Ho letto una volta un libro che mi è molto piaciuto e nel quale ogni

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Ho letto una volta un libro che mi è molto piaciuto e nel quale ogni
Ho letto una volta un libro che mi è molto piaciuto e nel quale ogni capitolo era introdotto con un incipit
costituito da una breve frasetta. Quella che mi ha colpito di più diceva: non si pensa mai abbastanza.
Condivido questo concetto e mi piace che sia espresso in modo così lapidario. E sottolineo che per me
pensare significa non solo fare ragionamenti di qualche tipo, ma soprattutto riflettere su quel che si fa, sul
perché facciamo quel che facciamo, sul come lo facciamo. Figurarsi se questo non è tanto più vero nel
lavoro di insegnante, in particolare quanto più sono giovani gli allievi. In fondo, se si hanno le competenze
tecniche, un corso di dottorato non è così complicato, soprattutto per la buona ragione che chi ascolta in
genere è molto interessato a apprendere quel che viene proposto. Al contrario a scuola gli studenti sono
per la maggior parte poco inclini a imparare quanto si fa in molte specifiche materie, e la loro motivazione
per studiare, posto che ci sia, è legata al fatto che a scuola bisogna andarci, che serve per il futuro, e ne
tralascio altre che francamente suonano ancora meno convincenti. Questo fenomeno è destinato a
accentuarsi, dal momento che il mondo d’oggi offre sempre più possibilità di informarsi e imparare al di
fuori della scuola, anche se spesso la qualità dell’informazione stessa lascia parecchio a desiderare. Dal
momento che insegno matematica, e non da poco tempo, e che ho seguito da vicino il suo apprendimento
da parte dei tre miei figli, su questo argomento ho provato a fare negli anni un po’ di riflessioni, che a volte
mi piace condividere, soprattutto per l’intenso legame che sento col lavoro che faccio e con la materia che
di questo lavoro è il perno fondamentale. E mi piace rendere esplicite le mie riflessioni anche perché credo
che a volte siano un po’ eretiche; d’altra parte sono convinto che l’eresia sia spesso fonte di buone
riflessioni.
Un primo punto basilare che vorrei affrontare riguarda il fatto che riflettere sulla materia che si insegna e la
visione che poi ne elaboriamo dovrebbe influenzare profondamente il nostro modo di insegnare, anzi in
effetti lo influenza sicuramente. Allora la prima domanda che io mi pongo è: qual è la mia visione della
matematica? Che cosa rappresenta per me la matematica? Ho messo in corsivo mia e per me, in quanto Io
credo profondamente che in queste cose non esista una sola risposta possibile, al contrario; discuterne
quindi è importante, per un naturale confronto di idee. Questo è un punto di vista filosofico importante: se
sostengo un’opinione è perché ci ho pensato su e penso di avere una visione corretta di una cosa, ma
sempre sapendo, e mai dimenticando, che opinioni diverse hanno stessa legittimità. Riprenderò in seguito
questo punto. Ritornando a come vedo la matematica, comincio subito col dire che sono convinto che la
visione che i non addetti ai lavori hanno di questa disciplina non sia la più adeguata. Non insisterò sui motivi
per cui questo accade, anche se penso che la responsabilità più grande sia legata a come una materia viene
insegnata (dalla Scuola Primaria all’Università, o addirittura post Università, vedi vari corsi di
aggiornamento); piuttosto, vorrei concentrarmi su quel che credo sia la percezione dei più, e sul perché
secondo me questa percezione è profondamente sbagliata.
Nell’immaginario collettivo la matematica è una disciplina austera, algida, perfetta, immutabile, in cui ogni
assunto, ogni affermazione corrisponde a una verità assoluta e immodificabile. Ora non voglio sostenere
che questo non abbia un suo fondamento, ma sono convinto che sia una visione troppo settaria delle cose.
