Come prevenire la disgrafia - 2° Convegno Nazionale sulla Disgrafia

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Come prevenire la disgrafia - 2° Convegno Nazionale sulla Disgrafia
Alessandra Venturelli
Grafoanalista, Presidente dell’Associazione GraficaMente
Come prevenire la disgrafia:
ricerca sperimentale sulla didattica del gesto grafico nella scuola primaria
La ricerca sperimentale che qui sarà esposta è iniziata nell’a.s. 1998/99 e si è poi concretizzata
in una tesi sperimentale di Pedagogia presso l’Università degli Studi di Bologna. Da allora, di anno
in anno, tale sperimentazione è stata proposta ad altre scuole per perfezionare e consolidare un
metodo in grado di prevenire la disgrafia evolutiva e di avviare gli alunni di scuola primaria e più
recentemente di scuola dell’infanzia a un corretto e più facile apprendimento del gesto grafico della
scrittura manuale e particolarmente del corsivo.
Prima di entrare nel merito della sperimentazione vera e propria, vale la pena soffermarsi
brevemente sull’importanza data alla didattica del gesto grafico nei programmi ministeriali in Italia,
soprattutto nella scuola elementare o primaria nel corso del tempo. Se si analizzano i programmi
ministeriali per la scuola che vanno dal 1860 agli anni ’50 circa, è facile notare come ripetutamente
si sottolinei l’importanza di prestare attenzione a far sì che gli alunni acquisiscano una “bella”
scrittura, in quanto, oltre all’esigenza di ordine e di chiarezza formale, vi era anche una
connotazione estetica legata alla scrittura manuale, intesa in senso calligrafico.
Tuttavia, nel tempo, l’apprendimento strettamente strumentale della scrittura a mano è stato
sempre più svalutato in Italia ma anche in altri paesi europei, in quanto veniva associato al “metodo
calligrafico” o “sintetico”; basato prevalentemente sulla copia pedissequa di intere righe di aste e
letterine. Tale approccio veniva criticato perché giudicato troppo ripetitivo e monotono, con
implicazioni didattiche autoritarie che non lasciavano emergere la spontaneità e il coinvolgimento
reale degli alunni in tale apprendimento.
In particolare, nel 1985, con i “Nuovi programmi per la scuola elementare”, si assiste a un
deciso cambiamento di rotta rispetto ai programmi ministeriali scolastici precedenti. Infatti, per la
prima volta viene completamente messo da parte l’insegnamento della scrittura nel suo aspetto
formale e strumentale, mentre viene sottolineato che particolare attenzione deve essere data in sede
di apprendimento all’aspetto linguistico della scrittura e agli aspetti del contenuto, anziché della
cura formale.
Si assiste così al passaggio dal calligrafismo allo spontaneismo, dall’attenzione data
prevalentemente in fase di insegnamento della scrittura alla forma, all’ordine, alla cura nel tenere i
quaderni, con grande controllo motorio in base a precise regole calligrafiche, a una maggiore
importanza attribuita al contenuto e alla spontaneità del bambino, a cui viene lasciata spesso libertà
esecutiva, secondo il “metodo globale”, in base alle sue tendenze “naturali” e capacità effettive,
“basta che si legga”.
Pertanto, nel metodo calligrafico, se si richiedeva in modo rigoroso al bambino di scrivere
come un adulto, senza tenere conto dei suoi effettivi bisogni e delle sue eventuali difficoltà nel
primo approccio alla scrittura manuale e nell’esecuzione di lettere talvolta difficili (si pensi agli
abbellimenti estetici delle lettere maiuscole in corsivo come, ad esempio, la lettera “H” ), si trattava
comunque di un apprendimento lento e graduale che permetteva anche ad alunni non
precedentemente scolarizzati nella scuola materna o con limitate capacità grafomotorie di base di
accedere ad una scrittura manuale generalmente accurata e ordinata.
