Dogo Nahawa - CA Dalla Chiesa

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Dogo Nahawa - CA Dalla Chiesa
ISIS “C. A. Dalla Chiesa” Montefiascone
Autore: Leonardo Flamini
Concorso “un mondo a colori”
Dogo Nahawa
Faisal abitava nel villaggio di Dogo Nahawa, poco lontano da Jos nello stato di Plateau nel
cuore della Nigeria; aveva otto anni e spesso si allontanava dal villaggio e saliva sù, sopra
l’altopiano, a contemplare da lì il mondo che lo circondava e a vagare così, nella sua infinita fantasia di bambino.
Dall’alto vedeva la sottostante distesa di terra arida e improduttiva, i cui prodotti a malapena riuscivano a sfamare il villaggio; chiudeva gli occhi, e prima di riaprirli sognava abbondanza di raccolto, così da avere sempre il pane e tante mucche che producessero tanto
latte, così che tutti potessero vivere tranquillamente, senza più provare la morsa della fame.
Faceva parte dell’etnia Berom, a maggioranza cristiana, e spesso c’erano stati dei contrasti con i pastori nomadi musulmani dell’etnia Fulani che si erano stanziati poco lontano dal
loro villaggio.
Il capo di Dogo Nahawa era andato a parlare e a discutere con la guida politica e religiosa
dei Fulani, per accordarsi su alcune questioni per il quieto vivere di ambedue le comunità,
ma fu cacciato violentemente dall’accampamento e così tra le due etnie si creò un clima
di ostilità.
Nei giorni successivi furono uccisi due contadini cristiani, i loro cadaveri furono ritrovati ai
margini del villaggio; i corpi erano stati brutalmente mutilati ed erano pieni di ferite di armi
da taglio, che dimostravano la ferocia e l’odio impiegati nell’uccisione; malgrado si presumesse chi fossero i colpevoli, ufficialmente non si fecero indagini, per la paura di scatenare una vera e propria guerra tra le due etnie.
Dopo questo episodio però, la tensione nella comunità era notevole, tanto che fu proibito
ad ogni cittadino del villaggio di allontanarsi dai confini per questioni di sicurezza personale e dell’intera comunità.
Faisal non comprendeva la gravità della situazione, si poneva domande su domande per
cercare di capire i motivi dell’uccisione di quei due uomini, il motivo di tanta rabbia e ostilità, ma non riusciva a darsi risposte sensate.
Perciò, continuò ad uscire dal villaggio per recarsi lassù, sull’altopiano, nel suo posto segreto, dove poteva osservare e pensare in pace, senza preoccuparsi troppo del pericolo
e delle nuove regole del suo villaggio.
Una sera, verso le quattro, dall’alto del suo rifugio, vide che un folto gruppo di Fulani si
stava dirigendo verso il suo villaggio. Capì subito che qualcosa non andava.
Tornò giù il più velocemente possibile, corse verso le capanne per dare l’allarme del possibile pericolo, ma era già troppo tardi: infatti trovò solo scompiglio, panico e terrore: donne, bambini e uomini che scappavano da tutte le parti, il fuoco, che con le sue alte fiamme,
mangiava le abitazioni di paglia e le misere scorte alimentari, urla e strilli, colpi di fucile e
colpi di maceti che fendevano l’aria.
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ISIS “C. A. Dalla Chiesa” Montefiascone
Fu proprio in quel momento che Faisal capì come cosa era la violenza e la guerra tra etnie: aveva il colore del sangue che scorreva a fiotti, bagnando la terra arida e che sporcava le lame dei maceti, aveva il rumore di mille spari che uccidevano, aveva un’eco terribile
di morte nelle grida angoscianti e nelle voci ansimanti, aveva l’acre sapore di bruciato e la
puzza di polvere da sparo.
In preda alla paura, istintivamente, si diresse verso la sua abitazione chiamando sua madre, ma quando arrivò, trovò solo un mucchio di legna in fiamme e cenere, non c’era traccia dei suoi genitori. Si mise a piangere, buttandosi in terra dalla disperazione, ma poi, istintivamente, fuggì via per salvarsi dalla morte; si rifugiò di nuovo lassù, nel suo nascondiglio e lì aspettò tutto il pomeriggio e tutta la notte, senza chiudere occhio, annichilito dal
terrore per tutti i fatti a cui aveva assistito, che di sicuro, lo avrebbero segnato per tutta la
vita.
Quando al mattino tornò al villaggio vide i corpi inermi dei suoi piccoli amici, delle persone
che conosceva e amava; il villaggio ora era abitato esclusivamente da morti e nell’aria si
respirava ancora l’odore di fumo, unito a quello acre del sangue e a quello nauseante delle
esalazioni dei cadaveri.
Faisal, respirando a fatica, si diresse al centro villaggio, presso il pozzo, che era stato fino al giorno prima il punto di ritrovo di tutta la comunità, si raggomitolò in terra tremante di
paura e lì lo trovarono i soccorsi che giunsero poche ore dopo.
Il bilancio di questa strage religiosa? Cinquecento persone morte. Feriti? Zero. Sopravvissuti? Uno soltanto. Faisal, unico, piccolo testimone della violenza che l’uomo può compiere in nome del fanatismo religioso.
Dogo Nahawa diventò un villaggio fantasma e più nessuno avviò la sua ricostruzione, perché ormai era un posto maledetto, dove la vita era stata sopraffatta dalla morte.
In Nigeria (e aggiungo, in moltissimi altri luoghi del mondo) per questi scontri etnicoreligiosi sono morte fin troppe persone e ancora adesso, ogni giorno, vi sono vittime.
Le istituzioni locali e internazionali, in linea di massima, sono impotenti di fronte al fanatismo religioso. Per cambiare la situazione occorre che le nuove generazioni possano istruirsi, possano frequentare in massa le scuole, perché solo attraverso la cultura si potranno superare l’odio e la diffidenza e i popoli potranno condividere valori come rispetto
della persona umana, tolleranza, convivenza civile, diritto alla libertà religiosa, come previsto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Ma fino a quando ciò sarà realizzato quanti bambini, donne e uomini dovranno morire in nome di una religione o meglio
per mano di fanatici che si professano appartenenti ad una religione?
NOTA: la storia è liberamente ispirata alla cronaca del massacro realmente avvenuto a
Dogo Nahawa nei pressi di Jos l’8 marzo 2010, durante il quale vi furono centinaia di morti
e molti abitanti del villaggio furono costretti a scappare. Altre persone, alcune ustionate, altre mutilate dai machete, furono portate in due ospedali della zona.
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