagnosi
differenziale delle malattie autoinfiammatorie risulta però ancora oggi problematica sia perchè non
sono ancora disponibili protocolli diagnostici universalmente accettati, sia perché la maggior parte
dei pazienti con caratteristiche cliniche suggestive
restano senza una diagnosi genetica. In aggiunta,
le differenze cliniche riscontrabili tra i pazienti pediatrici e i pazienti adulti come anche l’identificazione e la migliore caratterizzazione nell’adulto di
entità cliniche appartenenti al mondo delle MAIS
poligeniche, quali la sindrome PFAPA (Periodic
Fever, Aphtas, Pharyngitis and cervical Adenopathies) e la malattia di Behcet, concorrono a rendere l’iter diagnostico ancora più tortuoso (3-5). Al
fine di ovviare a tali difficoltà, sono stati proposti
e validati degli score diagnostici per pazienti adulti o pediatrici tali da permettere l’individuazione
dei pazienti con alta probabilità di essere portatori
di mutazioni in base alle manifestazioni cliniche (68). Ciononostante, ad oggi la diagnosi di MAIS resta ancora clinica e non necessita obbligatoriamente della presenza di mutazioni a carico dei geni responsabili della regolazione dell’immunità innata. In particolare, la diagnosi di febbre Mediterranea familiare (FMF), è possibile anche solo mediante l’applicazione di criteri diagnostici universalmente accettati e di cui quelli di Tel Hashomer
sono ad oggi i più impiegati a livello mondiale (9).
Dal punto di vista terapeutico, l’impiego dei farmaci biotecnologici ha permesso una gestione soddisfacente di questi pazienti. In particolare, mentre in passato l’inibizione del TNF rappresentava
la pietra miliare della terapia, oggi anche gli antagonisti dell’IL-1 si sono dimostrati efficaci nella
maggior parte delle MAIS, come nel caso delle
sindromi periodiche associate a criopirina (CAPS),
dovute a mutazioni a carico del gene NLRP3, la
FMF e la sindrome associata a mutazioni del recettore del TNF (TRAPS). L’inibizione dell’IL-1,
in questi pazienti, ha permesso un ottimale remissione della sintomatologia e degli indici di flogosi, ma anche il controllo delle più temibili complicanze legate alle MAIS, prima tra tutte l’amiloidosi
sistemica reattiva.
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L’anemia nelle malattie reumatiche
M. Scarpellini
U.O.C. Reumatologia Ospedale “G.Fornaroli” Magenta (MI)
L’
anemia è un aspetto ematologico spesso presente nelle malattie reumatiche, ne può costituire la concausa, l’effetto o essere associata.
Conoscerne i tipi, la patogenesi è indispensabile per
la diagnosi e quindi la giusta terapia.
Si può classificare in 4 gruppi:
1° gruppo
- Ridotta eritroblastogenesi
- Eritroblastopenia congenita
- Eritroblastopenia acquisita
- Anemia da insufficienza renale
2° gruppo
- Ridotta eritrogenesi (eritropoiesi inefficace)
- Carenza vit. B12 o folati (anemie megaloblastiche)
- Anemie diseritropoietiche congenite
- Anemia saturnina
3° gruppo
- Ridotta sintesi emoglobinica
- Talassemie
- Carenza di ferro
- Anemia associata a flogosi
- Carenza di vit. B6
- Carenza proteica grave
4° gruppo
- Ridotta sopravvivenza eritrocitaria (emolisi)
- Alterazioni dell’eritrocita
- Emolisi immune
- Emolisi meccanica
ANEMIA
MECCANISMo PATo g ENETICo
Anemia associata a infiammazione cronica (AIC)
Appartiene al III gruppo, scompare solo qualora la
malattia che ne ha condizionato l’insorgenza va in-
Eritroblasto genesi
Eritrocito formazione
Sintesi emoglobinica
Sopravvivenza
eritrocitaria
I gruppo
II gruppo
III gruppo
IV gruppo
Difettiva
Normale
Normale
Normale
Normale
Difettiva
Normale
Normale
Normale
Normale
Difettiva
Normale
Normale
Normale
Normale
Difettiva
contro a remissione clinica o almeno a miglioramento dei parametri di flogosi. È anche la più frequente.