Al contrario, con lo spontaneismo degli ultimi approcci didattici, secondo il principio “basta
che si legga”, si tende a lasciare il bambino a dover risolvere da solo i principali problemi
strumentali, spaziali e di direzione dei movimenti della scrittura a mano, come se si trattasse di
un’attività semplice e spontanea. Il rischio è che si abituino a impugnare la penna in maniera
inadeguata, senza alcun intervento o aiuto esterno, e ad eseguire le lettere in maniera “personale”,
anche se scarsamente funzionale, automatizzando sempre più inefficaci ed eventualmente dolorose
abitudini posturali e di prensione della penna, nonché gesti grafici errati che possono preludere
all’insediarsi di eventuali disgrafie, quanto più aumentano le richieste di maggiore velocità
esecutiva da parte della scuola.
D’altra parte, è largamente condivisa la convinzione, tra i rieducatori della scrittura che si
occupano di scritture disgrafiche, tra cui R. Olivaux e M. Auzias, che nella maggior parte dei casi,
tranne i casi patologici, un inadeguato sviluppo grafomotorio sia riconducibile a un apprendimento
mancato e che basterebbe curare una corretta postura e presa dello strumento grafico, dare le giuste
indicazioni su come tracciare una lettera, su come collegare le lettere tra di loro e su come
organizzare lo spazio grafico per potere ottenere un gesto gradualmente più fluido e ben controllato,
evitando forme di disgrafia. Al contrario, se la scrittura di un bambino evolve con automatismi poco
funzionali o addirittura scorretti, la sua grafia non può che peggiorare nel tempo fino a necessitare
di un vero e proprio intervento di recupero, di rieducazione della scrittura.
Certamente, educazione e rieducazione alla scrittura presentano molti aspetti in comune. In
primo luogo, le difficoltà che incontrano i bambini all’inizio dell’apprendimento e quelle in
rieducazione sono analoghe. Inoltre, educazione e rieducazione della scrittura hanno le stessa
finalità: quella di facilitare il gesto grafico, adeguandolo allo sviluppo grafomotorio per età e per la
classe di appartenenza, ma anche di favorire la leggibilità e l’armonia spaziale. Analoghi sono
anche i criteri e i percorsi didattici, così come le tecniche e le attività proposte.
Ciò che è diverso tra educazione e rieducazione della scrittura è che nel primo caso occorre
adattare il lavoro a un gruppo di bambini, alle loro capacità effettive legate all’età, inserendolo nel
normale curriculum scolastico, con un monitoraggio costante e la programmazione dell’esperto
consulente–educatore della scrittura in collaborazione con gli insegnanti. Questo rappresenta
tuttavia anche un grande vantaggio, perché si può in questo modo realizzare una reale opera di
prevenzione, evitando di dovere poi ricorrere all’intervento individualizzato, “a parte” delle attività
scolastiche e comunque successivo, di recupero della rieducazione della scrittura. Inoltre, un
approccio preventivo offre stimoli per sviluppare le potenzialità dei singoli bambini nel momento
più opportuno del loro iniziale apprendimento della scrittura manuale, pur in un contesto scolastico
di gruppo, piuttosto che dovere ricorrere al “decondizionamento” individuale dalle cattive abitudini
acquisite, prima di offrire nuovi “condizionamenti” esecutivi, innestando nuove abitudini, senza
peraltro avere la garanzia che queste riescano completamente a soppiantare il forte primo
“imprinting” degli automatismi errati iniziali.
Appare dunque evidente che occorre ripensare a questo iniziale condizionamento che si dà ai
bambini quando imparano a scrivere, perché se anche il condizionamento non viene indotto
direttamente dall’insegnante, gli alunni acquisiscono comunque delle abitudini e queste abitudini si
radicano sempre di più e creano le premesse del successivo adeguato o inadeguato sviluppo
grafomotorio della scrittura individuale, il quale a sua volta influisce sulle capacità di inserimento e
di rendimento scolastico, nonché sul livello di benessere psicofisico e di autostima e quindi anche
sulla motivazione nei confronti delle attività scolastiche, specialmente quelle scritte. Scrivere bene,
con relativa sicurezza e scioltezza esecutiva, significa, del resto, avere più energie disponibili da
dedicare ad altri aspetti dell’apprendimento, ad esempio alla correttezza ortografica, facilitando
peraltro anche il “flusso” di pensieri che si esprime più liberamente attraverso il grafismo quando
non ci sono impedimenti grafomotori. Se invece un bambino non ha risolto il problema di come
collegare tra loro le lettere e si inceppa continuamente nella conduzione del tracciato, è normale che
faccia più fatica anche a pensare contemporaneamente alla successione delle lettere e alla
correttezza ortografica, e abbia meno motivazione a esprimersi per iscritto.