Che il ragionamento matematico si basi su procedure standard (o quasi), universalmente riconosciute, che
da certe premesse ne derivino certe incontestabili conclusioni, non è cosa da mettere in dubbio. Solo che
qualcuno fornito di un’intelligenza e di una profondità sbalorditive, parlo di K. Gödel, ci ha mostrato in
maniera lampante quanto fragili siano le basi su cui costruiamo le nostre certezze matematiche. Intanto, ci
ha spiegato che esiste un ineliminabile solco tra ciò che è vero e ciò che è dimostrabile in ogni teoria
matematica che comprenda l’aritmetica1; però non si è limitato a questo: ha anche dimostrato che una tale
1
Uno dei contributi più geniali di Gödel è stato di aver formalizzato in maniera rigorosa, all’interno del mondo
matematico, i concetti di vero e di dimostrabile. Ovviamente qui non possiamo che appellarci all’intuizione. Diciamo
teoria non potrà mai essere dimostrata coerente. Ora nessuno, credo, si sogna di pensare che prima o poi
qualcuno trovi delle contraddizioni nell’aritmetica, ma è evidente che il panorama disegnato da Gödel è
assolutamente diverso da quello sognato da Hilbert, il rappresentante ufficiale della matematica della
prima parte del Novecento: -in mathematics there is no ”ignorabimus”-. Dalla parte di Hilbert c’è la visone
di una scienza trionfante che pensa di poter tutto spiegare e tutto controllare (è solo questione di tempo);
dalla parte di Gödel, invece, un profondo atto di umiltà, che ci ammonisce che la matematica, e tutta la
scienza in genere, hanno dei limiti ben precisi e invalicabili. Anche se, mi preme sottolinearlo, sto parlando,
soprattutto relativamente a Gödel, di una mia interpretazione del suo risultato di incompletezza, non certo
della sua visione filosofica. E oggi credo che non ci sia più nessun dubbio, visti i risultati di Gödel, rinforzati
da Turing, che una visione meno onnipotente della scienza corrisponde più a un adeguato modo di vedere
le cose.
Ma la domanda che qui vorrei pormi è: ha tutto questo un impatto sul nostro modo di insegnare? Io credo
proprio di sì. Se spieghiamo le cose consci che comunque quel che diciamo non sono verità assolute, ma
concetti veri all’interno di certe teorie, che potrebbero però non esserlo in teorie altrettanto efficaci, allora
forse la forma mentis, il modo di proporre le cose possono cambiare, e non poco. Perché chi pensa di
essere certamente sulla strada giusta, e che il giorno della comprensione assoluta si sta avvicinando, non
può che avere un atteggiamento rigido di fronte alla trasmissione della cultura in generale e della
matematica in particolare, mentre al contrario chi pensa che non esistano strade giuste, ma modi più o
meno efficaci di descrivere e trasmettere la nostra percezione del mondo, non può che avere un
atteggiamento aperto alle novità, nonché una sorta di benedetta umiltà intellettuale, che gli ricorda sempre
quanto la giustezza di una teoria o di un modo di vedere le cose sia figlia del tempo che si sta vivendo:
come la nostra visione della matematica è molto differente (e giustamente la riteniamo più efficace) di
quella di 300 anni fa, altrettanto dovremmo ricordarci che tra 300 anni qualcuno potrebbe aver da ridire, a
buon diritto, sulla nostra visione delle cose.
