Prendiamoci cura del prossimo (Lc 10,25-37)

Transcript

Prendiamoci cura del prossimo (Lc 10,25-37)
CESTA DEI CENACOLI 2015-16
“ La tua misericordia, Signore, si estende
di generazione in generazione ” (Lc 1,50)
III. AGIAMO COME DISCEPOLI MISERICORDIOSI,
ALLA SEQUELA DI CRISTO GESÙ
16. Prendiamoci cura del prossimo (Lc 10,25-37)
di SALVATORE TOSTO
Al vers. 51 del capitolo 9 del vangelo di Luca sta scritto: “mentre stavano
compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso
Gerusalemme”, siamo, quindi, ad una svolta decisiva nella vita di Cristo: Gesù prende la
decisione di intraprendere quel viaggio che lo condurrà dalla Galilea alla città santa,
Gerusalemme, dove si compirà il suo mistero. Lungo tutto questo viaggio Gesù parla della
misericordia di Dio e, in questo quadro, pone al culmine del suo insegnamento il
comandamento dell'amore che riassume tutta la Legge. (Mt. in 22,40). Infatti al dottore della
Legge che, provocatoriamente, vuole sapere da Gesù cosa deve fare per ereditare la vita
eterna Egli non dà la risposta, ma ribatte con un'altra domanda su cosa dice la Legge in
proposito. L'interlocutore risponde, citando due brani dell'Antico Testamento: 1) Dt.6,5
“Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza,
e aggiunge Luca, con tutta la tua mente”, indicando così l'uomo nella sua totale integrità, 2)
Lv.19,18 “e il prossimo tuo come te stesso”. Gesù si complimenta per l'esatta citazione e lo
invita a fare quello che lui ha dato prova di sapere molto bene, perché ciò che conduce alla
vita non è il sapere quale è il comandamento più importante, ma il metterlo in pratica.
Questo piccolo dialogo con il dottore della Legge mette bene in evidenza anzi, lo anticipa,
quello che Gesù più avanti afferma: “non sono venuto per abolire la Legge, ma per portarla
a compimento”. Il dotto fariseo si accorge di aver fallito l'obiettivo di imbrigliare Gesù ed
allora chiede di conoscere un concetto più chiaro di prossimo e sapere quali sono i limiti
della carità. Notiamo che i due comandamenti citati in Dt.6,5 e Lv.19,18, l'amore di Dio e
l'amore del prossimo, sono uniti dallo stesso verbo “amerai” come se fosse lo stesso
comandamento e l'interlocutore di Gesù riscopre in essi il cuore della Legge, quella Legge
che con i suoi 613 precetti rabbinici ha tolto la possibilità al popolo di Dio di sapere chi
deve amare. Gli altri, gli stranieri, chi è diverso da loro per razza, condizione sociale o
religiosa sono motivo di contaminazione, di impurità e ciò ha fatto innalzare barriere. Gesù
ancora una volta contravviene al dettato della Legge con le sue idee e i suoi comportamenti,
1
rivoluzionari per l'epoca, che mettono in discussione proprio quei 613 precetti rabbinici
(vedi i miracoli nella giornata di sabato, farsi toccare dalla peccatrice ecc.) e racconta la
notissima parabola del samaritano. Più rivoluzionario di così! Proprio un samaritano. Gli
odiati vicini della Samaria, ebrei anche loro, ma che i Giudei consideravano ormai
contaminati dalle popolazioni straniere deportate dagli Assiri nel 721 a.C., quindi gente
impura ai loro occhi e visti come acerrimi nemici perché non riconoscevano il primato del
Tempio di Gerusalemme. Una vera e propria provocazione da parte di Gesù perché, secondo
la mentalità chiusa della classe sacerdotale dirigente di Israele, i samaritani non potevano
essere considerati “prossimo”. Infatti quell'uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico,
dalla città santa, si stava recando, attraverso una zona desertica irta di pericoli, infestata da
criminali, ribelli, sicari partigiani, zeloti, alla città di Gerico. Una città il cui nome ebraico
ierichò significa luna, cioè una città notturna, una città di peccatori, di ciechi. E' in discesa,
scende dalla città della luce alla città delle tenebre e incappa nei briganti, nelle forze del
male, che lo aggrediscono, lo feriscono profondamente: è quasi morto. Lo spogliano, cioè
gli tolgono la dignità di cui era rivestito prima, lo percuotono con violenza per abbatterlo,
senza dargli la possibilità di rialzarsi; poi lo lasciano mezzo morto. Passa un sacerdote del
tempio, che scendeva anche lui per la stessa strada, passa un levita, ministro inferiore del
tempio, ed entrambi guardano e passano oltre. La parabola, raccontata ad un fariseo, dottore
della legge, cita tutti i responsabili delle classi religiose di Gerusalemme: sadducei, farisei,
zeloti. Sono i rappresentanti della religione ufficiale ebraica, dell'Antico Testamento, che
sono passati accanto all'uomo in condizioni di assoluta disgrazia, ma non sono riusciti a
curarlo, chiusi nel rigore legalistico del rispetto dei 613 precetti da loro inventati che
proibivano la contaminazione con lo straniero o il morto. Invece un Samaritano, che non
scendeva lungo la strada, dalla luce alle tenebre, ma che era in viaggio, evocando in tal
modo il viaggio di Gesù o il cammino verso la salvezza, il disprezzato, l'acerrimo nemico, il
bastardo, lo vide ed ebbe compassione. Non solo, ma questo bastardo straniero compie
anche sei gesti di carità: gli si fa vicino, cioè si fa prossimo a lui, fa sentire la sua vicinanza,
gli fascia le ferite con le bende della salvezza, gli versa il vino, sangue che guarisce le ferite,
e l'olio dello Spirito che santifica. Olio e vino, i simboli sacramentali, elementi che curano le
ferite dell'umanità. E ancora, lo carica sulla bestia da soma, cioè lo solleva dalla condizione
di assoluta impotenza, lo solleva dalle passioni bestiali, lo conduce alla locanda, pandochèion, la casa che accoglie tutti. La casa che accoglie tutti simbolo della Chiesa. I due
denari dati all'albergatore simboleggiano i due Testamenti: l'Antica Legge e i Profeti, e la
Nuova Legge, il Vangelo e le istituzioni apostoliche. Gesù allora chiede al dotto fariseo chi
è stato prossimo al malcapitato. La risposta è ovvia, perché esce spontanea dal cuore
dell'uomo che, se non è ancora caduto nella disgrazia eterna, manifesta sempre la sua natura
proveniente da Colui che tutto ha creato.
2