Prime pagine - Codice Edizioni
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ES_LEHRER.qxd 4-05-2009 17:37 Pagina ii Jonah Lehrer Come decidiamo Traduzione di Susanna Bourlot ES_LEHRER.qxd 4-05-2009 17:37 Pagina iv A mio fratello Eli e alle mie sorelle Rachel e Leah Chi lo sa che cosa ho voglia di fare? Chi lo sa che cosa ha voglia di fare in genere la gente? Come si fa a esserne sicuri? Non è tutta una questione di chimica cerebrale, di segnali che vanno avanti e indietro, di energia elettrica nella corteccia? Come si fa a sapere se una cosa è esattamente ciò che si vuole fare, oppure soltanto una qualche specie di impulso nervoso nel cervello? Una minuscola attività secondaria ha luogo da qualche parte, in un punto privo di importanza dentro uno degli emisferi cerebrali, ed ecco che di punto in bianco mi viene voglia di andare nel Montana, oppure no. Don DeLillo, Rumore bianco, Einaudi, Torino 2005, p. 57. Jonah Lehrer Come decidiamo Progetto grafico: studiofluo srl Impaginazione: adfarmandchicas Redazione: Alice Spano Coordinamento produttivo: Enrico Casadei Jonah Lehrer How We Decide Copyright © 2009 by Jonah Lehrer All rights reserved © 2009 Codice edizioni, Torino Tutti i diritti sono riservati ISBN 978-88-7578-132-3 ES_LEHRER.qxd 4-05-2009 17:37 Pagina vi Indice IX Introduzione Capitolo 1 3 Il quarterback nella “tasca” Capitolo 2 25 Le predizioni della dopamina Capitolo 3 49 Ingannati da una sensazione Capitolo 4 79 Gli usi della ragione Capitolo 5 111 Soffocati dal pensiero Capitolo 6 139 La mente morale Capitolo 7 163 Il cervello è un dibattito Capitolo 8 183 La mano di poker 209 217 219 227 236 Coda Ringraziamenti Note Bibliografia Indice analitico ES_LEHRER.qxd 4-05-2009 17:37 Pagina viii Introduzione Mi trovavo su un Boeing 737 in procinto di atterrare all’aeroporto Narita di Tokyo, quando il motore sinistro prese fuoco. Viaggiavamo a diverse migliaia di piedi dal suolo, la pista d’atterraggio dritta davanti a noi e i grattacieli scintillanti in lontananza. Nel giro di qualche secondo, nella cabina di pilotaggio iniziò un concerto di campanelli e sirene che mi segnalavano delle avarie. Dappertutto lampeggiavano luci rosse. Cercai di soffocare il panico concentrandomi sulle istruzioni d’emergenza, che mi suggerivano di interrompere l’afflusso del carburante ed energia elettrica alle parti interessate. L’aereo cominciò a inclinarsi. Il cielo notturno si girò di traverso. Lottavo per tenere dritto l’aereo. Ma non ci riuscivo. L’aereo era ingovernabile. Si inclinava da una parte, io tentavo di riportarlo in assetto e lui si inclinava dalla parte opposta. Mi sembrava di combattere con l’atmosfera. All’improvviso, sentii il tremolio dello stallo: l’aria si stava muovendo troppo lentamente sulle ali. La struttura cominciò a stridere e gemere, quel terribile suono che fa il metallo prima di cedere alla fisica. Se non avessi trovato subito il modo di aumentare la velocità, l’aereo si sarebbe arreso all’attrazione gravitazionale e io mi sarei schiantato sulla città sottostante. Non sapevo cosa fare. Se avessi accelerato, forse avrei guadagnato un po’ di altitudine e velocità, e poi avrei potuto volteggiare sulla pista cercando di stabilizzare l’aereo. Ma l’unico motore rimasto ce l’avrebbe fatta? O avrebbe ceduto per l’eccessiva sollecitazione? L’altra opzione era di rendere più ripida la discesa nel disperato tentativo di prendere velocità; avrei simulato una picchiata nella speranza di evitarne una vera. La velocità di picchiata forse mi avrebbe permesso di evitare lo stallo e di governare l’aeroplano. O invece avrebbe solo accelerato il disastro. Se non fossi riuscito a riprendere il controllo, l’aeroplano sarebbe entrato in quella che i piloti chiamano graveyard spiral, la spirale per il cimitero. La forza ES_LEHRER.qxd X 4-05-2009 17:37 Pagina x Come decidiamo di gravità sarebbe diventata così intensa che l’aereo si sarebbe disintegrato prima ancora di toccare terra. Fu un momento infernale di indecisione. Gocce di sudore mi bruciavano gli occhi. Le mani mi tremavano per la