Tutto questo può sembrare molto teorico, ma non lo è affatto. Chi non crede che tutto sia già scritto nel
grande libro della realtà, insomma chi sta con Gödel e non con Hilbert, si porrà qualche volta il problema se
quel che insegna o ha insegnato per decine di anni non possa essere visto anche in altro modo. Forse,
l’importanza che si dà agli argomenti svolti in classe o previsti dai programmi ministeriali assume una
valenza diversa. Non voglio sostenere che certe parti della matematica che si insegnano oggi siano inutili,
non voglio sostenerlo, però vorrei almeno insinuarne il dubbio: non è possibile non rimarcare che
argomenti come la trigonometria o i logaritmi oggi non solo vadano visti e spiegati in maniera molto
diversa, ma sostanzialmente ridimensionati. Dovremmo, credo, riflettere sull’importanza, forse eccessiva,
che nei corsi si dà all’insegnamento della geometria euclidea, col suo metodo assiomatico così efficace sì,
ma anche così freddo e lontano dall’intuizione. E su questo voglio subito rispondere all’obbiezione che più
frequentemente mi si fa a questi discorsi, e cioè che poi siamo proprio noi che insegniamo in Facoltà
scientifiche a lamentarci della preparazione degli studenti. In realtà, negli ultimi anni in moltissime facoltà
scientifiche sono stati istituiti dei corsi di sostegno (i cosiddetti precorsi) proprio per dare quelle nozioni
tecniche su certi argomenti (potenze e radici, funzioni trigonometriche, esponenziali e logaritmi, e poco
altro) che sono utili per seguire i corsi di matematica e fisica. E da chi segue questi corsi ci piacerebbe
trovare rispondenza non nel fatto che queste cose le conoscano già, ma piuttosto che non facciano troppa
fatica a assorbire le nozioni. Per questo, è molto più importante un allenamento al ragionamento logico che
allora che vero è qualcosa che non contraddice nessuna delle premesse della teoria; detto in parole molto imprecise
Gödel ha dimostrato che in ogni teoria così ricca da contenere l’aritmetica esiste sempre un’affermazione vera non
dimostrabile
una conoscenza approfondita dell’argomento che si tratta. E il ragionamento logico si impara su tante cose,
non solo sui programmi classici, e non solo in matematica 2. Non sottovaluto il fatto che troppe nozioni
nuove non si digeriscono in poche lezioni, ma se a me bastano e avanzano due ore per fare la
trigonometria, forse non è necessario che gli studenti siano torturati per troppo tempo su questa parte
della matematica nelle scuole. Né è troppo valida l’altra obbiezione ricorrente che c’è l’Esame di Stato in
agguato. A parte il fatto che questo riguarda solo una parte degli studenti, per sostenere la prova di
matematica non c’è bisogno di legarsi per cinque anni a uno schema ben definito e immutabile …
La visione della matematica che ho delineato precedentemente ha un’altra grossa implicazione nel modo in
cui si insegna, ed è di questa che parlo nella seconda parte di questo mio intervento. Si tratta della
creatività. Una visione dinamica della matematica, non solo meccanicistica e algoritmica, non può non
lasciare grande spazio alla creatività. Certo, fare matematica veramente creativa è prerogativa di pochi. Ma
tutti, a scuola, dovrebbero essere incoraggiati a proporre un loro modo di vedere le cose. A me sembra che
troppo spesso l’unica preoccupazione di chi spiega sia di insegnare un metodo, cui ci si deve sempre
uniformare per risolvere un certo tipo di problemi. Un esempio? Uno che mi sembra significativo è lo studio
di funzione. Se fate una prova, la maggior parte di quelli proposti all’Esame di Stato o anche nei compiti di
analisi al primo anno di Università si possono fare, per la maggior parte, senza l’uso del calcolo differenziale.