La eziopatogenesi è complessa e ancora non completamente chiarita. Le Cause fondamentali sono:
il ridotto apporto di ferro all’eritrone midollare,
l’insufficienza eritropoietinica relativa, l’inibizione dell’attività eritropoietica.
Le caratteristiche principali sono: valori di Hb 8 9 gr %, è solitamente normocitica e/o ipocromica
(raramente microcitica, solo se di lunga durata).
Ireticolociti sono normali o ridotti. La sideremia
moderatamente ridotta. La transferrinemia insatura è normale/ridotta, la ferritinemia normale o aumentata, l’eritropoietina bassa, impropriamente rispetto all’entità dell’anemia.
L’esame del midollo evidenzia un’eritropoiesi
quantitativamente normale-ridotta, con rallentamento della curva di maturazione. Negli istiociti si
osserva un accumulo di emosiderina (Pearls). Vi è
un’alterazione dell’omeostasi del ferro con aumentata captazione e ritenzione del ferro da parte
delle cellule del sistema reticolo endoteliale, verosimilmente entra in gioco l’ossido nitrico con conseguente riduzione della disponibilità del ferro dei
progenitori eritroidi ed eritropoiesi inefficace (ironrestricted). L’apoptosi delle stem cell midollari, tramite signaling pathways, contribuisce all’AIC, anche se a livello articolare è protettiva distruggendo ad es. macrofagi, fibroblasti sinoviali e linfociti.
La diagnosi differenziale si pone con l’anemia da
carenza di ferro (IDA). Si segnala l’importanza
della frazione glicosilata della ferritina. In soggetti sani il 50-80% della ferritina è glicosilata e protegge dagli enzimi proteolitici. Nelle malattie infiammatorie croniche la saturazione dei meccanismi di glicosilazione causa diminuzione della frazione glicosilata della ferritina del 20-50%.
Il recettore solubile della transferrina (sTfR) è stato introdotto insieme al rapporto sTfr/log ferritina
per differenziare tra AIC e IDA, dato che non viene influenzato da sesso ed età. Se la ferritina è >90
L’anemia nelle malattie reumatiche
ng/ml non può essere un’IDA.
Nell’Anemia delle malattie croniche vi può essere
un aumento della IL6. La IL6 stimola l’espressione epatica dell’epcidina (proteina della fase acuta)
che inibisce l’assorbimento intestinale del ferro,
induce l’espressione della ferritina e rallenta il rilascio del ferro da parte dei macrofagi, causando
iposideremia. L’epcidina (peptide iron-regulating)
gioca un ruolo centrale nella regolazione
dell’omeostasi del ferro. È prodotta dagli epatociti in risposta alla IL6, in particolare tramite la IL6
- gp130 - pathway. Interagisce in senso inibitore
con la principale proteina che esporta il ferro, ovvero la ferroportina. Si può anche riscontrare un aumento IL 10.
La IL10 regola l’espressione del recettore della
transferrina, aumentando la captazione del ferro-legato alla transferrina nei monociti, induce l’espressione della ferritina e stimola l’accumulo e la ritenzione del ferro da parte dei macrofagi. Questo
meccanismo porta alla riduzione della concentrazione del ferro circolante e quindi a una ridotta disponibilità di ferro per gli eritrociti.