E’ dunque fondamentale agire precocemente perché impadronirsi di un gesto grafico sempre
più facile e sicuro va ben al di là della competenza puramente strumentale della scrittura manuale,
bensì favorisce la formazione globale del bambino, in termini di maggiore equilibrio e controllo
psicomotorio, attenzione e capacità di autocorrezione, migliore profitto scolastico soprattutto nei
tipi di apprendimento legati alla scrittura come l’ortografia e la capacità di esprimersi per iscritto,
ma soprattutto migliora l’autostima e la motivazione.
Fatte queste premesse, l’approccio metodologico qui proposto poggia le sue basi
prevalentemente su principi ormai consolidati di psicomotricità e di neurofisiologia del gesto
grafico, attingendo in larga misura dagli studi condotti in rieducazione della scrittura per bambini
disgrafici. Tale metodo consiste infatti prevalentemente nell’impiego delle tecniche già collaudate
di rieducazione della scrittura, adattate all’età e alle esigenze di gruppi di alunni al termine della
scuola dell’infanzia e all’inizio della scuola primaria.
Un principio fondamentale di riferimento per tale metodo è ad esempio il cosiddetto
“principio di selezione” (Serratrice/Habib), tratto da recenti studi di neurofisiologia del gesto
grafico, secondo cui l’apprendimento grafico avviene per progressiva selezione di alcune
connessioni neuronali a discapito di tutte le altre molteplici connessioni potenziali inizialmente
presenti. La maggior parte di esse nel tempo viene infatti abbandonata, mentre permangono e si
rafforzano soltanto le connessioni che sono ripetutamente utilizzate, fino a creare una sorta di
“solco” (ad esempio, legato al modo di eseguire una lettera) che viene costantemente “rivangato” e
consolidato, fino a costituire un vero e proprio automatismo.
E’ dunque importante partire dal gesto per arrivare alla forma e non viceversa, poiché la forma
non è che il risultato finale. Anziché chiedere di copiare una forma letterale, è più utile insegnare
“come si fa” ad eseguire quella lettera, da che punto è più conveniente partire, in che direzione
andare e come collegarsi con le altre lettere, perché così facendo si facilita effettivamente il
compito degli alunni in questo tipo di apprendimento, evitando che siano loro a dovere trovare la
“strada” più facile per eseguire il corsivo, poiché diversi bambini, come la ricerca statistica
precedentemente esposta dimostra, non ci riescono da soli.
Quindi le regole fondamentali di questo metodo sono:
1.
2.
3.
gradualità
sistematicità
continuità
Quindi il percorso prevede una progressione di tracciati dal grande al piccolo, dal semplice al
complesso, dal piano verticale al piano orizzontale, dalla postura in piedi a quella seduta.
Le attività proposte partono da attività di distensione motoria, di dissociazione dei vari arti
coinvolti nella scrittura e di motricità fine, per facilitare la postura e la prensione dello strumento
grafico che sono i primi responsabili di un gesto inadeguato a livello grafomotorio.
Quindi si prosegue con esercizi di percezione spaziale, attività di macrografia e di pittografia
sia per acquisire le coordinate dello spazio grafico, sia per migliorare la scioltezza e la
coordinazione motoria. Si procede poi con esercizi di pregrafismo che preparano ai gesti tipici delle
lettere in corsivo, per poi avviare alle singole lettere del corsivo vero e proprio, suddivise per
“famiglie” di lettere a seconda del gesto di base in comune.
Per facilitare l’apprendimento del corsivo, questo metodo prevede la proposta di un modello
semplificato delle lettere, secondo i seguenti principali criteri: semplicità e buona leggibilità delle
forme letterali, continuità del tracciato all’interno di lettera per evitare rallentamenti, curvilineità e
progressione verso destra, per promuovere la fluidità del gesto e la tendenza a collegare tra loro le
lettere.