paura. Sentivo il sangue pulsarmi nelle tempie. Cercai di pensare, ma non ce n’era il tempo. Lo stallo stava peggiorando. Se non avessi agito subito, l’aereo sarebbe schizzato via dal cielo. Fu allora che mi decisi: avrei salvato l’aereo facendolo scendere di quota. Spinsi in avanti la cloche e pregai che prendesse un po’ di velocità. Immediatamente l’aereo accelerò. Il problema era che puntava dritto verso un sobborgo di Tokyo. Ma mentre l’altimetro si avvicinava allo zero, la maggiore velocità mi permise di virare. Per la prima volta da quando il motore si era incendiato, riuscivo a tenere l’aereo su una rotta stabile. Continuavo a precipitare come una pietra, ma perlomeno volavo in linea retta. Aspettai di scendere sotto i duemila piedi e poi tirai la cloche e diedi gas. L’aereo ballava così tanto da far venire la nausea, ma continuava a volare nella direzione giusta. Abbassai il carrello d’atterraggio e ce la misi tutta per mantenere il controllo dell’apparecchio, mentre le luci della pista occupavano il centro del parabrezza. Il copilota mi gridava l’altitudine: «Cento piedi! Cinquanta! Venti!». Appena prima di toccare terra, pregai un’ultima volta di riuscire a centrare la pista e attesi l’impatto confortante sulla terraferma. Fu un brutto atterraggio – dovetti premere con forza sui freni e sterzare ad alta velocità – ma ne uscimmo tutti interi. Solo quando l’aereo fu parcheggiato al gate mi accorsi dei pixel. Per tutto il tempo avevo guardato uno schermo televisivo impiantato sul parabrezza, e non attraverso il vetro di una cabina di pilotaggio. Il paesaggio sottostante era solo una trapunta di immagini scattate dai satelliti. Anche se le mani continuavano a tremarmi, in realtà nessuno aveva corso alcun rischio. Non c’erano passeggeri nella cabina. Il Boeing 737 era solo una realtà artificiale creata dal Tropos 5000, un simulatore di volo da sedici milioni di dollari costruito dalla CAE e ospitato in un cupo hangar industriale fuori Montreal. Il mio istruttore di volo aveva premuto un bottone e scatenato l’incendio al motore (e mi aveva complicato ulteriormente la vita aggiungendo dei forti venti trasversali). Ma il volo era sembrato reale. Quando il viaggio finì, l’adrenalina mi scorreva ancora nelle vene. Una parte del mio cervello continuava a essere convinta che avessi rischiato di schiantarmi su Tokyo. Introduzione XI Il vantaggio del simulatore di volo è che potete analizzare le vostre decisioni. Avevo fatto bene a proseguire la discesa? O avrei dovuto cercare di riprendere quota? Questo mi avrebbe permesso un atterraggio più morbido e sicuro? Siccome volevo saperlo, chiesi all’istruttore di ripetere l’esperienza e di farmi provare ad atterrare un’altra volta senza un motore. Lui toccò qualche interruttore e, prima che il battito cardiaco potesse tornare normale, il 737 si reincarnò sulla pista. Sentii la voce del controllore di volo gracchiare nella radio per autorizzarmi al decollo. Spinsi l’acceleratore e percorsi veloce la pista. Tutto mi passava accanto sempre più in fretta, finché l’aerodinamica ebbe la meglio e mi ritrovai nel cielo silenzioso della sera. Salimmo a diecimila piedi. Stavo appena cominciando a godermi il tranquillo panorama della baia di Tokyo quando la torre di controllo mi avvisò di prepararmi all’atterraggio. La scena si ripeté come un film horror già visto. Guardai gli stessi grattacieli in lontananza e volai in mezzo alle stesse nuvole. Seguii la stessa rotta attraverso gli stessi sobborghi. Scesi a novemila piedi, poi ottomila, poi settemila. E poi successe. Una vampata nel motore sinistro. Lottai di nuovo per tenere stabile l’aeroplano e di nuovo un tremore mi avvertì dello stallo. Stavolta, però, mi diressi verso il cielo. Accelerai, inclinai l’aereo verso l’alto e scrutai i dati dell’unico motore ancora funzionante. Presto mi fu chiaro che non sarei mai riuscito a salire. Il motore non aveva abbastanza forza. Il tremore si sparse per tutto lo scheletro del velivolo, sentii il suono raccapricciante delle ali che smettevano di volare, un rumore basso