L’anemia infiammatoria e malattie reumatiche
(AIC) è considerata la più frequente causa di anemia nelle malattie reumatiche. Secondo i dati disponibili l’AIC è presente dal 30% al 70% dei pazienti con AR. L’anemia si sviluppa lentamente,
spesso nel primo mese, e in genere è correlata
all’attività di malattia. L’AIC è normalmente di
medio grado e non progressiva con riduzione del
ferro plasmatico, riduzione della TIBC, riduzione
dei sideroblasti midollari, normale o aumentato il
ferro a livello del reticoloendotelio, la cosiddetta sideropessi istioide. La diagnosi talora può esser difficoltosa, specie quando sono presenti nello stesso
paziente varie morbilità e/o concause. L’esame del
sangue midollare è ovviamente l’esame di certezza. Le Patologie reumatiche più frequentemente
associate a AIC sono: l’artrite reumatoide, le connettiviti, la Fibrosi retroperitoneale, la Policondrite ricorrente, il Morbo di Still, le Vasculiti, l’Amiloidosi secondaria, le Sindromi da immobilizzazione. La terapia marziale dell’AIC per os o e.v.
inefficace perché non è una reale carenza di ferro.
Può essere necessaria una eventuale emotrasfusione o l’eritropoietina ricombinante in casi selezionati, utilissima la terapia mirata con DMARDS,
farmaci biologici, rarissimamente il trapianto.
L’artrite reumatoide rappresenta il modello
dell’AIC in quanto l’anemia si correla alla severità di malattia, se si corregge l’anemia il paziente risponde meglio alle successive terapie.
23
È presente nel 30-70% dei casi, in genere nelle forme gravi. Rappresenta il classico esempio di anemia da infiammazione cronica. Altre cause possono essere: l’eritrofagocitosi intragangliare o intrasinoviale, l’emodiluizione moderata, la sideropenia
da emorragia digestiva da FANS, l’insufficienza
midollare da terapie “di fondo” (sali d’oro, MTX,
azatioprina, ciclofosfamide per citarne alcune. Una
delle cause dell’anemia nell’AR è legata ad un aumento dell’apoptosi delle cellule eritroidi del midollo osseo. Anche per questo si può sottolineare
un miglioramento dell’anemia con la terapia con
anticorpi anti-TNF.
Sindrome Sjogren
Vi può essere anemia nel 20%, di cui severa solo
4%: nel 93% normocromica normocitica (anemia
likely immune-mediated, 4% microcitica, 3% macrocitica. Nei 2/3 la causa era correlata alla sindrome e non ad altre cause chiaramente definite.Nessuna emolisi riscontrata (test di Coombs positivo). Nella Sindrome di Sjögren associata
all’anemia vi è spesso l’interessamento renale, vasculitico, neurologico, crioglobulinemia e ipocomplementemia.
L’Anemia emolitica autoimmune cronica si correla alla presenza di anticorpi caldi (incompleti, IgG
e IgM) da disreattività, ipocomplementemia. Può
associarsi a Connettiviti, Sindromi linfo-proliferative quali LLC, LH o LNH, mieloma, sindromi
mielo-proliferative (mielofibrosi idiopatica), Infezioni, Epatopatie croniche, neoplasie solide maligne e benigne, rettocolite ulcerosa, m. di Crohn,
anemia perniciosa.
Lupus eritematoso sistemico
Per l’anemia in questa patologia intervengono meccanismi immunomediati quali l’Anemia emolitica
autoimmune da Anticorpi antieritrociti più complemento (“caldi”), crioagglutinine più complemento (“freddi”), crioglobulinemia, la “Pure red
cell aplasia” (ipoplasia midollare con reticolocitopenia; forse difetti nel microambiente), l’Anemia
farmaco-indotta (antibiotici quali cefalosporine e
penicilline; αmetildopa, ecc.), l’Anemia emolitica
microangiopatica nella quale può sopravvenire una
DIC localizzata come possibile causa con eventuale esito in mielofibrosi. Si può associare a porpora trombocitopenica idiopatica quindi sindrome
di Evans, porpora trombotica trombocitopenica con
febbre, alterazione dello stato mentale, insufficienza renale e piastrinopenia.
