L`amore dei nemici. Già nei Vangeli una censura a

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L`amore dei nemici. Già nei Vangeli una censura a
L'amore dei nemici. Già nei Vangeli una censura a Gesù
di Giuseppe Barbaglio
in “bozze 85” n. 4 del luglio/agosto 1985
La categoria di nemico presenta un vasto ventaglio di applicazioni. Sia pure con un certo
schematismo, si può parlare di nemico personale o privato, di nemico nazionale o pubblico, di
nemico di religione o di nemico di classe. Essa incide sui rapporti che intercorrono tra persone, tra
Stati, tra comunità religiose, infine tra ceti sociali o caste. A questi diversi livelli, corrispondono
determinati atteggiamenti e comportamenti. In ambito personale l'inimicizia si coniuga, di regola,
con l'odio; l'inimicizia tra Stati sfocia normalmente nella guerra, fredda o guerreggiata; tipica
dell'inimicizia religiosa invece è la polemica verbale o anche la persecuzione; i nemici di classe poi
si battono tra di loro in vario modo.
Oggi noi siamo confrontati particolarmente con il problema politico della contrapposizione tra Est
ed Ovest, cioè tra due sistemi contrari, dotati di armi micidiali. Ma, forse, ancor più drammatica, se
vista in profondità, appare la divisione tra Nord e Sud, cioè tra nazioni ricche e popoli poveri sino
alla miseria. Il risorgente massimalismo musulmano in Iran, d'altra parte, ripropone, in versione
aggiornata, l'ideale della guerra santa, condotta in nome di Allah contro gli infedeli. La lotta di
classe, infine, ha conosciuto ultimamente in Italia una stagione di piombo.
la categoria della “nemicità”
In proposito sono stato molto colpito da una dichiarazione di Valerio Morucci, rilasciata al processo
contro le Brigate Rosse, in cui il dissociato, rifacendosi a quelle esperienze terribili, parlava della
«nemicità» dello Stato capitalistico e borghese nonché dei suoi «servi», meritevoli per questo di
essere annientati: salvo poi a scoprire, con stupore, che si tratta di uomini normali e comuni, come i
poliziotti, che non incarnano, certo, l'archetipo della «nemicità», come si è appreso dalle confessioni
di un brigatista, sempre al processo contro le Brigate Rosse di recentissima data.
Ora, come muoverci in questa situazione che ci vede, volenti o meno, coinvolti, se non vogliamo
esiliarci da questo nostro mondo? Con quali punti di riferimento costruirci una matura convinzione
e dar vita, in noi, ad atteggiamenti e comportamenti responsabili? A questo scopo sono
perfettamente cosciente che non basta l'ascolto di una sola voce, sia pure la più autorevole che ci
sia, tanto complesso è il quadro che ci sta di fronte e nel quale siamo e molteplici i fattori da
esaminare e ponderare. Nel coro polifonico, comunque, non ci sembra inutile riascoltare la parola di
Cristo, ripensare al suo comandamento: « Io vi dico: Amate i vostri nemici ». Una parola antica,
eppure provocatoria.
Procederò sfruttando le risorse del metodo storico-critico, capace di gettare fasci di luce su un
pronunciamento di Cristo, trasmesso non direttamente dal suo autore, bensì dalle prime comunità
cristiane, non senza interpretazioni e adattamenti.
l'amore dei nemici nelle due versioni di Matteo e di Luca
1. Il primo evangelista ci ha conservato il comandamento di Cristo in forma antitetica: «È stato
detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, pregate
per i vostri persecutori» (Mt. 5, 43-44). Segue la promessa della figliolanza divina: «Così sarete
figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e
sugli empi» (5, 45). Matteo continua specificando che l'amore dei nemici caratterizza e qualifica il
comportamento dei credenti in Cristo di fronte a quello dei pubblicani e dei peccatori pubblici che si
limitano ad amare gli amici, aggiungendo il motivo della ricompensa celeste: «Infatti se voi vi
limitate ad amare quelli che vi amano, quale ricompensa meritereste? Anche i pubblicani si
comportano così. E se riservate i vostri saluti ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario: anche i
pagani si comportano così» (5, 46-47). L'evangelista conclude l'antitesi con un'esortazione che è
riassuntiva del senso del comandamento di Cristo, ma anche di tutte le antitesi precedenti: « Siate
,
dunque perfetti come perfetto è il vostro Padre celeste» (5, 48). Perfezione intesa qui come integrità
d'azione.