D’altra parte, nelle attività di prescrittura e di corsivo, viene seguita una successione
sistematica di fasi ordinate, graduali e interconnesse di apprendimento, la quale peraltro è analoga a
ogni apprendimento di attività motoria specializzata:
1. osservazione (alla lavagna, l’insegnante esegue ad esempio una lettera);
2. comprensione del compito (con verbalizzazione descrittiva e ripasso del tracciato da parte di un
alunno);
3. memorizzazione (con esecuzione nell’aria ad occhi chiusi della lettera, per interiorizzarla);
4. esecuzione vera e propria, senza il modello;
5. feed-back di controllo con autocorrezione (con ulteriore osservazione e critica verbale collettiva
sulla correttezza del prodotto grafico realizzato ed eventuale successiva correzione);
6. ripetizione che crea il solco, per sviluppare gli automatismi (copiando la lettera sul quaderno per
una riga).
7. generalizzazione dell’abilità (ad esempio, inserendo la nuova lettera appresa in una parola con
lettere già conosciute).
Purtroppo, spesso si tende a dare per scontati alcuni passaggi dell’apprendimento che si
presume avvengano automaticamente. In realtà, basta che l’alunno non riesca in una di queste fasi,
per non riuscire a eseguire correttamente una o più lettere. Da qui l’importanza di insegnare
analiticamente i movimenti, favorendo l’attenzione e lo spirito d’osservazione, la consapevolezza e
la memorizzazione, prima ancora di passare alla realizzazione pratica del gesto grafico, per poi
gradualmente perfezionare la conduzione del tracciato e la precisione.
D’altra parte, è anche importante sostenere emotivamente i bambini, soprattutto nei momenti
di maggiore affaticamento e difficoltà. A questo scopo, questo metodo si basa su un principio
pedagogico che è risultato soprattutto efficace per gli alunni con capacità iniziali inferiori. Tale
principio punta sulla valorizzazione dei prodotti grafici positivi che, implicitamente, sostengono il
valore intrinseco di autostima, incoraggiando a proseguire nello sforzo, sulla base dei risultati
positivi di volta in volta conseguiti. Ciò si realizza quando l’insegnante cerchia con la biro rossa
non tanto l’errore (come generalmente si tende a segnalare nella scuola italiana), bensì i tracciati
pregrafici o le lettere meglio realizzate, per evidenziare dove il bambino è riuscito, anziché
puntualizzare i suoi tentativi falliti. Spesso l’insegnante accompagna tale sottolineatura con una
approvazione verbale per incoraggiare a proseguire nell’attività, sostenendo l’alunno nel suo
desiderio di apprendere, di riuscire e di migliorare.
In questa sede, viene presentata una campionatura della ricerca, a titolo esemplificativo,
relativa all’anno scolastico 2005/2006 che ha coinvolto nel gruppo sperimentale 81 bambini di 4
classi di scuola primaria, mentre il gruppo di controllo, utilizzato per il confronto con alunni a cui
non era stato proposto tal metodo, era composto da 62 bambini.
Per rilevare gli effettivi miglioramenti degli alunni nelle diverse fasi di apprendimento in
modo scientifico, sono state somministrate identiche prove iniziali e intermedie (il disegno di una
persona e la copia di figure di tracciati di pregrafismo), mentre la prova finale consisteva nella
trascrizione di un testo dallo stampato al corsivo. Tutte le prove comparative sono state valutate
secondo i medesimi protocolli e in base a identici parametri e criteri di valutazione (0 del tutto
insufficiente, 1 insufficiente, 2 sufficiente, 3 buono).
Nella prova del disegno della persona le abilità valutate sono:
•
•
•
•
•
la completezza del corpo;
il rispetto delle proporzioni;
la simmetria;
il riempimento rispettando i contorni;
la ricchezza rappresentativa.
Le abilità valutate invece nella prova di forme geometriche e di tracciati di pregrafismo sono:
•
•
•
•
•
•
la capacità di copiare fedelmente e di distinguere forme geometriche, figure variamente
orientate e tracciati di pregrafismo;
l’ordine esecutivo da sinistra verso destra;
la capacità di distinguere linee dritte da quelle curve;
la tenuta del rigo;
la distinzione di grandezze;
la distinzione dei diversi orientamenti in base alla simmetria;
•
•
•
•
la continuità del tracciato;
La seconda prova iniziale consiste invece nel copiare su delle brevi linee delle forme
geometriche, delle figure variamente orientate e dei tracciati di pregrafismo.
la qualità del tratto;
il numero di elementi.