e potente che riempì la cabina di pilotaggio. L’aereo si inclinò a sinistra e cominciò a precipitare. Una pacata voce femminile illustrò il disastro punto per punto, confermando quello che già sapevo: ero spacciato. L’ultima cosa che vidi furono le luci della città, appena sopra l’orizzonte. Quando mi schiantai, lo schermo si bloccò su un fermo immagine. Alla fine, la differenza tra la sopravvivenza e una violenta dipartita era dipesa da un’unica decisione, presa nei momenti di panico seguiti all’incendio del motore. Era accaduto tutto troppo in fretta, e non riuscivo a smettere di pensare alle vite che sarebbero state in gioco se si fosse trattato di un volo vero. Una decisione aveva portato a un atterraggio riuscito; l’altra a uno stallo fatale. Questo libro parla delle nostre decisioni. Racconta quel che è successo nel mio cervello dopo l’avaria al motore. Esamina il modo in cui la mente umana – l’oggetto più complicato dell’universo conosciuto – sceglie cosa fare. È un libro sui piloti d’aereo, i quarter- ES_LEHRER.qxd XII 4-05-2009 17:37 Pagina xii Come decidiamo back della NFL, i registi televisivi, i giocatori di poker, gli inventori professionisti e i serial killer, e sulle decisioni che prendono tutti i giorni. Quando parliamo del cervello, c’è un confine labile tra una buona e una cattiva decisione, tra cercare di scendere e cercare di salire di quota. Questo libro parla di quel confine. L’uomo pensa al modo in cui prende le sue decisioni fin dalla notte dei tempi. Per secoli ha costruito teorie elaborate sul decision-making osservando dall’esterno il comportamento dei suoi simili. Siccome la mente era inaccessibile – tale e quale a una scatola nera – i pensatori dovevano basarsi su ipotesi non verificabili circa quel che avveniva davvero nel cervello. Già nell’antica Grecia, queste ipotesi ruotavano attorno a un solo tema: l’uomo è razionale. Quando prendiamo una decisione, in teoria dovremmo analizzare consciamente le diverse alternative e soppesare con attenzione i pro e i contro. In altre parole, siamo creature logiche e riflessive. Questa semplice idea è alla base della filosofia di Platone e di Cartesio, è il fondamento dell’economia moderna e ha ispirato decenni di ricerca nelle scienze cognitive. Nel corso del tempo, la nostra razionalità arrivò a definirci. Era, in poche parole, ciò che ci rendeva umani. Solo che questa “presunzione di razionalità” ha un problema: è sbagliata. Non è così che funziona il nostro cervello. Pensate ad esempio alle mie decisioni in cabina di pilotaggio. Le ho prese nella foga del momento, sono state una reazione viscerale a una difficoltà. Non ho riflettuto a fondo sulla migliore linea di condotta, né ho valutato l’aerodinamica di un incendio al motore. Non ho potuto elaborare razionalmente una strategia per salvarmi. Quindi come ho deciso? Quali fattori hanno influenzato le mie scelte dopo l’avaria? Per la prima volta nella storia umana, possiamo rispondere a queste domande. Possiamo guardare dentro il cervello e vedere come pensiamo: la scatola nera è stata scassinata. Così salta fuori che non siamo progettati per essere delle creature razionali. Anzi, la mente è composta da una rete caotica di aree diverse, molte delle quali sono coinvolte nella produzione delle emozioni. Ogni volta che qualcuno prende una decisione, il suo cervello è inondato di sensazioni, scatenate da passioni inspiegabili. Anche quando una persona cerca di essere ragionevole e controllata, questi impulsi emotivi influenzano silenziosamente il giudizio. Quand’ero nella cabina di pilotaggio e cercavo disperatamente di capire come salvarmi Introduzione XIII la vita – e la vita di migliaia di cittadini giapponesi – queste emozioni hanno azionato i pattern di attività mentale che non mi hanno fatto schiantare e mi hanno aiutato ad atterrare. Ma questo non significa che i nostri cervelli siano programmati per un buon decision-making. Contrariamente a ciò che affermano molti manuali di auto-aiuto, l’intuizione non è una panacea miracolosa. A volte le sensazioni possono sviarci