Per lo meno, intendo, farsi almeno un’idea intuitiva di come sia il grafico di una funzione data. Poi qualche
nozione presa a prestito appunto dall’analisi infinitesimale può darci informazioni ulteriori. Eppure lo
standard è quello di insegnare agli alunni un metodo ben preciso di procedere, magari punendo chi divaga
… Secondo me questo non va bene. So benissimo, tra l’altro, che spesso sono gli alunni stessi che chiedono
un metodo, un metodo meccanico da applicare. Quante volte ci sentiamo dire “ci dia una regola per
procedere”! Ora non dico che un’anarchia senza regole sia la cosa giusta da fare, ma in cinque anni di
scuola secondaria superiore non mi pare debba essere impossibile trovare i giusti spazi per lasciare un po’
di campo libero alla fantasia nell’affrontare i problemi. Questo è tanto più necessario se si riflette un po’
meglio sul fatto, evidente sperimentalmente! che l’apprendimento è cosa molto individuale: in altre parole,
non è affatto vero che spiegare una cosa in un modo piuttosto che in un altro è meglio o peggio per tutti. Ci
sarà chi apprezza un certo approccio, e chi ne apprezza un altro. Ci sono persone che hanno bisogno,
quando gli spiegate una regola, di dare motivazioni, di sottolineare intuizioni magari di tipo geometrico, e
c’è chi invece è disturbato da queste spiegazioni di contorno, e capisce bene solo se gli presentate la regola
algebrica senza tanti fronzoli 3.
Mi pare di essere arrivato al punto cruciale del discorso. Io intendo la matematica come un qualcosa che è
molto, molto di più dell’insieme delle sue regole. Queste sì che si possono considerare intoccabili, almeno
al livello in cui deve essere trasmessa. Ma a me in fondo non interessa che della matematica siano
2
D’altra parte la matematica ha un modo suo così peculiare ed efficace di esibire un ragionamento logico, che credo
sia veramente utile per chiunque impadronirsene, almeno nei suoi aspetti di base. Chi ha imparato la logica in
matematica scriverà meglio una sentenza, saprà rigirarsi con disinvoltura nelle piaghe del diritto, sarà un bravo
psicologo …
3
Ho fatto questa riflessione spiegando (poche volte!) matematica a uno dei miei figli. Con grande sorpresa, devo
confessarlo, mi sono accorto che meno mi soffermavo su motivazioni, e più mi concentravo su fatti puramente
algebrici, più lui apprezzava e capiva realmente le cose. Questo forse non è lo standard, ma, come ho sperimentato in
seguito a questa scoperta, più comune di quel che si pensi. Ecco perché non hanno senso, in didattica, le prese di
posizioni troppo estreme. C’è chi, per esempio, si trova a suo agio col metodo induttivo, e chi privilegia quello
assiomatico deduttivo. Chi è fortemente motivato, nella comprensione, dal vedere applicazioni e utilizzi specifici delle
regole, e chi in sede di apprendimento della stessa distratto e disturbato da tutto ciò che non concerne direttamente
l’argomento matematico in discussione. Può piacermi il Bourbakismo, ma pensare che questo sia il solo metodo, o il
metodo più giusto, per presentare tutta la matematica, per me è pura follia.
trasmesse delle regole, o soltanto delle regole. Mi interessa che si capisca che la matematica è piena di
idee, di concetti, di modi di vedere le cose che è interessante conoscere e capire, perché si possono
applicare anche al modo di pensare e di vivere giorno per giorno, perché ti danno un modo originale di
riflettere. Così come sono convinto che un matematico migliori la sua comprensione delle cose, e in
definitiva faccia meglio il suo lavoro, se è persona curiosa e ricca di interessi culturali e non di tipo
differente, allo stesso modo credo che un non matematico abbia grandi benefici a conoscere un po’ di idee
che la matematica gli può dare.
Tutto questo è molto teorico, ma la teoria va messa in pratica. Per questo cerco sempre di chiedermi come
proverei io a realizzare queste mie idee nell’insegnamento. Ecco allora qualche spunto su cui lavorerei in
classe.