In Luca 6, 27-36 si notano alcune differenze di rilievo. Anzitutto, il comandamento di Cristo è
riportato in forma non antitetica: «Ma io dico a voi che mi ascoltate: Amate i vostri nemici» (v. 27).
La specificazione matteana del comandamento di Cristo dell'amore dei nemici: «pregate per i vostri
persecutori», viene sviluppata in Luca che all'imperativo di Cristo «amate i vostri nemici» fa
seguire, come concretizzazioni, tre altri imperativi: «Fate del bene a quelli che vi odiano, benedite
coloro che vi maledicono, pregate per quanti vi maltrattano» (vv. 27-28). Il terzo evangelista ha così
modo di abbinare al comandamento dell'amore dei nemici quello della resistenza passiva alla
violenza, che Matteo riporta in una antitesi precedente: «È stato detto: Occhio per occhio, dente per
dente. Ma io vi dico ...» (Mt. 5, 38-42). Ecco il testo di Luca: «A chi ti colpisce su una guancia,
presenta anche l'altra; a chi ti toglie il mantello, non rifiutare la tunica. Da' a chi ti chiede e a chi
prende del tuo non reclamare alcuna restituzione» (vv. 29-30).
A questo punto Luca riporta la cosiddetta «regola d'oro»: «Ciò che volete che gli uomini facciano a
voi, fatelo ad essi» (v. 31), conservata anche da Matteo, ma in altro luogo (cf. 7, 12). Quindi Luca,
non diversamente da Matteo, precisa che l'amore dei nemici caratterizza il comportamento dei
credenti in Cristo rispetto all'ovvio comportamento dei peccatori pubblici e dei pagani che si
limitano ad amare e a far del bene agli amici (vv. 32-34).
Poi il terzo evangelista, quasi riprendendo il filo del discorso, ripete il comandamento di Cristo:
«Invece, amate i vostri nemici, fate del bene e date in prestito senza esigere alcuna restituzione» (v.
35). Fa poi seguire la promessa della ricompensa celeste e della figliolanza divina: «La vostra
ricompensa sarà grande e sarete i figli dell'Altissimo, poiché egli è benevolo (chrestos) verso gli
empi e i malvagi» (v. 35b).
Infine, conclude il brano con un'esortazione generale di Cristo, simile alla conclusione di Matteo:
«siate misericordiosi come lo è il vostro Padre» (v. 36).
l'originaria parola di Gesù
Non intendo dilungarmi oltre nell'analisi; mi basta dire —ed è ciò a cui intendo giungere — che dal
confronto delle due versioni evangeliche si può tracciare la genesi di questi testi e risalire, con
probabilità più o meno grande, all'originaria parola di Gesù. Per farla in breve, questa doveva essere
priva della forma antitetica, aggiunta da Matteo, e senza le varie specificazioni in cui si presenta in
Matteo («pregate per i vostri persecutori») e in Luca («fate del bene a quelli che vi odiano,
benedite coloro che vi maledicono, pregate per quanti vi maltrattano»). Pure l'abbinamento della
parola di Cristo all'esortazione di non opporsi alla violenza con la violenza, proprio di Luca, si
rivela un elemento da attribuire al lavorio interpretativo della comunità cristiana primitiva. Invece,
il comandamento originario di Cristo doveva essere seguito, sul piano motivazionale, dalla
promessa della figliolanza divina: « Sarete così figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo
sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli empi ».
Abbiamo dunque, a livello Gesù, la seguente lineare struttura: formalizzazione del comandamento e
sua motivazione.
2. Ciò che ha detto Gesù di Nazaret.
a) « Io vi dico: Amate i vostri nemici » - Formalmente il comandamento riposa sull'autorevolezza
della parola di Gesù. Egli non fa riferimento ad alcuna autorità legiferante estranea, né si appoggia
alla parola dell'Antico Testamento o a tradizioni venerande. Si differenzia qui dai rabbini del tempo,
che si limitavano a interpretare il testo della legge mosaica, rifacendosi per di più all'insegnamento
orale dei grandi maestri del passato. Ciò che egli dice ha valore in quanto detto da lui. Il
comandamento dell'amore dei nemici si presenta come una parola nuova, più precisamente come
una nuova rivelazione di Dio mediata da Cristo. L'accettazione del suo comandamento implica,
dunque, l'accettazione della sua persona, rivelatore definitivo di Dio e del volere divino.
