TORNARE A SCRIVERE IN CORSIVO

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TORNARE A SCRIVERE IN CORSIVO
TORNARE A SCRIVERE IN CORSIVO
GIULIANA AMMANNATI
Key words: Corsivo Scrittura Scuola Ragazzi
Noi pedagogisti clinici torniamo a segnalare una tappa involutiva nella storia del grafismo di
moltissimi giovani, i quali hanno notevoli difficoltà ad esprimere liberamente se stessi nel
comportamento della scrittura corsiva. Ci interroghiamo sulle cause e ci sentiamo in obbligo di
segnalare alla scuola e agli educatori il rischio che le giovani generazioni stanno correndo.
I risultati della nostra ricerca (durata 10 anni su un campione di 1000 studenti), sulla modalità di
scrittura da parte dei giovani, attestano che un’alta percentuale di studenti tra i 14 e i 19 anni, circa
il 45% non scrive in corsivo, ma preferisce farlo in stampatello; per questi giovani, oltre alla
difficoltà di non riuscire ad essere se stessi c’è la questione della omologazione che passa anche
come modalità di scrittura.
Scegliendo lo stampatello minuscolo l’alunno si esprime parzialmente, non sa rappresentarsi nel suo
spazio segnico-grafico, per riconoscersi ed accogliersi senza paura. La ricerca ha evidenziato che a
scrivere in “script” sono i giovani più fragili, i ragazzi che hanno maggiori timori e insicurezze,
quelli che si perdono nel “si dice” della massa, quelli che si copiano tra di loro, che non riescono ad
interagire nel gruppo classe e con gli insegnanti quelli che non sanno manifestare la loro personalità
a rischiare un atteggiamento acritico nei confronti della realtà, della quale finiscono per essere solo
spettatori passivi e mai protagonisti attivi.
Dietro il non utilizzo del corsivo vi è anche una motivazione profonda: i ragazzi temono il giudizio
dei propri compagni, non vogliono venire allo scoperto, hanno paura di differenziarsi e
caratterizzarsi. Il corsivo, che è diverso da persona a persona, soprattutto quando è letto da altri
rivela paure e insicurezze e l’omologazione della scrittura permette ai giovani di rimanere nel
gruppo che diventa un nascondiglio, usare solo lo stampatello è una menomazione della loro
espressività, è la rinuncia ad essere incisivi e autentici e l’abbandono di tale scrittura a favore dello
stampatello maiuscolo e minuscolo costituisce un assottigliamento della personalità e una grave
rinuncia, quella di un patrimonio personale, irripetibile e unico.
L’utilizzo dello stampato maiuscolo anche nella propria firma, denota un impoverimento dell’intera
Italia che si va sempre più conformando a nazioni europee, con il rischio di perdere gran parte della
sua creatività, che invece dovrebbe essere salvaguardata e incrementata, oggi più che mai rispetto al
passato.
Anche il rapporto degli insegnanti con la scrittura dei propri allievi non è facile, tanto che spesso
capita di sentir dire dai ragazzi che sono gli stessi professori di italiano e di latino a pretendere lo
stampatello; così, per rendere leggibile la propria grafia, molti di loro hanno ritenuto opportuno,
come hanno dichiarato per iscritto, di adottare lo stampatello per presentarsi bene e andare incontro
alle richieste dei docenti, che ancora mantengono in atto una pedagogia adultistica nei confronti dei
propri alunni.
Con ciò non contestiamo la necessità che i ragazzi siano invitati a scrivere meglio, ma occorre
riflettere che la svalutazione di un comportamento, come quello della scrittura, comporta anche la
svalutazione dell’alunno.
L’obiettivo dell’educatore è invece quello di far parlare di sé il ragazzo, di permettergli di
raccontarsi esprimendo anche la paura di crescere, le ansie, le emozioni, senza dover indossare delle
maschere.