1) Ricordare sempre che di un problema, o di una parte della teoria, non esiste soltanto l’aspetto
tecnico. Che ovviamente è una parte essenziale, ma non l’unico che va considerato. Raccontare un
po’ della storia di un problema, o della vita di un personaggio importante del passato o del
presente, che di quel problema è stato un protagonista, mostrare a volte un film che parla di
matematica (ce ne sono …) può essere una via da seguire. La vita di Evariste Galois è più bella e
romantica di un romanzo, dedicare un paio d’ore per raccontarla, passando poi l’ora dopo a parlare
dei problemi che questo genio ha cercato di affrontare e risolvere può suscitare la sorpresa e
l’interesse degli alunni
2) Occorre sempre ricordarsi che dietro i calcoli ci sono delle idee, e che queste sono molto più
importanti! Non bisogna stancarsi mai di mettere in evidenza le idee, prima delle regole! Le menti
umane possono essere molto diverse, ma penso che nessuno possa ricordare a memoria
dimostrazioni pazzesche, così come nessuno può suonare un pezzo di musica classica avendo solo
memorizzato le note: è evidente che dietro c’è una trama, e non svelare questa trama è un errore
terribile
3) La matematica non è nata come la vediamo oggi noi, e tra qualche secolo sarà enormemente
diversa da quella di oggi. Come ho già ricordato, l’insegnamento tende secondo me a rendere
troppo assoluto l’approccio alla disciplina, dando l’impressione che questa sia sempre stata così, e
che lo sarà per sempre. Ma ad esempio le moltiplicazioni, così come vengono spiegate ai bambini,
l’uomo le fa in questo modo solo da tempi molto recenti! Mostrare magari un altro metodo (molto
bello quello per gelosia) può forse in qualche modo attirare la curiosità degli allievi, e dare loro
anche l’idea che le loro difficoltà sono naturali, se è vero che prima di arrivare al sistema odierno,
che magari è più efficiente di altri, questo non lo nego, ci sono voluti secoli e secoli!
4) Occorre dare più spazio ai nuovi aspetti. La probabilità, ad esempio, è difficile, a volte
sorprendente, ma si può avvalere di esempi interessanti, e ha anche più ricadute pratiche, nel
mondo di oggi, della trigonometria. Sia ben chiaro, non è che a scuola si possa fare molto, ma darne
un’idea sì. Un altro esempio: parlare un po’ di strutture sarebbe molto importante, sono l’essenza
della matematica, ed è vero che a un livello di conoscenza tecnica non molto elevato gli esempi non
sono molti, ma qualcosa si può fare. Un altro ancora: un po’ di teoria dei grafi, che permetterebbe
di fare qualche applicazione forse più interessante e innovativa di quelle che di solito si fanno
vedere a scuola … sono solo esempi, ma possibilità da esplorare.
5) L’insegnamento può procedere sia in maniera deduttiva sia in maniera induttiva. Il metodo principe
(oggi!) è quello deduttivo, che spesso si mostra di gran lunga più efficiente. E` la deduzione che ci
permette di apprendere più in fretta, non solo in matematica: qualcuno risolve con grandi difficoltà
un problema qualunque, gli altri poi dal suo sforzo deducono che fare, e lo fanno con maggiore
facilità. Chi ha scritto un lavoro di matematica sa benissimo che le cose alla fine sono presentate in
maniera ben diversa da come sono venute alla mente: quest’opera di ritraduzione è essenziale ed
utile agli altri (se ben fatta, naturalmente). Quindi, nessuna obbiezione al metodo deduttivo. Ma
occorre ribellarsi se questo diventa l’unica maniera di presentare le cose. Anche un matematico
bravo, esperto e profondo, se si trova a leggere o ascoltare cose lontane dal suo campo di ricerca,
spesso ha difficoltà a catturare le idee in un approccio formale deduttivo che non spieghi da dove
hanno origine certe astrazioni. Per questo a scuola occorre alternare le cose, occorre dedicare del
tempo anche a impostare un problema, e soprattutto ad ascoltare i tentativi, quasi sempre
sbagliati, degli studenti, su come affrontarlo. Non è tempo perso!