Anche dal punto di vista del contenuto, il comandamento appare nuovo. Evidentemente il confronto
spontaneo è con il comandamento mosaico espresso nel Levitico 19,18: « Amerai il tuo prossimo »,
vale a dire il connazionale e il correligionario, anche lo straniero che abita in Israele e vi è in
qualche modo integrato. Gesù supera questa limitazione quantitativa e qualitativa: nell'ambito
dell'amore da lui comandato entrano tutti, indistintamente, il prossimo e il lontano, il simile e
l'«altro». Il comandamento dell'amore dei nemici, visto in tale comparazione, vuol dire esattamente
il comandamento di un amore indiscriminato e indiscriminante. Ogni barriera è rovesciata,
abbattuto ogni muro separante.
Gesù abolisce il nemico, nega la “nemicità” e cancella la discriminante
soggettiva tra “prossimo” e “non prossimo”
Si badi bene: non è che Gesù, quasi con bacchetta magica, tolga di mezzo le diversità e le obiettive
alterità tra gli uomini. Il suo obiettivo è puntato sulla «nemicità» come categoria esistenziale e
soggettiva che discrimina tra il prossimo e il lontano, il connazionale e lo straniero, il
correligionario e chi è di altra o di nessuna religione, coloro che appartengono al proprio ceto
sociale e quelli che vi stanno sopra o sotto. Propriamente egli vuole abbattere l'alterità eretta a
privilegio sprezzante o ad handicap umiliante.
In proposito si veda il contesto vitale in cui egli ha raccontato la parabola del buon samaritano (cf.
Lc. 10, 29-37). Alla domanda di un rabbino che lo interrogava, a proposito del comandamento
dell'amore del prossimo, chi fosse il prossimo, egli rispose su un altro livello: chi si dimostra
prossimo all'altro. La categoria spaziale-ideologica del prossimo che implica, per se stessa, una
discriminazione più o meno vasta, diventa, nella sua parabola, un imperativo etico ed esistenziale
ineludibile: farsi prossimo a chiunque ha bisogno di noi e incrocia il cammino della nostra
esistenza.
Parimenti, la categoria di nemico, che abbraccia tutti coloro che, per un qualsiasi motivo, non ci
sono prossimi, cede il posto, in Cristo, all'esigenza etica che ci comanda di non trattare nessuno da
nemico.
In breve, nel comandamento di Cristo gli uomini sono equiparati, tutti ugualmente oggetto di
amore.
Da questo punto di vista, ci sembra errato distinguere nella parola di Gesù tra inimicus e hostis,
affermando che vi rientra la prima categoria (il nemico personale e privato), mentre la seconda (il
nemico pubblico e politico) resta escluso. Così, in realtà, impostava il problema l'interrogante che
chiedeva a Gesù chi è il nostro prossimo; mentre Gesù ragionava sulla «prossimità» e «nemicità»
come esperienza soggettiva, propria delle persone, di ogni persona, chiamata ad assumere
determinati atteggiamenti verso gli altri. In una parola, «i vostri nemici», oggetto del
comandamento dell'amore di Cristo, è un'espressione onnicomprensiva nel suo genere e non
ammette distinzioni al suo interno.
L'amore di cui parla Gesù riguarda sia il nemico pubblico che privato,
non è un amore sentimentale ma fattivo, non consiste nel “sentire” ma
nel “fare”
Amore indiscriminato e indiscriminante dunque: ma in che senso Gesù parla di amore? Già la
tradizione biblica manifesta una comprensione «fattiva» o «prassistica» del verbo amare, applicato
al comandamento dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo. In altre parole, è assente il senso
affettivo, psichico, «sentimentale» di amore, inteso piuttosto come un fare: fare la volontà di Dio,
nel primo comandamento; fare del bene all'altro, nel secondo comandamento che però è pari al
primo, come disse ancora Gesù (cf. Mc. 12, 28 31 e parr.). E che il suo comandamento di amore sia
da comprendere in questo senso «poietico» risulta in modo irrefutabile dall'atteggiamento esemplare
di Dio che fa sorgere il suo sole su tutti gli uomini e fa piovere su tutti. Amore benefico quello del
Padre celeste; non diverso l'amore per tutti gli uomini, anche per i nemici. Senza dire della parabola
del buon samaritano e del suo «amore» esemplare che è consistito nel soccorrere l'altro, il diverso, il
giudeo che giaceva ferito sulla strada. In breve, si tratta di un amore comandabile e comandato.