Occorre perciò considerare la scrittura come la comunicazione specifica della singola persona, una
lingua il cui alfabeto è costituito anche dal percorso e dal solco lasciato dalla penna, dal movimento,
dalla disposizione delle parole nello spazio, per vedere come la persona si percepisce e si
rappresenta attraverso il gesto grafico.
Si tratta di cambiare punto di osservazione, di passare dalla apparenza all’essere, alla persona
considerata nella sua interezza.
Da questo punto di vista saper scrivere in corsivo è una conquista, non un punto di partenza dato per
scontato e acquisito una volta per tutte, è una conquista del soggetto liberato che si esprime in tutte
le sue forme di intelligenza, nelle sue emozioni, con le sue fragilità, con le sue paure nel confronto
con gli altri.
Bisogna perciò tornare a scommettere sul corsivo. Quest’ultimo rivela l’identità del soggetto, le sue
potenzialità relazionali e affettive. Corsivo significa arte, creatività e fantasia; caratteristiche che
hanno accompagnato i nostri più grandi artisti nel corso dei secoli. Se non si valorizzano questi
elementi si rischia di non dare la giusta attenzione alle persone e di far fallire una delle più
importanti missioni educative della scuola italiana.
Per questo noi pedagogisti clinici abbiamo l’intenzione di porre l’accento sull’importanza del
comportamento grafico spontaneo, essendo consapevoli che la personalità si manifesta nella sua
individualità e unicità e che il grafismo racconta le fasi dello sviluppo del singolo soggetto in
formazione; perché le esperienze di un ragazzo anche se simili a quelle dei suoi pari sono sempre
personali e uniche. In questo modo possono essere compresi in tempi utili eventuali difficoltà
cognitive, e disagi emotivi, relazionali e affettivi.
L’attività grafica, come comportamento espressivo, è portatrice di una valenza diagnostica pronta
per essere utilizzata dal pedagogista clinico, il quale riesce a prestare attenzione ad aspetti trascurati
e che invece sono fondamentali per favorire la crescita e lo sviluppo dell’intera personalità.
Strettamente connessa con la valenza diagnostica è la valenza pedagogica della attività grafica; il
gesto grafico è una attività motoria spontanea complessa e coordinata, e insieme al gioco è uno
strumento di formazione della personalità.
Nella pre-adolescenza, quando ha inizio la fase post-calligrafica, si ha l’acquisizione graduale di
una scrittura sempre più personale e unica.
Dopo i 10-12 anni aumenta l’efficienza con maggiore fluenza e personalizzazione della scrittura;
ebbene proprio in questo periodo assistiamo, invece, in Italia e in Europa ad una sorta di
involuzione della grafia mentre dovrebbe essere il contrario; infatti il corsivo viene addirittura
abbandonato a favore dello “script” e questo oggi in Francia, in Svizzera e in Germania accade fin
dall’ultima classe della scuola primaria di primo grado. Si assiste quindi, a nostro avviso, nella
quinta organizzazione psico-sociale, dagli 11 ai 14 anni, quella che Erikson chiama identità, ad un
vasto fenomeno di dispersività, che consiste proprio nel confondersi con gli altri nel gruppo e la
scrittura in stampatello mette in luce notevolmente la dispersività che c’è tra i giovani e la difficoltà
a formarsi una identità ed una personalità.
Facciamo presente inoltre che i soggetti che hanno difficoltà grafo-motorie continuano ad averle
anche col passare degli anni per questo è necessario un intervento preventivo, per permettere al
bambino di superare presto le difficoltà e acquisire maggiore scioltezza del gesto grafico, in quanto
strumento di formazione motoria del carattere e della intelligenza.
Dominare il movimento è indispensabile al bambino per raggiungere la maturazione psicomotoria
intellettuale e affettiva. Attraverso le esperienze di controllo del movimento grafico il soggetto avrà
la possibilità di rendere stabili molti collegamenti cerebrali. Per questo lo scarabocchio e il disegno
danno al bambino la possibilità di sviluppare i prerequisiti del leggere e dello scrivere.