e farci commettere ogni ipotizzabile genere di errore. Se il cervello umano ha una grossa corteccia, è per un buon motivo. La banale verità è che per prendere buone decisioni dobbiamo usare i due lati della mente. Per troppo tempo abbiamo considerato la natura umana come un sistema “o... o”. Siamo razionali o irrazionali. Ci affidiamo alla statistica o ai nostri istinti viscerali. La logica apollinea contro la sensazione dionisiaca; l’Es contro l’Io; l’archipallio contro i lobi frontali. Queste dicotomie non sono solo false, sono distruttive. Non esiste una soluzione universale al problema del decision-making. Il mondo reale è troppo complesso. Di conseguenza, la selezione naturale ci ha dotato di un cervello che è felicemente pluralista. A volte ci tocca analizzare le varie opzioni e vagliare con cura le diverse possibilità. Altre invece dobbiamo dar retta alle nostre emozioni. Il segreto è sapere quando usare questi diversi stili di pensiero. Abbiamo sempre bisogno di pensare a come pensiamo. È questo che imparano i piloti nel simulatore di volo. Il vantaggio di sperimentare vari scenari possibili – un incendio al motore sopra Tokyo o una tormenta su Topeka – è che i piloti affinano la capacità di scegliere un certo tipo di pensiero a seconda della situazione. «Non vorremmo mai che i piloti agissero senza pensare»1, dice Jeff Roberts, direttore dell’addestramento civile alla CAE, la maggiore azienda di simulatori di volo. «I piloti non sono robot, ed è un bene. Ma vogliamo che prendano decisioni fondate su un’ottima capacità di giudizio costruita nel tempo. Devi sempre pensare, ma a volte le tue sensazioni possono aiutarti a farlo. Un buon pilota sa come usare la testa». A prima vista, l’idea di studiare le decisioni partendo dal funzionamento interno della mente potrebbe sembrare un po’ strana. Non siamo abituati a interpretare le scelte in termini di regioni cerebrali concorrenti o di scariche neuronali. Eppure, questo nuovo modo di conoscere noi stessi – cercando di capire il comportamento umano dall’interno – riserva molte sorprese. In questo libro imparerete ES_LEHRER.qxd XIV 4-05-2009 17:37 Pagina xiv Come decidiamo come quel chilo e mezzo di carne dentro la scatola cranica determini tutte le vostre decisioni, da quella più banale al supermercato al più complesso dei dilemmi morali. La mente ispira molti miti – come la fantasia di una razionalità pura – ma in realtà è solo una potente macchina biologica, con i suoi limiti e le sue imperfezioni. Conoscere il funzionamento di questa macchina è un bene, perché ci aiuta a trarne il massimo. Il cervello però non è isolato dal resto del mondo: tutte le decisioni sono prese in un contesto reale. Com’è noto, Herbert Simon, lo psicologo premio Nobel, paragonò la mente umana a un paio di forbici. Una lama è il cervello, disse, mentre l’altra è l’ambiente specifico in cui il cervello sta operando. Se volete capire la funzione delle forbici, dovete considerare le due lame insieme. A questo scopo usciremo dal laboratorio e ci avventureremo nel mondo reale, così da poter osservare le forbici all’opera. Vi farò vedere come le fluttuazioni di alcuni neuroni dopaminergici abbiano salvato una corazzata durante la guerra del Golfo, e come l’attività febbrile di una singola area cerebrale abbia portato alla bolla dei mutui subprime. Scopriremo come i vigili del fuoco affrontano gli incendi e visiteremo i tavoli da gioco del World Series of Poker. Incontreremo scienziati che usano la tecnologia di brain-imaging per capire in che modo le persone stabiliscono i propri investimenti e scelgono i candidati politici. Vi mostrerò come alcune persone sfruttino queste nuove conoscenze per fare programmi televisivi migliori, vincere più partite di football, migliorare le cure mediche e ottimizzare l’intelligence militare. L’obiettivo di questo libro è di rispondere a due domande che riguardano tutti, dagli amministratori delegati ai filosofi accademici, dagli economisti ai piloti di linea: la mente umana, come prende le sue decisioni? E come possiamo migliorarle?