Gesù si rivolge non tanto al cuore (cui non si può comandare), ma alla volontà e alla operosità
umana, alla nostra responsabilità di soggetti operativi.
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La motivazione: anche Dio fa così. Ed è imitando il Padre che gli uomini
diventano figli di Dio
b) «Sarete così figli del vostro Padre celeste ... ». Propriamente ci troviamo davanti a una promessa
o a una conseguenza derivante dall'osservanza del comandamento. In realtà, qui Gesù motiva e
giustifica la sua parola. Da una parte, egli prospetta l'immagine di un uomo chiamato a diventare
figlio di Dio e, dall'altra, disvela l'immagine del Padre celeste che ama indiscriminatamente e
imparzialmente gli uomini. Tra le due immagini, comunque, c'è perfetta correlazione: il figlio di
Dio a somiglianza del Padre celeste e del suo operare.
Non sembra inutile sottolineare subito l'originalità della prospettiva antropologica di Gesù rispetto,
per esempio, alla teologia paolina e giovannea. Questa intende la figliolanza divina degli uomini
come evento di grazia che fa dei credenti i figli di Dio, capaci, nello Spirito, precisa Paolo,
assumendo però un dato della più antica tradizione cristiana palestinese, di chiamarlo e invocarlo
come Abbà! (papà!), con tutta familiarità (cf. Gal. 4, 6 e Rom. 8, 15). Gesù invece parla di
figliolanza divina come programma di vita. Egli sollecita i suoi ascoltatori a farsi figli di Dio,
amando tutti gli uomini, anche i nemici. Si ricollega al filone sapienziale dell'Antico Testamento
che conosceva questo motivo. Si veda, per esempio, il passo di Siracide 4, 10, che conclude un
brano dedicato alla carità verso i poveri: «Sii per gli orfani un padre e come un marito soccorri le
vedove. E sarai come il figlio dell'Altissimo ...».
Anche l'immagine religiosa di Dio, presente in Gesù, a prima vista presenta connotati tipici della
tradizione biblica: colui che manda i raggi benefici del sole sulla terra e dona la pioggia
fecondatrice. Un'immagine di carattere creazionistico, che però Gesù applica in modo
assolutamente originale. L'indiscriminata generosità di Dio creatore era infatti vista in termini
problematici, anzi scandalosi, dalla tradizionale riflessione sapienziale ebraica: come è possibile che
Dio sia benefico e provvido verso quelli che giusti non sono, non vivendo secondo la sua volontà?
Ne va della sua giustizia di retributore! I teologi ebraici, di fatto, si sono intensamente occupati di
tale problema di teodicea, negando che il suddetto comportamento costituisca la regola in Dio.
Alcuni vi hanno visto un atteggiamento temporaneo, cui sarebbe seguito il dovuto castigo verso gli
ingiusti. Altri hanno distinto tra benefici temporali e doni spirituali ed eterni: certo, Dio creatore è
benefico verso tutti, donando loro i beni terrestri, ma riservando i beni spirituali ai giusti.
Soprattutto, la soluzione è stata cercata in prospettiva ultraterrena: gli ingiusti, beneficati da Dio
quaggiù, saranno castigati oltre le barriere della morte.