Importante in questi casi la presenza di schistoci-
24
M. Scarpellini
ti. L’eziologia è correlata alla presenza di anticorpi IgG contro metalloproteasi responsabili del clivaggio di subunità monomeriche del fattore di von
Willebrand con accumulo di inusuali grandi multimeri del fattore stesso quindi adesione piastrinica e formazione di microtrombi. L’anemia emolitica autoimmune del LES ha un quadro midollare
non omogeneo: la cellularità è normale o ridotta,
verosimilmente legata ai vari gradi di vasculite acuta delle arteriole e dei capillari che irrorano il midollo osseo. Si osserva una diseritropoiesi, megaloblastosi, ipoplasia con grandi istiociti con inclusioni intracitoplasmatiche positive al ferro, numerose plasmacellule, corpi di Russell, eritroblasti e
megacariociti con anomalie nucleari e possibile aumento degli eosinofili. Gli anticorpi antieritrociti
nel LES sono Anticorpi caldi IgG 87%, IgG1, IgG2
- IgG3, IgG4 (raro), IgA, IgM. Sono capaci di fissare il complemento, la base cellulare per l’AEAI
nel LES è divisa in cellule responsabili della formazione di anticorpi antieritrociti, la regolazione di
queste cellule formanti-anticorpi da parte di T-linfociti, monociti, e idiotipi e cellule capaci di distruggere gli eritrociti rivestiti da anticorpi. La terapia farmacologica con steroidi e/o la splenectomia riescono alla fine a ristabilire il normale controllo dei meccanismi immunologici ma non ad eliminare le cellule responsabili della distruzione del
complesso antigene (eritrocito) - anticorpo. È stata dimostrata una riduzione dei T-suppressor. Alcuni studi hanno mostrato l’importanza di geni che,
interferendo nello sviluppo di cloni di cellule B autoreagenti, riducono l’apoptosi cellulare e potenziano l’emolisi. In alcuni topi (NZB) l’anemia
emolitica avviene per la delezione clonale di cellule B autoreagenti nel midollo osseo e nei linfonodi. I linfociti sono sequestrati senza esporsi
all’antigene “self” eritrocitario e quindi si espandono, con conseguente attivazione degli altri antigeni vicini, esitando in AEAI, tramite le cellule Thelper. È stato anche descritta una significativa associazione con gli anticorpi antifosfolipidi (specie
se IgM), ma non è possibile ancora dire se uno sia
la causa o l’effetto della formazione dell’altro, o se
si tratti di una cross-reazione.
SINDRo ME DA ANTIFo SFo LIPIDI
È un’anemia emolitica, associata a emicrania,
ischemia cerebrale, valvolopatia mitralica e/o aortica, tromboembolia, aterosclerosi accelerata, sclerosi sistemica progressiva.
È un’anemia emolitica microangiopatica (43%)
con schistociti, normocromia, reticolocitosi responsabile della crisi renale e quindi plasmaferesi.
Meno frequentemente può essere iposideremica
(watermelon stomach) spesso associato a cirrosi
biliare primitiva, ipotiroidismo autoimmune e Sindrome di Sjögren. Può anche aggiungersi una carenza di vit. B12 e folati.
Fascite eosinofila
Possiamo riscontrare nella maggior parte dei casi
un’anemia aplastica, in minor misura un’anemia
aplastica con piastrinopenia, aplasia totale, anemia
da sindromi linfo-mieloproliferative quali la leucemia mielomonocitica, il Linfoma di Hodgkin, la
leucemia linfatica cronica e la micosi fungoide
inoltre l’anemia emolitica con autoanticorpi.
Policondrite ricorrente
In genere vi è un’anemia diseritropoietica semplice oppure un’anemia con eccesso di blasti o sideroblastica, associata a leucemia mielomonocitica,
a linfoma, timoma, a malattia di Castleman.
CONCLUSIONI
L’anemia è una condizione importante per la diagnosi e la cura delle malattie reumatiche.
L’eziologia è multifattoriale e talora molto complessa. Le nuove terapie e le biotecnologie possono aiutare a migliorare la prognosi e la compliance del Paziente reumatico anche con anemia.
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