La scrittura è l’arte dello scrivere e della libertà del movimento e per arrivare a questo il bambino ha
bisogno di esprimere il suo mondo interiore, le sue emozioni senza subire forzature e imposizioni da
parte dell’adulto.
Infatti l’eredità genetica ci ha dotati di talenti emozionali che determinano il nostro comportamento,
ma i circuiti cerebrali interessati in questo processo sono estremamente plastici. Il carattere non è
predeterminato. Gli insegnamenti emozionali che apprendiamo da bambini, dalla famiglia e dalla
scuola, plasmano i circuiti cerebrali preposti alle emozioni, rendendoci più o meno abili a gestire gli
elementi fondamentali della intelligenza emotiva.
L’infanzia e l’adolescenza offrono grandi opportunità per stabilire le inclinazioni emozionali
essenziali che governeranno la vita di un bambino e di un ragazzo in fase di apprendimento
emotivo-comportamentale. Il più importante contributo che la pedagogia possa dare allo sviluppo
del bambino, sostiene Gardner, è aiutarlo e guidarlo verso un campo nel quale i suoi talenti naturali
vengono potenziati e soddisfatti. L’insegnamento razionale-emotivo presuppone, però, condizioni
atte a favorire l’iter comunicativo, l’uso di un linguaggio idoneo, il porsi dal punto di vista del
bambino, l’empatia, l’ascolto, l’interazione, ma soprattutto il modello educativo positivo che
l’adulto deve offrire.
La scuola dell’infanzia è il luogo ideale ove esprimere attraverso il gioco e il disegno le proprie
emozioni e il proprio vissuto, sul quale si fondano tutte le esperienze ludiche e didattiche, mediante
le quali nel bambino si strutturano l’autonomia e l’iniziativa; si ha la capacità di essere spontanei, di
fantasticare, di essere creativi e liberi nel comportamento.
Si ampliano i limiti spazio-temporali imposti dalla percezione e si sviluppa l’intelligenza
rappresentativa, per questo nella scuola dell’infanzia si possono e si devono favorire il più possibile
attività che permettano di interiorizzare e di vivere fluidamente il gesto grafico.
Potremmo, inoltre, considerare l’attività grafica spontanea, quella attività che consente di liberare il
movimento, scaricare e sublimare l’aggressività.
La scuola dell’infanzia ha perciò il compito di sviluppare tutti i prerequisiti indispensabili per
l’apprendimento della scrittura e della lettura, apprendimenti che saranno poi attuati e consolidati
nella scuola primaria di primo grado; perché se nelle prime classi non si agevola il bambino alla
distinzione e alla scrittura in corsivo, esso si orienterà in rapporti intuitivi e sceglierà la modalità di
scrittura più comoda. Infatti il corsivo non nasce se non è stato interiorizzato completamente.
Il bambino conquista la competenza grafo-motoria attraverso un percorso che parte dai grafismi
fino ad arrivare al disegno geometrico. Sarà proprio questa condizione a permettergli di giungere
alla produzione della scrittura in modo fluido e personalizzato.
Quando ciò non avviene, ma si fa intraprendere al fanciullo un percorso forzato, nel quale il gesto
grafico manca di vissuto e si prospetta come una riproduzione standard nel foglio, o come una
richiesta imposta dell’adulto, può accadere che, il grafismo prima e il grafema poi, risentano di
questa forzatura. Ciò può dare origine a vere e proprie difficoltà della codifica scrittoria fino al
punto di non comprendere la scrittura.
Per questo l’alunno può adottare la strategia dello “script”. Scrivendo le lettere come i libri
stampati, egli pensa di comprendere meglio e di far capire meglio quello che scrive, ma in questa
modalità pensata l’energia dello scrivente e le sue emozioni sono già bloccate. Sviluppare e
potenziare le abilità di scrittura nella scuola elementare è quindi indispensabile per il
conseguimento di un obiettivo comportamentale e educativo fondamentale quale quello della
personalizzazione della scrittura, obiettivo che deve essere perseguito anche nelle scuole successive.