Nei tre mesi circa che intercorrono tra le prove iniziali e intermedie, sono state proposte agli
alunni del gruppo sperimentale attività di motricità, di percezione spaziale, di pittografia e di
pregrafismo, mentre dalle prove intermedie a quelle finali ci si è concentrati sul corsivo.
Confrontando le prove intermedie con quelle iniziali, emerge una netta progressione della
media generale che passa da 1,49 (insufficiente) a 2,4 (discreto), ma ancora più marcato risulta il
miglioramento degli alunni inizialmente più in difficoltà che progredisce da 0,98 (decisamente
insufficiente) a 2,25 (più che sufficiente). Nella prova finale in corsivo, i valori tendono
ulteriormente a consolidarsi: 2,47 per la media generale e 2,25 per il gruppo degli alunni con minori
prestazioni iniziali.
D’altra parte, la media raggiunta dal gruppo sperimentale nella prova finale è nettamente
superiore (2,47: discreto) a quella del gruppo di controllo (1,69: insufficiente), con uno scarto di ben
+0,78 del primo gruppo rispetto al secondo.
Ancora più evidente è il divario tra i due gruppi se si analizza la percentuale degli alunni
insufficienti al termine del primo anno di scuola primaria che risultano essere solo il 2,47% nel
gruppo sperimentale e il 40, 32% nel gruppo di controllo, mentre i gravemente insufficienti (con un
punteggio da 1,5 in giù) sono il 4,93% nel primo gruppo e il 38,7% nel secondo gruppo.
A titolo esemplificativo, viene illustrata l’evoluzione grafica di un alunno appartenente al
gruppo sperimentale dall’inizio della prima classe fino all’inizio della terza classe (slide n. 18-22).
Si tratta di un bambino appena arrivato in Italia dall’Africa, senza conoscere la lingua italiana e
senza avere mai utilizzato prima una matita per disegnare o scrivere. Le sue competenze iniziali
sono dunque bassissime, come si può evincere dalle prove iniziali, tuttavia la sua capacità di
imparare a disegnare e a scrivere è stata molto rapida, ad esempio nella corretta tenuta dello
strumento grafico, forse proprio perché, non avendo acquisito automatismi sbagliati precedenti, è
stato più facile per lui assimilare questo primo condizionamento facilitante.
Si evidenziano così i benefici della proposta di questo metodo che tende a stimolare
soprattutto i bambini inizialmente più in difficoltà da un punto di vista motorio e percettivo,
portando quasi tutti gli alunni, compreso questi ultimi, ad impadronirsi delle principali regole del
corsivo, giungendo già alla fine della prima classe a un livello più che sufficiente o discreto, tranne
poche eccezioni, e prevenendo quindi in modo massiccio l’insorgenza di eventuali forme di
disgrafia evolutiva.
Al contrario, nel gruppo di controllo, dove si utilizza un metodo tradizionale, mediamente gli
alunni approdano a una media insufficiente, vale a dire a un’inadeguata competenza grafomotoria e
spaziale nell’uso del corsivo al termine della prima classe primaria, con ben più di un terzo di
bambini (il 38,7%) a rischio di disgrafia.
Per concludere, questo metodo sperimentale non è altro che un tentativo di supplire a delle
mancate indicazioni ministeriali agli insegnanti, per quanto riguarda l’attuale insegnamento in Italia
della scrittura manuale, a differenza di altri paesi europei come la Francia, l’Inghilterra e la
Germania dove periodicamente si rivedono i modelli scolastici del corsivo da proporre ai bambini e
dove esistono precise indicazioni nei programmi ministeriali per la scuola sulle competenze
grafiche che i bambini devono avere acquisito al termine di ogni classe, fin dalla scuola
dell’infanzia.
Appare dunque evidente che un solo metodo sperimentale non basta per aiutare gli insegnanti
in questo compito e che devono essere gli organi preposti alla formulazione dei programmi
ministeriali a riprendere in considerazione l’insegnamento della scrittura manuale, non per
ripristinare l’ormai obsoleto metodo calligrafico, bensì per aggiornare anche in Italia tale tipo di
insegnamento, al fine di prevenire precocemente la disgrafia evolutiva, per il maggior numero
possibile di alunni.
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