6) Occorre sempre incoraggiare lo studente a cercare le sue soluzioni a un problema. Occorre
premiare lo studente che va in cerca di una soluzione sua, magari inefficiente, a volte pure
sbagliata, ma lo sappiamo bene che nella vita si impara più dagli errori che osservando e ripetendo
meccanicamente le cose spiegate! Questo è un punto cruciale, troppe volte ho visto (allibito!)
studenti puniti attraverso lo strumento del voto per non aver utilizzato il metodo appena spiegato
in classe, pur avendo trovato la soluzione corretta. A me piacerebbe poter punire quegli
insegnanti! Lo studente che propone una soluzione sua fa qualcosa di creativo, anche se non ne
viene fuori quasi mai qualcosa di originale, e spesso le conclusioni non sono corrette. Pazienza! E’
molto creativo discutere anche degli errori, di come nascono e si sviluppano. Le persone
incoraggiate a pensare con la testa loro, a trovare soluzioni alternative avranno sempre un
approccio meno negativo alla materia.
7) Incoraggiare anche il lavoro di gruppo. Dare compiti non solo ed esclusivamente standard. Ogni
tanto organizzare prove più impegnative che gli alunni devono provare a risolvere in gruppi. E’ vero
che in questo modo si formano dinamiche non sempre del tutto positive: c’è chi si dà da fare e chi
segue passivamente, chi sfrutta il lavoro altrui. Ma questo non succede solo in ambito scolastico,
queste meccaniche di gruppo si ritrovano in ogni ambiente, perché non cominciare a sperimentarle
a scuola? Senza contare che l’insegnante ha la possibilità di intervenire, almeno in parte, di
correggere e indirizzare.
8) Infine, forse questo è il punto cui tengo di più, ed è la costante nelle mie lezioni, mostrare il più
spesso possibile quanto sorprendente può essere la matematica. Quanti paradossi può portare con
sé. Il paradosso attira l’attenzione. Stimola il pensiero. Certo, lo standard è la regola, quella regola
rassicurante, soprattutto per chi la insegna. Perché sa maneggiarla, ne ha esperienza. Ma non
esiste solo lo standard, anzi! So che la mia visione mi influenza moltissimo. Sono curioso delle
teorie di Gödel, che sono basate su un uso sofisticatissimo di uno dei più famosi paradossi della
logica, il paradosso del mentitore. Mi occupo di teoria dei giochi, dove i paradossi nascono come
funghi. Però è vero che l’attenzione delle persone si cattura più facilmente facendo vedere cose
sorprendenti, non cose un po’ scontate. E questo è vero sempre. Con i bambini, l’attenzione dei
quali viene catturata con grande facilità facendo vedere loro cose non scontate, con i ragazzi a
scuola, se gli proponete qualcosa di insolito che magari ha risposte insolite. Ma succede anche con
gli adulti, succede con gli esperti. L’ho sperimentato persino nel lavoro: ho avuto la fortuna di
essere invitato a pranzo da un (futuro) premio Nobel, che gentilmente mi ha chiesto che cosa stavo
studiando; ho cominciato a dirgli che avevo fatto nell’ultimo lavoro, che risultati avevo trovato, e lui
mi ha detto che erano risultati prevedibili. Ma quando gli ho parlato dell’ultimo, che lui aveva
predetto in maniera un po’ diversa, solo allora ho catturato davvero la sua attenzione e il suo
interesse!
Non voglio qui trarre delle conclusioni precise. Come insegnare la matematica è un tema eterno, che non si
esaurisce mai. E renderla più appetibile una fatica di Sisifo. Parlarne però serve a chi lo fa per lavoro a non
appiattirsi nell’abitudine e nella noia. Ma se una morale dal mio discorso la devo tirare, vorrei sottolineare
come la cosa più importante sia un atteggiamento flessibile, mirato e intelligente nei confronti della materia
e di coloro cui questa materia si insegna. Occorre ricordarsi sempre che il compito di insegnante, credo, sia
quello di trasmettere il più possibile idee, cultura, voglia di sapere. Su quali argomenti, in fondo non è il
punto più importante.