Purtroppo tale obiettivo oggi è molto trascurato. Si tratta di una grave disattenzione della scuola,
che comporta molti rischi dal punto di vista educativo e della crescita psicologica e sociale della
persona in formazione.
Per questo noi pedagogisti clinici torniamo a porre l’accento sulla importanza della scrittura
personale e diciamo che la scrittura va liberata. Il corsivo è il tocco unico della persona. Con la
scrittura corsiva viene fuori quel tocco, quell’affinamento della sensibilità del soggetto.
La differenza tra il mio modo e il modo di Maria di scrivere “cielo” è personale; è la differenza che
è personale, caratterizzata da piccole note che la personalizzano con quella emozione che mentre si
lascia traccia viene fuori, forza, nervosismo, fragilità, piacere, disinteresse. La scrittura corsiva aiuta
a liberare il soggetto.
Questo tocco che può sembrare sbagliato (come appare oggi agli occhi di tanti che si rifugiano nello
stampatello) è venuto fuori dall’inconscio.
Nell’inconscio di ciascuno sono depositati tutti i vissuti personali, unici e irripetibili della persona.
Quindi lo scritto può rivelare la difficoltà di esprimere se stessi in questa unicità, soprattutto quando
esso appare omologato e pensato identico a quello di altri individui; questo significa, anche, che il
delicato meccanismo che favorisce la personalizzazione della scrittura, e quindi dello sviluppo
armonico dello scrivente, può bloccarsi per implicazioni personali e sociali.
Noi pedagogisti clinici vogliamo tornare a dare la giusta importanza al corsivo e al movimento, se si
fa una scrittura eccessivamente pensata perché non abbiamo conseguito l’abilità del gesto, l’energia
dello scrivente è già bloccata. Il gesto grafico non è programmato, il gesto non è pensato, è così
come si è in quel momento quando si scrive; così quello che si è viene fuori. Ecco che arriva un
segno, come quando un bambino fa un disegno meraviglioso, il corsivo diventa allora scrittura
liberata, è libertà del movimento, è scrittura viva.
Per questo motivo il pedagogista clinico può agire con interventi specifici ed offrire alla scuola
itinerari educativi idonei per il recupero delle abilità grafo-gestuali, aiutare il giovane a superare
eventuali difficoltà relazionali, spesso dovute al timore del confronto, può rintracciare gli ostacoli
che impediscono il passaggio a conquiste ulteriori, a crescite successive, e rendere il suo intervento
mirato ed efficace avvalendosi dei metodi BonGeste, Prismograph® e InterArt® adatti al
conseguimento di questi importanti obiettivi educativi. Nel percorso pedagogico clinico realizzato
al fine di aiutare i soggetti che mostravano maggiori difficoltà e maggiori tensioni, ho utilizzato le
tecniche desunte da questi metodi, perché era necessario favorire la creatività, educare al bello,
agevolare il linguaggio, la lettura e la comunicazione, per fruirne anche nelle relazioni
interpersonali.
A questo proposito i ragazzi che hanno riconquistato il corsivo mi hanno spiegato di stare molto
meglio perché è scattata in loro una molla interna. Si è potuto verificare che, alla ripresa del corsivo,
è seguita una maturazione della personalità, una capacità di espressione e relazione con gli altri che
sembrava persa.
Noi pedagogisti clinici oggi vogliamo lanciare un appello, quello di liberare la scrittura, di liberare
la persona. È questa la sfida da lanciare alle istituzioni per aiutare ogni soggetto al totale recupero
delle sue potenzialità, della sua piena espressività e armonia.
Relazione presentata al Convegno su “Il pedagogista clinico, una risorsa di fronte alle emergenze
sociali”, tenuto a Genova il 20 ottobre 2007 e pubblicata in Rivista Pedagogia Clinica –
Pedagogisti Clinici 19/2008.
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