Cani, camosci, cuculi e un corvo

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Cani, camosci, cuculi e un corvo
LIBRO
IN
ASSAGGIO
CANI, CAMOSCI,
CUCULI (E UN
CORVO)
DI MAURO CORONA
Cani, camosci, cuculi (e un corvo)
DI MAURO CORONA
A MARIO RIGONI STERN
1
Un cane intelligente
Un cacciatore ertano, Domenico Corona Menin, aveva un cane di nome
Ursus. Era un bracco tedesco di molta esperienza, eccezionale per ferma e
riporto. L’animale aveva più di dieci anni e sentiva qualche acciacco, ma
ancora correva pieno d’entusiasmo dietro al padrone per valli e costoni,
boschi e pascoli d’alta montagna dove, ai piedi delle rocce, dimoravano
pernici bianche e coturnici. Cane e padrone vivevano soli in una casupola
posta su un colle, circondata da carpini e faggi. Da lassù dominavano il paese
e poi la valle e la pianura lontana. Ursus dormiva in casa, accanto al focolare,
vicino al letto del padrone, una panca francescana di assi grezze e coperte
militari per combattere il freddo. Domenico non avrebbe mai lasciato il suo
cane all’aperto in una misera cuccia alla mercé delle intemperie.
Un uomo che vive solo come il cuculo sa quanto è importante la compagnia
fedele e sicura di un cane, di conseguenza se lo tiene vicino il più possibile.
Qualsiasi animale, anche una gallina, è importante per chi trascorre gli anni in
solitudine.
Se Domenico andava in paese a fare la spesa Ursus lo seguiva e giocava con
i bambini che incontrava lungo le Vie. La donna degli alimentari ogni volta gli
lanciava una crosta di formaggio e per ringraziarla il cane le si faceva vicino a
strusciarle il muso sul grembiule. Era un cane intelligente, Ursus, e Domenico
lo sapeva. Ma, se ancora non lo avesse capito, un giorno ebbe modo di
constatano. Alla Madonna d’agosto lui e il fedele Ursus camminavano da dieci
ore lungo le creste del Borgà e della Palazza in cerca di pernici bianche. Una
l’avevano presa, ma per un cacciatore come Domenico voleva dire fallimento.
Solo i pivelli e i buoni a nulla s’accontentano di una singola pernice bianca.
Almeno così pensava lui. Verso sera, stanchi e affamati, sedettero accanto a
un pietrone in mezzo ai pascoli del Buscada. Domenico tirò fuori dalla
bisaccia pane e formaggio per mangiare un boccone, non ne poteva più dalla
fame. Ursus lo guardava acciambellato accanto ai piedi. Passò mezz’ora. Il
padrone mangiava tranquillo, il cane lo guardava, la testa girata in su. A un
certo punto Ursus s’avviò trotterellando verso un punto imprecisato della
Palazza. Tornò di li a poco tenendo stretto tra i denti qualcosa che gettò sui
pantaloni del padrone. Domenico guardò. Era un mazzetto di non ti scordar di
me, quei fiorellini azzurri che noi chiamiamo occhi della Madonna. L’uomo
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capì, spezzò una pagnotta per il suo cane e gli dette anche un po’ di
formaggio.
Così la raccontava il buon Domenico nelle osterie e per strada, e la gente
sorrideva perché in paese tutti ormai conoscevano la sua fama di contaballe.
Il cane e la vipera
La famiglia del fabbro Faichin era composta da cinque persone: papà,
mamma e tre figli, due maschi e una femmina, rispettivamente di tredici,
dodici e dieci anni. Vi era pure un cagnolino color miele che si chiamava Arco.
Lo aveva raccolto il padre dei ragazzi un mattino d’inverno sotto il ponte del
Bondi, disperato, infreddolito e quasi morto. Era un cucciolo. Qualcuno lo
aveva abbandonato.
Vi è sempre stata, e purtroppo resiste, la vergognosa abitudine di buttar via gli
animali come fossero pietre o pezzi dileguo. Gli uomini sono fatti così, gettano
via ciò che non serve più o che diventa fastidioso alloro viver quotidiano. Per
fortuna non tutti gli esseri umani sono disumani: se alcuni buttano, altri
raccolgono. Arco diventò grandicello, ma non tanto. Era un cagnolino di taglia
piccola con zampe corte e ridicole. Ma il musetto era dolce, intelligente e un
po’ malinconico.
Venne l’estate, arrivarono le vacanze. I ragazzini, finita la scuola,
scorrazzavano per boschi e valli insieme al papà e al cane. Andavano
soprattutto lungo il torrente Vajont. La SADE ancora non aveva iniziato a fare
la diga che anni dopo avrebbe portato morte e distruzione. Un giorno una
vipera stava per mordere Arco sul naso. Veloce come un lampo, il papà dei
bambini lo allontanò con un calcio e bloccò la vipera in terra con il bastone.
Chiamò il maggiore dei figli e gli ordinò di far avvicinare il cane. Il ragazzo
ubbidì. Trascinò Arco presso la vipera. Il cagnolino, ingenuo e inesperto,
cercava di annusare il rettile. A quel punto, il papà dei ragazzi con il bastone
colpì Arco sulla schiena. Poi bloccò di nuovo la vipera. Ripeté la manovra
cinque volte di seguito, finché il cane non s’avvicinò più nemmeno
spingendolo di forza. Il genitore spiegò ai figli che quello era un sistema
infallibile per istruire i cani a non avvicinarsi alle vipere. «Quando le vedono
girano al largo, hanno paura di sentire la bastonata sulla schiena» disse. La
lezione servì eccome, al giovane Arco. Da quel giorno, e nei due anni
successivi, quando vedeva un rettile s’allontanava di corsa con la coda tra le
gambe. Un giorno la mamma portò a casa un cuccioletto di pointer di circa
due mesi. Glielo aveva regalato un cacciatore. La sua cagnetta ne aveva
partoriti otto e non poteva tenerli tutti. Era estate, tempo di scorribande. La
mamma pensò che il cucciolo sarebbe stato un buon compagno per Arco
nonché un ulteriore amico dei suoi figli. Figuriamoci i bambini quando lo
videro! Le attenzioni furono solo per lui. Arco guardava silenzioso, un po’
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triste. Una volta cercò di mordere l’intruso e i ragazzi lo sgridarono di brutto.
Allora Arco precipitò nello sconforto. Un giorno d’agosto papà, figli e cani
erano andati nella val Zemola. Al ritorno, sulla curva di Costa, una vipera
stava in mezzo al sentiero. Subito Arco si avvicinò. Fu morso sul collo. Morì di
lì a poco senza un lamento e senza riprendere conoscenza.
Abbandonato dai bambini, le cui attenzioni erano tutte per il nuovo arrivato,
Arco si sentiva perduto e, nonostante l’insegnamento, andò incontro alla
vipera e si fece uccidere. Era, questa, una storia che contava mia nonna e
finiva dicendo che i bambini piansero per mesi la perdita dei loro amico.
Aggiornata il mercoledì 16 gennaio 2008
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