Nel dono divino indiscriminato del sole e della pioggia, invece, Gesù scorge non un problema di
teodicea, bensì la epifania mondana di una connotazione saliente di Dio, del suo Dio, tipica anche
dell'intervento divino storico-salvifico, e che egli innalza a metro normativo del comportamento
umano. Così è Dio ed a sua somiglianza devono essere gli uomini che in Cristo ne accolgono il
disvelamento. È la stessa figura divina che emerge nelle parabole della misericordia, tramandate in
Luca 15: colui che fa festa in cielo per il ritrovamento della pecora perduta e che accoglie a braccia
aperte il prodigo. Non diverso il volto del Dio di Gesù Cristo, risplendente nell'iniziativa di
quest'ultimo che, con grande scandalo dei puri e dei giusti, si sedeva alla tavola dei pubblicani e dei
peccatori pubblici (cf. Mc. 2, 13 17 e par.), meritandosi il nomignolo di amico loro (cf. Mt. 11, 19):
proprio in cattiva compagnia!
In Gesù dunque la rivelazione divina nella natura corrisponde alla rivelazione divina nella storia:
colui che fa sorgere il suo sole su tutti e fa piovere senza discriminare nessuno, è identico al Padre
di Gesù Cristo che imparzialmente chiama alla salvezza tutti, su piede di parità, cioè alle stesse
condizioni.
Il comandamento dell'amore dei nemici si trova perciò inquadrato al centro dell'esperienza religiosa
di Gesù. Esso prende senso dalla specifica immagine divina presente in lui: il Padre che in maniera
indiscriminata e senza parzialità opera nella natura e nella storia. Un'immagine capace di
determinare la sua identità personale di figlio di Dio, chiamato a rivelarla a parole e a fatti, e
l'identità di quanti, accettandone la parola, vogliono farsi figli di questo Dio.
Mi sembra utile soffermarci un attimo su tale motivazione religiosa o teologica del comandamento
di Cristo. Questi non fa appello a motivi di carattere umanistico, come per esempio erano soliti fare
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gli stoici, che si appellavano alla comune natura umana per fondare un atteggiamento di
benevolenza verso gli schiavi (cosí Seneca, in particolare). Ciò che invece spinge Gesú a comandare
l'amore dei nemici non è il valore della persona umana, la sua dignità immanente, bensì il
comportamento di Dio verso gli uomini, siano essi giusti o empi. Dunque una fondazione
rigorosamente teologica del comandamento dell'amore dei nemici.
La prima comunità cristiana ha operato un primo restringimento della
prospettiva aperta da Gesù.
3. L'interpretazione delle comunità cristiane primigenie.
Essa emerge dalle versioni di Matteo e di Luca. Le comunità cristiane delle origini hanno applicato
la parola di Gesù, confessato come risorto, a se stesse, portando a termine un processo di
restringimento della prospettiva illimitata di Gesù. Il suo comandamento diventa un comandamento
indirizzato specificatamente ai credenti. Restringimento dei destinatari della parola di Cristo, ma
anche, conseguentemente, restringimento del ventaglio di applicazione della categoria di nemico. Si
tratta ora del nemico di religione, che dall'esterno si mostra ostile verso i membri del movimento di
Gesù, o anche del nemico personale.
Se Gesù guardava all'abbattimento delle barriere, chiamando ad abbattere dentro le persone la
«nemicità», in nome di un Dio che abbatte ogni steccato tra giusti e empi, ora la Chiesa si separa,
ancora una volta, dai pubblicani e dai peccatori, come dai pagani, invocando per sé il
comandamento dell'amore dei nemici.
Ecco dunque spiegate le specificazioni cristiane del comandamento di Cristo: «Amate i vostri
nemici», con l'imperativo a pregare per i persecutori ( = nemici di religione), fare del bene a quelli
che vi odiano, benedire quanti vi maledicono. E ancora, ecco la congiunzione tra comandamento
dell'amore dei nemici e comandamento della resistenza passiva alla violenza.
La Chiesa non continua a rendere testimonianza al «sogno» utopico di Gesù che, alla luce
dell'immagine del Padre suo, guardava all'umanità come a un mondo pacificato e riconciliato al suo
interno, in cui fosse bandita la «nemicità».
Forse la comunità cristiana primitiva non poteva fare altro. Resta comunque assodato il fatto, qui
come in altri esempi della tradizione evangelica, che essa si è ritagliata su misura la parola di Gesù.
Un'operazione riduttrice che non deve, in ogni modo, far dimenticare l'orizzonte ben più ampio
presente nel comandamento del suo Signore, che non cessa di costituirsi istanza critica nei confronti
di interpretazioni parziali.